Archivio del Tag ‘Inferno’
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La guerra dell’Ue contro la nostra civiltà democratica
L’attuale guerra condotta con mezzi commerciali e finanziari sta trasformando l’Ue nel più grande esperimento di riduzione dei diritti umani. Il tema più dibattuto e complesso è quello sullo status dei diritti sociali nell’odierna Europa: si è passati lentamente dalla concezione che le esigenze di protezione sociale potessero costituire sviluppo e potenziamento delle libertà individuali, all’ideologia ultraliberista del “s’aiuti dunque chi può”, tipico pensiero spietato delle classi privilegiate nei riguardi delle classi povere. La polarizzazione della ricchezza e lo svuotamento della classe media ha portato con sé una guerra accanita nella quale i più forti schiacciano inesorabilmente i deboli e gl’inesperti. Gli uomini, senza unità di scopo, guidati dal solo dogma della legge di mercato, vengono manipolati verso il progetto europeo e parallelamente verso una progressiva degradazione strutturale del rango e dell’orgoglio delle nazioni aderenti ad esso.Il dissidio tra democrazia costituzionale italiana e trattati Ue è del tutto evidente, se si analizza il modello sociale ed economico che la Costituzione italiana ha indubbiamente abbracciato nel modello del 1948. Il dovere alla solidarietà, considerato come “base della convivenza democratica”, viene completamente disatteso dall’impianto europeo, in particolar modo in quella che è stata la gestione della crisi economica dal 2008 in poi: comunità nazionali deprivate delle conquiste economico-sociali di oltre un secolo di lotte, con una subdola gradualità che non deve consentirgli di accorgersene in tempo utile (attraverso meccanismi infernali di controllo totalizzante ed anti-democratico come la Troika). La competizione inevitabile e programmatica tra Stati aderenti all’Unione esclude la solidarietà tra i membri: economie di interi Stati si stanno completamente dissolvendo in nome dell’irrazionale equazione Ue = euro, rendendo schiave generazioni di popoli a cui si predicano “i diritti civili”, non consentendo loro di esercitare diritti politici e sociali.Allo sfaldamento della base economica dello Stato democratico italiano corrisponde dunque un’accelerazione della perdita di diritti in toto, che è pericolosamente derivante dall’originaria incompatibilità del disegno di Maastricht coi principi fondamentali della nostra democrazia costituzionale. Le “riforme” pretese dal “cammino di convergenza”, che si è ormai trasformato in un campo di macerie da Berlino ad Atene, non sono altro che il mezzo per accelerare irreversibilmente la caduta del modello socio-economico costituzionale per l’instaurazione dell’impianto ordoliberista, che esclude totalmente la solidarietà e la centralità della persona umana.(Martina Carletti, “L’Unione Europea e la distruzione della solidarietà sociale”, da “Appello al Popolo” del 22 settembre 2014).L’attuale guerra condotta con mezzi commerciali e finanziari sta trasformando l’Ue nel più grande esperimento di riduzione dei diritti umani. Il tema più dibattuto e complesso è quello sullo status dei diritti sociali nell’odierna Europa: si è passati lentamente dalla concezione che le esigenze di protezione sociale potessero costituire sviluppo e potenziamento delle libertà individuali, all’ideologia ultraliberista del “s’aiuti dunque chi può”, tipico pensiero spietato delle classi privilegiate nei riguardi delle classi povere. La polarizzazione della ricchezza e lo svuotamento della classe media ha portato con sé una guerra accanita nella quale i più forti schiacciano inesorabilmente i deboli e gl’inesperti. Gli uomini, senza unità di scopo, guidati dal solo dogma della legge di mercato, vengono manipolati verso il progetto europeo e parallelamente verso una progressiva degradazione strutturale del rango e dell’orgoglio delle nazioni aderenti ad esso.
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Barnard: niente più soldi dalle banche, grazie all’euro
E’ il 29esimo mese consecutivo (“Bloomberg”) che le banche europee non prestano alle piccole medie aziende in quantità sufficiente per sopravvivere. Imprenditori, per PIETA’ pietà capite le basi! Una banca presta a X solo se il tasso d’interesse che può ricavarne è migliore del prestito a Y. Se la Borsa o i titoli di Stato gli danno interessi migliori delle aziende, ovviamente scelgono i primi. Lo diceva un mostro universale dell’economia nel capitolo 17 della “General Theory”, cioè John Maynard Keynes. Ora, le banche sono delle merde. Lo sono per nascita e definizione. Se non potessero rubare non esisterebbero. Ma… Ma è anche vero che purtroppo nell’economia aziendale le banche hanno anche dei limiti severi. Si chiamano “limitazione di capitale”. Cioè: non hanno grossi problemi a fottere i 12 euro al mese al cliente comune, ma quando vanno a prestare alle aziende i limiti li hanno (troppo complessi da spiegare qui). Allora, se è vero che le banche sono oggi affogate di liquidità (per volontà della Bce), perché non prestano a chi lavora?Ripeto: perché oggi l’ECONOMIA DELLE AUSTERITA’ VOLUTA DALLA GENERAZIONE NEOCLASSICA DI ECONOMISTI DOMINANTI l’economia delle austerità voluta dalla generazione neoclassica di economisti dominanti (Serra, Taddei renziani inclusi) ha talmente devastato l’ECONOMIA REALE economia reale che le banche non sanno dove girarsi. I titoli di Stato? Danno interessi da far ridere i polli. La Borsa? Le banche Usa non possono possedere titoli di Borsa, le altre li guardano e li vedono crollare un giorno sì e l’altro sì. I Corporate bonds, cioè i titoli emessi da aziende che chiedono soldi in prestito? Valgono oggi, nella catastrofe europea, come un cecio nella spazzatura del circo. Prestare alle aziende? Nell’inferno dell’Eurozona non si fidano. Lo hanno fatto e si sono trovate in Europa con 1.500 miliardi di euro di prestiti che non riavranno mai più, A CAUSA DELLE AUSTERITA’ VOLUTE DALLA MERKEL a causa delle austerità volute dalla Merkel. La banche non sanno dove girarsi. E vanno a drogarsi al limite della Galassia finanziaria giocando coi mostri del pianeta Vega: i Derivati.Ed ecco che le banche, ladre, bastarde finché volete, hanno però anche dei conti da fare, e nell’olocausto economico dell’euro/Merkel non ci si mettono. Anche perché, come da me detto e spiegato, sono di fatto tutte tecnicamente fallite. Imprenditori, per pietà, (mi fotto di voi che comunque la Bmw da 60.000 euro l’avete – ciao Tanari – ma dei vostri operai), capite cosa sta succedendo? Non esisterà mai più crescita se non si disintegra dalla faccia della terra il più catastrofico progetto monetario dai tempi di Ramses II d’Egitto: l’Eurozona, che impoverisce interi paesi per favorire Berlino e solo Berlino, mettendo le banche nel circolo vizioso descritto sopra. E non esisterà mai più crescita se le banche non vengono messe sotto strettissimo controllo dei Parlamenti nazionali, con un ampio aiuto pubblico all’economia REALE reale, così che le banche tornino a prestare a voi, piccoli, medi, imprenditori, guadagnandoci. E se non si torna a John Maynard Keynes, interpretato nei tempi moderni da Warren Mosler, della Mosler Economics.(Paolo Barnard, “29esimo mese di stretta di credito a chi lavora: imprenditori, sveglia!”, dal blog di Barnard del 30 ottobre 2014).E’ il 29esimo mese consecutivo (“Bloomberg”) che le banche europee non prestano alle piccole medie aziende in quantità sufficiente per sopravvivere. Imprenditori, per pietà capite le basi! Una banca presta a X solo se il tasso d’interesse che può ricavarne è migliore del prestito a Y. Se la Borsa o i titoli di Stato gli danno interessi migliori delle aziende, ovviamente scelgono i primi. Lo diceva un mostro universale dell’economia nel capitolo 17 della “General Theory”, cioè John Maynard Keynes. Ora, le banche sono delle merde. Lo sono per nascita e definizione. Se non potessero rubare non esisterebbero. Ma… Ma è anche vero che purtroppo nell’economia aziendale le banche hanno anche dei limiti severi. Si chiamano “limitazione di capitale”. Cioè: non hanno grossi problemi a fottere i 12 euro al mese al cliente comune, ma quando vanno a prestare alle aziende i limiti li hanno (troppo complessi da spiegare qui). Allora, se è vero che le banche sono oggi affogate di liquidità (per volontà della Bce), perché non prestano a chi lavora?
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Lavoratori all’inferno: grazie a Renzi, ma anche alla Cgil
Lavoro garantito, lavoro precario, lavoro nero. Quello garantito deve sparire alla svelta, è un’anomia della storia: «Renzi e i suoi accoliti vogliono realizzare i “sogni” dei padroni neocapitalisti, unificando il mercato del lavoro italiano sotto il segno, non dei pesci, ma della precarietà fin dall’inizio della vita lavorativa», scrive Eugenio Orso. «La Cgil dell’orripilante Camusso, legata a doppio filo al Pd, deve obbligatoriamente fingere di opporsi e di tutelare gli iscritti, per trattenere tessere e consensi». Operazione che «puzza di bruciato», di contrapposizione solo mediatica che certo non fermerà “il nuovo che avanza”. Prima il contratto d’ingresso senza diritti per i nuovi assunti, e poi in futuro l’abolizione del tempo indeterminato anche per i “vecchi” lavoratori? «Non si può partecipare troppo apertamente al massacro: questo i vertici della Cgil lo sanno bene, perciò si oppongono alla riforma, a costo di passare per “conservatori”».Da molto tempo, scrive Orso in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, la propaganda sistemica giustifica lo smantellamento delle difese dei lavoratori e utilizza in modo subdolo i temi della precarietà e della disoccupazione, come se non fosse proprio il sistema ad aver diffuso precari e disoccupati. Oggi, al colmo dell’ipocrisia, con Renzi si arriva a denunciare la “spaccatura” nel mercato del lavoro italiano, «una tripartizione che genera squilibri e ingiustizie sociali, non producendo alcun effetto positivo per la produzione, i redditi e i consumi». Resiste una quota di lavoro ancora “garantito”, tutelato dalla legge e dallo Statuto dei Lavoratori degli anni ‘70, ma «sta diventando sempre di più l’ultima “ridotta”, particolarmente nel pubblico impiego, dei diritti e delle tutele concesse ai lavoratori». Secondo Orso «è destinato progressivamente a scomparire, perché troppo “oneroso”, sia in termini di costi, sia in termini di “privilegi” concessi ai lavoratori protetti, in ossequio agli interessi degli agenti strategici neocapitalistici, ben tutelati dai loro servitori politici locali».Il lavoro stabile è stato il bersaglio di attacchi continui e reiterati (da Sacconi, Brunetta e Renzi), e addirittura di insulti e di criminalizzazione (Ichino e i “nullafacenti” della pubblica amministrazione). L’impiego garantito e a tempo indeterminato «è contrario all’ideologia neoliberista dominante e, per tale motivo, deve essere portato a estinzione». Spiega Orso: «La stabilità del lavoro e le garanzie offerte dal comunismo, dal fascismo e dal keynesismo postbellico non appartengono in alcun modo alla liberaldemocrazia di mercato, espressa dal grande capitale finanziario». Così il lavoro è diventato sempre più «precario, flessibile, interinale», introdotto ufficialmente in Italia nella seconda metà degli anni ‘90 e dilagato progressivamente nei Duemila, «figlio naturale del cosiddetto toyotismo». Dal “just in time”, varato negli anni ‘70 dalla Toyota per razionalizzare le scorte, si è deciso di estendere il “toyotismo” e di pagare i lavoratori esclusivamente per il tempo di lavoro, utilizzando il “servizio lavorativo” quando necessario per esigenze produttive.«Da questo punto di vita, chiaramente economico e di organizzazione della produzione – continua Orso – l’imposizione del lavoro precario mira a razionalizzare l’uso del fattore-lavoro comprimendone all’estremo i costi, come nel caso delle materie prime, dei pezzi da assemblare, delle scorte, dei semilavorati». A questo punto, «è chiaro che il precario non è un cittadino, nel mondo neocapitalistico, ma soltanto l’anonimo prestatore di un servizio lavorativo, che si tende a pagare sempre meno». Quella dell’imposizione di soli contratti a termine e precari, «in un progressivo e rapido evaporare dei diritti», è la strada scelta «dagli agenti strategici neocapitalistici per l’Italia, ed è esattamente la consegna che hanno dato ai lacchè subpolitici, come Matteo Renzi». Infine – terza categoria – resta il lavoro nero, cioè «senza oneri contributivi e prelievi fiscali, senza alcuna garanzia e diritto». Di fatto, «realizza il massimo della flessibilità-precarietà del lavoratore, alimenta l’evasione e garantisce un significativo risparmio di costi». Col declino industriale e la disoccupazione galoppante, però, «anche il lavoro nero entra in crisi, riducendosi il numero degli occupati, non pagando i lavoratori e aumentandone lo sfruttamento».Se questa è la situazione, conclude Orso, ecco invece che Renzi «spergiura di voler rinnovare il mercato del lavoro dalle fondamenta, introducendo un nuovo contratto d’ingresso che partirebbe da una condizione di precarietà per arrivare alle chimeriche tutele». Il Rottamatore «dichiara di voler semplificare e di voler estendere le opportunità di lavoro anche a chi oggi ne è escluso». Ma sono «dichiarazioni chiaramente mendaci», dal momento che «nascondono l’unico esito possibile della riforma: rendere il lavoro precario contrattualizzato assolutamente prevalente». La Cgil, messa con le spalle al muro, non può approvare il “piano lavoro” renziano apertamente: «Deve fingere di attaccarlo, deve contestarlo con enfasi e risonanza mediatica». Per questo «si erge a difesa di quel vecchio simulacro che ormai è diventato lo Statuto dei Lavoratori, che ancora sbarra la strada, con l’articolo 18, ai sogni liberisti, europeisti “alla Benigni”, occidentali, di libertà, cioè, nel concreto, alla realizzazione di una precarietà assoluta e generale».Sicché, quello tra Renzi e Camusso è «uno scontro fra “parenti serpenti”, disposti a coprirsi a vicenda di contumelie, a fronteggiarsi tirandosi piatti e soprammobili ma uniti da vincoli “di sangue” e di appartenenza». Più che altro, è «l’ennesima recita infarcita di imbrogli, finzione e malafede, per truffare gli italiani». Dal canto suo, Renzi la pensa esattamente come i boss dell’élite tecno-finanziaria, da Draghi a Juncker alla Lagarde, «a lui ideologicamente affini», anche se «nega di aver in mente Margaret Thatcher quando si parla del lavoro». Infatti, aggiunge Orso, «possiamo scommettere che non incontrerà una resistenza sanguinosa come quella opposta alla Thatcher dai minatori britannici di Arthur Scargill, dal 1984 al 1985». Al più, sulla strada di Renzi spunteranno «le blande resistenze di maniera della Cgil all’abolizione dell’articolo 18». Il premier dichiara di pensare a “Marta”, piccola fiammiferaia precaria, e a tutti i giovani a quali in questi anni non ha pensato nessuno. Giovani «condannati a un precariato a cui il sindacato ha contribuito», peraltro, «preoccupandosi soltanto dei diritti di qualcuno e non dei diritti di tutti».Nuove regole per ciascuno, dice Renzi, per incoraggiare investimenti produttivi stranieri: verranno le multinazionali a dare un lavoro a chi non ce l’ha. Peccato che, a quel punto, «il lavoro sarà debitamente flessibilizzato, offerto a prezzi stracciati e a condizioni di semi-schiavitù». Renzi è felice, come ha dichiarato più volte, se i grandi squali “investono” in Italia, facendo lo shopping di aziende a prezzi di fine stagione, anche se poi chiudono e spostano le produzioni in Estremo Oriente o nell’Europa dell’Est. E ai sindacati che vogliono contestarlo, Camusso e Landini, il Rottamatore dice: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia che ha l’Italia? L’ingiustizia tra chi il lavoro ce l’ha e chi non ce l’ha, tra chi ce l’ha a tempo indeterminato e chi è precario. E soprattutto tra chi non può neanche pensare a costruirsi un progetto di vita, perché si è pensato soltanto a difendere le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente. Sono i diritti di chi non ha diritti che ci interessano, e noi li difenderemo in modo concreto e serio.«Commovente: i diritti di chi non ha diritti», chiosa Orso. «Una frase di sicuro effetto, alla Papa Francesco». Così, “per difendere gli ultimi”, si abolisce la tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per i nuovi assunti “a tutele crescenti”, «in modo tale che l’ingresso nel mondo del lavoro sia sempre e comunque precario». A questo, forse, non aveva pensato neppure Marco Biagi, il giuslavorista assassinato dalle “nuove Br”. Da consigliere ministeriale, «ha contribuito a inoculare il virus della precarietà nella società italiana». Renzi sarà altrettanto efficace? «Su una cosa, però, ha ragione l’imbonitore fiorentino, in polemica strumentale con la Cgil», conclude Orso: «Ciò che è accaduto ai lavoratori negli ultimi decenni, tutte le ingiustizie che hanno subito, portano anche la firma dei sindacati, che hanno favorito, in modo più o meno scoperto – scopertamente la Cisl, più subdolamente la Cgil e ancor più nascostamente la Fiom – la “discesa negli inferi” neoliberista del lavoro, siglando contratti-truffa e accordi-capestro, avallando riforme antipopolari, facendo carne di porco persino dei loro iscritti».Lavoro garantito, lavoro precario, lavoro nero. Quello garantito deve sparire alla svelta, è un’anomia della storia: «Renzi e i suoi accoliti vogliono realizzare i “sogni” dei padroni neocapitalisti, unificando il mercato del lavoro italiano sotto il segno, non dei pesci, ma della precarietà fin dall’inizio della vita lavorativa», scrive Eugenio Orso. «La Cgil dell’orripilante Camusso, legata a doppio filo al Pd, deve obbligatoriamente fingere di opporsi e di tutelare gli iscritti, per trattenere tessere e consensi». Operazione che «puzza di bruciato», di contrapposizione solo mediatica che certo non fermerà “il nuovo che avanza”. Prima il contratto d’ingresso senza diritti per i nuovi assunti, e poi in futuro l’abolizione del tempo indeterminato anche per i “vecchi” lavoratori? «Non si può partecipare troppo apertamente al massacro: questo i vertici della Cgil lo sanno bene, perciò si oppongono alla riforma, a costo di passare per “conservatori”».
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Troppi testimoni uccisi, non chiamatelo Mostro di Firenze
Ho deciso di scrivere questo articolo dopo la vicenda del perito nella vicenda Moby Prince, sfuggito per miracolo alla morte; qualche giorno fa l’uomo, dopo essere stato narcotizzato da 4 persone incappucciate è stato poi messo in un’auto a cui hanno dato fuoco. Si è salvato per un pelo, essendosi risvegliato in tempo dal narcotico. L’incidente è identico a molti altri capitati a testimoni di processi importanti della storia d’Italia. Non tutti però sanno che gli stessi identici incidenti sono capitati a molti dei testimoni nella vicenda del Mostro di Firenze. Se n’è scritto tanto, e i dubbi sono tanti. Pacciani era davvero colpevole? C’erano veramente dei mandanti che commissionavano gli omicidi? Pochi si sono occupati invece di un aspetto particolare di questa vicenda: i depistaggi, le coperture eccellenti, le morti sospette. La vicenda del mostro, in effetti, per anni è stata considerata come un giallo in cui occorreva trovare il serial killer. In realtà la vicenda può essere guardata da una prospettiva assolutamente diversa, cioè quella tipica di tutte le stragi di Stato italiane.L’ostinato occultamento delle prove affinché non si giunga alla verità, grazie al coinvolgimento della massoneria e dei servizi segreti; l’inefficienza degli apparati statali nel reprimere queste situazioni; l’impreparazione culturale quando si tratta di affrontare questioni che esulano da un nomale omicidio o rapina in banca e si toccano temi esoterici. Dal 1968 al 1985 vengono uccise otto coppie di giovani nelle campagne di Firenze. In 4 di questi duplici omicidi vengono prelevate delle parti di cadavere, seni e pube in particolare. La vera e propria caccia al Mostro comincia dopo il terzo omicidio, quando si capisce che dietro ad essi c’è la stessa mano. Dopo errori giudiziari, e vicende varie, si arriva all’incriminazione di Pietro Pacciani nel 1994. Appare chiaro che Pacciani è colpevole, o perlomeno che è gravemente coinvolto in questi omicidi. Gli indizi infatti sono gravi, precisi e concordanti: in particolare lo inchiodano il ritrovamento di un bossolo di pistola nel suo giardino, inequivocabilmente proveniente dalla pistola del Mostro (una beretta calibro 22); l’asta guidamolla della pistola del Mostro, inviata agli investigatori avvolta in un pezzo di panno identico a quello poi trovato in casa Pacciani; e soprattutto un portasapone e un blocco da disegno, di marca tedesca, che verrà riconosciuto come appartenente alla coppia tedesca uccisa dal Mostro.C’era poi un biglietto trovato in casa sua, con scritto “coppia” e un numero di targa corrispondente a quello di una coppia uccisa. Le intercettazioni telefoniche ed ambientali poi fecero il resto, mostrando che Pacciani mentiva, celando agli investigatori diverse cose importanti. Eppure il processo fa acqua da tutte le parti. Tante cose, troppe, non quadrano in quel processo. Non quadra il movente, perché Pacciani – benché violento e benché in passato avesse già ucciso, per giunta con modalità che a tratti ricordano quelle di alcuni delitti – non sembra il ritratto del serial killer. Non quadrano alcuni particolari (ad esempio le perizie stabiliranno che l’uomo che ha sparato doveva essere alto almeno un metro e ottanta, mentre Pacciani è alto molto meno). Inoltre durante il processo alcuni dei suoi amici mentono palesemente per coprirlo, sembrando quasi colludere con lui. Perché mentono? In primo grado Pacciani verrà condannato. In secondo grado verrà assolto. L’impianto accusatorio, in effetti, era abbastanza fragile. Però proprio il giorno prima della sentenza di secondo grado, la Procura di Firenze riesce a trovare nuovi testimoni (quattro) che inchiodano Pacciani e soprattutto riescono a spiegare il motivo di alcune incongruenze. Due di questi testimoni sono infatti complici di Pacciani e, autoaccusandosi, svelano che in realtà quei delitti erano commessi in gruppo.Ma la Corte di appello di Firenze decide di non sentire questi testimoni, e assolve Pacciani. La sentenza verrà annullata dalla Cassazione, ma nel frattempo Pacciani muore in circostanze poco chiare. Apparentemente muore di infarto, ma Giuttari, il commissario che segue le indagini per la Procura di Firenze, sospetta un omicidio. Nel 2002 l’indagine sul Mostro si riapre, ma a Perugia. Per capire come e perché si riapre però dobbiamo fare un passo indietro. Il 13 ottobre del 1985 viene trovato nel Lago Trasimeno il corpo di un giovane medico perugino, Francesco Narducci. Il caso viene archiviato come un suicidio, anche se la moglie non crede a questa versione dei fatti. E sono in molti a non crederlo. Anzi, da subito alcuni giornali ipotizzano un coinvolgimento del Narducci nei fatti di Firenze. Nel 2002 la procura di Perugia, intercettando per caso alcune telefonate, sospetta che il medico perugino sia stato assassinato e fa riesumare il cadavere. Il cadavere riesumato ha abiti diversi rispetto a quelli indossati dal cadavere nel 1985.Altri, numerosi e gravi indizi, nonché le testimonianze della gente che quel giorno era presente al ritrovamento, portano a ritenere che il cadavere ripescato allora non fosse quello di Narducci, e che solo in un secondo tempo sia stata riposta la salma del vero Narducci al posto giusto. Indagando sul caso, il Pm di Perugia, Mignini, scopre che il giorno del ritrovamento le procedure per la tumulazione furono irregolari; che quel giorno sul molo convogliarono diverse autorità, tutte iscritte alla massoneria, come del resto era iscritto alla massoneria il padre del medico morto e il medico stesso. E si scopre che il Narducci era probabilmente coinvolto negli omicidi del Mostro di Firenze. Anzi, forse era proprio lui che, in alcune occasioni, asportò le parti di cadavere. Le indagini portano ad ipotizzare una pluralità di mandanti coinvolti negli omicidi del mostro, che commissionavano questi omicidi per poi utilizzare le parti di cadavere per alcuni riti satanici. In particolare, il Lotti confessa che questi omicidi venivano pagati da un medico. E con un accertamento sulle finanza di Pacciani verranno trovati capitali per centinaia di milioni, di provenienza assolutamente inspiegabile.Vengono mandati 4 avvisi di garanzia a 4 persone, tra cui il farmacista di San Casciano Calamandrei, un medico e un avvocato, che sarebbero i mandanti dei delitti del Mostro di Firenze. Mentre per occultamento di cadavere, sviamento di indagini e altri reati minori (che inevitabilmente andranno in prescrizione) vengono rinviate a giudizio il padre di Ugo Narducci e i fratelli di Francesco; il questore di Perugia Francesco Trio, il colonnello dei carabinieri Di Carlo, l’ispettore Napoleoni, l’avvocato Fabio Dean e molti altri, quasi tutti iscritti alla stessa loggia massonica, la Bellucci di Perugia, e alcuni di essi, compreso il padre di Narducci, collegati addirittura alla P2. Appartengono alla P2 Narducci e il questore Trio, mentre l’avvocato Fabio Dean è il figlio dell’avvocato Dean, uno dei legali di Gelli. In questa vicenda sono presenti ancora una volta i servizi segreti e i loro depistaggi, nonché tutte le mosse tipiche che vengono attuate quando occorre depistare.In pratica l’indagine conosce una prima fase, che arriva fino al processo di appello di Pacciani, in cui essa scorre senza problematiche particolari, tranne ovviamente quella tipica di ogni indagine, e cioè l’individuazione dei colpevoli. Ma appena si apre la pista dei mandanti si scatena un vero inferno. Anzitutto lo screditamento degli inquirenti, che vengono derisi, sminuiti; vengono continuamente sottolineati gli errori fatti da costoro (come se fosse semplice condurre un’indagine del genere senza commetterne); la Procura fiorentina viene spesso presentata dai giornali come una Procura che vuole a tutti i costi incastrare degli innocenti; Giuttari viene presentato come uno che vuole farsi pubblicità; un pazzo che crede alla folle pista satanista; quando il commissario è vicino alla verità lo si isola, oppure si cerca di trasferirlo con una meritata promozione (che però metterebbe in crisi tutta l’inchiesta). Più volte giornali e televisioni annunceranno scoop fantastici tesi a demolire il lavoro di anni della Procura di Firenze, e di Perugia. Alcuni giornalisti che ipotizzano il collegamento tra massoneria, delitti del Mostro e sette sataniche vengono querelati, anche se le querele verranno poi ritirate.Vengono fatte indagini parallele e non ufficiali, di cui non vengono informati gli inquirenti. Il Pm Mignini scopre che dopo l’ultimo delitto del Mostro la polizia di Perugia aveva indagato su Narducci e sul Mostro, e ciò risulta dai prospetti di lavoro, datati 10 settembre 1985. Ma di queste indagini non viene avvisata la Procura di Firenze. Ma in compenso anche i carabinieri, per non essere da meno, fanno le loro indagini parallele di cui non informano gli inquirenti. Alcuni carabinieri confidano che anni prima avevano fatto un’irruzione nell’appartamento fiorentino del Narducci per trovare le parti di cadavere che il Narducci teneva nell’appartamento, ma che erano stati “preceduti”. Anche di questi fatti la Procura di Firenze non viene informata. Queste indagini parallele erano coordinate a Perugia dall’ispettore Napoleoni, che pare agisse addirittura all’insaputa del suo diretto superiore, Speroni (così scrive Licciardi nel suo libro). Su Narducci c’era un fascicolo da tempo, ma il fascicolo venne smarrito, e ritrovato dopo anni privo di varie parti. Così come scomparvero misteriosamente molti reperti che erano stato acquisiti durante le indagini, come la famosa pietra a forma di piramide trovata sulla scena di uno dei delitti.Non manca poi – stando alla ricostruzione di Giuttari nel suo libro – anche il procuratore capo di Firenze, Nannucci (che è sempre stato contrario all’indagine sui mandanti) che avvisa un indagato, il giornalista Mario Spezi, dell’imminente indagine; questo fatto verrà segnalato alla Procura di Genova, che però archivierà la posizione del procuratore. Infine, ci sono gli immancabili depistaggi dei servizi segreti deviati. Il Sisde aveva già dai tempi del terzo delitto preparato un dossier che ipotizzava che non fosse coinvolto un solo serial killer, ma i componenti di una setta satanica che agivano in gruppo, e ciò appariva evidente da alcuni particolari della scena del delitto. Ma questo dossier – che porta la data del 1980 – non viene mai consegnato agli inquirenti di Firenze. Il dossier era firmato da Francesco Bruno, consulente del Sisde. In totale, sono tre gli studi commissionati dal Sisde che si persero misteriosamente per strada e non arrivarono mai sulle scrivanie degli inquirenti fiorentini. Guarda caso, proprio quei dossier che ricostruivano la pista dei mandanti plurimi e delle messe nere. Ma qualche anno dopo Francesco Bruno, intervistato, sosterrà che a suo parere il serial killer è un mostro isolato, ancora in libertà.Ci sono poi le solite morti sospette tipiche di tutte le grosse vicende giudiziarie italiane. Una vera strage, in realtà. O meglio, una strage nella strage. La prima morte sospetta è quella del medico perugino trovato morto nel Lago Trasimeno. Poi la morte di Pacciani, per la quale la Procura di Firenze apre un fascicolo per omicidio. E poi la solita mattanza di testimoni. Elisabetta Ciabiani, una ragazza di venti anni che aveva lavorato nell’albergo dove Narducci e la sua loggia massonica si riunivano e che aveva rivelato al suo psicologo, Maurizio Antonello (fondatore dell’Associazione per la ricerca e l’informazione delle sette) il nome di alcuni mandanti del Mostro e aveva rivelato il coinvolgimento della Rosa Rossa nei delitti: Elisabetta verrà trovata uccisa a colpi di coltello, compresa una coltellata al pube, ma il caso venne archiviato come suicidio. Mentre lo psicologo Maurizio Antonello verrà trovato “suicidato”, impiccato al parapetto della sua casa di campagna.Renato Malatesta, marito di Antonietta Sperduto, l’amante di Pacciani, che viene trovato impiccato, ma con i piedi che toccano per terra; uno degli innumerevoli casi di suicidi in ginocchio, che non fanno certo l’onore delle nostre forze di polizia subito pronte ad archiviare il caso come suicidio nonostante l’evidenza dei fatti. Francesco Vinci e Angelo Vargiu, sospettati di essere tra i compagni di merende di Pacciani (il primo è anche amante di Milva Malatesta) trovati morti carbonizzati nell’auto. Anna Milva Mattei, anche lei bruciata in auto. Claudio Pitocchi, morto per un incidente di moto, che sbanda ed esce di strada all’improvviso, senza cause apparenti. Anche questa è una modalità che troviamo in tutte le vicende italiane in cui sono coinvolti servizi segreti e massoneria: Ustica, soprattutto, e poi nel caso Clementina Forleo. Milva Malatesta e il suo figlio Mirko, anche loro trovati carbonizzati nell’auto; una fine curiosamente simile a quella che volevano far fare al perito del Moby Prince poche settimane fa. La stessa tecnica. Così come la tecnica dei suicidi in ginocchio è identica a quella dei morti di Ustica e di tutte le altre stragi che hanno insanguinato l’Italia. Tecniche identiche, che fanno ipotizzare una firma unica: quella dei servizi segreti deviati.Rolf Reineke, che aveva visto una delle coppiette uccise poche ore prima della loro morte, che muore di infarto nel 1983. Domenico, un fruttivendolo di Prato che scompare nel nulla nell’agosto del 1994 e venne considerato un caso di lupara bianca. E poi ce ne sono tanti altri. C’è il caso di tre prostitute, una suicidatasi e due accoltellate, che avevano avuto rapporti a vario titolo con i “compagni di merende”, e chissà quanti alltri di cui si non si saprà mai nulla. Un discorso a parte va fatto per Luciano Petrini. Consulente informatico, nel 1996 avvicinò una persona (anche lei testimone al processo), Gabriella Pasquali Carlizzi, dandole alcune informazioni sul Mostro e mostrando di sapere molto su questa vicenda; ma il 9 maggio fu ucciso nel suo bagno, colpito ripetutamente con un portasciugamani a cui tolsero la guarnizione per renderlo più tagliente. Nella casa non compaiono segni di scasso o effrazione. Conclusioni: omicidio gay. Nessuno prende in considerazione altre piste. Nessuno prende in considerazione – soprattutto – l’ipotesi più evidente: Petrini aveva svolto consulenza nel caso Ustica, sul suicidio del colonnello dell’aereonautica Mario Ferraro, quel Mario Ferraro che venne trovato impiccato al portasciugamani del bagno. Ma il fatto che sia stato ucciso – guarda caso – proprio con un portasciugamani, non induce a sospettare di nulla. Omicidio gay!?!?La verità sul mostro di Firenze non si saprà mai. Non si sapranno mai i nomi dei mandanti, perlomeno non di tutti. Non mi interessa poi così tanto capire se Pacciani era il vero Mostro o fu solo incastrato. Se Narducci era il Mostro, o se erano altri. Se Pietro Toni, il procuratore che chiese l’assoluzione di Pacciani e definì «aria fritta» l’ipotesi dei mandanti sia in mala fede oppure se gli sia sfuggito un “leggerissimo” particolare: che una simile mattanza di testimoni e di occultamenti presuppone un’organizzazione dietro tutto questo. E che a fronte dei depistaggi, delle sparizioni di fascicoli, dei tentativi di insabbiamento, l’ipotesi del mandante isolato diventa fantascientifica, perché in tal caso si impone di presupporre che tutti gli investigatori che si sono occupati delle vicende del mostro siano impazziti o si siano messi d’accordo per fregare Pacciani e gli altri, e che tutti i testimoni siano morti per delle coincidenze. Atteniamoci quindi ad un dato di fatto. Quando in un’indagine importante compare il binomio massoneria-servizi segreti, questo binomio indica che sono coinvolti dei mandanti eccellenti, al di là di ogni immaginazione.Finisco questo articolo riportando le parole di un mio amico di infanzia, ufficiale dei carabinieri di un paese della Toscana. Mi ha detto: «Certo, Paolo, che dietro ai delitti del Mostro di Firenze ci sono alcune sette sataniche legate a logge deviate della massoneria. I fatti di Perugia parlano chiaro. Noi spesso sappiamo chi sono e cosa fanno certi personaggi. Ma abbiamo l’ordine di non indagare. Vedi, un tempo, se toccavi il tasto mafia-politica e indagavi su questo filone, o scrivevi un pezzo di giornale, morivi. Oggi la politica ha capito che è inutile uccidere per questo, perché i magistrati si possono trasferire, i reati vanno in prescrizione. Insomma, ci sono altri mezzi per insabbiare un’inchiesta. Ma il tasto delle sette sataniche, e dei coinvolgimenti eccellenti in queste sette, non si può toccare, altrimenti si muore. Pensa che ogni anno, in Italia, spariscono migliaia di bambini. Oltre ai dati ufficiali della polizia di Stato, ce ne sono molti altri – Rom, immigrati clandestini – che non compaiono nelle statistiche. E questi bambini finiscono nel circuito delle sette sataniche, che sono collegate spesso al circuito dei sadici e pedofili, che pagano cifre astronomiche per video ove i bambini muoiono veramente».Questo mio amico non sapeva, all’epoca, che ero coinvolto anch’io in vicende che riguardavano la massoneria deviata e raccontò queste cose con tranquillità, davanti alla mia fidanzata dell’epoca, mentre eravamo seduti in un bar. Tempo dopo, quando lo venne a sapere e gli feci delle domande, negò di avermi mai dato quelle informazioni. Ma, lo ripeto, quello che importa non sono i nomi. Non è se Tizio o Caio sia coinvolto, e in che cosa sia coinvolto. Anche perché il singolo nome talvolta può essere il frutto di un errore, di un tentativo di screditare qualcuno. E francamente a me non è questo che fa paura. Ciò che fa paura è la vastità delle connivenze; il fatto che per delitti di questa gravità ed efferatezza ci possano essere coperture eccellenti e che la macchina della giustizia sia paralizzata. Il fatto che gli organi investigativi siano impreparati quando si affrontano vicende che sfiorano l’esoterismo e i servizi segreti deviati. Eppure la vicenda del Mostro di Firenze dovrebbe interessare tutti, non solo gli amanti dei gialli, dell’horror e dell’esoterismo. Il vero mostro, in questa vicenda, non è solo chi ha ucciso, ma anche tutte le persone che hanno coperto la verità, che in virtù dei loro legami con la massoneria deviata o con pezzi deviati dello Stato hanno coperto, colluso, e taciuto. Il vero mostro è la massoneria deviata, che come una piovra si è insinuata in tutti i punti vitali dello Stato. Il Mostro di Firenze è solo uno dei suoi tentacoli.(Paolo Franceschetti, estratti da “Il Mostro di Firenze: quella piovra che si insinua nello Stato”, dal blog di Franceschetti del 16 dicembre 2007).http://paolofranceschetti.blogspot.it/2007/12/il-mostro-di-firenze-quella-piovra-che.htmlHo deciso di scrivere questo articolo dopo la vicenda del perito nella vicenda Moby Prince, sfuggito per miracolo alla morte; qualche giorno fa l’uomo, dopo essere stato narcotizzato da 4 persone incappucciate è stato poi messo in un’auto a cui hanno dato fuoco. Si è salvato per un pelo, essendosi risvegliato in tempo dal narcotico. L’incidente è identico a molti altri capitati a testimoni di processi importanti della storia d’Italia. Non tutti però sanno che gli stessi identici incidenti sono capitati a molti dei testimoni nella vicenda del Mostro di Firenze. Se n’è scritto tanto, e i dubbi sono tanti. Pacciani era davvero colpevole? C’erano veramente dei mandanti che commissionavano gli omicidi? Pochi si sono occupati invece di un aspetto particolare di questa vicenda: i depistaggi, le coperture eccellenti, le morti sospette. La vicenda del mostro, in effetti, per anni è stata considerata come un giallo in cui occorreva trovare il serial killer. In realtà la vicenda può essere guardata da una prospettiva assolutamente diversa, cioè quella tipica di tutte le stragi di Stato italiane.
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New York Times: Obama, nuove atomiche per 335 miliardi
Mille miliardi in nuove bombe atomiche. E’ l’inferno nucleare appena finanziato da Barack Obama, Premio Nobel per la Pace, fino all’altro ieri sostenitore del disarmo. Ora siamo all’inversione di rotta, verso lo spettro dell’apocalisse: il “New York Times” rivela che gli Usa hanno deciso di investire 335 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, che salirebbero a mille nei prossimi trenta, per realizzare ordigni atomici più moderni, 12 nuovi sottomarini nucleari, 100 bombardieri atomici e 400 silos di lancio di Icbm. Nessuno, come è noto, minaccia gli Stati Uniti. Il nuovo arsenale sarebbe quindi un immenso dispositivo intimidatorio nei confronti del resto del mondo, in primo luogo la Cina, massimo creditore degli Usa. In Italia, «la notizia non è stata ripresa da giornali, né emittenti Tv», protesta l’ingegner Roberto Vacca, matematico e saggista. C’è chi ha già proposto che a Obama si revochi il Nobel solo perché sta armando curdi e iracheni contro l’Isis, dopo aver armato sottobanco l’Isis stesso, ma «questa decisione di rimodernare l’arsenale nucleare Usa è motivo molto più forte per revocargli il premio».Di quei mille miliardi, spiega Vacca su “Megachip”, si parlava già a gennaio. Sarebbero stati ripartiti fra missili balistici intercontinentali, sottomarini e bombardieri capaci di trasportare e lanciare armi atomiche ovunque nel mondo. Nella campagna per il suo primo mandato, Obama aveva dichiarato che il suo obiettivo era un pianeta libero dall’incubo delle armi nucleari: «Con il piano attuale, dimostra di aver rinunciato del tutto a quel sogno». Più tardi, aggiunge Vacca, il presidente americano aveva precisato che ci sarebbero voluti molti decenni per un disarmo totale. Sbagliava: l’inferno si è rimesso a correre veoce. «Il piano attuale implica che per i prossimi tre decenni gli Stati Uniti non muoveranno nemmeno un passo per quella lunga strada», visto che saranno impegnati in un’inquietante campagna di riarmo, non motivata da alcuna reale minaccia. Da non sottovalutare, infine, il profilo della sicurezza degli stessi stabilimenti: in mezzo secolo, dal 1950 al 2003, negli Usa ci sono state 121 “frecce spezzate”, cioè gravi incidenti coinvolgenti bombe nucleari. Dal 2003, invece, più nessuna notizia.Oltre 2 incidenti nucleari all’anno per 53 anni e poi nessuno per 10 anni? «C’è da temere – scrive Vacca – che la censura blocchi informazioni che, se fossero note, proverebbero che il rischio sia maggiore di quanto sostenuto». Nel mondo, gli arsenali nucleari contengono ancora 5 miliardi di tonnellate equivalenti di alto esplosivo, pari a 700 chili per ogni essere umano: è un potenziale oltre centomila volte maggiore di quello delle due bombe di Hiroshima e Nagasaki che nel 1945 uccisero circa 300.000 giapponesi. A conti fatti, 300.000 moltiplicato 100.000 fa 30 miliardi, annota Vacca, e oggi al mondo siamo in 7 miliardi. «Non si è fatto un passo verso un mondo senza armi nucleari, e ora Obama aggrava i rischi invece di ridurli». Anche l’Europa è gremita di missili: 180 testate nucleari tattiche sono già dislocate in Belgio, Germania, Olanda, Turchia e anche in Italia. Le testate europee diventeranno 400, secondo alcuni esperti, calcolando lo stanziamento Usa di 80 miliardi di dollari programmato già nel 2010 per ricerche su armi atomiche.In più, il governo americano ha deciso di ridurre del 15% gli stanziamenti mirati a proteggere le armi nucleari da tentativi di impossessarsene da parte di eventuali terroristi. «Quest’altra misura rende ancora più imminente un rischio gravissimo – l’entità del quale è segreta e, forse, nemmeno valutabile», scrive Roberto Vacca. La storia recente è punteggiata da incidenti anche gravissimi: la catastrofe di Chernobyl nel 1986 «fu causata da ingegneri elettrotecnici che in assenza di esperti nucleari tentarono un esperimento temerario e assurdo». Il disastro di Fukushima è invece avvenuto «perchè la centrale era sorta in zona sismica, soggetta notoriamente, più di una volta ogni secolo, a tsunami di decine di metri». Nonostante ciò, la centrale giapponese «era stata protetta da un muro di soli 8 metri». In questi due incidenti, ricorda Vacca, sono morte circa 30.000 persone, un decimo delle vittime di Hiroshima e Nagasaki. Cifre approssimative, «perché gli effetti delle radiazioni possono essere letali a notevole distanza di tempo». Nonostante ciò, nel mondo si stanno costruendo altre 60 centrali, in aggiunta alle 435 esistenti. Rischio altissimo, poi, in caso di guerra: «Anche se un conflitto si scatenasse per errore, potrebbe estendersi al pianeta e segnare la fine della nostra civiltà». I favorevoli all’energia nucleare considerano che gli eventuali incidenti futuri sarebbero “accettabili”, perchè quelli finora avvenuti non sono stati molto più gravi di quelli di Bhopal (15.000 morti nel 1984) e del Vajont (2.000 morti nel 1963). «Le armi nucleari vanno smantellate tutte», insiste Vacca. Ma evidentemente Barack Obama ha ben altri piani, per tutti noi.Mille miliardi in nuove bombe atomiche. E’ l’inferno nucleare appena finanziato da Barack Obama, Premio Nobel per la Pace, fino all’altro ieri sostenitore del disarmo. Ora siamo all’inversione di rotta, verso lo spettro dell’apocalisse: il “New York Times” rivela che gli Usa hanno deciso di investire 335 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, che salirebbero a mille nei prossimi trenta, per realizzare ordigni atomici più moderni, 12 nuovi sottomarini nucleari, 100 bombardieri atomici e 400 silos di lancio di Icbm. Nessuno, come è noto, minaccia gli Stati Uniti. Il nuovo arsenale sarebbe quindi un immenso dispositivo intimidatorio nei confronti del resto del mondo, in primo luogo la Cina, massimo creditore degli Usa. In Italia, «la notizia non è stata ripresa da giornali, né emittenti Tv», protesta l’ingegner Roberto Vacca, matematico e saggista. C’è chi ha già proposto che a Obama si revochi il Nobel solo perché sta armando curdi e iracheni contro l’Isis, dopo aver armato sottobanco l’Isis stesso, ma «questa decisione di rimodernare l’arsenale nucleare Usa è motivo molto più forte per revocargli il premio».
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Sempre e solo menzogne, e grazie a noi la fanno franca
Come pensavano di farla franca sostenendo che in Iraq ce n’erano grandi quantità di armi chimiche, biologiche e perfino nucleari? I disertori avevano chiaramente affermato che le armi chimiche e quelle biologiche (alcune fornite dagli stessi Usa) erano state distrutte. Gli ispettori avevano ispezionato quasi ogni centimetro dell’Iraq e avevano detto che mancavano ancora solo pochi centimetri, se gli avessero dato qualche giorno in più. L’Iraq stava urlando che non era in possesso di tali armi. Molte nazioni nel mondo gli davano ragione. Lo stesso staff di Colin Powell lo avvertiva che le sue affermazioni non sarebbero state considerate plausibili. Eppure, l’hanno fatta franca. Al punto che ancora oggi molta gente di buone intenzioni negli Stati Uniti sostiene che nessuno può essere certo che Bush, Cheney e gli altri sapessero che le loro dichiarazioni erano false al momento che le facevano.«Tutto ciò – scrisse Adolf Hitler – è ispirato dal principio che nella grande bugia esiste sempre una certa forza di credibilità; perché le vaste masse di una nazione sono sempre facilmente corruttibili nel profondo della loro natura emotiva piuttosto che coscientemente o volontariamente; e così nella primitiva semplicità delle loro menti cadono più facilmente vittime di una grande bugia anziché di una piccola, in quanto essi stessi dicono spesso delle piccole bugie su piccole cose ma si vergognerebbero di ricorrere a delle falsità su larga scala». I media americani hanno sostenuto ripetutamente che la Russia ha invaso l’Ucraina. Lo sostengono per un po’, poi si scopre che non c’è stata nessuna invasione, così fanno una pausa. Dopo lo sostengono ancora una volta. Oppure sostengono che un convoglio di aiuti costituisce un’invasione. Eppure questi convogli di aiuti sembrano proprio dei convogli di aiuti in tutte le fotografie, e nessuno è stato capace di produrre fotografie simili di un’invasione.Quando i mezzi corazzati ucraini entrarono nell’est del paese e vennero circondati dai civili, abbiamo visto le fotografie e i video. Ora esiste soltanto una foto satellitare della serie “reperti Colin-Powell”, fornita dalla Nato e che si suppone indichi artiglieria russa in Ucraina. L’invasione principale russa che apparentemente è in offerta speciale con un repellente per giornalisti, si dice consista di 1.000 soldati – ossia lo stesso numero di truppe che gli Usa hanno mandato ancora una volta in Iraq, della cui invasione evidentemente non ci dobbiamo preoccupare. Ma dove sono questi 1.000 soldati russi che invadono l’Ucraina? L’Ucraina sostiene di aver catturato 10 di questi, anche se questi 10 non sembrano concordare con questa versione. Che cosa è successo agli altri 990? Come è stato possibile per qualcuno avvicinarsi tanto da fare 10 prigionieri ma non aver potuto fare una fotografia degli altri 990?Nel frattempo la Russia smentisce tutto e sollecita pubblicamente gli Stati Uniti a impegnarsi diplomaticamente con l’Ucraina e il governo di quest’ultima di smettere di bombardare i propri cittadini e di elaborare un sistema federalista che rappresenti ognuno nelle proprie frontiere. Ma la Nato non ha tempo, è impegnata ad annunciare una contro-invasione per far fronte all’invisibile invasione russa. Come pensano che la faranno franca con questo? Vediamo. Nemmeno uno dei responsabili per le menzogne che causarono la distruzione dell’Iraq e la morte di alcune milioni di persone, insieme al prevedibile e previsto caos che ora tormenta il paese e tutta la regione, è stato mai ed in nessun modo chiamato a rispondere. La menzogna che Gheddafi stesse per massacrare degli innocenti, la bugia che ha facilitato l’attacco in Libia e l’inferno che sta regnando ora in quel paese: nessuno è stato chiamato a rispondere in qualsiasi modo. La menzogna che la Casa Bianca avesse le prove che Assad aveva usato armi biologiche? Nessuno è stato chiamato a rispondere. Addirittura nessuno si è sentito obbligato a giustificarsi quando hanno cambiato obbiettivo e proposto di bombardare i nemici di Assad.E la menzogna secondo cui gli attacchi dei droni non uccidono innocenti e non uccidono quelli che, invece, potrebbero essere arrestati facilmente? Nessuno è stato chiamato a rispondere. La menzogna che gli Stati Uniti avessero la prova che ad abbattere l’aereo sopra l’Ucraina fosse stata la Russia? Nessuno è stato chiamato a rispondere, e gli Usa si oppongono a una indagine indipendente. La menzogna che la tortura ci garantisce la sicurezza, una menzogna che ha portato gli Usa a torturare della gente? Nessuno, ai livelli degli uffici ad aria condizionata, è stato mai chiamato a rispondere. Perché pensano di poter farla franca? Perché tu glielo permetti. Perché non vuoi credere che commettono tali atrocità. Perché non vuoi credere che sono tanto bugiardi. Sai una cosa? Co sono persone che si sentono come degli idioti perché hanno creduto alle menzogne sull’Iraq. Immagina come si sentiranno quando scopriranno che avevano creduto all’invasione di una nazione che non era mai stata invasa.(David Swanson, “Sempre e solo menzogne, perché tu glielo permetti”, da “Information Clearing House” del 3 agosto 2014, tradotto da “Come Don Chisciotte”).Come pensavano di farla franca sostenendo che in Iraq ce n’erano grandi quantità di armi chimiche, biologiche e perfino nucleari? I disertori avevano chiaramente affermato che le armi chimiche e quelle biologiche (alcune fornite dagli stessi Usa) erano state distrutte. Gli ispettori avevano ispezionato quasi ogni centimetro dell’Iraq e avevano detto che mancavano ancora solo pochi centimetri, se gli avessero dato qualche giorno in più. L’Iraq stava urlando che non era in possesso di tali armi. Molte nazioni nel mondo gli davano ragione. Lo stesso staff di Colin Powell lo avvertiva che le sue affermazioni non sarebbero state considerate plausibili. Eppure, l’hanno fatta franca. Al punto che ancora oggi molta gente di buone intenzioni negli Stati Uniti sostiene che nessuno può essere certo che Bush, Cheney e gli altri sapessero che le loro dichiarazioni erano false al momento che le facevano.
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Barack Osama e i ragazzi dell’Isis, reclutati dagli Usa
La drammatica e apparentemente inarrestabile ascesa dell’Isis ha riportato l’attenzione mediatica sul martoriato Iraq, caduto nel dimenticatoio dopo il ritiro delle truppe americane. I mezzi di informazione sono prodighi di informazioni nel descrivere le atrocità del Califfato, ma reticenti nel raccontare chi siano i suoi membri e quale sia la sua origine. Lo Stato Islamico di Iraq e Siria (questo il nome completo) non è una forza apparsa improvvisamente dal nulla, ma il figlio diretto delle politiche dell’imperialismo americano in Medio Oriente che ha le sue radici nel conflitto siriano e nel caos dell’Iraq post-Saddam, ricorda Riccardo Maggioni, secondo cui per capire meglio qual è il ruolo dell’Isis occorre fare un salto indietro di almeno trent’anni, dal momento che l’islamismo politico «è l’alleato oggettivo dell’imperialismo americano nel Medio Oriente» a partire dai lontani anni ‘80, quand’era il pretesto perfetto per consentire agli Usa di intervenire per aiutare i “buoni” e punire i “cattivi”.Negli anni ’80, durante la guerra fredda, l’Islam conservatore era l’alleato degli Usa nel contenere la diffusione del comunismo e dell’influenza dell’Urss nel mondo arabo, scrive Maggioni in un post ripreso da “Informare per Resistere”. Sotto la presidenza Reagan, gli Usa «armarono e addestrarono i Talebani in Afghanistan» per rovesciare la repubblica popolare afghana e contrastare il successivo intervento sovietico. «Al-Qaeda nasce qui, con i soldi e il supporto americano, tanto che lo stesso Bin Laden (ricordiamolo: proveniente da una famiglia di affaristi sauditi in stretti rapporti con gli Usa) combatteva in Afghanistan e veniva intervistato da quotidiani occidentali come “The Indipendent” i quali lo definivano “freedom fighter”». I Talebani, aggiunge Maggioni, «vennero addirittura glorificati in film come “Rambo 3”», mentre «vari leader islamisti afghani furono ricevuti alla Casa Bianca da Reagan, che li definì “leader con gli stessi valori dei Padri Fondatori”».La medesima strategia è proseguita negli anni novanta con Clinton, «che poté intervenire in Jugoslavia al fianco dei narcotrafficanti dell’Uck in Kosovo spacciati come difensori del proprio popolo da non meglio precisati genocidi». Con Bush la strategia cambia: complice l’11 Settembre, gli amici di ieri diventano i nemici di oggi. Scatta così una campagna propagandistica mondiale, secondo cui l’Islam ha dichiarato guerra alla civiltà occidentale e ci sono arabi dietro ogni angolo pronti a farsi esplodere. «Con questa scusa parte la cosiddetta “guerra al terrore”, grazie alla quale vengono eliminati gli ex-alleati Talebani ora sfuggiti al controllo e si invade l’Iraq». Una guerra «totalmente priva di senso anche per la logica di Bush», in teoria, considerato che il governo di Saddam Hussein «apparteneva alla corrente del baathismo laico e di tutto poteva essere tacciato tranne che di islamismo».Con Obama la strategia cambia ancora: non esiste più la minaccia islamica, ma gli Stati Uniti devono intervenire per difendere i giovani della “primavera araba” in lotta contro i “dittatori”, «termine indicante tutti i capi di Stato non graditi all’America». E Bin Laden, «tenuto in vita come spauracchio durante l’epoca Bush», viene «fatto fuori in un lampo, ovviamente prima che possa parlare dei suoi passati legami con gli Usa». Gli islamisti di oggi sono nuovamente alleati dell’America. E tutti i peggiori integralisti, dal Fronte Al-Nusra siriano ai Fratelli Musulmani, vengono trasformati dai media in giovani nonviolenti, in lotta contro la dittatura. «Con questa scusa, Obama arma delle milizie islamiste in Libia e interviene in loro supporto per eliminare Gheddafi: ora la Libia è un inferno a cielo aperto in preda a gang islamiche, mentre gli americani ne saccheggiano il petrolio».Il copione viene replicato in Siria, dove gli Usa appoggiano «animali assetati di sangue come Al-Nusra e il famigerato Isis», presentati però sempre come «studenti che manifestano per i diritti umani». Fallito l’assalto al regime di Assad, però, i “bravi ragazzi” tornano utili ugualmente, sotto forma di “cattivi ragazzi”. Vengono infatti presentati come terroristi: la vecchia propaganda sulla “minaccia islamista” viene riciclata da Obama per giustificare l’inizio di operazioni militari in Iraq. «La situazione fa quasi sorridere – sottolinea Maggioni – considerando che l’Isis sostanzialmente sono i ribelli siriani presentati come sinceri democratici e a fianco dei quali meno di un anno fa lo stesso Obama voleva intervenire militarmente. Le stesse persone, al variare degli interessi in gioco, passano da combattenti per la libertà a sanguinari terroristi, a seconda che si trovino ad ovest o ad est del confine tra Siria e Iraq».L’Isis? E’ un gruppo integralista sunnita, che si propone l’obiettivo di creare uno Stato islamico, il Califfato, che comprenda i territori di Siria e Iran per portare avanti la jihad contro lo sciitismo. Il terreno fertile per la sua espansione è stato creato dall’intervento militare americano in Iraq del 2003, continua Maggioni: il rovesciamento di Saddam ha causato la caduta di uno dei pochi Stati laici della regione e fatto saltare il delicato equilibrio interno tra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita. Nel caos e nell’anarchia seguenti, l’islamismo politico è potuto tornare a operare alla luce del sole, con spazi di manovra di cui prima era privo. «I gruppi islamisti sono riusciti in breve tempo a raccogliere un ampio consenso all’interno delle minoranze etniche sunnite», in un Iraq a maggioranza sciita: «Il che ha portato, dalla caduta di Saddam in poi, all’affermazione di governi guidati da forze politiche sciite, quale quello del presidente Al-Maliki».A partire dal 2011, questo quadro si è incrociato con lo scenario della guerra civile siriana, con in primo piano le infami milizie dell’Isis, un “mostro” «che cresce e si sviluppa grazie al supporto economico, diplomatico e militare di Washington», espandendosi a macchia d’olio in Iraq, «dove si guadagna un consistente supporto tra la popolazione sunnita e inizia una guerriglia contro il governo del presidente Al-Maliki». L’Isis, insiste Maggioni, è funzionale agli interessi americani anche in Iraq: dopo la caduta del sunnita Saddam, il paese si è avvicinato ai correligionari dell’Iran e di conseguenza anche alla Siria, alleato storico di Teheran, «creando negli Usa il timore di perdere la propria influenza sul paese». Basta osservare una cartina geografica per capire che si verrebbe a creare in questo modo un asse sciita filo-iraniano che si estenderebbe con continuità territoriale nel cuore del Medio Oriente, da Teheran fino agli Hezbollah libanesi alle porte di Israele. «Questo scenario è ovviamente inaccettabile per la Casa Bianca».Avendo come obiettivo della sua “guerra santa” l’Iran e gli sciiti, l’Isis fa dunque il gioco degli Usa. E Washington, prosegue Maggioni, vorrebbe rendere controllabile l’Iraq balcanizzandolo in tre aree (sunnita, sciita e curda), come apertamente auspicato dal vicepresidente americano Joe Biden. «Per questo l’Isis è stato lasciato agire fino a mettere alle strette il governo di Al-Maliki». Con la scusa dell’avanzata del Califfato, gli americani hanno potuto rientrare militarmente in Iraq, rimettendo in equilibrio il governo di Baghdad e lo “Stato Islamico”. «Un intervento volutamente tardivo, che se ne ha fermato l’avanzata ha permesso al Califfato di consolidare le posizioni già conquistate». Poi, approfittando del drammatico genocidio delle minoranze da parte del Califfato, gli Usa hanno cominciato a rifornire di armi i curdi Peshmerga, alleati degli americani durante l’invasione del 2003 e animati da intenti secessionisti. «La scelta di bypassare il governo iracheno e fornire armi direttamente ai curdi non è casuale, ma ha lo scopo di creare nella regione una forza armata filoamericana e separatista nei confronti di Baghdad, indebolendo ancora di più la posizione del governo centrale iracheno».Il risultato di tutto ciò, conclude Maggioni, è un Iraq sostanzialmente diviso in tre parti: una frazione sciita, debole e alla mercé degli aiuti militari americani, una regione curda che vada a costituire una sorta di “gendarme” americano locale, e poi il Califfato islamico, «formalmente avversato da Washington ma in realtà tollerato», dal momento che «continua la sua guerra regionale contro due Stati sgraditi agli Usa», cioè Siria e Iran, «facendo il lavoro sporco al posto degli americani». I “bravi ragazzi” dell’Isis potranno funzionare da alibi per consentire agli Usa di intervenire militarmente anche in Siria, dove un anno fa furono fermati dall’opposizione russo-cinese. Intanto, per bocca del proprio leader, il califfo Al-Baghdadi, l’Isis ha già indicato la Cina come “Stato nemico dell’Islam”, promettendo in un prossimo futuro di fornire aiuto ai gruppi islamisti Uighuri dello Xinjiang. «Casualmente – chiosa Maggioni – il principale avversario geopolitico degli Usa rientra tra gli obiettivi degli islamisti», che tra parentesi «durante tutto il periodo dei bombardamenti a Gaza non hanno detto una sola parola contro Israele». Miracoli della geopolitica, sotto il regno di “Barack Osama”.La drammatica e apparentemente inarrestabile ascesa dell’Isis ha riportato l’attenzione mediatica sul martoriato Iraq, caduto nel dimenticatoio dopo il ritiro delle truppe americane. I mezzi di informazione sono prodighi di informazioni nel descrivere le atrocità del Califfato, ma reticenti nel raccontare chi siano i suoi membri e quale sia la sua origine. Lo Stato Islamico di Iraq e Siria (questo il nome completo) non è una forza apparsa improvvisamente dal nulla, ma il figlio diretto delle politiche dell’imperialismo americano in Medio Oriente che ha le sue radici nel conflitto siriano e nel caos dell’Iraq post-Saddam, ricorda Riccardo Maggioni, secondo cui per capire meglio qual è il ruolo dell’Isis occorre fare un salto indietro di almeno trent’anni, dal momento che l’islamismo politico «è l’alleato oggettivo dell’imperialismo americano nel Medio Oriente» a partire dai lontani anni ‘80, quand’era il pretesto perfetto per consentire agli Usa di intervenire per aiutare i “buoni” e punire i “cattivi”.
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Torneremo sudditi: il piano del demonio, padrone d’Europa
Tagli al welfare. Si persegue quella che il mondo anglosassone da sempre considera l’essenza della democrazia moderna: una società di individui fondata sulla libertà d’impresa. Afferma un celebre adagio che nella pervicacia si annida il demonio. Se è vero, le leadership europee sono prigioniere di potenze infere. Da sette anni infliggono ai propri paesi e alle loro economie una terapia nel segno dell’austerity che dovrebbe debellare la crisi e rimettere in moto la crescita. Non solo questa cura non ha prodotto nessuno dei risultati attesi. Tutte le evidenze depongono in senso contrario, al punto che sempre più numerosi economisti mainstream si pronunciano a favore di politiche espansive. Ciò nonostante la musica non cambia, nemmeno ora che l’Istituto statistico nazionale della Germania federale ha reso noti i dati sul secondo semestre di quest’anno. Anzi, il mantra delle “riforme strutturali” imperversa più forte che mai. Insomma, il demonio sbanca. O c’è semplicemente un dio dispettoso che si diverte ad accecare gente che vuol perdere.Sta di fatto che a suon di “riforme” l’Europa si sta suicidando, come già avvenne nel secolo scorso dopo il crollo di Wall Street, nonostante il buon esempio degli Stati Uniti rooseveltiani, che pure di capitalismo ne capivano. Questa è una lettura possibile. I capi di Stato e di governo e i grandi banchieri starebbero sbagliando i conti. Per superbia e presunzione, forse per incapacità, come pare suggerire il ministro Padoan parlando di previsioni errate. Ma c’è un’altra ipotesi altrettanto plausibile. Anzi, a questo punto ben più verosimile. Che non si tratti di errori ma del pesante tributo imposto dal massimo potere oggi regnante. Nonché (di ciò troppo di rado si discute) del perseguimento di un lucido progetto. E di un calcolo costi benefici forse spericolato ma coerente, in base al quale la recessione, con i suoi devastanti effetti collaterali (deflazione, disoccupazione, deindustrializzazione), appare un prezzo conveniente a fronte del fine che ci si prefigge: la messa in sicurezza di un determinato modello sociale nei paesi dell’Eurozona.Quale modello è facile a dirsi, se leggiamo in chiave politica le “riforme strutturali” di cui si chiede a gran voce l’adozione. Costringere gli Stati a “far quadrare i conti” significa nei fatti imporre loro, spesso congiuntamente, tre cose. La prima: vendere (svendere) il proprio patrimonio industriale e demaniale. La seconda: accrescere la pressione fiscale sul lavoro dipendente (posto che ci si guarda bene – soprattutto ma non solo in Italia – dal colpire rendite, patrimoni e grandi evasori). La terza: tagliare la spesa sociale destinata al welfare (vedi le ultime esternazioni del ministro Poletti in tema di pensioni), al sistema scolastico pubblico e all’occupazione nel pubblico impiego (dato che altre voci del bilancio non sono mai in discussione). Non è difficile capire che tutto ciò significa affamare il lavoro e spostare enormi masse di ricchezza verso il capitale privato. Nel frattempo, accanto a questi provvedimenti, ci si impegna a modificare le cosiddette relazioni industriali. Così si varano “riforme del lavoro” che hanno tutte un denominatore comune: l’attacco ai diritti dei lavoratori (“rigidità”) al fine di fare della forza lavoro una variabile totalmente subordinata (“flessibile”) al cosiddetto “datore”, che deve poter decidere in libertà se, quanto e a quali condizioni utilizzarla.Ne emerge un progetto nitido, che rovescia di sana pianta non solo il sogno sovversivo degli anni della sommossa operaia ma anche quello dei nostri costituenti. Si vuole fare finalmente della vecchia Europa quello che il mondo anglosassone da sempre considera l’essenza della democrazia moderna: una società di individui fondata sulla libertà d’impresa, cioè sul potere pressoché assoluto del capitale privato. Dopodiché potrà forse spiacere che dilaghino disoccupazione e povertà mentre enormi ricchezze si concentrano nelle mani di pochi. Pazienza. La “libertà” è un bene sommo intangibile, al quale è senz’altro opportuno sacrificare un feticcio d’altri tempi come la giustizia sociale. A chi obiettasse che questa è una lettura tendenziosa, sarebbe facile replicare con un rapido cenno alla teoria economica. L’enfasi sulla disciplina di bilancio suppone il ruolo chiave del capitale finanziario nel processo di produzione, secondo quanto stabilito dalla teoria neoclassica. Nel nome della “democrazia” questa teoria affida la dinamica economica alle decisioni del capitale privato. Il processo produttivo si innesca soltanto se esso prevede di trarne un profitto, il che significa concepirlo non soltanto come dominus naturale della produzione ma anche come il sovrano sul terreno sociale e politico.Vi sono naturalmente altre teorie. Marx, per esempio (ma anche Keynes) vede nella produzione una funzione sociale determinata principalmente da due fattori: la domanda (i bisogni sociali, compresi quelli relativi a beni o servizi “fuori mercato”) e la forza lavoro disponibile a soddisfarli. In questa prospettiva la funzione del capitale (soprattutto di quello finanziario, il denaro) è solo quella di mettere in comunicazione la domanda col lavoro. Per questo non gli è riconosciuto alcun potere di veto, meno che meno la sovranità. Anzi: la disponibilità di capitale è interamente subordinata alla decisione politica, per quanto concerne sia la leva fiscale, sia la massa monetaria. Inutile dire che queste teorie sono tuttavia reiette, bollate come stravaganti e antimoderne. Si pensa alle teorie come cose astratte, ma, come si vede, esse in filigrana parlano di soggetti in carne e ossa e di concretissimi conflitti. Il che spiega in abbondanza la povertà logica delle resistenze alle critiche keynesiane e marxiste. Spiega il vergognoso servilismo dei media, fatto di ignoranza e opportunismo. E spiega soprattutto perché, per l’establishment europeo, le “riforme strutturali” propugnate nel nome della teoria neoclassica siano un valore in sé, benché non servano affatto a risolvere la crisi, anzi la stiano aggravando oltremisura.La questione, insomma, è solo in apparenza economica e in realtà squisitamente politica. Del resto, nella sovranità assoluta del capitale e nella totale subordinazione della classe lavoratrice risiede la sostanza dei trattati europei che in questi vent’anni hanno modificato i rapporti di forza tra Stati e istituzioni comunitarie, tra assemblee elettive e poteri tecnocratici. È questo il punto di caduta di provvedimenti in apparenza dettati dalla ragion pura economica come il famigerato Fiscal Compact; questa la ratio della sciagurata decisione, al tempo del “governo del presidente”, di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione. Non ve n’era bisogno, essendoci già Maastricht. Ma si sa, si prova un brivido particolare nel prosternarsi dinanzi ai primi della classe, nell’eccedere in espressioni servili. In altri tempi si sarebbe parlato di collaborazionismo.Un solo dubbio resta, nonostante tutto. È chiaro che alle leadership europee non interessa granché dell’equità sociale, né fa problema, ai loro occhi, l’instaurarsi di un’oligarchia. Ma a un certo momento (ormai prossimo) non sarà più tecnicamente possibile drenare risorse verso il capitale. Già oggi l’impoverimento di massa genera disfunzioni gravi, come dimostra l’imperiosa esigenza di “riformare” le Costituzioni per affrancare i governi dall’onere del consenso. Insomma, è sempre più evidente che il modello neoliberista urta contro limiti sociali e politici non facili a varcarsi. È vero che in un certo senso il capitale non conosce patria (è di casa ovunque riesca a valorizzarsi). Ma, a parte il fatto che gli equilibri geopolitici risentono del grado di forza interna delle compagini sociali (per cui l’Occidente rischia grosso nel confronto con l’«altro mondo», in vertiginosa crescita, ricco di capitali e di risorse umane), davvero è pensabile tenere a bada società già avvezze alla democrazia sociale (in questo l’Europa si distingue dagli Stati Uniti) a dispetto di una regressione ad assetti neofeudali? Abbiamo detto che non si capisce la discussione economica se non la si legge in chiave politica. Ma è proprio un problema politico quello che le leadership neoliberiste sembrano non porsi. Confermando tutta la distanza che corre tra gli statisti e i politicanti.(Alberto Burgio, “L’inchino europeo al capitale privato”, da “Il Manifesto” del 20 agosto 2014).Tagli al welfare. Si persegue quella che il mondo anglosassone da sempre considera l’essenza della democrazia moderna: una società di individui fondata sulla libertà d’impresa. Afferma un celebre adagio che nella pervicacia si annida il demonio. Se è vero, le leadership europee sono prigioniere di potenze infere. Da sette anni infliggono ai propri paesi e alle loro economie una terapia nel segno dell’austerity che dovrebbe debellare la crisi e rimettere in moto la crescita. Non solo questa cura non ha prodotto nessuno dei risultati attesi. Tutte le evidenze depongono in senso contrario, al punto che sempre più numerosi economisti mainstream si pronunciano a favore di politiche espansive. Ciò nonostante la musica non cambia, nemmeno ora che l’Istituto statistico nazionale della Germania federale ha reso noti i dati sul secondo semestre di quest’anno. Anzi, il mantra delle “riforme strutturali” imperversa più forte che mai. Insomma, il demonio sbanca. O c’è semplicemente un dio dispettoso che si diverte ad accecare gente che vuol perdere.
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Padoan? Disco rotto: promette ripresa ma fa solo tagli
«Ricordiamoci che lo Stato continua a prelavare dall’economia reale più di quanto eroghi, al netto degli interessi. La politica rimane di austerity. E finché rimane di austerity saranno guai». Parola di Emiliano Brancaccio, economista dell’università del Sannio, intervistato da “Radio Popolare” all’indomani dell’ultimo bollettino di guerra sulla situazione italiana: altro giro di vite della recessione (-0,2%), nonostante i sorrisi di Renzi e le rassicurazioni del ministro Padoan, secondo cui l’industria è comunque in ripresa. Gli italiani? Devono «mantenere la fiducia e spendere al meglio quegli 80 euro». C’è da ridere per non piangere: «Lasciamo stare l’invito del ministro a spendere», replica Brancaccio. «La verità è che quel bonus di 80 euro da un lato non funziona perché i lavoratori hanno dovuto comunque far fronte al deterioramento dei risparmi che si è verificato nel corso di lunghi anni di crisi. Dall’altro, quel bonus si inscrive comunque in una politica economica complessiva che rimane di austerità».Nel mainstream, la “verità” della tragedia italiana viene regolarmente oscurata, minimizzata. Gli interventi come quello di Brancaccio, limitati a brevissimi spot. L’infernale ordinamento della macchina tecnocratica europea – la Troika, l’Eurozona, il rigore come “normalità istituzionale” – non è minimamente analizzato. Non si dice mai che l’unica economia “ammessa” è quella neoliberista, che prescrive il suicidio dello Stato come soggetto strategico: l’interesse pubblico deve sparire, per non ostacolare la privatizzazione epocale di tutti i servizi e la frantumazione del lavoro, sempre più precario. La cosiddetta crisi europea non è “un incidente”, ma un piano preciso. E persino quando la stessa Ue ammette che la crisi peggiora, nessuna analisi ha vera cittadinanza sui grandi media. Così, a commentare gli ultimi dati sulla catastrofe sono Renzi e Padoan, che si appellano alla “fiducia” come provvidenziale soluzione, un minito dopo esser stati smentiti – per l’ennesima volta – sulle loro previsioni, cioè la mirabolante e imminente “ripresa”.«Mi spiace doverlo dire, ma quello di Padoan è un disco rotto», dichiara Brancaccio. «E’ un film che ormai vediamo dal 2011: è da allora che il governo e la Commissione Europea continuano a prevedere crescita e a vedere finalmente l’uscita dal tunnel, e vengono poi seccamente smentiti dai dati reali e dai fatti». Secondo Brancaccio, anche Padoan «non fa altro che reiterare questi errori di previsione, e francamente questo significa una cosa molto semplice». Ovvero: «Governo e Commissione Europea continuano a negare una realtà di fatto: l’austerity deprime l’economia e non migliora – ma peggiora – i conti pubblici». Il che non è affatto una sorpresa, ovviamente: tagliando la spesa pubblica, crolla anche il sistema privato e cala il gettito fiscale, aggravando il debito. Sono le condizioni perfette per indebolire il paese e renderlo indifeso di fronte alla “soluzione finale” programmata, ovvero la privatizzazione di tutti i servizi. A questo “serve” l’austerity di cui parla Brancaccio. Renzi e Padoan, in realtà, recitano: sanno benissimo quale sarà il finale, e lavorano esattamente per quell’obiettivo, la fine dell’Italia così come l’abbiamo conosciuta.«Ricordiamoci che lo Stato continua a prelevare dall’economia reale più di quanto eroghi, al netto degli interessi. La politica rimane di austerity. E finché rimane di austerity saranno guai». Parola di Emiliano Brancaccio, economista dell’università del Sannio, intervistato da “Radio Radicale” all’indomani dell’ultimo bollettino di guerra sulla situazione italiana: altro giro di vite della recessione (-0,2%), nonostante i sorrisi di Renzi e le rassicurazioni del ministro Padoan, secondo cui l’industria è comunque in ripresa. Gli italiani? Devono «mantenere la fiducia e spendere al meglio quegli 80 euro». C’è da ridere per non piangere: «Lasciamo stare l’invito del ministro a spendere», replica Brancaccio. «La verità è che quel bonus di 80 euro da un lato non funziona perché i lavoratori hanno dovuto comunque far fronte al deterioramento dei risparmi che si è verificato nel corso di lunghi anni di crisi. Dall’altro, quel bonus si inscrive comunque in una politica economica complessiva che rimane di austerità».
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Tra Kissinger e Robin Williams ci siamo noi, zona grigia
Sei sei un fenomeno, con “numeri” fuori dal comune, puoi diventare due cose assolutamente opposte: Robin Williams, oppure Henry Kissinger. Così Paolo Barnard commenta la tragica scomparsa del geniale attore americano. Racconta: «Mi fu detto una volta: “Chi nasce con il talento vulcanico, la personalità esplosiva e mercuriale, con capacità elevate, e quindi eccelle in positivo, corre un rischio orrendo: e cioè che questa immensa mole di energia si sdoppi con la stessa potenza nell’alimentare il suo demone interno. E la sua devastazione sarà esattamente pari alla sua esaltazione”». Nella storia, la lista di uomini e donne cui questo è accaduto è infinita. «Quando un essere umano si trova nelle condizioni sopra descritte ha due scelte. Se accetta di rimanere umano, e quindi di portarsi addosso i demoni della propria anima, se accetta di parlare alla sua anima, vive ogni attimo dell’esistenza appeso a una fune che lo solleva in paradiso, e poco dopo lo cala all’inferno, e via così di continuo, ogni giornata, anno dopo anno. Reggere diventa a un certo punto impossibile, e la si fa finita: Williams».Altrimenti, continua Barnard, l’uomo o la donna di enorme talento «ammazzano, nel senso che proprio disintegrano ogni grammo della loro umanità, e con esso i demoni dell’anima, l’anima stessa». Il risultato? «Sono persone robotiche, prive di qualsiasi sentimento, con l’anima vitrea e incenerita. Tutto il loro talento a quel punto può solo fare una cosa: fare del male. Kissinger». Morale: «Fine delle scelte. Viva la vita, eh?». Questo, però, vale per le eccellenze assolute, le persone straordinarie. E tutti gli altri? Il nazismo, ricorda Primo Levi, non regnò grazie al “genio” di Hitler o al sadismo efferato di qualche gerarca fanatico: riuscì a imporsi, per lunghi anni, solo grazie all’acquiescenza decisiva della cosiddetta “zona grigia”, quella che trasforma i testimoni dei carnefici in loro complici, se restano passivi di fronte all’abominio. «Che ne dite di un po’ di porca verità?», propone Barnard. Oggi sappiamo esattamente come funziona la struttura del super-potere oligarchico, sappiamo perfettamente che è di natura totalitaria, eppure non muoviamo un dito.«C’è l’Impero americano, quello russo, e altri. C’è il Bilderberg. C’è la Trilaterale. C’è la Massoneria. C’è il complesso finanziario, mostro globale. C’è il complesso militare industriale. Ci sono decine di migliaia di lobby di servizi, finanza e industria. Ci sono i colossi dell’Agribusiness, coi loro veleni. Ci sono le Mafie. C’è la speculazione multimiliardaria di Big Pharma sulla nostra salute. Insomma, ci sono gli squali dell’umanità, i vampiri che uccidono, straziano, succhiano sangue degli esseri umani». E noi, che facciamo? «Oggi voi sapete tutti», sottolinea Barnard. «Ci sono i giornalisti che v’informano rischiando la vita, la carriera, sfinendosi sul lavoro, e sono persino in Tv (“La Gabbia”, La7). Ci sono le band rock che lo fanno, “Muse”, “Linkin Park” e altri. C’è la Rete, che vi avvisa su centinaia di migliaia di siti accessibili gratis. Ci sono le Ong con grande visibilità che tentano di farvi capire».Ormai non ci sono più scuse: esistono «mezzi di comunicazione e organizzazione civica di massa che sono CENTOMILA volte quelli dei proletari del ‘900». Eppure, aggiunge Barnard, grande attivista “sovranista” della Mmt, l’economia democratica, «tutto quello che facciamo per voi diventa cenere». Perché? «Perché tutto viene distrutto dalle vostre orde, da voi: la gggènte. Tutto. Nulla sopravvive alla gggènte, soprattutto ai gggiòvani, che macinano in sguardi istupiditi tutto, tutto, non gliene frega un cazzo di sapere niente». E allora diciamocela, “la porca verità”: «Chi sono i porci del mondo? No, non i Padroni, non gli Imperi, ma la ggggènte, e i gggiòvani. Se ne fottono DEI MEZZI CHE GLI DIAMO PER SALVARSI LA VITA E LA DIGNITA’. La gggènte e i gggiòvani macinano secoli di lotte, e di intelletti immensi che hanno lottato per loro, in merda. Pur di avere un iPad, il pub, le spiagge, le chat, e altre porcate del genere. Non danno un solo minuto della loro vita all’impegno umano e sociale, NON UN MINUTO, loro, la gggènte e i gggiòvani. Non gli frega un cazzo di nient’altro».Milioni di persone stanno andando tranquillamente al macello, ogni giorno, nell’immenso mattatoio socio-economico chiamato Eurozona, mentre il mondo intorno – il vecchio mondo, uscito dalla fine della guerra guerra – sta letteralmente crollando, schiantato dalla geopolitica globalista imperiale e dal dominio assoluto delle élite. Una carneficina, che si nutre di continui sacrifici umani, dall’Ucraina ai bambini di Gaza. Ma nessuno fa mai nulla per opporsi alla “dittatura” del vero potere. «E’ nazista – si domanda provocatoriamente Barnard – dire che il massacro di ’ste masse, che non hanno più giustificazioni oggi, è solo giustizia?». Disse il rivoluzionario francese Danton: «Tu hai i diritti per cui sei stato disposto a combattere». Viceversa, chiosa Barnard, «vivi da cane, e muori da cane. Ed è…GIUSTO. Non date la colpa al Potere». A cui, del resto, non mancheranno mai Kissinger. Quanto ai Robin Williams, difficilmente arrivano all’età della pensione, in un mondo trasformato in immensa “zona grigia”.Sei sei un fenomeno, con “numeri” fuori dal comune, puoi diventare due cose assolutamente opposte: Robin Williams, oppure Henry Kissinger. Così Paolo Barnard commenta la tragica scomparsa del geniale attore americano. Racconta: «Mi fu detto una volta: “Chi nasce con il talento vulcanico, la personalità esplosiva e mercuriale, con capacità elevate, e quindi eccelle in positivo, corre un rischio orrendo: e cioè che questa immensa mole di energia si sdoppi con la stessa potenza nell’alimentare il suo demone interno. E la sua devastazione sarà esattamente pari alla sua esaltazione”». Nella storia, la lista di uomini e donne cui questo è accaduto è infinita. «Quando un essere umano si trova nelle condizioni sopra descritte ha due scelte. Se accetta di rimanere umano, e quindi di portarsi addosso i demoni della propria anima, se accetta di parlare alla sua anima, vive ogni attimo dell’esistenza appeso a una fune che lo solleva in paradiso, e poco dopo lo cala all’inferno, e via così di continuo, ogni giornata, anno dopo anno. Reggere diventa a un certo punto impossibile, e la si fa finita: Williams».
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Brzezinski: spartizione Usa-Cina o Terza Guerra Mondiale
«L’enorme instabilità a livello mondiale non ha precedenti storici», perché «grandissime fette di territori sono governate da instabilità populista, rabbia e perdita del controllo statale». Zbigniew Brzezinski, consigliere strategico di Carter e storico “cervello” dell’egemonia mondiale statunitense, lancia l’allarme: «Non stiamo declinando verso una crisi per la sopravvivenza, ma stiamo perdendo il controllo dei nostri massimi livelli di abilità nell’affrontare sfide che, sempre più, molti di noi riconoscono essere fondamentali per il nostro benessere». Dura lezione, per gli Usa, i fallimenti a catena degli ultimi vent’anni: «Non possiamo arruolare forze o creare leadership per gestirle», e questo rende gli Usa «sempre più privi di volontà strategica e senso della direzione da intraprendere». Scenario: «Siamo di fronte a un mondo pieno di tumulti, frammentazione e incertezza: nessuna minaccia diretta per nessuno, ma molte differenti minacce praticamente per chiunque».Nella polveriera del Medio Oriente, dice Brzezinski in un colloquio con David Rothkopf ripreso da “Come Don Chisciotte”, si può contare davvero soltanto su pochi Stati, dotati di relativa stabilità: sicuramente la Turchia e l’Egitto, poi l’Iran – con cui gli Usa sono in stato di crisi – e ovviamente Israele, ma solo a patto che nasca una pace stabile, con la creazione di uno Stato autonomo dei palestinesi. All’appello manca l’Iraq: tragico errore, ammette Brzezinski, la guerra di George W. Bush per eliminare Saddam, che faceva da argine contro il jihadismo di Al-Qaeda. «Siamo intervenuti in Libia senza un piano a lungo termine, lasciando campo a forze destabilizzanti», dice Rothkopf. «Non abbiamo intrapreso azioni decise in Siria e, come conseguenza di ciò e della situazione in Iraq, si è diffuso il malcontento in Siria. I rischi sono ovunque e le forze stabilizzatrici maggiori al mondo – Usa, Ue e Cina – hanno desiderio di interventi costruttivi in ben poche di queste situazioni».Per Brzezinski, gli Stati Uniti non hanno più molte chances nella regione petrolifera. Ma non sono i soli a subire danni dal caos che dilaga: «Le due nazioni che potrebbero maggiormente essere danneggiate da questi sviluppi a lungo termine sono Cina e Russia, a causa dei loro interessi regionali, la vulnerabilità al terrorismo e gli interessi strategici sul mercato globale dell’energia». Di conseguenza, Pechino e Mosca dovrebbero «lavorare insieme a noi», evitando di lasciare solo agli Usa «la responsabilità di gestire una regione che non possiamo né controllare né comprendere». Rothkopf fa presente che gli Stati Uniti sono stati «spinti dagli eventi in Iraq per lo meno a collaborare attraverso qualche sorta di tacito accordo nei riguardi dell’Isis, o Stato Islamico», e c’è chi teme negoziati con l’Iran verso un disgelo tra Washington e Teheran. «Vedo l’Iran come un vero Stato-nazione», dice Brzezinski. «Quella identità reale gli dà la coesione di cui la maggior parte del Medio Oriente è priva».I problemi: la competizione coi sunniti e la ventilata minaccia di Teheran nei confronti di Israele, a cui Brzezinski però non crede. «Il punto della questione è che Israele ha un monopolio nucleare nella regione e ce l’avrà per lungo tempo», continua l’analista. «Una cosa che gli iraniani non faranno di sicuro è intraprendere una missione suicida nel momento in cui avranno una bomba. Quindi l’idea che è stata pubblicizzata negli Usa che potrebbe scaturire una folle corsa iraniana per avere la bomba in nove mesi a mio parere è insensata», anche perché «Israele ha un esercito molto forte e circa 150-200 bombe: ciò è sufficiente per uccidere ogni iraniano». Poi ci sono i tradizionali alleati Usa nella regione. Buio pesto: Brzezinski si dichiara «confuso» dalla tragedia della guerra civile siriana. «Non mi è chiaro – dice – cosa esattamente pensassero di ottenere i sauditi e i qatarioti scatenando una guerra settaria in Siria, e sono ancora più frastornato da cosa noi pensassimo avremmo potuto ottenere sostenendoli in una maniera tanto esitante e inconsistente». Ammette Brzezinski: «E’ dalla seconda guerra in Iraq che noi americani ci siamo squalificati come protettori e promulgatori di qualsivoglia sviluppo positivo», per cui «sarebbe meglio concludere qualche sorta di tacito accordo coi cinesi e i russi», sulla gestione della geopolitica in Medio Oriente.Sulla Russia, però, la visione di Brzezinski è brutalmente unilaterale: già anni fa, la sua “dottrina” suggeriva di amputare Mosca dell’Ucraina e in particolare della Crimea, privando i russi dello sbocco strategico sul Mar Nero. Oggi non ha cambiato idea: chiama “invasione” il recupero della Crimea votato a fuori di popolo. E imputa a Mosca – anziché a Washington – l’iniziativa in Ucraina, senza alcun commento sui neonazisti appoggiati dalla Nato che hanno gestito il golpe a Kiev, dato alle fiamme il palazzo dei sindacati a Odessa e cominciato a prendere a cannonate la popolazione civile russofona, per sfrattarla dell’Est del paese “prenotato” dalle grandi compagnie, come la Shell, interessate allo “shale gas” del sottosuolo ucraino. Brzezinski sogna relazioni privilegiate Usa-Cina escludendo la Russia, di cui non sopporta la crescente influenza internazionale anche in ambito Brics, ma sa benissimo che i cinesi non gradiscono un’ipotesi G2, fondata sulla leadership di Washington e Pechino.Quanto al Giappone, passi che si avvicini all’India per bilanciare l’espansionismo cinese, ma è bene che sappia che gli Usa non sosterranno Tokyo se tenterà un braccio di ferro militare con la Cina per le contese isolette del Pacifico. Grande assente, in ogni scenario geopolitico mondiale, il vecchio continente: «Dove sono i padri dell’Europa che davvero credono nell’identità europea? Alla fine, la Ue si è dimostrata essenzialmente una serie di accordi a Bruxelles, basati sul denaro e i quid pro quo, ma con molto poco senso di obiettivi comuni». Salvo ovviamente tentare – ancora – di proteggere i propri interessi post-coloniali in paesi africani in subbuglio, come Sudan, Somalia, Repubblica Centrafricana, Nigeria e Mali. L’anziano Brzezinski la vede così: nel futuro, ipotetico grande “condominio” americano e cinese, l’Europa resterà «un tentacolo» degli Usa, a patto che accetti accordi commerciali euro-atlantici come il Ttip: «Uniamo questi ultimi alla Nato, all’annessione dell’Ucraina all’Ue, che a sua volta dovrebbe attirare la Russia verso l’Europa, perchè l’ombra della Cina sta sempre più estendendosi sopra Mosca», e avremo un quadro che, secondo lo stratega americano, «potrebbe andare nella direzione di un beneficio collettivo».Riguardo all’ex “cortile di casa”, l’America Latina, Brzezinski è altrettanto sbrigativo: «Gli Usa stanno imparando ad essere tolleranti», sostiene. «Abbiamo imparato a convivere con Cuba, con il Nicaragua, con il Venezuela». La Cina? E’ sostanzialmente tollerante. Sicché, conclude Brzezinski, «allo stesso modo noi possiamo fare lo stesso per loro in Asia. Ovvero: tu ti risolvi i tuoi problemi nelle vicinanze, ma non spingerti oltre. Tolleriamo alcuni sprazzi di autonomia». Tolleranza “a sprazzi”, che Brzezinski definisce «bilateralmente sostenibile». Soprattutto per una ragione: «Loro», i cinesi, «non competono ideologicamente con noi». Riflessione storica: «L’assenza di un conflitto ideologico tra noi e i cinesi è la sostanziale differenza tra i conflitti con l’Unione Sovietica o con Hitler e la Germania. In entrambi i casi c’era forte antagonismo, in parte a causa di ragioni geopolitiche, ma in parte anche per profonde e conflittuali differenze ideologiche». Per Brzezinski, si tratta di «creare una sorta di intesa sulla base di come erano le relazioni tra Roma e Bisanzio: queste due città avevano molto in comune, erano estensioni dello stesso impero, ma avevano diversi centri di potere. Dobbiamo affrontare il fatto che probabilmente per il resto delle nostre vite – a meno che tutto non vada all’inferno, il che sarebbe molto peggio – gli Usa e la Cina sono destinati a cooperare se il mondo vuole avere un sistema efficace».Non sarà facile: l’esercito cinese, tanto per dire, è fortemente antiamericano. Brzezinski, al solito, semplifica: «Noi siamo una super-democrazia, loro una dittatura egocentrica». Ci sono i Brics, naturalmente, della cui crescente autonomia gli Usa hanno paura. L’Europa? Non pervenuta: «Chi sono gli europei? Se vai a Parigi o in Portogallo, o in Polonia, e chiedi “chi sei tu?” ti verrà risposto “Sono portoghese”, “Sono spagnolo”, “sono Polacco”. Quali sono le persone che sono veramente europee?». La speranza del vecchio stratega della Casa Bianca è di coltivare relazioni cooperative con la Cina, l’unica superpotenza paragonabile agli Stati Uniti, una nazione «che esiste da 5-6000 anni», sicura della propria identità e consapevole della sua forza. Una grande nazione, psicologicamente più affidabile degli Stati Uniti: «Noi possiamo facilmente venire troppo coinvolti emotivamente nei loro problemi interni, loro invece non si fanno prendere emotivamente dai nostri». Inoltre, secondo Brzezinski, «i cinesi non sono mai stati stupidi quanto i russi, che più di una volta sono venuti a dirci in faccia “Vi distruggiamo”».Sul futuro imminente, Brzezinski raccomanda prudenza. Obiettivo: evitare quella che molti chiamano Terza Guerra Mondiale. Vero, «ci sono similitudini con il 1914», ma allora «le maggiori potenze avevano una visione più ristretta del mondo», pensavano di risolvere i problemi «con l’uso della forza bruta». Non è più così. «Non vogliamo affondare nella crisi mediorientale. I russi preferirebbero di sì, ma restandone fuori. I cinesi giocano a starsene a guardare da lontano. Tutto ciò fornisce alcune rassicurazioni sul fatto che la situazione non esploderà e non andrà a finire come nel 1914». Cautela, dunque, nell’uso delle armi. Per riuscire a pacificare il Medio Oriente con l’aiuto di Turchia, Iran, Egitto e Israele, avendo «la Cina come socio paritario», fondamentale per «una sorta di stabilità globale», e perfino contando sulla Russia come alleato potenziale, «non appena avrà superato i dissidi con gli europei». Evaporata l’Onu e qualsiasi altra forma di governance istituzionale, Brzezinski propone una nuova Yalta: l’Occidente agli Usa e l’Asia alla Cina, con uno status speciale per India e Giappone. «Questo è il meglio che si possa fare e penso che dovremmo lavorare su queste basi nel corso di questo secolo. Sarà dura. Sarà pericolosa e distruttiva, ma non penso che stiamo scivolando verso una nuova guerra mondiale. Penso che stiamo invece scivolando in un’era di grande confusione e caos dominante».«L’enorme instabilità a livello mondiale non ha precedenti storici», perché «grandissime fette di territori sono governate da instabilità populista, rabbia e perdita del controllo statale». Zbigniew Brzezinski, consigliere strategico di Carter e storico “cervello” dell’egemonia mondiale statunitense, lancia l’allarme: «Non stiamo declinando verso una crisi per la sopravvivenza, ma stiamo perdendo il controllo dei nostri massimi livelli di abilità nell’affrontare sfide che, sempre più, molti di noi riconoscono essere fondamentali per il nostro benessere». Dura lezione, per gli Usa, i fallimenti a catena degli ultimi vent’anni: «Non possiamo arruolare forze o creare leadership per gestirle», e questo rende gli Usa «sempre più privi di volontà strategica e senso della direzione da intraprendere». Scenario: «Siamo di fronte a un mondo pieno di tumulti, frammentazione e incertezza: nessuna minaccia diretta per nessuno, ma molte differenti minacce praticamente per chiunque».
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“Per l’Italia si avvicina la fine”, e Rcs silura De Bortoli
Qualcosa di esplosivo sta accadendo nei piani alti del mainstream italiano: a rompere il tabù, prospettando l’arrivo della famigerata Troika, il triumvirato tecnocratico composto da Commissione Ue, Bce e Fmi, è stato il direttore del “Corriere della Sera” Ferruccio De Bortoli. «Il direttore del “Corriere” ci descrive lo scenario che ci aspetta il prossimo autunno», avverte Cesare Sacchetti, «quando vedremo realizzarsi le peggiori nemesi nella manovra economica, che prevederà un probabile prelievo forzoso sui conti correnti». Sarebbe la riedizione del 1992, quando l’allora primo ministro Giuliano Amato «decise di approvare questo furto a danno del risparmio dei cittadini italiani». Solo allora «verrà dichiarata la resa ai tecnocrati». E sarà «messo in un angolo» il governo presieduto da Matteo Renzi, «che non ha vinto nessuna elezione democratica ma è stato nominato dal Capo dello Stato». Tutto questo, mentre i signori della Troika faranno all’Italia quello che fecero nel 2011 alla Grecia, che in cambio dei 50 miliardi ricevuti sta privatizzando tutto: sono all’asta «porti, aeroporti, isole e acquedotti».È questa, scrive Sacchetti su “L’Antidiplomatico”, «la forma più subdola e criminale con la quale il colonialismo finanziario distrugge e depreda gli Stati sovrani, ostaggi di un debito sovrano denominato in una valuta straniera che non possono stampare». Parole profetiche: «Datemi il controllo della moneta di una nazione e non mi importa di chi farà le sue leggi», disse un certo Mayer Amschel Rothschild. Auspicio «portato a compimento nella moderna Eurozona», dal momento che «gli Stati ex-sovrani sono messi nelle condizioni di una colonia: per poter finanziare la propria spesa devono bussare alle porte dei colonizzatori, che vorranno in cambio la linfa economica degli Stati e prenderanno il possesso monopolistico di tutti i settori strategici di quel paese». L’Italia è già da tempo in vendita, e gli investitori stranieri stanno facendo man bassa dei suoi gioielli, «gentilmente offerti dal governo Renzi», come la Cassa Depositi e Prestiti, Poste Italiane (che dismetterà il 40% della partecipazione pubblica), nonché Eni e Enel, «che potrebbero cedere il 5% delle azioni, come annunciato recentemente dal sottosegretario all’economia, Giovanni Legnini».Mentre gli italiani provano a godersi quei pochi spicchi di sole di quest’estate anomala, scrive Sacchetti, l’ipotesi che la Troika venga qui nel Belpaese non è più remota. «Il giorno dopo che De Bortoli ha annunciato questo scenario, Rcs fa sapere che non si avvarrà più della collaborazione del direttore. È stato infranto un vincolo di riservatezza, qualcosa che doveva essere taciuto è stato rivelato». Forse il direttore «ha pagato questa delazione», anche se «l’impressione è quella di un Ponzio Pilato che vuole lavarsi le mani del sangue degli italiani e non intende accollarsi la responsabilità morale di un disastro sociale ed economico senza precedenti». Non passano che pochi giorni dalle scioccanti dichiarazioni di De Bortoli che «il Barbapapà del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari», fondatore di “Repubblica”, «ci fa dono di una delle sue memorabili articolesse domenicali, dove si augura una venuta della Troika che “deve combattere la deflazione che ci minaccia”».Per Scalfari, la Troika – proprio lei, la massima responsabile dell’euro-disastro – deve «puntare su una politica al tempo stesso di aumento del Pil, di riforme sulla produttività e la competitività, di sostegno della liquidità e del credito delle banche alle imprese». Scalfari, che non ha ancora digerito la detronizzazione del suo beniamino Letta (con quale cenava, addirittura insieme a Draghi e Napolitano) non manca di inviare un messaggio a Renzi: «Capisco che dal punto di vista del prestigio politico sottoporsi al controllo diretto della Troika sarebbe uno scacco di rilevanti proporzioni, ma a volte la necessità impone di trascurare la vanagloria e questo è per l’appunto uno di quei casi». Parole chiare: caro Renzi, ti è stato affidato un compito ben preciso e non lo stai portando a termine come previsto.«Questo – scrive Sacchetti – il contenuto del messaggio che Scalfari manda al premier, al quale potrebbe essere dato il ben servito molto presto se non esegue pedissequamente le istruzioni che gli sono state date». E la fine che lo attende, se non “obbedisce”, «è quella dei suoi predecessori Monti e Letta, i quali sono stati gettati via come due scarpe vecchie appena diventati inutili». Nessuna sorpresa: «E’ il meccanismo infernale che ha progettato l’élite transnazionale che detesta gli Stati e i popoli che li abitano, considerati alla stregua di una plebe ignorante priva di diritti», conclude Sacchetti. «De Bortoli e Scalfari sanno molto bene quale sarà il trattamento che attende l’Italia e ne stanno discutendo nei primi giorni di agosto, mese ideale per sferrare l’ennesimo calcio nelle gengive agli italiani, distratti dalle vacanze». Al loro ritorno, «potrebbero trovare ciò che è stato conquistato ieri dai loro padri completamente distrutto nel giro di pochi mesi oggi».Qualcosa di esplosivo sta accadendo nei piani alti del mainstream italiano: a rompere il tabù, prospettando l’arrivo della famigerata Troika, il triumvirato tecnocratico composto da Commissione Ue, Bce e Fmi, è stato il direttore del “Corriere della Sera” Ferruccio De Bortoli. «Il direttore del “Corriere” ci descrive lo scenario che ci aspetta il prossimo autunno», avverte Cesare Sacchetti, «quando vedremo realizzarsi le peggiori nemesi nella manovra economica, che prevederà un probabile prelievo forzoso sui conti correnti». Sarebbe la riedizione del 1992, quando l’allora primo ministro Giuliano Amato «decise di approvare questo furto a danno del risparmio dei cittadini italiani». Solo allora «verrà dichiarata la resa ai tecnocrati». E sarà «messo in un angolo» il governo presieduto da Matteo Renzi, «che non ha vinto nessuna elezione democratica ma è stato nominato dal Capo dello Stato». Tutto questo, mentre i signori della Troika faranno all’Italia quello che fecero nel 2011 alla Grecia, che in cambio dei 50 miliardi ricevuti sta privatizzando tutto: sono all’asta «porti, aeroporti, isole e acquedotti».