Archivio del Tag ‘Lilli Gruber’
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Magaldi: Renzi riposi in pace, il progressista oggi è Salvini
«I progressisti devono capire la gente: il mondo va verso situazioni molto dure e le persone chiedono, giustamente, protezione. Invece, sino ad oggi, il Pd ha trattato le persone che hanno paura come se fossero imbecilli». Viva la sincerità, anche se fuori tempo massimo. Suonano comunque lucide, finalmente, le parole dell’ex manager Ferrari e poi ministro post-renziano Carlo Calenda, nipote di Luigi Comencini, approdato al Pd dopo l’esordio politico prima con Montezemolo e poi con Monti. «Dobbiamo dar vita ad un progetto con nuove parole», dice Calenda a “Otto e mezzo”: «Ma pretendere questo dal Pd – ammette – non è possibile». Tra le macerie elettorali dell’ex centrosinistra, forse anche Calenda pensa al “partito che serve all’Italia”, su cui il Movimento Roosevelt si confronterà il 14 luglio a Roma con politologi e sociologi. Tra gli invitati anche il sindaco milanese Beppe Sala e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. A Matteo Renzi, che in un tweet dopo il disastro dei ballottaggi alle amministrative prova a gettare la croce sul povero Martina («con tutto il rispetto, nel Pd manca una leadership: per questo mi riprendo la guida del partito»), Zingaretti risponde a stretto giro: troppo tardi, «un ciclo storico si è chiuso». Tradotto: abbiamo sbagliato tutto, Renzi in primis. Primo errore, capitale: il Pd ha preso per cretini gli italiani spaventati dalla crisi. «Salvini invece li ha saputi ascoltare», dice Calenda, «e questo è il suo grande merito». Infatti, per Gioele Magaldi, il vero progressista sulla scena, oggi, è proprio il leader della Lega.
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Lilli e i suoi fratelli, la guerra dei media contro il popolo bue
Va bene tutto, tranne la verità: come quando cade un regime, e gli organi del vecchio potere annaspano, manifestando rabbia e paura, come di fronte a orde di rivoluzionari scatenati. E’ livido il bombardamento quotidiano, il grottesco fuoco di sbarramento che il mainstream – a prescindere – riversa contro il neonato governo gialloverde. Editorialisti e giornalisti da salotto, esperti sostanzialmente nell’arte del baciamano, oggi sembrano rivoltosi sulle barricate: a Elsa Fornero perdonavano tutto, inclusi gli spargimenti di sangue, mentre sui 5 Stelle e sulla Lega si avventano come mastini. Imperdonabile, il voto degli italiani il 4 marzo: e, visto che il popolo bue ha evidentemente sbagliato a votare, gli addetti alla verità stanno facendo gli straordinari per dimostrare agli elettori grillini e leghisti che non l’avranno vinta: loro, gli euro-cantori dell’establishment, in ogni caso non si arrenderanno alla storia; resisteranno – come gli ultimi giapponesi sull’isoletta – alla marea furibonda del “popolo degli abissi”, espressione che Giulio Sapelli mutua da Jack London. Provare per credere: da manuale di boxe il trattamento che Lilli Gruber ha riservato al cattivone Matteo Salvini, reo di aver osato costringere l’Unione Europea a meditare sulla politica per i migranti, fermando una nave e facendo imbestialire il nemico numero uno dell’Italia, il supermassone reazionario Emmanuel Macron, di scuola Rothschild.A Salvini, in prima serata, “Lady Bilderberg” ha riservato tutte le domande tenute nel cassetto per anni, mai poste a nessuno in precedenza: ma più che le risposte del neo-ministro, a fare notizia era l’evidente dispetto dipinto sul volto dell’dell’ex anchorman del Tg2 craxiano, poi eletta europarlamentare dell’Ulivo prima di tornare, come se niente fosse, a fare “informazione”. Dietlinde Gruber, detta Lilli, di fronte al capo leghista ha sfoderato un piglio bellicoso da Watergate – ma Bob Woodward e Carl Bernstein, vincitori del Pulitzer, mai avrebbero accettato (per dignità professionale) di farsi arruolare ufficialmente tra le fila degli avversari politici di Nixon. E se proprio fossero stati invitati al Bilderberg, avrebbero messo in messo in piazza qualche notizia, intercettata tra quelle segrete stanze. La giornalista de La7 invece partecipa ai “caminetti” a porte chiuse, di cui non riferisce nulla ai suoi telespettatori, e poi – come se niente fosse – carica Salvini a testa bassa, ricordandogli che George Soros è in realtà un grand’uomo, un vero filantropo, essendo la sua Open Society dedita essenzialmente a opere di bene. Lui, Soros: il più celebre speculatore della storia, il più noto supermassone di potere, profeta delle rivoluzioni colorate e ispiratore di “home jobs” insanguinati come il golpe in Ucraina, coi cecchini sui tetti a sparare sulla polizia di Yanukovich per poi far ricadere la colpa sul governo, da abbattere con mezzi criminali.Dopo aver terremotato l’Africa, l’élite francese neoliberista e neocoloniale gioca allo scaricabarile e prova a colpire direttamente l’Italia, anche per distrarre un’opinione pubblica che, oltralpe, ha già perso la fiducia che aveva nell’oscuro, opaco Macron, sodale occulto dei peggiori Soros in circolazione? Niente paura: a reti unificate, le testate italiane – giornali che più nessuno legge – si schierano compatte col francese e contro l’italiano, scelgono il paese che sta cercando di sfrattare l’Italia dalla Libia e si avventano contro il ministro che ha avuto l’ardire di rimettere in discussione l’ipocrisia europea. Salvini fa politica: per la prima volta, un italiano riesce a spaccare in due la Germania e a dividere Berlino da Parigi. Ragione in più per trattarlo da nemico pubblico, in Italia. A malmenarlo, con inaudita violenza, è proprio la Gruber, che utilizza una scheda televisiva per dimostrare che la Francia ha accolto più rifugiati, rispetto all’Italia. Salvini però la smentisce all’istante: i dati esibiti a “Otto e mezzo” sono vecchi, risalgono al 2015. La verità, oggi, è ribaltata: l’Italia accoglie, la Francia non più. Dati ufficiali, del Viminale: una notizia, in teoria – ma non per Lilli Gruber e soci: a loro, le notizie sono l’ultima cosa che interessano, impegnati come sono nella loro rabbiosa crociata contro il popolo italiano e i mascalzoni che ha osato mandare al governo.Va bene tutto, tranne la verità: come quando cade un regime, e gli organi del vecchio potere annaspano, manifestando rabbia e paura, nemmeno fossero di fronte a orde di rivoluzionari scatenati. E’ livido il bombardamento quotidiano, il grottesco fuoco di sbarramento che il mainstream – a prescindere – riversa contro il neonato governo gialloverde. Editorialisti e giornalisti da salotto, esperti sostanzialmente nell’arte del baciamano, oggi sembrano rivoltosi sulle barricate: a Elsa Fornero perdonavano tutto, inclusi gli spargimenti di sangue, mentre sui 5 Stelle e sulla Lega si avventano come mastini. Imperdonabile, il voto degli italiani il 4 marzo: e, visto che il popolo bue ha evidentemente sbagliato a votare, gli addetti alla verità stanno facendo gli straordinari per dimostrare agli elettori grillini e leghisti che non l’avranno vinta: loro, gli euro-cantori dell’establishment, in ogni caso non si arrenderanno alla storia; resisteranno – come gli ultimi giapponesi sull’isoletta – alla marea furibonda del “popolo degli abissi”, espressione che Giulio Sapelli mutua da Jack London. Provare per credere: da manuale di boxe il trattamento che Lilli Gruber ha riservato al cattivone Matteo Salvini, reo di aver osato costringere l’Unione Europea a meditare sulla politica per i migranti, fermando una nave e facendo imbestialire il nemico numero uno dell’Italia, il supermassone reazionario Emmanuel Macron, di scuola Rothschild.
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La Gruber al Bilderberg, Mazzucco: davvero ve ne stupite?
Ma davvero abbiamo bisogno di leggere che Lilli Gruber partecipa al salotto del Bilderberg per scoprire che la sua attendibilità è condizionata? Non ci arriviamo, da soli, a supporre che la Gruber parli regolarmente con qualcuno – non necessariamente il famigerato Bilderberg – prima di decidere cosa raccontarci, che tipo di contenuti somministrarci e quale genere di ospiti propinarci, invariabilmente, ogni sera? Insomma: va bene tutto, ma ormai siamo piuttosto grandicelli per fare i nostri ragionamenti, al di là del solito gossip complottistico e decisamente naif, pronto a scatenarsi non appena l’ombra del “diavolo” compare all’orizzonte. E’ lo sfogo, in apparenza semiserio ma in realtà serissimo, che Massimo Mazzucco affida agli ascoltatori di Fabio Frabetti, animatore di “Border Nights” e della diretta web-streaming “Mazzucco Live”, il sabato pomeriggio su YouTube. Un’occasione per riflettere su aspetti inesplorati del giornalismo, inclusi i risvolti recentissimi dell’attualità politica. «Salvini? E’ partito bene: impeccabile la sua denuncia dell’atteggiamento di Malta. Perché mai le navi-soccorso che passano davanti all’isola non vi sbarcano mai i migranti raccolti in mare, preferendo dirottarli in Italia?». Lo svelò un leader dell’opposizione maltese, Simon Busuttil: il governo Renzi sottoscrisse un patto segreto, in base al quale Malta smista su Lampedusa i naufraghi, e in cambio concede all’Italia il permesso di effettuare trivellazioni petrolifere.Nulla che, ovviamente, possa sperare di perforare il muro di gomma della cosiddetta informazione televisiva, nonostante il ruolo anche istituzionale del politico maltese – europarlamentare dal 2013. Ma appunto: qualcuno si aspetta, davvero, che Lilli Gruber e soci si mettano, di punto in bianco, a raccontare qualcosa che assomigli alla verità? Certo che no, rispondono ormai 3 italiani su 4: secondo l’ultimo sondaggio targato Pew Research, l’Italia è il paese europeo con meno fiducia, in assoluto, nei propri media mainstream, cartacei e radiotelevisivi. I soloni di “Repubblica” e del “Corriere”? Possono, appunto, continuare a pontificare a reti unificate nei salotti come quelli della Gruber, ma il prestigio dei loro giornali è in caduta libera, così come loro vendite. Secondo i ricercatori statistici, ormai l’Italia “gialloverde” la verità se la cerca altrove: il 50% del campione ammette di informarsi direttamente sul web, se vuol tentare di capire cosa sta succedendo nel paese e nel resto del mondo. Un italiano su due – come confermato platealmente dal risultato elettorale – sa benissimo che non può più fidarsi della “fabbrica delle fake news” denunciata magistralmente da Marcello Foa, nel saggio “Gli stregoni della notizia” che smaschera le bufale “vendute”, una dopo l’altra, dai grandi media.La Gruber al Bilderberg? Siamo seri, sottolinea Mazzucco: se il più malfamato club finanziario del mondo pubblica le liste degli invitati e pure l’ordine del giorno per il summit di Torino, significa che poi tanto segreto non è. «Esistono, le vere società segrete? Certamente. E in quanto tali, appunto, agiscono nella massima segretezza: non c’è caso che possiamo venire a sapere quello che combinano». Ma attenzione, avverte Mazzucco: «Il fatto che qualcuno provi a cambiare il mondo segretamente, non significa che poi ci riesca». Il nuovo ordine mondiale? Un progetto in pieno corso, ma non lineare: ci sono complotti, provocazioni, forzature. Ma non è un’unica piramide: anche ai vertici, ci sono spaccature profonde. «E poi esistono contropoteri, popoli, elezioni. Nel nostro piccolo ci siamo anche noi, che – facendo informazione – possiamo fare la nostra parte per limitare i danni provocati dalla manipolazione». La tesi della “massoneria buona” opposta a quella “cattiva”? «Perfettamente coerente con la divisione fondamentale dell’umanità: da una parte chi vuol tenere tutto per sé, e dall’altra chi tende, per indole e per cultura, a essere più generoso e democratico». L’importante, dice Mazzucco, è non dimentare mai che la storia non procede per linee rette. E comunque, nella storia, ci siamo anche noi.Ma davvero abbiamo bisogno di leggere che Lilli Gruber partecipa al salotto del Bilderberg per scoprire che la sua attendibilità è condizionata? Non ci arriviamo, da soli, a supporre che la Gruber parli regolarmente con qualcuno – non necessariamente il famigerato Bilderberg – prima di decidere cosa raccontarci, che tipo di contenuti somministrarci e quale genere di ospiti propinarci, invariabilmente, ogni sera? Insomma: va bene tutto, ma ormai siamo piuttosto grandicelli per fare i nostri ragionamenti, al di là del solito gossip complottistico e decisamente naif, pronto a scatenarsi non appena l’ombra del “diavolo” compare all’orizzonte. E’ lo sfogo, in apparenza semiserio ma in realtà serissimo, che Massimo Mazzucco affida agli ascoltatori di Fabio Frabetti, animatore di “Border Nights” e della diretta web-streaming “Mazzucco Live”, il sabato pomeriggio su YouTube. Un’occasione per riflettere su aspetti inesplorati del giornalismo, inclusi i risvolti recentissimi dell’attualità politica. «Salvini? E’ partito bene: impeccabile la sua denuncia dell’atteggiamento di Malta. Perché mai le navi-soccorso che passano davanti all’isola non vi sbarcano mai i migranti raccolti in mare, preferendo dirottarli in Italia?». Lo svelò un leader dell’opposizione maltese, Simon Busuttil: il governo Renzi sottoscrisse un patto segreto, in base al quale Malta smista su Lampedusa i naufraghi, e in cambio concede all’Italia il permesso di effettuare trivellazioni petrolifere.
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Il Papa con le Sette Sorelle. E manda Parolin al Bilderberg
Papa Francesco spedisce a Torino alla riunione del Bilderberg il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano, mentre – negli stessi giorni, il 6-7giugno – promuove a Roma un inedito summit con le Sette Sorelle e alcuni super-boss della finanza globale, come Larry Fink del fondo BlackRock. Maurizio Blondet lo definisce «improvviso interesse della centrali globaliste per l’Italia». La notizia: rispondono all’appello del pontefice i capi supremi delle multinazionali del greggio, insieme alle loro finanziarie ausiliarie transnazionali. L’incontro è ovviamente a porte chiuse, come quello quello del Bilderberg, al quale sono invitati Lilli Gruber, Lucio Caracciolo di “Limes” e l’economista Alberto Alesina di Harvard, insieme ad Elena Cattaneo dell’ateneo milanese, Vittorio Colao di Vodafone, Mariana Mazzuccato dell’University College di Londra e il solito John Elkann. Ma l’incontro tra Francesco e i petrolieri? Come mai il Papa delle periferie e dell’accoglienza verso i migranti «si riunisce in privato coi più potenti capitalisti e miliardari globalisti, ossia attivi promotori delle feroci iniquità del capitalismo terminale? “Chiedetelo a loro”, vien voglia di dire, parafrasando lo slogan dell’8 per Mille», scrive Blondet sul suo blog, interpreando come un pretesto il tema dichiarato del vertice: l’emergenza climatica, dopo il ritiro di Trump dagli accordi sulle emissioni climalteranti.All’incontro promosso da Bergoglio ci sarà Fink, cioè il capo del più grande fondo d’investimento del pianeta: un patrimonio gestito di 6,3 trilioni di dollari, conferma il “Corriere della Sera”, pari al Pil di Francia e Spagna messe insieme, quasi tre volte il nostro debito pubblico. La “roccia nera” deve la sua fortuna alla gestione patrimoniale: fondi pensione, banche, Stati. E’ anche il primo investitore straniero in Europa (e in Italia), azionista di peso in Deutsche Bank, Intesa SanPaolo, Bnp e Ing, senza contare altri settori chiave come energia, chimica, trasporti, agroalimentare, aeronautica e immobiliare. Il mega-fondo, scrive il “Fatto Quotidiano”, ha messo gli occhi sul business dei sistemi pensionistici europei non ancora privatizzati: «Spinge la Commissione Ue a varare un piano di previdenza privata, poi gestisce il primo progetto pilota». Notare: BlackRock ha immediatamente dato un giudizio “negativo” sul nuovo governo italiano, provocando l’impennata dello spread favorita dalla Bce e poi subito frenata da Jp Morgan e Citigroup, colossi finanziari ritenuti più vicini a Trump, che ha schierato in Italia il fido Steve Bannon per aiutare Conte (e Savona) a superare lo “scoglio” Mattarella.Gli altri invitati da Bergoglio nel “privato conciliabolo”, aggiunge Blondet, sono Bob Dudley, numero uno della British Petroleum (fatturato, 240 miliardi di dollari) nonché Darren Woods di Exxon Mobil. «Incidentalmente, sono le due compagnie più inquinatrici della storia», scrive Blondet, avendo la Bp accettato di pagare 1,8miliardi di dollari per uno sversamento-monstre nel Golfo del Messico nel 2010, che ha distrutto l’attività della pesca in quel vasto tratto. «E della Exxon si ricorda il disastro della superpetroliera Exxon Valdez, 1989, che ha inquinato il mare dell’Alaska». Ma non è tutto: “El Papa” voleva riunirsi anche con Ben Van Beurden della Royal Dutch Shell” (che ha declinato), mentre ci sarà Eldar Sætre di Equinor, la petrolifera privatizzata parzialmente posseduta dal governo norvegese, e con lui lord John Browne, oggi presidente esecutivo della petrolifera L1 Energy. «E non mancherà – come poteva? – Ernest Moniz, già segretario all’energia sotto l’allora presidente Obama». Secondo Blondet, notoriamente critico verso Papa Francesco, la presenza di Moniz è la conferma del fatto che Bergoglio «è uno strumento volontario e attivista (un “asset”, dicono alla Cia) della multiforme strategia dell’asse Clinton-Obama».Secondo Blondet, Papa Francesco – in accordo con clintoniani e obamiani – vorrebbe «depurare la Chiesa degli aspetti sacramentali e soprannaturalistici che ne impediscono la “fusione-acquisizione” col protestantesimo». Una fusione che produrrebbe «un “cristianesimo generico” funzionale all’ideologia globalista: umanitaria (nel senso degli “interventi umanitari”), moralistica (no alla “corruzione dei politici” – Mani Pulite nel Mondo, come propone il cardinal Maradiaga, braccio destro di Francesco), climatica e ambientalista». In altre parole, sempre secondo Blondet, la Chiesa verrebbe trasformata in una sorta di «super-Ong “umanitaria” dedita alla salvezza del pianeta e protettrice delle immigrazioni di massa pianificate, contro la sovranità di ogni Stato». Dalle scarne notizie filtrate, aggiunge Blondet, si apprende che a Roma i petrolieri non parleranno con Francesco solo di clima, ma anche di investimenti: «Il Papa, BlackRock e le grandi compagnie petrolifere si stanno sempre più concentrando sul cambiamento climatico», recita un comunicato ufficiale, «in quanto fonti di energia più pulite sono diventate più competitive, e la pressione del pubblico su questa tema sta crescendo».Capito? Il primo fondo d’investimento del mondo – scrive Blondet – è pronto a saltare sulle energie alternative insieme alle Sette Sorelle, perché stanno diventando “competitive” sul piano economico, attraenti per i capitali liquidi americani. Questo richiede investimenti enormi di riconversione delle mega-infrastrutture, e un cambio di paradigma fra le popolazioni, «ossia una grande operazione di psico-propaganda che bolli l’uso del petrolio come immorale verso il pianeta». Dunque, dice ancora Blondet, gli investitori «devono assicurarsi che l’autorità morale per eccellenza faccia parte del piano, collabori con le Finestre di Overton che lorsignori apriranno, e cominci a predicare per le energie “pulite” (o sedicenti tali) e anatemizzare le “inquinanti” (o cosiddette: si veda l’improvvisa campagna occidentale conto il motore diesel)». A Francesco – chiosa Blondet, sacrastico – sarà richiesto di aggiungere alla lista dei Dieci Comandamenti anche il “peccato capitale” dell’uso di energie su cui gli investitori “amici” avranno smesso di investire?A organizzare gli incontri è stata l’università di Notre Dame dell’Indiana, la cui “business school” sta promuovendo una “climate investing iniziative”, che Blondet definisce «una iniziativa di investimento sul terrorismo climatico». Il direttore della business school, Leo Burke, non ha voluto commentare la riunione papale di cui pare essere stato il manovratore: con un’email, ha ricordato a Blondet che ogni incontro sull’energia che implica il Vaticano sarà un dialogo privato con gli invitati. «Esattamente la risposta che dà, da sempre, l’ufficio stampa del Bilderberg». Un portavoce Exxon ha invece risposto: la compagnia «spera che questo tipo di dialogo svilupperà soluzioni per la doppia sfida: gestire il rischio del cambiamento climatico e contemporaneamente soddisfare la domanda crescente di energia, che è essenziale per alleviare la povertà e migliorare gli standard di vita nel mondo in via di sviluppo». Ancora Blondet, ironico: «A tutti è nota l’ansia di Exxon per alleviare la povertà nel Terzo Mondo».Papa Francesco spedisce a Torino alla riunione del Bilderberg il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano, mentre – negli stessi giorni, il 6-7 giugno – promuove a Roma un inedito summit con le Sette Sorelle e alcuni super-boss della finanza globale, come Larry Fink del fondo BlackRock. Maurizio Blondet lo definisce «improvviso interesse della centrali globaliste per l’Italia». La notizia: rispondono all’appello del pontefice i capi supremi delle multinazionali del greggio, insieme alle loro finanziarie ausiliarie transnazionali. L’incontro è ovviamente a porte chiuse, come quello quello del Bilderberg, al quale sono invitati Lilli Gruber, Lucio Caracciolo di “Limes” e l’economista Alberto Alesina di Harvard, insieme ad Elena Cattaneo dell’ateneo milanese, Vittorio Colao di Vodafone, Mariana Mazzuccato dell’University College di Londra e il solito John Elkann. Ma l’incontro tra Francesco e i petrolieri? Come mai il Papa delle periferie e dell’accoglienza verso i migranti «si riunisce in privato coi più potenti capitalisti e miliardari globalisti, ossia attivi promotori delle feroci iniquità del capitalismo terminale? “Chiedetelo a loro”, vien voglia di dire, parafrasando lo slogan dell’8 per Mille», scrive Blondet sul suo blog, interpretando come un pretesto il tema dichiarato del vertice: l’emergenza climatica, dopo il ritiro di Trump dagli accordi sulle emissioni climalteranti.
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Massoni, manovre, bugie e omissioni sull’Italia gialloverde
Un presidente della Repubblica che ammette a reti unificate che il paese è ostaggio dei mercati finanziari privati. L’oligarchia euro-tedesca che minaccia apertamente la fine dell’Italia. E l’uomo di Trump che si precipita a Roma per ostacolare i terminali di Berlino e, infine, premere in senso opposto sull’establishment conservatore. Obiettivo: far nascere un governo ibrido e sotto ipoteca, con promesse impossibili da mantenere senza prima scardinare il paradigma teologico europeista del rigore suicida, imposto a mano armata dalla massoneria reazionaria che ha in mano la governance della Germania, della Bce e dell’Unione Europea. L’analista geopolitico Federico Dezzani sottolinea il ruolo di primo piano svolto dall’asse angloamericano nella crisi italiana, evidenziando le mosse di Steve Bannon e dell’ambasciatore statunitense Lewis Eisenberg, che ha incontrato Salvini e Di Maio a fine marzo. Quindi i britannici: «Lo stesso Movimento 5 Stelle è un prodotto più inglese che americano, come dimostrano la lunga carriera di Gianroberto Casaleggio presso il colosso dell’informatica inglese Logica Plc e il doppio passaporto, italiano e britannico, del figlio Davide». Sempre secondo Dezzani, Londra ha giocato un ruolo decisivo nella nascita del governo giallo-verde «attraverso il “protestante” Jorge Mario Bergoglio che, a sua volta, ha schierato l’ancora influente Conferenze Episcopale Italiana».
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Email privata, il Corriere ‘brucia’ Savona: attacca Mattarella
«Mattarella non ha capito che ormai il popolo si è ribellato e deve dare una risposta». Firmato: Paolo Savona. A diffondere l’email è Massimo Franco, editorialista del “Corriere della Sera” e ospite fisso di Lilli Gruber su La7. Un elegante, impeccabile esponente di quell’establishment – composto da personalità come quelle di Paolo Mieli e Massimo Cacciari – mai espressosi, finora, né in termini analitici sull’economia dell’Eurozona, né tantomeno sulle rivelazioni ormai conclamate riguardo all’identità “supermassonica” del potere europeo, che attraverso istituzioni come la Bce e la Banca d’Italia condiziona la formazione di qualsiasi governo. Il 31 maggio, mentre è in corso l’ultima trattativa in extremis tra Salvini e Di Maio per riesumare il governo “gialloverde” (su pressione degli Usa, secondo “Il Sussidiario”), Massimo Franco provvede a rompere le uova nel paniere, con una “notizia” che potrebbe seppellire l’eventuale, ulteriore spendibilità del nome di Savona. «L’email è arrivata ieri – scrive Franco – allegata a quella di un amico che rivolgeva al “Corriere” critiche al limite dell’insulto. È datata 23 maggio, e reca l’indirizzo di posta elettronica del professor Paolo Savona, candidato al ministero dell’economia per conto della Lega».In risposta agli encomi sinceri e sperticati del suo interlocutore, il professore scriverebbe: «Il mio silenzio sdegnoso li offende più di una risposta». Mattarella? Non avrebbe compreso che ormai gli italiani si sono ribellati allo strapotere dell’élite: è necessario dare una riposta politica esauriente agli elettori. «È la conferma di un’irritazione profonda e covata a lungo nei confronti del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella», scrive Franco, che attribuisce a Savona «una netta scelta di campo». All’inquilino del Quirinale, aggiunge l’editorialista, Savona non perdona «di avere bocciato l’indicazione ultimativa di Salvini a suo favore, per l’ostilità dichiarata e storica alla moneta unica europea, alla Bce di Mario Draghi, al Trattato di Maastricht». Come dire: Paolo Savona ha gettato la maschera, anche se poi il 27 maggio aveva rotto il suo «sdegnoso silenzio» per denunciare la «scomposta polemica» sul suo nome, aggiungendo poi – il giorno seguente – un comunicato nel quale denunciava: «Ho subito un grave torto dalla massima istituzione del paese, sulla base di un paradossale processo alle intenzioni di voler uscire dall’euro». Come dire: Paolo Savona non era sincero, nascondeva il suo vero progetto. Meditava di uscire dall’euro in gran segreto, una volta raggiunta la poltrona di ministro dell’economia.Il problema – aggiunge Massimo Franco – è che a ospitare le sue parole è stato il sito “Scenari Economici”, che «osserva l’euro e i vincoli finanziari sottoscritti dall’Italia con l’Ue come una sciagura». Da quel pulpito digitale, prosegue con gratuito sarcasmo l’editorialista, Savona aveva già scritto una lettera al capo dello Stato il 22 agosto del 2015 intimandogli: «No a cessioni di sovranità», che sempre Massimo Franco definisce «un attacco insieme a Mattarella, alla Bce di Draghi e alla Germania». Ma soprattutto, poche settimane dopo, il 5 ottobre del 2015, lo stesso Savona aveva presentato, sempre su “Scenari Economici”, una “Guida pratica all’uscita dall’euro”, dopo 16 anni di drammatica crisi economica imposta all’Italia da una moneta unica governata da un’oligarchia bancaria privata. Basandosi su un rapporto della multinazionale finanziaria giapponese Nomura e dell’economista britannico Roger Bootle, Savona spiegava in che modo – come extrema ratio – sopravvivere a una eventuale fuoriuscita dall’euro: segretezza e non divulgazione, per evitare fughe di capitali in previsione di una svalutazione tra il 15 e il 25%, mettendo in campo contromisure per ridurre il boom dello spread e il crollo della Borsa, il pericolo della speculazione e di rappresaglie da parte dell’Eurozona.Perfettamente in linea con la “politica della paura” ufficializzata da Mattarella, a proposito delle “rivelazioni” su Savona, Massimo Franco Scrive: «Insomma, uno scenario da incubo, che secondo il professore poteva essere attutito con una procedura segreta, affidata a pochi funzionari-chiave delegati a preparare l’uscita in un mese; a comunicarla agli alleati della zona euro e alle organizzazioni monetarie internazionali di venerdì, a Borse chiuse; per poi reintrodurre la Lira dal lunedì successivo. Senza escludere un default e una riduzione unilaterale del debito italiano per i nostri creditori». L’uscita dall’euro non era neppure lontanamente ipotizzata dal “contratto” di governo firmato da Di Maio e Savini, ma evidentemente per il “Corriere della Sera” non conta: al giornalone, pronto a genuflettersi nel 2011 davanti a Mario Monti, plaudendo alla riforma Fornero e alla rottamazione dell’economia italiana, oggi interessa soprattutto che Paolo Savona resti fuori dall’eventuale governo. Il “Corriere della Sera”, del resto, è uno dei cardini del mainstream mediatico italiano, ancora tramortito dal crollo del Pd e dal boom dei 5 Stelle e della Lega. Un’élite post-giornalistica reticente e omertosa, ancora incredula di fronte agli eventi e spaventata dallo scetticismo degli italiani, che ormai ai giornali tendono a non credere più.«Mattarella non ha capito che ormai il popolo si è ribellato e deve dare una risposta». Firmato: Paolo Savona. A diffondere la presunta email è Massimo Franco, editorialista del “Corriere della Sera” e ospite fisso di Lilli Gruber su La7. Un elegante, impeccabile esponente di quell’establishment – composto da personalità come quelle di Paolo Mieli e Massimo Cacciari – mai espressosi, finora, né in termini analitici sull’economia dell’Eurozona, né tantomeno sulle rivelazioni ormai conclamate riguardo all’identità “supermassonica” del potere europeo, che attraverso istituzioni come la Bce e la Banca d’Italia condiziona la formazione di qualsiasi governo. Il 31 maggio, mentre è in corso l’ultima trattativa in extremis tra Salvini e Di Maio per riesumare il governo “gialloverde” (su pressione degli Usa, secondo “Il Sussidiario”), Massimo Franco provvede a rompere le uova nel paniere, con una “notizia” che potrebbe seppellire l’eventuale, ulteriore spendibilità del nome di Savona. «L’email è arrivata ieri – scrive Franco – allegata a quella di un amico che rivolgeva al “Corriere” critiche al limite dell’insulto. È datata 23 maggio, e reca l’indirizzo di posta elettronica del professor Paolo Savona, candidato al ministero dell’economia per conto della Lega».
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Via 250 miliardi di debito: è questo a spaventare l’oligarchia
Ma davvero credete che il problema fosse il professor Paolo Savona? A terrorizzare l’oligarchia Ue, afferma Fabio Conditi, è il “contratto” firmato da Di Maio e Salvini per il “governo del cambiamento”. Trenta punti, «dove per la prima volta si mette completamente in discussione il sistema monetario e bancario attuale e le politiche di austerity che ci propinano da anni». Lo spunto rivoluzionario: la volontà di cancellare 250 miliardi di euro di debito pubblico, cioè i titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia, al cui governatore – per la prima volta nella storia – il presidente della Repubblica ha “affidato” il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, “invitato” da Mattarella a conferire con Ignazio Visco, uomo vicinissimo a Mario Draghi e all’euro-sistema dominato dalla Germania. Paolo Savona? Usato come pretesto, per sabotare la pulsione sovranista. «Ma voi pensate davvero che il presidente della Repubblica e i poteri che rappresenta – scrive Conditi su “Come Don Chisciotte” – si siano realmente preoccupati della grande esperienza di questo arzillo professore che nella sua vita, pur avendo vissuto all’interno delle istituzioni, ha manifestato qualche opinione critica verso l’euro senza aver mai denunciato il sistema del debito?».Qualcuno – si domanda Conditi, presidente dell’associazione Moneta Positiva – ha provato a capire che cosa, all’interno di quel programma “gialloverde”, spaventa l’attuale sistema al punto da costringere il presidente della Repubblica a rischiare l’impeachment, facendo cadere sul nascere – con mossa platealmente irrituale, politicamente sconcertante – il primo governo voluto dalla maggioranza degli italiani? Conditi mette in fila una serie di indizi e segnali, sul clima che in Italia starebbe vorticosamente cambiando verso una progressiva presa di coscienza. Parla da solo il successo della trasmissione televisiva del 4 maggio su “Canale Italia”, in cui Conditi – insieme a Nino Galloni, Marco Mori, Giovanni Zibordi, Giovanni Lazzaretti e Paolo Tintori – ha spiegato, in prima serata, “come si creano i soldi”, ovvero «come lo Stato può e deve creare soldi e come il debito pubblico può essere cancellato». Il 23 maggio è Carlo Freccero, nel super-prudente salotto di Lilli Gruber su La7, a gelare la conduttrice e il suo sodale, Massimo Giannini, dichiarando con semplicità «due verità scomode e rivoluzionarie: che il debito può essere cancellato e che uno Stato sovrano non può fallire perchè può sempre stampare soldi». Reazioni: la Gruber preoccupata, Giannini imbarazzato.Poi la mossa inaudita di Mattarella il 27 maggio, il siluramento di Savona. L’indomani, Conditi è tornato negli studi di Canale Italia – con Vito Monaco, Marco Mori, Gianfranco Amato e il cantautore Povia. La sintesi: «Da oggi l’articolo 1 della Costituzione deve essere riscritto. L’Italia è una Repubblica non democratica fondata sulla schiavitù. La sovranità appartiene alla finanza che la esercita nelle forme e nei limiti dei mercati finanziari». La decisione di Mattarella? Inaccettabile. E carica di conseguenze: di fatto, ha esposto il Quirinale a una crisi inaudita. La scusa? Per le sue critiche all’euro, Savona spaventa i mercati finanziari: per questo, secondo Mattarella, sarebbero a rischio i risparmi degli italiani. Per Conditi, il vero motivo del devastante sabotaggio del governo Conte è un altro: «Il programma di governo del M5S e della Lega contiene secondo noi alcuni obiettivi che non sono ritenuti accettabili dal potere economico e finanziario che in Italia ha sempre condizionato le nostre scelte politiche degli ultimi 40 anni». Mattarella? «Non doveva e non poteva esercitare questa sua prerogativa, rifiutando un governo formato da partiti e movimenti regolarmente eletti, che hanno la maggioranza in Parlamento e hanno stipulato un accordo di governo addirittura votato e approvato dai cittadini». Lo stop a Conte imposto il 27 maggio resta «un atto grave e pericoloso per la democrazia».Attenzione, però: «Se sono stati costretti ad una mossa così ingenua come quella di non far nascere un governo che, per la prima volta da anni, è stato regolarmente votato e voluto dalla maggioranza dei cittadini italiani – aggiunge Conditi – significa che il vento del cambiamento sta finalmente spirando nella direzione giusta». Quel famoso “contratto”, «volente o nolente, ha davvero la capacità di incidere e realizzare un cambiamento reale in questo paese a vantaggio di tutti, e non solo dei soliti privilegiati: per questo motivo non lo vogliono». Cosa prevede, infatti? Un provvedimento di inaudita importanza: la cancellazione di 250 miliardi di euro di debito pubblico, titoli di Stato detenuti da Bankitalia. Non solo: c’è anche «la possibilità per lo Stato di stampare Minibot, cioè una moneta di Stato». Ancora: «La creazione di un sistema di banche pubbliche, una per gli investimenti ed un’altra per il credito». Tutto questo, per finziare «politiche economiche espansive al posto delle politiche di austerity». Per esempio: reddito di cittadinanza, pensioni dignitose e abattimento delle tasse. Anche una sola di queste ipotesi – sottolinea Conditi – farebbe «vedere i sorci verdi al potere economico e finanziario che ci ha ridotto in schiavitù». Sicché, «vederle tutte insieme deve aver fatto prendere un coccolone nei piani alti: sono soddisfazioni che non hanno prezzo».Pur tra mostruose difficoltà politiche, ben rappresentate dalla minaccia telecomandata dello spread e dall’inaudito boicottaggio del presidente della Repubblica (il primo nella storia a rifiutare un candidato ministro per motivi ideologico-politici), i 5 Stelle la Lega – secondo Fabio Conditi – hanno comunque «imboccato finalmente la strada giusta». In estrema sintesi: «Il 99% della popolazione più povera deve essere unito per combattere contro quell’1% che ci vuole schiavi del debito e rassegnati alla miseria». E’ un fatto: nonostante le posizioni inizialmente distanti, il “contratto” di governo è stato costruito con fatica e in modo trasparente. Conditi incoraggia grillini e leghisti: «Avete una squadra di governo, avete la maggioranza della popolazione che vi approva, avete contro il potere economico e finanziario mondiale: l’unico errore che potete fare è tornare indietro sui vostri passi». Lo spread? Neutralizzabile con una sola mossa, secondo Conditi: «Basterebbe emettere titoli di Stato a valenza fiscale, cioè utilizzabili alla scadenza anche per pagare le tasse: in questo modo non ci sarebbe più il rischio che lo Stato possa non rimborsarli e quindi sarebbero impossibili le manovre speculative al ribasso di questi giorni. Inoltre queste nuove emissioni sarebbero più “appetibili” per gli investitori perché meno rischiose».Questo per dire che i mercati – quelli veri – non coincidono esattamente con i ristretti gruppi del potere oligarchico europeo che manovrano lo spread come una clava. Al menù del riscatto, Conditi aggiunge anche il Sire, sistema di riduzione erariale. «Serve assolutamente un sistema di pagamenti alternativo a quello del sistema bancario italiano, dove circoli uno strumento monetario a valenza fiscale che non possa essere “bloccato” dalla Bce e dalla Commissione Europea». Esiste un modo, quindi, per respingere il rigore (che è interamente politico) senza neppure violare i trattati-capestro su cui si fonda il sistema Ue. Con il Sire, dice Conditi, «si possono tranquillamente finanziare – senza fare debito – sia il reddito di cittadinanza che soprattutto la Flat Tax. In pratica come succede alla Coop, paghi le tasse normali, ma te ne restituisco una parte in buoni-sconto per le tasse future». E vogliamo parlare della banca centrale italiana, presso cui Mattarella ha “spedito” il povero Conte? «E’ necessario che lo Stato riprenda il controllo totale di Bankitalia – chiosa Conditi – riacquistando le quote di partecipazione attualmente in mano alle istituzioni e banche private». Per il resto, avanti tutta: euro o non euro, si tratta di riconquistare la sovranità della moneta: «Sarà comunque di proprietà dei cittadini e libera dal debito».Ma davvero credete che il problema fosse il professor Paolo Savona? A terrorizzare l’oligarchia parassitaria Ue, afferma Fabio Conditi, è il “contratto” firmato da Di Maio e Salvini per il “governo del cambiamento”. Trenta punti, «dove per la prima volta si mette completamente in discussione il sistema monetario e bancario attuale e le politiche di austerity che ci propinano da anni». Lo spunto rivoluzionario: la volontà di cancellare 250 miliardi di euro di debito pubblico, facendoli acquistare dalla Banca d’Italia, al cui governatore – per la prima volta nella storia – il presidente della Repubblica ha “affidato” il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, “invitato” da Mattarella a conferire con Ignazio Visco, uomo vicinissimo a Mario Draghi e all’euro-sistema dominato dalla Germania. Paolo Savona? Usato come pretesto, per sabotare la pulsione sovranista. «Ma voi pensate davvero che il presidente della Repubblica e i poteri che rappresenta – scrive Conditi su “Come Don Chisciotte” – si siano realmente preoccupati della grande esperienza di questo arzillo professore che nella sua vita, pur avendo vissuto all’interno delle istituzioni, ha manifestato qualche opinione critica verso l’euro senza aver mai denunciato il sistema del debito?».
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Mazzucco: il veto su Savona distrugge la credibilità dell’Italia
Il vero problema di Paolo Savona è che la sa lunga. Non è uno che ha scoperto ieri che l’euro è un problema. Lui l’ha detto vent’anni fa. Questo è il problema di un personaggio del genere. I guai li aveva visti già allora, e quindi sa benissimo quali sono le tenaglie, le difficoltà che ci vengono imposte a livello Ue. Dargli mano libera in questo momento? Immaginate come deve sentirsi chi ha messo in piedi questa grande scatola di schiavitù che è l’euro. Su Paolo Savona, per fortuna, Salvini si è impuntato. E ha trovato un nome che è inattaccabile, benché critico dell’euro. Savona ha fatto il ministro, ha lavorato per Ciampi e per la Banca d’Italia: che gli vai a dire? Lo scacco matto di Salvini è stato veramente geniale. Per fortuna Di Maio – anche se un po’ in ritardo – si è allineato con Salvini nel tener duro, insieme, su Savona. A questo punto Mattarella è con le spalle al muro: o fa saltare lui il governo, e passa alla storia per quello che ci ha tolto un governo assolutamente legittimo (e quindi fa un regalo comunque a 5 Stelle e Lega, che a questo punto alle prossime elezioni farebbero l’80%, insieme – perché in caso di elezioni anticipate si sveglierebbero anche i morti, pur di protestare contro un gesto del genere), oppure dovrà trangugiare l’amaro calice; dopodiché cominceremo a divertirci.Io credo comunque che siamo arrivati a un punto dal quale non si torna più indietro. I giochi dell’Europa stanno venendo smascherati, proprio grazie a questa proposta di Salvini su Savona, e sta venendo fuori il fatto che Savona viene osteggiato anche senza motivazioni. Quindi dà fastidio uno che la pensi a favore degli italiani. Una rappresentante del Pd, Elisabetta Gualmini, criticando Giuseppe Conte, a “Matrix” ha detto chiaramente: questo Conte vorrebbe fare l’avvocato del popolo, pur restando amico dell’Europa: ma non si può essere contemporaneamente amici dell’Europa e del popolo italiano. E’ una frase di una gravità assoluta. A quel punto il conduttore, Nicola Porro, avrebbe dovuto ribattere: dunque se si fanno i favori all’Europa non facciamo gli interessi del nostro popolo? E la Gualmini quella frase l’ha detta con un candore allucinante: qualunque vero giornalista avrebbe dovuto farle chiarire il senso di quelle parole. Non solo. A “Otto e mezzo”, su La7, sempre la Gualmini ha detto che Savona non è solo “preoccupante” per le sue posizioni sull’euro, ma soprattutto perché è una persona navigata e rispettabile, quindi il suo parere ai tavoli europei peserebbe moltissimo. Tradotto: essendo Savona un pezzo da novanta, qualora diventasse ministro inizierebbe a fare ciò che dice, e per questo qualcuno sta tremando. Sarebbe come dire che la nazionale ha trovato finalmente un centravanti che fa goal, però non lo mette in campo perché altrimenti le altre squadre si spaventano.Il Quirinale? Se mettesse un vero e proprio veto, su Savona – cosa che Salvini lo sta obbligando a fare – salterebbe veramente il sistema, perché la Costituzione non dice che il presidente ha potere di veto; dice semplicemente che il capo dello Stato nomina i ministri su proposta del primo ministro incaricato. La parola “proposta” resta ambigua: chi decide, in caso di dissidio? Ma si presume che il capo dello Stato faccia gli interessi degli italiani. E dato che si presume che anche un governo nascente faccia, in teoria, gli interessi degli italiani, al momento di scrivere la Costituzione nessuno aveva pensato che ci potesse essere un giorno un’Europa che, da fuori, ponesse un veto – attraverso il capo dello Stato – su quello che tu vorresti fare nel tuo paese. All’epoca non si pensava che oggi si sarebbe potuto creare un problema di sovranità come questo. Il Qurinale ha detto: non poniamo veti, ma non accettiamo diktat. E’ un ossimoro logico: o l’uno o l’altro. Se tu non poni veti, vuol dire che scelgo io. Ma se non accetti diktat, vuol che io non posso scegliere. Non puoi dirmi che tu non poni veti, però io non posso decidere: uno dei due deve farlo. E nell’ambiguità della risposta del Quirinale c’è l’imbarazzo in cui si trova oggi il capo dello Stato. Io vorrei vederlo partire, questo governo: vorrei vederlo dimostrarci fino a che punto è possibile cambiare le cose, in Italia. Mattarella dice: dobbiamo proteggere la credibilità delle istituzioni. Il modo migliore per distruggerla, quella credibilità, sarebbe proprio un veto su Savona. Di colpo, ci renderemmo conto di essere in una dittatura che viene dall’estero, e della quale il capo dello Stato non è altro che l’esecutore materiale, a casa nostra.(Massimo Mazzucco, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Mazzucco Live”, su YouTube, il 26 maggio 2018).Il vero problema di Paolo Savona è che la sa lunga. Non è uno che ha scoperto ieri che l’euro è un problema. Lui l’ha detto vent’anni fa. Questo è il problema di un personaggio del genere. I guai li aveva visti già allora, e quindi sa benissimo quali sono le tenaglie, le difficoltà che ci vengono imposte a livello Ue. Dargli mano libera in questo momento? Immaginate come deve sentirsi chi ha messo in piedi questa grande scatola di schiavitù che è l’euro. Su Paolo Savona, per fortuna, Salvini si è impuntato. E ha trovato un nome che è inattaccabile, benché critico dell’euro. Savona ha fatto il ministro, ha lavorato per Ciampi e per la Banca d’Italia: che gli vai a dire? Lo scacco matto di Salvini è stato veramente geniale. Per fortuna Di Maio – anche se un po’ in ritardo – si è allineato con Salvini nel tener duro, insieme, su Savona. A questo punto Mattarella è con le spalle al muro: o fa saltare lui il governo, e passa alla storia per quello che ci ha tolto un governo assolutamente legittimo (e quindi fa un regalo comunque a 5 Stelle e Lega, che a questo punto alle prossime elezioni farebbero l’80%, insieme – perché in caso di elezioni anticipate si sveglierebbero anche i morti, pur di protestare contro un gesto del genere), oppure dovrà trangugiare l’amaro calice; dopodiché cominceremo a divertirci.
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Magaldi al “fratello” Krugman: a Roma non ci sono i barbari
«E bravo Di Maio: il programma viene prima dei nomi, dei personalismi, delle ambizioni». Gioele Magaldi, finora mai tenero con il neo-leader dei 5 Stelle, apprezza il metodo condiviso con Salvini in funzione del governo: presentare ai cittadini, punto su punto, una lista precisa di cose da fare. «E’ la prima volta che succede, nella storia della Repubblica italiana», ha detto a “Border Nights” il documentarista Massimo Mazzucco: «Ottima novità, dato che la trasparenza è parte fondamentale del meccanismo democratico». Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt – che ha avanzato la candidatura di Nino Galloni per Palazzo Chigi – concorda con Mazzucco: sembra proprio la fine del leaderismo della Seconda Repubblica, fondato su vuoti slogan che servivano solo a coprire la sottomissione sostanziale dei vari governi italiani ai diktat dell’oligarchia (supermassonica) che dirige, in modo privatistico, le istituzioni «sedicenti europee, in realtà fatte apposta per allontanare i cittadini dall’idea stessa di Europa unita». E a proposito di massoni: «Mi spiace che il “fratello” Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia e massone progressista, abbia manifestato allarme per l’eventuale esecutivo “gialloverde”: stavolta sbaglia, a Roma non ci sono “i barbari” ma, finalmente, politici disposti a cominciare a cambiare qualcosa, nell’insopportabile copione eurocratico e finto-europeista che ha causato la crisi italiana».Probabilmente, aggiunge Magaldi a “Colors Radio” «Krugman è giustamente preoccupato per l’annunciata esclusione, dal prossimo governo, di esponenti della massoneria: si tratta evidentemente di un abuso, visto che la Costituzione italiana non consente di discriminare cittadini per via della loro appartenenza culturale, religiosa o filosofica». Magaldi annuncia che il Movimento Roosevelt è al lavoro per convincere i pentastellati a fare retromarcia, onde non incorrere – fra l’altro – in possibili azioni legali. Lo ha ripetuto, negli ultimi mesi, anche accusando lo stesso Di Maio di aver ripetutamente bussato ai “santuari” della finanza anglosassone, notoriamente massonici: inutile strillare contro “i massoni” per poi magari fare anticamera proprio davanti alla loro porta, dimenticando peraltro la formazione massonica di veri e propri padri della patria come Meuccio Ruini, presidente della commissione che diede vita alla Costituzione democratica. Ma, a parte questo, l’ostracismo velleitario contro i “grembulini” conclamati non mette certo i 5 Stelle al riparo dalla presenza di eventuali massoni occulti. Una situazione non priva di risvolti comici: «C’è gente che ancora ride – dice Magaldi – ricordando quanto goffamente Mario Monti riuscì a mentire, sulla propria identità massonica, interpellato da Lilli Gruber dopo che il mio libro appena uscito, “Massoni”, lo presentava come autorevole esponente dell’aristocrazia massonica europea di stampo reazionario».Se Magaldi annuncia, in parallelo, l’iniziativa interamente massonica condivisa con un’obeddienza prestigiosa come la Camea per arrivare a redigere una sorta di registro ufficiale delle affiliazioni italiane, mettendo così fine alle periodiche speculazioni sulle presunte malefatte della massoneria in quanto tale, il presidente del Movimento Roosevelt promuove in ogni caso l’attivismo di Salvini e Di Maio: sarebbe il primo passo, che tutti aspettano, per cominciare a riscrivere in senso democratico, e non oligarchico, il destino del nostro paese. Nino Galloni? «E’ un eminente economista sovranista, di formazione keynesiana, apprezzato sia dai leghisti che dai pentastellati. E’ figlio del compianto ministro Giovanni Galloni, autorevole esponente di quella sinistra Dc a cui apparteneva anche lo stesso presidente Mattarella. A Palazzo Chigi sarebbe l’uomo giusto al posto giusto, anche se forse non è ancora venuto il suo momento: è comprensibile che oggi la scelta ricada su personalità meno preoccupanti, per Bruxelles». Ma attenzione: «Presto o tardi, Nino Galloni sarà tra i protagonisti dell’imminente Terza Repubblica». Entro l’estate, avverte Magaldi, assumeranno concretezza i preparativi per un nuovo soggetto politico, di cultura liberal-socialista, visto lo stato di rottamazione di Forza Italia e del Pd: «L’ex centrodestra berlusconiano e il fu centrosinistra sono palesemente alla frutta, avrebbero bisogno di una rigenerazione radicale. Il Pd – come tutti possono vedere – è ormai in stato imbarazzante, senza più una classe dirigente: a questo punto farebbe bene a sciogliersi».«E bravo Di Maio: il programma viene prima dei nomi, dei personalismi, delle ambizioni». Gioele Magaldi, finora mai tenero con il neo-leader dei 5 Stelle, apprezza il metodo condiviso con Salvini in funzione del governo: presentare ai cittadini, punto su punto, una lista precisa di cose da fare. «E’ la prima volta che succede, nella storia della Repubblica italiana», ha detto a “Border Nights” il documentarista Massimo Mazzucco: «Ottima novità, dato che la trasparenza è parte fondamentale del meccanismo democratico». Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt – che ha avanzato la candidatura di Nino Galloni per Palazzo Chigi – concorda con Mazzucco: sembra proprio la fine del leaderismo della Seconda Repubblica, fondato su vuoti slogan che servivano solo a coprire la sottomissione sostanziale dei vari governi italiani ai diktat dell’oligarchia (supermassonica) che dirige, in modo privatistico, le istituzioni «sedicenti europee, in realtà fatte apposta per allontanare i cittadini dall’idea stessa di Europa unita». E a proposito di massoni: «Mi spiace che il “fratello” Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia e massone progressista, abbia manifestato allarme per l’eventuale esecutivo “gialloverde”: stavolta sbaglia, a Roma non ci sono “i barbari” ma, finalmente, politici disposti a cominciare a cambiare qualcosa, nell’insopportabile copione eurocratico e finto-europeista che ha causato la crisi italiana».
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Cacciari e Farinetti, le altezze altezzose del pensiero in Tv
Ogni volta che vediamo il filosofo Massimo Cacciari in televisione ci coglie un mostruoso complesso di inferiorità. Cacciari parla sempre con un tale distaccato snobismo da indurti a relegare, seduta stante, gli astanti (conduttore, ospiti, contraddittori, pubblico e te medesimo) al rango di poveri analfabeti illetterati. È una sensazione strana, ma forse è la sensazione appropriata che, da che mondo è mondo, la gente normale sperimenta al cospetto del genio. Ogni volta che vediamo l’imprenditore Oscar Farinetti in televisione ci coglie un analogo moto di sbigottita ammirazione. Farinetti si esprime sempre con quell’erre lievemente moscia e con la consapevolezza dell’uomo d’impresa che ce l’ha fatta, sa perché ce l’ha fatta e vorrebbe spiegare alla politica, e al politico, il motivo per cui lui (l’Oscar) ce l’ha fatta mentre la politica e il politico non gliela fanno mai. Ecco, in questo Farinetti e Cacciari si somigliano: è del tutto evidente – da come si pongono, da come si esprimono, dai toni, dai modi, dai tic, dalla trattenuta alterigia di Cacciari nei confronti di un mondo troppo ignorante e troppo poco intelligente, dalla assertiva propositività di Farinetti rispetto a un mondo troppo ingessato e troppo poco intraprendente – che essi possiedono le risposte e vorrebbero darcele, ma noi – ahimè! – non vogliamo starli a sentire e comunque non riusciremmo a capire.Ne discende che incappare in Farinetti e Cacciari insieme, nello stesso programma Tv, è un bacio della buona sorte. È successo qualche sera fa dalla Gruber. C’è stato un attimo, parliamo di una ventina di secondi, non di più, imperdibile. Cacciari aveva appena elogiato i Cinque Stelle per la loro conversione a U sulla strada dell’europeismo e aveva asserito che, alla buon’ora, essi hanno compreso l’irreversibile ineluttabilità del progetto europeo (al cospetto del quale – mancava dicesse – persino lo Spirito del Mondo di Hegel è una caccola). Poi aveva preso la parola Farinetti, il quale si era lanciato in uno dei grandi classici di Monsieur Laqualunque: le contrapposizioni politiche sono buone per la campagna elettorale, ma poi bisogna marciare tutti insieme, tutti uniti nella stessa direzione. Quindi, Oscar ha aggiunto una frase del tipo: “Io sono un imprenditore e sono per natura filogovernativo”; il personaggio ha fiuto e necessità di riposizionarsi.A quel punto, Cacciari ha sogghignato compiaciuto versandosi dell’acqua minerale come per dire: questa te la concedo, questa è una condivisibile banalità, innocua e trasversale. Ecco, in questo patetico siparietto – di complicità esibita tra il sommo filosofo e l’eccelso imprenditore – c’è tutta l’Italia di oggi e, probabilmente, anche di domani. Se Farinetti e Cacciari rappresentano la nostra punta di lancia, rispettivamente imprenditoriale e intellettuale, e se quella testè esposta è la summa del loro pensiero migliore (l’Europa Unida jamás será vencida, canterebbero gli Inti Illimani) allora forse è un bene che la gran parte degli italiani non sia alla loro ‘altezza’.(Francesco Carraro, “Altezze altezzose”, dal blog di Carraro del 22 aprile 2018).Ogni volta che vediamo il filosofo Massimo Cacciari in televisione ci coglie un mostruoso complesso di inferiorità. Cacciari parla sempre con un tale distaccato snobismo da indurti a relegare, seduta stante, gli astanti (conduttore, ospiti, contraddittori, pubblico e te medesimo) al rango di poveri analfabeti illetterati. È una sensazione strana, ma forse è la sensazione appropriata che, da che mondo è mondo, la gente normale sperimenta al cospetto del genio. Ogni volta che vediamo l’imprenditore Oscar Farinetti in televisione ci coglie un analogo moto di sbigottita ammirazione. Farinetti si esprime sempre con quell’erre lievemente moscia e con la consapevolezza dell’uomo d’impresa che ce l’ha fatta, sa perché ce l’ha fatta e vorrebbe spiegare alla politica, e al politico, il motivo per cui lui (l’Oscar) ce l’ha fatta mentre la politica e il politico non gliela fanno mai. Ecco, in questo Farinetti e Cacciari si somigliano: è del tutto evidente – da come si pongono, da come si esprimono, dai toni, dai modi, dai tic, dalla trattenuta alterigia di Cacciari nei confronti di un mondo troppo ignorante e troppo poco intelligente, dalla assertiva propositività di Farinetti rispetto a un mondo troppo ingessato e troppo poco intraprendente – che essi possiedono le risposte e vorrebbero darcele, ma noi – ahimè! – non vogliamo starli a sentire e comunque non riusciremmo a capire.
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Cacciari e Farinetti: Salvini e 5 Stelle insieme, senza illusioni
Signori, abbiamo scherzato: «Le promesse, con questa legge elettorale, non valgono niente: sono solo promozionali. E quindi non vale niente la campagna elettorale: è tutta demagogia». Parola di Oscar Farinetti, “vedovo” di Renzi come Massimo Cacciari ma rinfrancato dalla conversione dei 5 Stelle verso il negoziato: «Mi auguro che, alla fine, venga fuori un governo con 5 Stelle e Salvini», dice il filosofo, ospite di Lilli Gruber insieme al patron di Eataly. «In questo caso si crea una discontinuità: finalmente comincia un’altra storia». Se i due estimatori del renzismo “brindano” al neo-moderato Di Maio, le giravolte post-elettorali dei grillini angustiano i tifosi della prima ora come Massimo Mazzucco, intervistato a “Border Nights”, trasmissione web-radio in cui Paolo Franceschetti (avvocato e saggista) infierisce: «I 5 Stelle stanno dimostrando di essere quello che erano fin dall’inizio, un abile artificio del potere per drenare il dissenso». Mazzucco, autore di documentari-verità (cancro, 11 Settembre, Uomo sulla Luna), non concorda: «I 5 Stelle mi hanno deluso evitando di contrastare la legge Lorenzin sui vaccini, ma non credo ci sia premeditazione: è l’avvicinamento al potere che, inevitabilmente, ti costringe a fare i conti con realtà che nemmeno conoscevi».In pratica, dice Mazzucco, è come se qualcuno ti battesse una mano sulla spalla dicendoti: stai ben attento a quel che fai, potresti pentirtene. Al che, c’è il bivio: o ci si piega, per quieto vivere, oppure si trova il coraggio di andare fino in fondo, restando fedeli alle proprie idee, peraltro appena “vendute” agli elettori. Di Maio? E’ diventato flessibile: morbidissimo con l’Unione Europea, con gli Usa e con la Nato, e meno “amico” della Russia. Cosa che a Cacciari va benissimo. E poi, dice, è sbagliato parlare di traformismo: «Quando mai un partito ha continuato a dire, sic e simpliciter, quello che diceva in campagna elettorale? E’ chiaro che la campagna ha necessariamente un aspetto demagogico, di promesse». Farinetti spera che Mattarella convinca i partiti a fare una nuova legge elettorale sul modello francese, col ballottaggio tra i primi due partiti. «Con una legge elettorale a doppio turno come quella per eleggere i sindaci – dice – i partiti sarebbero costretti a dire quello che vogliono davvero, quello che veramente sentono di poter fare». E il Di Maio europeista? Ottima notizia, per Cacciari: certifica «il pieno riconoscimento del nostro destino europeo: o la democrazia si ripensa su scala continentale, o cesserà di funzionare». E questo cambiamento, nei 5 Stelle, «segna un discrimine netto rispetto ai fondamenti culturali della Lega».Per il filosofo, grillini e leghisti dovrebbero raggiungere un accordo di governo, segnando almeno «una discontinuità generazionale», sapendo però di essere incompatibili: «E alla lunga, questa incompatibilità strategica – come base sociale, come idee – verrà fuori». L’incremento elettorale dei 5 Stelle, ricorda Cacciari, viene dal Pd. In più, il 50% degli elettori grillini si dichiara “di sinistra” (solo il 20% si considera “di destra”). «Sul piano culturale – aggiunge – l’incompatibilità tra Lega e 5 Stelle è evidentissima, ma bisogna che maturi e che si esprima. Certo la loro sarebbe un’alleanza a termine: non è la prospettiva su cui si risolveranno i problemi del paese, che richiedono scelte drastiche». E il Pd? Il rischio è che decida di suicidarsi: «Se fa un congresso vero, rapidamente (prima dell’estate) ed elegge un nuovo segretario, allora può esserci un nuovo inizio. Ma se aprono adesso – come hanno intenzione di fare – una campagna elettorale tra 15-20 persone per fare le primarie in autunno, muoiono: scompaiono. E allora l’unica forza di centrosinistra, in questo paese, diventeranno i 5 Stelle». Al posto di Renzi e colleghi, Cacciari avrebbe fatto il contrario dell’Aventino: «Io auspicavo che il Pd, riconoscendo la vittoria dei 5 Stelle e ribadendo la sua estraneità al centrodestra nel suo insieme, dicesse: sono disposto a far partire un governo monocolore 5 Stelle, verificando poi di volta in volta i provvedimenti, da valutare singolarmente».Al reggente Maurizio Martina, Farinetti suggerisce di non sbattere la porta in faccia ai 5 Stelle, come invece fecero i grillini nel 2013 con Bersani: «Cercherei di capire se il loro reddito di cittadinanza è visto come misura strategica o solo d’emergenza, verso la creazione dell’unica prospettiva seria, cioè la creazione di posti di lavoro, specie al Sud, tenendo conto delle grandi vocazioni di questo paese». Utopia, riconoscono Farinetti e Cacciari: il Pd non sembra intenzionato ad aprire un vero dialogo, temendo di suicidarsi politicamente in caso di alleanza coi 5 Stelle. A loro volta, i grillini considerano un suicidio l’intesa con Berlusconi. E Salvini, infine, sa benissimo che rompere oggi col Cavaliere gli impedirebbe di continuare a dissaguare Forza Italia. Stallo assoluto? Non è detto. Il nodo è Berlusconi, dice Cacciari: basterebbe convincerlo che un governo Salvini-Di Maio sarebbe il male minore. Restando defilato per non imbarazzare i 5 Stelle, avrebbe ministri «tipo Cancellati» e garanzie precise sui suoi vastissimi interessi. L’alternativa? Non esiste: «In caso di elezioni anticipate, Berlusconi scompare. Gli conviene, un governo con Salvini e Di Maio». I grillini “annacquati”? Inevitabile, chiosa Farinetti: «Serve tempo, per vedere se c’è la possibilità di fare un meraviglioso compromesso. Non vedo l’ora – aggiunge – di vedere all’opera partiti che, giustamente, dall’opposizione portavano avanti teorie assolute: comprenderanno che l’unica cosa perfetta, in natura, è proprio il compromesso».Signori, abbiamo scherzato: «Le promesse, con questa legge elettorale, non valgono niente: sono solo promozionali. E quindi non vale niente la campagna elettorale: è tutta demagogia». Parola di Oscar Farinetti, “vedovo” di Renzi come Massimo Cacciari ma rinfrancato dalla conversione dei 5 Stelle verso il negoziato: «Mi auguro che, alla fine, venga fuori un governo con 5 Stelle e Salvini», dice il filosofo, ospite di Lilli Gruber insieme al patron di Eataly. «In questo caso si crea una discontinuità: finalmente comincia un’altra storia». Se i due estimatori del renzismo “brindano” al neo-moderato Di Maio, le giravolte post-elettorali dei grillini angustiano i tifosi della prima ora come Massimo Mazzucco, intervistato a “Border Nights”, trasmissione web-radio in cui Paolo Franceschetti (avvocato e saggista) infierisce: «I 5 Stelle stanno dimostrando di essere quello che erano fin dall’inizio, un abile artificio del potere per drenare il dissenso». Mazzucco, autore di documentari-verità (cancro, 11 Settembre, Uomo sulla Luna), non concorda: «I 5 Stelle mi hanno deluso evitando di contrastare la legge Lorenzin sui vaccini, ma non credo ci sia premeditazione: è l’avvicinamento al potere che, inevitabilmente, ti costringe a fare i conti con realtà che nemmeno conoscevi».
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D’Alema: gli italiani non fanno più figli. Chissà come mai…
Come mai gli italiani non fanno più figli? Non se lo chiede, Massimo D’Alema, mentre ripropone tranquillamente il più classico teorema mondialista: il nostro futuro saranno i migranti, unica risposta all’impoverimento demografico del Belpaese, sempre più anziano e spopolato. L’ex segretario del Pds è stato un esponente di punta della classe dirigente italiana, in particolare di quella “sinistra post-comunista di governo” che supportò la grande cessione della sovranità nazionale dopo la caduta (per via giudiziaria) della Prima Repubblica. Eppure, alla televisione italiana già immersa nel clima politico della campagna elettorale, D’Alema parla dell’Italia come se fosse un turista distratto, e non l’uomo che sedette per due anni a Palazzo Chigi, peraltro vantandosi di aver realizzato il massimo volume possibile di privatizzazioni, un vero e proprio record europeo. Parla come un osservatore sbadato e impreciso, D’Alema, quando si limita a prendere atto che il bizzarro problema che affligge lo Stivale, da molti anni, è la crisi della natalità, il saldo negativo che rivela la decrescita costante della popolazione. Affrontare il male a monte, occupandosi degli italiani? Aiutarli a scommettere nuovamente sul futuro? Ma no, basta rimpiazzarli con un po’ di profughi africani. Per gli italiani, tuttalpiù, D’Alema ha in mente una cura innovativa e rivoluzionaria: reintrodurre l’imposta sulla prima casa.D’Alema appartiene a pieno titolo alla storia del Novecento: il suo nome è legato per sempre all’infelice stagione che vide incrinarsi i decenni del benessere, preparando il crollo sistemico al quale stiamo assistendo. Ma la vera notizia è che l’ex premier sia ancora in campo nel 2017, tra le fila (meramente anti-renziane) di un sedicente movimento “democratico e progressista”. Quella di D’Alema sembra una voce proveniente dalle catacombe della politica, dal cimitero neoliberista nel quale marcirono e poi morirono, a volte anche assassinate, le migliori idee di progresso sociale, giustizia e solidarietà, incarnate in Europa da giganti del pensiero come Olof Palme, leader della gloriosa socialdemocrazia svedese, artefice del più avanzato welfare del continente. Nel salottino televisivo di Lilli Gruber, D’Alema parla come se nulla sapesse di quanto è avvenuto, in questi anni, al paese a cui oggi si rivolge: la colossale svendita del patrimonio nazionale, i tagli sanguinosi alla spesa sociale, l’austerity, la precarizzazione del lavoro e la piaga della disoccupazione. Dov’era, D’Alema, quando l’Italia organizzava il proprio suicidio socio-economico con il macigno del Fiscal Compact, la legge Fornero sulle pensioni, la crocifissione della Costituzione mediante pareggio di bilancio obbligatorio?L’ex premier post-comunista parla come se non conoscesse Mario Draghi, come se non avesse mai sentito nominare Napolitano e Monti, la Merkel e la spietata Troika che ha ridotto alla fame una nazione come la Grecia. Si limita a descrivere l’Italia come un paese curiosamente in crisi demografica, i cui abitanti – chissà perché – hanno smesso di sposarsi e di metter su famiglia. Il giornalista Paolo Barnard, autore del saggio “Il più grande crimine”, presenta D’Alema come “allievo” di Jacques Attali, eminente politologo francese, già “consigliere del principe” quando lavorava all’Eliseo. Un grande economista transalpino, Alain Parguez, rivela che proprio Attali, oggi padrino di Macron, contribuì a determinare la svolta neo-reazionaria del presidente socialista Mitterrand, “l’inventore” della soglia del 3% (del Pil) come tetto alla spesa pubblica. Una regola artificiosa e nefasta, anti-economica, da allora utilizzata dall’élite finanziaria per scatenare l’attacco frontale alla sovranità di bilancio degli Stati europei, mettendo fine alla loro capacità di realizzare politiche progressiste.Nel suo saggio del 2014 sulla segreta geografia supermassonica del massimo potere (“Massoni”, Chiarelettere), Gioele Magaldi collega D’Alema e Attali sul piano delle loro frequentazioni più riservate: il primo, scrive, milita in due diverse Ur-Lodges, la “Pan-Europa” e la “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”, mentre il secondo nella “Three Eyes”. Secondo Magaldi, le “logge madri” sono strutture esclusive e sovranazionali del back-office del potere, incubatrici di ogni grande decisione finanziaria, economica e geopolitica. Quelle citate, in relazione a D’Alema e Attali, sempre secondo Magaldi (a sua volta “iniziato” alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”) sono superlogge orientate in senso neo-aristocratico, grandi protagoniste della globalizzazione universale che sta privatizzando il pianeta, senza più altra bandiera che quella del denaro. Se la figura politica di D’Alema resta complessa, legata alla tormentata conversione atlantica degli ex comunisti (D’Alema fu il primo premier italiano proveniente dal Pci, il partito di Togliatti e Berlinguer), può sembrare un mistero l’ipotetica attualità della sua proposta odierna, la sua stessa permanenza nel club degli interlocutori politici italiani.D’Alema sarà addirittura tra i competitori elettorali del 2018, per giunta nel cartello guidato dall’imbarazzante Bersani, che si richiama in modo surreale all’articolo 1 della Costituzione (“fondata sul lavoro”, ma in realtà “affondata” dalla costituzionalizzazione del rigore imposta dal governo Monti, con i voti di Berlusconi e dello stesso Bersani). La surrealtà di questa sedicente sinistra prosegue nell’omaggio ricorrente a Romano Prodi, il super-privatizzatore dell’Iri che riuscì a passare da Palazzo Chigi alla Goldman Sachs, fino alla guida della Commissione Europea, cioè l’organismo che ha inflitto le maggiori sofferenze ai lavoratori europei. Al fantasma di Prodi, peraltro, si oppone quello del Cavaliere, che allatta agnellini per la gioia degli animalisti ed evoca spettacolari candidature securitarie, scomodando alti ufficiali dei carabinieri. Poi naturalmente c’è l’odiato Renzi, per il quale il male italico numero uno resta “la burocrazia” (infatti: il problema di Palermo è il traffico, dice Benigni nel film in cui interpreta il boss mafioso Johnny Stecchino). E i 5 Stelle? Lontani anche loro dalla zona rossa, quella del vero pericolo: il loro mitico “reddito di cittadinanza” lo finanzierebbero semplicemente “tagliando gli sprechi”, non certo bocciando i diktat di Bruxelles. Un quadro pittoresco, nel quale diventa comprensibile persino la sopravvivenza giurassica dello stesso D’Alema, così sbadato da non domandarsi perché l’Italia sia tanto in crisi, al punto da smettere di fare figli.Perché mai gli italiani non fanno più figli? Non se lo chiede, Massimo D’Alema, mentre ripropone tranquillamente il più classico teorema mondialista: il nostro futuro saranno i migranti, unica risposta all’impoverimento demografico del Belpaese, sempre più anziano e spopolato. L’ex segretario del Pds è stato un esponente di punta della classe dirigente italiana, in particolare di quella “sinistra post-comunista di governo” che supportò la grande cessione della sovranità nazionale dopo la caduta (per via giudiziaria) della Prima Repubblica. Eppure, alla televisione italiana già immersa nel clima politico della campagna elettorale, D’Alema parla dell’Italia come se fosse un turista distratto, e non l’uomo che sedette per due anni a Palazzo Chigi, peraltro vantandosi di aver realizzato il massimo volume possibile di privatizzazioni, un vero e proprio record europeo. Parla come un osservatore sbadato e impreciso, D’Alema, quando si limita a prendere atto che il bizzarro problema che affligge lo Stivale, da molti anni, è la crisi della natalità, il saldo negativo che rivela la decrescita costante della popolazione. Affrontare il male a monte, occupandosi degli italiani? Aiutarli a scommettere nuovamente sul futuro? Ma no, basta rimpiazzarli con un po’ di profughi africani. Per gli italiani, tuttalpiù, D’Alema ha in mente una cura innovativa e rivoluzionaria: reintrodurre l’imposta sulla prima casa.