Archivio del Tag ‘Lidia Ravera’
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La fantasia al potere, per davvero: cent’anni fa, a Fiume
Vi propongo la trama di un film per celebrare un fantasioso centenario. Un poeta rimasto orbo, reduce da imprese eroiche e spettacolari come la trasvolata su Vienna o la Beffa di Buccari, marcia su Fiume con poeti, letterati, musicisti, donne e soldati. Il mondo lo osserva curioso. Lui progetta la marcia su Fiume dalla casetta rossa di Venezia, dove riceve donne e ufficiali, e poi arriva in Istria nel settembre del 1919 con un’auto scoperta, il monocolo e i legionari al seguito. La compagnia che lo segue è di personaggi straordinari. Giovani letterati come Giovanni Comisso, Henri Furst, Raffaele Carrieri, ufficiali come l’ebreo russo polacco Leòn Kochnitsky, di nascita belga, nordico affascinato dalla solarità mediterranea, musicista e letterato; o un ufficiale che ha compiuto imprese folli come Guido Keller che lanciò in una trasvolata un pitale su Montecitorio e fiori sul Vaticano e per la regina sul Quirinale; vive nudo e sfrenato a Fiume, defeca da un albero, ha una dieta assurda, fa amore di gruppo. A Fiume nasce lo Yoga, associazione trasgressiva di spiriti liberi, tra ladri, prostitute, tossicomani. Ha come simbolo la svastica ma nel verso tradizionale, opposta a quella che sarà poi del nazismo. E progetta il castello d’Amore, dove simulare feste medievali con donne e soldati.Il rituale politico-cameratesco annuncia il fascismo ma Mussolini è freddo e scettico sull’impresa fiumana perché la considera velleitaria; e il poeta lo attacca sul suo stesso “Popolo d’Italia”, lo accusa d’avere paura e di tradire la Vittoria. A Fiume arrivano un po’ tutti, Guglielmo Marconi a bordo del suo bianco yacht Elettra, e poi torna per divorziare, consigliato da Mussolini, perché a Fiume è facile separarsi: Toscanini con la sua orchestra fa concerti devolvendo gli incassi ai poveri; Filippo Tommaso Marinetti, accolto trionfalmente, si produce in vari discorsi show; arrivano ufficiali giapponesi, belgi e ungheresi che diventano legionari fiumani. Difende Fiume anche Gramsci da chi lo presenta come «un luogo di bestialità, prepotenza, possesso di donne»; anche Lenin è affascinato da Fiume. Per la prima volta partecipano all’impresa alcune donne, come Fiammetta, pseudonimo di una nobildonna milanese, Margherita Besozzi; o donna Ninetta, splendida moglie dell’aviatore Casagrande, bionda ed elegante contessa; ragazze in grigioverde e qualche prostituta. A Fiume si svolgono convegni suggestivi notturni al chiarore delle fiaccole, baccanali in spiaggia, feste dionisiache con vino, donne, sesso e cocaina, “la polvere folle” del Poeta.Battaglie simulate, orge in costume, soldati inghirlandati, che danzano e vestono in modo stravagante, si fanno crescere barba e capelli o se li rasano a zero, e fondano la Congregazione del Pelo. Lui guerrafondaio inventa lo slogan pacifista “mettete dei fiori nei vostri cannoni”, infilando un fiore nel moschetto e parlando di fiori e libero amore. Ci sono gli animalisti, un ufficiale gira con una volpe al guinzaglio, Keller vive con un’aquila e si presenta alla mensa con un pappagallo sul petto; una volta carica sul velivolo un asino… Spopola a Fiume un romanzo futurista, “L’isola dei baci”, ambientato a Capri, di Corra e Marinetti, dove si immagina il primo gay pride, un congresso di omosessuali il cui motto è “raffinati di tutto il mondo unitevi”. Importanti sono i diari fiumani, come quello di Comisso che descrive Fiume come «una città in amore», in cui «tutti si diedero a un godimento irruente». Il Comandante rimprovera gli eccessi sessuali dei legionari, ma ha varie avventure erotiche a Fiume (si auto-definì “porco con le ali”, antesignano di Lidia Ravera).Da una porticina segreta faceva entrare una canzonettista chiamata Lilì di Montresor, che poi ripartiva con ben 500 lire in borsetta; o una donna sensuale e selvaggia chiamata Barbarella nei suoi Taccuini, una quindicenne per lui 53enne, “Bianca, la piccola”, “Gr, Bruna e molle”, una maestrina di Merano. Nella sala del comando, racconta Nino d’Aroma, passarono «molte donne di tutta Europa, vecchi amori, spente fiamme e nuove conquiste». Leggendaria la nascita del profilattico a Fiume battezzato Habemus Tutorem, poi noto come Hatù (ma un’altra versione attribuisce il nome nientemeno che al cardinal Nasalli Rocca). Arrivano a Ronchi pure i frati modernisti, che disobbediscono alla chiesa per seguire il patriottismo del Comandante, espongono alla finestra del monastero il motto dannunziano “Hic manebimus optime” e alla fine sette cappuccini abbandonano il saio. L’amministratore apostolico di Fiume, don Celso Costantini, accusa il poeta di paganesimo. La reggenza del Carnaro, col sindacalista Alceste de Ambris, dura sedici mesi, da settembre al Natale dell’anno dopo. Poi sarà cannoneggiata.Provano prima con le trattative e le promesse – c’è anche Badoglio, mandato dal presidente del consiglio Nitti, detto dal Poeta il “Cagoja” – poi sarà Giolitti a far bombardare Fiume e costringere alla resa. L’ultimo discorso del Comandante a Fiume si conclude con un Viva l’Amore. Quasi un promo del ’68, degli hippy e un riassunto delle rivoluzioni, da quella fascista a quella sovietica, che allora il Vate ammirava (sognava un comunismo senza dittatura, libertario, aristocratico, anarchico e nazionalista). Insomma un microcosmo-manicomio di utopisti, sognatori e velleitari. Un film d’immaginazione, ma la storia è vera, come il mitico Comandante-Poeta. Cent’anni fa la fantasia andò davvero al potere, ma non vi restò molto. Ps: il poeta in questione, l’avrete capito, è Gabriele d’Annunzio, su cui ieri si è aperta una mostra al Vittoriale. Sulla sua impresa fiumana uscirà tra un paio di settimane un’opera ponderosa di Giordano Bruno Guerri. Anni fa Tinto Brass e Pasquale Squitieri mi proposero di scrivere la sceneggiatura di un film dedicato a D’Annunzio a Fiume. Eccone l’abbozzo postumo…(Marcello Veneziani, “La fantasia al potere, cent’anni fa”, da “La Verità” del 10 marzo 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani. Nell’appendice storiografica del romanzo “Il volo del pellicano”, pubblicato da Melchisedek nel 2016, Gianfranco Carpeoro svela la profonda motivazione dell’impegno civile di D’Annunzio, grande poeta e fine letterato: è stato il terz’ultimo “Ormùs” – gran maestro – dei Rosa+Croce, leggendaria confraternita sapienziale di natura iniziatica; i successori di D’Annunzio sarebbero stati l’artista francese Jean Cocteau e poi il genio surrealista spagnolo Salvador Dalì; poi i Rosa+Croce si sarebbero eclissati, in realtà per effetto di una decisione programmata già dai tempi della conferenza di Yalta, dove emersero i germi della futura guerra fredda e del conflitto israelo-palestinese, concepito per colonizzare militarmente il Medio Oriente petrolifero. L’ispirazione “rosacrociana” è evidente nella Carta del Carnaro, in vigore nell’effimera reggenza dannunziana di Fiume: a detta degli storici resta la Costituzione più avanzata – la più moderna, democratica e rivoluzionariamente libertaria che sia mai stata varata, nel mondo. Non è strano, sottolinea Carpeoro: i Rosa+Croce sono i progenitori culturali del socialismo, avendo “firmato” già nel ‘600 opere come “Christianopolis” di Johann Valentin Andreae, “Utopia” di Tommaso Moro e “La Città del Sole” di Tommaso Campanella, tutte ispirate dal sogno di un mondo più giusto).Vi propongo la trama di un film per celebrare un fantasioso centenario. Un poeta rimasto orbo, reduce da imprese eroiche e spettacolari come la trasvolata su Vienna o la Beffa di Buccari, marcia su Fiume con poeti, letterati, musicisti, donne e soldati. Il mondo lo osserva curioso. Lui progetta la marcia su Fiume dalla casetta rossa di Venezia, dove riceve donne e ufficiali, e poi arriva in Istria nel settembre del 1919 con un’auto scoperta, il monocolo e i legionari al seguito. La compagnia che lo segue è di personaggi straordinari. Giovani letterati come Giovanni Comisso, Henri Furst, Raffaele Carrieri, ufficiali come l’ebreo russo polacco Leòn Kochnitsky, di nascita belga, nordico affascinato dalla solarità mediterranea, musicista e letterato; o un ufficiale che ha compiuto imprese folli come Guido Keller che lanciò in una trasvolata un pitale su Montecitorio e fiori sul Vaticano e per la regina sul Quirinale; vive nudo e sfrenato a Fiume, defeca da un albero, ha una dieta assurda, fa amore di gruppo. A Fiume nasce lo Yoga, associazione trasgressiva di spiriti liberi, tra ladri, prostitute, tossicomani. Ha come simbolo la svastica ma nel verso tradizionale, opposta a quella che sarà poi del nazismo. E progetta il castello d’Amore, dove simulare feste medievali con donne e soldati.
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Insegnava a non avere paura, per questo Osho fu ucciso
Osho Rajneesh fu assassinato dalla Cia mediante avvelenamento da tallio. Morì il 19 gennaio 1990, all’età di 60 anni. Faceva paura, perché insegnava a non avere paura di nulla. La morte, scrisse, va accolta con gioia: è come “addormentarsi in Dio”. «Che fu assassinato non lo dice un complottista come me», scrive Paolo Franceschetti. «Lo dice lui stesso, lo dicono i suoi allievi, e la storia del suo assassinio è narrata nel libro “Operazione Socrate”, che spiega anche le ragioni per cui venne avvelenato». Negli anni ‘80, i media lo presentavano come un guru spirituale così anomalo da viaggiare in Rolls Royce, a capo di un clan di appassionati di orge e fumatori di hashish. Non faceva nulla per allontanare da sé l’immagine di personaggio incongruente: secondo Gianfranco Carpeoro, esoterista e studioso di simbologia, il guru indiano emigrato negli Usa aveva capito perfettamente di essere sotto tiro, in pericolo di morte: aveva un enorme ascendente su milioni di giovani, e non voleva fare la fine di John Lennon. Meglio rischiare di passare per ciarlatano, pur di evitare l’omicidio?Osho era una potenza, con qualcosa come 400 titoli usciti a suo nome. Libri praticamente su tutto: vita e morte, religione, amore, denaro, depressione, felicità, etica. E politica. I suoi seguaci italiani? «Sembravano un po’ sciroccati», scrive Franceschetti sul suo blog. Convinti, i “Sannyasin”, che il Maestro se ne fosse semplicemente “andato” per sua scelta. «Dopo aver parlato con loro – confessa Franceschetti – mi convincevo che la storia del suo assassinio doveva essere una balla, prima di tutto perché nessuno dovrebbe aver interesse a uccidere il leader di un branco di sciroccati». La storia della Cia? «Una stupidaggine: quando non si sa a chi dare la colpa, si tira sempre fuori la Cia o gli extraterrestri». Le cose cambiarono quando Francheschetti, avvocato con alle spalle accurate indagini su alcuni dei più atroci casi insoluti della cronaca nera italiana, dal giallo di Cogne al Mostro di Firenze fino alle “Bestie di Satana”, prese in mano un libro di Osho, “La via delle nuvole bianche”. «Rimasi colpito dalla bellezza e della profondità del libro», racconta. «Poi ne lessi altri e via via mi convincevo che il suo pensiero era di una profondità fuori dal comune, che mal si attagliava all’immagine di orge e Rolls Royce che i media ne avevano tramandato».La data della sua morte era quanto meno sospetta, scrive Franceschetti, perché ai giorni nostri è difficile morire a sessant’anni per cause naturali, «specie se stiamo parlando di un uomo che viveva seguendo una dieta sana e principi anche spirituali sani». Osho aveva lavorato, e poi fondato una comunità spirituale, in India. Nel 1981 si trasferì in America e fondò una comunità nell’Oregon, ad Antelope: Raineeshpuram. Venne arrestato il 28 ottobre del 1985 a Charlotte, nella Carolina del Nord, e fu tenuto in stato di arresto per 12 giorni. Motivo del fermo: immigrazione clandestina. «Per quello che, in Oregon, è un semplice illecito amministrativo, Osho fu tenuto, illegalmente, 12 giorni in prigione». Poi gli fu comminata una pena di 10 anni di galera, con la sospensione condizionale, in aggiunta all’espulsione dagli Usa. «Venne accusato perché alcuni cittadini americani che frequentavano la comunità di Osho avevano contratto matrimoni di convenienza con degli stranieri, per far acquisire loro la cittadinanza americana. L’accusa poi era sicuramente falsa, perché Osho era il leader di una comunità che contava oltre 7.000 persone: difficile immaginare che fosse direttamente colpevole di questi reati».Osho venne sottoposto a «una serie di procedimenti illegali», e tenuto in stato di arresto per molti giorni in più rispetto a quella che sarebbe stata la normale procedura, senza che i suoi avvocati fossero avvisati dell’arresto. Venne trasferito in 12 giorni prigioni diverse, «senza motivo e senza una regolare procedura». In un carcere fu registrato col falso nome di David Washington: perché? Fu tradotto in un penitenziario di contea e non nel carcere federale, dove per giunta rimase 4 notti anziché una, come previsto in genere per i prigionieri in transito. Leggendo la sua biografia, e il libro che alcuni suoi discepoli hanno scritto sulla sua morte, saltano agli occhi poi alcune cose. Anzitutto la testimonianza di un detenuto in carcere per omicidio, Jonh Wayne Hearu, che al processo dichiarò di essere stato avvicinato per gettare una bomba sulla comunità di Osho. Furono addirittura insabbiate le testimonianze di alcuni agenti federali, che dichiararono che stavano indagando su un’altra bomba, destinata non alla comunità di Osho ma al carcere nel quale il leader spirituale era stato tradotto. Gli uomini dell’Fbi fecero capire che si trattava di «telefonate partite da centri istituzionali», ma «l’inchiesta su questa vicenda venne insabbiata e il funzionario che stava indagando venne trasferito».Il giorno dell’arresto, continua Franceschetti, erano pronti centinaia di militari che avevano circondato la comunità di Osho. Erano «in assetto da guerra e con elicotteri da combattimento». Il leader spirituale però «fu avvertito della cosa e quel giorno si fece trovare a casa di una sua seguace, dove si consegnò pacificamente». Per giunta, da giorni, i suoi legali chiedevano notizie circa l’eventuale possibile arresto di Osho «il quale, nell’eventualità, voleva consegnarsi spontanemente». Le autorità americane rassicuravano gli avvocati, ripetendo che non dovevano temere nulla. Eppure, «l’arresto fu effettuato a sorpresa e con la preparazione di un vero esercito». Motivo? «A mio parere – dice Franceschetti – avevano preparato una strage, che fu sventata dall’allontanamento di Osho dalla comunità». Probabilmente, «per il governo la cosa migliore sarebbe stato provocare un incidente per poter uccidere Osho direttamente il giorno dell’arresto». Giornali e televisione, che avevano sempre creato problemi alla comunità dipingendola come un covo di satanisti orgiastici, avrebbero liquidato l’aventuale massacro come l’inevitabile esito di un atto di ribellione da parte di fanatici fondamentalisti, una rivolta «repressa con le armi dall’eroico esercito americano».Altro fatto inspiegabile: Osho disse di essere stato in carcere per 11 giorni, quando invece i giorni erano stati 12. «In altre parole, per un giorno Osho perse la memoria. Non fu mai chiarito il perché e il come». Resta il fatto che al guru fu riscontrato un avvelenamento da tallio che lo portò alla morte in pochi anni. «Nei giorni successivi all’arresto, Osho fu trattenuto in carcere più del dovuto perché doveva prepararsi l’avvelenamento da tallio», che avvenne probabilmente «spargendo la sostanza nel letto dove Osho dormì». Era solito dormire su un fianco, e la parte del corpo che risultò agli esami maggiormente contaminata era proprio quella dove Osho aveva dormito. Una morte così sospetta, da mettere in allarme politici e intellettuali anche in Italia, firmatari di una denuncia scritta. Tra questi Lorenzo Strik Lievers, Luigi Manconi, Marco Taradash, Michele Serra, Giorgio Gaber, Lidia Ravera, Giovanna Melandri, Gabriele La Porta. «Il quadro dei fatti è impressionante», scrissero, «e gravissimi sono gli interrogativi che ne escono». Per cui, «se coloro cui spetta non vorranno o non sapranno dare risposte persuasive, saranno essi a legittimare come fondata la denuncia dei discepoli di Osho». I firmatari chiesero l’apertura di un’inchiesta internazionale, per «far luce su questa pagina oscura», e per sapere «se, ancora una volta nella storia, il “diverso” sia stato prima demonizzato e poi eliminato nell’indifferenza generale».Perché fu ucciso, Osho Rajneesh? I suoi allievi accusarono «i fondamentalisti cristiani, che vedono Satana in tutto ciò che non è cristiano». Secondo Franceschetti, erano completamente fuori strada. Tanto per cominciare, «Bush padre, come il figlio e come Reagan (presidente al tempo dell’arresto di Osho) non sono cristiani nel senso “cristiano” del termine». Il cristiano vero «dovrebbe essere tollerante e amorevole verso tutti, e non dovrebbe per nessun motivo uccidere». Loro? «Sono cristiani nel senso “rosacrociano”; fanno parte cioè di quel ramo dei Rosacroce deviato, l’Ordine della Rosa Rossa e della Croce d’Oro», e quando parlano di Dio e di Cristo «intendono questi termini in senso esattamente opposto al senso cristiano: non a caso in nome di Dio scatenano guerre uccidendo milioni di persone». Bush ha spesso ha ripetuto che “Dio è con lui”. Già, ma «il Dio in nome del quale scatenano la guerra è il loro dio, Horus, non il Dio dei cristiani». Bush quindi «non è un cristiano», mentre Osho «è più cristiano di molti “cattolici”, in quanto seguiva alla lettera i principi di amore e tolleranza che sono scritti nei 4 Vangeli».Franceschetti indaga il profilo spirituale del crimine e la sua traduzione politica: «La comprensione e l’interiorizzazione dei principi su cui si basa la filosofia di Osho è idonea a scardinare proprio quei capisaldi su cui la massoneria rosacrociana basa la sua forza: ovvero il concetto della morte e il concetto del denaro». Di fatto, con i suoi scritti, «Osho incita a non temere la morte, e a viverla come uno stato di passaggio, in cui addirittura si vivrà meglio che nel corpo fisico». Quanto ai soldi, «nonostante girasse in Rolls Royce, non era attaccato al denaro: da giovane insegnava all’università ma rifiutò una promozione perché, disse, non voleva regalare ancora più soldi allo Stato con le tasse». Non si preoccupò mai del denaro, «perché sosteneva che nell’universo arriva sempre esattamente ciò di cui hai bisogno, nel momento giusto». Le Rolls Royce? «Arrivarono perché la sua comunità attirava anche gente ricca, e ciascuno metteva in comune ciò che aveva: gli avvocati gestivano gratis i problemi della comunità, i muratori costruivano, i medici curavano, i docenti di varie discipline insegnavano e, ovviamente, chi aveva soldi, donava soldi».Secondo Osho, «il denaro e il lusso sono un mezzo come un altro, possono esserci o meno, ma non devono intaccare la serenità interiore, che invece si acquista con altri mezzi». Insegnava ad amare la vita, ma non ne era attaccato. Lo dimostrano le testimonianze dei seguaci che raccontano la sua ultima notte: rifiutò l’assistenza del medico personale. «E’ il momento che me ne vada», disse. «Inutile forzare ancora le cose. Ormai soffro troppo, in questo corpo». Per Franceschetti, dunque, «Osho faceva paura perché il sistema massonico in cui viviamo si basa su due fondamenti, la paura della morte e la paura della perdita economica». Senza queste paure, il potere, che vive di minacce dirette o indirette (se ti opponi perderai il lavoro, perderai la vita, perderai l’onore perché ti infagheremo) non potrebbe resistere. Senza la paura della morte (tua e dei tuoi cari) svanisce anche il ricatto familiare che si riassume nella frase: non ti opporre al sistema, se tieni alla tua famiglia. A questo sistema la comunità di Osho contrapponeva un modello alternativo, basato sul mutuo aiuto: baratto e libero scambio di beni e competenze quotidiane, senza mercificazione.«Anche dal punto di vista religioso, Osho poteva far paura», conclude Franceschetti. «Non ha fondato una sua religione, né si ispirava ad una religione particolare. Nei suoi libri e nei suoi discorsi utilizzava il Vangelo quando parlava a persone cattoliche, i Sutra buddisti quando parlava a buddisti, i Veda indiani quando parlava a induisti, e attingeva da fonti ebraiche, sufi e chassidiche». Tra i tanti libri, scrisse anche “Le lacrime della Rosa mistica”, quella a cui si ispirano i Rosacroce. «Si possono leggere i suoi scritti, quindi, pur restando buddisti, cristiani, o ebrei. Ma dava una lettura dei testi sacri più moderna e al passo coi tempi, il che poteva far paura a coloro che ancora ragionano con schemi che risalgono a migliaia di anni fa, e che usano la religione come uno strumento per tenere sotto controllo le menti degli adepti». Osho, in altre parole, «fu ucciso per lo stesso motivo per cui furono uccisi altri leader spirituali famosi, come Gandhi e Martin Luther King». Soprattutto, «fu ucciso per la stessa ragione per cui vengono uccisi tutti quelli che si ribellano al sistema denunciandolo fin nelle fondamenta, dai cantanti, agli scrittori, ai registi, ai magistrati, ai giornalisti». Il potere aveva ragione di temerlo: «La diffusione delle idee di Osho poteva contribuire a scardinare il sistema». Se non altro, il suo pensiero non è andato perduto: lo testimonia la continua ristampa dei suoi libri, sempre più diffusi. «Per certi versi, Osho è più vivo che mai».Osho Rajneesh fu assassinato dalla Cia mediante avvelenamento da tallio. Morì il 19 gennaio 1990, all’età di 60 anni. Faceva paura, perché insegnava a non avere paura di nulla. La morte, scrisse, va accolta con gioia: è come “addormentarsi in Dio”. «Che fu assassinato non lo dice un complottista come me», scrive Paolo Franceschetti. «Lo dice lui stesso, lo dicono i suoi allievi, e la storia del suo assassinio è narrata nel libro “Operazione Socrate”, che spiega anche le ragioni per cui venne avvelenato». Negli anni ‘80, i media lo presentavano come un guru spirituale così anomalo da viaggiare in Rolls Royce, a capo di un clan di appassionati di orge e fumatori di hashish. Non faceva nulla per allontanare da sé l’immagine di personaggio incongruente: secondo Gianfranco Carpeoro, esoterista e studioso di simbologia, il guru indiano emigrato negli Usa aveva capito perfettamente di essere sotto tiro, in pericolo di morte: aveva un enorme ascendente su milioni di giovani, e non voleva fare la fine di John Lennon. Meglio rischiare di passare per ciarlatano, pur di evitare l’omicidio?
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Fuga dalla Libia, strage in mare: ed è solo l’inizio
Trecento migranti caduti in mare, solo 53 recuperati: gli altri sono morti o dispersi, nelle acque tra Lampedusa e Malta. «Erano in gran parte eritrei e somali, scappati da Tripoli prima che la guerra arrivasse anche lì», scrive Gabriele Del Grande su “Fortress Europe”, il newsmagazine che compie un accurato monitoraggio dell’esodo. Una catastrofe: «Dagli anni Novanta, nel Canale di Sicilia hanno perso la vita almeno 4.500 persone». Gli ultimi naufraghi, scrive Del Grande, si erano appena imbarcati a Zuwarah sulla rotta libica per Lampedusa, che da un paio di settimane sembra essersi riaperta, «evidentemente con il consenso di Gheddafi e delle sue milizie».
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Marchionne? Prepara il peggio, mentre Berlusconi ci distrae
Caro Marchionne, non ci incanti: la tua visione del lavoro in fabbrica trasforma gli operai in schiavi senza diritti. Prendere o lasciare? Tutta colpa della globalizzazione, che impone nuove regole alle aziende? Signornò, non ci stiamo: e daremo battaglia, insieme alla Fiom, perché colpire il lavoro significa cancellare la democrazia. Questi i tamburi di guerra della mobilitazione per il 16 ottobre a Roma: una nutrita pattuglia di intellettuali, tra cui lo scrittore Andrea Camilleri, attraverso “Micromega” lancia la sua sfida: «Marchionne calpesta diritti, come Berlusconi la Costituzione». E mentre il premier «ci distrae con le sue variazioni comiche», dice Lidia Ravera, il supermanager Fiat, «zitto zitto», azzera cinquant’anni di battaglie civili.
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Aborto: tranquilli, soffriamo anche con la pillola
Abortire è un dolore del corpo, un rischio per la salute, un trauma psichico. Lo sanno tutte le donne. Dal menarca alla menopausa le femmine della specie sono costrette a “pensare l’aborto” perché hanno la responsabilità fisica della procreazione. La scienza ha concepito una pillola che consente di abortire riducendo i fattori dolore e rischio. Il trauma psichico resta inalterato. Dico questo per rassicurare quelli che ci tengono a vederci soffrire.
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Refusnik Tango, Moni Ovadia e gli obiettori militari israeliani
Suoni, parole e poesie a favore della resistenza civile dei militari israeliani impegnati per la pace in Medio Oriente: insieme al Club Tenco di Sanremo, l’Arci milanese presenta una serata speciale l’8 novembre al centro culturale San Fedele di Milano