Archivio del Tag ‘Il Riformista’
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Spenta la discoteca di Arcore, verrà l’ora di Tremonti
L’ora X di Giulio Tremonti si avvicina. Inesorabilmente? Nei pronostici del dopo-Berlusconi il suo nome è quello più gettonato da mesi. Ogni buon cronista di cose politiche avrà scritto su di lui migliaia di righe raccogliendo le sue parole, sempre più scarse, quelle dei suoi detrattori, sempre più anonime, le voci dei nuovi supporters. A differenza di quanto accade a candidati di una corsa lunga che vedono assottigliarsi le forze e le chanches in vista del traguardo provati dalla lunga fatica, Giulio Tremonti appare invece sempre più pimpante nei suo vestiti chiari molto-ceto-medio, con quel sorrisino ironico che sembra prendersi gioco del teatrino della politica, con le assidue frequentazioni di banchieri di Dio e di leghisti della prima ora.
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Dieci milioni di firme? Meglio se fossero voti
Nelle moderne società dominate dai media le principali battaglie di potere si presentano come battaglie culturali e la politica si trasforma in un teatro. Berlusconi ha capito bene questa lezione dei moderni studiosi dell’età dell’informazione e sta trasformando questa drammatica vicenda in un nuovo atto della commedia “noi contro di loro”. Siamo sommersi da messaggi per favorire la nascita di una comunità difensiva identificata con il premier. Giornali e tv amiche tentano di convincere l’elettorato di essere al centro di uno scontro in cui a Berlusconi tocca la parte di Davide contro il Golia rappresentato dai magistrati di sinistra.
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Rubygate, Berlusconi teme Letta e i servizi segreti?
L’accerchiamento è sempre più asfissiante. E la paura è che dalla procura di Milano il “grosso” non sia ancora arrivato. Mentre nell’ultimo clamoroso video-messaggio del 19 gennaio, giudicato “eversivo” da molti commentatori, il premier pretende che vadano «puniti» i magistrati che indagano sul “Ruby-gate”, Berlusconi teme che nei cassetti delle redazioni ci siano interi arsenali pronti ad esplodere. Il quadro sembra fuori controllo: non è un caso che Niccolò Ghedini, durante la riunione con tutti gli avvocati del premier, abbia dato voce al sospetto più inquietante: «Ma è possibile che tutti gli apparati sono in mano a uomini non nostri, da D’Alema a De Gennaro, e in questa vicenda non abbiamo avuto comunicazioni su quel che stava accadendo?».
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Mirafiori, no a Marchionne: il futuro non sarà neo-feudale
L’immensa saggezza dei lavoratori della Fiat ha consegnato al dibattito pubblico un risultato del referendum praticamente perfetto. La risicata vittoria del “sì”, ottenuta grazie al plebiscito pro-Marchionne degli impiegati, impedisce la fuga dall’Italia della produzione dell’auto e al tempo stesso impone all’azienda la necessità di riaprire il confronto con la Fiom. Il risultato parla con chiarezza. Il voto di una impressionante minoranza ha sbarrato la strada alla pretesa di Marchionne di avere una piena disponibilità della forza lavoro attraverso la cancellazione dal panorama della fabbrica di uno dei sindacati più rappresentativi: impossibile escludere la Fiom, ma neppure ignorare la straordinaria partecipazione al voto.
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Il Pd si decida: senza Marchionne non ci sarebbe più la Fiat
Se malauguratamente a Mirafiori vincesse il no, il governo dovrebbe convocare un tavolo per trovare un rimedio. Anche se sarebbe molto difficile farlo. Come ha ben spiegato Marchionne, le auto che vanno vendute sulla “piazza” internazionale hanno bisogno di essere prodotte con modalità e tempi coerenti con la domanda dei mercati. A Torino la gente è infastidita dal tentativo di politicizzare una questione sindacale, economica e sociale. E soprattutto la città sa che Marchionne è stato l’uomo che ha salvato il Gruppo Fiat e che, insieme agli enti locali, ha impedito la chiusura di Mirafiori. Nel 2003-2004 Mirafiori era praticamente chiusa. Al punto che c’erano già alcune proposte per riconvertire quell’area persino in un mastodontico parco divertimenti. Una specie di Gardaland di Torino, non so se mi spiego. Quanto a Marchionne, rimane l’uomo che ha preso quella macchina ingrippata che era diventata la Fiat e l’ha salvata.
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D’Elia-choc: Battisti libero, criminale è il carcere italiano
«Lo Stato italiano è un delinquente abituale. Basta considerare che le nostre carceri sono strumenti di tortura». E «la nostra classe politica sta ragionando secondo la logica parabrigastista del “colpirne uno”, e cioè Cesare Battisti, per assolverne cento». L’ex deputato radicale Sergio D’Elia, leader di “Nessuno tocchi Caino”, grida «onore a Lula». L’intervista che D’Elia consegna a Tommaso Labate del “Riformista” è di quelle destinate a lasciare un segno nel dibattito sulla mancata estradizione del pluriomicida esponente dei Pac, Proletari armati per il comunismo. Già segretario dell’Ufficio di presidenza della Camera, con alle spalle 12 anni di carcere per terrorismo (Prima Linea), D’Elia difende la scelta del Brasile di non consegnare all’Italia Battisti.
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Macché regia occulta, apriamo gli occhi sulla rivolta
Per favore, lasciamo perdere le ciance sui Black Bloc, gli infiltrati e la teoria della regia occulta incaricata di criminalizzare la protesta. Più che di dietrologia, abbiamo bisogno di aprire gli occhi: la ribellione degli studenti è autentica e la loro rabbia è un fenomeno di massa, non un trucco da professionisti della violenza, magari manipolati dalla questura. Parola del professor Franco Piperno, leader di “Potere Operaio” e oggi docente all’Università della Calabria. Protagonista della storica contestazione studentesca del ’68, Piperno oggi non ha dubbi: gli studenti in rivolta denunciano «la menzogna collettiva che passa attraverso giornali e tv», che si guardano bene dal raccontare «la reale condizione degli italiani», a cominciare dai più giovani.
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Pansa: ma chi pilota l’informazione, Porro o Marcegaglia?
Che cosa ho imparato nei primi anni di giornalismo? Alla “Stampa”, al “Giorno” e al Corriere della sera, mi hanno insegnato che l’inchiesta è il top della professione, la prova di eccellenza, il traguardo glorioso di un cronista. A Repubblica la pensava nello stesso modo Eugenio Scalfari. Del resto lui veniva da anni di “Espresso”. E con Lino Jannuzzi aveva scritto un’indagine rimasta famosa contro il Piano Solo del generale Giovanni De Lorenzo. Piero Ottone, direttore del “Corriere della sera”, amava molto le inchieste. Ne ricordo una che scrissi per lui, insieme a Gaetano Scardocchia. Era il febbraio 1976 quando emerse lo scandalo Lockheed, la grande azienda americana che fabbricava aerei.
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Ciao Balotelli, qui non c’è posto per chi ha carattere
E alla fine SuperMario se n’è andato. L’Inter ha ceduto Balotelli al Manchester City per ventotto milioni di euro. Al giocatore un contratto di cinque anni. Sul suo trasferimento ci eravamo già espressi. È un bene per lui, giovane campione dal carattere piuttosto difficile, che in Italia avrebbe rischiato di fare la fine di Totti, grande talento che non è mai esploso definitivamente a livello internazionale per essere rimasto nel cortile di casa. Per Mario, però, il discorso forse è un po’ diverso. E addolora sapere che da noi chiunque abbia un carattere spigoloso finisce con l’avere vita dura.
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Travaglio-boom in edicola, il Fatto nel nome di Biagi
“Quella sporca dozzina”, per usare una (gradita) definzione dell’amico Carlo Freccero, ha fatto boom: il numero d’esordio de “Il fatto quotidiano”, il nuovo giornale di Marco Travaglio, il 23 settembre ha bruciato l’intera tiratura, centomila copie, in tutte le edicole. «Ce lo aspettavamo, non ci montiamo a testa ma intanto abbiamo raddoppiato la distribuzione: duecentomila», cui si aggiungono i trentamila abbonati-sostenitori, «cui va la nostra totale riconoscenza per un atto di fiducia anticipata, al buio» verso una nuova testata della quale gli stessi giornalisti sono anche gli editori, all’insegna della più totale indipendenza e senza l’aiuto di contributi pubblici.