Archivio del Tag ‘grano’
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Le cryptovalute? Sono solo materie prime, possono crollare
Tocca alla nonna capire questa cosa fondamentale, e che nessuno vi dice. Ma è già incazzata… Lei parte dall’Abc, fa domande. Cos’è una valuta? E’ una moneta emessa da uno Stato, e regolata dalla banca centrale di quello Stato. Essendo emessa da uno Stato, la valuta ha valore legale. Ah! E cos’è una cryptovaluta? E’ una fantasia che può essere inventata da chiunque abbia un computer e una connessione Internet. Non ha nessun valore di per sé, né ha valore legale. E da quando le fantasie costano delle fortune? Da quando due categorie di umani hanno deciso che le frittelle d’aria (le cryptovalute) avevano un valore X. Sono gente disposta a pagare per le frittelle d’aria, letteralmente, e si dividono in furbi speculatori e in coglioni del condominio. E più questi comprano le frittelle d’aria, più quelle aumentano di prezzo, come tutte le cose. Ma sono scemi, ’sti qui? Sì. Ma bada bene, nonna: i furbi speculatori sanno come cavare oro dalle rape, i coglioni del condominio no, e questi nel complesso alla fine ci smeneranno il sedere. Non sono valute, ma le chiamano lo stesso cryptovalute: perché? Perché i furbi speculatori usando il termine ‘valute’ infinocchiano i coglioni del condominio. Se le chiamavano cryptofrittelle nessuno le comprava, e il prezzo non aumentava.“Ma non è che sei tu lo scemo? Tutti le chiamano valute”. No. Una valuta è solo quella emessa da uno Stato, regolata dalla banca centrale, e con valore legale. Le cryptovalute sono come le materie prime, cioè sono cose che hanno un dato valore sul mercato, come il grano, il ferro, il carbone, ecc. Ma non sono valute. “Non ho capito un cazzo”. Nonna, cazzo non si dice. “Fanculo, Barnard, non ho capito un cazzo!”. Ok, ok, oh, calma! Spiego: quello che succede oggi con ’ste cryptovalute – cioè frittelle d’aria con un valore inventato, ma non riconosciute dagli Stati – è che vengono scambiate sui mercati esattamente come, ad esempio, il ferro, che è una materia prima. Più c’è richiesta, più il valore del ferro aumenta, chiaro? Lo stesso per le cryptovalute, anche se sono frittelle d’aria. Ma nonna, dimmi, tu puoi pagare le tasse allo Stato, alla Regione e al Comune con il ferro? No. Brava, con il ferro o col grano ad esempio, che sono materie prime, non ci puoi pagare le tasse a Stato, Regione e Comune. Questo è il preciso motivo per cui oggi il ferro o il grano non sono valute (lo furono in passato), sono materie prime.Se con una cosa non ci puoi pagare le tasse al tuo Stato, Regione, Comune, quella cosa non è una valuta valida per te. Punto. E siccome con le cryptovalute non ci puoi pagare nessuna tassa, e in nessuno Stato al mondo, le cryptovalute non sono valute, ma sono come il ferro o il grano: sono cioè materie prime che vengono scambiate sui mercati a un prezzo. Nulla di più. “E adesso che so ’ste cose, mio bel giovane, cosa mi cambia?”. Ti cambia questo: 1) Sai che se i maggiori Stati del mondo dichiareranno che non accettano le cryptovalute come pagamento delle tasse, le cryptovalute sopravviveranno solo fino a che qualcuno le vuole, a capriccio. Mentre invece una vera valuta di Stato sopravviverà finché lo vorrà, ed esisterà, quello Stato. Ben altra sicurezza per chi la possiede. 2) Sai che le cryptovalute sono materie prime come il ferro. Allora, immagina il giorno in cui scoprono un metallo migliore del ferro, là dove oggi lo impiegano. Che succede? Nessuno vuole più il ferro e non vale più un cazzo, nonna…“Non si dice cazzo, maleducato!”. Va bè nonna… per finire il punto 2), volevo dire che il giorno in cui qualcuno s’inventerà delle altre frittelle d’aria che faranno fare più soldi delle cryptovalute, queste andranno al cesso, e assieme a loro tutti i coglioni del condominio che in quel momento le hanno nel portafoglio. Nonna, tu fai come ti pare, ma ricorda sempre questo: fino al giorno in cui il tuo Stato accetterà le cryptovalute come pagamento delle tue tasse, fino a quel giorno le cryptovalute sono solo materie prime, e basta, e come tali vanno trattate. Quindi se ti metti in tasca delle cryptovalute è come se comprassi ferro, grano o carbone. Per farci su dei soldi, devi conoscere benissimo i mercati. Magari ti va bene perché di colpo il valore del grano va alle stelle, o ti va da cani perché invece crolla. E queste cose non le sanno i coglioni di condominio. Ripeti con me: le cryptovalute sono materie prime, non valute. Le cryptovalute sono materie prime, non valute. Le cryptovalute… Nonna?(Paolo Barnard, “Le cryptovalute sono materie prime, non valute – spiegate alla nonna incazzatissima”, dal blog di Barnard del 27 dicembre 2017).…..valuta, moneta, emissione, Stato, banche centrali, valore, legalità, criptovalute, cryptovalute, fantasia, computer, Internet, speculazione, ingenuità, prezzi, materie prime, mercato, grano, ferro, carbone, tasse, bollette, imposte, Regioni, Comuni, validità, sovranità, bolle, sicurezza, metalli, crollo, Paolo Barnard,Tocca alla nonna capire questa cosa fondamentale, e che nessuno vi dice. Ma è già incazzata… Lei parte dall’Abc, fa domande. Cos’è una valuta? E’ una moneta emessa da uno Stato, e regolata dalla banca centrale di quello Stato. Essendo emessa da uno Stato, la valuta ha valore legale. Ah! E cos’è una cryptovaluta? E’ una fantasia che può essere inventata da chiunque abbia un computer e una connessione Internet. Non ha nessun valore di per sé, né ha valore legale. E da quando le fantasie costano delle fortune? Da quando due categorie di umani hanno deciso che le frittelle d’aria (le cryptovalute) avevano un valore X. Sono gente disposta a pagare per le frittelle d’aria, letteralmente, e si dividono in furbi speculatori e in coglioni del condominio. E più questi comprano le frittelle d’aria, più quelle aumentano di prezzo, come tutte le cose. Ma sono scemi, ’sti qui? Sì. Ma bada bene, nonna: i furbi speculatori sanno come cavare oro dalle rape, i coglioni del condominio no, e questi nel complesso alla fine ci smeneranno il sedere. Non sono valute, ma le chiamano lo stesso cryptovalute: perché? Perché i furbi speculatori usando il termine ‘valute’ infinocchiano i coglioni del condominio. Se le chiamavano cryptofrittelle nessuno le comprava, e il prezzo non aumentava.
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Morire di carne: stiamo letteralmente suicidando la Terra
Secondo l’economista Jeremy Rifkin, uno dei più famosi teorici no-global, il consumo di carne è direttamente responsabile del rischio-fame per due miliardi di persone: il “racket dell’hamburger” assorbe il 36% della produzione mondiale di grano, destinato a mangimi. «Centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la fame perché gran parte del terreno arabile viene oggi utilizzato per la coltivazione di cereali ad uso zootecnico piuttosto che per cereali destinati all’alimentazione umana», scrive Maurizio Sabbadini. «I ricchi del pianeta consumano carne bovina e suina, pollame e altri di tipi di bestiame, tutti nutriti con foraggio, mentre i poveri muoiono di fame». Europa, Nord America e Giappone stanno letteralmente divorando il patrimonio alimentare dell’intero pianeta. Oggi, oltre il 70% per cento del grano prodotto negli Usa è destinato all’allevamento del bestiame, in gran parte bovino. «Sfortunatamente, di tutti gli animali domestici, i bovini sono fra i convertitori di alimenti meno efficienti: sperperano energia e sono da molti considerati “le Cadillac delle fattorie”». Per far ingrassare di mezzo chilo un manzo, occorrono oltre 4 chili di foraggio, di cui oltre 2 chili e mezzo sono cereali e sottoprodotti di mangimi, e il restante chilo e mezzo è paglia tritata. «Questo significa che solo l’11% del foraggio assunto dal manzo diventa effettivamente parte del suo corpo».Attualmente, negli Stati Uniti, 157 milioni di tonnellate di cereali, legumi e proteine vegetali potenzialmente utilizzabili dall’uomo sono destinate alla zootecnia: è una produzione di 28 milioni di tonnellate di proteine animali che l’americano medio consuma in un anno, riassume Sabbadini su “Disinformazione.it”. «In tutto il mondo la domanda di cereali per la zootecnia continua a crescere perché le multinazionali cercano di capitalizzare sulla richiesta di carne proveniente dai paesi ricchi». Fra il 1950 e il 1985, gli anni boom dell’agricoltura, negli Stati Uniti e in Europa, due terzi dell’aumento di produzione di grano sono stati destinati alla fornitura di cereali d’allevamento, per lo più bovino. «E’ stata la decisione più iniqua della storia quella di usare la terra per creare una catena alimentare artificiale che ha portato alla miseria centinaia di milioni di esseri umani nel mondo», sostiene Sabbadini. «È importante tenere a mente che un acro di terra coltivato a cereali produce proteine in misura cinque volte maggiore rispetto ad un acro di terra destinato all’allevamento di carni; i legumi e le verdure possono produrne rispettivamente 10 e 15 volte tanto». Le grandi multinazionali producono semi e prodotti chimici per l’agricoltura, allevano bestiame e controllano mattatoi, canali di marketing e distribuzione della carne: «Hanno tutto l’interesse di pubblicizzare i vantaggi del bestiame allevato a cereali».Purtroppo, la carne fa ancora tendenza: «La pubblicità e le campagne di vendita destinate ai paesi in via di sviluppo equiparano e associano all’allevamento di bovini nutriti a foraggio il prestigio di quel dato paese. Salire la “scala delle proteine” è diventato un simbolo di successo che assicura l’entrata in un club elitario di produttori che sono in cima alla catena alimentare mondiale». Il periodico americano “Farm Journal” riflette con queste parole i pregiudizi della comunità agro-industriale: «Incrementare e diversificare le forniture di carne sembra essere il primo passo di ogni paese in via di sviluppo». Iniziano tutti con l’allevamento di polli e con l’installazione di attrezzature per la produzione delle uova: è il modo più veloce ed economico che permette di produrre proteine non vegetali. «Poi, quando le loro economie lo permettono, salgono “la scala delle proteine” e spostano la loro produzione verso carne suina, latte, latticini, manzo nutrito al pascolo. Per poi arrivare, in alcuni casi, al manzo allevato con grano raffinato». Ma incoraggiare altri paesi a salire la “scala delle proteine”, avverte Sabbadini, promuove solo gli interessi degli agricoltori occidentali (americani soprattutto) e delle società agro-industriali.Molti paesi in via di sviluppo hanno iniziato a salire la “scala delle proteine” all’apice del boom agricolo, con molto grano in eccesso. Nel 1971 la Fao suggerì di passare al grano grezzo, che poteva essere consumato più facilmente dal bestiame. Il governo americano, prosegue “Disinformazione.it”, incoraggiò ulteriormente i suoi programmi di aiuti all’estero, collegando gli aiuti alimentari allo sviluppo sul mercato dei cereali foraggieri. «Società come la Ralston Purina e la Cargill hanno ricevuto finanziamenti governativi a basso tasso di interesse per la gestione di aziende avicole e l’uso di cereali foraggeri nei paesi in via di sviluppo, iniziando queste nazioni al viaggio che le avrebbe condotte verso la scala delle proteine. Molte nazioni hanno seguito il consiglio della Fao e si sono sforzate di rimanere in cima a questa scala». Risultato: «Negli ultimi 50 anni la produzione mondiale di carne si è quintuplicata». E il passaggio dal cibo al mangime «continua velocemente in molti paesi in modo irreversibile, nonostante il crescente numero di persone che muoiono di fame». Un caso emblematico? La crisi in Etiopia nel 1984, con migliaia di vittime denutrite. «L’opinione pubblica non era al corrente del fatto che in quel momento l’Etiopia stesse utilizzando parte dei suoi terreni agricoli per la produzione di panelli di lino, di semi di cotone e semi di ravizzone da esportare nel Regno Unito e in altri paesi europei come cereali foraggieri destinati alla zootecnia».Le statistiche sono sconcertanti: l’80% dei bambini che nel mondo soffrono la fame vive in paesi che di fatto generano un surplus alimentare prodotto sotto forma di mangime animale, di conseguenza utilizzato solo da consumatori benestanti. La corsa alla carne sta travolgendo i paesi in fase di sviluppo come la Cina, dove la quota di grano destinato alla zootecnia è triplicata. Nel solo Messico, dal 1960 ad oggi, la percentuale di grano da allevamento è cresciuta dal 5 al 45% per cento, mentre in Egitto è passata dal 3 al 31% e in Thailandia dall’uno al 30%. Ironia della sorte: «Milioni di ricchi consumatori dei paesi industrializzati muoiono a causa di malattie legate all’abbondanza di cibo (attacchi di cuore, infarti, cancro, diabete – malattie provocate da un’eccessiva e sregolata assunzione di grassi animali), mentre i poveri del Terzo Mondo muoiono di malattie poiché viene loro negato l’accesso alla terra per la coltivazione di grano e cereali destinati all’uomo». Le statistiche parlano chiaro, sottolinea Sabbadini: sarebbero 300.000 gli americani che ogni anno muoiono prematuramente a causa di problemi di sovrappeso, ed è un numero destinato ad aumentare. «Secondo gli esperti, nel giro di qualche anno, se continuano le attuali tendenze, sempre più americani moriranno prematuramente più per cause di obesità che per il fumo delle sigarette».Attualmente è sovrappeso il 61% degli americani, insieme a oltre la metà degli europei. La colpa, accusa l’Oms, è dell’hamburger. Gli obesi nel mondo sono il 18%, più o meno quanto gli individui denutriti. «Mentre i consumatori dei paesi ricchi letteralmente fagocitano se stessi fino alla morte, seguendo regimi alimentari carichi di grassi animali, nel resto del mondo circa 20 milioni di persone l’anno muoiono di fame e di malattie collegate». Secondo le stime, la fame cronica contribuisce al 60% delle morti infantili. Ma i consumatori di carne non sanno, né vogliono sapere. «I consumatori di carne dei paesi più ricchi – scrive Sabbadini – sono così lontani dal lato oscuro del circuito grano-carne che non sanno, né gli interessa sapere, in che modo le loro abitudini alimentari influiscano sulle vite di altri esseri umani e sulle scelte politiche di intere nazioni». Obiettivamente: «Chi mangia carne consuma le risorse della terra quattro volte di più di chi non lo fa». Ogni volta che si mangia una bistecca, aggiunge il blogger, «bisognerebbe essere consapevoli dei liquami che filtrano nelle falde acquifere, delle foreste disboscate, del deserto conseguente, dell’anidride carbonica e del metano che intrappolano il globo in una cappa calda. Ogni bistecca equivale a 6 metri quadrati di alberi abbattuti e a 75 chili di gas responsabili dell’effetto serra».Bisognerebbe essere consapevoli anche delle tonnellate di grano e soia usate per dar da mangiare alla fonte delle bistecche, non dimenticandosi «degli 840 milioni di persone che nel mondo hanno fame e dei 9 milioni che ne hanno tanta da morirne». Mangiare meno carne, o magari non mangiarne più? «Una scelta sociale, solidale con chi ha fame e con il futuro del pianeta». E non è tutto: «Ogni volta che addentiamo un hamburger si perdono venti o trenta specie vegetali, una dozzina di specie di uccelli, mammiferi e rettili. Dal 1960 a oggi, oltre un quarto delle foreste del Centro America è stato abbattuto per far posto a pascoli; in Costa Rica i latifondisti hanno abbattuto l’80% della foresta tropicale e in Brasile c’è voluto l’omicidio di Chico Mendes, il raccoglitore di gomma assassinato dagli allevatori per una disputa sull’uso della foresta pluviale, per accorgersi dell’esistenza di una “bovino connection”». E ancora: «In Amazzonia la foresta pluviale è stata divorata da 15 milioni di ettari di pascolo, eppure è in questo habitat che dimora il 50% delle specie viventi e da qui deriva un quarto di tutti i farmaci che usiamo». Dove prima c’erano migliaia di varietà viventi ora ci sono solo mandrie.«Vacche ovunque», scrive Rifkin nel suo “Ecocidio”: «Attualmente il nostro pianeta è popolato da ben oltre un miliardo di bovini. Quest’immensa mandria occupa, direttamente o indirettamente, il 24% della superficie terrestre e consuma una quantità di cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni di persone». Per farvi posto occorre terreno da pascolo. E deforestazione per creare pascoli significa desertificazione: dopo tre o quattro, il suolo calpestato e divorato da milioni di bovini (ogni capo libero ingurgita 400 chili di vegetazione al mese) finisce esposto a sole, piogge e vento, quindi diventa sterile. E i ruminanti si devono spostare dissacrando altri ettari di foresta. «Ci vorranno da 200 a mille anni perché quei terreno ritorni fertile». E che dire dell’acqua? «Quasi la metà dell’acqua dolce consumata negli States è destinata alle coltivazioni di alimenti per il bestiame: è stato calcolato che un chilo di manzo si beve 3.200 litri d’acqua». Risultato: le falde acquifere del Midwest e delle Grandi Pianure statunitensi si stanno esaurendo. Non solo: l’allevamento richiede ingenti quantità di sostanze chimiche tra fertilizzanti, diserbanti, ormoni, antibiotici: «Tutti prodotti dalle stesse, poche multinazionali che detengono il monopolio dei semi usati per coltivare cereali e legumi destinati ad alimentare il bestiame», fa notare Enrico Moriconi, veterinario e ambientalista, nelle pagine del suo “Le fabbriche degli animali” (Edizioni Cosmopolis).«Ogni anno in Europa gli animali da allevamento consumano 5.000 tonnellate di antibiotici, di cui 1.500 per favorirne la crescita, e tutti vanno a finire nelle falde acquifere», incalza Marinella Correggia, attivista della Global Hunger Alliance e autrice di “Addio alle carni” (Lav). Roberto Marchesini, docente di bioetica e zoo-antropologia, autore di “Post-human” (Bollati Boringhieri) svela che nel bacino del Po, ogni anno, «vengono riversate 190.000 tonnellate di deiezioni animali: contengono metalli pesanti, antibiotici e ormoni». Con quali conseguenze? Per esempio, le alghe abnormi nell’Adriatico. Marchesini parla di «fecalizzazione ambientale». E Rifkin ci illumina sulla portata del problema: un allevamento medio produce 200 tonnellate di sterco al giorno. «C’è dell’altro: i bovini sono responsabili dell’effetto serra tanto quanto il traffico veicolare del mondo intero a causa dell’uso di petrolio (22 grammi per produrre un chilo di farina contro 193 per uno di carne), delle emissioni di metano dovute ai processi digestivi (60 milioni di tonnellate ogni anno) e dell’anidride carbonica scatenata dal disboscamento».E’ la stessa Fao a fornire un elenco agghiacciante dei problemi causati dagli allevamenti intensivi: riduzione della bio-diversità, erosione del terreno, effetto serra, contaminazione delle acque e dei terreni, piogge acide a causa delle emissioni di ammoniaca. E tutto questo per cosa? Per quelle che Frances Moore Lappé, autrice di “Diet for a small planet”, definisce «fabbriche di proteine alla rovescia». Occorre un chilo di proteine vegetali per avere 60 grammi di proteine animali. «Per produrre una bistecca che fornisce 500 calorie», spiegano gli autori di “Assalto al pianeta” (Bollati Boringhieri), «il manzo deve ricavare 5.000 calorie, il che vuoi dire mangiare una quantità d’erba che ne contenga 50.000». Attenzione: «Solo un centesimo di quest’energia arriva al nostro organismo: il 99% viene dissipata, usata per il processo di conversione e per il mantenimento delle funzioni vitali, espulsa o assorbita da parti che non si mangiano, come ossa o peli». Il bestiame? E’ una fonte di alimentazione altamente idrovora ed energivora, una massa bovina che ingurgita tonnellate di acqua ed energia. E lo fa per nutrire solo il 20% della popolazione globale del pianeta: quel 20% che sfrutta l’80% delle risorse mondiali, per non rinunciare alla sua bistecca quotidiana. «Nel mondo c’è abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’ingordigia di alcuni», diceva Gandhi.Ingordigia che ha raggiunto livelli esorbitanti: dal dopoguerra a oggi, in Europa, siamo passati da circa 7-15 chili di consumo pro capite all’anno a 85-90 (110-120 negli States), riferisce Marchesini. Secondo Moore Lappé, le tonnellate di cereali e soia che nutrono gli animali da carne basterebbero per dare una ciotola di cibo al giorno a tutti gli esseri umani per un anno. E la Fao conferma: una dieta vegetariana mondiale potrebbe dar da mangiare a 6,2 miliardi di persone, mentre un’alimentazione che limiti la carne al 25% può sfamarne solo 3,2 miliardi. La spiacevole sorpresa? La domanda di carne sta crescendo. «Paesi come la Cina stanno abbandonando riso e soia a favore di abitudini occidentali», scrive Sabbadini: «Stiamo esportando il nostro modello alimentare (e che modello!)». Secondo l’Ifpri, entro il 2020 la domanda di carne nei paesi in via di sviluppo aumenterà del 40%: questo significherà oltre 300 milioni di tonnellate di bistecche. E raddoppierà, sempre nei paesi in via di sviluppo, la domanda di cereali zootecnici: fino a raggiungere 445 milioni di tonnellate di carne. «Richieste incompatibili con la salute del pianeta e con un equo sfruttamento delle risorse». Una slavina inarrestabile, globalizzata. Si chiama: rivoluzione zootecnica. «Significa spostare nel Sud del mondo la produzione di carne».La Banca Mondiale sovvenziona, in Cina, l’industria dell’allevamento e della macellazione. «Ma sbaglia: suolo e acqua non bastano per sfamare il mondo a suon di bistecche e hamburger», scrive “Disinformazione.it”. «Con un terzo della produzione di cereali destinata agli animali e la popolazione mondiale in crescita deI 20% ogni dieci anni», prevede Rifkin, «si sta preparando una crisi alimentare planetaria». Rincara la dose Correggia: «E’ stato calcolato che l’impronta ecologica di una persona che mangia carne, cioè suo il consumo di risorse, di 4.000 metri quadrati di terreno, contro i mille sufficienti a un vegetariano». Allo stato attuale, «la disponibilità di terra coltivabile per ogni abitante della terra è di 2.700 metri quadrati». Ancora: un ettaro di terra a cereali per il bestiame dà 66 chili di proteine, che diventano 1.848 (28 volte di più!) se lo stesso terreno viene coltivato a soia. Ancora Rifkin: «Ogni chilo di carne è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di un campo isterilito, di un fiume disseccato, di milioni di tonnellate dì anidride carbonica e metano rilasciate nell’atmosfera».La nuova dimensione del male, ragiona Sabbadini, è intimamente connessa con il complesso bovino moderno, che ha acquisito i caratteri di un male occulto, inflitto a distanza: è un male camuffato da strati sovrapposti di veli tecnologici e istituzionali. «Un male cosi lontano, nel tempo e nel luogo, da chi lo commette e da chi lo subisce, da non lasciar sospettare o avvertire alcuna relazione causale». E’ un male che non può essere avvertito, data la sua natura impersonale. «E’ probabile che i proprietari dei negozi in cui si vende carne di bovini nutriti a cereali non avvertano mai, personalmente, la disperazione delle vittime della povertà, di quei milioni di famiglie allontanate dalla propria terra per fare spazio a coltivazioni di prodotti destinati esclusivamente all’esportazione. E che i ragazzi che divorano cheeseburger in un fast-food non siano consapevoli di quanta superficie di foresta pluviale sia stata abbattuta e bruciata per mettere a loro disposizione quel pasto». Il consumatore che acquista una bistecca al supermercato non si sente responsabile dell’immensità del dolore che il suo gesto provoca. «Abbiamo appiattito la ricchezza organica dell’esistenza, trasformando il mondo che ci circonda in astratte equazioni algebriche, statistiche e standard di performance economica».Il male occulto? Viene perpetuato da istituzioni e individui: il mercato, la globalizzazione del profitto. In un mondo di questo genere, conclude Sabbadini, ci sono ben poche occasioni per essere in sintonia con l’ambiente e proteggere i diritti delle future generazioni. «L’effetto sull’uomo e sull’ambiente del modo moderno di pensare e di strutturare le relazioni è stato quasi catastrofico: ha indebolito gli ecosistemi e minato alla base la stabilità e la sostenibilità delle comunità umane. La grande sfida che dobbiamo affrontare è rappresentata dal lato oscuro della moderna visione del mondo: dobbiamo reagire al male occulto che sta trasformando la natura e la vita in risorse economiche che possono essere mediate, manipolate e ricostruite tecnologicamente, per adeguarle ai ristretti obiettivi dell’utilitarismo e dell’efficienza economica». Primo passo necessario: «Diventare consapevoli dei meccanismi di sfruttamento del pianeta di cui siamo complici». Il secondo passo «non è fare la rivoluzione, e non è neanche aderire a questa o quest’altra organizzazione alternativa (per quanto possa essere positivo), ma è far seguire conseguenti e coerenti azioni personali in armonia con una vita etica e rispettosa dell’ambiente e del prossimo. Se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo iniziare da noi stessi».Secondo l’economista Jeremy Rifkin, uno dei più famosi teorici no-global, il consumo di carne è direttamente responsabile del rischio-fame per due miliardi di persone: il “racket dell’hamburger” assorbe il 36% della produzione mondiale di grano, destinato a mangimi. «Centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la fame perché gran parte del terreno arabile viene oggi utilizzato per la coltivazione di cereali ad uso zootecnico piuttosto che per cereali destinati all’alimentazione umana», scrive Maurizio Sabbadini. «I ricchi del pianeta consumano carne bovina e suina, pollame e altri di tipi di bestiame, tutti nutriti con foraggio, mentre i poveri muoiono di fame». Europa, Nord America e Giappone stanno letteralmente divorando il patrimonio alimentare dell’intero pianeta. Oggi, oltre il 70% per cento del grano prodotto negli Usa è destinato all’allevamento del bestiame, in gran parte bovino. «Sfortunatamente, di tutti gli animali domestici, i bovini sono fra i convertitori di alimenti meno efficienti: sperperano energia e sono da molti considerati “le Cadillac delle fattorie”». Per far ingrassare di mezzo chilo un manzo, occorrono oltre 4 chili di foraggio, di cui oltre 2 chili e mezzo sono cereali e sottoprodotti di mangimi, e il restante chilo e mezzo è paglia tritata. «Questo significa che solo l’11% del foraggio assunto dal manzo diventa effettivamente parte del suo corpo».
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Barnard: è in arrivo l’inferno. Saremo Tech-Gleba, schiavi
Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.«La schiavitù, letteralmente, è già pronta per 10 miliardi di esseri umani», premette Barnard, citando lo storico precedente della guerra civile americana, a metà dell’800. «I libri ci raccontano che il paese si spaccò in due, col Nord nazionalista che combatté una guerra sanguinaria contro i secessionisti del Sud per 4 anni. I primi fra le altre cose ambivano all’abolizione della schiavitù, i secondi la difendevano a spada tratta». Ma in realtà l’America «era spaccata in tre, e la terza forza in campo non era armata, era la Rivoluzione Industriale del paese». L’allora presidente Abraham Lincoln «era un uomo di un’intelligenza incredibile». Mentre combatteva la guerra civile «si era già reso conto che un mostro immensamente più micidiale della spaccatura della nazione e della schiavitù dei negri era dietro la porta di casa: era la schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». Per i repubblicani di allora, il lavoro salariato era «una forma transitoria di schiavitù che andava abolita tanto quanto la schiavitù dei negri». Essere operai stipendiati nelle grandi industrie o nei campi era «un attacco inaccettabile all’integrità personale». I repubblicani «disprezzavano il sistema industriale che si stava allora sviluppando perché costringeva l’umano a essere sottoposto a un padrone, tanto quanto lo schiavo del Sud, anzi peggio».Per dirla semplice: «Chi ti possiede avendoti comprato ti tratta meglio di chi ti “noleggia”». E qui Lincoln aveva visto lunghissimo, dice Barnard: oltre la mostruosità della schiavitù dei neri d’America, aveva avvistato «il mostro immane della schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». E’ storia: studiando le Rivoluzioni Industriali dal 1700 in poi, si scopre che le sofferenze di centinaia di milioni di operai e contadini salariati, cioè “noleggiati”, furono per più di due secoli assai più atroci di quelle sofferte dagli schiavi delle piantagioni Usa. «Abbiamo tutti nella memoria immagini delle frustate agli schiavi, i ceppi ai piedi e al collo, tutto vero. Ma il numero di manovali salariati, cioè “noleggiati”, picchiati a morte dai “caporali”, morti di stenti e malattie sul lavoro o trucidati dal lavoro stesso per, appunto, almeno due secoli, è infinitamente maggiore. Si pensi che durante la sola costruzione del Canale di Suez nel 1869 morirono come sorci 150.000 operai. La costruzione del Canale di Panama nel 1914 ammazzò l’esatta metà di tutti coloro che ci lavorarono, cioè 31.000 operai. Ancora di recente, nel 1943, il progetto della Burma-Siam Railway trucidò di fame, letteralmente di fame 106.000 disgraziati pagati centesimi a settimana».In Europa, ricorda Barnard, fu questa agghiacciante realtà schiavistica ad animare la lotta di Rosa Luxemburg o Anton Pannekoek. Lincoln, per primo, «aveva spiato il sorgere del nuovo mostro mondiale che avrebbe sputato olocausti dopo olocausti: ma fu ignorato, e la schiavitù del lavoro salariato s’impadronì del mondo mentre solo un microscopico nugolo di pensatori se ne stava accorgendo». Inutile sperare nei sindacati: non hanno mai combattuto il lavoro salariato come neo-schiavitù, hanno solo lottato per migliorare salari e condizioni di lavoro. «Il solito immenso George Orwell, che visse volontariamente fra i diseredati salariati d’Europa negli anni ’30, predisse ciò che ancora oggi abbiamo: masse moderne immani, di fatto schiave del lavoro per quasi tutta la vita». La fuga da questa schiavitù, scrisse Orwell, «è in pratica solo possibile per malattia, licenziamento, incarcerazione, e infine la morte». Oggi, in Ue, sono crollati tutti gli standard di ieri: siamo al ricatto della disoccupazione, ai pensionati costretti a cercasi un lavoro. In altre parole: Lincoln aveva visto giusto. Ed eccoci alla “Tech Gleba Senza Alternative”, «la ‘visione’ che nessuno di noi ha, ma che ci divorerà».Insiste Barnard: «Dovete capire che il capitalismo non esiste più come progetto, è già stato cestinato». Aveva bisogno di tre elementi: gli sfruttati, la classe consumatrice, l’élite che accumula il profitto, al vertice. «Era così nei primi decenni del XX secolo con qualsiasi prodotto, è così oggi con un qualsiasi gadget digitale, fatto da poveracci in Thailandia, comprato dagli occidentali e dagli ‘emergenti’, e i trilioni vanno alla Apple o Samsung». Ma, secondo Barnard, anche questo schema sta tramontando. Perché? «Per due motivi sostanziali. Il primo è che il Vero Potere ha da molto tempo compreso che non sarà assolutamente più possibile contenere miliardi di diseredati affamati sfruttati (la condizione A- del capitalismo); essi o migreranno in masse colossali, oppure – come in India e Cina – inizieranno a pretendere condizioni economiche migliori e nessuno potrà fermarli. Da ciò l’invitabile destino della crescita esponenziale dei costi di produzione di qualsiasi bene, a livelli di prezzi finali impossibili anche per un occidentale. Poi il Vero Potere ha compreso anche che neppure l’alternativa della robotizzazione degli impianti (per licenziare, abbattere quindi i costi e competere) funziona, è un’illusione immensa, perché le masse licenziate sia qui che in paesi emergenti non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare prodotti sofisticati».Sicché: crollo profitti (Marx docet). E quindi: chi venderà a chi? «Secondo: Il Vero Potere ha da molto tempo capito che la classica struttura della competizione del mercato, in un mondo appunto con popolazione in crescita ma anche costi di produzione impossibili, non può più funzionare. Alla fine, detta in parole semplici, centinaia di milioni di corporations che producono in una gara disperata oceani di cose e servizi, a chi poi le venderanno nelle economie prospettate sopra? E’ un imbuto che si auto-strangola senza rimedi. Quindi il capitalismo è morto e consegnato alla storia, e “loro” lo sanno da anni». Ma ovviamente «il Vero Potere non sta a dormire», ha già strutturato la risposta «in una forma totalmente nuova di economia, mostruosamente nuova», la “Tech-Gleba Senza Alternative”. Ecco come l’hanno pensata: 10 miliardi di umani elevati a classe medio-bassa ma schiavi delle tecnologie, costretti a togliersi la pelle per consumare beni e servizi essenziali hi-tech. A monte, l’oligarchia «accumula quello che mai fu accumulato da élite nei 40 secoli prima». Scomparirà la sperequazione sociale di oggi, dove il pianeta Terra è frammentato da centinaia di stratificazioni, attraverso centinaia di fasce di reddito. «Si vogliono livellare 10 miliardi di umani a più o meno lo stesso livello economico».Un futuro orwelliano: «Ci sarà il condominio con acqua, bagni, elettricità, connessioni digitali, poi strade, scuole, negozi e servizi anche nei buchi neri del mondo di oggi, come Fadwa nel sud del Sudan, o a Udkuda in India». Morto il capitalismo, sparisce anche «la necessità/possibilità di avere miliardi di poveri di qua, benestanti di là, ricconi al top». Secondo Barnard, al nuovo progetto della “Tech-Gleba Senza Alternative” serve che l’intera massa vivente sia omogeneizzata nello standard di vita, e che consumi ma in modo totalmente diverso, mai visto prima nella storia. Un esempio? L’automobile. Come altri giganti come Google, Apple e Tesla, la Volkswagen «sta investendo miliardi di dollari nelle cosiddette ‘driverless cars’, cioè automobili che si autoguidano, che rispondono a comandi orali del passeggero, talmente zeppe di Artificial Intelligence da far impallidire la parola fantascienza». E la casa tedesca non lo sta facendo da poco: ha iniziato 12 anni fa in collaborazione con la Stanford University e il dipartimento della difesa Usa nel suo laboratorio futuristico chiamato Darpa. «Oggi tutto gira attorno a Silicon Valley, Google-Alphabet e alla Cina. Stanno investendo come pazzi». Una startup cinese di nome Mobvoi che fa “intelligenza artificiale” per l’auto del futuro è passata dal valere nulla al valore di 1 miliardo di dollari in un anno. Una corsa frenetica: anche Fca, l’ex Fiat di Marchionne, «sta rovesciando miliardi in ’ste auto-robot assieme a Wymo di Alphabet-Google».In particolare, continua Barnard, la gara si gioca a chi per primo elaborerà i super-computer, oggi impensabili, che sapranno elaborare trilioni di impulsi e dati ad ogni micro-secondo, per far girare miliardi di auto senza autista ma tutte coordinate, “a colloquio” fra di loro per non creare disastri. «La mole di dati che dovranno essere elaborati dal computer di bordo di ogni singolo veicolo in questo scenario è pari a quella di una spedizione spaziale dello Space Shuttle ogni secondo, tutto però gestito da un computerino sul cruscotto grande come una scatola di caramelle». E allora «giù valanghe di miliardi d’investimenti per arrivare primi». La Volkswagen oggi lavora con D-Wave Systems, «un’azienda di computer che sta ribaltando l’universo, perché applica la fisica quantistica ai software: una roba da far esplodere il cervello, perché la fisica quantistica – se applicata con successo alle tecnologie digitali di oggi – le sparerebbe nell’iperspazio, moltiplicando per miliardi di volte il potere di elaborazione dati del più potente computer del mondo». Insomma, «siamo a una viaggio lisergico digitale allo stato puro, ma dietro ci sono i miliardi veri e concreti. Perché?».Ecco la risposta: «Perché questa è gente che pensa 200 anni avanti, e sa benissimo che, col capitalismo morto – quindi con la sparizione di chi ti fa componenti auto pagato 1 dollaro al giorno, e con l’inevitabile innalzamento delle pretese di vita di miliardi di poveracci di oggi verso classi medio-basse – costruire un’auto con quei costi di manodopera costerà una pazzia e i prezzi si centuplicheranno». In altre parole: «Sanno che le auto non si venderanno più nei prossimi duecento anni perché costerebbero oro, e il 98% della gente del pianeta non se le potrebbe più permettere». Sanno anche che l’alternativa della robotizzazione per tagliare i costi (salari) non funziona, è un’immensa illusione, «perché le masse licenziate non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare l’auto». Ed ecco allora l’avvento della “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè «10 miliardi di umani economicamente omogeneizzati, ma a un livello appena possibile di classe mondiale medio-bassa». E si badi bene: «Là dove questa “Tech-Gleba Senza Alternative” non potrà arrivare coi propri mediocrissimi redditi, dovrà sopperire lo Stato con un Reddito di Cittadinanza, come già detto dal mega-sindacalista Usa Andy Stern e riportato dal “Wall Street Journal”».Queste masse, aggiunge Barnard, saranno saranno obbligate a spostarsi. «E allora l’auto deve diventare un robot che nessuna casa vende, se non in numeri microscopici». Un robot «che quasi nessuno possiede, ma che tutti possono noleggiare per pochi soldi in qualsiasi istante digitando un codice: un’auto-robot arriva e ti porta, un’altra ti riporta, oppure la mandi a prendere la spesa senza muoverti da casa, o rincasi dal lavoro con 6 colleghi chiacchierando comodamente seduto in un van-robot che riporta tutti a domicilio, e se un’ora dopo vuoi andare a cena fuori digiti un altro codice et voilà». Basta moltiplicare questi “noleggi” anche a pochi spiccioli per 10 miliardi di esseri umani, per 10-20 volte al giorno, per 365 giorni all’anno, «e non è difficile capire che il profitto dalla casa produttrice dalla Driverless Car diventa cosmico, rispetto al preistorico sistema della vendita dell’auto al singolo». E già sanno, pare, che l’intera impresa delle Driverless Cars sarà «destinata poi a essere soffocata e rimpiazzata dalle Auto-Drones, letteralmente i Drones iper-tech di oggi trasformati un mezzi di trasporto che ti atterrano davanti a casa», sicché «l’intero traffico mondiale non sarà più su strada ma a circa 500 metri d’altezza sulle città», come in “Blade Runner”. «Ribadisco: queste masse però saranno obbligate (“senza alternative”) a noleggiare questa tecnologia: saranno prigioniere di quelle spese, anche a costo di altri sacrifici».Ma attenti, aggiunge Barnard, perché in questo progetto c’è altro: in questo modo, l’élite si prepara ad accumulare denaro e potere come mai prima, nella storia dell’umanità. Soprattutto perché il progetto «prevede, alla lettera, la distruzione d’interi comparti industriali (i tradizionali Re dell’industria) a favore dell’esistenza sul pianeta degli Imperatori del Business». Parola di Jeff Bezos, di Amazon: «Tutto questo sbriciolerà interi comparti industriali. Da queste fratture escono morti i tradizionali Re del business, ed escono gli Imperatori». E Bezos è uno che «ha sbriciolato tutto il comparto industriale a cui apparteneva, ha azzerato sei comparti in un colpo solo, e ora l’Imperatore è Amazon». State capendo? Non muore solo il capitalismo, secondo il progetto Tech-Gleba, ma anche la moltitudine delle industrie a favore di colossali monopoli (gli “Imperatori”) come mai visti nella storia, già chiamati col nome di “piattaforme”. Ne immaginate i profitti? Ancora: «Con lo Strumento per Pianificare l’Offerta, i Pensatori Critici e i nuovi software, l’Imperatore possiederà una o più Piattaforme. Le Piattaforme dovranno però interagire nel pianeta, tutto si gioca in questo, nelle Piattaforme… Useremo i software per sbriciolare comparti industriali con prodotti o soluzioni che nessuno ancora possiede». Di nuovo, immaginate i profitti dei pochi Imperatori-élite nelle loro Piattaforme?Chi parla così? Dei lunatici deliranti? Tutt’altro: sono Lloyd Blankfein (Goldman Sachs), Robert Smith (Vista Equity Partners), e Jeff Immelt (General Electric), a un meeting riservato. Ma, «prima che il progetto arrivi a distruggere i milioni di Re a favore degli Imperatori, gente come Amazon di Jeff Bezos con la sua iper-Tech digitale si sta divorando la piccola-media distribuzione, come uno squalo bianco divorerebbe un milione di pesci rossi in una vasca». Se cambia l’universo-automotive, «10 miliardi di viventi saranno “prigionieri” della necessità (Captive Demand) di “noleggiare” tecnologia oggi considerata cosmica per solo spostarsi». Costretti, prigionieri. «Basta solo capire che quasi tutto il resto sarà esattamente così, per quasi ogni prodotto e per quasi ogni servizio esistente. Cioè: 10 miliardi di “Tech-Gleba Senza Alternative”», obbligati a «usare per sopravvivere tecnologie di cui loro non hanno nessun controllo, ma assoluta necessità, e che stanno tutte nelle mani di pochi Imperatori che già oggi le posseggono perché ci stanno investendo cifre incalcolabili e cervelli inimmaginabili».Amazon e Google-Alphabet, Intel, Samsung, Microsoft, Apple, D-Wave Systems e tutti i labs di ricerca in “A.I.” dei colossi come General Electric, Bosch, Mit di Boston, più le migliaia di startup come la cinese Mobvoi. Monopolio totale della conoscenza applicata, in ogni campo: «Potrebbero sparire tutti i tecnici Enel, idrici, progettisti d’auto o medici operativi oggi, che in poco tempo sarebbero sostituiti da altri già esistenti o in formazione. Ma quando invece solo il fatto che tu abbia una connessione senza cui letteralmente non sopravvivi in Terra, o che tu abbia un trasporto da A a B, o un Cobot che ti curi il taglio post-operatorio, quando queste cose essenziali sono in mano a una élite ristrettissima di fisici quantistici, software code-makers da viaggio su Marte, e maghi visionari della A.I., i cui brevetti saranno più segreti dei codici nucleari di Stato… tu sei fottuto, perché nessuno fra i tecnici delle normali formazioni universitarie anche ad altissimo livello ci capirà mai nulla di quella incredibile fanta-vera-scienza. I primi saranno i padroni unici della vita stessa sul pianeta, punto. State capendo?».Trasporti, sanità, acqua, energia, informazione, servizi essenziali, pagamenti, cibo: tutto in mano a pochissimi, il cui sapere non è alla portata dei normali scienziati non-quantistici. Ci sono materiali “magici” come il Graphene, «che è un singolo strato di materiale con proprietà mai esistite in nessun altro materiale al mondo: è più forte dell’acciaio, conduce meglio del rame, è sottile come un singolo atomo, da semiconduttore è praticamente trasparente e ha applicazioni ovunque, dalla chirurgia all’ingegneristica alla purificazione delle acque ai sistemi elettrici di intere nazioni». E ci sono gli Oleds, «che sono tecnologie visive, che trasformeranno le tv e gli smartphone in applicazioni molto più flessibili, intercambiabili, permetteranno a una televisione di casa di essere ripiegata in un tablet e poi anche in uno smartphone». E ci sono i possibili super-computer «di capacità inimmaginabili, oggi nascenti dalla fisica quantistica di D-Wave Systems».La massima incarnazione di tutto ciò si chiama Sergey Brin, il guru di Google-Alphabet. Tutto il potere inimmaginabile che Google ha e avrà nasce da questo concetto partorito da Brin: «Non c’interessa fare prodotti, c’interessa sfondare i limiti dell’inimmaginabile». Brin, continua Barnard, ha dato ordine di sviluppare decine di innovazioni chiamate Ecosystem, da lì il progetto di eliminare tutti i trasporti su ruote o ferrovie del pianeta, e sostituirli con immensi Dirigibili Drones con neppure un umano impiegato a bordo, spostando tutto ciò che si sposta al mondo – dalla Cina all’Argentina e dal Canada a Singapore – da una stanza con una ventina di addetti». Il lettore, aggiunge Barnard, deve comprendere come lavorano i cervelli di questi “alieni umani”. «Per essere semplici: se il 99% degli scienziati stanno lavorando come pazzi per mandare l’uomo su Marte, Sergey Brin riunisce i suoi per trovare le tecnologie per mandare l’uomo su Giove… comprendete? Col Deep Learning di Google, Brin considera oggi come già superata l’Intelligenza Artificiale (A.I.) che ancora deve venire». Con i colleghi Greg Corrado e Jeff Dean, Brin «ha chiuso gli occhi e immaginato livelli di astrazione». Che significa? «Loro sanno che nella sfera dell’Intelligenza Artificiale il problema dei problemi è che i computer lavorano a metodo lineare, e non riescono ad elaborare molti livelli di astrazione. E oggi loro hanno portato l’Intelligenza Artificiale con il loro Deep Learning a saper elaborare almeno 30 livelli di astrazione, dando quindi la capacità ai computer d’imparare ormai allo stesso livello degli umani».Poi c’è David Ferrucci, che fu il guru della A.I. all’Ibm col progetto Watson. Ferrucci lasciò Ibm per passare alla corte di Ray Dalio, il boss dell’hedge fund Bridgewater. «Un altro essenziale transfugo dall’Ibm che è andato a lavorare sulla A.I. in Inghilterra alla Benevolenti A.I. che si occupa di sanità, è Jerome Pesenti: e qui avremo moltissima “Tech-Gleba Senza Alternative”, perché gli ammalati esisteranno sempre e già oggi in Giappone, dove nel 2025 gli anziani sopra i 70 anni saranno quasi il doppio di quelli in Ue o negli Usa, si stanno costruendo gli infermieri robotizzati chiamati Cobots». Continua Barnard: «Adam Coates viene da Stanford e oggi porta il suo genio “demoniaco” alla Cina, dove dirige i progetti di A.I. per la mega-corporation Baidu focalizzandosi su apprendimento, percezione e visione nella A.I». Al colosso Ibm non mancano i rimpiazzamenti: David Kenny che sviluppa proprio la tecnologia per le piattaforme e per i carichi cognitivi. Poi, l’arcinota Uber ha Gary Marcus che lavora sulla A.I. per le Driverless Cars e sul Dynamic Ride Scheduling. «L’uomo che forse più sa di Networking Neuronale al mondo è Jonathan Ross: lavorava a Google con Brin». In Amazon, invece, «Raju Gulabani ha pionierizzato la rete da decine di miliardi di dollari che sostiene la corporation di Jeff Bezos, cioè la Aws Database and Analytics, assieme ai primi mattoni di A.I». E ci sono personaggi Russ Salakhutdinov, di Apple, «anche se l’ex impresa di Steve Jobs è davvero arrivata tardi in questa fanta-vera-scienza».Qualche esempio di cosa inizieremo a vedere? La classica scampagnata: oggi prendi la bici e scorrazzi tra i campi, tra l’odore di fieno, il rombo della trebbiatrice «e quella sensazione di essere nella natura lontano da semafori, antenne o il wi-fi: il casolare del contadino, i contadini magari seduti fuori dal bar di Mezzolara al sabato pomeriggio a giocare a carte». Nella scampagnata in “Tech-Gleba Senza Alternative”, invece, «i contadini scompaiono, letteralmente non ne esiste più uno». Si chiamerà: Agricoltura di Precisione. «Il casolare, se rimane, è ristrutturato in una centrale operativa di Agriscienza. Antenne ovunque. Nessun rombo di trattore, ronzii di decine di Drones di dimensioni che vanno dai 12 centimetri a 10 metri che sorvolano i campi e trasmettono miliardi di dati (100 o 500 per ogni singolo stelo di grano, per ogni singola cipolla) alle centrali. Poi i software dalle centrali diranno ai Drones Seminatori dove piazzare il singolo seme a seconda di una dettagliata analisi chimica del singolo centimetro quadrato di terreno, il tutto in tempi di microsecondi. Welcome la Semina di Precisione. Stessa operazione ai Drones Fertilizzanti. Vi lascio immaginare il resto: meglio che ne approfittiate finché il contadino sta ancora là, oggi».Nel campo industriale, continua Barnard, si aggiungono gli Ecosistemi Virtuali, là dove il prodotto viene razionalizzato da sistemi di A.I. per ridurre i passaggi produttivi di venti volte o più. Una produzione annuale di 40 milioni di di pezzi sarà gestita dai Cobots, cioè sistemi robotizzati che letteralmente “parlano” con un singolo operatore umano, che «non schiaccia più tasti, ma parla e basta», mentre «mostruosi impianti rispondono, obiettano, suggeriscono soluzioni, segnalano problemi». Così per tutto: intrattenimento, qualsiasi attività esterna a casa, istruzione, social media, attivismo, politica. «Qui i primi ad arrivare per cambiare, come mai, il tuo mondo saranno la Virtual Reality (Vr) e la Augmented Reality (Ar) del conglomerato Facebook-Oculus». Il concetto è questo: «Per entrare in contatto con chiunque, e per fare praticamente qualsiasi cosa, non sarà più necessaria la tua presenza fisica, basta quella virtuale. Un bel Rift Head-set di Oculus, o anche solo quegli strani occhiali con cui si fece fotografare Sergey Brin di Google, e il gioco è fatto. Il networking globale in 3d ti permetterà, stando immobile sul divano, di cercar casa visitando decine di appartamenti, dialogare con gli agenti e l’amministratore, stare in classe ma “vedersi” seduti alla Lectio Magistralis del Prof. X all’università di Yale in Usa, o visitare, sempre immobile dalla classe, le distese di Agribusiness in Sudan, partecipare a workshop di A.I. a Cupertino, a Mosca, a New Delhi». E magari «testimoniare la guerra ad Aleppo, ma senza il “disturbo” degli odori dei poveri, dei fetori di sangue rappreso, e con una visione totalmente pilotata dalle autorità occidentali».Poi, i social media «ti permetteranno, dal divano di casa, di essere fra amici a una cena virtuale, o di corteggiare una persona per capire chi è, prima ancora di muovere un passo da casa. O di non muovere neppure più un passo da casa, e avere un orgasmo, toccare un petto o un seno virtuali, e uscirne totalmente soddisfatti». Peggio: «Il progetto provinciale di Casaleggio diverrà devastante nelle dimensioni. L’attivismo politico sarà tutto immobilismo dai divani di casa, nessun corpo umano visibile da nessuna parte, tutti in cortei virtuali, Consigli comunali virtuali, comizi virtuali, dialoghi coi parlamentari virtuali, videogames di scontri di piazza, cioè aria fritta, e apatia di masse immense nel trionfo globale dell’Attivismo di Tastiera». Il denaro? Blockchain e Ledgers sono già realtà oggi: «Sparirà ogni forma di denaro, le Cryptovalute diverranno padrone (oggi abbiamo solo Bitcoins ed Ethereum, ne verranno centinaia). Ogni singola transazione, dai 70 centesimi dell’anziana pensionata alle centinaia di miliardi delle corporations, sarà registrata attraverso la tecnologia Blockchain in registri mondiali chiamati Ledgers che saranno visibili da chiunque al mondo abbia i software per accedere».I pagamenti saranno quindi istantanei e istantaneamente verificati dagli algoritmi matematici di tutta la catena di Blockchain. «Spariranno dunque milioni di posti di lavoro legati alla contabilità, all’avvocatura, nelle banche, con lo strascico di impiegati/e. Ma molto peggio: i maghi dell’informatica dei servizi americani, perché saranno loro ad avere le chiavi di questa allucinazione, passeranno miliardi di dati privati – sui pagamenti degli umani visibili sui Ledgers, quindi sugli stili di vita, sulle abitudini, sulle tendenze di consumo, sullo stato di salute delle persone, su come lavorano, sul business mega-medio-micro». Dati ce finiranno alla Nga, la National Geospatial Intelligence Agency degli Stati Uniti. «La Nga è la più grande intelligence al mondo per raccolta e analisi di immagini e dati; e lo sarà in futuro per capire chi sei tu, o tu azienda, cosa fai ogni 30 secondi della tua vita, cioè se compri gratta&vinci o se hai fatto un’ecografia all’utero, o se hai donato a Greenpeace, ai sovranisti… o per spiare i pacchetti ordini per sapere su quali aziende speculare, o per sapere se davvero come dice “Bloomberg” il rame del Cile ancora tira, o se è meglio dire agli investitori di andare altrove». La Nga «lo farà grazie alla Blockchain e ai Ledgers: sarà la più immane perdita di privacy della storia umana, con la “Tech-Gleba Senza Alternative” del tutto impotente, ma le piattaforme globali in posizione di ovvio favore».E sempre in materia di privacy disintegrata, continua Barnard, saremo il benvenuto al mondo dei Psychoimaging Sofware, a braccetto coi Drones. «E’ noto che i gadget digitali più venduti già oggi sono pronti ad ospitare software che ti leggono impronte digitali, o la mimica dei muscoli facciali, o a registrarti mentre sei a letto col cellulare spento. Ma è anche vero che i dati sulla tua persona che verrebbero trasmessi in questo modo rischiano di essere molto frammentari perché non viviamo sempre incollati ai cellulari, pc o tablets». I droni, invece, come già oggi sperimentato dal Darpa del dipartimento alla difesa Usa, «possono essere ridotti alle dimensioni di un insetto, ed essere su di te in qualsiasi momento, ovunque, e trasmettere i dati a software di Psychoimaging, cioè software che compileranno schede su chi sei, che carattere tendi ad avere, come ti si può convincere meglio e a che ore del giorno, o se sei una minaccia per il sistema, cosa ti potrebbe sospingere a una ribellione, come i media impattano la tua personalità, come formi i tuoi figli». Peggio ancora: «I Drones possono leggere il labiale, quindi avere un accesso ancora più diretto a qualsiasi cosa tu esprimi o intenda fare in ambito sia privato che di business».Per il pessimista Barnard non avremo scampo: «Saremo “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè prigionieri, precisamente perché quando tutto il pianeta funzionerà così, chi si può permettersi di dire “No, non ci sto”?». E il «mostruoso mondo Tech» non è una fantasia, «è già alle porte». Ma a cambiare, sottolinea Barnard, è solo il “come”, lo spaventoso potenziale tecnologico, non il paradigma. Quello è immutato: «Il gran gioco della razza umana dal primo minuto della civiltà è sempre stato identico: fu, e rimane oggi, una guerra spietata fra il desiderio delle élite di dominare, e i tentativi dell’umanità di prendersi invece ciò che gli spetta. I tentativi hanno avuto sempre e solo un nome: le rivoluzioni», considerate dall’élite «fastidiosi incidenti di percorso». Potevano essere represse nel sangue, o tollerate per qualche tempo e poi «dirottate dall’interno verso nuove forme di sanguinario dispotismo di altre élite». E’ il caso della Rivoluzione Francese finita nel Terrore, o della Rivoluzione Russa «che Lenin devastò appena poté». Ma con l’incalzare della modernità, aggiunge Barnard, per le élite divenne sempre più difficile controllare le masse. La prima sperimentazione in grande stile? Negli Usa, tra fine ‘800 e inizio ‘900.«Pochissimi sanno che la parte d’Occidente più “marxista” in assoluto, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, fu il nord-est degli Stati Uniti d’America, e in parte l’Irlanda». Negli Usa, il fermento dei lavoratori «impropriamente chiamato socialista», in realtà «anarco-sindacalista, libertario nel vero, storico senso del termine» era tale che, di routine, «venivano stampati quasi 900 quotidiani rivoluzionari, che venivano davvero letti nelle comuni di lavoratori e lavoratrici». Ora, aggiunge Barnard, si può immaginare come l’élite del capitale americano si organizzò per soffocare tutto questo. E di certo, a pochi decenni da una guerra civile costata quasi 800.000 morti, «le élite non potevano reprimere tutto nel sangue. Ci voleva altro per soffocare quella rivoluzione». Ma cosa? Da quell’epoca in poi, «il Vero Potere comprese qualcosa di letteralmente mostruoso – ripeto, mostruoso – per silenziare, sedare, le masse ribelli: l’Apatia del Benessere Minimo». Che significa? «Mantenere miliardi in povertà e disperazione è non solo intenibile, perché si ribelleranno, ma controproducente (fine capitalismo, “Tech-Gleba”)». Furono due intellettuali americani a immaginare la soluzione: Edward Bernays e Walter Lippmann. «Le élite avrebbero dovuto sedare le masse – in quel caso americane – con l’avvento dell’industria mediatica, cinematografica, pubblicitaria e consumistica che ne manipolasse il consenso verso il desiderio di possedere un benessere minimo a qualsiasi costo».E vinsero, perché «chi inizia ad assaggiare l’individualismo del proprio piccolo, modesto progresso edonistico nei consumi e nel piccolo agio», poi ovviamente «abbandona i sacrifici, il coraggio e il pensiero per la lotta sociale». Chiaro: «Vuole avere di più. Per non parlare poi di quando diviene vera classe media». La prima grande ondata di “apatizzazione” delle masse potenzialmente pericolose per le élite «sfondò i popoli negli Stati Uniti fra gli anni ’20 e ’40 del XX secolo», continua Barnard. Celebre l’opinione che Bernays e Lippmann avevano del popolo: «Sono solo degli outsider rompicoglioni», da “domare” verso la docilità. Poi vennero la Seconda Guerra Mondiale, il dilagare del socialismo, il comunismo e la Rivoluzione d’Ottobre, la nascita del Welfare State in Gran Bretagna, «la magica (seppure breve) influenza dell’economista John Maynard Keynes sull’economia per la piena occupazione», fino al ’68 e alle lotte operaie europee. «All’alba degli anni ’70 le élite si resero conto che il piano Bernays-Lippmann di apatizzazione era decaduto, ne occorreva un altro ben più potente»: il Memorandum Powell.Barnard ne ha parlato nel saggio “Il più grande crimine”, citando le gesta dei protagonisti della «seconda grande ondata di apatizzazione delle masse». Lì i compiti furono divisi fra Stati Uniti, Europa e Giappone. «S’inizia con una mattina dell’estate del 1971, quando Eugene Sydnor Jr. della Camera di Commercio degli Stati Uniti chiamò l’avvocato Lewis Powell e gli chiese un progetto di apatizzazione delle masse occidentali in sollevazione». Powell scrisse un Memorandum di sole 11 pagine. Vi si legge: «La forza sta nell’organizzazione, in una pianificazione attenta e di lungo respiro, nella coerenza dell’azione per un periodo indefinito di anni, in finanziamenti disponibili solo attraverso uno sforzo unificato, e nel potere politico ottenibile solo con un fronte unito e organizzazioni (di élite) nazionali». Poi arriva la Commissione Trilaterale, composta appunto dai vertici di Stati Uniti, Europa e Giappone. Chiamano tre influenti intellettuali, Samuel P. Huntington, Michel J. Crozier e Joji Watanuki. Nelle 227 pagine del loro “The Crisis of Democracy” daranno la ricetta letale per l’apatizzazione. Basta leggere questi passaggi: «Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che hanno permesso alla democrazia di funzionare bene».«La storia del successo della democrazia – continuano i tre – sta nell’assimilazione di grosse fette della popolazione all’interno dei valori, atteggiamenti e modelli di consumo della classe media». Cosa vuol dire? «Significa che, se si vuole uccidere la democrazia partecipativa dei cittadini mantenendo in vita l’involucro della democrazia funzionale alle élites, bisogna farci diventare tutti consumatori, spettatori, piccoli investitori, tutti orde di classe medio-bassa appunto. Apatici». Il risultato, conclude Barnard, è storia contemporanea: «Trionfo dei consumi assurdi, dell’edonismo idiota di Tv e mode, crollo dalla partecipazione alle lotte in strada, apatia di praticamente tutti anche a fronte di fatti gravissimi che distruggono democrazia, lavoro, diritti, Costituzioni. Con l’avvento poi di Internet il tripudio del progetto della Trilaterale raggiunse l’orgasmo». Barnard fui il primo in Italia a coniare il dispregiativo “attivisti di tastiera”, ignaro che negli Usa si parlava di “clicktivism”. «Altra forma di apatia che infettò persino quel 2% dei cittadini che ancora non erano stati divorati da Playstation, Formula 1, Belen, Il Grande Fratello, la Champions, il red carpet di Cannes, il gratta e vinci, il Carrefour, la ‘notte rosa’ al mare». La grande apatia di massa del Duemila.«Le élite protagoniste di tutta questa storia – insiste Barnard – vedono sempre chiaro almeno 50 anni avanti, più spesso 200 anni». I segnali di un nuovo sommovimento delle masse? Divennero chiari, per loro, quasi vent’anni fa. Allora, «i salari reali del paese più potente del mondo, gli Usa, erano stagnanti dal 1973: malcontento diffuso». Inoltre, le bolle speculative (immobiliari e finanziarie, specialmente incoraggiate da Clinton) davano un segnale chiarissimo: le élite sapevano già che sarebbero tutte esplose (net-economy, subprime, crack di Wall Street). Risultato: di nuovo, milioni di occidentali “indignati”. Niente di buono neppure a Est: «La mano del Libero Mercato di quel criminale di Jeffrey Sachs nell’est europeo post-comunista e in Russia stava decimando quei popoli, col tasso di mortalità media in Russia crollato a 56 anni per gli uomini, migrazioni di massa a ovest delle donne, corruzione epica ovunque, di nuovo pericolo di sollevazioni». Poi il disegno dell’Eurozona: «Appena nato, era già stato sancito come una catastrofe sociale dalle Federal Reserve Banks degli Stati Uniti, e quindi dai maggiori “investment bankers” del pianeta, per cui già allora si aspettavano un’Europa di ribellioni populiste, caos politico, e Brexit». Chiarissimo, poi, era il pericolo di conflitto nucleare futuro, con rischi anche per le stesse élites: conflitto «non Usa-Russia, ma Usa-Cina, cioè due progetti imperiali inconciliabili a morte». Infine il “climate change” che già stava divorando il pianeta, con «masse immani di disperati» che si sarebbero mosse «letteralmente per bere, e avrebbero invaso l’Occidente: 500.000 indiani rischiano di non bere più fra meno di un decennio».Attorno al 2.000, «l’elite comprese che una terza, immensa ondata di apatizzazione sarebbe stata vitale, per tenere questo mondo di nuovo in ribellione sotto controllo per i prossimi mille anni». Ed ecco Rift Head-set, Virtual Reality, Blockchain, Drones, Artificial Intelligence e 10 miliardi di umani in “Tech-Gleba Senza Alternative”, «decerebrati del tutto da Facebook-Oculus e altri come loro». Visione deprimente: «Saremo un’umanità omogeneizzata, senza più immensi scarti di redditi ma totalmente nelle mani, per letteralmente sopravvivere, di élite private che possiedono tutte le Tech-chiavi per la vita stessa della specie umana». E naturalmente «non potremo mai più ribellarci, né dare l’assalto alla Bastiglia, perché anche se ci impossessassimo di quelle chiavi non sapremmo né usarle né sostenerle. Saremo prigionieri di consumi High-Tech irrinunciabili, senza nessuna via di fuga, e in più totalmente apatizzati dall’immobilismo del mondo Virtual-Drones, con gli Oleds, la Vr con Ad, e le infinite forme di A.I.». Detto alla buona: «Se oggi è un dramma convincere un cittadino a uscire di casa per contestare il proprio Comune, immaginate in questo futuro, che è già pronto, quando il tizio con la maschera-occhiali contesterà il Comune in Virtual 3D fra un amplesso Virtual 3D e l’altro». Con 10 miliardi di umani conciati così, ed élites «padrone di un potere sull’economia e sulla vita stessa impensato fino a oggi», per Barnard si può davvero decretare la fine della storia. «L’Eurozona è un sogno, in confronto; la mafia è un sogno, in confronto, il lavoro di oggi anche. Ricordate Lincoln e come seppe vedere ‘oltre’. Non fate figli, vi prego».Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.
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Arriva il cancro del Ceta tra le anime morte del Parlamento
Il degrado della nostra democrazia è ben rappresentato dal fatto che uno scontro megalattico stia accompagnando la discussione su una legge all’acqua di rose sullo ius soli, mentre il Senato si prepara ad approvare nel silenzio generale il famigerato trattato Ceta. Il trattato è quello stipulato tra Unione Europea e Canada e serve a far passare liberamente la globalizzazione più selvaggia e distruttiva, travolgendo le poche regole rimaste a difesa dei lavoratori, dei consumatori, dei cittadini. Il succo del trattato è il via libera ai prodotti, ai servizi e alle attività delle grandi multinazionali, secondo le regole loro e del paese più disponibile verso di esse. E se qualche Stato dovesse decidere di opporsi in nome delle proprie leggi su lavoro, salute e ambiente, le multinazionali potrebbero citarlo in giudizio in un arbitrato, gestito a condizioni, per esse, di favore. La extragiudizialità dei grandi fruitori di profitti rispetto agli Stati diventa legge, lo stesso privilegio di fronte alla giustizia comune di cui nel Medio Evo godevano prìncipi e baroni.Il Ceta è una Bolkestein globale ed è perfettamente eguale all’altro trattato, sul quale invece l’opinione pubblica europea era stata in grado di fermare i suoi folli governi: il Ttip con gli Stati Uniti. Forse perché la potenza degli Usa intimoriva di più, alla fine anche Hollande e Merkel bloccarono la ratifica di quel trattato. Non il governo italiano, però, che – servo tra i servi – ha invece continuato a dichiararsi favorevole ad esso. Bloccato il Ttip, il Ceta con il più simpatico Canadà è diventato lo strumento, il cavallo di Troia, per far passare la stessa devastazione di massa dei diritti. Tutta la stampa italiana ha incensato il gentile e fascinoso leader canadese, Trudeau, che omaggiava le vittime del terremoto. Era una bella opera di promozione di un trattato che toglierà le barriere alla importazione del grano duro, che in Nord America si coltiva con largo uso del cancerogeno glifosato. Le multinazionali Usa, in attesa che passi il trattato con il loro paese, potranno così utilizzare le loro sedi canadesi ed il Ceta per ottenere subito il via libera ai loro affari, per noi, più distruttivi.La ratifica del Ceta avviene da parte di un Parlamento dove quasi tutti, poi, si pentono dei trattati che firmano ed approvano. La mostruosa riscrittura dell’articolo 81 della Costituzione, che ha costituzionalizzato l’austerità europea, è avvenuta quasi alla unanimità nelle due Camere, ma ora non si trova chi l’abbia votata. Tutti oggi dicono di voler cambiare i trattati europei, ma fanno finta di non saper che ogni modifica di quei trattati richiederebbe l’unanimità degli Stati, quindi il consenso della Germania. Tutti dicono di voler cambiare i trattati dopo, ma pochi cercano di fermarli prima. Il Ceta è un attentato ai diritti e alla democrazia, per me chi lo approva dovrà essere considerato nemico, ma anche chi si occupa d’altro mentre proprio qui dovrebbe rovesciare il tavolo, anche chi lo lascia passare in silenzio dovrà essere chiamato alle sue responsabilità. Una democrazia muore per colpa di chi la colpisce, ma anche di chi volge lo sguardo da un’altra parte.(Giorgio Cremaschi, “Ceta, un attentato ai diritti e alla democrazia”, da “Micromega” del 24 giugno 2017).Il degrado della nostra democrazia è ben rappresentato dal fatto che uno scontro megalattico stia accompagnando la discussione su una legge all’acqua di rose sullo ius soli, mentre il Senato si prepara ad approvare nel silenzio generale il famigerato trattato Ceta. Il trattato è quello stipulato tra Unione Europea e Canada e serve a far passare liberamente la globalizzazione più selvaggia e distruttiva, travolgendo le poche regole rimaste a difesa dei lavoratori, dei consumatori, dei cittadini. Il succo del trattato è il via libera ai prodotti, ai servizi e alle attività delle grandi multinazionali, secondo le regole loro e del paese più disponibile verso di esse. E se qualche Stato dovesse decidere di opporsi in nome delle proprie leggi su lavoro, salute e ambiente, le multinazionali potrebbero citarlo in giudizio in un arbitrato, gestito a condizioni, per esse, di favore. La extragiudizialità dei grandi fruitori di profitti rispetto agli Stati diventa legge, lo stesso privilegio di fronte alla giustizia comune di cui nel Medio Evo godevano prìncipi e baroni.
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E se poi, un bel giorno, scopri che non era vero niente?
Perché l’oro è così importante? L’oro, non il ferro, l’argento, altri metalli. Perché si è scoperto che l’oro, incorruttibile, può isolare al 100% da radiazioni pericolose, provenienti da tecnologie avanzate. Lo affermano i controversi studiosi della cosiddetta paleo-astronautica, che si interrogano sul singolare interesse manifestato, per l’oro, da tutti gli “dèi” dell’antichità, chiamati Viracochas sulle Ande nel regno Inca, Túatha Dé Dànann in Irlanda, Elohim in Palestina, Annunaki in Mesopotamia, Theòi in Grecia, Vimana in India. E ancora: Kachinas in Arizona, Muxul nello Yucatan presso i Maya, Dogu in Giappone, Wakinyan in Nord America presso i Lakota Sioux, Nommo in Mali presso i Dogon. Una cosa è sicura: a un certo punto, nella storia, l’oro viene improvvisamente apprezzato e ricercato, estratto, lavorato, tesaurizzato, utilizzato come valore di scambio. Tutti quegli esseri appassionati all’oro, spesso chiamati Figli delle Stelle perché comparsi a bordo di formidabili mezzi volanti, raffigurati in sculture e altorilievi ancora oggi visibili un po’ in tutto il mondo, instaurarono dominazioni di tipo coloniale, imponendo sempre – alle popolazioni assoggettate – lo stesso “sacrificio” quotidiano: bruciare, per loro, il grasso (inizialmente dei neonati primogeniti, poi solo di agnelli) presente in prossimità di certi organi, fegato e reni.Grasso che, una volta bruciato, produce un fumo inebriante e “calmante”, come spiegano nella Bibbia i sudditi di Jahwè, uno degli Elohim dell’area palestinese, divenuto celebre attraverso il drammatico racconto biblico – Jahwè (o anche Jeohwà o Jihwì, a seconda delle vocalizzazioni convenzionali introdotte solo nel medioevo dai biblisti ebrei della scuola masoretica) era il dispotico, temutissimo padrone della famiglia di Giacobbe-Israele, poi successivamente trasformato, dalla teologia, addirittura in “Dio unico”. Nell’antica Roma, quello stesso grasso era chiamato “omentum”. Stesse disposizioni: era la parte “sacra”, cioè riservata esclusivamente agli “dèi”, perché fosse bruciata (quindi “sacrificata”) solo per loro, pena la morte dei trasgressori. Quel particolare grasso che sovrasta gli organi interni non è come l’adipe, provvisorio e accumulato con l’alimentazione, ma è un grasso stratificato fin dall’infanzia, addirittura dalla nascita. Se bruciato, confermano i chimici, produce un fumo che sprigiona molecole pressoché identiche a quelle delle endorfine, fortemente psicotrope, il cui odore ricorda il profumo appetitoso che si libera dal barbecue durante una grigliata.L’astronauta italiana Samantha Cristoforetti, di ritorno dallo spazio, ha dichiarato che, lassù, aleggia un odore di carne bruciata. Gli scienziati spiegano che quell’odore si diffonde, anche in un’astronave, man mano che si prolunga la missione, perché le condizioni ambientali all’interno del veicolo spaziale accelerano la morte di milioni di cellule epiteliali – morte che, appunto, produce quell’odore. Di recente, poi, ricercatori hanno scoperto che il vino rosso contiene una sostanza particolarissima, il resveratrolo, che protegge le ossa da svariate complicazioni, inclusa la “friabilità” che colpisce lo scheletro negli astronauti esposti a lunghi soggiorni orbitali. La Bibbia racconta che Jahwè beveva vino spesso e volentieri (fece impiantare una vigna a Noè, subito dopo lo sbarco dall’Arca), mentre i testi sumero-accadici riferiscono che gli Annunaki gradivano molto la birra. Elohim, Vimana e tutti gli altri: Figli delle Stelle? “Vimàn” era il nome di una compagnia aerea del Bangladesh, ricorda Mauro Biglino. “In India voliamo da tremila anni”, era uno slogan pubblicitario dell’Air India. El-Al è invece il nome della celebre compagnia israeliana.Se la tradizione rabbinica racchiusa nel Talmud ammette con assoluta tranquillità la presenza della manipolazione genetica nella Genesi – basta vedere come vennero al mondo Adamo ed Eva, disse il professor Safran, rabbino e docente universario di etica medica in Israele, all’epoca della clonazione della pecora Dolly – è davvero impossibile trascurare gli studi più recenti dei genetisti, che mettono in crisi l’evoluzionismo darwiniano: è come se fosse intervenuto qualcosa a “correggere” l’evoluzione, accelerandola – non solo per il Sapiens, ma anche per la pecora e la mucca, la patata, il grano. Cioè gli animali e i vegetali che popolavano il Gan Eden di cui parla la Bibbia, da cui i primi ibridi – Adamo ed Eva, appunto – furono allontanati preventivamente, prima cioè che potessero approfondire “le pratiche dell’albero della vita”, acquisendo cioè le medesime conoscenze, dunque il medesimo potere, dei loro “creatori”, gli Elohim, veri specialisti in genetica sperimentale, a quanto sembra.Emerge un’altra verità, dunque, sui cosiddetti “testi sacri”, da cui discende un impianto di pensiero – e di potere – almeno bimillenario. Non stupisce, quindi, il grande successo dei bestseller di Biglino, pubblicati anche da Mondadori, né l’entusiasmo delle centinaia di persone che affollano le sue frequentissime conferenze. Di Biglino si può apprezzare innanzitutto la correttezza, nella sua impostazione preliminare: non metto in discussione l’esistenza di Dio, ripete, perché non ho le certezze degli atei; mi limito a dimostrare che quella della Bibbia non è una divinità ma solo un Elohim, di cui la stessa Bibbia nomina almeno 20 “colleghi”, di equivalente status, senza peraltro mai spiegare il significato della parola Elohim, che nessuno al mondo conosce. Inoltre, nella Bibbia non sono presenti, mai, i concetti-chiave del monoteismo: creazione, eternità, immortalità, divinità. Il verbo tradotto con “creare” è Baraa, che significa dividere, separare (i cieli dalle acque, le acque dalle terre – Genesi). E della parola Olàm, ancora e sempre tradotta con “eternità”, e che in realtà significa “tempo molto lungo”, i dizionari raccomandano: non tradurla mai con il termine “eternità”.Lo scorso marzo, Biglino è stato protagonista, a Milano, di un importante confronto con eminenti teologi: un importante sacerdote e docente di teologia dell’università cattolica, un arcivescovo ortodosso, il rabbino capo della comunità ebraica di Torino e un insigne biblista, pastore valdese, co-autore di alcuni tra i più importanti dizionari di ebraico e aramaico antico. Nessuno ha messo in discussione le sue tesi. Tutti, al contrario, hanno ammesso che la Bibbia è stata ampiamente travisata. Ma lì si fermano: non denunciano, cioè, il fatto che venga ancora oggi regolarmente travisata. Dice Biglino: nel 95% dei casi, chi professa e propaga le grandi religioni monoteiste che si pretendono originate da quel libro (e quindi: Papi, vescovi, parroci, catechisti, pastori) non conosce neppure la lingua in cui quel libro è scritto. Pretende di “far dire” a quel libro determinate verità, per di più “sacre”, ma non conosce – alla lettera – il testo, nella lingua originaria. Senza contare, poi, che la Bibbia resta una raccolta (non uniforme) di testi di epoche diverse, tutti senza fonte: non è possibile risalire con certezza neppure a un autore; nessuno dei testi biblici ha una chiara paternità – tantomeno i libri più famosi e celebrati, come quello attribuito all’ipotetico profeta Isaia.Anche per questo, mezzo secolo fa, i biblisti ebraici hanno varato il “Bible Project” con il compito, entro 200 anni, di ricostruire una Bibbia più attendibile. L’unica certezza, dicono, è che la Bibbia di oggi – riveduta e corretta per l’ultima volta dai masoreti all’epoca di Carlomagno – non è l’originale. Inoltre mancano una decina di libri, pure citati qua e là: quei libri sono scomparsi. E le incongruenze sintattiche presenti nella versione masoretica dimostrano il grado di manipolazione cui quei testi sono stati sottoposti, nel corso dei secoli. Biglino dice: mi si rimprovera di offrire una lettura letterale del testo, anziché allegorica, simbologica, esoterica, teologica. Va bene, teniamo pure conto di tutte le interpretazioni possibili. Ma aggiunge: perché privarci della versione letterale, sia pure di un testo che sappiamo essere così pesantemente rimaneggiato? Non si sa neppure in che lingua fosse scritto, l’originale: all’epoca della prima stesura della Genesi, per esempio, la lingua ebraica non esisteva ancora. Dunque non sappiamo in che lingua fosse scritto, quel libro, né tantomeno come venissero pronunciate, le parole in esso contenute. Poi intervenne la traduzione in ebraico, ma con le sole consonanti; le vocali furono introdotte solo fra il VI e l’XVIII secolo dopo Cristo, quando appunto “Yhw” divenne finalmente “Jahwè” (ma aJahwènche “Jihwì” e “Jeohwah”).Nonostante tutto ciò, insiste Biglino, perché non provare a leggere il testo così com’è, dando per buona – per un attimo – l’idea che racconti fatti realmente accaduti? Si scoprirebbe, conclude, che la storia narrata – vera o falsa che sia – non è priva di coerenza. Ed è, tra l’altro, la fotocopia perfetta di molti altri libri antichi preesistenti, “sacri” e non, come la trilogia fondativa di un popolo geograficamente contiguo a quello ebraico, i sumero-babilonesi. Quei testi mesopotamici sono l’Atrahasis, l’Enuma Elish e l’Epopea di Gilgamesh. Raccontano tutti la stessa storia: e cioè l’arrivo (da cielo?) di individui potentissimi ma non onnipotenti, molto longevi ma non immortali, in possesso esclusivo di tecnologie fantascientifiche, decisi a colonizzare territori imponendo la loro legge (i comandamenti di Jahwè non sono 10, ma oltre 600) e stabilendo alleanze con singole tribù, in lotta perenne tra loro per la spartizione di piccoli territori. Il patto: voi lavorate per me (mi servite, mi nutrite, mi bruciate quel famoso grasso e mi obbedite in tutto) e io vi aiuto a conquistare “terre promesse”. Se disobbedite, vi stermino. Jahwè, è scritto nella Bibbia, arrivò a uccidere in massa 24.000 sudditi disobbedienti.Quello che Biglino contesta è che, nonostante le evidenze e le conferme provenienti dagli ambiti di studio più disparati (dall’esegesi ebraica all’autorevole École Biblique dei domenicani di Gerusalemme) le traduzioni erronee continuino a essere presenti nelle Bibbie attualmente stampate. In sintesi, il primo problema è Dio. Nella Bibbia, semplicemente, non c’è, dice Biglino. C’è Jahwè, che però è sempre in compagnia dei “colleghi” Milkòm, Kamòsh, e tanti altri. Viene tradotto con “Altissimo” il nome Eliòn, che invece è un individuo «chiaramente indicato come il capo degli Elohim: è scritto nel testo biblico che ne presiede un’assemblea, nientemeno». E addirittura è tradotto coi termini “eterno” e “onnipotente” il nome El Shaddai, letteralmente “signore della steppa”, cioè l’Elohim nel quale si imbatté Abramo. Allo stesso modo, altri termini vengono sempre tradotti in modo consapevolmente inappropriato e fuorviante: Kavod, per esempio. Il contesto biblico lo presenta come un’arma da guerra, un oggetto volante e pericoloso, dotato di armanenti micidiali. Viene tradotto: “gloria”. Così, il “Kavod di Jahwè” diventa la “gloria di Dio”.Quando appare, il Kavod solleva un gran vento, il Ruach – che viene tradotto “spirito”. Sotto il Kavod sono fissati 4 Cherubini. Mezzi meccanici volanti, secondo i rabbini: robot, monoposto. Per l’esegesi teologica cristiana, invece, i Cherubini sono “angeli”, così come gli altri “angeli”, incorporei e alati, che la Bibbia invece chiama Malachìm, presentandoli come individui in carne e ossa, di cui gli umani hanno paura – sono soldati, ufficiali degli Elohim, portaordini pericolosi, molesti, inquietanti. «L’angelo apparve alla vista di Gedeone, volando con leggerezza», e poi «scomparve», scrive la traduzione cristiana della Bibbia, che invece nell’originale, in ebraico, scrive che «il Malach» si fece vedere da Gedeone, e poi «se ne andà camminando». Pura invenzione, il volo, così come l’attraversamento miracoloso del Mar Rosso: «Nel testo c’è scritto che Mosè e i suoi attraversarono solo uno Yam Suf, un canneto. Nessun mare, tantomeno Rosso».Quanto agli “angeli”, più tardi, il fondatore del cristianesimo, Paolo di Tarso, raccomanda alle giovani donne di coprirsi il capo con il velo, se partecipano ad assemblee, e di farlo «a motivo degli angeli», poiché sono sessualmente eccitabili e poco raccomandabili, violenti. Biglino “corregge” anche l’interpretazione della comparsa dell’Arcangelo Gabriele, quello dell’Annunciazione: «Gabriele non è un nome proprio ma solo un termine comune, funzionale: deriva da Ghevèr-El, e essere “il Ghevèr di un El”, per di più “arcangelo”, significa essere un potente ufficiale di alto grado». Dallo studio condotto da Biglino appare evidente la fabbricazione artificiale di un culto, la cui radice viene attribuita a un libro debitamente leggendario, in quanto antico, scritto in una lingua sconosciuta ai più. Lo studioso contesta chi ritiene obbligatoria una lettura necessariamente cifrata: «Quando furono scritti, i testi biblici, a saper leggere e scrivere erano in pochissimi: che motivi avrebbero avuto per dover nascondere il loro racconto sotto il velo simbolico-allegorico?».La prima versione della Bibbia divulgata nel Mediterraneo oltre la Palestina, detta “Bibbia dei Settanta”, fu tradotta in greco ad Alessandria d’Egitto, secondo Biglino ricorrendo a una massiccia interpolazione interpretativa ispirata dal pensiero platonico, che – a differenza della Bibbia – contempla le nozioni filosofiche di trascendenza, divinità, creazione, eternità. Gli ebrei considerano la “Bibbia dei Settanta”, letteralmente, «una tragedia per l’umanità». Eppure, sottolinea lo stesso Biglino, è proprio quella Bibbia in greco ad aver poi originato quella in latino, che è alla base della teologia cattolica e quindi delle Bibbie in italiano per le famiglie. Il lavoro del ricercatore torinese non mette in crisi solo la teologia ufficiale su cui si basano le istituzioni religiose, ma anche l’esegesi alternativa fornita dall’esoterismo, acutamente suggestiva, fondata sulla lettura allegorica e simbolica del testo – lettura che, come quella cattolica, non mette mai in discussione la presenza della divinità nell’Antico Testamento. Diversa ancora l’interpretazione offerta dalla Cabala, che dal testo originario ricava essenzialmente relazioni, assai criptiche, tra valori numerico-simbolici, come se la Bibbia fosse in realtà una complessa trama numerica, velata dalla narrazione superficiale di eventi di per sé non così importanti quanto invece il tessuto ermetico sottostante.Certo è singolare la produzione, negli ultimi anni, di una tale quantità di informazioni, ormai di pubblico dominio, che riguardano in particolare l’interpretazione della storia antica, sacra e non, ma anche una radicale rilettura dell’approccio scientifico alla conoscenza, rivalutando sia i testi sacri, fondativi delle grandi religioni, sia l’opera di esoteristi particolarmente illuminanti – filosofi, medici, artisti, alchimisti, proto-scienziati – che tendono a fornire chiavi di interpretazione delle “leggi universali” i “leggi di natura” molto simili a quelle cui oggi pervengono i settori più avanzati della scienza stessa, a cominciare dalla fisica, dall’astrofisica, dalla geofisica, dalla meccanica quantistica, con le recenti indagini sulla reale consistenza della materia, in cui si suppone che il visibile e l’invisibile rispondano alle stesse leggi, essendo costituiti della medesima energia. Da qui le riflessioni sulla percezione del tempo e della vita stessa, sulla cosiddetta Energia Oscura, sulla Materia Bianca cerebrale di cui i neurologi ammettono di non sapere praticamente nulla.Fisici come Vittorio Marchi e Giuliana Conforto sostengono che la realtà sensibile non sia altro che rappresentazione, e che il nostro cervello non percepisca che il 2% di quanto ci circonda, sulla Terra – per non parlare dell’universo, di cui sappiamo ben poco, al di là del nostro minuscolo sistema solare. Un numero sempre maggiore di storici e antropologi sospetta che la storia sia interamente da riscrivere: a quanto pare non furono gli egizi a erigere le piramidi; quelle scoperte in Bosnia sono più antiche e più grandi di quelle dell’Egitto. Né tantomeno conosciamo la storia misteriosa dei Sumeri, che sorsero all’improvviso come civiltà già formata, in possesso di conoscenze evolute (architettura, agricoltura, scrittura). Forse, ipotizza Biglino sempre prendendo la Bibbia alla lettera, i Sumeri erano la discendenza di Caino, che – essendo cresciuto nel Gan Eden – era stato formato e istruito dagli Elohim.L’esegesi ebraica ritiene ormai in modo unanime che Abramo, storicamente, non sia mai esistito. Quantomeno, il personaggio biblico rispondente a quel nome era evidentemente un sumero, spinto dagli Elohim a vagare “lungi dalla casa di padre mio”, viaggiando fino in Palestina. Poi, i Sumeri scomparvero di colpo, in coincidenza con la distruzione delle città ribelli di Sodoma e Gomorra, operata dagli Elohim impiegando “l’arma dei terrore”, che sprigionò nell’atmosfera una nube letale – i venti dovettero sospingerla fino alla regione di Babilonia, dove è documentata la strage della popolazione (con sintomi da contaminazione nucleare) e la fuga precipitosa degli “dèi” locali, gli Annunaki, che presero il largo a bordo dei loro “carri celesti”, in tutto simili al Kavod di Jahwè.Perché l’oro è così importante? L’oro, non il ferro, l’argento, altri metalli. Forse perché si suppone che l’oro, incorruttibile, possa isolare al 100% da radiazioni pericolose, provenienti da tecnologie avanzate? Lo affermano i controversi studiosi della cosiddetta paleo-astronautica, che si interrogano sul singolare interesse manifestato, per l’oro, da tutti gli “dèi” dell’antichità, chiamati Viracochas sulle Ande nel regno Inca, Túatha Dé Dànann in Irlanda, Elohim in Palestina, Annunaki in Mesopotamia, Theòi in Grecia, mentre Vimana è il nome che in India designa le antiche, ipotetiche astronavi dei Veda. E ancora: i semi-dei “venuti dal cielo” prendono il nome di Kachinas in Arizona, Muxul nello Yucatan presso i Maya, Dogu in Giappone, Wakinyan in Nord America presso i Lakota Sioux, Nommo in Mali presso i Dogon. Una cosa è sicura: a un certo punto, nella storia, l’oro viene improvvisamente apprezzato e ricercato, estratto, lavorato, tesaurizzato, utilizzato come valore di scambio. Tutti quegli esseri appassionati all’oro, spesso chiamati Figli delle Stelle perché comparsi a bordo di formidabili mezzi volanti, raffigurati in sculture e altorilievi ancora oggi visibili in diverse parti del mondo, instaurarono dominazioni di tipo coloniale, imponendo sempre – alle popolazioni assoggettate – lo stesso “sacrificio” quotidiano: bruciare, per loro, il grasso (inizialmente dei neonati primogeniti, poi solo di agnelli) presente in prossimità di certi organi, fegato e reni.
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Prenoto ora il grano del futuro e ne farò esplodere il prezzo
Lo scandalo SwissLeaks, in cui la Hsbc è accusata di avere aiutato decine di migliaia di clienti a nascondere i propri soldi su conti cifrati, è tornato alla ribalta in queste settimane. L’ennesimo caso che mostra come troppo spesso i maggiori gruppi bancari giochino un ruolo di primo piano in operazioni di al limite, e spesso ben oltre il limite, della legalità. Parliamo di una banca sola. E’ quasi impossibile anche solo elencare gli scandali, gli abusi e i crimini recentemente emersi a carico del sistema finanziario: dalle manipolazioni del mercato delle valute a quello dei tassi di riferimento (Libor e Euribor), dagli episodi di corruzione all’evasione fiscale, a moltissimi altri ancora. La stessa Hsbc nel 2012 ha ricevuto una multa di 1,9 miliardi di dollari dalle autorità statunitensi per una vicenda legata al riciclaggio del denaro di cartelli della droga messicani. Se le conseguenze delle operazioni illecite o apertamente illegali sono devastanti, paradossalmente sono ancora peggiori, se possibile, gli impatti del “normale” funzionamento di questo sistema finanziario.Uno degli esempi più vergognosi, non certo l’unico, è l’utilizzo dei derivati per scommettere sul prezzo del cibo e delle materie prime. I derivati sono contratti finanziari il cui valore deriva appunto da quello di un bene (titoli, indici, materie prime o altro) chiamato sottostante. I derivati sono nati essenzialmente come strumenti di copertura dai rischi: permettono di comprare, vendere o scambiare qualcosa in una data futura, a un prezzo prestabilito. Ho un pastificio e voglio pianificare la produzione. Tramite un derivato posso comprare il grano tra alcuni mesi a un prezzo fissato già oggi. In cambio di una commissione, la banca che me lo vende si assume quindi i rischi delle oscillazioni dei prezzi. E’ la loro stessa natura a renderli strumenti particolarmente adatti alla speculazione. In pratica posso scommettere su un prezzo futuro. Oggi, per molte materie prime e altre tipologie di derivati, nel 99% dei casi non c’è la consegna del sottostante. Come dire che scommetto sul prezzo futuro del grano ma non ho nessun interesse nel grano. Non ho un pastificio né sono un produttore. Sto unicamente realizzando una scommessa speculativa sul prezzo futuro di qualcosa.Per chiarire, è come se su 100 assicurazioni automobilistiche, una servisse a tutelare i proprietari di automobili, le altre 99 a scommettere che il mio vicino di casa avrà un incidente. Scommesse che esasperano l’andamento dei prezzi, creano volatilità e instabilità. Gli impatti e i danni maggiori ricadono tanto sui piccoli produttori di grano quanto sui consumatori, che si ritrovano in balia della montagna russa dei prezzi generata dalla speculazione. Non solo. Con una “normale” speculazione posso comprare una certa quantità di grano per 5.000 euro, sperare che il prezzo salga e rivenderlo. Al di là dei problemi di stoccaggio, devo materialmente avere i 5.000 euro. Posso invece acquistare per 100 euro un derivato che mi consente di comprare tra un mese lo stesso grano a 5.000 euro. Uso una leva finanziaria di 50 a 1, controllo 5.000 euro con 100 di investimento. Se tra un mese quel grano vale 5.100, realizzo 100 euro con 100, non con 5.000, il 100% di profitto invece del 2%. Se le cose vanno male, le perdite possono essere altrettanto ingenti.Quando esplode la crisi finanziaria a cavallo del 2008, giganteschi capitali fuggono dai mercati finanziari “tradizionali” e tramite i derivati si riversano sulle materie prime, alimentari e non. Il prezzo dovrebbe essere determinato dall’incontro tra domanda e offerta. Investimenti puramente finanziari creano però un’ulteriore domanda “artificiale”, il che spinge al rialzo il prezzo, richiamando altri investitori, ovvero un ulteriore aumento della domanda. Il fenomeno si autoalimenta, si crea una bolla finanziaria. Quando qualcuno inizia a vendere parte il percorso inverso: scoppia la bolla, panico sui mercati e prezzi che crollano. Sia i produttori sia i consumatori si trovano in balia dell’instabilità. Nel 2008 aumenta il prezzo di tutte e 25 le principali materie prime. Un aumento all’unisono più unico che raro e a maggior ragione ingiustificabile in un periodo di crisi. Il prezzo del grano e del mais raddoppia in pochi mesi senza che si verifichi una siccità o un altro evento naturale. Un aumento così repentino non può nemmeno essere spiegato con il cambiamento di dieta dei paesi emergenti, la crescita dei bio-combustibili o i cambiamenti climatici, tutti fenomeni di lungo periodo. E’ l’ondata speculativa che determina se milioni di esseri umani saranno in grado di sfamarsi o meno.Se possibile, c’è anche di peggio: l’instabilità e la volatilità non sono “fastidiosi” effetti collaterali, ma la base stessa del gioco. Compro un titolo per 100 euro. Se dopo un anno vale 101 euro ho realizzato una speculazione, ma il margine di profitto è bassissimo, l’1%. Se invece il titolo è in preda a fortissime oscillazioni e i prezzi sono instabili, si possono realizzare maggiori profitti. In una spirale perversa la stessa speculazione è oggi in grado di generare le oscillazioni su cui poi andrà a guadagnare: più scommesse girano su un dato titolo, più i prezzi rischiano di impazzire e più crescono le possibilità di profitti a breve, attirando nuovi squali. Le materie prime, naturalmente soggette a variabilità dei prezzi, diventano con i derivati il terreno di caccia ideale degli speculatori. La dimensione di questi fenomeni è tale che spesso i prezzi vengono determinati da manovre speculative, non da produzione e commercio. Un ribaltamento delle funzioni paradossale per una finanza che dovrebbe essere uno strumento al servizio dell’economia. I derivati sono diventati “the tail that wags the dog”, la coda che scodinzola il cane.Non solo. Acquistando un derivato sul grano non finanzio i contadini o le produzioni. Mentre centinaia di milioni di persone, in particolare nelle aree rurali, sono escluse dall’accesso al credito, somme stratosferiche inseguono profitti a breve da scommesse sul cibo, causando impatti devastanti per le fasce più deboli della popolazione. L’aspetto più incredibile è quindi che la finanza non provoca “unicamente” instabilità, crisi e squilibri, ma non riesce nemmeno a fare ciò che dovrebbe fare. Da un lato sterminati capitali sono alla continua ed esasperata ricerca di qualche sbocco di investimento. Dall’altro enormi necessità non vengono finanziate e fasce sempre più ampie della popolazione, anche da noi, si trovano escluse dai servizi finanziari. Semplificando, domanda e offerta di denaro non si incontrano. Con buona pace dell’idea dei “mercati efficienti” alla base della dottrina neoliberista che si è imposta nell’ultimo trentennio, l’attuale sistema finanziario rappresenta il più macroscopico fallimento del mercato.Una finanza che, sia direttamente tramite speculazioni o operazioni illecite, sia indirettamente tramite il drenaggio di capitali e la crescita delle disuguaglianze, è alla base dell’instabilità e delle crisi attuali. Di fronte a un sistema politico e mediatico che continua a imporre una visione secondo la quale la finanza pubblica è il problema e quella privata la soluzione, occorre ripartire per un radicale cambiamento di rotta sia riguardo alle politiche economiche sia, più in generale, per un ribaltamento dell’immaginario della crisi che ci viene quotidianamente raccontato.(Andrea Baranes, “Il fallimento della finanza”, tratto da “Fermate il mondo: voglio scendere!” di marzo-aprile 2015, ripreso da “Attac Italia”).Lo scandalo SwissLeaks, in cui la Hsbc è accusata di avere aiutato decine di migliaia di clienti a nascondere i propri soldi su conti cifrati, è tornato alla ribalta in queste settimane. L’ennesimo caso che mostra come troppo spesso i maggiori gruppi bancari giochino un ruolo di primo piano in operazioni di al limite, e spesso ben oltre il limite, della legalità. Parliamo di una banca sola. E’ quasi impossibile anche solo elencare gli scandali, gli abusi e i crimini recentemente emersi a carico del sistema finanziario: dalle manipolazioni del mercato delle valute a quello dei tassi di riferimento (Libor e Euribor), dagli episodi di corruzione all’evasione fiscale, a moltissimi altri ancora. La stessa Hsbc nel 2012 ha ricevuto una multa di 1,9 miliardi di dollari dalle autorità statunitensi per una vicenda legata al riciclaggio del denaro di cartelli della droga messicani. Se le conseguenze delle operazioni illecite o apertamente illegali sono devastanti, paradossalmente sono ancora peggiori, se possibile, gli impatti del “normale” funzionamento di questo sistema finanziario.
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Estorsioni e bugie, perché la Germania non cambia mai
Spezzare le reni alla Grecia per mettere in chiaro le cose: chi comanda non avrà pietà di nessuno. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Si chiama: capitalismo tedesco. Mordeva l’Europa già prima di Hitler, è deflagrato nella Seconda Guerra Mondiale e ora ha ripreso a correre, col Quarto Reich dei poteri forti che manovrano la loro figurina politica, Angela Merkel. I regimi cambiano, ma le linee geopolitiche di fondo restano le stesse: «La tracotanza delle classi dominanti tedesche al tavolo negoziale di Bruxelles sulla questione greca non si spiega solo ricorrendo alle origini luterane della loro cultura», sostiene Moreno Pasquinelli. «Si può comprendere piuttosto alla luce delle costanti della politica di potenza tedesca». Sono evidenti le medesime tendenze espansionistiche, attraverso i secoli:da Federico II il Grande alla cancelliera Merkel, passando prima per Bismarck e poi per Hitler. «Com’è ovvio nessun regime confessa i suoi appetiti, tanto più se sono imperialistici». La verità, quindi, esplode solo con la guerra: allora, «ciò che è latente si disvela e viene alla luce». E riecco dunque la vecchia Germania, col suo pericoloso suprematismo mercantilista: sottomettere economie per conquistare mercati.Da Bismarck in poi, «l’espansionismo militare germanico ha sempre fatto seguito a una strategia economica mercantilistica». Oggi l’ordine dei fattori sembra invertito, ma il risultato (disastroso per l’Europa) è lo stesso, scrive Pasquinelli su “Sollevazione”. Attenzione: se una potenza imperialistica viene contrastata e i suoi mercati di sbocco tendono a sfuggirle, prima o poi sviluppa la sua potenza bellica. «La posizione punitiva e oltranzista di Berlino verso la Grecia non dev’essere fraintesa», perché – oggi come ieri – non è certo il Mediterraneo «il boccone succulento che brama davvero l’imperialismo tedesco», ma «le praterie euroasiatiche, Russia in primis – e di cui Polonia, baltici e Ucraina sono solo dei ponti». Per lanciarsi ad Est, proprio come il Terzo Reich ieri, anche oggi «Berlino non avere nemici né ad Ovest né a Sud». Infatti, prima di marciare su Mosca, «Hitler dovette coprirsi le spalle ad Occidente, e lo fece – non senza prima essersi assicurata la benevolenza russa col Patto Ribbentrop-Molotov – annientando militarmente la Francia».Perché allora la Merkel tiene duro contro i greci, fino al punto di spingerli fuori dall’Eurozona? «Berlino deve “spezzare le reni” alla piccola Grecia per ribadire, anzi irrobustire, la sua supremazia, non più solo economica ma politica, sull’Europa occidentale, e avere quindi mani libere ad Est». Oggi, le armi tedesche sono l’Unione Europea e l’euro: Ue e moneta unica «sono i ferri con i quali la Germania soggioga e incatena a sé la Francia e tutti i suoi alleati». Hollande? Ridotto a comparsa, anche ai negoziati di Minsk. E se qualcuno crede alla sincerità – talora drammatica – dei tedeschi, si sbaglia di grosso. E’ la storia a smentirlo: «Contrariamente a quanto si pensa, Hitler fu un maestro nell’arte dell’occultamento dei suoi piani di aggressione», ricorda Pasquinelli. La famigerata Conferenza di Monaco del settembre 1938, con la quale ottenne da inglesi, francesi e italiani l’autorizzazione ad annettersi (dopo l’Austria) la Cecoslovacchia, «fu anche il frutto della sua memorabile abilità nell’ingannare i suoi interlocutori». Ne abbiamo le prove, data la risaputa meticolosità tedesca: i nazisti trascrissero anche le discussioni informali tra loro.«Grazie a queste – continua Pasquinelli – sappiamo non solo che tutti i piani di aggressione erano stati pensati e preparati fin nei dettagli molti anni prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale; abbiamo un’immagine icastica di quale fosse realmente il disegno strategico del grande capitalismo tedesco che sosteneva il regime nazista». Non ci credete?«Chi trova esagerato quanto noi affermiamo, che cioè esista una linea di continuità tra l’attuale geopolitica tedesca e quella nazista – scrive Pasquinelli – dovrebbe leggere con attenzione quanto affermò Hitler nelle sue conversazioni coi suoi più stretti collaboratori. Al netto delle farneticazioni razziali (“Herrenvolk”) e dei deliri di onnipotenza hitleriani, questa linea di continuità e una certa peculiare “essenza” del capitalismo tedesco, emergono con chiarezza». L’europeismo di facciata della Germania, paese da sempre ultra-nazionalista, «sfocia nell’esterofobia e nello sciovinismo conclamato». Non stupitevi, dunque, se la Germania minaccia sistematicamente l’Europa. Vale la pena considerare «quanto conti, nella psicologia dell’élite tedesca, l’amorevole adesione dei propri sudditi», e quindi oggi «quanto quindi pesi, per la Merkel, il sostegno dei suoi connazionali, la cui dimensione è direttamente proporzionale alla spietata durezza che ostenta col popolo greco».«L’ultimo degli apprendisti, il più modesto dei carrettieri tedeschi, è più vicino a me che non il più importante dei lord inglesi», chiarì Hitler nel marzo del 1942. Per Pasquinelli, «sarebbe sbagliato sottovalutare, malgrado i reiterati proclami di fede globalistici e cosmopolitici delle classi dominanti tedesche, quanto insomma pesi, nella psicologia di quelle élite, il “Deutschtum”, la germanitudine. Se si va alle radici di certo pensiero politico nazionalistico tedesco non c’è solo il reazionario Carl Schmitt col suo concetto geopolitico di “Grossraum”, che egli non a caso declinava come “comunità pluralistica di liberi popoli”. C’è Herbert Backe, che enunciò la tesi del “Grossraumordung”, come premessa del predominio imperialistico tedesco non solo ad Est ma anche ad Ovest (“Nahrungsfreiheit”). E come dimenticare Franz Albert Six, uno dei massimi e più arguti teorici della politica estera nazista? Egli vedeva “nella concentrazione delle forze economiche europee sotto l’egida del Reich l’attuazione del principio della solidarietà europea”».L’europeismo? «Si può declinare in modi molto diversi, quello nazista compreso», che è la “versione estrema” della tradizionale geopolitica tedesca. «Una politica egemonica connaturata a quello che riteniamo sia il Quarto Reich, quello che ha avuto i suoi natali con il crollo del Muro di Berlino e quindi l’annessione della Germania orientale». Ancora Hitler affermava: «Lo spazio russo è la nostra India. Come gli inglesi, noi domineremo questo impero con un pugno di uomini». E poi: «La sicurezza dell’Europa non sarà assicurata se non quando avremo ricacciato l’Asia dietro agli Urali». Quanto alla rozza plebe della Romania, «farebbe bene a rinunciare nei limiti del possibile ad avere un’industria propria», perché in quel modo «dirigerebbe le ricchezze del suo suolo, e specialmente il grano, verso il mercato tedesco; in cambio riceverebbe da noi i prodotti manifatturati di cui ha bisogno». Oggi il menù è cambiato, ma la musica no: deindistrializzare il Sud Europa, a cominciare dall’Italia, per fornire al capitalismo tedesco manodopera a basso costo.L’11 aprile 1942, nell’euforia delle prime folgoranti vittorie, Hitler sintetizza la politica tedesca in questi termini: «Per dominare i popoli che abbiamo sottomessi nei territori a est del Reich, dovremo di conseguenza rispondere nella misura del possibile ai desideri di libertà individuale che essi potranno manifestare, privarli dunque di qualsiasi organizzazione di Stato e mantenerli così a un livello culturale il più basso possibile». Chiaro, no? «Bisogna partire dal concetto che questi popoli non hanno altro dovere che servirci sul piano economico. Il nostro sforzo deve dunque consistere nel trarre dai territori che essi occupano tutto quanto se ne può trarre. Per impegnarli a consegnarci i loro prodotti agricoli, a lavorare nelle nostre miniere e nelle nostre fabbriche d’armi, li adescheremo aprendo un po’ dappertutto spacci di vendita nei quali potranno procurarsi i prodotti manifatturati dei quali abbisognano. Se vogliamo preoccuparci del benessere individuale di ognuno, non otterremo alcun risultato imponendo loro un’organizzazione sul modello della nostra amministrazione. In tal modo non faremmo che attirarci il loro odio. Infatti, quanto più gli uomini sono primitivi, tanto più avvertono come una costrizione insopportabile qualsiasi limitazione della loro libertà personale».Spezzare le reni alla Grecia per mettere in chiaro le cose: chi comanda non avrà pietà di nessuno. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Si chiama: capitalismo tedesco. Mordeva l’Europa già prima di Hitler, è deflagrato nella Seconda Guerra Mondiale e ora ha ripreso a correre, col Quarto Reich dei poteri forti che manovrano la loro figurina politica, Angela Merkel. I regimi cambiano, ma le linee geopolitiche di fondo restano le stesse: «La tracotanza delle classi dominanti tedesche al tavolo negoziale di Bruxelles sulla questione greca non si spiega solo ricorrendo alle origini luterane della loro cultura», sostiene Moreno Pasquinelli. «Si può comprendere piuttosto alla luce delle costanti della politica di potenza tedesca». Sono evidenti le medesime tendenze espansionistiche, attraverso i secoli: da Federico II il Grande alla cancelliera Merkel, passando prima per Bismarck e poi per Hitler. «Com’è ovvio nessun regime confessa i suoi appetiti, tanto più se sono imperialistici». La verità, quindi, esplode solo con la guerra: allora, «ciò che è latente si disvela e viene alla luce». E riecco dunque la vecchia Germania, col suo pericoloso suprematismo mercantilista: sottomettere economie per conquistare mercati.
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Voi pensate alla guerra, noi intanto ci mangiamo l’Ucraina
Nello stesso momento in cui gli Stati Uniti, il Canada e l’Unione Europea annunciavano una nuova serie di sanzioni contro la Russia nella metà del dicembre dello scorso anno, l’Ucraina riceveva 350 milioni di dollari in aiuti militari da parte degli Usa, arrivati subito dopo un pacchetto di aiuti da un miliardo di dollari approvato nel marzo 2014 dal Congresso degli Stati Uniti. Il maggior coinvolgimento dei governi occidentali nel conflitto in Ucraina è un chiaro segnale della fiducia nel consiglio stabilito dal nuovo governo durante i primi giorni di dicembre. Questo nuovo governo è più unico che raro nella sua specie, dato che tre dei suoi più importanti ministri sono stranieri a cui è stata accordata la cittadinanza Ucraina solo qualche ora prima di incontrarsi per questo loro appuntamento. Il titolo di ministro delle finanze è andato a Natalie Jaresko, una donna d’affari nata ed educata in America, che lavora in Ucraina dalla metà degli anni ’90, sovraintendente di un fondo privato stabilito dal governo Usa come investimento nel paese. La Jaresko è anche amministratore delegato dell’Horizon Capital, un’azienda che amministra e gestisce svariati investimenti nel paese.Per strano che possa sembrare, questo appuntamento è in linea con ciò che ha tutta l’aria di essere una acquisizione dell’economia ucraina da parte dell’Occidente. In due inchieste – “La presa di potere delle aziende sull’agricoltura ucraina” e “Camminando dalla parte dell’Ovest: la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale nel conflitto ucraino” – l’Oakland Institute ha documentato questa presa di potere, in particolarmente evidente nel settore agricolo. Un altro fattore importante nella crisi che ha portato alle proteste mortali ed infine all’allontanamento dagli uffici del presidente Viktor Yanukovich nel febbraio 2014, è stato il suo rifiuto di un patto dell’Associazione Ue, volto all’espansione del commercio e ad integrare l’Ucraina alla Ue, un patto legato a un prestito di 17 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale. Dopo la dipartita del presidente e l’installazione di un governo pro-occidente, il Fondo Monetario Internazionale ha messo in atto un programma di riforme come condizione a questo prestito, allo scopo di incrementare gli investimenti privati nel paese.Il pacchetto delle misure adottate include la fornitura pubblica di acqua ed energia e, ancor più importante, si rivolge a ciò che la Banca Mondiale identifica col nome di “radici strutturali” dell’attuale crisi economica esistente in Ucraina, con un occhio in particolare all’alto costo del generare affari nel paese. Il settore agricolo ucraino è stato un obiettivo primario per gli investitori stranieri ed è quindi logicamente visto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Centrale come un settore prioritario da riformare. Entrambe le istituzioni lodano la prontezza del nuovo governo nel seguire i loro suggerimenti. Ad esempio, il piano d’azione della riforma agraria guidata dall’Occidente nei confronti dell’Ucraina include la facilitazione nell’acquisizione di terreni agricoli, norme e controlli sulle fabbriche e sulla terra, e la riduzione delle tasse per le aziende e degli oneri doganali. Gli interessi che gravitano intorno al vasto settore agricolo dell’Ucraina, che è il terzo maggior esportatore di mais ed il quinto di grano, non potrebbero essere più alti. L’Ucraina è nota per i suoi ampi appezzamenti di suolo scuro e ricco, e vanta più di 32 milioni di ettari di terra fertile ed arabile, l’equivalente di un terzo dell’intera terra arabile di tutta l’Unione Europea.La manovra per il controllo sul sistema agricolo del paese è un fattore decisivo nella lotta che sta avendo luogo negli ultimi anni tra Occidente e Oriente, fin dalla Guerra Fredda. La presenza di aziende straniere nell’agricoltura ucraina sta crescendo rapidamente, con più di 1.6 milioni di ettari acquistati da compagnie straniere per scopi agricoli negli ultimi anni. Sebbene Monsanto, Cargill e DuPont siano in Ucraina da parecchio tempo, i loro investimenti nel paese sono cresciuti in modo significativo in questi ultimi anni. Cargill, gigante agroalimentare statunitense, è impegnato nella vendita di pesticidi, sementi e fertilizzanti, e ha recentemente espanso i suoi investimenti per acquistare un deposito di stoccaggio del grano, nonché una partecipazione nella UkrLandFarming, il maggiore agrobusiness dell’Ucraina. Similarmente, la Monsanto, altra multinazionale americana, era già da un po’ in Ucraina, ma ha praticamente duplicato il suo team negli ultimi tre anni. Nel marzo 2014, appena qualche settimana dopo la destituzione di Yanukovych, l’azienda investì 140 milioni nella costruzione di un nuovo stabilimento di sementi in Ucraina. Anche la DuPont ha allargato i suoi investimenti annunciando, nel giugno 2013, la volontà di investire anch’essa in uno stabilimento di sementi nel paese.Le aziende occidentali non hanno soltanto preso il controllo su una porzione redditizia di agribusiness e altre attività agricole, hanno iniziato una vera e propria integrazione verticale nel settore agricolo, estendendo la presa sulle infrastrutture e sui trasporti. Per dire, la Cargill al momento possiede almeno quattro ascensori per silos e due stabilimenti per la lavorazione dei semi di girasole e la produzione di olio di girasole. Nel dicembre 2013 l’azienda ha acquistato il “25% + 1% condiviso” in un terminal del grano nel porto di Novorossiysk, nel Mar Nero, terminal con una capacità di 3.5 milioni di tonnellate di grano all’anno. Tutti gli aspetti della catena di fornitura dell’Ucraina Agricola – dalla produzione di sementi ed altro, all’attuale possibilità di spedizione di merci fuori dal paese – stanno quindi incrementando sotto il controllo dei colossi occidentali. Le istituzioni europee e il governo degli Usa hanno attivamente promosso questa espansione.Tutto è iniziato con la spinta per un cambiamento di governo quando il fu presidente Yanukovych era visto come un filorusso, manovra ulteriormente incrementata, a cominciare dal febbraio 2014, attraverso la promozione di un’agenda delle riforme “pro-business”, come descritto dal segretario statunitense del commercio, Penny Pritzker, durante il suo incontro con il primo ministro Arsenly Yatsenyuk nell’ottobre 2014. L’Unione Europea e gli Stati Uniti stanno lavorando duramente, mano nella mano, per prendere possesso dell’agricoltura ucraina. Sebbene l’Ucraina non permetta la produzione di coltivazioni geneticamente modificate (Ogm), l’Accordo Associato tra Ue e l’Ucraina, che accese il conflitto che poi espulse Yanukovych, include una clausula (articolo 404) che impegna entrambe le parti a cooperare per “estendere l’uso delle biotecnologie” all’interno del paese. Questa clausula è sorprendente, dato che la maggior parte dei consumatori europei rifiuta l’idea delle coltivazioni Ogm. Ad ogni modo, essa crea un’apertura in grado di portare i prodotti Ogm in Europa, un’opportunità tanto desiderata dai grandi colossi agroalimentari, come ad esempio Monsanto.Aprendo l’Ucraina alle coltivazioni Ogm si andrebbe contro la volontà dei cittadini europei, e non è chiaro come questo cambiamento potrebbe portare migliorie alla popolazione ucraina. Allo stesso modo non è chiaro come gli ucraini beneficeranno di questa ondata di investimenti stranieri nella loro agricoltura, e quale sarà l’impatto che questi ultimi avranno su sette milioni di agricoltori locali. Alla fine, una volta che si distoglierà lo sguardo dal conflitto nella parte est “filorussa” del paese, i cittadini ucraini potrebbero domandarsi cosa è rimasto della capacità del paese di controllare e gestire l’economia e le risorse a loro proprio beneficio. Quanto ai cittadini statunitensi ed europei, alla fine si sveglieranno dalle retoriche sulle aggressioni russe e sugli abusi dei diritti umani, e contesteranno il coinvolgimento dei loro governi nel conflitto ucraino?(Frederic Mousseau, “I giganti agricoli occidentali si accaparrano l’Ucraina”, da “Atimes” del 28 gennaio 2015, ripreso da “Come Don Chisciotte”. Mousseau è direttore delle politiche all’Oakland Institute).Nello stesso momento in cui gli Stati Uniti, il Canada e l’Unione Europea annunciavano una nuova serie di sanzioni contro la Russia nella metà del dicembre dello scorso anno, l’Ucraina riceveva 350 milioni di dollari in aiuti militari da parte degli Usa, arrivati subito dopo un pacchetto di aiuti da un miliardo di dollari approvato nel marzo 2014 dal Congresso degli Stati Uniti. Il maggior coinvolgimento dei governi occidentali nel conflitto in Ucraina è un chiaro segnale della fiducia nel consiglio stabilito dal nuovo governo durante i primi giorni di dicembre. Questo nuovo governo è più unico che raro nella sua specie, dato che tre dei suoi più importanti ministri sono stranieri a cui è stata accordata la cittadinanza Ucraina solo qualche ora prima di incontrarsi per questo loro appuntamento. Il titolo di ministro delle finanze è andato a Natalie Jaresko, una donna d’affari nata ed educata in America, che lavora in Ucraina dalla metà degli anni ’90, sovraintendente di un fondo privato stabilito dal governo Usa come investimento nel paese. La Jaresko è anche amministratore delegato dell’Horizon Capital, un’azienda che amministra e gestisce svariati investimenti nel paese.
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Barnard: cosa sono gli speculatori e quanto male ci fanno
«Welcome to the crazed world of “The Masters of the Universe”». Benvenuti nel mondo allucinante dei “Padroni dell’Universo”. E’ un’espressione coniata a Wall Street dai collaboratori del super-speculatore John Meriwether, padrone dell’hedge fund Ltcm, una macchina per fare soldi fittizi truffando con numeri fittizi per miliardi di dollari l’intero mondo. Lavoravano, questi avvoltoi, con una tale feroce maniacalità che all’apice del successo e delle piramidi di coca che gli passarono nel sangue, una notte stapparono un rosso da 7.000 dollari a bottiglia e gridarono: «Siamo i Padroni dell’Universo!». Ltcm collassò nell’orgia finanziaria suicida nel 1998, e si rischiò il collasso della finanza mondiale. Dopo di loro, l’America e l’Europa si accorsero del pericolo nucleare che ’sta gente rappresentava, e corsero ai ripari: ne crearono di peggio.
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Isis, l’Uomo Nero creato per distrarci dal disastro in arrivo
L’Isis? «Sa fare marketing di ciò che rubano», cioè «petrolio, grano e altre materie prime». In più, gli jihadisti “venuti dal nulla” «sanno riciclare denaro, sanno fare show business mediatico come nessun altro». Date un’occhiata alla carta geografica: «Sono piantati come un’erbaccia proprio all’incrocio delle maggiori nazioni egemoni del Medioriente: Siria, Iran, Turchia, Iraq». Sono piazzati esattamente lì, e «destabilizzano tutto e tutti», scrive Paolo Barnard. «Questi predoni, e sono solo predoni, sono stati infiltrati dai servizi Usa-Israele proprio per destabilizzare tutta la politica e il pubblico internazionale nel momento in cui altri problemi stanno precipitando (finanza)». I loro metodi, così feroci e brutali? «Sono troppo lontani dai principi dell’Islam radicale che mi furono raccontati dal capo spirituale di Al-Qaeda di persona», garantisce Barnard, autore del saggio “Perché ci odiano” (Rizzoli) sullo scontro con gli arabi motivato dalla pulizia etnica della Palestina pianificata dal sionismo. I guerriglieri dell’Isis? «Sono troppo ben organizzati per non aver avuto aiuti occidentali».La domanda è: perché in vent’anni Al-Qaeda non è mai riuscita a fare quello che l’Isis oggi fa tranquillamente, sotto lo sguardo del mondo? «Bin Laden fu organizzato e finanziato dalla Cia durante tutta l’invasione sovietica dell’Afghanistan, poi fu abbandonato», prende nota Barnard nel suo blog. «Non vi dice qualcosa che Al Qaeda si sia ritrovata senza mezzi e nascosta in piccoli buchi del mondo dopo l’abbandono americano?». Attenzione: la cosiddetta Isis «commercia in “commodities” e lavora con le banche internazionali». Strano, no? «Credete che Isis possa vendere tonnellate di petrolio e grano ed essere pagata in contanti? Valigette di contanti? Camion di contanti? Treni di contanti? Sveglia!». E’ più che ovvio: chi li ha messi in campo, armati fino ai denti, continua a finanziarli e proteggerli. Sono il “nemico” perfetto, per una guerra che oggi si spera sia lunga, abbastanza lunga da oscurare, mediaticamente, le grane in arrivo, di ben altro genere.«I soliti predoni funzionali a distrarre l’Occidente», conclude Barnard. «L’ho scritto anni fa: si chiama “la Politica della Paura”. Isis, Ebola, oddio! Tu non pensare che due direttive Ue e una riunione della Fed ci faranno perdere 1 milione di posti di lavoro nei prossimi due anni. Isis…. Buuuuuu! L’uomo nero!». Chiaro, adesso, perché l’Isis si è incuneata nel cuore del Medio Oriente proprio ora? Alcuni osservatori scrissero osservazioni analoghe alla vigilia delle drammatiche tensioni con la Russia in Ucraina: un pretesto per minacciare la Cina scuotendo Mosca, il grande forziere energetico, ma soprattutto un pretesto per alzare i toni e invadere i media con notizie fabbricate, lontane dalla crisi occidentale. Ucraina, Isis, Ebola. Geopolitica e psicosi, “armi di distrazione di massa”. Seguite i soldi, consiglia Barnard, e scoprirete che la strada insanguinata dell’Isis non porta verso la Mecca, ma dalle parti di Wall Street e della Casa Bianca.L’Isis? «Sa fare marketing di ciò che rubano», cioè «petrolio, grano e altre materie prime». In più, gli jihadisti “venuti dal nulla” «sanno riciclare denaro, sanno fare show business mediatico come nessun altro». Date un’occhiata alla carta geografica: «Sono piantati come un’erbaccia proprio all’incrocio delle maggiori nazioni egemoni del Medioriente: Siria, Iran, Turchia, Iraq». Sono piazzati esattamente lì, e «destabilizzano tutto e tutti», scrive Paolo Barnard. «Questi predoni, e sono solo predoni, sono stati infiltrati dai servizi Usa-Israele proprio per destabilizzare tutta la politica e il pubblico internazionale nel momento in cui altri problemi stanno precipitando (finanza)». I loro metodi, così feroci e brutali? «Sono troppo lontani dai principi dell’Islam radicale che mi furono raccontati dal capo spirituale di Al-Qaeda di persona», garantisce Barnard, autore del saggio “Perché ci odiano” (Rizzoli) sullo scontro con gli arabi motivato dalla pulizia etnica della Palestina pianificata dal sionismo. I guerriglieri dell’Isis? «Sono troppo ben organizzati per non aver avuto aiuti occidentali».
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Il pupazzo Renzi ci sta spedendo nell’inferno del Ttip
Così pochi giorni fa abbiamo udito le voci del ventriloquo uscire dalle bocche dei nostri governanti. L’ineffabile Renzi, colui che il più delle volte parla senza dire alcunché (è anche questa una capacità molto importante per i politici di oggi, ma bisogna dare a lui il merito di averla portata alle vette del sublime), stavolta, animato dal ventriloquo, ha detto qualcosa di concreto: che bisogna firmare subito il Ttip, il trattato internazionale di libero commercio tra Usa ed Europa. «E’ tutto a nostro vantaggio», ha detto il ventriloquo. «Sst!… Guerrino dorme, non risvegliamolo. Vorrei sbagliarmi, ma credo che ogni giorno di più dubita di non esistere, d’essere un’armatura piena di vento…» (Gesualdo Bufalino). Dice che venderemo più facilmente i nostri prosciutti e il nostro parmigiano agli americani. Finalmente. Allora ci metteremo tutti a produrre prosciutti e parmigiano, e cargo di prosciutti e parmigiano, e magari vino Chianti e Brunello partiranno per l’America, inondando le mense Usa e sostituendo hamburger, popcorn, cibi in scatola e in plastica di ogni genere e tipo.Continueremo a importare grano, riso, carne, verdure, sementi, piante da orto e da giardino, soia e mais e farine animali da far mangiare ai maiali per i prosciutti e alle vacche per il parmigiano, pesticidi con cui irrorare i già troppo estesi vigneti del Chianti e del Brunello, ecc ecc, e molte di queste cose continueremo ad importarle dagli Stati Uniti, come già facciamo. Con una piccola differenza, però, rispetto ad ora: non potremo più rifiutare nulla. Non potremo più escludere ormoni, Ogm, veleni di qualsiasi genere dal nostro commercio e consumo, non potremo nemmeno più essere avvertiti della loro presenza da un’etichetta (e nemmeno da un articolo pubblicato su un giornale) perché sarebbe “concorrenza sleale”, punita con gravi sanzioni pecuniarie, se non peggio. Diventerebbe illegale anche un’etichetta che specificasse “esente da Ogm”: sarebbe sempre concorrenza sleale. “Sleale”! Ma dov’è finito il significato delle parole?Il Ttip (trattato di libero commercio), libererebbe le multinazionali Usa (e non solo) da ogni limite e vincolo che oggi la nostra legislazione prevede, e che abbiamo conquistato a seguito di tante lotte, mobilitazioni, impegno e lavoro di associazioni, gruppi e gente varia. Libererebbe le multinazionali e incatenerebbe noi. Ogni passo avanti nel cammino della globalizzazione imperialista è un passo avanti nella sottomissione dei popoli. Mentre quelli che ci stanno rendendo schiavi sventolano la bandiera della Santa Democrazia ogni volta che devono dare l’assalto a qualche paese refrattario e recalcitrante al farsi “globalizzare”. Il Ttip è un piano con cui le grandi corporations vogliono accaparrarsi tutto l’accaparrabile, controllare tutto il commercio, imporre a tutti i loro prodotti. Viene discusso in segreto, tenendone all’oscuro, con la complicità dei governi, i popoli che ne saranno vittime.E’ un’altra rapina di risorse naturali ed economiche, aumenterà la povertà dei molti e la ricchezza dei dominatori del mondo, accelererà la distruzione della Terra e della nostra salute. Se verrà approvato. Intanto, non lasciamo che a berciare sia solo il ventriloquo attraverso le sue marionette: la maggior parte dei cittadini non ne ha mai sentito parlare, se non da Renzi & C. Informiamoci e informiamo, facciamo conoscere la verità e gli obiettivi di questo trattato commerciale. Tutti devono capire, tutti quelli che sanno e hanno capito devono informare coloro che “cadono dalle nuvole” ma che pesano, eccome, sul piatto della bilancia. Il Trattato prevede che le legislazioni dei singoli Stati si pieghino alle norme di libero scambio stabilite dalle multinazionali, pena gravi sanzioni commerciali e risarcimenti (alle multinazionali) degli Stati contravventori. O delle Regioni, o dei Comuni.Sicurezza alimentare, norme sulle sostanze tossiche, sanità, medicinali, energia, cultura, risorse naturali, formazione professionale, appalti pubblici… tutto verrebbe piegato e ridisegnato secondo gli interessi delle multinazionali. Sarebbero creati appositi tribunali internazionali per tutelarne gli interessi. I servizi pubblici diventerebbero merce di libero scambio. Stiamo parlando di scuole, ospedali, ferrovie, musei, opere pubbliche, foreste e terreni, energia elettrica. Tutto “liberamente scambiabile”! Tutto arraffabile, accaparrabile, rapinabile dalle grandi industrie Usa ed europee. Nella delegazione americana che sta conducendo le trattative ci sono più di seicento (600!) rappresentanti mandati dalle multinazionali. Seicento loro lacché, funzionari, mercenari: dopotutto, è una guerra, e quei seicento si batteranno fino all’ultimo: per loro è questione di vita o di morte. Cioè di carriera e prestigio o di fallimento, che è tutto ciò che concepiscono della vita.Le istruzioni per tutti i lacché, Usa ed europei, politici e non, sono: non far trapelare nulla, fino alla fine, di ciò che si discute. Chissà perché? A noi italiani almeno lo potrebbero dire, dato che il Ttip “è tutto a nostro vantaggio”. «Con le monete in una mano, un bel niente nell’altra, persuasero tutti, eccetto il bambino – già sapeva… che, qualsiasi mano avesse toccato delle due tese avanti, sarebbe stata sempre quella vuota» (R. S. Thomas). Peccato che il trattato simile di libero commercio fatto tra Usa e Messico non sia stato anche lui a tutto vantaggio dei contadini messicani, che hanno visto inondare il mercato interno di mais Usa geneticamente modificato e a prezzi stracciati e, oltre a non riuscire più a vendere il proprio prodotto, vengono denunciati e rovinati dalla Monsanto perché il loro mais è contaminato.(Sonia Savioli, “Ventriloqui, pupazzi e accordo commerciale Usa-Ue”, da “Il Cambiamento” del 26 giugno 2014).Così pochi giorni fa abbiamo udito le voci del ventriloquo uscire dalle bocche dei nostri governanti. L’ineffabile Renzi, colui che il più delle volte parla senza dire alcunché (è anche questa una capacità molto importante per i politici di oggi, ma bisogna dare a lui il merito di averla portata alle vette del sublime), stavolta, animato dal ventriloquo, ha detto qualcosa di concreto: che bisogna firmare subito il Ttip, il trattato internazionale di libero commercio tra Usa ed Europa. «E’ tutto a nostro vantaggio», ha detto il ventriloquo. «Sst!… Guerrino dorme, non risvegliamolo. Vorrei sbagliarmi, ma credo che ogni giorno di più dubita di non esistere, d’essere un’armatura piena di vento…» (Gesualdo Bufalino). Dice che venderemo più facilmente i nostri prosciutti e il nostro parmigiano agli americani. Finalmente. Allora ci metteremo tutti a produrre prosciutti e parmigiano, e cargo di prosciutti e parmigiano, e magari vino Chianti e Brunello partiranno per l’America, inondando le mense Usa e sostituendo hamburger, popcorn, cibi in scatola e in plastica di ogni genere e tipo.