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Boat People: quando l’Italia andò a salvarli in capo mondo
Premessa importante: questa è Storia, non opinioni. Ho raccontato e raccolto testimonianze di fatti accaduti quarant’anni fa di cui oggi ricorre l’anniversario. Chiunque desideri fare parallelismi o “interpretarlo” lo fa di sua iniziativa, non mia. 30 aprile 1975: Saigon cade, e assieme a lei tutto il Vietnam del Sud. I comunisti si scatenano in un vortice di vendette verso militari e civili, instaurando un regime totalitario. Al loro arrivo un milione di persone viene prelevato per essere “rieducato”; sono sacerdoti, bonzi, religiosi, politici regionali, intellettuali, artisti, scrittori, studenti. A ogni angolo di strada spuntano “tribunali del popolo” in cui gli accusati non hanno diritto alla difesa, e a cui seguono esecuzioni sommarie. A migliaia vengono tolte case, beni, proprietà e vengono gettati nelle paludi, dette “Nuove Zone Economiche”, dove avrebbero dovuto creare fattorie e coltivazioni dal nulla. In realtà, li mandano a morire di fame. L’intero Vietnam del Sud diventa un grande gulag, dove accadono orrori simili a quelli della Kolyma di Stalin. Nel 1979, la popolazione cerca di scappare. Non possono farlo via terra, perché i paesi confinanti li respingono; l’unica opzione per intere famiglie consiste nel prendere barconi improvvisati e gettarsi in mare, lontano dai fucili e dai “tribunali del popolo”.Le immagini di questi disperati fanno il giro del mondo e dividono l’opinione pubblica mondiale, ancora divisa per ideologie pre-muro di Berlino. Il comunismo non può essere contestato né fare errori, sono «menzogne raccontate dai media che ingigantiscono la faccenda per strumentalizzarla». Mentre l’Occidente blatera, i rifugiati sui barconi scoprono di non poter sbarcare da nessuna parte. Vengono ribattezzati “boat people”, disperati con a disposizione due cucchiai d’acqua e due di riso secco al giorno che raccolgono l’acqua piovana coi teli di plastica e sono in balia di tempeste e crudeltà. Il governo della Malesia li rimorchia a terra per spennarli di tutti i loro averi, poi li rimette sulle barche dicendogli che stanno arrivando degli aiuti e li rimorchia in alto mare, dove taglia le funi e li abbandona a morire. A volte le tempeste tropicali li affondano, altre volte pescatori armati saltano a bordo e uccidono e stuprano finché sono stanchi, poi li abbandonano lì. A bordo c’è così tanta puzza da far svenire, e la fame è tale che ci sono episodi di cannibalismo. Navi occidentali si affiancano e gettano qualcosa da mangiare per fotografarli, poi se ne vanno.Intanto, l’Italia è un mondo diverso. Sono anni difficilissimi tra inflazione alle stelle, bombe e attentati, ma il neonato benessere è ancora troppo recente per far dimenticare agli italiani il loro passato di povertà, ruralità ed emigrazione. Quando le immagini dei boat people vengono rese pubbliche da Tiziano Terzani il 15 giugno 1979, invece di aggiungersi al dibattito globale di opinionisti e intellettuali impegnati a decidere se salvare dei profughi di un regime comunista sia un messaggio capitalista o no, Pertini capisce che ogni minuto conta, chiama Andreotti e dà ordine di recuperarli e portarli in Italia. Andreotti è presidente del Consiglio, ma è stato prima ministro della difesa. Quella che riceve è una richiesta folle, perché l’Italia non ha mai fatto missioni simili né per obiettivo né per distanza. Ora però il ministro della difesa è Ruffini, e dice che in teoria è fattibile. Insieme scelgono come braccio destro Giuseppe Zamberletti, uno che aveva già dimostrato un’estrema capacità organizzativa in situazioni di crisi, e si mettono a studiare il da farsi. Non sanno quanti sono, né in che zona precisa; sono fotografie sfocate in mezzo al nulla.Se il primo problema è il dove, subito dopo vengono tempo e lingua. Il mondo del 1979 non parla inglese, figurarsi il vietnamita. Anche gli interpreti scarseggiano e non c’è tempo di trovarli, però c’è la Chiesa. Andreotti domanda al Vaticano se ha a immediata disposizione preti vietnamiti e gli arrivano padre Domenico Vu-Van-Thien e padre Filippo Tran-Van-Hoai. Per un terzo interprete, i carabinieri piombano all’università di Trieste, scorrono i registri e reclutano sul posto uno studente, Domenico Nguyen-Hun-Phuoc. A quel punto, Ruffini può alzare il telefono. L’incrociatore Vittorio Veneto dell’ottavo gruppo navale è alla fonda a Tolone, in Francia, dopo aver finito la stagione. L’equipaggio di 500 uomini non vede l’ora di sbarcare per abbracciare le proprie famiglie, quando nelle mani del comandante Franco Mariotti arriva un cablogramma urgentissimo dall’ammiraglio di Divisione Sergio Agostinelli, a bordo dell’Andrea Doria. Ordina di tenere a bordo solo il personale addetto alle armi, poi di riadattare l’assetto della nave e salpare alla volta di La Spezia per riunirsi all’Andrea Doria per una missione di recupero. Quando capiscono di cosa si tratta, gli equipaggi si esaltano.Mariotti lascia a terra 350 uomini, che invece chiedono di restare a bordo per aiutare. Predispone 300 posti letto per donne e bambini su letti a castello nell’hangar a poppa, e 120 posti per gli uomini a prua. L’alloggio sottufficiali diventa un’estensione dell’infermeria, e sotto il ponte di volo viene adibita la zona d’aria. Servono almeno dieci bagni in più, ma ce la fa. Impiega cinque giorni a cambiare l’assetto, e solo al quarto giorno, prima di partire, ordina agli uomini di scendere a salutare le famiglie. Arrivano a La Spezia il 4 luglio, dove vengono caricati e istruiti medici, infermieri, interpreti, medicinali e vestiti. Il giorno dopo salpano alle 10 diretti verso il sud di Creta, dove si riuniscono con la nave logistica Stromboli, comandata dall’ammiraglio Sergio Agostinelli; in totale ci sono 450 posti letto sulla Vittorio Veneto, 270 sulla Doria e 112 sulla Stromboli. È un viaggio orrendo, nella stagione peggiore. Oltre al caldo mostruoso del Mar Rosso, i monsoni dell’Oceano Indiano portano il vento a forza 7. Onde lunghe e gigantesche che mettono a dura prova i 73.000 cavalli vapore degli incrociatori.Dopo 10 giorni di navigazione ininterrotta, il 18 luglio ormeggiano a Singapore e caricano le provviste supplementari, così da dare il tempo all’intelligence di fare “ricognizione informativa” e di improntare un piano. In quattro giorni parlano con l’ambasciatore della Malesia, con l’addetto della marina militare inglese, i portavoce di World Vision International e definiscono le zone da pattugliare. Le direttrici di fuga sono cinque: due verso Thailandia e Hong Kong, di scarso interesse perché passano per acque territoriali. Le altre tre sono di preminente interesse, cioè dall’estremo sud del Vietnam verso la Thailandia (costa occidentale del Golfo del Siam), verso Malesia e isole Anambas dell’Indonesia. Le ultime due sono le più probabili perché sono vicine alla piattaforma petrolifera della Esso, che per chi mastica poco il mare è l’unico polo di attrazione. Alle 10 del 25 luglio salpano alla volta del Mar Cinese Meridionale e Golfo del Siam. Durante la notte, va e viene un eco-radar. Il giorno dopo il mare è a forza 4 (esempio), e il ponte viene spazzato da raffiche di vento e acqua. Alle 8.15, con un coraggio notevole, l’Agusta Bell 212 si alza in volo per investigare le coordinate e localizza la prima barca alla deriva. È un catorcio di 25 metri carico fino all’inverosimile che sta colando a picco davanti alla piattaforma della Esso.L’Andrea Doria dà l’avanti tutta e arriva a prenderli alle 9.20, carica su un gommone interprete, medici, scorta e glielo manda incontro in mezzo alla burrasca che monta, raccomandandosi di rispettare norme di prevenzione e contagio. Il gommone si affianca e gli interpreti recitano un testo che hanno imparato a memoria. «Le navi vicine a voi sono della Marina Militare Italiana e sono venute per aiutarvi. Se volete potete imbarcarvi sulle navi italiane come rifugiati politici ed essere trasportati in Italia. Attenzione, le navi ci porteranno in Italia, ma non possono portarvi in altre nazioni e non possono rimorchiare le vostre barche. Se non volete imbarcarvi sulle navi italiane potete ricevere subito cibo, acqua e assistenza medica. Dite cosa volete e di cosa avete bisogno». Un’onda allontana il gommone, e una donna vietnamita, convinta che gli italiani li stiano abbandonando come tutti, gli lancia il proprio figlio a bordo. I marinai erano italiani del 1979, un mondo in cui non esistevano i social e queste scene non erano già state raccontate. A quella vista, impazziscono. Tutte le procedure per evitare contagi vengono infrante, e dallo scafo tirano fuori 66 uomini, 39 donne e 23 bambini.Teodoro Porcelli, all’epoca marinaio di vent’anni, è sul barcarizzo di dritta quando riconsegna il figlio alla madre. Lei per tutta risposta gli accarezza i capelli e si mette a piangere, poi portano insieme il bambino dal dottore. Sono i primi di tanti altri che arriveranno nei giorni successivi. A bordo degli incrociatori, gli uomini sgobbano come animali. Infermerie, lavanderie, forni e cucine lavorano senza sosta, coi panettieri che danno il turno e i cuochi che devono allestire 1000 pasti al giorno, di cui una doppia razione per i macchinisti che sono ridotti a pelle e ossa per a far andare le quattro caldaie Ansaldo-Foster Wheeler contro le onde, il tutto con temperature tropicali e navi tutt’altro che adatte. Medici e marinai devono stare attenti a 125 bambini che una volta nutriti corrono dovunque, ma ovviamente prediligono il ponte di volo. Il 31 luglio a bordo dell’Andrea Doria nasce un bambino che la madre battezza col nome di Andrea. Pasquale Marsicano lo avvolge con un vestitino di seta che doveva regalare a sua figlia. I vietnamiti più in salute vogliono essere d’aiuto e fare qualcosa, così vengono messi a fare i lavori del mozzo secondo il vecchio e famosissimo proverbio della Marina: “Pennello e pittura, carriera sicura”.Il 1° agosto a bordo delle navi non c’è più spazio fisico; hanno navigato per 2.640 miglia, esplorato 250.000 kmq di oceano e salvato 907 anime. L’ammiraglio dà ordine di tornare a casa, e il 21 agosto 1979 gli incrociatori entrano in bacino San Marco. Ad accoglierli c’è un oceano di gente, oltre a chi ha pianificato l’operazione fin dall’inizio: Andreotti, Ruffini, Zamberletti e Cossiga, che in seguito alla crisi di governo ha sostituito Andreotti. A bordo ci sono malattie anche tropicali e uomini malmessi, così a qualcuno viene in mente che Venezia, riguardo a importazioni di merci e uomini, qualcosina ne sa. Così, proprio come faceva la Serenissima novecento anni prima, i vietnamiti vengono messi in quarantena nel Lazzaretto vecchio e in quello nuovo. Quelli che non ci stanno vengono spediti in Friuli. Sono entrati così in simbiosi con l’equipaggio che a parte pianti, abbracci, baci e giuramenti, alcuni si rifiutano di scendere dalla nave chiedendo se possono arruolarsi.Alla fine ci sarà uno scambio di dichiarazioni tra vietnamiti ed equipaggio: «Ammiraglio, comandante, ufficiali, sottufficiali e marinai; grazie per averci salvati! Grazie a tutti coloro che con spirito cristiano si sono sacrificati per noi notte e giorno. Voi italiani avete un cuore molto buono; nessuno ci ha mai trattato così bene. Eravamo morti e per la vostra bontà siamo tornati a vivere. Questa mattina quando dal ponte di volo guardavamo le coste italiane una dolce brezza ci ha accarezzato il viso in segno di saluto e riempito di gioia il nostro cuore. Siete diversi dagli altri popoli; per voi esiste un prossimo che soffre e per questa causa vi siete sacrificati. Grazie». L’ammiraglio risponde da parac… da italiano: «Noi siamo dei militari; ci è stata affidata una missione e abbiamo cercato di eseguirla nel modo migliore. Siamo felici d’aver salvato voi e così tanti bambini e di portarvi nel nostro paese. L’Italia è una bella terra anche se gli italiani, a volte, hanno uno spirito irrequieto. Marco Polo andò con pochi uomini alla scoperta dell’Asia; voi venite in tanti nel nostro piccolo mondo. Sappiate conservare la libertà che avete ricevuto». Vengono creati campi d’accoglienza a Chioggia, Cesenatico e Asolo. Il popolo italiano si mobilita in massa; vengono raccolti 26.500.000 di lire tramite raccolta di abiti usati e altrettanto arriva tramite donazioni private.Arrivano offerte di lavoro e di abitazione, una famiglia si offre di costruire una casa alle famiglie, una ditta si offre di arredarla. Una scolaresca raccoglie i soldi per comprare un motorino e una macchina da cucire, i dipendenti della Banca Antoniana si tassano lo stipendio fino all’agosto del 1980, versando ogni mese i loro risparmi nel conto corrente della Caritas. I commercianti padovani inviano generi alimentari, molti ospitano i rifugiati nelle loro case ad Arsego, San Giorgio delle Pertiche, Fratte e Zugliano. Ruffini, ricordando la storia, dirà: «Potevo considerarmi soddisfatto della mia intera esperienza politica per il solo fatto di aver potuto contribuire alla salvezza di quei fratelli asiatici». I vietnamiti si integrano alla perfezione, diventano italiani o disperdendosi per l’Italia arrivando oggi alla terza generazione. Parecchi marinai prenderanno la medaglia di bronzo. Quarant’anni dopo, i marinai e i profughi hanno aperto un gruppo Facebook per ritrovarsi. State attenti ad aprirlo se avete la lacrima facile. «A tutti i marinai della “Stromboli”, noi vietnamiti vi siamo molto riconoscenti. Se non ci foste venuti in aiuto, noi ora non saremmo probabilmente vivi. Vi pensiamo spesso, ora che siamo qui al sicuro e ricordiamo quanto buoni e gentili siete stati con noi. Il vostro ricordo rimarrà sempre nel nostro cuore e anche se non ci vediamo più, noi vi penseremo che con affetto, riconoscenza e nostalgia. Grazie ancora!».(Nicolò Zuliani, “Quando negli anni ’80 la marina militare italiana riuscì a fare l’impossibile”, da “Termometro Politico” del 3 agosto 2019. Le foto presentate a corredo dell’articolo sono di Roberto Vivaldi).Premessa importante: questa è Storia, non opinioni. Ho raccontato e raccolto testimonianze di fatti accaduti quarant’anni fa di cui oggi ricorre l’anniversario. Chiunque desideri fare parallelismi o “interpretarlo” lo fa di sua iniziativa, non mia. 30 aprile 1975: Saigon cade, e assieme a lei tutto il Vietnam del Sud. I comunisti si scatenano in un vortice di vendette verso militari e civili, instaurando un regime totalitario. Al loro arrivo un milione di persone viene prelevato per essere “rieducato”; sono sacerdoti, bonzi, religiosi, politici regionali, intellettuali, artisti, scrittori, studenti. A ogni angolo di strada spuntano “tribunali del popolo” in cui gli accusati non hanno diritto alla difesa, e a cui seguono esecuzioni sommarie. A migliaia vengono tolte case, beni, proprietà e vengono gettati nelle paludi, dette “Nuove Zone Economiche”, dove avrebbero dovuto creare fattorie e coltivazioni dal nulla. In realtà, li mandano a morire di fame. L’intero Vietnam del Sud diventa un grande gulag, dove accadono orrori simili a quelli della Kolyma di Stalin. Nel 1979, la popolazione cerca di scappare. Non possono farlo via terra, perché i paesi confinanti li respingono; l’unica opzione per intere famiglie consiste nel prendere barconi improvvisati e gettarsi in mare, lontano dai fucili e dai “tribunali del popolo”.
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Apocalisse maltempo: qualcuno sta bombardando l’Italia?
Siamo stati deliberatamente “bombardati” da nubifragi devastanti, scatenati da perturbazioni artificiali? «Il prossimo che riparla di scie chimiche andrà sottoposto a un Tso», disse a mo’ di battuta Matteo Renzi, scoraggiando ulteriori interrogazioni parlamentari, sul fenomeno, da parte di esponenti del Pd. Oggi però, con il Nord-Est raso al suolo da eventi mai visti a memoria d’uomo, c’è chi torna sul tema in modo più che esplicito: «Bombardamento climatico sull’Italia, un avvertimento al governo?», si domanda il blog “Disquisendo”, secondo cui «nei giorni precedenti al disastro, ci sono state fortissime operazioni di aviodispersione a bassa quota». Tutti hanno visto il cielo sereno “rannuvolarsi”, dopo l’emissione di una rete fittissima di migliaia di scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Follia? Complottismo da strapazzo? L’unica vera certezza è la storica carenza di spiegazioni ufficiali definitive ed esaurienti. Si accumulano invece informazioni parziali, da fonti indipendenti, riguardo al presunto impiego clandestino della geoingegneria, inaugurata da Israele per far piovere sul deserto del Negev. La stessa Cia, oggi, ammette che sono in corso vaste sperimentazioni. Nel saggio “Owning the wheather” (possedere il clima), l’economista canadese Michael Chossudowsky svela che la “guerra climatica” è ormai una realtà.Un silenzio tombale è calato sulle rivoluzionarie scoperte del fisico Nikola Tesla, all’epoca emarginato dalla comunità scientifica, mentre l’ingegnere bresciano Rolando Pelizza ha raccontato a due docenti universitari, Francesco Alessandrini e Roberta Rio, che il geniale Ettore Majorana (ufficialmente scomparso nel 1938 ma in reatà nascosto in Calabria fino al 2005) progettò una “macchina” capace di mutare il clima all’istante. «Dello sviluppo di questa “macchina”, costruita in 50 esemplari su istruzioni dello stesso Majorana – dice ancora Pelizza – fu incaricato direttamente il governo italiano tramite Giulio Andreotti, che poi passò il dossier alla Cia». Un altro italiano, l’imolese Pier Luigi Ighina – assai meno celebre di Majorana, ma notissimo agli appassionati – riprodusse anche per le telecamere di “Report”, su Rai Tre, il suo straordinario esperimento, condotto con mezzi artigianali: Ighina era in grado di far piovere, creando nuvole nel cielo sereno (o a scelta, di far spuntare il sole tra i nuvoloni) semplicemente azionado, da terra, le pale di una sorta di ventilatore gigante, cosparse di alluminio. Il trucco? Cambiare la consistenza elettromagnetica della bassa atmosfera, immettendo vortici di onde.«La manipolazione climatica è realtà», sostiene il sito “Dionidream”, citando estati torride e mezze stagioni scosse da nubifragi e alluvioni di inaudita violenza, come quelli che hanno messo in ginocchio varie aree della Pensiola, a cominciare dal Veneto, dove le trombe d’aria hanno divelto decine di migliaia di alberi, devastando storiche foreste alpine. Fuori dall’Italia, il fenomeno della manipolazione climatica non è esattamente una novità: «Festa in cielo, vietata la pioggia», titolò il Tgcom24 di Mediaset il 23 marzo 2009, parlando di «aerei in cielo per disperdere le nubi» in occasione del settantesimo anniversario della “repubblica popolare” fondata da Mao. «Per impedire che la pioggia rovini i grandiosi festeggiamenti in programma, si ricorrerà a una tecnica senza precedenti», raccontò il telegiornale: «L’aviazione impiegherà 18 apparecchi che disperderanno nell’atmosfera prodotti chimici per impedire che dal cielo sopra Pechino cada la pioggia». Nello stesso anno, a novembre, sempre la Cina s’imbiancò fuori stagione, come raccontò “La Repubblica”: «Una nevicata precoce ha coperto con un’abbondante coltre bianca Pechino. Il tutto ha però ha avuto un aiutino dell’Ufficio Modificazione del Tempo della capitale cinese».I tecnici, riferì tranquillamente l’agenzia “Xinhua”, «hanno riversato in cielo con degli aerei 186 dosi di ioduro d’argento, per approfittare delle nuvole e del brusco calo della temperatura». Questo, scrisse “Repubblica”, «ha generato la nevicata», il cui scopo era «alleviare la persistente siccità». Ammise Zhang Qiang, responsabile dell’ufficio meteorologico: «Non ci facciamo sfuggire occasione per provocare precipitazioni, da quando Pechino registra una persistente condizione di siccità». Due anni dopo, nel 2011, l’allora presidente iraniano Mahmud Ahmedinejad accusò l’Occidente di aver provocato una gravissima siccità per mettere in crisi l’economia agricola del paese. «Secondo rapporti sul clima, accuratamente verificati, le potenze occidentali forzano le nuvole fino a far piovere», dichiarò Ahmedinejad, come confermato dal “Giornale”. «I nostri nemici distruggono le nuvole prima che arrivino sul nostro paese». Ancora la Cina, già nel 2011, è tornata protagonista sul tema, annunciando un investimento da 120 milioni di euro per riuscire, entro il 2015, a far aumentare del 10% le precipitazioni nelle zone più aride.«Un primo esperimento in tal senso era stato già condotto nel febbraio 2009, quando diverse regioni erano state irrorate da una pioggerellina leggera, generata da agenti chimici sparati nell’atmosfera con 2.392 razzi e 409 cannoni, in grado di creare nuvole cariche di pioggia», scrove il sito “Greenews”. «Le nuvole ‘adatte’ alle precipitazioni vengono ‘seminate’ con ioduro d’argento, un agente chimico che favorisce l’aggregazione delle molecole d’acqua per creare grandi gocce abbastanza pesanti da cadere al suolo». La tecnologia in realtà non è nuova, aggiunge “Greenews”: i primi esperimenti risalgono alla Guerra Fredda. «Durante la guerra del Vietnam, gli Stati Uniti lanciarono l’Operazione Popeye per cercare di intensificare i monsoni sul Sentiero di Ho Chi Minh, la rete di strade che andavano dal Vietnam del Nord al Vietnam del Sud passando per Laos e Cambogia, usate dai Vietcong e dai loro sostenitori. Nel 1978, però, gli esperimenti per far piovere artificialmente negli Usa furono interrotti, in seguito a una grave inondazione causata dal bombardamento chimico delle nubi». Dal Sud-Est Asiatico al Medio Oriente: «Israele “stimola” le nuvole dal 1961 e riesce così a rendere fertili e rigogliose terre di per sé aride».«Nel mondo ci sono diversi esperimenti in corso di questo tipo, ma siamo lontani dal poter dire di essere in grado di controllare la pioggia», disse nel 2012 a “Greenews” uno specialista come Sandro Fuzzi, climatologo del Cnr di Bologna, al quale allora sembrava remoto il rischio di gravi effetti collaterali, dato che gli interventi si svolgevano «su scala ridotta, al massimo di qualche decina di chilometri», mentre i fenomeni più distruttivi, come le alluvioni, «riguardano fronti di centinaia e anche migliaia di chilometri». L’ultima frontiera, aggiunge ancora “Greenews”, consiste nel bombardare le nuvole dal basso con dei laser: esperimento condotto nel 2010 in laboratorio e poi «replicato a Berlino da un gruppo di ricercatori dell’università di Ginevra e pubblicato sulla rivista “Nature Photonics”». Con un laser di grande potenza, una specie di “cannone energetico”, i ricercatori hanno colpito ed “eccitato” le molecole di gas presenti nell’aria. «Il risultato è stata la formazione di nuclei di condensazione attorno ai quali si sono create piccole gocce di acqua». Secondo il blog “Shivio news”, già nel 2012 erano oltre 20 i paesi impegnati nella sperimentazione di nuove tecniche per provocare precipitazioni.In vetta classifica primeggiano i soliti cinesi: Pechino, letteralmente, «impiega nel “rainmaking” oltre 37.000 addetti, fra tecnici e ricercatori», mentre «una trentina di aerei, 4.000 rampe per razzi e 7.000 cannoni vengono usati per sparare in cielo nuclei di sostanze intorno alle quali stimolare processi di condensazione di gocce d’acqua o cristalli di ghiaccio». Negli Stati Uniti, gli aerei «gettano nelle nuvole ghiaccio secco e ioduro d’argento». In Sudafrica si usa invece il cloruro di potassio: «I sali vengono diffusi da aerei che volano sotto le nubi in formazione, e servono ad aumentare il numero e la misura delle gocce». Anche il Messico, aggiunge “Shivio”, sta sperimentando la tecnica sudafricana, che «sembra che sia in grado di aumentare di un terzo il volume delle precipitazioni». Qualcuno poi ricorderà la primissima performance, in assoluto, della geoingegneria più spettacolare: il 9 maggio del lontano 2007, in occasione della fastosa celebrazione dell’anniversario della vittoria dell’Urss nella Seconda Guerra Mondiale, il Tg1 riprese lo spettacolo del sole riapparso “miracolosamente” tra le nubi nerissime del cielo di Mosca, grazie a una portentosa miscela a base di azoto, iodio e argento diffusa dagli aerei.Dall’uso civile a quello militare, il passo è breve: «Almeno quattro paesi – Stati Uniti, Russia, Cina e Israele – dispongono delle tecnologie e dell’organizzazione necessaria a modificare regolarmente il meteo e gli eventi geologici per varie operazioni militari ufficiali e segrete, legate a obiettivi secondari, tra cui il controllo demografico, energetico e la gestione delle risorse agricole». Lo disse già nel 2012 l’esperto aerospaziale Matt Andersson, allora in forza alla compagnia hi-tech Booz Allen Hamilton di Chicago. In un’intervista al “Guardian”, Hamilton ha ammesso: il nuovo tipo di guerra non convenzionale «comprende la capacità tecnologica di indurre, spingere o dirigere eventi ciclonici, terremoti e inondazioni, includendo anche l’impiego di agenti virali per mezzo di aerosol polimerizzati e particelle radioattive, trasportate attraverso il sistema climatico globale». Lo stesso Hamilton ha citato una think-tank della galassia neocon, il Bpc (Bipartisan Policy Center, con sede a Washington) e il suo rapporto nel quale chiede agli Usa e agli alleati di accelerare la sperimentazione su larga scala del cambiamento climatico.Secondo il “Guardian”, il gruppo è finanziato da «grandi compagnie petrolifere, farmaceutiche e biotecnologiche», e rappresenta «gli interessi corporativi del mondo militare e scientifico statunitense». Il newsmagazine “Sputnik News”, citando il canadese Chossudovsky, osserva: la geoingegneria ha omai prodotto «sofisticate armi elettromagnetiche». E anche se la cosa non è ammessa ufficialmente, men che meno a livello scientifico, le capacità di manipolare il clima (anche per scopi militari) sono in stato avanzatissimo. La storia di questa disciplina risale addirittura al 1940, quando il matematico americano John Von Newman, al Pentagono, iniziò la sua ricerca per la modifica del clima. Obiettivo: alterare i modelli meteorologici. Una tecnologia sviluppata negli anni ‘90 secondo il programma di ricerca della cosiddetta “alta frequenza aurorale attiva” (Haarp, High Frequency Active Auroral Research Program), come appendice di una iniziativa strategica di difesa, le “Guerre stellari”. Il programma Haarp, installato in Alaska e poi bloccato, sarebbe stato parte di una strategia tuttora attiva: le brusche modifiche del clima possono «estendersi, avviando inondazioni, uragani, siccità e terremoti».Ammissioni ufficiali? Impensabili. Meglio lasciare che certe voci circolino in modo incontrollato (bufale comprese), per poi liquidare il tutto sotto la voce “teoria del complotto”. «E’ naturale che su un tema come il cambiamento climatico la Cia collaborerebbe con gli scienziati per meglio comprendere il fenomeno e le sue implicazioni sulla sicurezza nazionale», ha detto un portavoce dell’intelligence Usa, dopo la diffusione della notizia, da parte del sito legato al periodico statunitense “Mother Jones”, secondo cui proprio la Cia starebbe aiutando con ingenti finanziamenti la Nas, National Academy of Sciences, impegnata in uno studio sull’applicazione della geoingegneria per manipolare il clima. Su “Meteoweb”, Filomena Fotia spiega che “Mother Jones” descrive lo studio come un’inchiesta riguardante «un numero limitato di tecniche di geoingegneria, inclusi esempi di tecniche di gestione delle radiazioni solari (Srm, Solar Radiation Management e rimozione dell’anidride carbonica (Cdr, Carbon Dioxide Removal). Geoingegneria “buona”, per proteggerci dall’attività solare divenuta pericolosa per la Terra?«La manipolazione meteorologica – aggiunge Fotia – è stata riportata in auge da molti commentatori statunitensi in occasione dei devastanti tornado in Oklahoma, o di altri eventi estremi come l’uragano Sandy, che sarebbero stati “generati dal governo” usando la base dell’Haarp in Alaska». Ma, appunto: il tema si presta a speculazioni incontrollate, vista la mancanza di riscontri esaurienti da parte delle autorità, sempre estremamente laconiche, come quelle interpellate nel 2014 da Alessandro Scarpa, allora consigliere comunale di Venezia. “Grandinata anomala e scie chimiche, il maltempo si tinge di mistero”, titolò il 24 settembre il “Gazzettino”, storico quotidiano veneziano, dopo «una grandinata fuori dal normale», sotto un cielo «carico di nubi come mai si era visto». E lassù, «quelle scie bianche nel cielo terso il giorno dopo». Sono bastati questi due fenomeni, scriveva il “Gazzettino” quattro anni fa, a ridestare un quesito: e se questo maltempo eccezionale non fosse il risultato delle bizze atmosferiche, ma di qualcosa di “chimico”?In redazione arrivò una lettera allarmatissima: grondaie intasate da “noci” di ghiaccio persistenti ed enormi: «Come mai questo ghiaccio non si è sciolto? Sembrerebbe di formazione chimica, da laboratorio, e non naturale». Per Alessandro Scarpa, vale la pena di esaminarli, certi fenomeni, «se non altro per capire di cosa si tratta» Ad esempio, «le strane scie chimiche che si vedono nei nostri cieli». Molte le segnalazioni pervenuite al Consiglio comunale, «da parte di cittadini veneziani, preoccupati, che chiedono spiegazioni». Scarpa si è rivolto inutilmente all’Enav, l’ente nazionale di assistenza al volo, che gestisce il controllo del traffico degli aerei civili. Nessun lume neppure dal ministero dell’ambiente di Roma: risposte evasive o bocche cucite. «È quindi opportuno – sottolinea Scarpa – preoccuparsi seriamente per noi e per i nostri figli». E aggiunge, rivolto ai giornalisti disattenti: «Questa mattina, quando il cielo era limpidissimo, si sono viste una quindicina di linee nel cielo veneziano». Quattro anni dopo, la situazione è gravemente peggiorata: non c’è più una giornata serena senza che il cielo non sia “sporcato” dalle scie, di ora in ora, mentre l’Italia sta diventando il bersaglio di violentissime tempeste di tipo tropicale, come quella che ora ha messo in ginocchio il Nord-Est.Lo scorso anno, a gennaio, il colonnello Mario Giuliacci – affabile volto televisivo – sul suo sito ha tentato di sgombrare il campo da ogni illazione, presentando testualmente un comunicato ufficiale dell’aeronautica militare. La spiegazione dei militari è ineccepibile, riguardo alla vistosa presenza di molte delle scie: «Le nuove generazioni di motori che equipaggiano i moderni aeroplani a reazione, per avere un miglior rendimento termodinamico dato dalla differenza di temperatura tra la camera di combustione e l’ambiente esterno, impiegano miscele di acqua e carburante la cui combustione genera le enormi quantità di vapore acqueo che sono all’origine delle scie». Secondo i militari, dunque, sono aumentate in modo esponenziale le scie di condensazione, in gergo “contrails”, destinate poi a scomparire nell’atmosfera. «Per le caratteristiche termodinamiche dei motori, per le quote di volo e per la localizzazione – aggiunge l’aeronautica – la quasi totalità delle scie che si osservano in cielo sono prodotte dai jet di linea degli operatori commerciali. La loro durata è variabile da pochi istanti a minuti e talvolta a ore, in dipendenza dell’umidità, delle temperature e in genere delle condizioni termodinamiche dell’aria circostante».Poi la chiosa: «Per quanto ci compete, l’Aeronautica Militare non possiede aeromobili che generano o emettono scie differenti da quelle prodotte a causa della condensazione di vapore acqueo». Il che – alla lettera – non significa escludere la presenza di altre scie, di ben diversa natura, emesse da velivoli estranei all’aeronautica militare italiana: le famigerate “chemtrails”, appunto. Tra le pagine del blog “Su la testa”, il giornalista investigativo Gianni Lannes (vittima di minacce e attentati per le sue indagini scomode, specie quelle sulla mafia dei rifiuti) sostiene che si è ormai clamorosamente violata la “Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente”, a fini militari o ad ogni altro scopo ostile, nota anche come Convenzione Enmod: «E’ il trattato internazionale che proibisce l’uso delle tecniche di modifica dell’ambiente». Firmata il 18 maggio 1977 a Ginevra, è entrata in vigore il 5 ottobre 1978, approvata anche dall’Onu. Gli Stati firmatari sono 48, inclusi gli Usa, di cui 16 non hanno ancora ratificato il trattato. In totale, i paesi che vi hanno aderito sono 76. «L’Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l’ha ratificata con la legge numero 962 del 29 novembre 1980, grazie al presidente della Repubblica Sandro Pertini e all’approvazione quasi all’unanimità del Parlamento».Secondo Lannes, questa verità viene regolarmente “oscurata” perché illegale, oltre che aberrante. Ma l’Italia, sostiene Lannes, ha concesso i propri cieli durante l’infelice G8 di Genova del 2001, quando Berlusconi firmò un trattato segreto, con Bush, che trasformava il nostro paese in un’area-test per l’irrorazione dell’atmosfera. Dal 2003, l’operazione è scattata. E nessuno ne parla: è top secret. Si chiama “Clear Skies Initiative”. Lannes attinge direttamente a fonti della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato: le pagine istituzionali americane ammettono apertamente che il 19 luglio 2011, a Genova, Bush e Berlusconi impegnarono i loro paesi in un programma di ricerca sul cambiamento climatico e sullo sviluppo di “tecnologie a bassa emissione”. Operazione poi approvata il 22 gennaio 2002 dal ministero italiano dell’ambiente e dal Dipartimento di Stato Usa. Dunque, scrive Lannes nel blog “Su la testa”, cambiamenti climatici indotti e “collaborazione” (si fa per dire) tra Stati Uniti e Italia, con quest’ultima a fare da cavia. «Dalla documentazione delle autorità nordamericane emerge che in questa vasta operazione gestita in prima battuta dal Pentagono, dalla Nasa e dalla Nato, sono coinvolte addirittura le industrie e le multinazionali più inquinanti al mondo: Exxon Mobil, Bp Amoco, Shell, Eni, Solvay, Fiat, Enel».Tutti insieme appassionatamente, secondo il giornalista, compreso il settore scientifico: università italo-americane, Enea, Cnr, Ingv, Arpa e così via. «Insomma, controllori e controllati. L’Enac addirittura ha partecipato ad un test “chemtrails” in Italia insieme a Ibm, ministero della difesa, stato maggiore dell’aeronautica e ovviamente Nato». Mancano, sempre, le conferme ufficiali. In compenso si scatenato i “debunker” come Paolo Attivissimo: “Scie chimiche, aria fritta con contorno di bufala e grana”. Dopo il disastro aereo del volo Germanwings del 2015, schiantatosi sulle Alpi francesi, anche il “Giornale” si sbizzarrisce: “Airbus, dalle scie chimiche alle ’strane scritte’: complottisti scatenati”. Nel frattempo Enrico Gianini, ex addetto aeroportuale di Malpensa, racconta a “Border Nights”: una volta a terra, gli aerei delle compagnie low-cost perdono liquido inquinato da metalli pesanti, e non lasciano più caricare i bagagli nelle stive di coda, come se fossero ingombre di serbatoi clandestini. «Se mi denunciano, chiederò al tribunale di “smontare” uno di quegli aerei: così scopriranno finalmente cosa trasporta». Ma la notizia resta negli scantinati del web, mentre il finimondo rade al suolo il Veneto e la Cina stipendia i suoi “rainmaker”.Siamo stati deliberatamente “bombardati” da nubifragi devastanti, scatenati da perturbazioni artificiali? «Il prossimo che riparla di scie chimiche andrà sottoposto a un Tso», disse a mo’ di battuta Matteo Renzi, scoraggiando ulteriori interrogazioni parlamentari, sul fenomeno, da parte di esponenti del Pd. Oggi però, con il Nord-Est raso al suolo da eventi mai visti a memoria d’uomo, c’è chi torna sul tema in modo più che esplicito: «Bombardamento climatico sull’Italia, un avvertimento al governo?», si domanda il blog “Disquisendo”, secondo cui «nei giorni precedenti al disastro, ci sono state fortissime operazioni di aviodispersione a bassa quota». Tutti hanno visto il cielo sereno “rannuvolarsi”, dopo l’emissione di una rete fittissima di migliaia di scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Follia? Complottismo da strapazzo? L’unica vera certezza è la storica carenza (in Italia, non all’estero) di spiegazioni ufficiali, definitive ed esaurienti, sulla manipolazione del clima. Si accumulano invece informazioni parziali, da fonti indipendenti, riguardo al presunto impiego clandestino della geoingegneria, inaugurata da Israele per far piovere sul deserto del Negev. La stessa Cia, oggi, ammette che sono in corso vaste sperimentazioni. Nel saggio “Owning the wheather” (possedere il clima), l’economista canadese Michael Chossudowsky svela che la “guerra climatica” è ormai una realtà.