Archivio del Tag ‘Giubileo’
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Lockdown eterno e campi di detenzione: voci dal Canada
«Se dall’interno dei Lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui» (Primo Levi, “Se questo è un uomo”). Lo chiamano The Great Reset, ne hanno parlato a Davos a giugno, al World Economic Forum. Lo sostengono varie lobby internazionali, la fintech, Bill Gates con il suo Id2020, digitalizzazione degli umani, il suo Gavi, attraverso le vaccinazioni a tutti gli umani, Msn con il brevetto di rilevazione dei dati biometrici, con la criptovaluta a mining umano. Soros con il Bretton Woods II e la moneta digitale mondiale. La Rockefeller Foundation che sta promuovendo la sperimentazione del common pass, un passaporto sanitario che si sta sperimentando anche in Svizzera e in Canada, e presto ovunque. Ma di cosa si tratta esattamente? Cos’è questo reset? E’ il vecchissimo – vecchio come Matusalemme – “tabula rasa” di babilonica memoria: in un sistema di moneta debito, inventato 5.000 anni fa con la creazione della scrittura – onore all’autore David Graeber morto recentemente, che ha scritto “Cinquemila anni di debito” – la moneta debito, regolarmente, dev’essere cancellata – tabula rasa – perché quando il debito diventa insostenibile vanno condonati i debiti di tutti i cittadini, altrimenti rischiano di scappare al controllo dell’organizzazione del lavoro. E così i sumerobabilonesi facevano un giubileo ogni 49 anni.Ma questo inizialmente. Poi, con il passare dei secoli tale pratica fu abbandonata per una più cruenta e spietata: la guerra. Con la guerra si rimettono a zero i debiti incagliati e li si ristrutturano a vantaggio dei creditori guerrafondai che solitamente aizzano le due parti. Con la guerra i grands argentiers si garantiscono il bottino e l’indebitamento per la ricostruzione del paese per le future generazioni, fino a quando ritorna la necessità di reset, provocata dal debito circolante + gli interessi: aumento esponenziale, matematicamente parlando. E ricomincia la giostra. Anche le pestilenze del passato hanno assolto a quel ruolo di far crollare le banche dei Bardi e Peruzzi – dopo il fallimento della banca dei Bonsignori – che avevano indebitato i sovrani di mezzo mondo; fallimenti che avvennero anche con la complicità dei Veneziani, che ritirarono l’oro dai loro depositi presso i banchi fiorentini. Per inciso, la peste del 1349 arrivò dalla Cina attraverso la Via della Seta, controllata da Mongoli e Veneziani. Giusto per fare un parallelismo. E oggi, che il mondo è arrivato al necessario reset del debito, che cosa fanno i grands argentiers, i Veneziani di oggi?Con l’aiuto di una pandemia dai contorni inquietanti e dubbi, proveniente da un laboratorio di Wuhan – inaugurato dalla Francia, finanziato dall’Ue, gemellato con un laboratorio di Francoforte e facente parte di programmi di ricerca dell’Oms – si vuole azzerare il debito ma in un modo quanto mai cruento e spietato: schiavizzando con la fintech l’umanità intera. La scusa sarebbe il vaccino Covid, e il regime economico: il comunismo. Il cavallo di Troia? Il reddito universale per tutti, o almeno per quasi tutti. I dissidenti nel gulag. Anzi tutti tra il lockdown e i campi prima di potersi “liberare” con il chip o i dot quantici nel vaccino. A proposito di gulag, un’ipotesi che sta prendendo forma, si sta concretizzando. Ce lo dice l’interrogazione ufficiale di un deputato canadese dell’Ontario. Che chiede spiegazioni al ministro sul piano di costruzione di una rete di campi di detenzione e isolamento nella sua provincia – ma che riguarda il paese intero e il mondo itero – poi il microfono viene tagliato sul più bello. «A settembre il governo federale ha pubblicato un avviso di manifestazione di interesse destinato agli imprenditori per fornire, costruire e gestire campi di quarantena-isolamento in tutte le province e in tutti i territori del Canada. Ma questi campi di isolamento non sono destinati solo alle persone con il Covid, bensì a tutta una serie di altre categorie di persone».«Sicuramente il governo è al corrente dell’intenzione di costruire questi campi di isolamento in tutto il paese e la mia domanda al ministro è: quanti campi saranno costruiti e quante persone ha l’intenzione questo governo di detenere in questi campi?». Questa la prima domanda di Randy Hillier, a cui risponde il premier dell’Ontario. Risposta: «E’ vero che quando i cittadini lasciano il paese e poi ritornano, le province e il governo federale suggeriscono che si auto-isolino, questa è stata la pratica ed è stata efficiente non solo nell’Ontario ma in tutto il paese. E faremo in modo di raddoppiare gli sforzi perché i cittadini dell’Ontario siano messi in sicurezza. Quindi, se l’onorevole si riferisce al fatto che quando un cittadino esce dalla provincia o dal paese debba rimanere isolato per due settimane, al ritorno, rispondo che è stata una buona pratica e che ha funzionato. Anche questa Camera ha fatto la stessa cosa da quando siamo tornati. Quindi faremo tutto quanto è possibile per fare in modo che queste Camere lavorino e che i cittadini dell’Ontario siano messi in sicurezza».Risposta dell’onorevole Hillier: «Signor speaker, qua c’è il capitolato del bando di gara, e in questo capitolato è impiegato un linguaggio chiaro per esprimere che questi campi possono essere utilizzati per una serie di persone, che non si limitano ai viaggiatori, anzi i viaggiatori internazionali non sono neanche citati. Parla solo di “una vasta categoria di persone”. Vi invio la copia del capitolato. Quindi, il vostro governo sta negoziando ed è consapevole di questi piani per detenere e isolare cittadini e residenti del nostro paese e della nostra provincia. Signor speaker, chiedo al primo ministro dove saranno costruiti questi campi, quante persone saranno detenute e per quali ragioni potranno le persone essere detenute in questi campi di isolamento, e vorrei che il premier garantisse al popolo di Ontario…». E qua il microfono viene bruscamente tagliato. Censura. E poi, sempre dal Canada, c’è questa seconda fuga di notizie, che chiarisce con una luce sinistra l’interrogazione del deputato dell’Ontario. Si tratta di un documento che descrive una riunione avvenuta al gabinetto del primo ministro canadese Trudeau, in cui si prevede un secondo lockdown, e i campi di detenzione per chi rifiuta.L’informazione proviene da un deputato insider, che fa parte del partito liberale canadese e le informazioni provengono da una riunione nel Comitato di pianificazione strategica dal gabinetto del premier. «Lo faccio per i miei bambini e tutti gli altri, dice, per un futuro migliore». Il 30% del Comitato di pianificazione, pur non essendo soddisfatto delle politiche del governo e della direzione presa dal Canada, è stato ignorato dagli altri membri del Comitato. La tabella di marcia impartita dal Comitato di pianificazione del governo del Canada, è la seguente: istituire progressivamente un secondo lockdown su base continua prima nelle metropoli e poi nelle periferie entro novembre 2020; accelerare la costruzione dei campi di isolamento/quarantena entro dicembre 2020; è previsto l’aumento esponenziale dei casi e dei decessi, per fine novembre 2020; un secondo lockdown completo e totale molto più severo del primo, per fine dicembre 2020 e inizio gennaio 2021; la riforma e la trasformazione del sistema di sussidi di disoccupazione per la transizione verso un reddito universale, previsto per il primo trimestre 2021; la programmazione di una mutazione del virus Covid-19 con un altro virus chiamato Covid-21 che porterà a una terza ondata con un tasso di infezione e di decessi molto più elevato, per febbraio 2021.I nuovi casi di ricovero per Covid-19 e Covid-21 supereranno le capacità ospedaliere, per il primo e secondo trimestre del 2021. Restrizioni di lockdown migliorativo, chiamate “terzo lockdown”, saranno attuate con il divieto totale di viaggio anche tra città e paesi, secondo trimestre 2021. L’inserimento nel progetto di reddito universale, per il secondo trimestre 2021. L’interruzione programmata delle catene di rifornimento e degli stock, con grande instabilità economica, prevista per la fine del secondo trimestre 2021. Dispiegamento di militari nelle metropoli e nelle principali strade per instaurare posti di blocco e limitare gli spostamenti, al terzo trimestre 2021. Parallelamente a questo programma si è parlato di una transizione economica senza uguali in cui forzare i cittadini. Per compensare il crollo economico internazionale, il governo federale offrirà un taglio del debito, dei debiti personali, dei prestiti e delle ipoteche, grazie al Fmi, nell’ambito del programma mondiale di reset del debito; in cambio, i cittadini perderanno per sempre la proprietà privata di qualsiasi bene e dovranno partecipare al programma di vaccinazione Covid-19 e Covid-21 grazie al quale potranno viaggiare anche in pieno lockdown con un pass sanitario per il Canada. La stessa cosa vale per tutti i paesi del mondo.I membri del Comitato hanno chiesto chi saranno i proprietari dei beni confiscati, e cosa succederà agli istituti di credito: la risposta è stata solo che il programma di reset del debito del Fmi si incaricherà di tutti i dettagli. Il nulla assoluto. Altri membri si sono chiesti cosa succederà ai cittadini che rifiuteranno di partecipare al World Debt Reset del Fmi e al passaporto sanitario Health Pass, e la risposta è stata che i membri del Comitato devono elaborare un piano per fare di tutto perché non si produca mai il rifiuto, e che ne va nell’interesse di tutti i cittadini partecipare. Chi rifiuta vivrà indefinitamente rinchiuso, e quelli che rifiutano il programma di World Debt Reset saranno considerati come un rischio per la salute pubblica, e saranno rinchiusi per sempre se non accettano il programma di cancellazione del debito. Questo è quanto è stato diffuso da un membro del partito liberale canadese che ha partecipato ad una riunione del Comitato di programmazione tecnica del governo canadese. Questo è il programma per tutti i paesi del mondo intero. Tutti i membri che si sono opposti o che hanno fatto domande, sono stati ignorati. Quando vi dicevo che il punto di cui nessuno vuole parlare è la moneta, ma che è questa che muove il male? E che è questa che va riformata in senso di cassa, distributivo, e non debito verso parti terze. Adesso lo sapete.(Nicoletta Forcheri, “Fughe di notizie dal Canada sul grande reset: campi di detenzione e tabella di marcia”, da “Scenari Economici” del 26 ottobre 2020. Glottologa e traduttrice formatasi tra Olanda, Belgio e Regno Unito, la Forcheri ha lavorato per tribunali, Europol e Interpol, polizia giudiziaria, comitati e multinazionali, studi legali internazonali; a lungo attiva presso l’agenzia di stampa Agence Europe, ha operato anche al Parlamento Europeo e alla Commissione Europea).«Se dall’interno dei Lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui» (Primo Levi, “Se questo è un uomo”). Lo chiamano The Great Reset, ne hanno parlato a Davos a giugno, al World Economic Forum. Lo sostengono varie lobby internazionali, la fintech, Bill Gates con il suo Id2020, digitalizzazione degli umani, il suo Gavi, attraverso le vaccinazioni a tutti gli umani, Msn con il brevetto di rilevazione dei dati biometrici, con la criptovaluta a mining umano. Soros con il Bretton Woods II e la moneta digitale mondiale. La Rockefeller Foundation che sta promuovendo la sperimentazione del common pass, un passaporto sanitario che si sta sperimentando anche in Svizzera e in Canada, e presto ovunque. Ma di cosa si tratta esattamente? Cos’è questo reset? E’ il vecchissimo – vecchio come Matusalemme – “tabula rasa” di babilonica memoria: in un sistema di moneta debito, inventato 5.000 anni fa con la creazione della scrittura – onore all’autore David Graeber morto recentemente, che ha scritto “Cinquemila anni di debito” – la moneta debito, regolarmente, dev’essere cancellata – tabula rasa – perché quando il debito diventa insostenibile vanno condonati i debiti di tutti i cittadini, altrimenti rischiano di scappare al controllo dell’organizzazione del lavoro. E così i sumerobabilonesi facevano un giubileo ogni 49 anni.
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Soldi facili, senza debito: arriva la Mmt, lo dice Ray Dalio
Sono passati anni! Non mesi, ma anni, da quando ai lettori di questo sito ho presentato Ray Dalio: le sue tesi per ottimizzare il lavoro, i suoi video (all’epoca ancora rigorosamente disponibili solo in lingua inglese), la sua conoscenza profonda dei meccanismi che regolano la maccchina economica oggi. Sono stati i miei articoli meno cliccati. Fino a che… Fino a che non è arrivato il giornalista di controinformazione più quotato d’Italia, Paolo Barnard, che ha cominciato a parlarne. Male. Io, nel mio piccolo, ed il grande trader modenese Giovanni Zibordi a proporre qualche articolo, ci sforzavamo di difenderne la profondità di pensiero. Poi, ultimo ma non ultimo, è arrivato Marco Montemagno, l’influencer senza dubbio più importante d’Italia, che ha cominciato a fare delle recensioni sul suo libro, “Principles”. Ora tutti si comportano come se lo conoscessero da sempre, tutti avrebbero letto il suo libro (ahahahaha), e avanti così. Nessuno, però, si è accorto che Dalio sta analizzando la Mmt di Mosler, la teoria economica neokeynesiana portata in Italia proprio da Barnard.Nessuno, tranne il vostro blogger preferito (cioè io) e “Bloomberg”, un giornaletto che pare essere apprezzato oltreoceano da qualche attento lettore di cose economiche. Ecco cosa scrivono: il sistema bancario centrale, come sappiamo, è in via di estinzione, ed è “inevitabile” che qualcosa come la teoria monetaria moderna lo sostituirà, ha detto l’investitore miliardario Ray Dalio. La dottrina, nota come Mmt, afferma che i governi dovrebbero gestire le loro economie attraverso la spesa e le tasse – invece di affidarsi a banche centrali indipendenti per farlo attraverso i tassi di interesse. La Mmt cerca anche di placare i timori sui deficit di bilancio e sui debiti nazionali, sostenendo che paesi come gli Stati Uniti, che hanno una propria valuta, non possono andare in rovina e avere più spazio da spendere di quanto si supponga normalmente – purché l’inflazione sia contenuta, poiché è questo il momento. Il dibattito sulla Mmt, che languiva nell’oscurità da decenni, è esploso negli ultimi mesi. L’idea è stata criticata da una serie di pesi massimi finanziari, da Warren Buffett al presidente della Federal Reserve Jerome Powell. Ma Dalio, il fondatore di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund del mondo, ha detto che i politici non avranno altra scelta che abbracciarlo.La loro sfida sarà «produrre un benessere economico per la maggior parte delle persone quando la politica monetaria non funziona», ha scritto Dalio nel suo ultimo articolo su LinkedIn. Negli ultimi quarant’anni, l’era della dominanza della banca centrale, della disuguaglianza di reddito e di ricchezza è cresciuta nella maggior parte delle nazioni sviluppate. Tagliando i tassi di interesse, o acquistando titoli nel processo noto come allentamento quantitativo (Qe), le banche centrali hanno quasi esaurito la loro capacità di stimolare le economie. Probabilmente saranno rimpiazzati da una politica monetaria di terza generazione, etichettata da Dalio come “Mp3”. Comporterà «il coordinamento della politica fiscale e monetaria» secondo le linee generali suggerite dagli economisti Mmt, ha detto Dalio, anche se non necessariamente seguendo le loro prescrizioni alla lettera. Il cambio verso la Mmt è a buon punto, ha detto Dalio. Con tassi di interesse bloccati vicino allo zero in Europa e in Giappone, e con la probabillità che tornino negli Stati Uniti quando l’economia vacilla, l’acquisizione della politica fiscale è «in linea di massima ciò che sta già accadendo».Gli Stati Uniti hanno aumentato i deficit di bilancio dopo la crisi del 2008, e lo hanno fatto di nuovo sotto il presidente Donald Trump. La risposta al mercato obbligazionario ha sostenuto gli argomenti della Mmt: i rendimenti sul debito pubblico non sono aumentati molto, anche se ce n’è molto di più in giro. Il Giappone lo sta facendo da molto più tempo – eppure dopo due decenni di grandi deficit, può ancora prendere in prestito denaro virtualmente gratis. Dalio ha fornito esempi di come tali politiche potrebbero evolversi. Le banche centrali potrebbero stampare denaro direttamente per finanziare programmi governativi, evitando la necessità di vendere obbligazioni. Potrebbero comprare immobili «che sarebbero idealmente utilizzati per fini socialmente vantaggiosi». Potrebbero anche cancellare i debiti incombenti sull’economia, in una sorta di “giubileo”. Nelle fasi discendenti, potrebbero consegnare denaro direttamente al pubblico, un’idea ampiamente conosciuta come “il denaro dall’elicottero”. Ci sono dei rischi, ha riconosciuto Dalio. Tali politiche metterebbero «il potere di creare e stanziare denaro, credito e spesa» nelle mani dei politici. «È difficile immaginare come verrà costruito il sistema per raggiungere questo obiettivo», ha affermato. «Allo stesso tempo è inevitabile che siamo diretti in questa direzione» (fonte: “Bloomberg”).(Massimo Bordin, “Ray Dalio dice che la Mmt sta arrivando, che ci piaccia o no”, dal blog “Micidial” del 2 maggio 2018).Sono passati anni! Non mesi, ma anni, da quando ai lettori di questo sito ho presentato Ray Dalio: le sue tesi per ottimizzare il lavoro, i suoi video (all’epoca ancora rigorosamente disponibili solo in lingua inglese), la sua conoscenza profonda dei meccanismi che regolano la maccchina economica oggi. Sono stati i miei articoli meno cliccati. Fino a che… Fino a che non è arrivato il giornalista di controinformazione più quotato d’Italia, Paolo Barnard, che ha cominciato a parlarne. Male. Io, nel mio piccolo, ed il grande trader modenese Giovanni Zibordi a proporre qualche articolo, ci sforzavamo di difenderne la profondità di pensiero. Poi, ultimo ma non ultimo, è arrivato Marco Montemagno, l’influencer senza dubbio più importante d’Italia, che ha cominciato a fare delle recensioni sul suo libro, “Principles”. Ora tutti si comportano come se lo conoscessero da sempre, tutti avrebbero letto il suo libro (ahahahaha), e avanti così. Nessuno, però, si è accorto che Dalio sta analizzando la Mmt di Mosler, la teoria economica neokeynesiana portata in Italia proprio da Barnard.
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Un governo di spettri, guidato da un troll del Vaticano
Renzi “asfaltato” dai No, poi sarà il Vaticano a scegliere il nuovo capo del governo. Questa la profezia dell’ex ministro socialista Rino Formica, pronunciata con largo anticipo sull’esito del referendum che ha poi in effetti disarcionato il premier. Azzeccata anche la seconda parte della previsione? Parrebbe di sì, a leggere “Coscienze in Rete”, il blog del network creato da Fausto Carotenuto. Gentiloni, scrive oggi il newsmagazine, è «rampollo di una famiglia nota per ripetuti, secolari servizi al Vaticano nel campo dell’influenza nella politica italiana». Lo stesso Carotenuto definisce Gentiloni «di nobili, cattolicissimi lombi». Se il No del 4 dicembre ha rappresentato «un sospiro di sollievo», per quasi 20 milioni di italiani, felici di «non vedere più in tutti i media a ripetizione il bulletto toscano che pontifica sulla propria capacità di fare miracoli, con la faccia di tolla che spara bugie a raffica, circondato da un gruppetto di pretoriani invischiati con le peggiori lobbies», attenzione: «Stiamo attenti a non riaddormentarci subito. Perché il vero problema in effetti non era Renzi». Il fiorentino «non comandava e non decideva proprio nulla: era solo il “troll”, la maschera, il burattino del potere», che infatti «rimane intatto, come prima». Il vertice ha semplicemente “ordinato” al Quirinale di «nominare il suo nuovo troll». Gentiloni chi?«Già da un paio d’anni – scrive “Coscienze in Rete” – avvertiamo della presenza del Conte Paolo Gentiloni Siverij e delle sue fantasmagoriche imprese, dal Giubileo rutelliano o come ministro delle telecomunicazioni del governo Prodi, all’allegria con la quale, in qualità di ministro degli esteri di Renzi, si prostrava a John Kerry quando questi gli chiedeva soldi e uomini per le guerre americane in Medio Oriente». In guardia, dunque, da «un personaggio chiaramente schierato con i vincitori della corsa al potere negli ultimi anni». E non è un caso, aggiunge il blog, che «nel momento in cui serve l’ennesimo pretoriano per schiacciare i i redivivi, seppur flebili aneliti democratici di questo paese, ci mettano proprio lui». Forse, alla fine la scelta è caduta su Gentiloni per una questione d’immagine: «Uno come Padoan è troppo palesemente legato alla Troika, troppo chiacchierato. E le sue misure, tipo un eventuale ricorso al Mes per sovvertire l’esito referendario, avrebbero potuto creare malcontenti troppo estesi». Forse, «confidano che Gentiloni possa fare esattamente le stesse cose senza scatenare troppo putiferio: come cantava Mary Poppins, “Basta un poco di zuccero e la pillola va giù”».Quando «il conte» divenne ministro degli esteri per il governo Renzi, “Coscienze in Rete” lo accolse così: «Garantisce tutti i potenti, il Conte Paolo Gentiloni Siverij, di feudi e lombi marchigiani». Per conto di Rutelli sindaco di Roma «continuò la tradizione familiare e proprio lui fu nominato assessore al Giubileo, in contatto con la banda che se ne occupò». Uno dei principali esponenti di quella storica “impresa” fu «l’efficentista Bertolaso, “eroe” della mancata ricostruzione aquilana, del disastro della Maddalena e della trasformazione della Protezione Civile in comitato d’affari». Da ministro delle comunicazioni del governo Prodi, Gentiloni «fece la faccia cattiva di quello che doveva distruggere l’impero televisivo di Berlusconi, ma «in effetti la sua funzione si è poi risolta nel proteggerlo, magari a condizioni più utili ai veri circuiti di potere». Il “conte”, poi, «non si fa mancare nemmeno il fatto di essere vicinissimo ad ambienti israeliani e soprattutto americani», scriveva il blog. «E deve proprio essere stata qualche vocina gesuitico-massonica, supportata da manine statunitensi, ad averlo convinto ad essere uno dei primi a sostenere Renzi nel Pd, ben prima che si creasse l’onda opportunistica renziana di questi mesi».L’uomo giusto al posto giusto: al Giubileo, agli esteri, a Palazzo Chigi. «All’origine di ogni nobiltà materiale c’è un non detto, un qualcosa di inconfessabile e di indicibile compiuto al servizio di un potere oscuro più forte: lo stesso indicibile potere che mantiene certe famiglie nobili al potere per secoli», secondo “Coscienze in Rete”. Cosa farà ora questo «governo di spettri?». Se lo domanda Fausto Carotenuto, che saluta «il disgusto, unito al risveglio» degli elettori, che il 4 dicembre hanno mandato a casa «chi non lavorava per i cittadini, ma per altri poteri». Solo che, poi, se togli Renzi ti ritrovi Gentiloni. Missione del nuovo “troll” del potere: «Anestetizzare al massimo gli effetti politici del referendum». Al “conte” non manca il fisico giusto: ha «una faccia diversa» da quella di Renzi, «dimessa», nonché «un eloquio da confessionale, un portamento perfino un po’ contratto e ricurvo, l’espressione di chi è capitato lì per caso». E’ perfetto, per «dare alla gente l’impressione di una maggiore “innocuità”». Errore: «Non abbassiamo la guardia: anche lui continuerà a servire chi lo comanda, senza discussioni e con volontà ferrea. Nella costante ricerca della maggior possibile manipolazione e della riduzione al minimo della libertà di noi cittadini».Carotenuto ne è sicuro: «Con lui si cercherà di fare in modo che nulla cambi, ma questa volta senza nemmeno far finta di cambiare qualcosa. Ancora peggio del solito italico trasformismo descritto nel Gattopardo». Secondo le stime, l’apprezzamento della gente per il nuovo governo è sotto il 20 %: il più basso della storia. «Il che prelude chiaramente alla preparazione di scenari molto diversi di manipolazione della gente, non più affidati a questi gruppi di spettri ormai spenti ed inefficaci». Come dire: il peggio deve ancora arrivare. «Apparentemente il nuovo governo serve solo a fare la nuova legge elettorale. Ma non si è riempito di saggi costituzionalisti, bensì di un numero di “trolls” ancora maggiore del precedente, confermandone la maggior parte. In effetti il ruolo di questo governo è quello di non mollare la presa del potere nemmeno per un attimo sui veri scopi di ogni ministero, che i ministri di questo governo continueranno a perseguire con efficacia, facendo finta di dirigere ministeri che in effetti sono dominati da bande di burocrati inossidabili e inamovibili, di direttori generali e funzionari al soldo dei veri poteri di manipolazione». I ministri-troll? «Sono solamente degli spettri dotati di firma, che fanno solo da “copertura” ai lobbisti legati ai poteri oscuri». E l’orchestra è diretta – come annunciato da Formica – da un nobilissimo “amico” del Vaticano.Renzi “asfaltato” dai No, poi sarà il Vaticano a scegliere il nuovo capo del governo. Questa la profezia dell’ex ministro socialista Rino Formica, pronunciata con largo anticipo sull’esito del referendum che ha poi in effetti disarcionato il premier. Azzeccata anche la seconda parte della previsione? Parrebbe di sì, a leggere “Coscienze in Rete”, il blog del network creato da Fausto Carotenuto. Gentiloni, scrive oggi il newsmagazine, è «rampollo di una famiglia nota per ripetuti, secolari servizi al Vaticano nel campo dell’influenza nella politica italiana». Lo stesso Carotenuto definisce Gentiloni «di nobili, cattolicissimi lombi». Se il No del 4 dicembre ha rappresentato «un sospiro di sollievo», per quasi 20 milioni di italiani, felici di «non vedere più in tutti i media a ripetizione il bulletto toscano che pontifica sulla propria capacità di fare miracoli, con la faccia di tolla che spara bugie a raffica, circondato da un gruppetto di pretoriani invischiati con le peggiori lobbies», attenzione: «Stiamo attenti a non riaddormentarci subito. Perché il vero problema in effetti non era Renzi». Il fiorentino «non comandava e non decideva proprio nulla: era solo il “troll”, la maschera, il burattino del potere», che infatti «rimane intatto, come prima». Il vertice ha semplicemente “ordinato” al Quirinale di «nominare il suo nuovo troll». Gentiloni chi?
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Dezzani: Bergoglio scelto dal superclan Usa oggi perdente
Ratzinger “deposto” da un complotto gestito dai servizi segreti anglosassoni, con anche la collaborazione di Gianroberto Casaleggio. Obiettivo: insediare in Vaticano l’attuale pontefice “modernista”. Un piano del massimo potere, gestito da personaggi come George Soros e ora messo in pericolo dalla vittoria di Trump. Lo sostiene Federico Dezzani, che evoca “padrini occulti” dietro al pontificato di Bergoglio, di cui profetizza l’imminente fine. Nonostante il flop del Giubileo e «il sostanziale fallimento dell’Anno Santo», Papa Francesco oggi accelera la svolta modernista: crea nuovi cardinali a lui fedeli e concede a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere l’aborto. «Forse Bergoglio ha fretta, perché sa che il contesto internazionale che lo ha portato sul Soglio Petrino si è dissolto con l’elezione di Donald Trump», scrive Dezzani, secondo cui furono «l’amministrazione Obama e George Soros» a introdurre il gesuita argentino, «in forte odore di massoneria», dentro le Mura Leonine. Bergoglio? Sarebbe «la versione petrina di Barack Hussein Obama», in coerenza col “cesaropapismo”, grazie al quale il potere civile estende la propria competenza al campo religioso, così da plasmare la dottrina «secondo le esigenze del potere temporale».Una pratica bizantina, ancora viva nell’Occidente moderno? Senz’altro: «La Chiesa di Roma subisce, dalla notte dei tempi, gli influssi del mondo esterno: re francesi, imperatori tedeschi, generali corsi e dittatori italiani hanno sempre cercato di ritagliarsi una Chiesa su misura». Dopo il 1945, il Vaticano è stato «inglobato come il resto dell’Europa Occidentale nell’impero angloamericano», subendone l’influenza politica, economica e ideologica: «Quanto avviene alla Casa Bianca, presto o tardi, si ripercuote dentro le Mura Leonine». Se poi il potere temporale si sente particolarmente forte e ha fretta di imporre la propria agenda alla Chiesa cattolica, «indebolita da decenni di secolarizzazione della società e in preda ad una profonda crisi d’identità», a quel punto – sostiene Dezzani – spinge più a fondo la “modernizzazione” dello Stato pontificio «cosicché il Papa “si dimetta”, come un amministratore delegato qualsiasi, e gli azionisti di maggioranza possano nominare un nuovo “chief executive officer” della Chiesa cattolica apostolica romana, sensibile ai loro interessi».Ratzinger “licenziato” dalla Casa Bianca? «Durante la folle amministrazione di Barack Hussein Obama, periodo durante cui l’oligarchia euro-atlantica si è manifestata in tutte le sue forme, dal terrorismo islamico all’immigrazione selvaggia, dagli assalti finanziari alle guerre per procura alla Russia – continua Dezzani nel suo blog – abbiamo assistito a tutto: comprese le dimissioni di Benedetto XVI, le prime da oltre 600 anni (l’ultimo pontefice ad abdicare fu Gregorio XII nel 1415), e alla nascita di un ruolo, quello di “pontefix emeritus”, sinora mai attribuito ad un Vicario di Cristo vivente». L’interruzione del pontificato di Joseph Ratzinger, seguita dal conclave del marzo 2013 che elegge l’argentino Jorge Mario Bergoglio, è una vera e propria “rivoluzione”: «Ad un pontefice “conservatore” come Benedetto XVI ne succede uno “progressista” come Francesco, a un difensore dell’ortodossia cattolica succede un modernista che vuole “rinnovare” la dottrina millenaria della Chiesa». Non solo: «Ad un Papa che aveva ribadito l’inconciliabilità tra Chiesa Cattolica e massoneria ne subentra uno che è in fortissimo odore di libera muratoria».E ad un pontefice «sicuro che solo nella Chiesa di Cristo c’è la salvezza» segue «un paladino dell’ecumenismo», talmente ardito da dichiarare ad Eugenio Scalfari nel 2013: «Non esiste un Dio cattolico, esiste Dio». Per Dezzani, il fondatore della “Repubblica”, «ben introdotto negli ambienti “illuminati” nostrani ed internazionali», in effetti «è un’ottima cartina di tornasole per afferrare il mutamento in seno alla Chiesa», strettamente sorvegliato dall’élite di potere. Si passa dall’editoriale “Da Pacelli a Ratzinger, la lunga crisi della Chiesa” del maggio 2012, dove Scalfari ragiona a distanza sul pontificato “lezioso” di Ratzinger, rinfacciandogli una scarsa apertura alla modernità, a Lutero ed all’ecumenismo, al dialogo tête-à-tête del novembre 2016, dove Scalfari discetta amabilmente con Bergoglio di “meticciato universale”, «tema tanto caro alla massoneria», interprete del sincretismo culturale che è alla base della modernità stessa, alla cui creazione proprio il network libero-muratorio contribuì, a partire dal ‘700.Federico Dezzani si concentra su Bergoglio, che considera «la versione petrina di Barack Obama», al punto che «si potrebbe sostenere che sia stato il presidente americano ad installare il gesuita ai vertici della Chiesa»? Sarebbe un’affermazione «soltanto verosimile», precisa, visto che «sono gli stessi ambienti che hanno appoggiato Barack Obama (e che avevano investito tutto su Hillary Clinton nelle ultime elezioni) ad aver preparato il terreno su cui è germogliato il pontificato di Bergoglio». In altre parole, è il milieu «della finanza angloamericana, di George Soros e dell’establishment anglofono liberal». Se si riflette sugli ultimi tre anni di pontificato, continua Dezzani, l’azione del Papa sembra infatti ricalcata sull’amministrazione democratica. Obama si fa il paladino della lotta al surriscaldamento globale, culminata col Trattato di Parigi del dicembre 2015? Bergoglio risponde con l’enciclica ambientalista “Laudato si”. Obama «ed i suoi ascari europei, Merkel e Renzi in testa», incentivano l’immigrazione di massa? Bergoglio «ne fornisce la copertura religiosa, finendo col dedicare la maggior parte del pontificato al tema». Ancora: Obama legalizza i matrimoni omosessuali? «Bergoglio si spende al massimo affinché il Sinodo sulla famiglia del 2014 si spinga in questa direzione».Gli “automatismi” continuano, estendendosi anche al welfare. La Casa Bianca vara una discussa riforma sanitaria che incentiva l’uso di farmaci abortivi? «Bergoglio allarga all’intera platea di sacerdoti, anziché ai soli vescovi, la facoltà di assolvere dall’aborto». Ma è possibile «insediare in Vaticano» un pontefice «in perfetta sintonia con l’amministrazione democratica di Obama» e, sopratutto, «espressione degli interessi retrostanti», che Dezzani definisce «massonici-finanziari»? E’ il tema della ricostruzione di Dezzani, che parte dalla “resa” di Ratzinger. Se si vuole attuare un “regime change”, il primo passo è «sbarazzarsi della vecchia gerarchia». Dinamica classica, «già vista in Italia con Tangentopoli, che spazzò via la vecchia classe dirigente italiana spianando la strada ai governi “europeisti” di Amato e Prodi». In Germania, la Tangentopoli tedesca «decapitò la Cdu e favorì l’emergere della semi-sconosciuta Angela Merkel». A Firenze, lo scandalo urbanistico sull’area Castello «eliminò l’assessore-sceriffo Graziano Cioni e avviò la scalata al potere di Matteo Renzi». O ancora, in Brasile, dove «lo scandalo Petrobas ha causato la caduta di Dilma Rousseff e la nomina a presidente del massone Michel Temer».Stesso schema, sempre: «Accuse di corruzione (fondate o non), illazioni infamanti, minacce, sinistre allusioni, carcerazioni preventive, battage della stampa, false testimonianze, omicidi: qualsiasi mezzo è impiegato per “scalzare” i vecchi vertici indesiderati». In Vaticano, nel mirino finirono «Ratzinger e il suo seguito di cardinali conservatori, da defenestrare a qualsiasi costo per l’avvento di un pontefice modernista». Ed ecco, puntale, lo scandalo “Vatileaks”, cioè lo smottamento – lungamente incubato – che ha condotto al ritiro di Ratzinger. L’analisi di Dezzani parte dagli Usa. Aprile 2009: Obama è insediato alla Casa Bianca da appena tre mesi «e con lui quell’oligarchia liberal decisa a sbarazzarsi di Benedetto XVI». In Italia esce “Vaticano SpA”, il libro di Gianluigi Nuzzi che “grazie all’accesso, quasi casuale, a un archivio sterminato di documenti ufficiali, spiega per la prima volta il ruolo dello Ior nella Prima e nella Seconda Repubblica”. Ovvero: «Mafia, massoneria, Vaticano e parti deviate dello Stato sono il mix di questo bestseller che apre la campagna di fango e intimidazione contro Ratzinger».L’autore, secondo Dezzani, «è uno dei pochi giornalisti italiani ad essere in stretti rapporti con il solitamente schivo Gianroberto Casaleggio: Nuzzi ottiene nel 2013 dal guru del M5S una lunga intervista e, tre anni dopo, partecipa alle sue esequie a Milano». Nuzzi è una prestigiosa “penna” del “Giornale”, di “Libero” e del “Corriere della Sera”: è lecito supporre che «confezioni “Vaticano SpA” e il successivo bestseller “Vatileaks”, avvalendosi delle fonti passategli dagli stessi ambienti che si nascondo dietro Gianroberto Casaleggio ed il M5S»? Ipotetici, veri manovratori: «I servizi atlantici e, in particolare, quelli britannici che storicamente vivono in simbiosi con la massoneria». Il biennio 2010-2011 vede Ratzinger «assalito da ogni lato dalle inchieste sulla pedofilia, il tallone d’Achille della Chiesa cattolica su cui l’oligarchia atlantica può colpire con facilità», infliggendo ingenti danni. “Scandalo pedofilia, il 2010 è stato l’annus horribilis della Chiesa cattolica” scrive nel gennaio 2011 il “Fatto Quotidiano”.È lo stesso periodo in cui l’argentino Luis Moreno Ocampo, primo procuratore capo della Corte Penale Internazionale ed ex-consulente della Banca Mondiale, valuta se accusare il pontefice Ratzinger di crimini contro l’umanità, imputandogli i “delitti commessi contro milioni di bambini nelle mani di preti e suore ed orchestrati dal Papa”. Poi arriva il 2012, ancora con gli americani in prima linea. Lo rivela Wikileaks, svelando l’esistenza di un documento «indispensabile per capire le trame che portano alla caduta di Ratzinger». È il febbraio 2012 quando John Podesta, futuro capo della campagna di Hillary, scrive a Sandy Newman un’email intitolata: “Opening for a Catholic Spring? just musing…” ossia: “Preparare una Primavera cattolica? Qualche riflessione…”. Già allora, Podesta era «un papavero dell’establishment liberal», capo di gabinetto della Casa Bianca ai tempi di Bill Clinton, nonché fondatore del think-tank “Center for American Progress”, «di cui uno dei principali donatori è lo speculatore George Soros». E Sandy Newman? Creatore di potenti think-tanks progressisti (“Voices for Progress”, “Project Vote!”, “Fight Crime: Invest in Kids”) in cui si fece le ossa, fresco di dottorato, il giovane Obama.Scrive Newman: «Ci deve essere una Primavera cattolica, in cui i cattolici stessi chiedano la fine di una “dittatura dell’età media” e l’inizio di un po’ di democrazia e di rispetto per la parità di genere». E Podesta: «Abbiamo creato “Cattolici in Alleanza per il Bene Comune” per organizzare per un momento come questo, ma non ha ancora la leadership per farlo. Come la maggior parte dei movimenti di “primavera”, penso che questo dovrà avvenire dal basso verso l’alto». Lo scambio di email hacketrato ora da Wikileaks, aggiunge Dezzani, si inserisce perfettamente nel contesto degli ambienti anglosassoni liberal, «gli stessi dove si discute da anni della necessità di un Concilio Vaticano III che apra a omosessuali, aborto e contraccezione». Il mondo ha bisogno di un nuovo Concilio Vaticano, scrive nel 2010 un membro del “Center for American Progress”, che parla apertamente di una “primavera cattolica” «che ponga fine alla dittatura medioevale della Chiesa, sulla falsariga della “primavera araba” che ha appena sconquassato il Medio Oriente».Di lì a poche settimane, continua Dezzani, «parte infatti la manovra a tenaglia che nell’arco di una decina di mesi porterà alla clamorose dimissioni di Benedetto XVI: è il cosiddetto “Vatileaks”, una furiosa campagna mediatica che attaccando su più fronti (Ior, abusi sessuali, lotte di palazzo, la controversa gestione della Segreteria di Stato da parte del cardinale Bertone) infligge il colpo di grazia al già traballante pontificato del conservatore Ratzinger, dipinto come “troppo debole per guidare la Chiesa”». L’intero scandalo, insiste Dezzani, poggia sulla fuga di notizie, «un’attività che dalla notte dei tempi è svolta dai servizi segreti». Notizie «trafugate» sono quelle che consentono a Nuzzi di confezionare il secondo bestseller, il libro-terremoto che esce nel maggio 2012: “Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI”, poi tradotto in inglese dalla Casaleggio Associati con l’emblematico titolo “Ratzinger was afraid: The secret documents, the money and the scandals that overwhelmed the pope”.Chi è la fonte di Nuzzi, il cosiddetto “corvo”? «Come nel più banale dei racconti gialli, è il maggiordomo, quel Paolo Gabriele che funge da capro espiatorio per una macchinazione ben più complessa», sostiene Dezzani. Notizie “trafugate” sarebbero anche quelle che compaiono sul “Fatto Quotidiano”, utili a dimostrare che lo Ior, gestito da Ettore Gotti Tedeschi, per il giornale di Travaglio «non ha alcuna intenzione di attuare gli impegni assunti in sede europea per aderire agli standard del Comitato per la valutazione di misure contro il riciclaggio di capitali», né di «permettere alle autorità antiriciclaggio vaticane e italiane di guardare cosa è accaduto nei conti dello Ior prima dell’aprile 2011». Gotti Tedeschi, ricorda Dezzani, verrà brutalmente licenziato dallo Ior il 25 maggio, lo stesso giorno dell’arresto del maggiordomo Gabriele, «così da alimentare il sospetto che i “corvi” siano ovunque, anche ai vertici dello Ior, Gotti Tedeschi compreso».Notizie “trafugate”, infine, sarebbero anche gli stralci pubblicati da Concita De Gregorio su “La Repubblica” e da Ignazio Ingrao su “Panorama” nel febbraio 2013, «estrapolati da un presunto dossier segreto e concernenti una fantomatica “lobby omosessuale in Vaticano”: sarebbe la gravità di questo documento, secondo le ricostruzione della stampa, ad aver convinto Ratzinger alle dimissioni». Si arriva così all’11 febbraio 2013: durante un concistoro per la canonizzazione di alcuni santi, Benedetto XVI, visibilmente affaticato, comunica in latino la clamorosa rinuncia al Soglio Pontificio. «Fu costretto alle dimissioni sotto ricatto? Era effettivamente spaventato?». Ratzinger smentisce nel modo più netto. Di recente ha ribadito che «non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte». E ha aggiunto: «Nessuno ha cercato di ricattarmi».L’11 febbraio 2013, Ratzinger aveva affermato di «non essere più sicuro delle sue forze nell’esercizio del ministero petrino». Lo si può capire: era «fiaccato da tre anni di attacchi mediatici, piegato dallo scandalo “Vatileaks”». Così, l’anziano teologo – 86 anni – ha scelto le dimissioni. Tutto calcolato? «Le disgrazie del “conservatore” Ratzinger ed il massiccio cannoneggiamento che ha indebolito i settori della Chiesa a lui fedeli, spianano così la strada ad un Papa modernista, che attui quella “Primavera cattolica” tanto agognata dall’establishment angloamericano», scrive Dezzani. «Il Conclave del marzo 2013 (durante cui, secondo il giornalista Antonio Socci, si verificano gravi irregolarità che avrebbero potuto e dovuto invalidarne l’esito), sceglie così come vescovo di Roma l’argentino Jorge Mario Bergoglio: primo gesuita a varcare il soglio pontificio, dai trascorsi un po’ ambigui ai tempi della dittatura argentina». Duro il giudizio di Dezzani: «La ricattabilità è un tratto saliente dei burattini atlantici, da Angela Merkel a Matteo Renzi». Inoltre, il nuovo vescovo di Roma «è salutato con gioia dalla massoneria argentina, da quella italiana e dalla potente loggia ebraica del B’nai B’rith, che presenzia al suo insediamento».Lo stesso Bergoglio è un libero muratore? «Più di un elemento di carattere dottrinario, dal diniego che “Dio sia cattolico” all’ossessivo accento sull’ecumenismo, fanno supporre di sì», sostiene Dezzani. «Ma è soprattutto l’amministrazione democratica di Barack Obama e quella cricca di banchieri liberal ed anglofoni che la sostengono, a rallegrarsi per il nuovo papa». Bergoglio è il pontefice che «attua nel limite del possibile quella “Primavera Cattolica” tanto agognata (matrimoni omosessuali, aborto e contraccezione)». E’ il Papa che «sposa la causa ambientalista», che «fornisce una base ideologica all’immigrazione indiscriminata», che «sdogana Lutero e la riforma protestante». Ancora: è il pontefice che «sostanzialmente tace sulla pulizia etnica in Medio Oriente ai danni dei cristiani per mano di quell’Isis, dietro cui si nascondono quegli stessi poteri (Usa, Gb e Israele) che lo hanno introdotto dentro le Mura Leonine». È anche il primo Papa ad avere l’onore di parlare al Congresso degli Stati Uniti durante la visita del settembre 2015, prodigandosi per «sedare i malumori nel mondo cattolico americano contro la riforma sanitaria Obamacare».L’ultimo clamoroso intervento di Bergoglio a favore dell’establishment atlantico, continua Dezzani, risale al febbraio 2016, quando il pontefice etichettò come “non cristiana” la politica anti-immigrazione di Donald Trump. Un «incauto intervento», che per Dezzani rivela «il desiderio di sdebitarsi con quel mondo cui il pontefice argentino deve tutto», ma c’era anche «la volontà di mettere al riparo la sua opera di “modernizzazione” della Chiesa». La vittoria di Hillary Clinton, cioè della candidata di George Soros e dell’oligarchia euro-atlantica, «era infatti la conditio sine qua non perché la “Primavera Cattolica” di Bergoglio potesse continuare». Al contrario, «la sua sconfitta ha smantellato quel contesto geopolitico su cui Bergoglio ha edificato la traballante riforma progressista della Chiesa», sostiene sempre Dezzani. «Come François Hollande, come Angela Merkel e come Matteo Renzi, Jorge Mario Bergoglio, benché vescovo di Roma, oggi non è altro che il residuato di un’epoca archiviata». Dezzani lo considera «un figurante senza più copione, fermo sul palco, ammutolito ed estraniato, in attesa che cali il sipario».«Ultimo sussulto», da parte di Bergoglio, per «blindare la sua opera», il conferimento a tutti i sacerdoti della facoltà di assolvere dal peccato dell’aborto. A ciò si aggiunge «una terza infornata di cardinali (più di un terzo del collegio cardinalizio è ora formato da prelati a lui fedeli), così da imprimere un connotato “liberal” anche al futuro della Chiesa di Roma». Ma, per Dezzani, «è ormai troppo tardi», perché «la ribellione dentro la Chiesa alla sua “Primavera Cattolica” è iniziata». Quattro cardinali hanno di recente sollevato gravi contestazioni al documento “Amoris Laetitiae”, con cui Bergoglio ha chiuso i lavori del Sinodo sulla Famiglia, «contestazioni cui il pontefice non ha ancora risposto». E soprattutto: «Alla Casa Bianca non c’è più nessuno a proteggerlo. Anzi, c’è un presidente in pectore che, forte del voto della maggioranza dei cattolici americani, ne gradirebbe forse le dimissioni sulla falsariga di Benedetto XVI». Un’analisi buia, estrema e sconcertante. In premessa, Dezzani la definisce “verosimile”. Poi però la sottoscrive senza più incertezze: per Bergoglio, dice, «la fine si avvicina».Ratzinger “deposto” da un complotto gestito dai servizi segreti anglosassoni, con anche la collaborazione di Gianroberto Casaleggio. Obiettivo: insediare in Vaticano l’attuale pontefice “modernista”. Un piano del massimo potere, gestito da personaggi come George Soros e ora messo in pericolo dalla vittoria di Trump. Lo sostiene Federico Dezzani, che evoca “padrini occulti” dietro al pontificato di Bergoglio, di cui profetizza l’imminente declino. Nonostante il flop del Giubileo e «il sostanziale fallimento dell’Anno Santo», Papa Francesco oggi accelera la svolta modernista: crea nuovi cardinali a lui fedeli e concede a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere l’aborto. «Forse Bergoglio ha fretta, perché sa che il contesto internazionale che lo ha portato sul Soglio Petrino si è dissolto con l’elezione di Donald Trump», scrive Dezzani, secondo cui furono «l’amministrazione Obama e George Soros» a introdurre il gesuita argentino, «in forte odore di massoneria», dentro le Mura Leonine. Bergoglio? Sarebbe «la versione petrina di Barack Hussein Obama», in coerenza col “cesaropapismo”, grazie al quale il potere civile estende la propria competenza al campo religioso, così da plasmare la dottrina «secondo le esigenze del potere temporale».
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Guerra-Islam: stesso film da 25 anni, e ancora ci crediamo
Dieci giorni dopo il sanguinoso raid di Parigi, è difficile trovare qualcosa da dire su questa guerra che non sia già stato detto. E’ infatti già passato un quarto di secolo «e almeno mezza dozzina di crisi analoghe dall’operazione Desert Storm, ufficialmente organizzata per “liberare il Kuwait”, che oggi è fra i principali finanziatori dell’Isis», scrive Alessandra Daniele su “Carmilla Online”. «E ancora una volta tutti i commenti sono identici. Da una parte si continua a fomentare la paranoia xenofoba, e ad invocare il fuoco redentore dei bombardamenti, come se non si fosse già mille volte dimostrato prevedibilmente capace solo di diffondere l’incendio che dovrebbe estinguere, sterminando ben più civili degli attentati terroristici, e allargando sempre di più il campo di battaglia». Dall’altra, si continua pazientemente a denunciare tutte le complicità economico-politiche fra presunti nemici, le strumentalizzazioni repressive e golpiste dello Stato d’Emergenza permanente, e si continua ad evidenziare le differenze nel mondo islamico fra minoranze bellicose e maggioranze pacifiche, «benché l’opinione pubblica occidentale abbia già mille volte dimostrato di fottersene totalmente di verità, giustizia, logica, ragionevolezza».L’opinione pubblica occidentale sembra interessata «solo alle bufale sulle armi chimiche di Saddam, Bin Laden, Al Baghdadi, e sulle false suore kamikaze in agguato per il Giubileo, che già circolavano nel 2000». I media “embedded”, aggiunge la Daniele, continuano a spacciare ogni attacco terroristico «come una Pearl Harbor completamente inattesa, una “dichiarazione di guerra” improvvisa e unilaterale da parte d’una (eterogenea) fazione che l’Occidente sta in realtà direttamente bombardando da venticinque anni, dopo averla direttamente creata in funzione anti Urss», ai tempi dell’invasione sovietica dell’Afghanistan. «Alcuni di noi – commenta l’analista, desolata – hanno scritto queste cose per la prima volta in un tema scolastico». I più giovani «non erano ancora nati, e non hanno mai conosciuto un mondo senza Scontro di Civiltà». Nel gennaio 1991, quello della prima Guerra del Golfo, «Schillaci giocava in Nazionale», e «il World Wide Web non esisteva, c’era il Televideo». Il presidente del consiglio era Andreotti, il presidente degli Usa «era George Bush. Padre».All’epoca, «Antonio Lubrano spiegava su Raitre come usare una maschera antigas, mentre su Canale 5 arrivava in Italia la prima originale serie di Twin Peaks». Venticinque anni: «In quale Loggia Nera siamo prigionieri, condannati a rivivere in eterno il debutto del Tg4 di Emilio Fede che esulta “hanno attaccato”?», si domanda Alessandra Daniele. «Quale degli inferni paralleli del Bardo Thodol ci siamo meritati, e c’è ancora qualcosa che possiamo fare per uscirne?». È questo che dovremmo chiederci, conclude l’analista: «Non se rischiamo la vita, ma se non siamo in realtà già morti. Da almeno venticinque anni».Dieci giorni dopo il sanguinoso raid di Parigi, è difficile trovare qualcosa da dire su questa guerra che non sia già stato detto. E’ infatti già passato un quarto di secolo «e almeno mezza dozzina di crisi analoghe dall’operazione Desert Storm, ufficialmente organizzata per “liberare il Kuwait”, che oggi è fra i principali finanziatori dell’Isis», scrive Alessandra Daniele su “Carmilla Online”. «E ancora una volta tutti i commenti sono identici. Da una parte si continua a fomentare la paranoia xenofoba, e ad invocare il fuoco redentore dei bombardamenti, come se non si fosse già mille volte dimostrato prevedibilmente capace solo di diffondere l’incendio che dovrebbe estinguere, sterminando ben più civili degli attentati terroristici, e allargando sempre di più il campo di battaglia». Dall’altra, si continua pazientemente a denunciare tutte le complicità economico-politiche fra presunti nemici, le strumentalizzazioni repressive e golpiste dello Stato d’Emergenza permanente, e si continua ad evidenziare le differenze nel mondo islamico fra minoranze bellicose e maggioranze pacifiche, «benché l’opinione pubblica occidentale abbia già mille volte dimostrato di fottersene totalmente di verità, giustizia, logica, ragionevolezza».
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Made in Italy e Qatar: facciamo affari con chi finanzia l’Isis
«Non facciamo affari con paesi che finanziano l’Isis», così il premier Matteo Renzi ha liquidato l’argomento ad esplicita domanda, nel corso dell’intervista rilasciata a SkyTg24 mercoledì sera. Storiella, questa, che andrà ad aggiungersi alla collezione di bugie sesquipedali alle quali il premier ci ha abituato. Se è vero, infatti, che è da qualche tempo ormai riconosciuto a livello internazionale il ruolo principale dell’emirato del Qatar nel finanziamento del Daesh (Isis), non si vede all’orizzonte nessun provvedimento nei confronti del Qatar da parte dello Stato italiano. Le attività economiche dei qatarioti nel nostro paese sono diverse e seppure non raggiungano ancora la mole di investimenti già toccata in Francia, la dimensione degli affari tra Italia e Qatar, pubblica o privata che sia, sta diventando altrettanto importante. Sebbene non abbiano ancora comprato una squadra di calcio, come è capitato al Paris Saint-Germain, il fondo sovrano qatariota, la Qatar Holding Llc, ha buoni rapporti con imprenditori italiani e addirittura con il Fondo Strategico Italiano Spa (Fsi), società controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, cioè direttamente dallo ministero del Tesoro.La società, che fu fondata dall’ex ministro Giulio Tremonti nel 2011, venne ideata sul modello francese per difendere le aziende italiane che grazie alla crisi rischiavano spesso di venir acquistate da società straniere, come è accaduto alla Parmalat. Tuttavia sembra che finito il governo Berlusconi, lo scopo sia stato tutt’altro. L’Fsi nel 2013, nei mesi successivi ad una visita in Qatar dell’allora premier Mario Monti, ha costituito una joint venture con il fondo sovrano qatariota dando vita ad una società dedicata, si legge nel comunicato, squisitamente al made In Italy, denominata Iq Made in Italy Venture. La società, forte dei milioni del fondo sovrano è entrata (tanto per trarre un esempio delle sue attività) in società con un colosso della carne italiana, Cremonini, rilevando il 28,4% della Inalca, gruppo dell’imprenditore bolognese, che si occupa della distribuzione delle sue carni all’estero.Al di fuori degli affari con il ministero del Tesoro, il fondo sovrano qatariota ha rilevato all’inizio dell’anno per intero, passando dal 40% precedente al 100% attuale, la struttura di Porta Nuova a Milano, il complesso di grattacieli e palazzi, che era controllata dalla Hines srg (insieme ad altre società come Unicredit) dell’imprenditore Manfredi Catella. Siamo dunque all’ennesima fregatura di Renzi, a meno che non si voglia avere l’ardire di negare i coinvolgimenti dell’emirato nel finanziamento di gruppi radicali islamici, compresi i gruppi afferenti all’Isis. Non solo con il Qatar ci facciamo bellamente affari, ma consentiamo agli emiri di papparsi i nostri prodotti made In Italy, comprese le aziende dell’alta moda come Valentino, acquistata dagli Al-Thani nel 2012. Ma il Qatar ha compiuto negli anni una politica molto accorta, dove ha saputo da un lato proporsi come interlocutore di pace, lo ha fatto in Afghanistan, e lo ha fatto in Libano. E dall’altro ha cavalcato le primavere arabe, che se non erano piaciute ai sauditi, che hanno perso, a causa di queste ultime, alcune roccaforti come l’Egitto di Mubarak, hanno consentito ai qatarioti di fomentare più di tutti, i ribelli in Libia.Ma stranamente non se ne parla mai, né ne parlano i soliti analisti ed opinionisti che affollano le trasmissioni di approfondimento che si accalcano negli ultimi giorni. I soldi del Qatar fanno comodo a molti paesi europei, in primis la Francia. Sebbene ora sul campo degli imputati ci sta andando l’Arabia Saudita, chi è ben informato sa che i sauditi formalmente non hanno finanziato direttamente l’Is, ma semmai il fronte di al-Nusra. Ma è anche bene sapere come abbiamo spiegato anche sulle colonne di questa testata che il fronte di ribelli armato e definito a torto come moderato e l’Isis sono praticamente la stessa cosa. Se al-Nusra nasce da una cellula di Al-Qaida, l’Isis nasce dalla stesa radice dei movimenti wahabiti, ma questa è un altra storia. Ciò che importa è sapere che l’Italia non solo fa affari con il Qatar, ma vende armi ai sauditi tramite Finmeccanica, come ampiamente evidenziato in questi giorni e in tono polemico dagli esponenti del Cinque Stelle, così come il nostro vende la sua compagnia aerea di bandiera agli emirati arabi, altro Stato accusato di avere più di buoni rapporti con certe frange islamiste.Ma Renzi oltre a queste incongruenze non perde occasione di fare la solita propaganda di bassa lega. La totale assenza di dialogo con il Vaticano viene spacciata come un successo. Secondo il premier, infatti, al Papa non si poteva chiedere di rinviare il Giubileo, ma questa è implicitamente un’ammissione di debolezza. Di fatto Papa Francesco ha imposto un Giubileo non programmato in una città come Roma, che vive uno dei peggiori momenti della sua storia, non tanto per una questione di sicurezza, ma a livello amministrativo, sociale e politico. Nessuno vuole vietare alla Chiesa cattolica di compiere la propria missione, ma rimandare un evento così importante come il Giubileo e aspettare un momento politico più stabile dell’amministrazione della capitale, sarebbe stato saggio. E che il presidente del consiglio non abbia neanche provato a costruire un dialogo con il Vaticano sulla questione del Giubileo è abbastanza grave. Anche la promessa di aumentare la spesa pubblica per l’apparato di sicurezza in barba alla spending review, appare buttata lì per imbonire l’opinione pubblica.L’emergenza immigrazione ha messo a dura prova la capacità dello Stato italiano in generale di garantire sicurezza e giustizia ai propri cittadini. E sappiamo bene come il traffico di migranti serva a molte società vicine ai partiti per fare affari. Motivo per il quale, viste le condizioni della Polizia di Stato, piuttosto che rassicurarsi delle parole del premier, bisogna ringraziare qualcuno lassù che il nostro paese conti davvero così poco in questo periodo storico da risultare poco credibile, a nostro avviso, che vi possa essere una reale minaccia terroristica alle città italiane. Infine il premier ha dato merito all’intelligence italiana nell’aver dato una mano importante nell’individuazione di Jihadi John, cosa tutta da verificare, ammesso che uccidere uno che fa il boia sia così importante nella lotta all’islamismo e non invece il solito gossip di guerra buono per twitter e i telegiornali.Dunque soltanto in una cosa ci sentiamo di concordare con il leader del Pd: è inutile farsi prendere dall’isteria, l’Italia ha saputo già superare gravi minacce terroristiche, senza fare ricorso ad ulteriori restrizioni delle libertà personali, soprattutto in un’epoca nella quale siamo spiati da internet e tecnologie varie molto più di 30-40 anni fa, e spesso basterebbe un bambino un po’ pratico per conoscere vita morte e miracoli di una persona soltanto dal profilo Facebook. Ma è anche vero che dell’Italia del 2015 c’è poco da fidarsi, il disagio e il caos in cui vivono le nostre città da alcuni anni la dice lunga sulle possibilità di tenuta dello Stato italiano in caso di grave emergenza e destabilizzazione. Per il resto Renzi e Pd bocciati e menzogneri, come sempre.(Mirco Coppola, “Allarme terrorismo, le nuove menzogne di Renzi”, da “Opinione Pubblica” del 19 novembre 2015).«Non facciamo affari con paesi che finanziano l’Isis», così il premier Matteo Renzi ha liquidato l’argomento ad esplicita domanda, nel corso dell’intervista rilasciata a SkyTg24 mercoledì sera. Storiella, questa, che andrà ad aggiungersi alla collezione di bugie sesquipedali alle quali il premier ci ha abituato. Se è vero, infatti, che è da qualche tempo ormai riconosciuto a livello internazionale il ruolo principale dell’emirato del Qatar nel finanziamento del Daesh (Isis), non si vede all’orizzonte nessun provvedimento nei confronti del Qatar da parte dello Stato italiano. Le attività economiche dei qatarioti nel nostro paese sono diverse e seppure non raggiungano ancora la mole di investimenti già toccata in Francia, la dimensione degli affari tra Italia e Qatar, pubblica o privata che sia, sta diventando altrettanto importante. Sebbene non abbiano ancora comprato una squadra di calcio, come è capitato al Paris Saint-Germain, il fondo sovrano qatariota, la Qatar Holding Llc, ha buoni rapporti con imprenditori italiani e addirittura con il Fondo Strategico Italiano Spa (Fsi), società controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, cioè direttamente dallo ministero del Tesoro.
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Prima dell’acqua potabile, Messina avrà il plastico del Ponte
Berlusconi ci aveva provato con la Protezione Civile di Bertolaso, il suo ras delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi per il business del ventunesimo secolo: un Italia da trasformare interamente in un lucroso enorme luna park per turisti. Varie ed eventuali implicazioni criminali di quel tentativo a parte, dal punto di vista politico-economico anche Matteo Renzi sembra pensare ad un progetto del genere, almeno fin da quando ha sostituito Lupi alle Infrastrutture (ex Lavori Pubblici) con il suo fedelissimo Delrio. Non sorprende quindi che abbia appena conferito alla Protezione Civile poteri straordinari, dopo aver affondato Marino consegnando il Giubileo al renziano Team Expo, del quale ogni giorno i media embedded tessono le lodi con toni agiografici. Anche il Vaticano sembra partecipare attivamente al programma. Millenario fiuto per gli affari. E l’odore dei soldi inasprisce la guerra fra bande. Oltretevere come nel Pd. Per il riutilizzo dell’area Expo sono già in arrivo almeno duecento milioni di euro.Non ci sarebbe stato bisogno in realtà di nessun Vatileaks per sapere che la Chiesa Cattolica è una delle multinazionali più avide e corrotte del pianeta. E la gestione delle attrazioni e dei flussi turistici è sempre stata una delle sue specialità. Renzi è un animatore turistico, e fare dell’Italia il suo villaggio probabilmente è proprio il compito che gli è stato assegnato. Perché il progetto in realtà non è soltanto berlusconiano. Questa è anche l’idea che le classi dirigenti d’Europa e del resto del mondo hanno dell’Italia: un resort di loro proprietà dove venire ad ammirare panorami, monumenti, e culi, al dolce canto dei tenorini di Sanremo.Quindi il premier che gli serve in Italia è un curatore, un commissario, come Monti, ma con un’immagine mediatica più accattivante. Un commissario cazzaro. E gli serve una Costituzione truccata come una Volkswagen apposta per mantenere il Commizzaro al suo posto il più possibile.Secondo gli ultimi sondaggi, in un eventuale ballottaggio il Movimento 5 Stelle batterebbe il Pd. L’Italicum sarà quindi modificato in modo che assegni la maggioranza assoluta dei seggi al perdente. Poi il Team Expo sostituirà Camera e Senato con due padiglioni. Alla maggioranza del resto degli italiani resteranno i ruoli di cameriere stagionale, sguattero precario, guida turistica abusiva. Pizzaiolo. Cubista. Sfondo da selfie. Agli intellettuali, quello di posteggiatori. Meno i turisti capiranno l’italiano, più apprezzeranno i loro stornelli. Messina avrà il plastico del ponte prima dell’acqua potabile. Mentre il Commizzaro s’impegnerà a dimostrare ai Casamonica d’essere un giostraio più abile di loro.(Alessandra Daniele, “Il Comizzaro”, da “Carmilla online” dell’8 novembre 2015).Berlusconi ci aveva provato con la Protezione Civile di Bertolaso, il suo ras delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi per il business del ventunesimo secolo: un Italia da trasformare interamente in un lucroso enorme luna park per turisti. Varie ed eventuali implicazioni criminali di quel tentativo a parte, dal punto di vista politico-economico anche Matteo Renzi sembra pensare ad un progetto del genere, almeno fin da quando ha sostituito Lupi alle Infrastrutture (ex Lavori Pubblici) con il suo fedelissimo Delrio. Non sorprende quindi che abbia appena conferito alla Protezione Civile poteri straordinari, dopo aver affondato Marino consegnando il Giubileo al renziano Team Expo, del quale ogni giorno i media embedded tessono le lodi con toni agiografici. Anche il Vaticano sembra partecipare attivamente al programma. Millenario fiuto per gli affari. E l’odore dei soldi inasprisce la guerra fra bande. Oltretevere come nel Pd. Per il riutilizzo dell’area Expo sono già in arrivo almeno duecento milioni di euro.
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Bergoglio, il tempo stringe: per lui o per la Chiesa di potere?
Il tempo stringe: non solo per il Papa, ma anche e soprattutto per la Chiesa, ingombra di strutture di potere finanziario e ancora dominata da una nomenklatura che vive nel lusso. Annunciando l’anno giubilare straordinario, Bergoglio ha detto di ritenere che il suo sarà un “pontificato breve”. «L’interpretazione più ovvia è che abbia in mente delle dimissioni dopo un certo periodo», premette Aldo Giannuli. «Certo, non l’automatismo degli 80 anni che porta fuori del conclave i cardinali, ma forse dimissioni entro un termine non prestabilito, ma non lontano, quando sentirà che le forze non lo assistono più». Alle soglie degli ottant’anni, il Papa argentino “sente” che il suo pontificato «non abbia probabilità di essere lungo come quello di Pio XII, o lunghissimo come quello di Giovanni Paolo II». Ma parlare di un pontificato breve, aggiunge Giannuli, fa pensare a qualcosa che durerà altri tre o quattro anni, come per Giovanni XXIII che fu Papa per 5 anni. «E allora: decisione di dimettersi? Modo per dire di aver scoperto una grave malattia?». Eppure, «c’è un’altra interpretazione possibile», e cioè «un messaggio ai suoi oppositori, sempre più numerosi nella Curia e fuori».Questo, scrive Giannuli nel suo blog, il succo del possibile messaggio di Bergoglio: «La riforma della Chiesa procederà a spron battuto, perché il Papa non ritiene (a torto o a ragione) di avere molto tempo davanti a sé». Forse, aggiunge lo storico dell’università di Milano, «la suggestione del parallelo con Giovanni XXIII porta a pensare al preannuncio di un Concilio». Tutte cose possibili, ma l’unica certa è «lo scontro in Vaticano e nella Chiesa», un conflitto «sempre più acuto e aperto», di cui si capisce il perché: «Quella di Bergoglio non è una semplice riforma della Curia o del sistema di governo della Chiesa, ma una profonda mutazione dello stesso ruolo di essa». Dal primo Medioevo sin qui, ricorda Giannuli, la Chiesa si è proposta come maestra di verità di fede e di morale. «Questo perché il “sapere socialmente necessario”, in una formazione economico-sociale a dominante religiosa quale era quella europea dal V secolo in poi, era appunto il sapere di fede e di morale, per guadagnarsi il premio della vita eterna». Infatti, «tutta la vita del fedele era orientata a questo fine e guidata dalla Chiesa, e tutta la vita quotidiana era profondamente permeata dai riti, dalle devozioni, dalle preghiere, dalle ricorrenze religiose».La produzione di sapere teologico, continua Giannuli, rispondeva in primo luogo all’esigenza di giustificare il ruolo del clero e della sua gerarchia, cui spettava in esclusiva il compito di leggere le Scritture e interpretarle. «E il magistero morale fu una forza pervasiva di controllo sociale, diventata tanto più cogente, dopo l’XI secolo, con l’istituzione della confessione auricolare». E’ ovvio che, in un simile contesto, era primario il potere della Chiesa di stabilire cosa fosse vero e cosa no, nella fede, e di stabilire i precetti morali. Un potere superiore, «a mala pena contrappesato (e non sempre con efficacia) da quello secolare», tant’è vero che «il trono era spesso in conflitto con l’altare», eppure «l’insediamento del nuovo sovrano avveniva con una cerimonia religiosa nella quale era una autorità ecclesiale ad incoronare il re». Secondo il monaco e filosofo francese Roscellino da Compiegne, vissuto nel primo secolo dopo l’anno Mille, l’unzione regale era addirittura l’ottavo sacramento. Poi, attraverso i secoli, le cose sono cambiate: «Il sapere socialmente necessario – continua Giannuli – divenne quello del sapere secolare umanistico e scientifico». Nel frattempo «si affermava il pluralismo religioso e, con esso, anche il sorgere di codici morali diversi».Parallelamente, «il potere politico si affrancava definitivamente da quello religioso», e le istituzioni sanitarie e scolastiche divennero progressivamente laiche. «Già nel XIX secolo, nella maggior parte dei paesi europei, la “presa” ecclesiale sulla società era ridotta a fatto residuale, per diventare del tutto marginale nel secolo successivo», prosegue Giannuli. «La Chiesa, nonostante tutto, ha proseguito nel suo ruolo di “mater et magistra”, senza curarsi del crescente disinteresse dei suoi stessi fedeli». Oggi non è più certo che la maggioranza dei cattolici conosca i principali dogmi (da quello trinitario al culto mariano, fino a quello della natura umana e divina di Cristo), «se non per averli orecchiati durante l’infanzia o l’adolescenza». La pratica dei sacramenti ormai «riguarda una parte del tutto minoritaria dei fedeli, soprattutto la pratica della confessione», mentre la stessa partecipazione alla messa domenicale, almeno in Europa, «riguarda molto meno di un quinto dei fedeli». Quanto alla morale, «la grande maggioranza dei cattolici si comporta esattamente come tutti gli altri, in particolare per quel che attiene alla morale sessuale e matrimoniale».Benedetto XVI, ricorda Giannuli, coltivò il disegno della “ri-evangelizzazione d’Europa” ma, a quanto pare senza il minimo risultato. «Per di più, la Chiesa ha perso molta della sua credibilità per i troppi scandali sessuali e finanziari, per l’inaudito e ingiustificabile lusso della Curia, per l’opportunistico silenzio di fronte a clamorose ingiustizie», sottolinea Giannuli. «Su questa strada, il futuro più probabile della Chiesa è quello di una setta povera di credenti ma ricchissima di denaro e potere, destinata comunque a scomparire». Ecco allora perché Francesco «sta cercando un destino diverso per la sua Chiesa, accettando anche un secco ridimensionamento del suo potere finanziario e del suo apparato». Come si è capito, Bergoglio non ha nessun particolare interesse per la teologia dogmatica. Quanto alla morale, «ha accettato implicitamente che i fedeli si regolino individualmente in un personale dialogo con Dio: “Chi sono io per giudicare un gay che cerca Dio?”».Il nuovo Papa «apre su temi come la comunione ai divorziati», e lo stesso giubileo «è indetto all’insegna del perdono e dell’accoglienza in Chiesa anche dei gay, dei divorziati e di ogni altro peccatore». Papa Francesco, spiega Giannuli, centra la sua attenzione sulla funzione pastorale della Chiesa, riprendendo il tema centrale del Concilio Vaticano II, il cui cinquantenario celebra con questo giubileo. «Ridimensionando la funzione di ministero teologico e morale, Bergoglio ripropone la Chiesa come portatrice di una particolare visione antropologica», quindi «non i dogmi stratificati in duemila anni, ma l’antropologia cristiana». Un discorso squisitamente religioso, di interesse per i fedeli ma anche per i laici, attenti all’evoluzione della principale confessione organizzata del pianeta: «Bergoglio lancia la Chiesa come principale agenzia di mediazione culturale nel mondo globalizzato». Riprenderà il tema dell’inculturazione, cardine del Vaticano II?«Questo mutamento di funzione non è indolore per la Chiesa e impone una svolta organizzativa che va verso una autonomizzazione delle Chiese locali, che hanno un loro punto di riferimento unitario nel Papa ma senza più la necessaria mediazione della Curia», che Bergoglio ha definito «l’ultima corte europea». In una struttura di questo tipo, completamente ridisegnata, «il Papa esercita un ruolo soprattutto carismatico, che non ha bisogno di un apparato elitario come la Curia». E’ comprensibile, scrive Giannuli, che i diretti interessati non siano così disposti a rinunciare al loro ruolo e ai connessi privilegi. «E si capisce anche come mai lo scontro verta soprattutto sullo Ior, che è la garanzia della sopravvivenza economica del sistema». Francesco, forse, «ha mandato a dire che i tempi sono brevi». E non solo «quelli del suo pontificato». Senza una rivoluzione “francescana”, ad avere i giorni contati è la Chiesa stessa, a cominciare dai suoi ricchissimi burocrati.Il tempo stringe: non solo per il Papa, ma anche e soprattutto per la Chiesa, ingombra di strutture di potere finanziario e ancora dominata da una nomenklatura che vive nel lusso. Annunciando l’anno giubilare straordinario, Bergoglio ha detto di ritenere che il suo sarà un “pontificato breve”. «L’interpretazione più ovvia è che abbia in mente delle dimissioni dopo un certo periodo», premette Aldo Giannuli. «Certo, non l’automatismo degli 80 anni che porta fuori del conclave i cardinali, ma forse dimissioni entro un termine non prestabilito, ma non lontano, quando sentirà che le forze non lo assistono più». Alle soglie degli ottant’anni, il Papa argentino “sente” che il suo pontificato «non abbia probabilità di essere lungo come quello di Pio XII, o lunghissimo come quello di Giovanni Paolo II». Ma parlare di un pontificato breve, aggiunge Giannuli, fa pensare a qualcosa che durerà altri tre o quattro anni, come per Giovanni XXIII che fu Papa per 5 anni. «E allora: decisione di dimettersi? Modo per dire di aver scoperto una grave malattia?». Eppure, «c’è un’altra interpretazione possibile», e cioè «un messaggio ai suoi oppositori, sempre più numerosi nella Curia e fuori».
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Cancellare il debito? No: trasformarlo in debito sovrano
In regime di sovranità finanziaria, il debito pubblico non è che un “anticipo” che lo Stato versa ai cittadini, in termini di beni, servizi e infrastrutture, potendo ricorrere alla libera emissione di moneta: in questo caso il debito è ricchezza netta per famiglie e aziende, interamente garantita dal “prestatore di ultima istanza”, dotato di capacità di finanziamento teoricamente illimitate, anche se armonizzate con la capacità produttiva (Pil) e con la bilancia commerciale (import-export). Se invece il debito pubblico non è denominato in moneta di proprietà dello Stato, allora si trasforma in un incubo, esattamente come per i soggetti privati, famiglie e aziende. E’ esattamente la condizione dei paesi dell’Eurozona, che non dispongono più di denaro proprio: devono mettere all’asta titoli di Stato presso il sistema bancario, unico destinatario del denaro virtuale della Bce. Il “quantitative easing” non risolve nessun problema strutturale: se il debito europeo continuerà ad essere denominato in valuta estranea ai singoli Stati resterà in ogni caso fuori controllo, esponendo gli Stati stessi al ricatto perpetuo della speculazione finanziaria.«Mettiamola in questi termini», riassume Marcello Foa: oggi la Bce «stampa più moneta per permettere alle banche centrali nazionali di comprare titoli di Stato, ovvero debito pubblico, con lo scopo dichiarato di rilanciare l’economia (crescita del Pil) e lo scopo effettivo immediato di sgravare i bilanci delle banche private». Se il “quantitative easing” può essere considerata «un’aberrazione, in quanto viola le leggi di mercato basate sulla domanda e sull’offerta», lascia però intatta «la vera catena che imprigiona le asfittiche economie occidentali: quella del debito», scrive Foa nel suo blog sul “Giornale”, equiparando quindi paesi occidentali con debito sovrano – Usa e Gran Bretagna – a paesi con debito non più sovrano, cioè i membri dell’Eurozona. In realtà, spiega un economista come Nino Galloni, il debito pubblico italiano è diventato «una catena» soltanto a partire dal 1981, con la separazione fra Tesoro e Banca d’Italia: fino ad allora, infatti, il debito pubblico era stato ciò che dovrebbe essere, e che è tuttora nei paesi sovrani: la più importante leva strategica di sviluppo, attraverso la quale un paese produce investimenti (a deficit) destinati a far crescere l’economia in modo diffuso.«Se la Ue e la Bce volessero davvero rilanciare l’economia – aggiunge Foa nel suo post – dovrebbero avere il coraggio di andare fino in fondo, ovvero non di stampare moneta per comprare debito ma di stampare moneta per cancellare il debito, accompagnando questo passo da misure altrettanto rivoluzionarie e benefiche come la simultanea riduzione delle imposte sia sulle imprese che sulle persone fisiche e magari varando investimenti infrastrutturali». Qui, ancora, Foa non spiega di che debito parla: se il debito è sovrano non può costituire un problema, come dimostra il debito del Giappone al 250% del Pil. Sarebbero certo “rivoluzionario” cancellare il debito non-sovrano, quello cioè accumulato da quando in paesi dell’Eurozona hanno cessato di indebitarsi in proprio, cioè “anticipando” denaro alle rispettive comunità nazionali, e preferendo acquistare denaro – ad alti tassi di interesse – presso il mercato finanziario privato internazionale. Quindi il problema non è il debito in sé, ma la fonte del debito: se lo Stato si è indebitato coi suoi cittadini (ha speso denaro per loro, in anticipo) il problema non esiste. Se invece i soldi li ha acquistati sui “mercati”, gli interessi sono da ripagare. Se poi lo Stato non ha più la possibilità di intervenire con emissione di valuta propria, allora il collasso è garantito. Di qui la stretta fiscale, per spremere denaro ai cittadini anziché anticiparglielo come avveniva un tempo.«Oggi – riconosce Foa – l’Italia è già in avanzo primario, ovvero lo Stato spende meno di quanto incassa, ma il debito pubblico continua a salire perché la spesa pubblica è gravata dagli interessi sul debito». Interessi, appunto, contratti coi mercati finanziari internazionali: quelli verso cui, grazie a Ciampi e Andreatta, l’Italia si orientò improvvisamente nel 1981, disponendo che la banca centrale cessasse di finanziare il governo a costo zero, come aveva sempre fatto. Da allora, il debito pubblico è diventato un dramma, aggravato negli ultimi anni dalla catastrofe dell’euro, su cui la nazione non ha alcuna possibilità di governo. «L’Italia – conclude Foa – è in una spirale da cui difficilmente uscirà, per quanti sforzi faccia. Ma questo né la Ue, né la Bce, né il Fmi lo ammetteranno mai; anzi, continuano ad alimentare la retorica delle riforme, ovviamente strutturali». Foa sogna un “giubileo del debito”, col taglio lineare di un terzo dell’attuale euro-debito di ogni paese e simultanea riduzione delle imposte per un periodo di almeno 5 anni.«Basterebbe una semplice operazione contabile creando denaro dal nulla (ovvero con un semplice click, come peraltro si apprestano già a fare), per togliere definitivamente dal mercato una parte del debito pubblico», scrive Foa, secondo cui il risultato sarebbe «un boom economico paragonabile agli effetti di un nuovo Piano Marshall». Starebbero meglio tutti, dice Foa: «I consumatori che si troverebbero con più liquidità in tasca, le aziende che sarebbero fortemente incentivate a investire nella zona Ue, lo Stato che troverebbe le risorse sia per le grandi opere che per altre riforme. Le stesse banche private che non sarebbero più costrette a comprare titoli di Stato pubblici e vedrebbero diminuire drasticamente le sofferenze bancarie nel giro di pochi mesi proprio grazie alla ripresa dell’economia reale». La macchina, insomma, si rimetterebbe in moto. «A “rimetterci” sarebbero solo la Bce, la Commissione Europea e analoghe istituzioni transnazionali, il cui potere implicito di condizionamento si ridurrebbe drasticamente».Questo è appunto il motivo per cui tutto ciò non avverrà: quel “potere di condizionamento” è esattamente la ragione sociale dell’euro, piano strategico concepito per togliere allo Stato la facoltà sovrana di spesa pubblica, cioè di produrre debito pubblico strategico (deficit positivo) senza il quale, dall’avvento della moneta moderna, nessun paese al mondo può garantire benessere diffuso. La demonizzazione del debito è tipica del neoliberismo, che vuole spogliare lo Stato della sua sovranità e ridurlo in bolletta, come una qualsiasi azienda o famiglia, dipendente dal sistema finanziario privato. Il liberismo teme lo Stato, in quanto pericoloso concorrente economico: il debito pubblico “deve” quindi diventare un problema, in modo che lo Stato ceda i suoi asset strategici e si rassegni alla loro privatizzazione. La via d’uscita non è dunque la cancellazione del debito – gli investimenti di cui parla Foa si possono realizzare solo mediante deficit – ma l’eliminazione del debito non sovrano. Missione impossibile, se si resta nel lager monetario chiamato euro, appositamente progettato dall’élite finanziaria perché gli Stati permanessero all’infinito sotto il ricatto di un debito insostenibile, in quanto non garantibile con valuta propria.In regime di sovranità finanziaria, il debito pubblico non è che un “anticipo” che lo Stato versa ai cittadini, in termini di beni, servizi e infrastrutture, potendo ricorrere alla libera emissione di moneta: in questo caso il debito è ricchezza netta per famiglie e aziende, interamente garantita dal “prestatore di ultima istanza”, dotato di capacità di finanziamento teoricamente illimitate, anche se armonizzate con la capacità produttiva (Pil) e con la bilancia commerciale (import-export). Se invece il debito pubblico non è denominato in moneta di proprietà dello Stato, allora si trasforma in un incubo, esattamente come per i soggetti privati, famiglie e aziende. E’ esattamente la condizione dei paesi dell’Eurozona, che non dispongono più di denaro proprio: devono mettere all’asta titoli di Stato presso il sistema bancario, unico destinatario del denaro virtuale della Bce. Il “quantitative easing” non risolve nessun problema strutturale: se il debito europeo continuerà ad essere denominato in valuta estranea ai singoli Stati resterà in ogni caso fuori controllo, esponendo gli Stati stessi al ricatto perpetuo della speculazione finanziaria.
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Il modello-Torino e i rumeni, lavoratori silenziosi
«Solo i razzisti sanno già tutto, io imparo qualcosa ogni giorno. Sinceramente, spero di poter morire nella mia casa, assistito da una donna rumena». Fredo Olivero, dell’ufficio migranti dell’arcidiocesi di Torino, sintetizza così il sapore dell’intenso incontro del 28 aprile al Gruppo Abele, dove l’associazione Fratia ha aperto un ciclo di convegni dal titolo “Conoscere la Romania”. Una realtà, quella dell’immigrazione rumena, che a Torino ha trovato una città-laboratorio, nella quale decine di migliaia di rumeni si sono insediati senza fare rumore. «Sono gran lavoratori silenziosi, per questo piacciono ai torinesi», dice Olivero, «malgrado il ministro Maroni e il suo “pacchetto insicurezza”».