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Caro Michele Serra, non sono i No-Tav i ladri del 25 Aprile
Eternamente sdraiato sulla sua amaca, Micheleserra dedica (anche) al movimento No Tav un passo della sua personale invettiva contro la consueta celebrazione “partigiana” (di parte) della festa della Liberazione. Sul giornale di famiglia (Debenedetti) di oggi 26 aprile – sabato italiano – cita con fastidio «i vivaci movimenti che valutano di essere “i veri partigiani”, a volte rubando la scena ai reduci sempre più vecchi, sempre più fragili e sempre meno numerosi di quella guerra giusta e vittoriosa». La sua prosa prosegue con la più evergreen delle citazioni giornalistiche: la collocazione “in cortile” di tutti i temi “estranei” che sono stati portati nelle manifestazioni di Torino (No Tav), Palermo (No Muos) e Milano (No Canal). Un evidente, implicito indulgere nella celebrazione retorica cara al suo partito di riferimento, che cambia continuamente nome ma conserva pervicacemente il vizio di ritenersi unico autentico depositario della Verità su Democrazia, Costituzione e Resistenza.Una verità consolidata quanto comoda, secondo cui l’ultima fu una unificante e corale lotta di un intero popolo contro un manipolo di feroci ma minoritari fascisti rimasti fedeli agli “invasori” nazisti, quindi in quanto tali alieni… Serra non è notoriamente un frequentatore del nostro “cortile”. Se lo invitassimo ad una delle nostre serate non verrebbe di sicuro, per timore di restar contagiato dal virus incurabile che ha aggredito Erri De Luca. Ma è un peccato (per lui, s’intende): intanto perché, restando appollaiato nella sua Milanodabere (& prossimamente da mangiare, grazie all’Expo) non può ritenersi al riparo dalla propagazione di una epidemia che ha dimostrato di poter colpire a distanza come è successo – ad esempio – al suo “ex collega” Stefano Benni. Ma soprattutto perché, se avesse frequentato anche solo i “nostri” tre giorni a cavallo del sessantanovesimo anniversario della Liberazione, avrebbe faticato a trovare un rassicurante confine all’invasività (benefica) del nostro cortile: cimentarsi in un elenco è quanto di più temerario perché si rischia di riempire pagine senza garantirsi di non incorrere in gravi dimenticanze.Provo allora con alcuni esempi di iniziative particolarmente significative, anche per il forte valore simbolico che hanno avuto, suggerendo al famoso corsivista erede di Fortebraccio alcuni spunti che avrebbe potuto trarne, perché la sua vena non abbia prima o poi ad esaurirsi (con irreparibili conseguenze, visto l’impegnativo modo che ha scelto per guadagnarsi il pane): fosse stato a Bussoleno – alla Libreria del Sole – il pomeriggio del 24 avrebbe potuto ascoltare una antagonista NoTav come Ermelinda Varrese leggere alcune pagine del diario partigiano di Ada Gobetti.Una lettura attenta e sensibile nel sottolinearne l’umanità e la tolleranza che fecero di lei (che fu forse l’unica o una delle poche donne congedata con il grado di maggiore dell’esercito) un raro esempio di chi ha praticato come metodo la disponibilità a capire le ragioni degli altri, anche nei terribili frangenti di una guerra civile! E Gigi Richetto spiegare la contraddizione solo apparente della ostinazione del marito – Piero Gobetti – nel collocare nella rivoluzione liberale di Benedetto Croce e Luigi Einaudi il ruolo della classe operaia di Antonio Gramsci! E il racconto lucido, “didattico” di Ugo Berga, classe 1922, partigiano combattente e commissario politico della 106^ Brigata Garibaldi, che – senza ombra di retorica, né di “appartenenza” – ha spiegato il percorso coerente che portò Ada ad aderire alle formazioni di “Giustizia e Libertà” e la sua capacità di fare causa comune coi “comunisti” sulle nostre montagne.Le nostre montagne luogo di confine come le acque che circondano Lampedusa cantate da Giacomo Sferlazzo a Venaus in una continuità ideale con la “filiazione” sul tema migranti che il Valsusa Film Fest – alla sua diciottesima edizione – ha voluto con l’isola più distante dal nostro profondo nordovest, promuovendovi qualche anno fa una rassegna che ormai cammina sulle sue gambe. Un “favore” che i lampedusani hanno voluto quest’anno “restituire” offrendoci il loro apprezzato concerto; e non in una serata qualsiasi, ma al termine della ormai tradizionale fiaccolata in memoria della Resistenza dei sindaci e dei cittadini di valle che Piera Favro, sindaco di Mompantero, Nilo Durbiano, primo cittadino di Venaus e Sandro Plano, presidente di una Comunità Montana sciolta dall’uomo dalle mutande verdi, ma più unita che mai, hanno chiuso con un saluto a quattro ragazzi che – in attesa che le gravissime accuse a loro carico vengano provate – stanno scontando mesi di carcere duro e preventivo.Le nostre montagne avvolte da nuvole cariche di pioggia anche nel pomeriggio della ricorrenza, quando le mura che delimitano il cortile in cui Serra ci vorrebbe reclusi sono del tutto svanite per accogliere due alberelli spediti sin qui – il primo a Susa e il secondo a Venaus – rispettivamente da Hiroshima e Nagasaki. Due “esseri viventi” sopravvissuti all’olocausto nucleare “alleato” che Elso, uno dei partigiani che il brillante editorialista (del giornale fondato dell’ex guf Scalfari) descrive – forse perché non li frequenta – come sempre più vecchi, sempre più fragili e sempre meno numerosi, ricorda non essere ancora stato “giustificato” neppure su un piano strettamente militare. E lo fa di fronte agli scolari di Venaus che si sono fatti carico di accudire la pianticella di kaki: il “dono”, come spiega con etimologia virtuosa il loro maestro Paolo Bertini, venuto da tanto lontano e non solo per regalarci i suoi frutti dorati – quando sarà divenuto un albero robusto a dispetto della morte totale da cui fu circondato il suo “progenitore”.Un albero che Tiziana Volta, pacifista bresciana, ha ormai diffuso in tanti luoghi-simbolo del nostro paese e il cui percorso verso la Valle di Susa, come ha ricordato, è iniziato timidamente e in punta di piedi oltre due anni fa. Una pianta cui farà compagnia una scultura di Daniela Baldo. Un “fiore dell’acqua” realizzato non per caso in legno – un antico trave proveniente dal tetto di una vecchia casa – che è stato scolpito e decorato con la collaborazione degli stessi scolari. Un venticinque aprile che si è chiuso idealmente il giorno dopo a Villar Focchiardo con la consegna, alle madri-coraggio della Terra dei Fuochi, del premio intitolato al partigiano Bruno Carli, primo orgoglioso presidente del Valsusa Film Fest, voluto proprio per collegare memoria storica e difesa della terra. Con buona pace del Serra “distante” che – dolcemente cullato dal dondolio della sua amaca – pare non essersi accorto di chi della Resistenza ha fatto e fa continuamente un uso ben più spregiudicato di quello che lui addebita ai “movimenti: quello di chi, per esempio, dopo averci costruito una carriera politica “ricca” e longeva è arrivato, quest’anno, quasi a paragonarne gli eroi rimasti uccisi e a cui dobbiamo la libertà, a due uccisori che – arruolati in difesa di una nave mercantile – hanno scambiato pescatori per pirati al largo delle coste di un oceano ben lontano dal “mare nostrum”.Forse per collocarsi nel solco inaugurato da un suo – sin qui – mancato delfino (il più fedele dei suoi “saggi”) che fu capace di inventarsi, disinteressatamente in pieno ventennio berlusconiano, una pari dignità tra i morti partigiani e quelli repubblichini. Né pare essersi indignato, il graffiante opinionista, per “l’uscita” del prefetto di Pordenone che ha ritenuto, prima di una retromarcia quasi più indecorosa del suo stesso editto, cagionevole per l’ordine pubblico e la sicurezza che si intonasse “Bella ciao” durante la manifestazione in ricordo della Resistenza! Perché la resistenza, caro Serra, è stata e resta sanamente divisiva. L’unità è una necessità, ma non è detto che sia una virtù. Perlomeno fin tanto che chi stette dalla parte sbagliata non ha l’onestà e la dignità di ammetterlo. Ma forse i grandi giornali non sono il luogo migliore per farsene una ragione. Perché sono luoghi molto più angusti del più piccolo dei cortili.(Claudio Giorno, “(25) aprile, dolce dormire”, dal blog di Giorno del 26 aprile 2014).Eternamente sdraiato sulla sua amaca, Micheleserra dedica (anche) al movimento No Tav un passo della sua personale invettiva contro la consueta celebrazione “partigiana” (di parte) della festa della Liberazione. Sul giornale di famiglia (Debenedetti) di oggi 26 aprile – sabato italiano – cita con fastidio «i vivaci movimenti che valutano di essere “i veri partigiani”, a volte rubando la scena ai reduci sempre più vecchi, sempre più fragili e sempre meno numerosi di quella guerra giusta e vittoriosa». La sua prosa prosegue con la più evergreen delle citazioni giornalistiche: la collocazione “in cortile” di tutti i temi “estranei” che sono stati portati nelle manifestazioni di Torino (No Tav), Palermo (No Muos) e Milano (No Canal). Un evidente, implicito indulgere nella celebrazione retorica cara al suo partito di riferimento, che cambia continuamente nome ma conserva pervicacemente il vizio di ritenersi unico autentico depositario della Verità su Democrazia, Costituzione e Resistenza.
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Terza Guerra Mondiale: ci stanno abituando all’idea
Barack Obama e gli strateghi alla Dottor Stranamore: il genio profetico del film di Stanley Kubrick, che negli anni ‘60 «ha rappresentato con precisione la follia e i pericoli della guerra fredda» mettendo in scena «personaggi basati su persone reali e maniaci veri», oggi illumina la drammatica attualità mondiale, con gli Usa che minacciano le frontiere russe tradendo la solenne promessa fatta nel 1990 a Gorbaciov – la Nato non avanzerà di un pollice verso est – e si preparano ad assediare la Cina. In un arco che si estende dall’Australia al Giappone, Pechino dovrà affrontare i missili e bombardieri nucleari Usa. Una base navale strategica è in costruzione sull’isola coreana di Jeju a meno di 400 chilometri dalla metropoli cinese di Shanghai, il cuore industriale dell’unico paese il cui potere economico sta per superare quello degli Stati Uniti. Il “Pivot” di Obama, sostiene John Pilger, è stato progettato per minare l’influenza della Cina nella regione: «È come se fosse cominciata un’altra guerra mondiale, ma con altri mezzi».L’obiettivo dell’ultima missione asiatica di Obama, scrive Pilger in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, è quello di convincere i suoi “alleati” nella regione, principalmente il Giappone, a riarmarsi e a prepararsi per una eventuale possibilità di guerra con la Cina. «Entro il 2020, quasi i due terzi di tutte le forze navali statunitensi in tutto il mondo saranno trasferite nella zona Asia-Pacifico. Dopo la seconda guerra mondiale, questa è la più grande concentrazione militare in quella vasta regione». Non è una fantasia da Stranamore: il segretario alla difesa di Obama, Charles “Chuck” Hagel, è stato a Pechino per consegnare un avvertimento minaccioso: la Cina, come la Russia, potrebbero trovarsi isolate e in pericolo di guerra se non si piegheranno alle richieste degli Stati Uniti. Hagel paragona l’annessione russa della Crimea con la ben più complessa disputa territoriale che ha in atto la Cina con il Giappone sulle isolette disabitate nel Mar Cinese Orientale, da tempo contese.La situazione è sempre più pericolosa, avverte Pilger, considerata la capacità di menzogna della Casa Bianca e dei media mainstream: se negli anni ‘60 finsero di sopravvalutare la potenza missilistica dell’Urss per creare il “terrore rosso”, oggi lo stesso scenario si ripete nei confronti di Russia e Cina. E’ un copione, quello della “false flag”, che è stato adottato in modo sistematico negli ultimi 13 anni: il ruolo-fantasma di Bin Laden nell’11 Settembre, le inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam, le stragi di Gheddafi e quelle di Assad. Lo scorso febbraio, continua Pilger, gli Usa hanno messo a punto uno dei loro favolosi “colpi per procura” contro il governo dell’Ucraina, regolarmente eletto. «Le truppe d’assalto, però, stavolta erano fasciste. Per la prima volta dal 1945 un partito nazista, apertamente antisemita, ha preso il controllo delle aree-chiave del potere statale in una capitale europea. E non c’è stato un solo leader dell’Europa occidentale che abbia condannato questa rinascita del fascismo sui confini della Russia».Morirono trenta milioni di russi, ricorda Pilger, quando i nazisti di Hitler invasero il loro paese, appoggiati dall’esercito collaborazionuista ucraino, l’Upa, che si rese responsabile di tanti massacri di ebrei e polacchi. L’Upa era il braccio armato che ispira oggi il partito Svoboda, insediato al potere a Kiev dai miliziani addestrati dalla Nato. «Dal putsch di Washington a Kiev – e la risposta inevitabile di Mosca nella Crimea russa, per proteggere la sua Flotta del Mar Nero – la provocazione e l’isolamento della Russia hanno sostituito nelle notizie la “minaccia russa” del 1964. Un piano d’azione per l’adesione alla Nato, «orchestrato direttamente dalla stanza della guerra di Stranamore», è il regalo americano «alla nuova dittatura in Ucraina». Un “Attacco a Tridente” porterà le truppe Usa sul confine russo dell’Ucraina e una “Brezza di Mare” metterà navi da guerra americane in vista dei porti russi. «Allo stesso tempo, i giochi di guerra della Nato in tutta l’Europa orientale serviranno a intimidire la Russia: non è difficile immaginare quale sarebbe stata la reazione se questa follia fosse avvenuta a ruoli invertiti». Ed è solo l’inizio. La minaccia si sta già estendendo alla Cina. La miccia è pronta: le isolette contese dal Giappone.Barack Obama e gli strateghi alla Dottor Stranamore: il genio profetico del film di Stanley Kubrick, che negli anni ‘60 «ha rappresentato con precisione la follia e i pericoli della guerra fredda» mettendo in scena «personaggi basati su persone reali e maniaci veri», oggi illumina la drammatica attualità mondiale, con gli Usa che minacciano le frontiere russe tradendo la solenne promessa fatta nel 1990 a Gorbaciov – la Nato non avanzerà di un pollice verso est – e si preparano ad assediare la Cina. In un arco che si estende dall’Australia al Giappone, Pechino dovrà affrontare i missili e bombardieri nucleari Usa. Una base navale strategica è in costruzione sull’isola coreana di Jeju a meno di 400 chilometri dalla metropoli cinese di Shanghai, il cuore industriale dell’unico paese il cui potere economico sta per superare quello degli Stati Uniti. Il “Pivot” di Obama, sostiene John Pilger, è stato progettato per minare l’influenza della Cina nella regione: «È come se fosse cominciata un’altra guerra mondiale, ma con altri mezzi».
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Quegli 80 euro, il prezzo della paura che hanno di noi
L’importante, per decidere il nostro futuro, è che tutti sappiano come ci si è arrivati e perché, a questi 80 euro. Ci si è arrivati cioè come misura emergenziale a fronte di una situazione sociale che incuteva, ormai, vero terrore nelle classi dirigenti economiche, finanziarie e mediatiche di questo paese. Vale a dire che dopo trent’anni di lotta di classe dall’alto verso il basso e di aumento della forbice sociale, dopo cinque anni di austerità, precarizzazione e disoccupazione, ci si è accorti di avere un po’ esagerato. E che, esagerando, si rischia di far crollare tutto. Di far cadere a pezzi tutto il sistema. Alle urne o fuori dalle urne. In modi imprevedibili ma comunque paurosi.E allora, da sempre, si fa così: dare qualcosa – non molto, ma qualcosa – per vedere cosa succede. Se basta a calmare le acque. Se fra un anno questa donazione si può togliere o ridurre. O se, al contrario, le tensioni saranno tali da doverla aumentare o estendere ad altri. È così, da sempre. E «il potere vestito d’umana sembianza che volge lo sguardo a spiar le intenzioni degli umili, degli straccioni». Quindi, di nuovo, fanno schifo questi 80 euro, fa ridere il fatto che il governo abbia rinunciato (ad esempio) a un solo F35 per finanziare questa dazione? No, non fanno schifo – e non fa ridere la rinuncia a un solo aereo, perché un F35 in meno è meglio di un F35 in più.Basta sapere che accontentarsene e appagarsene – anziché esigerne altri 800, altri 8.000 da parte di chi ha meno – cambierà di nuovo la tendenza, farà ripartire la lotta di classe dall’alto verso il basso, riallargherà la mostruosa forbice sociale che si è creata da tempo: e lo farà molto oltre questi 80, benedetti, euro che dal mese prossimo arriveranno in tasca a una fetta di italiani.(Alessandro Giglioli, “A spiar le intenzioni”, 20 aprile 2014, dal blog “Piovono Rane” che Gilioli cura su “L’Espresso”).L’importante, per decidere il nostro futuro, è che tutti sappiano come ci si è arrivati e perché, a questi 80 euro. Ci si è arrivati cioè come misura emergenziale a fronte di una situazione sociale che incuteva, ormai, vero terrore nelle classi dirigenti economiche, finanziarie e mediatiche di questo paese. Vale a dire che dopo trent’anni di lotta di classe dall’alto verso il basso e di aumento della forbice sociale, dopo cinque anni di austerità, precarizzazione e disoccupazione, ci si è accorti di avere un po’ esagerato. E che, esagerando, si rischia di far crollare tutto. Di far cadere a pezzi tutto il sistema. Alle urne o fuori dalle urne. In modi imprevedibili ma comunque paurosi.
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Stragi e segreti, Renzi e lo strano amico americano
Mentre il premier Matteo Renzi lancia l’ennesimo annuncio spot (via il segreto di Stato dai dossier sulle stragi), Paolo Guzzanti precisa: in Italia non c’è nessun “segreto di Stato”, ma solo i faldoni dei servizi già visionati dagli inquirenti e rimasti protetti dal vincolo di segretezza («per desecretare quelli ci vorranno almeno tre anni – dice Guzzanti – perché occorreranno apposite leggi»). Nessun “segreto”, in ogni caso, da portare per la prima volta alla luce. In compenso, “Il Giornale” mette a fuoco lo strano “amico americano” di Renzi, Michael Ledeen, definito «un nome sorprendente e inquietante, certamente non “nuovo”», che Massimo Malpica inserisce nel “cerchio magico” del neo-premier, in qualità di consulente per la politica estera. Oggi esponente dell’influente think-tank neocon “American Enterprise Institute”, già collaboratore delle amministrazioni Reagan e Bush, il 72enne Ledeen sarebbe legato a filo doppio all’Italia dei misteri: dal sequestro Moro al rapimento del generale Dozier, dalla strage di Bologna alla crisi di Sigonella, dall’attentato al Papa al “Nigergate”.Nel lontano 1975, «mentre Renzi nasceva», in Italia Ledeen «ha esordito come intellettuale», in veste di autore delle domande della celebre “Intervista sul fascismo” di Renzo De Felice. Da lì in poi, scrive Malpica, il nome di Ledeen «è finito, di riffa o di raffa, in mezzo a gran parte dei misteri e dei gialli del Bel Paese». L’interessato «talvolta si è chiamato fuori, negando ruoli riferiti da altri, spesso a colpi di querele. Soprattutto, è sempre rimasto in piedi. Tanto in piedi che ora il suo nome viene accostato al nuovo premier italiano». Il tramite, scrive il “Giornale”, sarebbe lo stratega economico della carriera politica di Renzi, Marco Carrai, ma i rapporti risalirebbero al 2007, quando il super-falco della destra Usa dedicò un articolo allo chardonnay siciliano, raccontando di aver scoperto quel vino un paio d’anni prima, a pranzo «col mio amico Matteo Renzi».Un renziano della prima ora, Ledeen, i cui rapporti con politici e intelligence nostrani sono ben più datati. Nel 1984 l’allora capo del Sismi Fulvio Martini raccontò ai membri del Copaco di aver detto all’ambasciatore americano a Roma, Maxwell Raab, che Ledeen «non deve più tornare in Italia», dandogli di fatto dell’«indesiderabile». Ledeen annunciò querele contro lo 007. Martini confermerà tutto 15 anni dopo, di fronte alla commissione Stragi: «Avevo chiesto all’ambasciata americana di non far entrare Mike Ledeen in Italia: era un tizio che lavorava ai margini della Cia». E perché Ledeen non era gradito? Ancora Martini: «Intanto quando Ledeen veniva in Italia andava direttamente dal presidente della Repubblica, che aveva conosciuto quando era ministro dell’interno. E la cosa non mi piaceva. Secondo, perché Ledeen aveva avuto da uno dei miei predecessori 100mila dollari per fare conferenze sul terrorismo, che erano assolutamente rubati. E poi lavorava a margine della Cia, e la cosa non mi piaceva».Il presidente “amico” era Francesco Cossiga, che per la verità al Colle sarebbe arrivato solo nel 1985, un anno dopo lo “sgradimento” di Ledeen espresso da Martini. Ma durante il sequestro Moro, secondo il consulente di Cossiga nei giorni del rapimento, Stefano Silvestri, Ledeen, definito «un pataccaro d’alto bordo», propose «a Cossiga e ai servizi» di «effettuare simulazioni, usando materiali preparati dall’esperto di terrorismo Walter Laqueur». «Detti parere negativo – spiega Silvestri – ma seppi in seguito che era riuscito a piazzare qualcuno dei suoi giochi». Forse, aggiunge il “Giornale”, si trattava dei corsi antiterrorismo organizzati per la nostra intelligence tra ‘80 e ‘81, per i quali Ledeen sostiene di non essere mai stato pagato. «Secondo il faccendiere Francesco Pazienza – continua Malpica – Ledeen più che un consulente era organico al Sismi guidato da Giuseppe Santovito, e il suo nome in codice sarebbe stato “Z3”, un dettaglio che l’interessato nega».Di certo il neocon che ora sussurra consigli a Matteo (al “Sole 24 Ore”, Ledeen ha spiegato che a Renzi parla «delle cose che forse mi illudo di conoscere, Medio Oriente, Russia, chi sale e chi scende nella politica Usa»), negli anni ‘80 era in buoni rapporti anche con Craxi. La notte della crisi di Sigonella, ricorda il “Giornale”, fu proprio lui a fare da interprete («manipolando qualche risposta, confesserà lui stesso nel 1994») al telefono tra Reagan alla Casa Bianca e il premier socialista all’Hotel Raphael, mentre i terroristi della Achille Lauro erano contesi tra Delta Force e carabinieri. Amicizia, quella con Bettino, che non impedirà a Ledeen di invitare negli Usa, nel 1995, proprio Antonio Di Pietro, per tenere un discorso all’“American Enterprise Institute”: «Venne a cena da me», confermò Ledeen al “Corriere della Sera” nel 2010.A metà anni 2000, Mike Ledeen è di nuovo nella bufera per il Nigergate: secondo i giornalisti Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, della “Repubblica”, l’intelligence militare italiana avrebbe consegnato alla Cia falsi documenti per “dimostrare” l’importazione di uranio dal Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein. Documenti che sarebbero stati utilizzati dal presidente George W. Bush come prova dei tentativi del dittatore iracheno di procurarsi armamenti nucleari, causa scatenante la seconda Guerra del Golfo. Michael Ledeen ha negato di avere avuto un ruolo nell’operazione. A sua volta, l’allora presidente del Copaco, Enzo Bianco, negò l’esistenza di rapporti dei servizi italiani con il politologo americano, anche se a proposito dei suoi rapporti con politici italiani aggiunse: «Se fossi ministro, non lo inviterei a pranzo». Conclude Malpica: «Renzi, già da presidente della Provincia di Firenze, non ha seguito il consiglio».Mentre il premier Matteo Renzi lancia l’ennesimo annuncio spot (via il segreto di Stato dai dossier sulle stragi), Paolo Guzzanti precisa: in Italia non c’è nessun “segreto di Stato”, ma solo i faldoni dei servizi già visionati dagli inquirenti e rimasti protetti dal vincolo di segretezza («per desecretare quelli ci vorranno almeno tre anni – dice Guzzanti – perché occorreranno apposite leggi»). Nessun “segreto”, in ogni caso, da portare per la prima volta alla luce. In compenso, “Il Giornale” mette a fuoco lo strano “amico americano” di Renzi, Michael Ledeen, definito «un nome sorprendente e inquietante, certamente non “nuovo”», che Massimo Malpica inserisce nel “cerchio magico” del neo-premier, in qualità di consulente per la politica estera. Oggi esponente dell’influente think-tank neocon “American Enterprise Institute”, già collaboratore delle amministrazioni Reagan e Bush, il 72enne Ledeen sarebbe legato a filo doppio all’Italia dei misteri: dal sequestro Moro al rapimento del generale Dozier, dalla strage di Bologna alla crisi di Sigonella, dall’attentato al Papa al “Nigergate”.
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Frantumare il mondo: a chi serve la macchietta Renzi
Se avete visto il magnifico e sconvolgente “The wolf of Wall Street”, di quel bimbo di Andersen (“Il re è nudo”) che è Martin Scorsese, avrete compreso l’affinità antropologica tra quei cannibali e il loro sottoprodotto al mandolino, Renzi. Ma, per capire il modello che stanno mettendo in opera, conviene fare un breve elenco dei tratti fisiognomici di una classe di criminali che ha imperversato sulle Americhe e poi sul mondo dalla Mayflower in qua. Dal genocidio degli indio-americani a oggi, gli Usa hanno superato qualsiasi altro Stato della storia per numero di guerre e vittime; in media una guerra all’anno, sempre portate, mai ricevute. Dal 1945 al 2014 sono intervenuti militarmente in 90 paesi. Attualmente sono impegnati con forze speciali, Ong, quinte colonne, bombardieri e droni, colpi di Stato effettuati o tentati, sanzioni, destabilizzazioni e mercenariato surrogato, in 135 paesi.I serial-mass-killer insediati nella Casa Bianca dal 1991 hanno ammazzato 3 milioni in Iraq, 40 mila in Afghanistan, 4000 in Serbia, 100 mila in Libia, 130 mila in Siria, migliaia in Pakistan, Yemen, Somalia. Altri milioni li hanno fatti uccidere da proconsoli e ascari in Ruanda (dove si sono confrontati Francia e Usa per chi facesse scannare più hutu), Congo, Mali, Rac, Latinoamerica. E abbiamo saltato Vietnam, Corea, Centroamerica. Con il 4% della popolazione mondiale contano per il 75% dell’inquinamento globale, l’80% del traffico e consumo di stupefacenti e il 65% dell’acqua dolce del mondo è stata avvelenata dagli agro-tossici Usa. Ogni anno la polizia Usa uccide più di 5.000 persone disarmate. Con 2,5 milioni di detenuti, sono il paese con il più alto tasso di carcerazione del mondo. Lo 0,01 più ricco possiede il 23% della ricchezza nazionale, il 90% più povero il 4%. La loro teoria economica chiamata “crisi” ha procurato al 3% un più 75% di ricchezza, alle multinazionali più 171%.Una macchina da devastazione, saccheggio, terrorismo e morte che, nel nostro paese, ha espettorato una serie di zombie addestrati a tirarsi uova marce di giorno e banchettare insieme di notte, come dal ‘700, sotto varie denominazioni, partito repubblicano e partito democratico nordamericani insegnano. E, come in ogni teatro di marionette che si rispetti, i pupi si scambiano i ruoli, a seconda delle temperie e delle urgenze di “cambiamento” e “innovazionie”, da Bertinotti a Renzi, da Occhetto a Letta, da Berlusconi ai fascisti dichiarati. Di questo avvicendarsi di parti in commedia oggi vediamo l’espressione più chiara, del tutto de-mimetizzata: il blob che si definisce centrosinistra, socialdemocrazia, rappresentante di classe operaia e ceti popolari, mette in campo un manipolo di trucidi e sciacquette che soffiano al finto avversario il modello Chiesa-Wall Street-Pentagono-mafia; gli altri, mutati da grassatori, puttanieri, ladri, in “moderati”, saltano il fosso e si pretendono a fianco di operai, ceti medi scarnificati, euroschifati e perfino Putin.Di tutto questo l’incarnazione più lineare è il capobastone del Colle, transitato dagli inni ai carri sovietici di Budapest a quelli agli F-35 Usa. E’ vero che il sangue nelle vene di costoro, se non intorbidito, si deve essere un bel po’ diluito, se riusciamo a resistere in poltrona davanti a certi vaudeville, oltre a tutto sempre più Grand Guignol. Con, per opposizione, solo una ruspa truccata da tanko di chi si vorrebbe fare lo stesso spettacolo tutto da solo. Lo stupefacente e agghiacciante fatto che un saltimbanco, incolto e abissalmente ignorante, spargitore di fuffa tossica, manifestamente imbroglione e bugiardo al solo sguardo volpino da pusher, al solo arricciarsi della boccuccia a culo di gallina, possa aver affascinato, interessato, anche solo incuriosito, questi vasti pezzi di società italiana (fuori se la ridono), è la dimostrazione di cosa ci hanno fatto vent’anni di vaudeville berlusconiana, con la stuoina “centrosinistra” a fargli strofinare le scarpe.Il volgare e mediocre Stenterello schiamazzone, accademico ineguagliato di populismo, restauratore mascherato da rottamatore, confezionato con un tweet di Bilderberg e carburato da euro-merda e cianuro, ha fatto meglio in pochi mesi di Andreotti in quarant’anni. Si permette di definirsi rullo compressore e, pur essendo di cartone, l’ignavia di massa gli consente di fare il lavoro dello schiacciasassi che tutto asfalta e sotto cui niente vive. Assimilata la pseudo-opposizione parlamentare sindacale e mediatica, quella residua delle istituzioni e dell’intelletto è considerata stravaganza di comici e, insistendo in piazza, eversione e terrorismo (vedi No Tav o No Muos). Nessun Mussolini, nessun Hitler e nemmeno i falsari elettorali delle democrazie borghesi avrebbero avuto la protervia di presentarci una legge elettorale così spudoratamente da roulette truccata con la calamita sotto. Una legge che vieta agli elettori di scegliere i loro rappresentanti, che, escludendo da ogni voce in capitolo milionate di cittadini, dà, alla tibetana, potere di vita e di morte sui sudditi a chi arriva al 20% del 50% di italiani che votano.Neanche la Gorgone Fornero, del rettilario bancario, avrebbe osato sognare la socialdemocratica riduzione in panico e schiavitù delle generazioni presenti e a venire, grazie ai 36 mesi a tempo determinato, a zompi intervallati di 4 mesi, dopodiché fuori dalle palle e sotto un altro. Infine, per elevare l’indispensabile tasso di criminalità, il bellimbusto pitocco fa passare una legge sulla custodia cautelare che esime dal gabbio quelli che, forse, si beccherebbero fino a 4 anni, cioè in prima fila i compari elettori e finanziatori dai colletti bianchi. Dopo l’avvenuta evirazione dei Comuni, abolizione delle provincie per collocare negli enti sostitutivi altri 30 mila clienti, come dimostrato dai Cinque Stelle, ma soprattutto per togliere di mezzo gli organismi intermedi di rappresentanza, potenzialmente più vicini al territorio e più distanti dalle cosche apicali. Obliterazione, grazie allo tsunami propagandistico dei “costi della politica”, di quell’istanza d’appello e di controllo che è il Senato. La sua scomparsa, per risparmiare, dicono, 300 milioni (fatti passare per 1 miliardo) ci costerà quanto costò alle libertà romane, nel passaggio dalla Repubblica al Principato, il Senato trasformato in innocua camera di compensazione di latifondisti e usurai. Riduzione delle pene per il voto di scambio, per chi si fa comprare – e obbligare – dai voti procurati dall’altra criminalità, a conferma dell’unità di gestione aziendale di Stato e mafia.Mascherine da festa cotillon che si agitano ai piani bassi dei palazzi dove, in alto, si scatenano i lupi mannari di Wall Street. Rispetto a quella realizzata nel ‘22, la loro dittatura in fieri parrebbe l’avanspettacolo di Bonolis a fronte di una tragedia di Euripide. Ma le cose stanno molto peggio. Rispetto ai triumviri e federali di Mussolini, ai gauleiter e feldmarescialli di Hitler, fenomeno assediato dal resto del mondo, questi sono i tentacoli di una piovra gigante che abbranca mezzo emisfero, tre quarti di tutte le bombe atomiche, mezzo patrimonio produttivo e finanziario, le tecnologie di controllo e soppressione più avanzate e la complicità del più potente istituto per la manipolazione religiosa di coscienze di tutti i tempi. A proposito di quest’ultimo, capeggiato oggi dal quasi-santo Francesco, a strappare i veli dall’umile buonismo esibito da costui basta la pronuncia della gerarchia cattolica del Venezuela, capeggiata dal nunzio nominato dal papa, Parolin, avverso al “despota” Maduro, e a sostegno delle bande di terroristi scatenati dalla Cia contro la nazione bolivariana. Oscenità imperialista che si affianca alla nomina a consigliere del papa di Oscar Maradiaga, primate dell’Honduras e complice di quei golpisti che proseguono nella strage di oppositori, contadini e indigeni. Fin dal suo primo “buonasera”, si sarebbe dovuto capire che il Bergoglio silente tra i generali argentini sarebbe stato l’anti-Chavez dell’America Latina.Del rilievo dato al burattino italiota dalla strategia del Nuovo Ordine Mondiale sono stati testimoni gli augusti visitatori che si sono precipitati a Roma a completare l’agenda che a Renzi era stata commissionata nei giri per Londra, Berlino, Bruxelles e Parigi. Per Obama, d’intesa con il proconsole sul Colle, è stata la consueta intimazione-consacrazione del vassallo di turno. Per la regina Elisabetta è stato il rinnovo del patto tra classe dirigente italiana e la secolare loggia Rothschild-Windsor, sancito nel 1992 in forma definitiva sul suo yacht “Britannia”, quando emissari come Soros, Draghi, Andreatta e bancari vari, concordarono con Ciampi e poi Amato e Prodi la privatizzazione dell’Italia e la sua riduzione a piattaforma mediterranea di guerre d’aggressione e a hub del traffico di energia e stupefacenti, terra di rapina per multinazionali perfezionata nel Ttip, “Partneriato Transatlantico per Commercio e Investimenti”.Prima mossa domestica, capitoletto dell’ordine di servizio imperiale eseguito in Ucraina, Venezuela, Iran, Siria, non i soli F-35, ma la messa fuori gioco di Paolo Scaroni, ad dell’Eni. Non si tratta di compiangere un lestofante, con stipendio milionario, che s’è aperto la strada verso giacimenti e rotte petroliferi in tutto il mondo a forza di creste e tangenti. Così fan tutte ed è la condizione in questo mondo di merda per assicurare al tuo paese rifornimenti energetici. Specie se di fornitori incorrotti ne hai solo uno, il Venezuela e quell’altro onesto, la Libia, l’hai regalato ai terroristi Al Qaida. E per farcene prevedere la detronizzazione basterebbe la corifea delle banche (“basta col contante, tutto per via bancaria”), Milena Gabanelli, con la sua ossessiva denuncia delle malefatte del capo dell’Eni, in “profonda sintonia” con l’avversione al tipo da parte di governanti e petrolieri angloamericani, per le libertà che si prendeva nel saltare, insieme a russi, iraniani, africani e centroasiatici, i tubi del petrolio e del gas sotto controllo Usa. Per molto meno Enrico Mattei e Giorgio Mazzanti furono fatti fuori, uno per attentato, l’altro per scandalo.Sette sorelle, vecchie, ma sempre arrapate. In un sistema in cui i petrolieri texani devono tenere in mano il rubinetto dell’energia e neutralizzare, come predica Brzezinski, demonio all’orecchio di Obama, Bush, Clinton, Reagan e Nixon, la fisiologica tentazione europea verso l’orizzonte euroasiatico, uno come Scaroni risulta incompatibile. Ci vogliono, come per la Jugoslavia, quinte colonne imperiali che contribuiscano alla debolezza e subalternità del proprio continente e dei suoi singoli Stati. Renzi è perfetto. Il frenetico tour di Obama tra i valvassori europei e partner del Golfo va visto in sinergia con le mattanze in atto in Afghanistan, avamposto asiatico anti-russo, il caos creativo del terrorismo nel Pakistan nucleare, le stragi da droni in Somalia e Yemen, capisaldi geostrategici non normalizzati, lo sminuzzamento della Siria antisraeliana, come prima della Libia, le spedizioni degli ascari francesi nel Sahel dell’uranio e del petrolio, lo spolpamento dell’Ucraina dagli enormi terreni da assegnare alle multinazionali del cibo e dell’agrocombustibile e dei missili da piazzare sui piedi di Putin, lo scatenamento del naziterrorismo contro il Venezuela bolivariano.E’ in gioco una dittatura mondiale, fatta gestire agli Usa con stampelle anglosassoni che, attraverso il controllo del rubinetto dell’energia, regoli i rapporti di forza globali. Il Pakistan e l’Iran non devono realizzare l’oleodotto che li unirebbe. Iran, Iraq e Siria non si sognino di approvvigionare, con una nuova pipeline, l’Europa. Russia ed Europa non devono collegarsi tramite i due tubi “North Stream” e “South Stream”. Il Venezuela la deve smettere di assicurare a basso prezzo e con notevoli ricadute politiche e sociali i paesi poveri dell’area e, magari, domani l’Europa. I recentemente scoperti enormi giacimenti di gas nel bacino est del Mediterraneo devono essere sottratti a titolari come Siria, Libano, Gaza, Egitto (apposta paralizzati da costanti fibrillazioni indotte) e Cipro e messi tutti sotto controllo israeliano. Ovunque, in questi fastidi recati a “Big Oil”, c’è stata anche lo zampino dell’Eni di Scaroni (“Senza il gas russo siamo nei guai”). Tutti i percorsi indicati lacerano per il lungo e per il largo la rete sotto controllo anglo-franco-statunitense, solleticano l’insubordinazione dell’America Latina, legano Europa ai detestati Russia e Iran, garantiscono i rifornimenti alla secca Cina.Fratturare il mondo? Lo strumento si chiama scisti. Il metodo per estrarli dal sottosuolo, “fracking”, fratturazione idraulica. L’esito, la destabilizzazione del pianeta dalle profondità alla superficie, l’inquinamento delle falde e dei terreni attraverso l’immissione forzata di enormi quantità d’acqua mista a sostanze chimiche tossiche che spaccano la roccia e liberano le riserve fossili. E, come sperano, la graduale riduzione dei flussi dagli Stati indipendenti, sostituiti dal gas liquefatto che dai destinatari deve poi essere rigassificato. Costi di gran lunga superiori all’estrazione dai giacimenti e perfino alle energie rinnovabili (quelle che i petrolieri raccomandano a Sgarbi di demonizzare) e, perciò, uso della potenza militare, di cecchini nazisti, tagliagole jihadisti e vicerè obbedienti, per imporne l’inconveniente adozione.Il commercio tra Europa e Russia è 10 volte quello tra Europa e Usa. L’Europa orientale trae un terzo della sua energia dalla Russia e una bella fetta dall’Iran. L’Italia quasi metà, con il resto che arriva dall’Algeria, anche per questo in costante guerra di bassa intensità con le armate di complemento jihadiste, non più dalla Libia, e da fonti minori. Berlino ha 6.000 aziende operanti in Russia. Unica a far valere questa situazione è la Germania, che tenta una resistenza sia alle sanzioni a Mosca, sia alla deriva nazista dell’Ucraina favorita dagli Usa (il suo candidato al governo di Kiev era il “moderato” Klitschko, “fottuto”, nelle sue stesse parole, dalla sottosegretaria Usa, Nuland, con il candidato amerikano Jatseniuk). Renzianamente, Obama (vengono tutti dalla stessa caverna) ha promesso a noi e agli altri bischeri europei tanto gas dai suoi scisti da farci rinunciare a quello finora preso dalla Russia. E’ vero che le riserve nordamericane sembrano vaste e sono già fratturate da migliaia di trivelle (con altrettante rivolte della popolazione locale).Ma, se l’Europa ha un po’ di rigassificatori per il gas liquefatto negli Usa, questo paese non dispone neanche di un solo liquefattore. Nella migliore delle ipotesi il gas da scisti arriverà in Europa fra quattro anni, convogliato dal primo liquefattore costruito, capace di spedirci la miseria di 4 miliardi di Bcf di gas al giorno. Basta appena per il Belgio. E ricordiamo: il fracking per scisti incastrati tra rocce da far esplodere, e che dovrà col Ttip essere imposto a un’Europa che già si è dichiarata disponibile e ha iniziato a spaccare il sottosuolo (anche in Italia), sarà costosissimo e quindi provocherà ribellioni tra i consumatori. Sconvolge la pancia della Terra con l’immissione forzata di gigantesche quantità d’acqua – in prospettiva della guerra dell’acqua che si sta per scatenare in tutto il pianeta – e conseguente rottura verticale e orizzontale di ciò che stabilizza i nostri piedi e le nostre case. Scarseggerà l’acqua per bere, per irrigare, per tutto, e conflitti e mega-migrazioni sconvolgeranno quel che resta della stabilità globale.(Fulvio Grimaldi, estratti dall’intervento “Il fracking di Renzi e quello di Obama”, dal blog di Grimaldi dell’8 aprile 2014).Se avete visto il magnifico e sconvolgente “The wolf of Wall Street”, di quel bimbo di Andersen (“Il re è nudo”) che è Martin Scorsese, avrete compreso l’affinità antropologica tra quei cannibali e il loro sottoprodotto al mandolino, Renzi. Ma, per capire il modello che stanno mettendo in opera, conviene fare un breve elenco dei tratti fisiognomici di una classe di criminali che ha imperversato sulle Americhe e poi sul mondo dalla Mayflower in qua. Dal genocidio degli indio-americani a oggi, gli Usa hanno superato qualsiasi altro Stato della storia per numero di guerre e vittime; in media una guerra all’anno, sempre portate, mai ricevute. Dal 1945 al 2014 sono intervenuti militarmente in 90 paesi. Attualmente sono impegnati con forze speciali, Ong, quinte colonne, bombardieri e droni, colpi di Stato effettuati o tentati, sanzioni, destabilizzazioni e mercenariato surrogato, in 135 paesi.
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Obama mente: ridetegli in faccia, o vi porterà in guerra
«Ma Obama si rende conto che sta conducendo gli Usa ed i loro Stati-fantoccio verso la guerra con la Russia e la Cina?». Paul Craig Roberts, già sottosegretario al Tesoro con Ronald Reagan, lancia l’allarme: l’inquilino della Casa Bianca sembra manipolato dai neo-conservatori del suo governo. «La Prima e la Seconda Guerra Mondiale sono state il prodotto di ambizioni e di errori di un piccolo numero di persone». Nella “Genesi della Guerra Mondiale”, Harry Elmer Barnes dimostra che la Grande Guerra è stata causata dalla miopia di un pugno di politici, come il presidente francese Raymond Poincaré e il ministro degli esteri russo Sergej Sazonov. «Poincaré chiedeva alla Germania l’ Alsazia-Lorena, e i russi volevano Istanbul e il Bosforo, che collega il Mar Nero al Mediterraneo. Si resero conto che le loro ambizioni richiedevano una guerra generale europea e lavorarono per produrre proprio quella guerra».Il kaiser tedesco Guglielmo II fu accusato di essere responsabile del conflitto, e invece «fece tutto il possibile per evitarlo», dice Craig Roberts. Il libro di Barnes fu pubblicato nel 1926, e l’autore fu accusato di esser stato pagato dai tedeschi per “assolvere” la Germania. Ma, 86 anni dopo, lo storico Christopher Clark nel suo libro “I sonnambuli”, arriva alla stessa conclusione di Barnes. «Mi è stato insegnato che la colpa della guerra fu della Germania, che sfidò la supremazia navale britannica costruendo un eccessivo numero di navi corazzate». Falso. «Gli storici di corte che ci hanno propinato questa storia – dice Roberts – furono gli stessi che gettarono le basi per la Seconda Guerra Mondiale». Oggi, continua l’analista americano, «siamo di nuovo su una strada che conduce ad una guerra mondiale».Cent’anni fa, le basi per dare il via alla guerra furono costruite «con l’inganno»: la Germania «doveva essere presa alla sprovvista», e gli inglesi «manipolati», come l’opinione pubblica degli altri paesi coinvolti, sottoposta «a un lavaggio del cervello e a una propaganda aggressiva». Oggi, dice Roberts, è più che evidente chi sta lavorando per la guerra: «Le bugie dette sono palesi e tutto l’Occidente sta partecipando, con i suoi governi e i suoi media». Come il primo ministro canadese Stephen Harper, che Roberts definisce «il burattino americano», che avrebbe «mentito spudoratamente a una televisione canadese quando ha affermato che il presidente russo Putin ha invaso la Crimea, minacciato l’Ucraina e dato il via ad una nuova guerra fredda». L’altra metà del problema? Il conduttore del programma televisivo: «Era lì seduto e annuiva con la testa, in accordo con queste chiare menzogne».«Il copione che Washington ha fornito al suo fantoccio canadese – scrive Craig Roberts in un post tradotto da “Come Don Chisciotte” – è lo stesso che è stato dato a tutti i burattini di Washington». Ovunque, in Occidente, il messaggio è lo stesso: Putin ha invaso e annesso la Crimea, Putin è determinato a ricostruire l’impero sovietico, Putin dev’essere fermato. Craig Roberts riferisce di aver sentito molti canadesi «piuttosto indignati nel vedere che il loro governo rappresenti Washington e non il Canada». E nonostante Harper «sia quello che è», “Fox News” e Obama «sono molto, molto peggio». La Fox? E’ «l’organo di propaganda di Murdoch», secondo cui Putin avrebbe di fatto «ripristinato la pratica sovietica dell’esercizio della forza bruta». Un “esperto” invitato in studio non ha dubbi: Putin, ovviamente, «incarna una specie di “giovane Hitler”». Secondo Craig Roberts, «la totale ignoranza storica dell’Occidente dà credito ad Obama, o ai suoi “gestori” o “programmatori”», che possono manipolare notizie e opinione pubblica.Obama, poi, è ben oltre la decenza: ha appena dichiarato che la distruzione dell’Iraq da parte di Washington – bilancio: un milione di morti, quattro milioni di profughi, infrastrutture devastate, esplosione della violenza settaria e totale rovina di un paese – non va considerata così grave come «l’accettazione da parte della Russia dell’autodeterminazione della Crimea». Surreale, continua Craig Robert, il discorso di Obama a Bruxelles lo scorso 26 marzo: la Russia, dice l’inquilino della Casa Bianca, «deve essere punita dall’Occidente per aver permesso alla Crimea di autodeterminarsi». E cioè: «Il ritorno per propria volontà di una provincia russa alla sua madre patria dopo 200 anni viene considerato come un’azione dittatoriale, tirannica e antidemocratica». Parola di Obama, l’uomo che «ha appena rovesciato il governo democraticamente eletto dell’Ucraina sostituendolo con dei tirapiedi scelti da Washington», e ora parla di «sacro ideale delle genti di tutte le nazioni, libere di prendere le proprie decisioni sul loro futuro». Ridicolo: «Questo è esattamente ciò che ha fatto la Crimea, e che – al contrario – il golpe degli Stati Uniti a Kiev ha violato».E dov’è finito, tra l’altro, lo Stato di diritto negli Usa? «L’habeas corpus, il giusto processo, il diritto di istituire un processo e di determinare la colpa prima dell’arresto o dell’esecuzione e il diritto alla privacy, sono stati tutti calpestati dal regimi Bush e Obama. Gli Stati Uniti e il diritto internazionale sono contrari alla tortura: eppure Washington ha istituito in tutto il mondo prigioni che praticano la tortura. Come è possibile che il rappresentante del governo degli Stati Uniti, di fatto criminale di guerra, possa stare davanti ad un pubblico europeo e parlare di “stato di diritto”, “diritti individuali”, “dignità umana”, “autodeterminazione” e “libertà”, senza che il pubblico scoppi a ridere?». Quello di Washington, continua Craig Roberts, «è il governo che ha invaso e distrutto l’Afghanistan e l’Iraq basandosi su bugie», lo stesso governo «che ha finanziato e organizzato il rovesciamento dei governi libico e honduregno e che sta tentando di fare la stessa cosa in Siria e in Venezuela».E’ un governo, quello di Washington, che «attacca con droni e bombe popolazioni dei paesi sovrani del Pakistan e dello Yemen», e intanto riempie di truppe tutta l’Africa e «ha circondato la Russia, la Cina, l’Iran con basi militari». Seriamente: «E’ proprio questo gruppo di guerrafondai che ha l’ardire di continuare ad affermare che sta difendendo gli ideali internazionali contro la Russia?». Nessuno ha applaudito il discorso di Obama, «ma il fatto che l’Europa accetti tali menzogne senza protestare equivale a un benestare a Washington per scatenare una guerra». Obama chiede più truppe Nato di stanza in Europa orientale allo scopo di «contenere la Russia», cosa che «tranquillizzerebbe la Polonia e gli Stati baltici che, come membri della Nato, sarebbero protetti da un’eventuale aggressione della Russia». Ma, oltre a Obama, c’è qualcuno – sano di mente – che pensa davvero che la Russia stia per invadere la Polonia o il Baltico?Obama, poi, «non dice quale effetto avranno sulla Russia l’escalation militare Usa-Nato e gli altri giochi di guerra sul confine russo». Ovvero: «Sarà il governo russo a dedurre di essere sul procinto di venire attaccato e colpirà per primo? La sconsiderata disattenzione di Obama è proprio quello che di solito provoca le guerre». La situazione è davvero molto pericolosa, insiste Craig Roberts, perché l’Occidente sta davvero minacciando la Russia, trascinando l’Europa verso il disastro. «Chi potrebbe mai credere che Obama, il cui governo è responsabile ogni giorno della morte di persone in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Yemen, Libia e Siria, si curi davvero di un briciolo di democrazia in Ucraina?». Il presidente ha rovesciato il governo di Kiev per poter annettere l’Ucraina nella Nato, cacciare la Russia dalla base navale in Crimea e installare basi missilistiche sul confine russo. «Obama è arrabbiato che il suo piano non stia andando come previsto e sfoga questa sua rabbia e frustrazione contro la Russia», facendo crescere «l’ipocrisia e la presunzione» insieme alla pretesa di «punire la Russia e Putin e demonizzarli ulteriormente». C’è da aspettarsi il peggio: i media soffieranno sul fuoco della propaganda anti-russa destabilizzando ulteirormente l’Ucraina dell’Est, magari al punto di «costringere Putin a inviare davvero delle truppe per difendere i russi».Perché la gente «è così cieca da non vedere che Obama sta conducendo il mondo verso una guerra definitiva?». La pericolosa aggressività di Obama, dice Craig Roberts, ricorda da vicino il trionfalismo di inglesi, francesi e americani dopo la vittoria della Prima Guerra Mondiale, come fosse stato «il trionfo del loro idealismo contro le ambizioni territoriali tedesche e austriache». Ma alla Conferenza di Versailles, ricorda Roberts, furono i bolscevichi – i rivoluzionari vittoriosi a Mosca – a rivelare «l’esistenza dei famigerati Trattati Segreti», il patto di spartizione che avrebbe sostanzialmente amputato la Germania, preparando il terreno per il risentimento popolare del quale poi avrebbe approfittato Hitler. «Nella guerra, gli scopi segreti britannici, russi e francesi erano sconosciuti alla gente, fustigata da una battente propaganda creata appositamente per sostenere una guerra i cui esiti furono ben diversi dalle intenzioni di coloro che la provocarono. Le persone – conclude Roberts – sembrano incapaci di imparare dalla storia. Ora, ancora una volta, vediamo il mondo trascinato lungo un sentiero che attraversa un bosco di menzogne e di propaganda, questa volta a favore dell’egemonia mondiale da parte dell’America».«Ma Obama si rende conto che sta conducendo gli Usa ed i loro Stati-fantoccio verso la guerra con la Russia e la Cina?». Paul Craig Roberts, già sottosegretario al Tesoro con Ronald Reagan, lancia l’allarme: l’inquilino della Casa Bianca sembra manipolato dai neo-conservatori del suo governo. «La Prima e la Seconda Guerra Mondiale sono state il prodotto di ambizioni e di errori di un piccolo numero di persone». Nella “Genesi della Guerra Mondiale”, Harry Elmer Barnes dimostra che la Grande Guerra è stata causata dalla miopia di un pugno di politici, come il presidente francese Raymond Poincaré e il ministro degli esteri russo Sergej Sazonov. «Poincaré chiedeva alla Germania l’ Alsazia-Lorena, e i russi volevano Istanbul e il Bosforo, che collega il Mar Nero al Mediterraneo. Si resero conto che le loro ambizioni richiedevano una guerra generale europea e lavorarono per produrre proprio quella guerra».
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Barnard: hanno vinto loro, non osiamo più ribellarci
Alcuni anni fa ebbi uno scontro con Noam Chomsky, fu un lungo scambio che Noam stesso alimentò, piuttosto inusuale per lui, che è uno degli intellettuali più impegnati al mondo, e che ultimamente s’impegna ancor di più freneticamente per motivi che conosco, ma che non posso divulgare. La sostanza dello scontro erano le chance di riuscita di qualsiasi movimento di protesta, di lotta, di impegno oggi, a fronte dell’immane potere e diffusione del Vero Potere. La sua tesi era questa: la Storia ha sempre portato mutamenti per il meglio, oggi stiamo incommensurabilmente meglio di secoli fa, e non vedo perché questo processo non debba continuare. Basta non demordere. E, in ogni caso, io mi attengo alla cosiddetta “scommessa di Pascal”, secondo cui far nulla significa perdere di certo, tanto vale fare qualcosa. La mia tesi era questa: se un processo (di miglioramento) è sempre esistito, non significa che continuerà ad esistere.
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Blondet: imbecilli, applaudono l’uomo della guerra
«Italiani, siete seriamente candidati al premio Darwin. Quando una intera nazione è nel vostro stato, si piega a simili governanti, accetta l’euro (lo accettate ancora in maggioranza), stima Draghi il Rettiliano, considera Napolitano un buon vecchio nonno e si aspetta protezione da Washington e aiuti da Berlino, non appende in piazza Loreto i suoi padroni folli, è logico che finisca come i dinosauri». E’ l’invettiva con cui Maurizio Blondet, su “Effedieffe”, conclude il suo grido di allarme sui drammatici sviluppi della crisi con Mosca: Obama ci sta letterarmente trascinando verso una possibile Terza Guerra Mondiale. Lo dimostra la preoccupante escalation politico-diplomatica contro Mosca, con risvolti militari su cui il mainstream tace: con l’Ue, «nuova prigione dei popoli», l’Ucraina ha appena firmato un dossier di assistenza militare in caso di guerra, mentre ci sono anche militari italiani nel team americano che sta sorvolando, ogni settimana, lo spazio aereo russo. E tutti – tranne Berlusconi – applaudono Obama.«Quelli che decidono a vostro nome sia da Roma, sia soprattutto da Bruxelles, hanno scelto per voi», scrive Blondet, in un post ripreso da “Megachip”. Escludere Mosca dal G8 e accodarsi a Obama, che si permette di minacciare la Russia «in difesa del governicchio ucraino, frutto delle eversioni americane, ovviamente anch’esso non eletto dagli ucraini». Esplicito, l’inquilino della Casa Bianca: «Agiremo in loro difesa qualunque cosa accada: questa è la Nato». Secondo Obama, «ci sono momenti in cui l’azione militare può essere giustificata». Possibile casus belli, dopo l’Ucraina, la “difesa” dei paesi baltici: Lituania, Estonia e Lettonia hanno una popolazione paragonabile a quella di una media provincia italiana, eppure «a Bruxelles contano più di Italia e Spagna», inoltre «fanno i galletti e sfidano Mosca, si armano spendendo il 4% del loro ridicolo bilancio per gli armamenti, perché si sanno coperti dall’America». E Washington, dice Blondet, li addita ad esempio: «Voi europei grossi e molli spendete troppo poco in armi, l’1, il 2% del Pil, scrive il “Wall Street Journal”, dovete armarvi di più, spendere più dalla Lockheed».Accusa Blondet: «Ebbene: i vostri politici vi hanno impegnato a difendere i baltici. Hanno detto sì ad Obama, senza nemmeno rimproverargli le manovre eversive americane a Kiev, ampiamente provate». In pratica, i nostri politici hanno «firmato di nuovo il patto di difesa reciproca della Nato», struttura «che avremmo dovuto sciogliere già dal ‘90, quando si sciolse il Patto di Varsavia». Sicché ora, «se uno dei galletti baltici fa qualche provocazione, noi dovremo partecipare alla guerra contro la Russia, e intanto subire le conseguenze economiche dell’embargo decretato anche da noi, per ordine di Washington». Pericolosa, aggiunge Blondet, la pratica dei sorvoli dello spazio aereo russo, avviati dopo la conquista di Kiev da parte delle milizie di piazza Maidan. Gli Usa «hanno cominciato a sorvolare coi loro aerei lo spazio russo, obbligando anche noi a fare altrettanto». Lo fanno «in base al trattato internazionale Cieli Aperti, “Open Skies”, firmato a Vienna per aumentare la fiducia reciproca nel campo della minaccia nucleare».Il trattato obbliga i paesi firmatari ad aprire il loro spazio aereo a regolari ispezioni. «In buona fede, Putin ha firmato questo trattato nel 2001. La Cina invece no, e guardacaso nessuno la minaccia». Da giorni, «il sorvolo è diventato una vera passione per Washington».Blondet riferisce che il 3 marzo il sorvolo ha visto ispettori francesi a fianco degli americani, mentre l’11 marzo con gli statunitensi «si sono levati ispettori italiani», imitati il 17 marzo da “ispettori” ucraini («non si sa a che titolo») e il 24 marzo di nuovo da ispettori francesi. Un sorvolo a settimana: «Immaginate solo se Putin pretendesse di fare altrettanto nello spazio aereo americano, in questo momento di estrema tensione: tutti i nostri media, all’unisono con i loro padroni americani, strillerebbero: “Provocazione! Aggressione! Espansionismo paleo-sovietico!”». La cosa preoccupante? «E’ quel che ha detto Obama, piombato in Europa a darci ordini. Ha detto di non essere preoccupato dall’aggressione Russa come minaccia per gli Stati Uniti; ha aggiunto però che quello che lo preoccupa è “un fungo atomico sopra Manhattan”. Sapendo che a Manhattan hanno avuto lo stomaco di far saltare quei due grattacieli (l’11 Settembre, e vi siete bevuti la storia ufficiale) per giustificare l’invasione di Afghanistan ed Iraq nonché l’introduzione della tortura nel diritto di guerra statunitense e il non-riconoscimento dei nemici come combattenti legittimi».Blondet riferisce che, nel frattempo, all’Aia si è svolto uno strano vertice sulla sicurezza nucleare. Secondo il ministro degli esteri canadese, John Baird, «al momento attuale la minaccia di terrorismo nucleare resta una delle più gravi per la sicurezza mondiale». Da qui il rafforzamento del partenariato con Israele – presente Yuval Steinitz, ministro dell’intelligence di Tel Aviv – per aiutare «gli Stati del Medio Oriente e altrove a perseguire i pericolosi criminali che conducono attività nucleari illecite». Chi pensava alla solita trama paranoide sionista contro l’Iran, dice Blondet, ora dovrà ricredersi, di fronte alla sconcertante uscita di Obama, che dice di temere «un fungo atomico sopra Manhattan». Siamo sicuri che l’Ucraina abbia consegnato, a suo tempo, tutte le testate che aveva in custodia dall’Armata Rossa? La stessa Yulia Tymoshenko ha appena dichiarato di voler sterminare, con l’atomica, gli 8-10 milioni di russi che vivono nell’Est dell’Ucraina.Escalation nucleare? «Se accade, italioti, ci siete in mezzo», scrive Blondet. «Vi hanno messo in mezzo i mascalzoni di Bruxelles, vi ci ha messo quel tizio danese che si chiama Ander Fogh Rasmussen, vi ha messo in mezzo il governo Napolitano – pardon, volevo dire il governo Renzi». E per cosa? «Per salvare “la democrazia” in Ucraina», un paese che vuole “venire in Europa” e intanto – a parte le atomiche della Tymoshenko – ha già proibito la lingua russa e spento le televisioni che trasmettevano in russo. E sui nostri media mainstream, naturalmente, notte fonda: si evita di dire che l’Ucraina ha firmato solo il 2% del trattato di pre-adesione all’Ue, cioè la parte che riguarda «un piano per una politica estera e di sicurezza congiunta», e che dopo le elezioni del 25 maggio si trasformerà in «un insieme di condizioni di riforma militare che equivalgono “ad un accordo con la Nato preliminare all’integrazione”».Regista dell’operazione, Herman Van Rompuy. «E i nostri politici non hanno eccepito. Anzi, hanno detto: “Sì, escludiamo la Russia dal G8”». Tutti, tranne uno: Berlusconi. «Credo sia avventato e controproducente aver escluso la Russia dal vertice di ieri all’Aia», ha detto il Cavaliere. «Questo contrasta con il lungo lavoro fatto da noi, dal governo italiano: siamo stati noi a trasformare il G7 in G8 a Genova con Putin». Peccato però che Berlusconi non sia più in Parlamento e sia prossimo agli arresti domiciliari, conclude Blondet. Il leader di Forza Italia – l’unico fuori dal coro anti-russo – non ha più alcuna prospettiva di governare in futuro, e dopo tutti i disastri del passato recente – ora appare troppo indebolito per impostare una politica anti-Ue e contraria alle pericolose forzature di Obama. «L’elettorato di centrodestra è nella mani dell’harem, della mignottocrazia, delle concubine». In altre parole, siamo rovinati: se Berlusconi sembra «un decrepito imperatore cinese», tutti gli altri applaudono entusiasti alla guerra che verrà.«Italiani, siete seriamente candidati al premio Darwin. Quando una intera nazione è nel vostro stato, si piega a simili governanti, accetta l’euro (lo accettate ancora in maggioranza), stima Draghi il Rettiliano, considera Napolitano un buon vecchio nonno e si aspetta protezione da Washington e aiuti da Berlino, non appende in piazza Loreto i suoi padroni folli, è logico che finisca come i dinosauri». E’ l’invettiva con cui Maurizio Blondet, su “Effedieffe”, conclude il suo grido di allarme sui drammatici sviluppi della crisi con Mosca: Obama ci sta letterarmente trascinando verso una possibile Terza Guerra Mondiale. Lo dimostra la preoccupante escalation politico-diplomatica contro Mosca, con risvolti militari su cui il mainstream tace: con l’Ue, «nuova prigione dei popoli», l’Ucraina ha appena firmato un dossier di assistenza militare in caso di guerra, mentre ci sono anche militari italiani nel team americano che sta sorvolando, ogni settimana, lo spazio aereo russo. E tutti – tranne Berlusconi – applaudono Obama.
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Kiev, la strana Padania atomica di Yulia Tymoshenko
Chi dovrà essere “rieducato” – e chi invece eliminato – nella strana Padania orientale di Yulia Tymoshenko? «Gli italiani potrebbero immaginare una situazione in cui Bossi avesse raggiunto il potere, sul serio. Dopo una ventina d’anni il discorso, per quanto ridicolo, della Padania, avrebbe potuto produrre una generazione che avrebbe creduto di essere di etnia padana e di antica origine celtica, o altre fesserie del genere». Lo scrive il russo Igor Glushkov, in una lettera che Giulietto Chiesa pubblica su “Megachip”. Tema: la storica russofobia che anima gli anglosassoni, vittime di una sorta di «paranoia ossessiva» che li porta a credere che l’avanzata dei russi in Europa «comporti la catastrofe per il dominio britannico». Di qui la guerra senza quartiere, condotta dal monopolio Usa della disinformazione, per presentare la rivolta di Kiev come una sollevazione del “popolo ucraino” contro il giogo di Mosca. Dando per scontato, tra l’altro, che l’Ucraina sia molto diversa dalla famosa Padania di Bossi.Pietra dello scandalo, l’intercettazione telefonica in cui è incappata l’ex oligarca Yulia Timoshenko, promossa “pasionaria” anti-russa dal mainstream occidentale, che in una conversazione privata dichiara che vorrebbe sterminare, con la bomba atomica, gli 8 milioni di russi che popolano l’Est ucraino. «Non li chiama neppure russi, ma “izgoi”, banditi, fuorilegge», osserva Glushkov, che vive in Italia e ricorda come l’Ucraina non sia «un territorio etnicamente definito da una nazionalità», bensì «una specie di puzzle, che si è venuto componendo in tappe diverse della storia». L’“ucrainizzazione” forzata degli ultimi vent’anni non è tale «da poter mobilitare un esercito di ucraini contro i russi», e addirittura «non c’è nemmeno una polizia disponibile a soffocare le manifestazioni del sud-est: è per questo che sono stati costretti a chiamare i mercenari dall’esterno», cioè «gruppi di guerriglia armata composti da nazisti, preparati ad azioni violente dagli Stati Uniti in veri e propri lager».Il resto del paese, continua Glushkov, per adesso è impaurito, blindato dalla manipolazione di una Tv ucraina che sta bombardando la gente con informazioni false. «Gente che, comunque, non è disponibile ad accettare una guerra aperta contro la Russia. Perché? Perché la stragrande maggioranza si sente parte della nazione russa! Questo dimostra il referendum di Crimea e le precedenti elezioni». Naturalmente, però, i nostri media si sono tenuti a debita distanza dalla verità. «Il pubblico italiano, grazie all’ignoranza storica, politica, di quasi tutti i commentatori (nel silenzio, peraltro, del mondo accademico e universitario), ha ricevuto un’informazione completamente distorta», sostiene Giulietto Chiesa. Così, «la russofobia anglosassone ha dettato le notizie», nobilitando «i nazisti di Maidan». E la Russia, «che ha subito per vent’anni la penetrazione americano-tedesco-polacca praticamente senza reagire (perché guidata da idee filo-occidentali), ha di fatto soltanto reagito, difendendo il popolo russo di Crimea. Ed è stata rappresentata come l’aggressore, sebbene fosse stata aggredita».Questa, ribadisce Giulietto Chiesa – autore di numerosi video-editoriali su “Pandora Tv” – è una crisi di gravità senza precedenti nella storia, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: gli equilibri europei sono stati modificati, la sicurezza europea è stata distrutta. «Tutto questo non sarebbe stato possibile se l’informazione giunta ai cittadini italiani ed europei fosse stata decentemente vicina alla realtà, ma noi invece viviamo ormai dentro Matrix, prigionieri dell’illusione dell’Occidente di continuare a dominare il mondo». Resta, intanto, l’imbarazzo per le esternazioni stragiste della Tymoshenko, la cui carriera politica – scrive Igor Glushkov – è stata «molto simile a quella di quasi tutti gli oligarchi russi e ucraini: fatta rubando». Di sicuro, conferma Giulietto Chiesa, oggi la Tymoshenko rappresenta «un dato negativo, agli occhi dell’Europa». Dopo aver gettato il sasso, «usando i nazisti», adesso gli europei vorranno «ripulirsi dagli schizzi di fango». La stessa Yulia Tymoshenko «è uno schizzo di fango: ricattabile, certo, ma anche in grado di ricattare». Tutto molto prevedibile: «Quando si porta al potere una banda di criminali bisogna mettere in conto che, per normalizzare la situazione, li si deve rieducare, o eliminare. Resta da vedere se la Tymoshenko sarà in grado di essere rieducata, oppure se la dovranno eliminare».Chi dovrà essere “rieducato” – e chi invece eliminato – nella strana Padania orientale di Yulia Tymoshenko? «Gli italiani potrebbero immaginare una situazione in cui Bossi avesse raggiunto il potere, sul serio. Dopo una ventina d’anni il discorso, per quanto ridicolo, della Padania, avrebbe potuto produrre una generazione che avrebbe creduto di essere di etnia padana e di antica origine celtica, o altre fesserie del genere». Lo scrive il russo Igor Glushkov, in una lettera che Giulietto Chiesa pubblica su “Megachip”. Tema: la storica russofobia che anima gli anglosassoni, vittime di una sorta di «paranoia ossessiva» che li porta a credere che l’avanzata dei russi in Europa «comporti la catastrofe per il dominio britannico». Di qui la guerra senza quartiere, condotta dal monopolio Usa della disinformazione, per presentare la rivolta di Kiev come una sollevazione del “popolo ucraino” contro il giogo di Mosca. Dando per scontato, tra l’altro, che l’Ucraina sia molto diversa dalla famosa Padania di Bossi.
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Generazione decrescente: la crisi e la formica utopista
Fine del lavoro, del futuro, della società civile protetta dai diritti di cittadinanza. Fine di tutto quello che siamo stati abituati a pensare come destino, consuetudine, standard di vita, aspettative. E’ scoppiata una guerra: era pronta da trent’anni, ma quasi nessuno se n’era accorto – men che meno la sinistra, partiti e sindacati. Oggi vaghiamo smarriti tra macerie lungamente programmate: persino l’incresciosa elemosina degli 80 euro promessi da Matteo Renzi può apparire una buona notizia, anche se ha il sapore della minestra della Caritas o della distribuzione di aiuti umanitari nel Darfur. Siamo in guerra, ma c’è chi ragiona come se fossimo ancora in tempo di pace. Lo fanno i politici, naturalmente, professionisti dell’elusione della verità esattamente come i maggiori media. E lo fanno pure, a modo loro, gli illuminati sostenitori dell’eresia decrescista: dicono che il sistema si è rotto semplicemente perché “doveva” rompersi, non poteva durare.Certo, l’attuale modello di sviluppo ha avvelenato la Terra e prodotto solitudine e depressione. E ora che s’è inceppato, abbandona al suo destino la prima “generazione decrescente” della storia occidentale moderna, quella che sa di non poter avere quello che ebbero tutte le generazioni precedenti: la legittima speranza di crescere ancora. Il che però non significa, di per sé, precipitare nell’abisso: ci si può attrezzare per vivere meglio, comunque, a prescindere dall’ecatombe del Pil. E’ la tesi di Andrea Bertaglio, classe 1979, espressa nella sua ultima dolente ricognizione editoriale presentata da Maurizio Pallante, di cui è stretto collaboratore. Il libro si affaccia con angoscia sul panorama desolante dei coetanei, traditi dalle false promesse dello sviluppo illimitato e condannati all’esilio o al call center, in precaria alternativa alla disoccupazione perenne, mentre intorno si sfasciano, giorno per giorno, tutte le certezze del sistema Italia. Sta franando, il nostro paese, che pure militava nel G7 – settima potenza industriale del mondo – e che l’Eurozona dell’austerity ha letteralmente declassato, stroncato, ridotto a mendicare clemenza dai potenti signori di Bruxelles, che peraltro nessuno ha mai eletto.Tutto questo accade, sostengono ormai molti analisti, perché l’élite mondiale non tollera di dover “dividere la torta” con ormai 7 miliardi di esseri umani e le loro inevitabili aspirazioni di consumo. Cibo e terre, acqua, energia, tecnologia, merci. Il risveglio dell’ex terzo mondo, oggi guidato dai Brics, dopo la caduta dell’Urss ha fatto esplodere il business della globalizzazione selvaggia, le delocalizzazioni, il lavoro schiavistico. L’industria? Sempre meno conveniente, per gli antichi “padroni”: meglio la pura speculazione finanziaria. A una condizione, essenziale: sbaraccare l’ostacolo della politica democratica, il welfare, la sovranità degli Stati, le leggi a tutela del cittadino, i diritti del lavoro. Per teorici intransigenti come Paolo Barnard – che cita economisti come il francese Alain Parguez, già insider all’Eliseo – basta dare un’occhiata alle biografie dei padri fondatori dell’Unione Europea (l’autoritario Mitterrand, “monarchico” come il suo guru Jacques Attali, e il primo presidente della Commissione Europea, Jacques Delors, definito “uomo dell’Opus Dei”) per capire che razza di progetto – a vocazione feudale – sia quello dell’Ue, di cui l’euro rappresenza il braccio armato, con un unico grande obiettivo: radere al suolo la sovranità finanziaria degli Stati membri, e quindi la loro residua capacità di proteggere le rispettive comunità nazionali.Il tracollo è ovvio, perfettamente voluto. Se privatizzi la moneta crolla tutto, a cascata: credito, spesa pubblica, settore privato dell’economia, occupazione, risparmi delle famiglie. “Masters of the Universe”, li chiama Noam Chomsky. Sono l’élite planetaria, erede dell’oligarchia occidentale che per due secoli, e in particolare nella seconda metà del ‘900, ha subito come un affronto la nascita della democrazia moderna, l’avvento dello Stato come erogatore di benessere materiale per i propri cittadini, grazie alla libera creazione di moneta. Oggi? Si stanno semplicemente riprendendo tutto, abolendo di fatto la democrazia. E lo fanno in un mondo sovrappopolato e minacciato da più crisi, concomitanti e tutte potenzialmente letali: energia, clima, economia, acqua, cibo, ambiente. Per Giulietto Chiesa, autore del saggio “Invece della Catastrofe” che parte dalle drammatiche profezie del Club di Roma sui raggiunti limiti dello sviluppo del capitalismo coloniale e mercantile, ci sono tutte le condizioni geopolitiche per temere l’avvento di una Terza Guerra Mondiale.Dopo l’11 Settembre la storia s’è rimessa a correre: Iraq e Afghanistan, Libia e Siria, ora Ucraina. Evidente il tentativo degli Usa di coinvolgere l’Europa in una drammatica sfida con la Russia. Obiettivo: fermare l’avanzata della Cina, sfruttando l’unico vero vantaggio di cui gli Stati Uniti ancora dispongono, cioè la supremazia tecnologico-militare. Il guaio, avverte uno storico medievista come Franco Cardini, è che ormai a decidere non sono più i governi eletti dal Parlamento, perché tutte le maggiori istituzioni nazionali e soprattutto internazionali – politiche, diplomatiche, economiche, finanziarie – sono capillarmente infiltrate dalle lobby dell’élite, che tende a militarizzare il mondo impiegando missili-fantasma, droni-killer, milizie private, eserciti mercenari. Si preparano soluzioni sbrigative, repressioni, abolizioni di diritti sociali. Un incubo, che aiuta a comprendere lo scenario nel quale sono paracadutati i trentenni di oggi, a cui anche in Germania viene spiegato che i mini-job da 500 euro al mese sono un lusso, dati i tempi che corrono. C’è una guerra in corso, appunto. Ma ancora si stenta a riconoscerla.Di recente, in un incontro coi ragazzi torinesi del Movimento per la Decrescita Felice, un intellettuale ultra-indipendente come Guido Ceronetti ha ammesso la propria nostalgia per il socialismo, cioè un sistema in cui lo Stato garantisca pari opportunità per tutti. Lo Stato è il grande assente dei nostri giorni: privandolo della sua sovranità fisiologica, i trattati-capestro di Bruxelles lo costringono a trasformarsi in spietato esattore, non avendo più altra fonte finanziaria che quella fiscale. Un libero pensatore come Alex Langer, profeta europeo dell’ambientalismo politico, si battè già negli anni ‘80 per il grande cambiamento oggi invocato dagli ecologisti: sapeva benissimo che solo il governo, investendo denaro sovrano attraverso la spesa pubblica e quindi il debito, può imprimere una forte eccelerazione a qualsiasi politica di ricoversione sostenibile dell’economia. Bertaglio lo cita in un passaggio del suo libro: «La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile». E’ esattamente il crinale – innanzitutto culturale – su cui si impegnano i promotori della decrescita intelligente, da Pallante a Latouche.E’ anche il cuore dell’indagine che Andrea Bertaglio conduce con voce disarmata, partendo dalla propria esperienza personale, a confronto con quella di suo padre e, prima ancora, di suo nonno. E’ crollato un mondo, il loro. E questo di oggi, popolato di giovani spaesati e costretti a farsi mantenere dai genitori, rinunciando all’idea di metter su casa, è qualcosa che – per la prima volta – fa davvero paura. Quella della decrescita (s’intende: decrescita del Pil, degli sprechi, dei veleni) è una sorta di bussola: se lavori come un pazzo e spendi tutto quello che guadagni, finisci col non sapere neppure più cosa stai facendo, e perché. A cosa serve il lavoro che attualmente – quando c’è – ci dà da vivere? Riconversione: di certo, un lavoro socialmente utile fa vivere meglio, anche se magari fa calare il Pil perché comporta meno consumi, meno spostamenti, meno spese. E’ la filosofia della filiera corta, dei territori sostenibili, del “meno e meglio”. La strada imboccata da Roberto, che ha mollato il lavoro d’ufficio a Cagliari e si è messo a fare l’orticoltore in un paesino della provincia. O quella – spettacolare – dei ragazzi di Pescomaggiore, l’ecovillaggio fatto di case di paglia.I pionieri dell’economia sostenibile sembrano scansare il dilemma politico dei rapporti di forza, quelli cioè che – attraverso le elezioni – possono far vincere un’idea, trasformandola in azione pubblica regolarmente finanziata. Si diffida, purtroppo (ma comprensibilmente) delle organizzazioni politiche, preferendo l’azione diretta, promossa dal basso. Come quella del Comitato Rifiuti Zero che, ricorda Bertaglio, ha imposto «la vittoria del popolo valdostano contro l’affarismo», che voleva il solito inceneritore. Leader del comitato di lotta, il giovane medico Jean-Luis Aillon, dirigente Mdf. Un ragazzo di 29 anni, che ha scelto di lavorare meno – come guardia medica – per avere più tempo per l’orto e la produzione di formaggi destinati all’autoconsumo. «Se lavorassi soltanto per diventare ricco e famoso, sarei presto molto depresso».L’ennesimo ingenuo utopista? «La selezione naturale ha prescelto l’istinto utopista», risponde il dottor Aillon. «Sperare in un mondo migliore, mettere in crisi il reale, lottare per i propri sogni, è qualcosa che è stato iscritto nel nostro parimonio genetico. Perché favorisce la sopravvivenza della specie». Utopia, maneggiare con cura: quello che può apparire debolezza, è esattamente il suo contrario. Nel libro di Bertaglio, Jean-Luis ricorre a una parabola: «Se paragoniamo il nostro cinquantenne medio, disilluso e senza speranze, e una specie di formiche utopista, che sogna e si batte per un mondo diverso, possiamo vedere che quest’ultima è molto più forte e sopravvive». Inutile negarlo: «Noi abbiamo dentro questo patrimonio genetico, che la cultura odierna cerca di spegnere. L’ingenuo, semmai, è chi non lo riconosce». Farà in tempo, la “formica utopista”, a fermare i carri armati neoliberisti di Harvard, quelli che suggeriscono all’euro-totalitarismo la dottrina dell’austerity espansiva che uccide come mosche i bambini di Atene e avvicina alla Grecia anche il nostro paese?(Il libro: Andrea Bertaglio, “Generazione decrescente”, riflessione autobiografica sul mondo che è – e che potrebbe essere, con prefazione di Maurizio Pallante, Edizioni Età dell’Acquario, 103 pagine, 14 euro).Fine del lavoro, del futuro, della società civile protetta dai diritti di cittadinanza. Fine di tutto quello che siamo stati abituati a pensare come destino, consuetudine, standard di vita, aspettative. E’ scoppiata una guerra: era pronta da trent’anni, ma quasi nessuno se n’era accorto – men che meno la sinistra, partiti e sindacati. Oggi vaghiamo smarriti tra macerie lungamente programmate: persino l’incresciosa elemosina degli 80 euro promessi da Matteo Renzi può apparire una buona notizia, anche se ha il sapore della minestra della Caritas o della distribuzione di aiuti umanitari nel Darfur. Siamo in guerra, ma c’è chi ragiona come se fossimo ancora in tempo di pace. Lo fanno i politici, naturalmente, professionisti dell’elusione della verità esattamente come i maggiori media. E lo fanno pure, a modo loro, gli illuminati sostenitori dell’eresia decrescista: dicono che il sistema si è rotto semplicemente perché “doveva” rompersi, non poteva durare.
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Ttip, fine del diritto: ci giudicherà un Tribunale Speciale
Votare alle europee? A un patto: che i candidati si impegnino, per prima cosa, contro l’approvazione del Trattato Transatlantico. Nessuna bozza, traccia o schema di Ttip è a oggi disponibile. Di certo sappiamo solo che il presidente Obama e la Commissione Europea hanno dato mandato all’ambasciatore Usa Michael Froman e al Commissario Ue al commercio Karel de Gucht di confezionare un trattato dai mirabolanti obiettivi: incrementare il commercio Usa-Ue di 120 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni e creare due milioni di posti di lavoro. A quale prezzo? «Non si deve sapere. Le trattative si svolgono in segreto, a porte chiuse, e in quelle segrete stanze si sono già tenuti oltre 100 incontri con i più importanti lobbisti, su corpose documentazioni di parte, a totale insaputa della società civile». Le uniche vere notizie a nostra disposizione, scrive Mariangela Rosolen, provengono da blog come “s2bnetwork”, riprese da “Attac”, che presenta “Un trattato dell’altro mondo” e le informazioni diffuse da Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale dell’università di Torino.Il Trattato di Partenariato Usa-Ue per il Commercio e gli Investimenti, riassume Rosolen sul sito di “Attac Italia”, ci promette un reddito aggiuntivo per famiglia di 545 dollari all’anno, «a condizione che siano smantellate tutte le leggi e regolamenti di tutela sanitaria, ambientale, del lavoro, che attualmente impediscono o limitano la possibilità di realizzare il massimo profitto negli scambi e negli investimenti». Il che significa: «Libera produzione, circolazione e vendita sul mercato europeo degli organismi geneticamente modificati, della carne agli ormoni, dei polli al cloro». Addio al “principio di precauzione” contro la sospetta nocività di singoli prodotti, processi produttivi e componenti, adottato in Europa all’inizio degli anni ‘90 in seguito all’epidemia della “mucca pazza”. Obiettivo: ridurre o eliminare – tramite decisioni di prevenzione – quei rischi che non sono ancora scientificamente provati. Se verrà approvato il Ttip, dovremo dunque dire addio alle tutele a cui siamo abituati: cioè l’etichettatura e la tracciabilità dei prodotti alimentari e chimici.Emblematica, continua Rosolen, la situazione riguardante l’estrazione e lo sfruttamento del gas di scisto (fracking): circa 11.000 nuovi pozzi scavati in un anno negli Stati Uniti contro una dozzina in Europa, per effetto di divieti e moratorie in attesa di verificare i rischi che quella spericolata tecnologia estrattiva può arrecare alla salute e alla sicurezza delle persone e dell’ambiente. «La segretezza dei negoziati si confà egregiamente alla passività dei grandi mezzi d’informazione del nostro paese, che si guardano bene dal rompere il silenzio, appena scalfito dall’impegno dei “soliti” mezzi d’informazione alternativi. E poiché la Commissione Europea tratta e firmerà l’accordo a nome e per conto degli Stati membri – aggiunge Mariangela Rosolen – rischiamo di trovarci a fine 2014, data prevista per la conclusione dei negoziati, con la brutta sorpresa del pacco di Natale già confezionato e pronto per l’uso sotto l’albero». Forse però siamo ancora in tempo per fermare la macchina infernale.Alla fine degli anni ‘90, «un analogo pacco-dono del libero mercato, l’Ami – Accordo Multilterale sugli Investimenti – era stato preparato segretamente dalle stesse oligarchie che oggi lo traducono nel Ttip, e venne fatto saltare proprio grazie al fatto che i suoi demenziali contenuti erano divenuti di pubblico dominio». Certo, allora «c’erano ancora i tribunali a cui ricorrere per il ripristino dei diritti negati». Oggi è sempre più dura, ma fino a quando la sovranità giudiziaria non sarà stata smantellata siamo autorizzati a sperare che qualche autorità nazionale intervenga: «La totale cancellazione dello Stato Sociale Europeo che ora il Trip si propone, la dichiarata subordinazione al profitto di ogni tutela sul lavoro, la salute, l’ambiente che non sia compatibile con il profitto, può incontrare ancora forti resistenze nel sistema giudiziario dei paesi più evoluti».Se invece Washington e Bruxelles – obbedendo ai “suggerimenti” delle multinazionali – riusciranno ad imporci il Ttip, sarà tecnicamente finita anche l’attuale possibilità di avere giustizia: l’ultima parola infatti l’avrà il Tribunale Speciale, «organismo sovranazionale, extra-territoriale – si dice con sede presso la Banca Mondiale», pensato sul modello del collegio arbitrale, «le cui sentenze non saranno appellabili essendo sovraordinate alle stesse Costituzioni nazionali». Secondo Rosolen, è molto probabile che si tratti di tribunali simili a quelli già previsti da accordi come il Nafta, modellati su giurie private composte da tre arbitri, scelti generalmente tra “principi del foro” «un po’ distratti rispetto ai loro conflitti di interessi». Strani “giudici” che, «una volta nominati, non devono più rendere conto a nessuno», perché possono avvalersi di «lucrosissime consulenze, test e perizie», per emanare decisioni definitive e non più impugnabili. «Una gestione della giustizia di ricchi per i ricchi», che infatti non emette sentenze ma impone «multe, sanzioni, risarcimenti».Così facendo, aggiunge Rosolen, la giustizia si misura in dollari. La Lone Pine ad esempio, impresa californiana dell’energia, ha chiesto al Tribunale Speciale istituito dal Nafta di condannare lo Stato del Canada a un risarcimento di 191 milioni di dollari per aver imposto una moratoria sul fracking, il sistema di frammentazione idraulica per estrarre il gas o il petrolio di scisto. La moratoria canadese era dettata dalla preoccupazione per i rischi per la salute e l’ambiente provocati da quelle lavorazioni. La Philip Morris ha invece denunciato l’Australia al Tribunale Speciale del Wto per le leggi anti-fumo e chiesto un enorme risarcimento per i mancati profitti. Addirittura 3,7 miliardi di euro, per i mancati profitti delle sue due centrali nucleari tedesche, sono stati chiesti dalla svedese Vattenfall alla Germania, che ha abbandonato la produzione di energia nucleare dopo il disastro di Fukushima. Si contano ben 514 cause legali di questo genere negli ultimi vent’anni: 123 sono state promosse da investitori Usa, 50 da maxi-imprese olandesi, 30 britanniche e 20 tedesche.«La sola minaccia di cause legali per milioni di euro, intentate da studi legali con centinaia di avvocati per conto delle multinazionali, può mettere sul chi va là i governi e indurli ad attenuare o addirittura rinunciare a emanare leggi a tutela del lavoro, della salute e dell’ambiente», conclude Mariangela Rosolen. Traduzione: «Se le decisioni politiche a livello locale, regionale o nazionale corrono questi rischi di strangolamento economico, ben più disarticolanti di una sentenza civile o penale, è a rischio la stessa democrazia». Sarebbe la fine della nostra civiltà giuridica, difettosa e inefficiente fin che si vuole nella sua amministrazione, ma pur sempre consacrata alla difesa dei diritti fondamentali del cittadino, della sua sicurezza sociale e della sua salute. Per fortuna, un po’ ovunque – dall’Europa agli stessi Stati Uniti – si stanno organizzando movimenti sociali e sindacali che rivendicano trasparenza dei negoziati e il rifiuto dei tribunali speciali per qualsiasi tipo di trattato. Serve un impegno democratico, ora: «Chiediamolo con forza e determinazione anche ai prossimi candidati al Parlamento Europeo».Votare alle europee? A un patto: che i candidati si impegnino, per prima cosa, contro l’approvazione del Trattato Transatlantico. Nessuna bozza, traccia o schema di Ttip è a oggi disponibile. Di certo sappiamo solo che il presidente Obama e la Commissione Europea hanno dato mandato all’ambasciatore Usa Michael Froman e al Commissario Ue al commercio Karel de Gucht di confezionare un trattato dai mirabolanti obiettivi: incrementare il commercio Usa-Ue di 120 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni e creare due milioni di posti di lavoro. A quale prezzo? «Non si deve sapere. Le trattative si svolgono in segreto, a porte chiuse, e in quelle segrete stanze si sono già tenuti oltre 100 incontri con i più importanti lobbisti, su corpose documentazioni di parte, a totale insaputa della società civile». Le uniche vere notizie a nostra disposizione, scrive Mariangela Rosolen, provengono da blog come “s2bnetwork”, riprese da “Attac”, che presenta “Un trattato dell’altro mondo” e le informazioni diffuse da Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale dell’università di Torino.
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Volete la verità? Ve la offre Pandora, col vostro aiuto
Non ve la siete mai bevuta, la storia delle armi di distruzione di massa di Saddam? E nemmeno la versione ufficiale dell’11 Settembre o quella del gas Sarin usato dall’esercito siriano contro la popolazione civile di Damasco? Allora “Pandora Tv” potrebbe fare al caso vostro, perché – oltre alla voce di Giulietto Chiesa – vi offre un aggiornamento quotidiano sull’attualità internazionale attraverso i servizi di “Rt”, offerti in esclusiva e tradotti in italiano per garantire “un’altra visione del mondo”, come recita il claim della nuova web-tv aperta su iniziativa del giornalista e scrittore che ha fatto della battaglia contro le menzogne del mainstream il proprio marchio di fabbrica. Una scommessa, quella di “Pandora”, basata sulla garanzia di assoluta indipendenza: proprio per questo, l’esperimento si affida al contributo diretto del pubblico, mediante lo strumento democratico del social crowdfunding: bastano 10 euro per sostenere la produzione della programmazione. Informazione libera, democrazia nella comunicazione.«Ci stanno portando in guerra», avverte Giulietto Chiesa, che da anni vigila sulla grande crisi del capitalismo imperiale, globalizzato e finanziarizzato. Tesi ben riassunta dal suo ultimo saggio, “Invece della catastrofe”, che parte dallo storico allarme lanciato dal Club di Roma sui raggiunti limiti dello sviluppo: l’élite mondiale non tollera più di dover spartire le risorse vitali del pianeta con una popolazione di 7 miliardi di esseri umani. E se i Brics alzano la testa – crescita accelerata e fame di consumi – è ovvio che sulla “coperta troppo corta” si accende una disputa strategica e geopolitica che i meno ottimisti chiamano “terza guerra mondiale”. Tradotto: mettere le mani su quel che resta del pianeta, battendo sul tempo i cinesi, prima che esploda in modo apocalittico una qualsiasi delle grandi crisi innescate: quella economico-finanziaria, quella energetica, quella climatica, quella dell’acqua o quella del cibo. Unico strumento di autodifesa: la democrazia. Che però è accecata da un filtro prodigioso: la disinformazione.«La verità è che non sappiamo quello che sta davvero succedendo», sostiene Giulietto Chiesa, che punta il dito contro le omissioni e i depistaggi del mainstream, colonizzato dall’élite esattamente come i maggiori partiti politici, tutti infiltrati dai poteri forti che – da Wall Street a Bruxelles – impongono la “loro” agenda, a colpi di diktat e recessioni pilotate. Ultimo scenario offerto dall’attualità: la dirompente crisi scatenata in Ucraina per indebolire la Russia e “intrappolare” l’Europa, pensando già, ovviamente, soprattutto alla Cina. Dai servizi di “Russia Today” proposti da “Pandora”, la tempestiva denuncia della strategia della tensione organizzata a Kiev per rovesciare il (pessimo) regime di Yanukovich, grazie a milizie-fantasma addestrate in segreto e appoggiate da potenti frange neonaziste. “Pandora” si candida a rappresentarla, “un’altra visione del mondo”, dando spazio all’analisi anche italiana della grande crisi, ospitando le voci dei nostri territori. Un canale sociale, aperto a tutti, che – per affermarsi – ha bisogno del contributo di tutti.Non ve la siete mai bevuta, la storia delle armi di distruzione di massa di Saddam? E nemmeno la versione ufficiale dell’11 Settembre o quella del gas Sarin usato dall’esercito siriano contro la popolazione civile di Damasco? Allora “Pandora Tv” potrebbe fare al caso vostro, perché – oltre alla voce di Giulietto Chiesa – vi propone un aggiornamento quotidiano sull’attualità internazionale attraverso i servizi di “Rt”, offerti in esclusiva e tradotti in italiano per garantire “un’altra visione del mondo”, come recita il claim della nuova web-tv aperta su iniziativa del giornalista e scrittore che ha fatto della battaglia contro le menzogne del mainstream il proprio marchio di fabbrica. Una scommessa, quella di “Pandora”, basata sulla garanzia di assoluta indipendenza: proprio per questo, l’esperimento si affida al contributo diretto del pubblico, mediante lo strumento democratico del social crowdfunding: bastano 10 euro per sostenere la produzione della programmazione. Informazione libera, democrazia nella comunicazione.