Archivio del Tag ‘Luigi Di Maio’
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Giannini: lo spettro del Britannia e il reddito di cittadinanza
Una importante novità nell’anno 2018 compare di fronte agli elettori: l’analisi dei principali aspetti riguardanti i programmi dei partiti, soprattutto sul piano dei costi. Tra le ricette che sono state presentate, quella del Movimento 5 Stelle ha destato subito interesse quando ci si è resi conto che conteneva passi copiati da Wikipedia o addirittura dal programma Pd. Per quanto la vicenda possa apparire come un indice di scarsa competenza e conoscenza e quindi suscitare inquietudine, l’attenzione andrebbe focalizzata piuttosto sui concetti di fondo della proposta pentastellata. Secondo gli economisti di stampo keynesiano, per uscire dalle situazioni di crisi economica si deve “fare deficit” per attuare politiche di espansione (di crescita) dando lavoro, investendo in infrastrutture, detassando, conferendo nuovi diritti sociali, ecc. In questo modo la disoccupazione si dovrebbe ridurre, i contribuenti dovrebbero aumentare e con essi le entrate andrebbero a ripianare non solo il nuovo deficit ma anche a ridurre lo stock del debito pregresso. Di Maio, apparentemente in linea con questo approccio, ha insistito sullo sforamento del parametro di bilancio del 3%, un parametro di scarsissima scientificità ma concordato con gli altri soggetti europei: «Prenderemo un po’ di debito e lo investiremo per lo sviluppo», è stato lo slogan in diverse conferenze elettorali.
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Logge e potere: perché l’Espresso non intervista Scalfari?
Cari Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, perché non raccontate i vostri rapporti con la massoneria? Gianfranco Carpeoro replica così all’ultimo servizio de “L’Espresso”, titolato “La massoneria torna a far paura: non identificabili tremila affiliati”. La presunta notizia? «Dopo il caso P2 le obbedienze avevano promesso trasparenza, invece regna l’opacità assoluta – scrive Gianfranco Turano – come dimostrano gli elenchi visionati dalla commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane». Ribatte Carpeoro, in web-streaming su YouTube: «Io proporrei a Turano e al direttore dell’“Espresso” di chiedere a Scalfari e a De Benedetti di informare i lettori sui rapporti che quella casa editrice ha avuto con la massoneria. Rapporti molteplici, complicati, e peraltro intrattenuti con la parte meno commendevole della massoneria». Ovvero: «Chiederei pubblicamente a Scalfari e De Benedetti di spiegare e raccontare i rapporti che hanno avuto, per esempio, con quel massone (fior di personaggio) che si chiama Flavio Carboni. Prima di parlare genericamente di massoneria, comincino a parlare della loro connessione con la massoneria: guardino a casa loro, questi signori». Sintetizza Gioele Magaldi: «Non c’è bisogno di essere massoni, in Italia, per essere corrotti. Ma prendersela con i “peones” della massoneria, come fa “L’Espresso”, serve a occultare i veri terminali italiani della vera massoneria di potere, che è sovranazionale, e su cui la stampa (compreso “L’Espresso”) continua a tacere».Autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia delle Ur-Lodges nel back-office del potere mondiale, Magaldi prende nota: la sua denuncia, clamorosa, resta tuttora sepolta dal silenzio dei grandi media. «Nessuna reazione, nemmeno di fronte a precise interrogazioni parlamentari». Di massoneria si parla spesso a vanvera, per fini strumentali e magari elettoralistici come ha fatto Di Maio, garantendo l’assenza di massoni tra i candidati 5 Stelle. Lo smentisce Catello Vitiello, detto Lello, candidato dai grillini in Campania e iniziato alla loggia “La Sfinge”, del Grande Oriente d’Italia: notizia del “Mattino”, rilanciata dal “Giornale”. Di Maio? «Spara sulla massoneria, dopo aver bussato (inutilmente) alle porte dei peggiori circoli supermassonici reazionari di Washington», dice Magaldi, che a “La Gabbia”, trasmissione televisiva de “La7” condotta da Paragone, ha dichiarato l’appartenenza massonica di Pietro Grasso e Laura Boldrini. Ora “L’Espresso” rilancia la sua piccola crociata pre-elettorale contro le logge meridionali del Grande Oriente? Quella del reportage di Turano, «poco serio, sensazionalista e mistificatorio», a Magaldi sembra «un’operazione di bassissimo livello, che va a pescare nella diatriba miserevole sollevata dalla commissione parlamentare antimafia presieduta da due tangheri con pulsioni liberticide e antidemocratiche come Rosy Bindi e Claudio Fava».La Bindi («non ricandidata, per fortuna») ha condotto una sorta di crociata personale contro il Goi, mentre Fava è giunto a proporre una legge per chiudere ai massoni le porte della politica. «La massoneria è stata resa illegale solo dai regimi fascisti e comunisti (con l’eccezione di Cuba) e con la perversione che questi regimi erano composti da massoni, i quali mettevano fuorilegge le massonerie liberali e democratiche e si costituivano in massoneria segreta di governo, con piglio dispotico», ricorda Magaldi, a “Colors Radio”. Quella presieduta dalla Bindi? «E’ la peggior commissione antimafia della storia: non avendo di meglio da fare, ha preso di petto la massoneria regionale ma non i terminali italiani della massoneria che conta, nel bene e nel male (soprattutto nel male), collegata ai circuiti massonici neo-aristocratici che hanno fatto un golpe silenzioso insediando Mario Monti con la regia di Draghi e Napolitano». Personaggi che «hanno operato e operano tuttora a maleficio del popolo italiano», ma nessuna commissione parlamentare se n’è occupata. La Bindi invece ha preso di mira «comunioni massoniche in stato di decadenza, prive di incisività sul piano sociale, meta-politico, civico e culturale».Eppure, proprio dalle Ur-Lodges reazionarie sono venute «le ideologie neoliberiste e neo-aristocratiche che hanno pervaso la globalizzazione, la stessa Europa “matrigna” e anche la pessima governance dell’Italia negli ultimi decenni, la Seconda Repubblica, in modo accelerato con la devastazione sociale ed economica avviata nel 2011». Per questo, aggiunge Magaldi, «suona scandaloso che sedicenti giornalisti come Turano vadano a fare servizi apparentemente sontuosi, scandalistici e di grande richiamo, mettendo il dito su dei “peones” della massoneria e tacendo del tutto sulle domande che un vero giornalismo dovrebbe porsi: ovvero, chi è davvero inserito nelle leve del potere più importante?». Silenzi, omissioni, ipocrisie. «C’è chi sa benissimo che i momenti più alti della storia dell’Italia contemporanea sono dovuti all’opera meritoria di alcuni massoni. Ma tace per interesse, magari appartenendo a circuiti massonici neo-aristocratici». E poi, aggiunge Magaldi, «c’è una pletora di ignoranti, insipienti esecutori collocati in vari strati del mondo mediatico, politico, istituzionale e sociale, i quali si beano di questa loro pseudo-conoscenza: per costoro, “massoneria” sarebbe qualunque gruppo che, in modo indebito, opera per fini segreti e inconfessabili a favore dei propri aderenti».Che c’entra, la massoneria, con a gestione opaca del potere? «In Italia non serve essere massoni per esser stati corrotti e corruttori e aver mal gestito il denaro pubblico». Ci sono mille correnti e provenienze: culturali, spirituali, religiose, filosofiche e sapienziali. «Chi si distingue nel bene e chi nel male, a prescindere dal retroterra da cui proviene». Quanto alla massoneria, insiste Magaldi, «se si vuol parlare davvero di legami col potere bisogna alzare lo sguardo verso il cielo delle superlogge sovranazionali. Dopodiché, anche lì, si tratta di capire chi ha fatto cosa, e perché». Solo che non avviene: nessuno li alza, gli occhi al “cielo”. «Quindi siamo in una narrazione assolutamente irrisoria, fuorviante e, credo, anche strumentale: serve, è utile ai manovratori, ai padroni del vapore, che il sospetto, l’eventuale avversione rispetto alle logge, venga scaricata verso gruppi massonici che sono innocui sotto ogni punto di vista». E a chi si riempie la bocca con la difesa della Costituzione, Magaldi ricorda che il presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigere il testo costituzionale era Meuccio Ruini, notorio massone, il cui capo di gabinetto era Federico Caffè, eminente economista: il maggior keynesiano italiano (e del resto era massone lo stesso Keynes). «Se i padri della patria e della Costituzione del ‘48 (Ruini e non solo) erano massoni, non ho capito qual è il problema», conclude Magaldi. «Dopodiché vi sono le mele marce, e io nel mio libro ne ho indicate tante». I giornali come “L’Espresso”, però, hanno evitato accuratamente di raccontarlo ai lettori: perché?Cari Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, perché non raccontate i vostri rapporti con la massoneria? Gianfranco Carpeoro replica così all’ultimo servizio de “L’Espresso”, titolato “La massoneria torna a far paura: non identificabili tremila affiliati”. La presunta notizia? «Dopo il caso P2 le obbedienze avevano promesso trasparenza, invece regna l’opacità assoluta – scrive Gianfranco Turano – come dimostrano gli elenchi visionati dalla commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane». Ribatte il massone Carpeoro, in web-streaming su YouTube: «Io proporrei a Turano e al direttore dell’“Espresso” di chiedere a Scalfari e a De Benedetti di informare i lettori sui rapporti che quella casa editrice ha avuto con la massoneria. Rapporti molteplici, complicati, e peraltro intrattenuti con la parte meno commendevole della massoneria». Ovvero: «Chiederei pubblicamente a Scalfari e De Benedetti di spiegare e raccontare i rapporti che hanno avuto, per esempio, con quel massone (fior di personaggio) che si chiama Flavio Carboni. Prima di parlare genericamente di massoneria, comincino a parlare della loro connessione con la massoneria: guardino a casa loro, questi signori». Sintetizza Gioele Magaldi: «Non c’è bisogno di essere massoni, in Italia, per essere corrotti. Ma prendersela con i “peones” della massoneria, come fa “L’Espresso”, serve a occultare i terminali italiani della vera massoneria di potere, che è sovranazionale, e su cui la stampa (compreso “L’Espresso”) continua a tacere».
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Un boom dei 5 Stelle inguaierebbe i padrini occulti di Grillo?
Vuoi vedere che, votando in massa per i 5 Stelle, si finisce per mettere nei guai gli sponsor occulti di Grillo e Casaleggio? «La condotta dei vertici pentastellati rivela un disegno ormai palese, interamente organico al potere. Ma non bisogna dimenticare gli elettori, i militanti e molti degli stessi parlamentari: sono brave persone, convinte di impegnarsi davvero per migliorare l’Italia». Se per ipotesi andassero al governo, «alla fine qualcosa di buono dovrebbero pur fare, pena il crollo del consenso interno e la perdita della fiducia dei loro elettori». Ragionamento in libertà che porta la firma di Fausto Carotenuto, già “allievo” di Mino Pecorelli, giornalista assassinato durante gli anni di piombo. Per molti anni analista geopolitico dei servizi segreti italiani e consulente dell’intelligence Nato, Carotenuto – ora promotore del network “Coscienze in Rete” – ha sviluppato una sua teoria, spiritualista, sulla filosofia che reggerebbe il mondo: il potere sarebbe saldamente nelle mani di “piramidi oscure” (sempre le stesse, «gesuitico-massoniche»), le cui malefatte però produrrebbero il risultato di «risvegliare gradualmente le coscienze, proprio attraverso le sofferenze inflitte».Carotenuto è un teorico del “risveglio”: sostiene che ormai, anche in Italia, un cittadino su tre non si fidi più del mainstream politico-mediatico. Al quale, a suo parere, il Movimento 5 Stelle appartiene a pieno titolo, nel ruolo di “gatekeeper”: sarebbe un controllore del dissenso, da convogliare verso forme innocue per l’establishment. «Basta vedere chi sono gli assessori romani, tutti suggeriti dallo studio legale di Previti da cui la Raggi proviene, o le frequentazioni di Di Maio nei peggiori circuiti finanziari internazionali, che si è premurato di rassicurare, spiegando che – con lui a Palazzo Chigi – il potere non avrebbe nulla da temere: non per niente, i ministri non sarebbero grillini, ma tecnici, cioè provenienti da quel mondo che Grillo, nel 2013, aveva promesso di “aprire come una scatola di sardine”». Ai microfoni di “Forme d’Onda”, Carotenuto sostiene che non c’è da farsi illusioni, anche nell’eventualità – praticamente impossibile, sondaggi alla mano – di un governo pentastellato. «I Casaleggio non piovono dal cielo: qualcuno ce li ha mandati», ben sapendo che serviva qualcosa di nuovo per “smontare” la rabbia popolare contro i vecchi partiti, «sostanzialmente pedine, tutti quanti, delle stesse “piramidi oscure”».Secondo Carotenuto, «ogni partito ha in sé entrambe le componenti», ovvero «la destra egoistica», incarnata da personaggi come Bush, Trump e Berlusconi, e la controparte più farisaica, «che a parole si richiama all’umanesimo massonico dei diritti ma solo per attrarre consenso», finendo poi per fare la stessa politica del socio occulto, l’ala destra. «Due facce della stessa medaglia». I 5 Stelle? «Sono espressione di questa seconda categoria, quella degli “amici del popolo”». Obiettivo: «Manipolare i buoni sentimenti di milioni di cittadini, sinceramente democratici». Però attenzione: «Di questo, i grillini nemmeno si accorgono: non sanno di essere manipolati». Il bicchiere mezzo pieno? «Intanto esistono, sono lì, e hanno nobili aspettative di giustizia sociale, di rispetto dell’ambiente e dei territori. Sognano una società più giusta: non sarà facile liquidarli». Come dire: se il Movimento 5 Stelle è stato fabbricato dal potere per neutralizzare il dissenso, non è detto che poi la comunità grillina non possa incidere, al di là dei piani dei fondatori, cioè dei loro presunti mandanti rimasti nell’ombra.E’ vero, finora Grillo e i Casaleggio «li hanno gestiti in modo osceno», con pratiche da caserma, «buttando fuori chiunque osasse alzare la mano per dire la sua». Così, dal programma sono spariti gli accenti originari e più radicali». Uno su tutti, la contestazione dell’euro e dell’Unione Europea. «Per non parlare della pagina, pietosa, dei vaccini: anziché attaccarli, come gli elettori 5 Stelle si sarebbero aspettati, hanno evitato di fare la guerra al decreto Lorenzin: adesso, di fronte alle proteste di milioni di famiglie, Di Maio dice che eliminerebbe l’obbligo vaccinale, ma i vaccini continuerebbe a consigliarli caldamente», fingendo di non sapere cosa significhino, per la salute, e che tipo di business alimentino. Con ciò, conclude Carotenuto, «bisogna però ammettere che il programma dei 5 Stelle, anche privo di molti temi originari, è comunque pieno di buoni spunti: siamo sicuri che non verrebbero attuati, nell’ipotesi in cui dovessero davvero andare al governo?».Vuoi vedere che, votando in massa per i 5 Stelle, si finisce per mettere nei guai gli sponsor occulti di Grillo e Casaleggio? «La condotta dei vertici pentastellati rivela un disegno ormai palese, interamente organico al potere. Ma non bisogna dimenticare gli elettori, i militanti e molti degli stessi parlamentari: sono brave persone, convinte di impegnarsi davvero per migliorare l’Italia». Se per ipotesi andassero al governo, «alla fine qualcosa di buono dovrebbero pur fare, pena il crollo del consenso interno e la perdita della fiducia dei loro elettori». Ragionamento in libertà che porta la firma di Fausto Carotenuto, già “allievo” di Mino Pecorelli, giornalista assassinato durante gli anni di piombo. Per molti anni analista geopolitico dei servizi segreti italiani e consulente dell’intelligence Nato, Carotenuto – ora promotore del network “Coscienze in Rete” – ha sviluppato una sua teoria, spiritualista, sulla filosofia che reggerebbe il mondo: il potere sarebbe saldamente nelle mani di “piramidi oscure” (sempre le stesse, «gesuitico-massoniche»), le cui malefatte però produrrebbero il risultato di «risvegliare gradualmente le coscienze, proprio attraverso le sofferenze inflitte».
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Giannuli: elezioni-spazzatura. Dai partiti, una gara di rutti
La peggior campagna elettorale di sempre: la più indecente. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese. «Avevo 16 anni quando seguii consapevolmente la campagna elettorale delle politiche, era il 1968. Dunque, quest’anno ”festeggio” (si fa per dire) il cinquantesimo della mia partecipazione politica. Da allora ho visto 13 campagne elettorali politiche, 8 europee e 10 regionali. Ebbene, debbo dire che una campagna elettorale così ripugnante, sciatta, volgare, sguaiata, offensiva come questa non l’avevo ancora vista. E non abbiamo visto tutto, siamo all’inizio». Una camapgna elettorale «offensiva, soprattutto dell’intelligenza degli elettori», costretti a votare con una legge-truffa, ad ascoltare promesse grottesche, a scegliere tra candidati più che mediocri e, in ogni caso, di strettissima obbedienza: tutti devoti al capo del partito che li schiera, si chiami Berlusconi, Renzi o Di Maio. Il Rosatellum? «Incostituzionale, pieno di trucchi demenziali: riesce nel mirabile intento di sacrificare la rappresentatività del Parlamento senza assicurare una maggioranza, salvo che una qualche trappola del sistema (una valanga monocolore nei collegi uninominali, una quota importante di voti dispersi sotto la quota di esclusione) non crei una maggioranza del tutto fittizia. L’unica cosa divertente è che punirà i suoi ideatori».Per non parlare dei programmi: tutti i partiti esibiscono solo il “libro dei sogni”. «Abbassare le tasse, ridurre il debito, aumentare la spesa – cioè no, ridurla ma concedendo il reddito di cittadinanza». E poi: «Investimenti per l’occupazione, le dentiere ai vecchi, il bonus alle famiglie e i lecca-lecca agli infanti. E nessuno che si sia degnato di dire dove troverebbe le risorse per tutto questo». I conti? «Numeri in libertà, a casaccio». La gara, nel settore, «l’ha vinta il M5S, che promette tutto ed il contrario di tutto». Ma anche Pd e Forza Italia hanno il loro bel piazzamento. “Liberi e Uguali”, tra mille inconsistenti vaghezze, ha «una sola proposta precisa», cioè abolire le tasse universitarie per tutti: «La traduzione in chiave universitaria della “flat tax” trumpiana». S’indigna, Giannuli: «Ma chi credete di prendere in giro? Pensate che gli elettori abbiano tutti l’anello al naso?». E le liste? «Semplicemente un orrore. La Lega candida solo gli amici di Salvini, il Pd solo quelli di Renzi, il M5S esclude almeno 1/10 dei candidati alla selezione e non comunica le motivazioni, perché deve prevenire infiltrazioni, cambia-casacca, pregiudicati, scalatori e riciclati. Poi si scopre che fra i candidati c’è una valanga di riciclati dell’ultima ora, compreso qualcuno che non si ricordava di essere ancora consigliere comunale di un altro partito, c’è anche un amico di mafiosi, qualche altro ha precedenti penali… meno male che hanno fatto una attenta selezione, perché altrimenti chissà cosa ci presentavano!».E anche dal punto di vista politico, tra i 5 Stelle, spiccano gli economisti di scuola neoliberista come Fioramonti, nonché «i giornalisti Fininvest amici di Gianni Letta». A Firenze, «contro Renzi c’è un renziano che solo 14 mesi fa ha fatto campagna elettorale per il sì al referendum (e questa non ve la perdoneremo mai)». Mancano solo «un po’ di spie, un lenone e qualche alcolizzato cronico (o ci sono e non ce lo avete detto?)». Poi “Liberi e Uguali”: «Ha delle liste che sembrano il festival della ribollita, i poveri militanti di base sono stati semplicemente ignorati». Forza Italia? «Non è cambiata: come sempre mette in lista nani, ballerine e camerieri vari». E bravi, tutti. «Ma insomma, non vi vergognate? Non esiste più la Lega ma il Pds (Partito di Salvini), non il Partito Democratico ma il Pdr (partito di Renzi), non Forza italia ma – come sempre – il Pdb (partito di Berlusconi). E, mi costa dirlo, al posto del M5S c’è il Pdd (partito di Di Maio) che ancora è quel che si oppone all’inciucio renzusconiano, ma di questo passo…».Infine il metodo d’azione, lo stile: «La Lega arriva all’orrore di cavalcare i tentati omicidi fascisti per raccogliere voti anche in quella sentina». Il Pd ha un unico chiodo fisso: il Movimento 5 Stelle, «che attacca con argomenti elegantissimi come l’attacco personale a Di Maio perché incespica sui congiuntivi (come se i suoi fossero tutti accademici della Crusca: mai sentito parlare la ministra della pubblica istruzione Fedeli?)». Dal canto suo, il M5S invita i suoi seguaci a raccogliere prove e foto sulle nefandezze dei rivali, trasformando le elezioni nello “sputtanamento show”. «Anche a me non piacciono i pregiudicati in lista, anche se una condanna in primo grado non significa che uno lo sia, ma insomma, nelle campagne elettorali si parla di politica: magari fai notare le troppe presenze di candidati con guai giudiziari, ma poi vai avanti e confrontati sulle proposte politiche». Qui invece «l’unico confronto è quello degli insulti», dice Giannuli, «e vale per tutti». Un consiglio? «Fate una cosa sfidatevi, a gara di rutti e vediamo chi vince». D’altra parte, chiosa il politologo, «dopo 26 anni di deserto della politica, massimo frutto di Mani Pulite e del populismo occhettiano di Occhetto, Segni e Pannella, cosa possiamo pretendere? Ci si era parlato di partiti-farfalla, constatiamo che il risultato sono i partiti-monnezza».La peggior campagna elettorale di sempre: la più indecente. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese. «Avevo 16 anni quando seguii consapevolmente la campagna elettorale delle politiche, era il 1968. Dunque, quest’anno ”festeggio” (si fa per dire) il cinquantesimo della mia partecipazione politica. Da allora ho visto 13 campagne elettorali politiche, 8 europee e 10 regionali. Ebbene, debbo dire che una campagna elettorale così ripugnante, sciatta, volgare, sguaiata, offensiva come questa non l’avevo ancora vista. E non abbiamo visto tutto, siamo all’inizio». Una camapgna elettorale «offensiva, soprattutto dell’intelligenza degli elettori», costretti a votare con una legge-truffa, ad ascoltare promesse grottesche, a scegliere tra candidati più che mediocri e, in ogni caso, di strettissima obbedienza: tutti devoti al capo del partito che li schiera, si chiami Berlusconi, Renzi o Di Maio. Il Rosatellum? «Incostituzionale, pieno di trucchi demenziali: riesce nel mirabile intento di sacrificare la rappresentatività del Parlamento senza assicurare una maggioranza, salvo che una qualche trappola del sistema (una valanga monocolore nei collegi uninominali, una quota importante di voti dispersi sotto la quota di esclusione) non crei una maggioranza del tutto fittizia. L’unica cosa divertente è che punirà i suoi ideatori».
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Voto inutile, chiunque vinca: l’Italia non deve svegliarsi
La crisi è sistemica – europea, mondiale – mentre le elezioni restano un fenomeno soltanto atmosferico, stagionale: se piove, si apre l’ombrello in attesa che passi il maltempo (che non passerà). Nulla di importante è alla portata dell’elettore italiano informato e consapevole, rassegnato all’irrilevanza. Chi si candida a governare il paese non ha soluzioni alternative al declino, presentato come squallida normalità. Le liste che invece mettono il dito nella piaga – tantissime, di ogni colore – devono munirsi di telescopio: per avvistare non certo Palazzo Chigi (missione impossibile), ma solo il miraggio di un seggio in Parlamento, da cui eventualmente riproporre, col megafono, la loro denuncia destinata a non essere raccolta da nessuno, né aula né sui grandi media. Chi votare, dunque? E soprattutto: perché? Per quale motivo andare al seggio elettorale, già sapendo che – sondaggi alla mano – neppure la coalizione data in vantaggio, il centrodestra, raccoglie forze stabili e coese? Salvini e Meloni conservano almeno la memoria della loro critica alla gestione Ue, mentre il loro capo Berlusconi – che da un lato propone la Flat Tax – dall’altro rassicura Bruxelles: giura che non toccherà il mortale tetto di spesa del 3%, imposto dai burocrati del rigore, i maggiordomi agli ordini dei grandi poteri economici che hanno sprofondato l’Italia nel disastro della disoccupazione di massa, portandole via milioni di posti di lavoro e 450 milardi di euro in soli tre anni.Stessa musica a casa Pd, dove restano tabù i dogmi di Maastricht che sono all’origine della tragedia, la decadenza strutturale del made in Italy. Idem i 5 Stelle, che non sono corresponsabili della catastrofe ma si stanno attrezzando: propongono un taglio fantascientifico, l’amputazione del 40% del debito pubblico, cioè della spesa strategica per l’economia. Quali sono i paesi, storicamente, con il maggior debito statale? Stati Uniti e Giappone. Il problema è dunque il debito o la moneta in cui è denominato? La moneta, ovvio. Quindi i 5 Stelle cosa contestano, il debito o la moneta? Il debito, purtroppo: nulla deve cambiare. Deve restare in piedi il paradigma, falso, che vuole lo Stato in ginocchio, costretto a privatizzare per fare cassa, taglieggiando i contribuenti. Risparmi erosi, aziende senza crediti, dipendenti senza lavoro, studenti senza futuro, coppie senza figli. Ce lo chiede l’Europa: e noi all’Europa, ancora una volta, rispondiamo che va bene così. Siamo contenti di sprofondare. Felici, ancora una volta, di non poter scegliere – alle urne – nessuna opzione alternativa alla rassegnazione sistemica, alla resa di fronte a uno schema che punisce l’Italia come nazione, come società, come sistema produttivo, come partner europeo colpevole di esistere.L’Italia ha tante colpe, in effetti: è un paese ammirato, invidiato e detestato perché potenzialmente ricchissimo, creativo, ingegnoso, padrone di un giacimento culturale senza pari al mondo, proteso nel cuore strategico del Mediterraneo. Guai se dovesse svegliarsi, il paese che seppe risorgere dalle macerie della guerra per diventare la quarta potenza industriale del pianeta, nonostante i suoi tumori endemici (mafia, corruzione, evasione fiscale). Guai, se l’Italia risvegliata mandasse a stendere Bruxelles e il suo 3%, Francoforte e la sua moneta privata, Berlino e la sua cancelliera privatizzata. Per questo sono sempre così delicate, per l’oligarchia dominante, le elezioni italiane: è fondamentale che l’Italia resti in letargo, in coma farmacologico. Faccia come crede, purché voti Berlusconi, Renzi o Di Maio. Il risultato, per Bruxelles, è già in cassaforte: chiunque prevalga, di quei tre, non impensierirà nessuno dei nemici dell’Italia. Il voto-contro, per chi alle fiabe non crede più? Niente paura: sarà disperso in mille rivoli, nessuno dei quali (dicono i sondaggi) raggiungerà neppure l’anticamera del Parlamento. In più, nessuno dei maggiori candidati avrà i numeri per governare. Due sole ipotesi: larghe intese o nuove elezioni. Nulla che, in ogni caso, riguardi gli italiani stanchi di dormire, e di vedere il loro paese trattato come un malato terminale ingombrante, in parte ancora ricco. Un malato da spolpare fino all’ultimo, da tenere in vita solo per evitare l’imbarazzo del funerale.La crisi è sistemica – europea, mondiale – mentre le elezioni sembrano un fenomeno innocuo e soltanto atmosferico, stagionale: se piove, si apre l’ombrello in attesa che passi il maltempo (che non passerà). Nulla di importante è alla portata dell’elettore italiano consapevole, rassegnato all’irrilevanza. Chi si candida a governare il paese non ha soluzioni alternative al declino, presentato come squallida normalità. Le liste che invece mettono il dito nella piaga – tantissime, di ogni colore – devono munirsi di telescopio: per avvistare non certo Palazzo Chigi (missione impossibile), ma solo il miraggio di un seggio in Parlamento, da cui eventualmente riproporre, col megafono, la loro denuncia fatalmente pletorica, destinata a non essere raccolta da nessuno, né in aula né sui grandi media. Chi votare, dunque? E soprattutto: perché? Per quale motivo trascinarsi fino al seggio elettorale, già sapendo che – sondaggi alla mano – neppure la coalizione data in vantaggio, il centrodestra, raccoglie forze stabili e coese? Salvini e Meloni conservano almeno la memoria della loro critica alla gestione Ue, mentre il loro capo Berlusconi – che da un lato propone la Flat Tax – dall’altro rassicura Bruxelles: giura che non toccherà il mortale tetto di spesa del 3%, cioè la camicia di forza imposta dai burocrati del rigore, i maggiordomi agli ordini dei grandi poteri economici che hanno sprofondato l’Italia nel disastro della disoccupazione di massa, portandole via milioni di posti di lavoro e 450 miliardi di euro in soli tre anni.
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Fioramonti, guru 5 Stelle, tra Rothschild, Soros e Rockefeller
Caro Di Maio, sei sicuro di sapere con chi te ne vai a spasso, a Londra? E voi, grillini militanti e simpatizzati, avete idea di chi sia, davvero, il vostro nuovo guru in materia di economia? Sembra di leggere “Alice nel paese delle meraviglie”, e invece è la pagina Facebook di Nicolas Micheletti, economista sovranista con ufficio in Svizzera, oggi tra i sostenitori della “Lista del Popolo” di Ingroia & Chiesa. Fioramonti, chi è costui? I veri uomini del grande potere, secondo Paolo Barnard, sbucano sempre dal nulla: o meglio, hanno alle spalle anni di carriera in istituzioni finanziarie di vertice, ma restano a lungo nell’ombra, al riparo dai riflettori. Da lì lavorano sodo, in modo formidabile e spesso con un unico obiettivo: mettere in ginocchio gli Stati, imponendo il rigore neoliberista che impoverisce il 99% arricchendo solo l’élite. Come? Con il solito sistema: tagliare la spesa pubblica e alzare le tasse. Ne è un esempio l’Italia uscita con le ossa rotte dalla “cura” Monti, secondo la dottrina dell’avanzo di bilancio: lo Stato che incamera più soldi, dai contribuenti, di quanti ne spenda per i cittadini (sotto forma di deficit postivo). E in piena crisi, col paese allo stremo proprio a causa dell’austerity, chi vanno a pescare i 5 Stelle? Lorenzo Fioramonti, autorevole esponente della scuola più dogmatica, quella del super-rigore.«Ho cercato per giorni di capire da dove cavolo fosse spuntato fuori il punto programmatico del M5S di tagliare il rapporto debito/Pil del 40% in 10 anni», scrive Micheletti sulla sua pagina Facebook: «Ho chiesto in giro, ovunque». Amputare la spesa pubblica del 4% ogni anno? Secondo gli economisti keynesiani è l’autostrada per l’inferno, spacciata per “comportamento virtuoso”: da una parte lo Stato con “i conti in ordine”, dall’altra aziende che licenziano e chiudono, e famiglie alla canna del gas dopo aver bruciato i risparmi di una vita. Uno schema monotono: il teorema “teologico” neoliberista. «I grillini dicono sempre che il programma è tutto scelto dagli attivisti, ma io non ho trovato da nessuna parte alcuna prova (e so cercare bene le info)», scrive Micheletti. «Non sembra essere esistita alcuna votazione al riguardo di questo punto del programma: è chiaramente un punto preso e messo lì dall’alto», quindi «non molto nello stile democratico di cui parlano tanto». Poi, la scoperta: l’obiettivo del massimo rigore ammazza-Italia «l’ha messo lì Fioramonti». Ebbene sì: «Tra tutti gli economisti italiani che il Movimento 5 Stelle poteva scegliere, ha scelto proprio lui». Ma chi è, il professor Fioramonti? Micheletti lo definisce «un simpatico personaggio con un passato molto interessante», in una geografia punteggiata da nomi che tutti conoscono, dalla casata Rothschild a George Soros.Ordinario di economia politica a Pretoria, Sudafrica, Fioramonti insegna «in una università il cui capo è Wiseman Nkuhlu, chairman dei Rothschild» (e il cognome Nkulu, ironizza Micheletti, «è pertinente alla nostra situazione politica»). Noto per gli studi sull’innovazione della governance e per la critica al Pil, da sostituire con altri indicatori di salute, Fioramonti è presidente, nonché unico professore, del progetto Jean Monnet, con specializzazione in studi sull’Ue, in Africa (brutto nome, Monnet: sinonimo di rigore europeo imposto ideologicamente dai padrini storici dell’attuale oligarchia, nemica della democrazia sociale e del benessere diffuso). Non solo: la prefazione dei libri di Fioramonti, continua Micheletti, è a cura di Enrico Giovannini, esponente del Club di Roma e dell’Aspen Institute, due santuari dell’élite finanziaria mondialista. Libri, peraltro, «recensiti dalla London School (Evelyn Rothschild)». In più, aggiunge ancora Micheletti, Fioramonti scrive articoli per la “Open Democracy” di Soros. «E per far felici anche gli immigrazionisti, ha una cattedra in “Integrazione regionale, Migrazione e libera circolazione delle persone”». Chi manca? Rockefeller. «Per chiudere in bellezza», chiosa Micheletti, il buon Fioramonti «ha lavorato anche per la Fondazione Rockefeller. Insomma, un personaggio libero e indipendente da ogni vincolo e intrallazzo con il potere».Caro Di Maio, sei sicuro di sapere con chi te ne vai a spasso, a Londra? E voi, grillini militanti e simpatizzati, avete idea di chi sia, davvero, il vostro nuovo guru in materia di economia? Sembra di leggere “Alice nel paese delle meraviglie”, e invece è la pagina Facebook di Nicolas Micheletti, attivista sovranista vicino a Paolo Barnard. Fioramonti, chi è costui? I veri uomini del grande potere, secondo Barnard, sbucano sempre dal nulla: o meglio, hanno alle spalle anni di carriera in istituzioni finanziarie di vertice, ma restano a lungo nell’ombra, al riparo dai riflettori. Da lì lavorano sodo, in modo formidabile e spesso con un unico obiettivo: mettere in ginocchio gli Stati, imponendo il rigore neoliberista che impoverisce il 99% arricchendo solo l’élite. Come? Con il solito sistema: tagliare la spesa pubblica e alzare le tasse. Ne è un esempio l’Italia uscita con le ossa rotte dalla “cura” Monti, secondo la dottrina dell’avanzo di bilancio: lo Stato che incamera più soldi, dai contribuenti, di quanti ne spenda per i cittadini (sotto forma di deficit postivo). E in piena crisi, col paese allo stremo proprio a causa dell’austerity, chi vanno a pescare i 5 Stelle? Lorenzo Fioramonti, autorevole esponente della scuola più dogmatica, quella del super-rigore.
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Di Maio: bei giornalisti, prima mi attaccano poi si candidano
Si vede che la campagna elettorale è entrata nel vivo. Basta leggere i giornali di oggi per capire il livello degli attacchi che stanno cominciando ad intensificarsi contro il MoVimento 5 Stelle e contro di me. Naturalmente ciò che è stato scritto non mi impensierisce, ma alcune riflessioni lasciatemele fare. Cominciamo da “Panorama”, che oggi mi dedica una copertina ridicola. Ci sarebbe da ridere se non fosse che colui che fino a una settimana fa era il direttore di questo settimanale, Giorgio Mulè, oggi è candidato con Forza Italia alla Camera. Ma questo non vale solo per Panorama: Tommaso Cerno, il condirettore di “Repubblica”, il giornale di Carlo De Benedetti, si è dimesso per candidarsi con il Pd. Allora “Panorama”, per tutta la campagna elettorale, dovrebbe scrivere sotto il nome della testata che “il direttore si è dimesso per candidarsi con Forza Italia”, stessa cosa dovrebbe fare “Repubblica” scrivendo «il condirettore Tommaso Cerno si è dimesso per candidarsi con il Pd a Milano». Così riusciremmo a dare un po’ di coordinate a chi legge i giornali.L’altro caso del giorno riguarda la mia missione a Londra con il professor Lorenzo Fioramonti, dove abbiamo incontrato gli investitori internazionali, ai quali ho spiegato cosa faremo la sera delle elezioni. A loro ho detto che il M5S può arrivare ad avere la maggioranza, ma se così non fosse, faremo un appello pubblico a tutte le forze politiche chiedendo di convergere non sui ministeri e le poltrone, ma sui temi. La cosa assurda è che è uscita un’agenzia della “Reuters” che dice che io vorrei fare un governo di larghe intese con Fi, Pd e Lega, e questo governo di larghe intese è finito su tutte le pagine dei giornali di oggi, che scrivono di un giallo o di un presunto malinteso che non c’è mai stato. E ne scrivono soprattutto “Stampa” e “Repubblica”, i giornali di Carlo De Benedetti, che si è fatto 600mila euro grazie alla telefonata di Matteo Renzi che gli annunciava il decreto sulle popolari.Nei collegi uninominali abbiamo presentato una super squadra di competenti che vengono dal mondo della ricerca, dell’università, della medicina, dello sport, delle forze armate, persone che si sono messe a disposizione del paese. I giornali si sono guardati bene dal raccontare di questa squadra e tutti invece parlano di candidati “riciclati”, solo perché c’è una persona che dieci anni fa si è candidata con una coalizione di centrodestra alle amministrative e un’altra che dice di aver fatto otto anni fa la coordinatrice del Pd a livello comunale. Ma queste sono persone che hanno lavorato sul territorio e che hanno abbandonato gli altri partiti anni fa dopo averli conosciuti e che ora mettono la propria faccia nei collegi in cui si candidano.Nel frattempo il Pd a Bologna candida Casini, a Modena la Lorenzin e il figlio di De Luca in Campania; Berlusconi in Campania sta candidando l’autista di Raffaele Cutolo, fondatore della nuova camorra organizzata; a Salerno è candidato Alfieri, quello delle fritture di pesce, mente noi candidiamo Alessia D’Alessandro, giovane economista che lavora in Germania e parla cinque lingue. Però i nostri candidati vengono demonizzati, mentre degli impresentabili candidati dagli altri non se ne parla. Dovete aiutarci a combattere la disinformazione che fa male al paese. I prossimi trenta giorni valgono come dieci anni, perché tra 30 giorni potremmo svegliarci e avere un governo 5 Stelle. Chiedo anche a voi, in questi trenta giorni, di mettere il massimo delle vostre energie.(Luigi Di Maio, “Gli attacchi dei media ci rendono più forti, è il momento di dare il massimo”, dal “Blog delle Stelle” del 3 febbraio 2018).Si vede che la campagna elettorale è entrata nel vivo. Basta leggere i giornali di oggi per capire il livello degli attacchi che stanno cominciando ad intensificarsi contro il MoVimento 5 Stelle e contro di me. Naturalmente ciò che è stato scritto non mi impensierisce, ma alcune riflessioni lasciatemele fare. Cominciamo da “Panorama”, che oggi mi dedica una copertina ridicola. Ci sarebbe da ridere se non fosse che colui che fino a una settimana fa era il direttore di questo settimanale, Giorgio Mulè, oggi è candidato con Forza Italia alla Camera. Ma questo non vale solo per “Panorama”: Tommaso Cerno, il condirettore di “Repubblica”, il giornale di Carlo De Benedetti, si è dimesso per candidarsi con il Pd. Allora “Panorama”, per tutta la campagna elettorale, dovrebbe scrivere sotto il nome della testata che “il direttore si è dimesso per candidarsi con Forza Italia”, stessa cosa dovrebbe fare “Repubblica” scrivendo «il condirettore Tommaso Cerno si è dimesso per candidarsi con il Pd a Milano». Così riusciremmo a dare un po’ di coordinate a chi legge i giornali.
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Stregoni e partiti all’opera: rassegnarsi a questa agonia Ue
«Finito il tempo degli anestesisti, è ormai arrivato quello degli stregoni». L’esito degli “anestesisti”, scrive Leonardo Mazzei, fa registrare un contestuale avvicinamento delle posizioni di tutte le diverse forze politiche in campo, sulla “questione delle questioni”, cioè «la gabbia dell’euro e dell’Unione Europea».Ovvero: «Tutti a criticare l’Europa così com’è, ma tutti a vendere nel mercato elettorale l’unica soluzione totalmente impossibile, cioè quella della “ridiscussione”, “riforma”, “revisione” dei trattati che è del tutto irrealizzabile, altro non fosse che per la necessità di un voto unanime di 27 paesi con i loro diversi (e spesso contrapposti) interessi in campo». Da qui la conclusione: le elezioni 2018 passeranno e l’euro resterà, dato che nessuno gli torcerà un capello. Ora, «tutte le persone informate dei fatti sanno che, senza affrontare il nodo europeo, non può esserci spazio alcuno: non solo per combattere la disoccupazione e uscire davvero dalla crisi, ma neppure per misure parziali volte quantomeno ad alleviare le sofferenze sociali che la crisi ha portato con sé. Ne consegue che tutti i programmi elettorali, per lo più basati su promesse e obiettivi mirabolanti, sono quanto di più falso la storia elettorale italiana abbia mai registrato fino ad oggi». L’azione degli “anestesisti del sistema” è riuscita: «Il che, dopo 10 anni di crisi tutt’altro che risolta, dopo 5 anni della più indecente delle legislature, è sinceramente sconfortante».E ora? Dopo gli “anestesisti”, scrive Mazzei su “Antimperialista”, avranno successo anche gli “stregoni”? Sono quelli che «lavorano alle future alchimie parlamentari e governative affinché nulla cambi in questo disgraziato paese». Se così non fosse, «non ci proporrebbero ancora il volto di pesce lesso Gentiloni: un volto conservatore come pochi, tanto nella mimica quanto in quel cognome aristocratico che porta». La generale omologazione al credo eurista, però, ancora non basta a disegnare una maggioranza in grado di reggersi in piedi. «O meglio, questa omologazione, proprio perché rende possibili diverse soluzioni variamente gradite a lorsignori, sembra non determinare ancora una chiara gerarchia nelle loro preferenze». Eppure, continua Mazzei, questa gerarchia esiste: «I dominanti son sempre previdenti, e – almeno quando possono permetterselo – oltre al piano A cercano sempre di avere un piano B». Da qui una certa apparente confusione, che adesso inizia però a diradarsi. Il piano A è rimasto quello che avevano pensato in autunno, le cosiddette “larghe intese”, «formula alquanto vaga che voleva nascondere quel patto Renzi-Berlusconi che ha consentito la forzatura del Rosatellum». Questo piano ha oggi però una variante, quella che prevede a Palazzo Chigi un “terzo uomo”: non più il ritorno del Bomba, «ma un personaggio più grigio e addomesticabile: se non Gentiloni, magari Padoan».Ecco a cosa è servita la pressione su Renzi: a fargli accettare il passo indietro sulla presidenza del Consiglio, sostiene Mazzei. «Certo, se il Pd dovesse recuperare rispetto ai sondaggi il fiorentino rispolvererebbe all’istante le sue ambizioni. Ma non pare proprio che sia questa l’aria che tira». C’è però un piano B, quello del “governo del presidente” evocato da D’Alema. «A seconda dei risultati, il piano B potrà essere una scelta o una necessità». Una scelta, qualora i numeri del piano A risultassero troppo risicati. Una necessità, se quei numeri proprio non vi fossero. «La differenza tra questi due piani è ovvia: il primo esclude i Cinque Stelle, il secondo li ricomprende». Nel primo caso, al M5S verrebbe assegnato «il classico ruolo dell’opposizione di Sua Maestà», mentre nel secondo «quello di ruota di scorta governativa delle più collaudate forze sistemiche». La prima soluzione, assicura Mazzei, è quella per cui lavorano gli “stregoni” dell’informazione. La seconda è una possibile necessità «non più esclusa per principio dall’oligarchia, ma solo considerata un po’ meno vantaggiosa della prima».Se oggi Renzi sta tornando buono per il mainstream, argomenta l’analista, è perché un Pd in caduta libera finirebbe per determinare nei collegi uninominali una polarizzazione M5S-destra, assai più che Pd-destra. «Con il risultato, ben colto dai sondaggisti, di danneggiare non solo il partito di Renzi al centro-nord, ma pure la destra al sud e nelle isole». Ecco allora il duro lavoro degli “stregoni della comunicazione” per riportare su le quotazioni del Bomba. «In cambio Renzi, ha dovuto platealmente dismettere il suo refrain preferito, quello del vincitore delle primarie come unico candidato alla guida del governo da parte del Pd. Oggi per Palazzo Chigi gli va bene un Pd-purchessia, domani accetterà forse anche un non-Pd-purchessia pur di non tornare nell’anonimato della sua Rignano». Certo, quello degli “stregoni” è un lavoro duro, «specie con questi chiari di luna». Lavoro che «sarebbe quasi impossibile, se solo vi fosse un’alternativa politica credibile. Ma questa non c’è. C’è anzi la sua negazione fatta persona nel volto neodemocristiano di Luigi Di Maio». Italia senza speranze: mala tempora currunt, sintetizza Mazzei.«Finito il tempo degli anestesisti, è ormai arrivato quello degli stregoni». L’esito degli “anestesisti”, scrive Leonardo Mazzei, fa registrare un contestuale avvicinamento delle posizioni di tutte le diverse forze politiche in campo, sulla “questione delle questioni”, cioè «la gabbia dell’euro e dell’Unione Europea».Ovvero: «Tutti a criticare l’Europa così com’è, ma tutti a vendere nel mercato elettorale l’unica soluzione totalmente impossibile, cioè quella della “ridiscussione”, “riforma”, “revisione” dei trattati che è del tutto irrealizzabile, altro non fosse che per la necessità di un voto unanime di 27 paesi con i loro diversi (e spesso contrapposti) interessi in campo». Da qui la conclusione: le elezioni 2018 passeranno e l’euro resterà, dato che nessuno gli torcerà un capello. Ora, «tutte le persone informate dei fatti sanno che, senza affrontare il nodo europeo, non può esserci spazio alcuno: non solo per combattere la disoccupazione e uscire davvero dalla crisi, ma neppure per misure parziali volte quantomeno ad alleviare le sofferenze sociali che la crisi ha portato con sé. Ne consegue che tutti i programmi elettorali, per lo più basati su promesse e obiettivi mirabolanti, sono quanto di più falso la storia elettorale italiana abbia mai registrato fino ad oggi». L’azione degli “anestesisti del sistema” è riuscita: «Il che, dopo 10 anni di crisi tutt’altro che risolta, dopo 5 anni della più indecente delle legislature, è sinceramente sconfortante».
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“Repubblica” in declino? Però ha vinto: ha spento la sinistra
Volano stracci tra Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, che forse vorrebbe liberarsi del giornale-partito nato nel 1976 «per traghettare la sinistra dall’ideologia sovietico-marxista a quella atlantico-liberale». Non è strano che saltino i nervi, scrive Federico Dezzani nella sua “breve storia, non ortodossa”, del secondo quotidiano italiano: “Repubblica” è scesa a poco più di 200.000 copie, contro le oltre 400.000 di appena sette anni fa, quando Ezio Mauro la schierò frontalmente nella battaglia contro Berlusconi. «Il crepuscolo della Seconda Repubblica avanza minaccioso e non è certo casuale che sia accompagnato dalla crisi del quotidiano che, senza dubbio, ha dominato questo periodo della storia italiana», scrive Dezzani nel suo blog. Nato «per affiancare “L’Unità”», quotidiano del Pci, «e sensibilizzare Botteghe Oscure sulle tematiche “liberali”», il giornale «cavalca nei primi anni ‘80 il caso P2, poi assiste l’assalto giudiziario che nel 1992-93 demolisce la Prima Repubblica», quindi «assume la funzione di mentore della sinistra post-comunista, traghettandola nella metamorfosi Pci-Pds-Ds-Pd», e infine «detta l’agenda al governo se la sinistra vince le elezioni», oppure «guida l’opposizione antiberlusconiana, se la sinistra le perde».
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E bravo Di Maio, l’aspirante massone che spara sui massoni
Bella faccia di bronzo, Luigi Di Maio: spara contro la massoneria dopo aver bussato, ripetutamente, alle porte più esclusive dei peggiori club supermassonici internazionali, quelli reazionari dell’ultra-destra finanziaria. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia segreta del super-potere massonico mondiale. La frase “incriminata”, di Di Maio l’ha pronunciata in televisione, davanti alle telecamere de “La7”: «Chi urla odio razziale, chi usa espressioni omofobe, chi è iscritto alla massoneria, chi nella propria vita ha portato azioni indecenti non si può candidare col Movimento 5 Stelle». Immediata la replica di Stefano Bisi, leader del Grande Oriente d’Italia: «Mi sono chiesto innanzitutto come un politico che aspira a diventare il futuro presidente del Consiglio, e quindi a rappresentare democraticamente tutti gli italiani senza barriere precostituite, possa usare in maniera irresponsabile e violenta certe affermazioni gratuite». Disse Voltaire: «Disapprovo ciò che dici, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirlo». L’esatto contrario della “dottrina Di Maio”, che ricorda le infauste leggi fasciste che nel 1925 portarono alla persecuzione dei massoni. Ma peggio: magari Di Maio fosse solo fuori strada. E’ anche clamorosamente ipocrita, dice Magaldi, perché il primo a voler entrare in massoneria è proprio lui.«L’ipocrisia e la doppiezza di Luigi Di Maio si fanno addirittura iperboliche, perché il giovanotto ha bussato al gotha delle aristocrazie massoniche neoaristocratiche, non di quelle progressiste», scrive Magaldi su “Grande Oriente Democratico”. Il leader grillino «per poco non è stato preso a pernacchie», in quei salotti di Londra e di Washington, «ma la vicenda ha un carattere tristemente esemplare, perché illustra efficacemente il modus operandi del personaggio in questione e di certa massonofobia militante la quale, privatamente, anela proprio a ciò che in pubblico demonizza e discrimina». E poi c’è un diffuso meccanismo, aggiunge Magaldi, che «induce determinati soggetti politici a scagliarsi contro i massoni che si presentino ufficialmente come tali, senza paludamenti», per poi invece «accogliere a braccia aperte chi conservi un profilo massonico accuratamente segretato». Attenzione: la sortita anti-massonica di Di Maio non è stata casale, ma premeditata: «In quelle parole del candidato premier pentastellato c’è molta ambiguità e ambivalenza». Ovvero: «C’è un messaggio polivalente, rivolto a diversi interlocutori nazionali e internazionali». Un intervento «odioso e ipocrita, apparentemente massonofobico», rivolto – in codice – a soggetti ai quali Di Maio di sta probabilmente ancora rivolgendo. Morale: «Il Movimento 5 Stelle merita un leader migliore».«Una volta che sarà stato celebrato l’ingannevole rito elettorale del 4 marzo, Luigi Di Maio non solo non avrà vinto le elezioni, ma avrà dimostrato di essere stato la peggiore scelta possibile, come “frontman”», scrive Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt. Il giorno dopo le elezioni, quindi, «sarà bene che l’intero Movimento 5 Stelle – garante e padre fondatore Beppe Grillo in testa – ripensi alcune modalità comunicative e strutturali dell’avventura pentastellata», anche perché «chi si candida a governare una grande nazione democratica e repubblicana come l’Italia non può permettersi il lusso di discriminare pregiudizialmente la partecipazione politica al proprio movimento di categorie di persone – i massoni – tra le fila dei quali si annoverano peraltro i maggiori eroi del Risorgimento e i più autorevoli padri della Costituzione del 1948». Più in generale, l’asserita interdizione ai liberi muratori («evidentemente a quelli che non fanno mistero di essere tali») di partecipare alla vita politica del M5S e/o di essere candidati tra le sua fila, «non solo viola il testo costituzionale italiano e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma favorisce semmai l’infiltrazione tra i pentastellati di massoni segreti e coperti, cui nessuno potrà contestare l’appartenenza latomistica ed escluderli da liste elettorali, proprio in quanto segreti e coperti».Perciò, conclude Magaldi, «lunga vita e in bocca al lupo ai tanti ottimi candidati sinceramente democratici e progressisti delle liste M5S (in primis a Pino Cabras, giornalista e intellettuale di grande pregio e spessore), ma qualcuno si prenda la briga di sottoporre Luigi Di Maio a un corso accelerato di etica costituzionale e di principi democratici, liberali e libertari, sottraendolo alle pessime figure e alla sicura débâcle cui lo condurrà la sua insipiente, pretestuosa e insincera massonofobia». Dalle parole di Di Maio, secondo Magaldi, emerge «un abisso di ipocrisia». Intanto, sparando contro “i massoni” come categoria, attenta ai diritti costituzionali degli aderenti alla massoneria. «E sarebbe lo stesso se costui avesse usato parole discriminatorie e liberticide contro altre categorie socio-antropologiche: cattolici, ebrei, musulmani, simpatizzanti di tale o talaltra dottrina filosofica, religiosa o sapienziale, inquadrati o meno in associazioni, come la massoneria, perfettamente legali, legittime e costituzionali, e anzi all’origine della nascita stessa delle Costituzioni democratiche moderne e contemporanee». Ma, appunto, il leader grillino non è neppure sincero: «Non si può trascurare il fatto che Luigi Di Maio (al pari di Matteo Renzi, che lo ha preceduto in termini quasi identici), da mesi, stia cercando di trovare a Londra e a Washington qualcuno che gli apra le porte di templi massonici prestigiosi».Bella faccia di bronzo, Luigi Di Maio: spara contro la massoneria dopo aver bussato, ripetutamente, alle porte più esclusive dei peggiori club supermassonici internazionali, quelli reazionari dell’ultra-destra finanziaria. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia segreta del super-potere massonico mondiale. La frase “incriminata”, Di Maio l’ha pronunciata in televisione, davanti alle telecamere de “La7”: «Chi urla odio razziale, chi usa espressioni omofobe, chi è iscritto alla massoneria, chi nella propria vita ha portato azioni indecenti non si può candidare col Movimento 5 Stelle». Immediata la replica di Stefano Bisi, leader del Grande Oriente d’Italia: «Mi sono chiesto innanzitutto come un politico che aspira a diventare il futuro presidente del Consiglio, e quindi a rappresentare democraticamente tutti gli italiani senza barriere precostituite, possa usare in maniera irresponsabile e violenta certe affermazioni gratuite». Disse Voltaire: «Disapprovo ciò che dici, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirlo». L’esatto contrario della “dottrina Di Maio”, che ricorda le infauste leggi fasciste che nel 1925 portarono alla persecuzione dei massoni. Ma peggio: magari Di Maio fosse solo fuori strada. E’ anche clamorosamente ipocrita, dice Magaldi, perché il primo a voler entrare nei grandi circuiti delle superlogge è proprio lui.
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Non conta chi vince: il sistema politico italiano è morto
Strane elezioni: la posta in palio non è il risultato. Ovvero: più che il governo che ne verrà fuori, a essere in gioco è il sistema politico italiano nel suo complesso. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese, attento osservatore della scena italiana. Niente sarà più come prima, a prescindere dal risultato del 4 marzo. Le elezioni? Non servono solo a determinare chi governerà, ma anche a rappresentare in Parlamento gli interessi e le posizioni culturali presenti nella società. «La cultura rozzamente “governista” di questo trentennio scorso ha ridotto tutto alla scelta di chi governerà», scrive Giannuli nel suo blog. «Questa volta, però, si tratta di un gioco un po’ diverso, nel quale la determinazione del governo diventa l’obiettivo secondario, mentre in primo piano c’è l’assetto costituzionale del paese». Non la Costituzione formale, che almeno per ora non sembra più in discussione, «dopo la tranvata presa dal Pd il 4 dicembre 2016», ma la Costituzione “materiale”, «cioè il concreto assetto dei rapporti di forza durevoli». Prima domanda: resisterà, questo modello tripartito, oppure uno dei tre contendenti si avvierà ad uscire di scena, ripristinando una qualche forma di bipartitismo? O ancora: affiorerà un sistema quadripolare o pentapolare che ripristinerà le dinamiche dei governi di coalizione, grazie anche al futuro superamento dell’attuale, deludente legge elettorale?All’interno di questo quadro generale, sostiene Giannuli, occorrerà vedere come si articoleranno i rapporti di forza fra le attuali formazioni. Ad esempio: «E’ possibile che il centrodestra possa vincere, conquistando la maggioranza assoluta dei seggi, ma non è affatto irrilevante sapere quale sarà lo stacco fra Lega e Forza Italia». E, se i rapporti di forza non cambiassero, quindi con una sostanziale parità tra forzisti e leghisti, «è probabile che il governo durerebbe poco». Quanto ai 5 Stelle: è ben diverso se il partito di Grillo e Di Maio raggiungesse il 35, il 30 o il 25% dei suffragi. Il 35%, dice Giannuli, significherebbe che l’obiettivo di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi da solo resterebbe praticabile. Se invece il M5S si attestasse attorno al 30% significherebbe che «ha toccato il suo tetto e dovrebbe aprire la discussione sulle alleanze possibili, a meno di voler restare in eterno all’opposizione». Ma se scendesse tra il 20 e il 25% «è probabile che questo possa avere un contraccolpo psicologico molto pesante, che aprirebbe un regolamento di conti al suo interno e forse porrebbe le premesse per un suo ulteriore arretramento, seppellendo l’idea di un possibile governo a trazione 5 Stelle».Quanto al Pd, «se superasse il 25 % potrebbe anche pensare di restare in gara fra i partiti di serie A», mentre se scendesse verso il 20% «vedrebbe profilarsi la serie B: un ruolo di comprimario da cespuglio (d’accordo, un grosso cespuglio, ma pur sempre un cespuglio)». Attenzione: se il partito di Renzi precipitasse sotto il 20% darebbe il via a «una reazione a catena di scissioni e riunificazioni che significherebbe la fine del Pd in quanto tale». Dunque, insiste Giannuli, «non si tratta solo del governo di questa legislatura, forse brevissima, ma dell’inizio di un processo di ristrutturazione del sistema politico, nel quale quello che conta è la direzione di marcia che prendono gli avvenimenti». Ovviamente, «la partita non si deciderà solo in questa tornata elettorale, ma occorrerà vedere che succede nelle europee del prossimo anno», per capire se le linee di tendenza si confermano, si invertono o si mescolano con altre ancora. «E poi bisognerà vedere le amministrative del 2020, sempre che nel frattempo non ci siano altre elezioni politiche». Giannuli lo ripete dal 2016: «Si è aperta la crisi del sistema politico e si profila un periodo di turbolenze come fu il 1992-1996 quando votammo per tre elezioni politiche in 5 anni. Quel che colpisce è l’inadeguatezza di tutte le forze politiche alla situazione della quale non hanno affatto la percezione».Strane elezioni: la posta in palio non è il risultato. Ovvero: più che il governo che ne verrà fuori, a essere in gioco è il sistema politico italiano nel suo complesso. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese, attento osservatore della scena italiana. Niente sarà più come prima, a prescindere dal risultato del 4 marzo. Le elezioni? Non servono solo a determinare chi governerà, ma anche a rappresentare in Parlamento gli interessi e le posizioni culturali presenti nella società. «La cultura rozzamente “governista” di questo trentennio scorso ha ridotto tutto alla scelta di chi governerà», scrive Giannuli nel suo blog. «Questa volta, però, si tratta di un gioco un po’ diverso, nel quale la determinazione del governo diventa l’obiettivo secondario, mentre in primo piano c’è l’assetto costituzionale del paese». Non la Costituzione formale, che almeno per ora non sembra più in discussione, «dopo la tranvata presa dal Pd il 4 dicembre 2016», ma la Costituzione “materiale”, «cioè il concreto assetto dei rapporti di forza durevoli». Prima domanda: resisterà, questo modello tripartito, oppure uno dei tre contendenti si avvierà ad uscire di scena, ripristinando una qualche forma di bipartitismo? O ancora: affiorerà un sistema quadripolare o pentapolare che ripristinerà le dinamiche dei governi di coalizione, grazie anche al futuro superamento dell’attuale, deludente legge elettorale?
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Magaldi: schede bianche e poltrone vuote in Parlamento
Poltrone vuote, “prenotate” dalle schede bianche di milioni di elettori: quelli che potrebbero abbandonare l’astensionismo e recarsi alle urne per la più clamorosa delle proteste, affidata a decine di seggi destinati a restare vacanti. Possibile? Non ancora: la legge non lo consente, anche se esistono giuristi che stanno esaminando quest’eventualità, cioè la possibilità di non assegnare a nessun partito i seggi corrispondenti, proporzionalmente, al numero delle schede lasciate in bianco. «Intanto, consiglio seriamente di valutare questa opzione: sarebbe un messaggio forte e chiaro, di aperta sfiducia, nei confronti di questi partiti sfrontati che stanno impunemente prendendo in giro gli italiani», sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Non è giusto che i seggi vengano assegnati solo a chi sceglie un partito: sarebbe più democratico se il voto rappresentasse correttamente tutti gli elettori, compresi cioè quelli che votano scheda bianca». Dopo aver lanciato l’idea già il 22 gennaio, poi fatta propria anche da Paolo Barnard, nell’ultima puntata della trasmissione radiofonica “Massoneria On Air”, su “Colors Radio”, Magaldi rilancia: serve un gesto dimostrativo, per denunciare quelle che possiamo già annunciare come le elezioni più inutili e truffaldine della storia, «precedute da una campagna elettorale verminosa».I “vermi” in questione? Le menzogne di cui sono farcite le esternazioni dei maggiori raggruppamenti: «“Mai con Berlusconi”, ripetono i renziani, ingannando i loro elettori, ben sapendo che proprio col Cavaliere daranno vita a un “inevitabile” governo di larghe intese». L’uomo di Arcore? «Idem: in Europa ha fatto il giro dei potenti che contano, e solo per rassicurarli». All’orizzonte c’è infatti un comodo “inciucio” con l’innocuo Pd, anche per emarginare Salvini e i suoi residui accenti anti-Ue. Quanto ai 5 Stelle, interviene (in diretta web-streaming su YouTube) un altro “rooseveltiano”, Gianfranco Carpeoro: «I grillini hanno scelto il peggio, cioè Di Maio, e non invece un parlamentare preparato come Danilo Toninelli». Le “parlamentarie”? «Pura demagogia: per candidarsi basta stare simpatici a cento persone. Perché invece i grillini con fanno congressi e confronti democratici? Perché non selezionano una classe dirigente responsabile? Se i partiti scegliessero il meglio, anziché il peggio come avviene oggi, faremmo tutti un passo avanti». Le schede in bianco? «Ottima idea di Gioele Magaldi, per dare corpo e visibilità all’ipotesi di lavoro del dopo-elezioni, cioè il nuovo soggetto politico: il Pdp, Partito Democratico Progressista».Una cosa è certa, assicura Magaldi: «Dopo il 4 marzo, di fronte a un’ipotesi che veda sorgere l’ennesimo non-governo basato sull’intesa di soggetti che hanno fino di essere antagonisti, animeremo vistose proteste per chiedere al più presto il ritorno alle urne». Il “partito delle schede bianche”? «E’ giusto che, un giorno, possa essere legittimamente rappresentato, con una bella fila di poltrone vuote, in un Parlamento dove nessuno dei contendenti osa affrontare la situazione italiana, cioè una crisi artificiosa creata dalla sottrazione di sovranità operata dai poteri oligarchici privati, finanziari, che utilizzano per i lori scopi l’Unione Europea». E ad Emma Bonino, che invoca “più Europa”, Magaldi ricorda che il sogno degli Stati Uniti d’Europa è stato sabotato e ucciso dai gestori dell’Ue e poi anche ridicolizzato da Renzi, Hollande e la Merkel, nella loro beffarda scampagnata a Ventotene, dove Altiero Spinelli aveva scritto il suo manifesto federalista. «Inviteremo anche la Bonino al convegno di Milano su Olof Palme, in primavera: un’occasione per ricordare il leader socialista svedese assassinato nell’86 e ragionare su cosa dovrebbe essere, l’Europa democratica di cui non c’è traccia». I partiti in corsa per elezioni fanno finta che il problema non esista, raccontando agli elettori che il voto del 4 marzo servirà a qualcosa? «Ragione in più per non votarli, obbligandoli a contare le nostre schede bianche».Poltrone vuote, “prenotate” dalle schede bianche di milioni di elettori: quelli che potrebbero abbandonare l’astensionismo e recarsi alle urne per la più clamorosa delle proteste, affidata a decine di seggi destinati a restare vacanti. Possibile? Non ancora: la legge non lo consente, anche se esistono giuristi che stanno esaminando quest’eventualità, cioè la possibilità di non assegnare a nessun partito i seggi corrispondenti, proporzionalmente, al numero delle schede lasciate in bianco. «Intanto, consiglio seriamente di valutare questa opzione: sarebbe un messaggio forte e chiaro, di aperta sfiducia, nei confronti di questi partiti sfrontati che stanno impunemente prendendo in giro gli italiani», sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Non è giusto che i seggi vengano assegnati solo a chi sceglie un partito: sarebbe più democratico se il voto rappresentasse correttamente tutti gli elettori, compresi cioè quelli che votano scheda bianca». Dopo aver lanciato l’idea già il 22 gennaio (poi fatta propria anche da Paolo Barnard), nell’ultima puntata della trasmissione radiofonica “Massoneria On Air”, su “Colors Radio”, Magaldi rilancia: serve un gesto dimostrativo, per denunciare quelle che possiamo già annunciare come le elezioni più inutili e truffaldine della storia, «precedute da una campagna elettorale verminosa».