Archivio del Tag ‘nazifascismo’
-
Cremaschi: neofascismo figlio del liberismo, molti i complici
«Il killer nazifascista di Macerata ha ottenuto un successo travolgente», sostiene Giorgio Cremaschi: «Il dibattito ufficiale minimizza la gravità del suo crimine, ignora le sue vittime e si concentra tutto sul “disagio sociale” provocato dai migranti». Il ministro Minniti e tutti gli esponenti del governo «non hanno mai usato la parola razzismo, né tantomeno la parola fascismo, per la tentata strage di Macerata, e lo stesso hanno fatto i mass media». Terrorismo fascista e razzista in Italia? «Quando mai. Il problema sono i migranti, dicono tutti, rinfacciandosi l’un l’altro di non saperlo affrontare. Traini ha già vinto», scrive Cremaschi su “Micromega”. Salvini e CasaPound affermano che in Italia non c’è nessun rischio fascista e che chi usa questa parola lo fa solo per ragioni strumentali? «Non è una novità, dal 1945 i fascisti si sono sempre mascherati in vario modo, spesso reagendo sdegnosamente a chi ricordava loro chi realmente fossero. Negli anni ‘70 mettevano le bombe e mai le rivendicavano. Ci pensava lo Stato a coprirli e ad indirizzare altrove l’opinione pubblica. L’uccisione nella questura di Milano dell’anarchico Pinelli, assieme a Valpreda accusato innocente della bomba fascista di Piazza Fontana, aprì la via ad una lunga trama di stragi, insabbiamenti e depistaggi di Stato».Secondo Cremaschi, candidato a Napoli per “Potere al popolo”, in Italia l’establihment «ha sempre fatto leva sui fascisti». Ovvero: «Li ha fatti crescere e usati quando voleva diventare più autoritario, li ha colpiti quando voleva mostrarsi più democratico». E i mass media, che indirizzano l’opinione pubblica verso i migranti quando invece «viene sfasciato lo Stato sociale e dilagano disoccupazione e povertà»? Raccontano che ci sono italiani che non trovano lavoro perché glielo hanno “rubato” i migranti, «mentre tanti sono in mezzo a una strada perché le multinazionali chiudono e migrano indisturbate a saccheggiare altrove». La demografia è impietosa: «La popolazione residente sta calando, perché sono più gli italiani che emigrano perché non trovano un lavoro decente, rispetto a coloro che vengono qui e che diventano schiavi sfruttati, da italiani naturalmente». Si dovrebbero combattere la disoccupazione, il degrado e lo sfruttamento del lavoro, «ma i razzisti parlano di sostituzione etnica, addossando agli schiavi la colpa della schiavitù». Il recente neofascismo strisciante? Frutto del «liberismo capitalista». E non è una novità: «Dopo la crisi del 1929 i governi democratici tedeschi adottarono la politica dell’austerità e del rigore di bilancio e un insignificante gruppuscolo fascista sbeffeggiato da tutti conquistò il potere».Dopo la guerra, continua Cremaschi, il welfare fu edificato come compromesso tra le classi e come garanzia di democrazia. La nostra Costituzione? «E’ antifascista perché promuove lo Stato sociale contro la ferocia del mercato, ed è per i diritti sociali e del lavoro perché è antifascista». E’ ancora così, nei fatti? Non più: «Decenni di politiche di smantellamento di quei diritti, nel nome dell’Europa e della globalizzazione, hanno divelto le basi materiali dell’antifascismo e fatto risorgere i mostri». È per questo, scrive Cremaschi, che il mondo Pd non usa la parola “fascismo”, ma si limita – in modo generico e ipocrita – a condannare “l’odio”. «Meglio condannare moralisticamente un sentimento, che dover riconoscere i frutti marci della propria politica». E il Movimento 5 Stelle, «che pure non è responsabile delle politiche economiche di questi anni», ora adotta lo stesso linguaggio del Pd, «evidentemente pensando che nessun partito che voglia governare, possa usare parole sconvenienti come fascismo e razzismo».Certo, ammette Cremaschi, i gruppuscoli fascisti non prenderanno mai il potere. «Quando ci provarono nel 1970 con Junio Valerio Borghese, i loro protettori della Nato li convinsero a fermarsi e ad uscire dai ministeri dove erano entrati». Secondo l’ex sindacalista Fiom, «i fascisti oggi non devono prendere il potere, ma aiutare il potere a fascistizzarsi: cosa che sta facendo benissimo, basti pensare alle leggi di polizia di Minniti». Per continuare con le politiche liberiste di devastazione sociale, il potere (italiano e Ue) deve «imporre un sistema sempre più autoritario e intollerante». Cioè: «Se gli sfrattati si organizzano, lottano, magari contrastano la polizia che li vuole sbattere fuori di casa, allora questa è inaccettabile violenza degli antagonisti e dei centri sociali. Invece se un fascista spara nel mucchio ai neri, questo è disagio sociale». Oppure: «Se i poveri si ribellano vengono repressi, perché per il palazzo i poveri devono solo odiarsi tra loro». D’altra parte, il 10% diviene sempre più ricco impoverendo il restante 90%: «Come farebbe a comandare e a distogliere da sé l’indignazione popolare, se non volgendola verso i migranti oggi, domani verso chissà chi? A questo servono i fascisti». Non facciamoci illusioni, il guasto ormai è profondo: «Anni di politiche liberiste e di diseguaglianza sociale, la resa della sinistra di governo al mercato, hanno diffuso una mentalità reazionaria di massa».«Il killer nazifascista di Macerata ha ottenuto un successo travolgente», sostiene Giorgio Cremaschi: «Il dibattito ufficiale minimizza la gravità del suo crimine, ignora le sue vittime e si concentra tutto sul “disagio sociale” provocato dai migranti». Il ministro Minniti e tutti gli esponenti del governo «non hanno mai usato la parola razzismo, né tantomeno la parola fascismo, per la tentata strage di Macerata, e lo stesso hanno fatto i mass media». Terrorismo fascista e razzista in Italia? «Quando mai. Il problema sono i migranti, dicono tutti, rinfacciandosi l’un l’altro di non saperlo affrontare. Traini ha già vinto», scrive Cremaschi su “Micromega”. Salvini e CasaPound affermano che in Italia non c’è nessun rischio fascista e che chi usa questa parola lo fa solo per ragioni strumentali? «Non è una novità, dal 1945 i fascisti si sono sempre mascherati in vario modo, spesso reagendo sdegnosamente a chi ricordava loro chi realmente fossero. Negli anni ‘70 mettevano le bombe e mai le rivendicavano. Ci pensava lo Stato a coprirli e ad indirizzare altrove l’opinione pubblica. L’uccisione nella questura di Milano dell’anarchico Pinelli, assieme a Valpreda accusato innocente della bomba fascista di Piazza Fontana, aprì la via ad una lunga trama di stragi, insabbiamenti e depistaggi di Stato».
-
Totò Riina, un progetto organico al tritacarne del potere
Totò Riina? E’ stato un progetto di potere, inserito in uno schema. «Dobbiamo immaginare lo schema del potere come una specie di enorme tritacarne. Lo scopo del potere è realizzare la carne tritata. E’ indifferente di chi sia, la carne, nel senso che poi il potere utilizza di volta in volta schemi, persone, associazioni». E in Sicilia, storicamente, il potere ha utilizzato la mafia. Parola di Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” e del nuovissimo “Il compasso, il fascio e la mitra”, che illumina i retroscena dell’origine del fascismo. «Sicuramente – dice – Riina ha risposto allo schema generale del potere, che di volta in volta attiva i personaggi che gli sono funzionali». L’ex super-boss di Corleone è stato accusato di oltre 100 omicidi? «Era il capo, di basso livello, di una associazione criminale che ha commesso quegli omicidi, ma che rispondeva comunque a uno schema di ordine superiore». Ingranaggi di un meccanismo infernale: quei personaggi che stanno al di sopra di Riina hanno certamente preordinato le varie azioni, «ma anche loro sono burattini, in mano a uno schema astratto». Semplice manovalanza criminale, Riina? «Sì, e anche di basso livello, oserei dire», afferma Carpeoro, in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. La narrativa sul “boss dei boss”? In parte, creata solo per depistare l’opinione pubblica: la fabbricazione dell’Uomo Nero, l’incarnazione del male.«Il potere – spiega Carpeoro – cerca sempre di additare un responsabile con cui te la devi prendere, altrimenti fininisci per mettere in discussione il vero potere: l’autoconservazione del potere impone che tu te la prenda con qualcuno, non con qualcosa». Per contro, aggiunge, per uno Stato che si ponga obiettivi di progresso «è necessario sgominare un’organizzazione criminale come quella di Totò Riina». E’ esistita una trattativa Stato-mafia? «Sì, più volte», risponde Carpeoro. «Nel momento in cui la mafia ha un riferimento nel potere politico che governa, di questi accordi ce ne saranno stati migliaia». Molte volte, addirittura, «è stata la mafia stessa a consegnare alla pubblica gogna (e alle forze dell’ordine) alcuni suoi esponenti divenuti ingombranti, indifendibili e ingestibili, troppo nell’occhio del ciclone». E l’ha fatto «con l’obiettivo (concordato) di tacitare tutte le altre iniziative di contrasto della criminalità mafiosa». Aggiunge Carpeoro: «Se uno vuole fare davvero la lotta alla mafia, deve combattere lo schema di potere che ha deciso di utilizzare la mafia, così come si è configurata nell’arco di decenni», a partire dallo sbarco alleato in Sicilia nella Seconda Guerra Mondiale.«Per gestire anche la mafia – aggiunge Carpeoro – gli americani hanno creato appositamente una loggia massonica: hanno dato vita al cosiddetto Progetto Colosseum, da cui sono nate numerose logge». Gli statunitensi «hanno utilizzato la mafia anche a scopi bellici, per assicurarsi un’invasione indisturbata della Sicilia (a fin di bene, in quel caso, perlomeno rispetto al contrasto del nazifascismo)». I rapporti tra gli Usa e Cosa Nostra sono sempre stati organici, dice Carpeoro: «Non a caso Andreotti, nel suo processo d’appello, per ottenere l’assoluzione ha citato come testimoni consoli, diplomatici e alti dirigenti degli Stati Uniti d’America». I politici uccisi dalla mafia, da Salvo Lima a Piersanti Mattarella? «Alcuni erano obiettivi tattici, cioè davano fastidio in quel momento; altri erano obiettivi strategici, cioè rappresentavano battaglie da dissuadere fin dall’inizio». Dipende dalle circostanze, dal periodo: «Ci sono stati dei momenti in cui alla mafia è convenuto essere meno visibile, e altri momenti in cui la mafia ha valutato invece che riaffermare le proprie prerogative sul territorio comportasse una certa visibilità».Cosa conteneva la famosa Agenda Rossa di Borsellino? «Elementi delle sue indagini, credo», ipotizza Carpeoro. «Non penso fosse arrivato a indicazioni generali; credo abbia indagato sui rapporti tra la mafia e una certa politica siciliana, e che fosse andato molto avanti, in questa direzione. Non scordiamoci che quel tipo di politica, in realtà, è indispensabile per vincere le elezioni, in Sicilia: quel tipo di politica utilizza anche la mafia, il voto di scambio, tant’è vero che troviamo continuamente casi di politici siciliani coinvolti». Storicamente, continua Carpeoro, la mafia in Sicilia è stata sempre collegata alla Democrazia Cristiana: «Quindi, basta andare appresso agli ex democristiani e si trovano le radici del problema. Borsellino poi indagò anche su Forza Italia, ma perché Forza Italia, in Sicilia, per vincere le elezioni si fece infiltrare da quel tipo di politica democristiana». Le indagini di Borsellino potevano illuminare anche i retroscena della grande svendita finanziaria dell’Italia? «Quelle sono logiche che poi si sono sovrapposte, nel potere. Esistono logiche generali e logiche locali; a volte queste logiche coincidono, e allora si creano questi coaguli di pressione».Il pentito Vincenzo Calcara parla della mafia come di una “entità” accanto ad altre, come la massoneria e il Vaticano. «Tutto ciò che gestisce potere, alla fine, finisce nel tritacarne», insiste Carpeoro: «Tutto il tritato generale della nostra vita civile è fatto di tante componenti; nel momento in cui un certo modo di fare politica ha infiltrato anche la massoneria, la stessa massoneria (almeno quella locale, non so quella nazionale) è diventata uno dei gangli di questo schema di potere. D’altro canto, la stessa massoneria internazionale si è resa “fruibile”, da parte di meccanismi di potere, quindi la cosa non mi meraviglia minimanente». Mafia Capitale a Roma? «Interpretare il termine “mafia” in senso estensivo, cioè riferibile a qualunque associazione criminale, è possibile in linea teorica ma non so quanto sia utile sul piano pratico: perché la mafia, pur essendo diventata di portata ultra-nazionale, è pur sempre un fenomeno molto radicato su territori». La mafia siciliana come prodotto dell’Italia unita? «Cerchiamo di capirci: tutti quelli che collegano la mafia all’Unità d’Italia dicono un cazzata», sostiene Carpeoro, sottolineando che, prima dell’Unità d’Italia, nel Meridione, il potere era in mano ai latifondisti, i cosiddetti baroni, con i loro temutissimi “camperi”.«Il principale alleato del barone era il capobastone del posto», ricorda Carpeoro, «perché la polizia borbonica non era così efficiente e ramificata da garantire l’ordine pubblico. E quindi in ogni paese c’era uno – più furbo, più arrogante, più violento, magari anche dotato di un certo magnetismo nei confronti di coloro che formavano la sua banda – che garantiva ai latifondisti l’esercizio di un potere incontrastato e lo sfruttamento indisturbato delle altre persone. Questa era già mafia», inutile negarlo. Nel momento in cui si crea l’Unità d’Italia, poi, la mafia diventa brigantaggio, «nella dissidenza di quelli a cui il potere è stato tolto». Ma attenzione: «C’è anche una vasta area di trasformazione e di coesione di questi vecchi sistemi nei confronti del nuovo assetto politico: per cui, poi, si creerà il nuovo asse, sul territorio, tra il potere politico e la mafia». Nell’atroce storia mafiosa, suscitano orrore delitti come l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, il ragazzino rapito a 13 anni e poi, dopo oltre 700 giorni di prigionia, ucciso da Brusca e altri complici, che ne sciolsero il corpo nell’acido. «Come leggere un delitto di questo tipo? Come una barbarie, ricollegabile al basso livello della manovalanza mafiosa – basso livello da ogni punto di vista: non solo etico, ma anche pratico e strategico». Eppure, sottolinea Carpeoro, bisogna ricordarsi che la mafia di Brusca e Riina è stata usata e incorporata nello schema di potere dell’Uomo Nero, quello che fa in modo che ce la prendiamo sempre con qualcuno, non con il sistema stesso. E’ così che il gioco è destinato a non finire.Totò Riina? E’ stato un progetto di potere, inserito in uno schema. «Dobbiamo immaginare lo schema del potere come una specie di enorme tritacarne. Lo scopo del potere è realizzare la carne tritata. E’ indifferente di chi sia, la carne, nel senso che poi il potere utilizza di volta in volta schemi, persone, associazioni». E in Sicilia, storicamente, il potere ha utilizzato la mafia. Parola di Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” e del nuovissimo “Il compasso, il fascio e la mitra”, che illumina i retroscena dell’origine del fascismo. «Sicuramente – dice – Riina ha risposto allo schema generale del potere, che di volta in volta attiva i personaggi che gli sono funzionali». L’ex super-boss di Corleone è stato accusato di oltre 100 omicidi? «Era il capo, di basso livello, di una associazione criminale che ha commesso quegli omicidi, ma che rispondeva comunque a uno schema di ordine superiore». Ingranaggi di un meccanismo infernale: quei personaggi che stanno al di sopra di Riina hanno certamente preordinato le varie azioni, «ma anche loro sono burattini, in mano a uno schema astratto». Semplice manovalanza criminale, Riina? «Sì, e anche di basso livello, oserei dire», afferma Carpeoro, in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. La narrativa sul “boss dei boss”? In parte, creata solo per depistare l’opinione pubblica: la fabbricazione dell’Uomo Nero, l’incarnazione del male.
-
Rivoluzione d’Ottobre, oggi, per demolire il potere dell’élite
La Rivoluzione d’Ottobre è la più importante rivoluzione dell’epoca moderna. Finora almeno, aggiungo con un moto di ottimismo. Il 25 ottobre 1917, calendario giuliano, la questione sociale ed il rifiuto della guerra presero il potere in Russia, dando avvio ad un colossale percorso di liberazione dell’umanità. Nonostante gli errori e gli orrori dello stalinismo, l’Unione Sovietica è stata determinante nella sconfitta del nazifascismo e nell’avvio di un’epoca di progresso sociale e di liberazione dei popoli in tutto il mondo, epoca che è durata alcuni decenni, fino agli anni ottanta del secolo scorso. La portata storica generale della Rivoluzione di Ottobre si misura ancora di più nel mondo attuale, ove un capitalismo che non ha più paura del nemico sta mostrando tutta la sua ingorda follia. Non è vero che l’Ottobre abbia esaurito la sua spinta propulsiva, come fu detto quasi 40 anni fa. Anche nella portata della controrivoluzione liberista si misura la forza della rivoluzione sovietica. Quando scoppia una rivoluzione? Secondo Lenin quando le classi dominanti non possono più governare come sempre han governato e le classi subalterne non vogliono più vivere come sempre hanno vissuto. Con questo concetto, si vuole chiarire che le condizioni della rivoluzione siano sia la crisi generale del sistema di potere dominante, sia l’esplodere della soggettività delle masse.Noi oggi viviamo in un sistema economico e politico che ha esaurito tutte le proprie capacità riformiste. Un sistema incapace di qualsiasi vera mediazione sociale, chiuso in sé stesso e nelle sue élites. Un sistema non riformabile. Nel 1914 l’Europa si suicidò con la Prima Guerra Mondiale, una sporca inutile strage che non solo distrusse milioni di vite, ma anche quella che allora era la sinistra, la socialdemocrazia, che nella sua maggioranza tradì sé stessa e chi rappresentava approvando il massacro. Oggi l’Europa si sta suicidando con le politiche di austerità governate dalla Ue, politiche che fanno guerra sociale ai popoli e che hanno visto la stessa distruzione della sinistra ufficiale, che quelle politiche ha approvato e gestito. Oggi torna la necessità di rotture rivoluzionarie, che qui in Europa viene annunciata da crisi politiche diffuse e da una rabbia di massa, che viene espressa in varie e anche opposte forme con quello che oggi viene genericamente definito populismo. La crisi delle classi dominanti non ha ancora dispiegato tutta la sua portata, esse sono ancora capaci di coinvolgere nel proprio potere una parte degli oppressi e soprattutto delle loro rappresentanze. Tuttavia il logoramento del sistema avanza e le rotture avvengono, come sempre partendo dai punti più deboli.Le rivoluzioni le scatenano le masse e nessun surrogato è possibile di esse. Ma questo non significa che si debba stare con le mani in mano. Innanzitutto bisogna cogliere e capire le linee di rottura rivoluzionaria. Che proprio per il concetto stesso di rivoluzione sono sempre diverse da quanto normalmente si presenti sulla scena politica, sono rivoluzioni appunto. Qual era l’argomentazione di fondo dei menscevichi contro Lenin e Trotsky? Che non si dovesse far fare salti alla storia e che in Russia non ci fossero le condizioni oggettive per la rivoluzione. Oggi i neo menscevichi delle varie anime della sinistra usano gli stessi argomenti per giustificare Tsipras in Grecia: e come poteva lui da solo andare contro tutta l’Europa? Oppure per condannare senza appello la Catalogna: cosa c’entra quella mobilitazione popolare per l’indipendenza con la giusta lotta di classe? Oppure per non rompere con Ue e Nato: non sapete che disastro se ci isoliamo da quelle strutture, che in fondo ci tutelano da rischi peggiori?Tutte queste argomentazioni sono piene di parziali verità, ma assieme costituiscono un’unica menzogna. La menzogna è che si debba attendere una evoluzione di tutto il mondo verso momenti migliori, per il cambiamento. Questa evoluzione non esiste, o si arriva ad un processo rivoluzionario, o si precipita nella barbarie verso cui già stiamo scivolando. Lenin e Marx erano prima di tutto dei geni rivoluzionari e in quanto tali dei giganteschi scienziati sociali. Essi non attendevano la conferma delle proprie teorie, ma le verificavano nella rottura rivoluzionaria reale. Marx auspicò che la comunità contadina russa fosse alla base di una rivoluzione sociale, che in quel paese saltasse alcune fasi dello sviluppo capitalistico. Lenin mise in pratica quella intuizione adottando la parola d’ordine populista della terra ai contadini, che i bolscevichi avevano fieramente avversato, senza la quale non avrebbe vinto la guerra rivoluzionaria contro le armate bianche finanziate da tutto l’Occidente. Le rivoluzioni ci spiazzano sempre, proprio perché esse nascono dalla necessità delle masse. Esse per loro natura sono la rottura della politica consolidata, in tutte le sue espressioni.La soggettività rivoluzionaria si misura proprio in quel momento. Se essa è vera e sufficientemente preparata e forte, allora può svolgere il ruolo necessario di direzione del processo, che se ne avvantaggia. Se non lo è allora la rivoluzione va per conto suo, nel bene o nel male, e lascia le “avanguardie” a dare rancorosi voti alla storia. Per questo oggi io sento più attuale che mai la lezione dell’Ottobre sovietico. Quando il sistema è bloccato prima o poi le rivoluzioni esplodono e compito dei veri rivoluzionari è capire ciò che accade e provare a governarlo. Governarlo verso il consolidamento della rottura rivoluzionaria, anche se essa non corrisponde a quanto previsto dai manuali delle giovani marmotte marxiste leniniste, anche se essa non avviene dove si sperava e nel modo e con le dimensione e che si sperava. Perché l’alternativa alla rivoluzione non è un cambiamento più lento e più sicuro, ma la reazione, la regressione brutale. Per questo oggi più che mai dobbiamo prima di tutto essere grati a coloro che nel 1917 hanno dato l’assalto al cielo. E farci carico delle necessità rivoluzionarie del presente.(Giorgio Cremaschi, “L’attualità della Rivoluzione d’Ottobre”, da “Micromega” dell’8 novembre 2017).La Rivoluzione d’Ottobre è la più importante rivoluzione dell’epoca moderna. Finora almeno, aggiungo con un moto di ottimismo. Il 25 ottobre 1917, calendario giuliano, la questione sociale ed il rifiuto della guerra presero il potere in Russia, dando avvio ad un colossale percorso di liberazione dell’umanità. Nonostante gli errori e gli orrori dello stalinismo, l’Unione Sovietica è stata determinante nella sconfitta del nazifascismo e nell’avvio di un’epoca di progresso sociale e di liberazione dei popoli in tutto il mondo, epoca che è durata alcuni decenni, fino agli anni ottanta del secolo scorso. La portata storica generale della Rivoluzione di Ottobre si misura ancora di più nel mondo attuale, ove un capitalismo che non ha più paura del nemico sta mostrando tutta la sua ingorda follia. Non è vero che l’Ottobre abbia esaurito la sua spinta propulsiva, come fu detto quasi 40 anni fa. Anche nella portata della controrivoluzione liberista si misura la forza della rivoluzione sovietica. Quando scoppia una rivoluzione? Secondo Lenin quando le classi dominanti non possono più governare come sempre han governato e le classi subalterne non vogliono più vivere come sempre hanno vissuto. Con questo concetto, si vuole chiarire che le condizioni della rivoluzione siano sia la crisi generale del sistema di potere dominante, sia l’esplodere della soggettività delle masse.
-
Magaldi: dite a Civati che i big progressisti erano massoni
Massoni? No, grazie. «Mi sarebbe piaciuto dibattere con Massimo D’Alema, che credo abbia molte responsabilità nella perdita di credibilità delle politiche progressiste nel nostro paese, essendo stato l’interprete italiano della pessima “terza via” altrove declinata da Blair e Clinton, poi sposata dal sedicente centrosinistra». Ma Gioele Magaldi non avrà l’onore di discutere con D’Alema, a Londra: entrambi non saranno presenti al dibattito promosso da esponenti della sinistra italiana anti-Renzi di stanza nella capitale inglese, alle prese con «una sorta di manifesto per rinnovare la politica italiana, come se la rigenerazione della politica debba passare per forza per la rigenerazione della sinistra, anziché della democrazia, cioè dell’interesse del popolo». L’irritazione di Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, nasce dal “niet” sulla sua presenza giunto da Pippo Civati: Magaldi lasciamolo a casa, perché è massone. «Il tutto, dopo settimane di collaborazione tra civatiani e “rooseveltiani” londinesi». Ma sa di cosa parla, Civati? E’ estremanente diretto, Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”: si rende conto, l’onorevole Civati, che erano massoni tutti i fondatori dell’Italia nonché il presidente della commissione che partorì il testo della Costituzione repubblicana, Meuccio Ruini?Pietra dello scandalo, la polemica accesa da Magaldi contro la “caccia alle streghe” della Commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi con accanto il suo vice Claudio Fava, «che nei mesi scorsi ha chiesto le liste dei massoni per valutare presunte infiltrazioni mafiose». Ha protestato il gran maestro del Goi, Stefano Bisi: ma perché non si chiedono anche le liste degli iscritti a partiti, sindacati e associazioni varie? «Una volta tanto ne ha detta una giusta anche Bisi», dice Magaldi, mai tenero col Grande Oriente d’Italia. «Evidentemente c’è una cultura massonofobica, di grande ignoranza e grande pregiudizio», sostiene Magaldi, «tant’è che Claudio Fava è stato anche uno degli estensori di una proposta di legge liberticida, che sarà cassata come incostituzionale fintanto che l’Italia resterà un paese democratico: si vorrebbe vietare ai massoni di ricoprire incarichi pubblici». Per Magaldi, una discriminazione inaccettabile e pericolosa: «Il massone “buono” è sempre quello segreto e occulto, se invece sei un massone a viso aperto devi essere discriminato». Magaldi, peraltro, non è indulgente nemmeno con i “fratelli” in grembiulino: ne ha messi alla berlina a decine, nel bestseller “Massoni” pubblicato da Chiarelettere a fine 2014, un libro che denuncia i maneggi delle Ur-Lodges, le superlogge al vertice del potere mondiale.L’incidente diplomatico di Londra? Non privo di retroscena movimentati: «Ho rifiutato subito la location, una sala intitolata a Karl Marx», dice Magaldi: «Rispetto Marx come analista economico e grande filosofo, ma aborro l’ideologia marxista perché autoritaria, non democratica, foriera di esiti totalitari e liberticidi». Tra i promotori dell’incontro, oltre a Marco Moiso, coordinatore del Movimento Roosevelt, i “terminali” britannici delle svariate “famiglie” italiane della neo-sinistra antirenziana: dai citaviani di “Possibile” fino al soggetto politico di Anna Falcone e Tomaso Montanari (teatro Brancaccio), fino ad “Articolo 1 Mdp” (D’Alema, Bersani e Speranza). Tra i volti nuovi, una giovane di talento come Rosa Fioravante, legata alla fondazione ItalianiEuropei di Massimo D’Alema. «Lavorando con Moiso – dice Magaldi – hanno gustato il cibo sapido della proposta ideologica “rooseveltiana”: il loro manifesto era insipido, noioso e verboso, tipico di chi pensa di recuperare categorie ottocentesche nella contrapposizione tra capitale e lavoro». In più, la Fioravante ha appena pubblicato un post “rooseveltiano” contro l’ideologia neoliberista della “fine dello Stato”. E s’è messa pure a parlare di Olof Palme, il leader svedese assassinato nel 1986, cui il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano, a febbraio.«A proposito: Rita Fioravante e i suoi sapevano che Olof Palme era un illustre massone, oltre che un politico progressista?». Massone, proprio come Magaldi e gli altri, che Civati vorrebbe mettere alla porta. «Noi parliamo da mesi, di Olof Palme, il convegno di Milano servirà a risvegliare i valori socialisti», annuncia Magaldi. «E adesso arriva costei, la Fioravante, e scrive un pezzo proprio su Olof Palme». Strana contaminazione culturale, a tempo di record? E la “fatwa” di Civati sull’ingombrate Magaldi, messo alla porta come massone? «Ci sarà rimasto male: una volta, richiesto di un parere su di lui, ho detto che non mi sembrava un fulmine di guerra», ammette il fondatore del Movimento Roosevelt. «Del resto, il suo consigliere economico all’epoca della battaglia per la segreteria Pd passò armi e bagagli con Renzi: quanto poteva divergere la politica economica di Civati da quella di Renzi? Poi Civati ha contrasato il Jobs Act renziano, è vero. Ma non è che prima del Jobs Act avessimo la piena occupazione, in Italia: la crisi dura da 25 anni, questo è un paese in declino». E poi: qual è la visione democratica e liberale della cittadinanza, per il “massonofobico” Civati?«Non è possibile una persona che rappresenta le istituzioni (Civati è tuttora deputato), dopo aver elaborato con i suoi un programma comune per un evento comune a Londra, dica, ipocritamente: non vado a un incontro con Magaldi perché è massone». Un giudizio netto, da Magaldi: «C’è ipocrisia, perché Civati sapeva benissimo che io fossi massone. E c’è ignoranza, perché mi dicono che Civati sia laureato in filosofia rinascimentale. Spero che non abbia studiato sui Bignami e che abbia qualche cognizione dell’esoterismo rinascimentale che poi si istituzionalizza tra ‘600 e ‘700 e diventa massoneria». Infierisce Magaldi: «Dato che mi pare sia tra quanti vogliono difendere la Costituzione e attuarla a dovere, spero che Civati sappia, per esempio, che il presidente della “commissione dei 75” che ha redatto il testo costituzionale, Meuccio Ruini, era un noto e conclamato massone». Senza contare, aggiunge, che i padri della patria italiana, «quelli che hanno fatto sì che Civati non sia nato nel regno lombardo-veneto ma in Italia», erano tutti massoni.Era massone Giuseppe Garibaldi, primo gran maestro del Grande Oriente d’Italia, e così Cavour, Mazzini e i tanti patrioti, anche lombardi, che si distinsero sin dalle “giornate di Milano” per il loro patriottismo e per la loro militanza massonica e carbonara. Insiste Magaldi, sempre a “Colors Radio”: «Civati non avrebbe dibattuto con il padre della patria Meuccio Ruini? Non avrebbe dibattuto con colui che ha liberato l’Europa dal nazifascismo, Franklin Delano Roosevelt, massone conclamato al pari di Eleanor Roosevelt, madrina dei diritti umani? E non avrebbe collaborato, Civati, con Martin Luther King, Gandhi o Arthur Meier Schlesinger, l’ideologo della New Frontier kennediana? E ancora: non avrebbe interoquito con John Maynard Keynes, le cui teorie economiche sono alla base della socialdemocrazia europea?». A Civati, Magaldi addebita «ignoranza e insipienza storico-critica». Spiacevole, per «un parlamentare laureato in filosofia, che ignora il ruolo dell’esoterismo rinascimentale e poi massonico nell’elaborazione dei valori di democrazia e libertà, e si permette il lusso di porre una discriminante verso qualcuno per ragioni di appartenza spirituale, filosofica, meta-religiosa».Massoni? No, grazie. «Mi sarebbe piaciuto dibattere con Massimo D’Alema, che credo abbia molte responsabilità nella perdita di credibilità delle politiche progressiste nel nostro paese, essendo stato l’interprete italiano della pessima “terza via” altrove declinata da Blair e Clinton, poi sposata dal sedicente centrosinistra». Ma Gioele Magaldi non avrà l’onore di discutere con D’Alema, a Londra: entrambi non saranno presenti al dibattito promosso da esponenti della sinistra italiana anti-Renzi di stanza nella capitale inglese, alle prese con «una sorta di manifesto per rinnovare la politica italiana, come se la rigenerazione della politica debba passare per forza per la rigenerazione della sinistra, anziché della democrazia, cioè dell’interesse del popolo». L’irritazione di Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, nasce dal “niet” sulla sua presenza giunto da Pippo Civati: Magaldi lasciamolo a casa, perché è massone. «Il tutto, dopo settimane di collaborazione tra civatiani e “rooseveltiani” londinesi». Ma sa di cosa parla, Civati? E’ estremanente diretto, Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”: si rende conto, l’onorevole Civati, che erano massoni tutti i fondatori dell’Italia nonché il presidente della commissione che partorì il testo della Costituzione repubblicana, Meuccio Ruini?
-
Magaldi: Barcellona sbaglia, ma Rajoy è un perfetto cialtrone
Senza fare arresti, senza mandare la polizia a picchiare nessuno, senza rievocare le ombre dell’autoritarismo franchista, bastava dire: questo referendum è incostituzionale, quindi lo consideriamo non valido ed eventualmente lo sanzioneremo nelle sedi opportune, ma intanto si svolga pure. Questo avrebbe detto un governo forte, democratico, sereno, se appunto a Madrid ci fosse stato un esecutivo degno, liberale, che avesse a cuore l’integrità della Spagna. Invece c’è Mariano Rajoy, che ha condotto una conferenza stampa che faceva ridere i polli e faceva venir voglia di prenderlo a schiaffi: non è vero che non è successo nulla, a Barcellona, eppure Rajoy è arrivato a negare che si sia svolto il referendum. Peraltro la gente ha votato lo stesso: il 95% dei seggi sono rimasti aperti, nonostante i “robocop” inviati da Madrid. Guai a chi si serve delle forze di polizia (costrette a eseguire ordini) per bastonare la gente che si riunisce per esprimere un parere, costituzionale o meno. E guai a quel cialtrone di Mariano Rajoy, che non è nemmeno legittimato da un voto popolare certo. Rajoy è un politico nefasto: prima la Spagna se lo toglie di torno, e meglio è. Nessuno vuole più vedere le scene vergognose cui abbiamo assistito in televisione nelle ultime ore. Non vogliamo più vedere i manganelli, i calci e i pugni su cittadini che manifestano pacificamente.La Spagna non prevede la clausola di secessione: il referendum ha un valore politico. Ovvio che alle volte si forzano le cose, ma occorre avere un metodo di osservazione più sereno. Le istituzioni della Catalogna pongono un problema. Dicono: riteniamo ci sia una forte maggioranza popolare che vuole staccarsi dalla Spagna. Questo è incostituzionale, quindi sul piano formale avrebbe buon gioco il governo di Madrid, ma il problema politico resta. Forse, con un po’ di buon senso, questa storia potrebbe essere risolta attraverso un dialogo politico che metta a punto ancor meglio i termini dell’autonomia di Barcellona. Agli amici catalani che soffiano sul fuoco di questa indipendenza a tutti i costi voglio dire: calma e gesso, rifletteteci su, perché magari ci sono altre priorità, anche per la Catalogna e per quei cittadini di ogni provenienza culturale, etnica, sociale e linguistica che abitano la Catalogna. Perché questa visione del popolo catalano che anela all’autodeterminazione e all’affrancamento dalla Spagna egemonizzata dalla Castiglia è francamente dubbia e molto opaca: la Catalogna è una regione floridissima, ha una tradizione politica anche molto importante, è stata in primo piano nella guerra civile spagnola.Non so se questo scontro sia raccontabile in termini poetici, ferma restando la condanna del modo maldestro – e anche un po’ infame – con cui il governo centrale ha represso la convocazione (magari illegale, ma pacifica) del referendum. La Catalogna è stata sicuramente umiliata e repressa nelle sue istanze di autonomia (che è cosa diversa dalla secessione) durante il regime franchista, ma poi ha ottenuto amplissime autonomie – culturali, linguistiche, politiche. Allora cos’è questo desiderio di affrancarsi dalla Spagna? Un’anelito democratico di autodeterminazione del popolo? Anche quella spagnola è una lunga storia di sedimentazioni e contaminazioni: non vivono solo catalani, a Barcellona. Ricordiamoci che la Catalogna è la regione più ricca della Spagna: magari qualcuno soffia sul fuoco dell’indipendenza perché vuole gestirsi un po’ più di denari. Ci saranno anche tanti che vivono il sogno della nazione catalana indipendente dalla Spagna castigliana. Ma in un mondo come il nostro, dove i problemi sono altri, dovremmo forse riuscire a stare più uniti, tutti, in Europa, in forme nuove rispetto a quelle dell’attuale Disunione Europea. Uniti sapremmo meglio affrontare la globalizzazione e trasformarla in glocalizzazione, cioè qualcosa che metta insieme il bello della contaminazione globale con il rispetto delle tradizioni e delle eccellenze locali.Voci sull’apparenza di Rajoy alla superloggia Pan-Europa? Non mi risulta che ne faccia parte. In ogni caso, per come è maldestro, se mai fosse stato affiliato a qualche Ur-Lodge, credo che i suoi “fratelli” a – anche quelli che io considero contro-iniziati – presto o tardi lo caccerebbero a calci del sedere, perché una gestione come la sua non fa buon gioco nemmeno alle mire (che io combatto) dei massoni organizzati in superlogge sovranazionali. La Pan-Europa è collegata all’omonimo progetto di Richard Coudenhove-Kalergi, politico e filosofo austriaco. Negli anni ‘20 e ‘30 concepisce un’idea di Europa unita, ma in termini generici, contrapponendosi al nazionalismo e alla xenofobia di matrice fascio-nazista. Nel dopoguerra, esaurito il pericolo nazifascista (che aveva attirato su quel progretto anche dei progressisti), Kalergi getta la maschera e diventa, insieme a Jean Monnet, l’architetto principale di un’Europa neo-feudale e tecnocratica. Un’Europa che si fonda su presupposti economicistici quasi riproponendo un modello da Sacro Romano Impero, con una gerarchia di nuovi feudatari, incarnati in questo caso da tecnocrati. Uomini che rispondono peraltro a interessi privati: perché c’è una gerarchia occulta, dietro i rappresentati delle istituzioni non-elettive europee.Kalergi è questo, e la Pan-Europa è la superloggia in cui lui elabora queste idee, e che poi affilia personaggi importanti del secondo ‘900. Tuttora la Pan-Europa è uno dei maggiori puntelli di questa cattiva gestione dell’Europa, che anziché integrazione porta a una sempre maggior disunione. Il modello da opporre a Kalergi, a Monnet e a tutti costoro che hanno messo insieme la retorica economicistica e quella tecnocratica è il ritorno alla sovranità degli Stati: nazioni che poi possano un giorno riavviare un processo eventualmente federativo partendo dal basso, dall’ascolto dei propri popoli. Oppure – e le cose possono anche andare di pari passo – l’altra possibilità è la proposizione di una Costituzione Europea, che passi per la discussione e l’approvazione da parte del popolo europeo, che può governarsi attraverso una Costituzione politica e non può certo essere governato attraverso trattati stipulati sulla testa dell’interesse popolare. Rajoy? Ha semplicemente svolto un ruolo simile a quello dei tecnocrati, in questa stagione di austerity europea. Della Spagna si occupa Rajoy, che ha anche emanato una serie di leggi liberticide, reprimendo le libertà di manifestazione e di protesta. Capiremo meglio nei prossimi tempi quali “manine” comunque si muovano, e quali eventuali progetti “ultronei”, ulteriori, stiano dietro questa faccenda. Una storia che ha non pochi lati ancora da comprendere, e forse anche da rivelare all’opinione pubblica(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli di “Colors Radio” nella diretta del 2 ottobre 2017 della trasmissione “Massoneria on Air”).Senza fare arresti, senza mandare la polizia a picchiare nessuno, senza rievocare le ombre dell’autoritarismo franchista, bastava dire: questo referendum è incostituzionale, quindi lo consideriamo non valido ed eventualmente lo sanzioneremo nelle sedi opportune, ma intanto si svolga pure. Questo avrebbe detto un governo forte, democratico, sereno, se appunto a Madrid ci fosse stato un esecutivo serio, degno e liberale, che avesse a cuore l’integrità della Spagna. Invece c’è Mariano Rajoy, che ha condotto una conferenza stampa che faceva ridere i polli e faceva venir voglia di prenderlo a schiaffi: non è vero che non è successo nulla, a Barcellona, eppure Rajoy è arrivato a negare che si sia svolto il referendum. Peraltro la gente ha votato lo stesso: il 95% dei seggi sono rimasti aperti, nonostante i “robocop” inviati da Madrid. Guai a chi si serve delle forze di polizia (costrette a eseguire ordini) per bastonare la gente che si riunisce per esprimere un parere, costituzionale o meno. E guai a quel cialtrone di Mariano Rajoy, che non è nemmeno legittimato da un voto popolare certo. Rajoy è un politico nefasto: prima la Spagna se lo toglie di torno, e meglio è. Nessuno vuole più vedere le scene vergognose cui abbiamo assistito in televisione nelle ultime ore. Non vogliamo più vedere i manganelli, i calci e i pugni su cittadini che manifestano pacificamente.
-
Omicidi e stragi, la guerra segreta degli inglesi contro l’Italia
“Colonia Italia”. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top secret di Londra. Sono cose che dobbiamo sapere. Quando si pensa alle ingerenze dall’estero nei confronti del nostro paese si pensa sempre agli Stati Uniti d’America. Ma basta aprire una cartina geografica e vedere dov’è l’Inghilterra, un’isola del Nord Europa, e dove sono stati per molti decenni – a ancora oggi – i suoi interessi economici, strategici, militari. In Nord Africa, nel Medio Oriente e in Estremo Oriente. E cosa c’è tra la Gran Bretagna e i suoi interessi? C’è il Mediterraneo e, al centro del Mediterraneo, l’Italia. Quindi già dai tempi del Risorgimento, l’Italia per la Gran Bretagna era una postazione di fondamentale importanza, attraverso la quale poteva controllare i suoi domini e le sue rotte marittime. Poi l’Italia perde la Seconda Guerra Mondiale e, tra Gran Bretagna e Stati Uniti, c’è una visione molto conflittuale sul problema Italia: per gli Stati Uniti noi eravamo un paese cobelligerante, cioè che si era autoliberato dal nazifascismo combattendo al fianco degli alleati. Per la Gran Bretagna invece noi eravamo un paese sconfitto tout-court. Punto e basta. Quindi un paese soggetto ai vincoli, imposti attraverso trattati internazionali, dalle potenze vincitrici alle nazioni sconfitte.Questo ha determinato il corso degli eventi della storia successiva, praticamente fino ai giorni nostri. Al tavolo della pace, quando le grandi potenze vincitrici cominciarono a spartirsi il mondo in aree di influenza, all’interno del campo atlantico la Gran Bretagna pretese e ottenne, dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica, una sorta di diritto di supervisione sull’Italia. Quindi l’Italia, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, è paese che appartiene all’area di influenza britannica. C’è una differenza importante tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Gli Usa hanno combattuto anche in Italia una guerra contro il comunismo. La Gran Bretagna non ha combattuto solo quella, ma anche una guerra contro l’Italia, in modo particolare contro quella parte della classe dirigente italiana del secondo dopoguerra – penso ai De Gasperi, ai Mattei, ai Fanfani, ai Vanoni fino ad Aldo Moro, sovranista – cioè, che pur nel contesto di un’alleanza internazionale, l’alleanza atlantica, si muoveva con una propria visione sulla base di un proprio interesse nazionale. Era l’Italia del dopoguerra, uscita a pezzi, che però voleva crescere, riprendersi, ricostruire le proprie istituzioni, il proprio sistema economico. E per poterlo fare aveva bisogno di quella materia prima che è il sangue, l’ossigeno per ogni sistema, e cioè il petrolio, l’energia. Questo è stato all’origine di un conflitto con la Gran Bretagna che dura ancora oggi.La Gran Bretagna, che ha esercitato un controllo pressoché assoluto sul nostro sistema di informazione, ha usato la stampa, i giornali, gli opinion leader, gli intellettuali per orientare l’opinione pubblica e tentare di condizionare le scelte politiche dei partiti e dei governi. Una di queste grandi scelte su cui la Gran Bretagna ha tentato di condizionarci è stata la politica mediterranea, la politica energetica e petrolifera dell’Italia. De Gasperi, presidente del Consiglio nel 1953, aveva il mandato britannico di sciogliere l’Agip. Mattei, nel 1953, era stato messo alla presidenza dell’Agip per scioglierla. E invece di sciogliere l’Agip lui fondò l’Eni, grazie anche a un decreto di De Gasperi. E dopo aver fondato l’Eni, Mattei cominciò ad attuare una propria politica. Non era accettata l’Italia di Mattei, dell’Eni, al tavolo delle grandi compagnie internazionali, in modo particolare di quelle britanniche, con pari dignità. Era ammessa a sedersi, tutt’al più, su uno strapuntino, ma Mattei e l’Italia di quegli anni non volevano assolutamente dipendere dal punto di vista energetico dalla Gran Bretagna. Per cui cercarono autonomamente le fonti di approvvigionamento, offrendo ai paesi produttori di petrolio, che erano quasi tutti controllati dalle compagnie britanniche, condizioni più favorevoli.C’era la famosa regola del fifty-fifty: 50% ai produttori, 50% alle compagnie petrolifere straniere. Questa era una regola imposta dalle “sette sorelle”. Mattei cambiò le regole dello scambio, proponendo il 25% alle compagnie e il 75% ai produttori: i paesi produttori trovarono più conveniente fare affari con l’Italia che non con la Gran Bretagna. Questo disturbò parecchio gli inglesi. La rivelazione di questo libro è l’esistenza di una vera e propria macchina della propaganda occulta britannica. E questa macchina venne scagliata contro De Gasperi e contro il suo erede politico Attilio Piccioni, attraverso la macchina del fango. De Gasperi venne coinvolto in uno scandalo, il famoso scandalo Guareschi – De Gasperi delle lettere che poi risultarono false, fabbricate dalla propaganda occulta inglese, e Piccioni venne coinvolto in un altro scandalo, quello famosissimo di Wilma Montesi, la ragazza trovata morta su una spiaggia di Tor Vaianica. Il figlio, Piero Piccioni, venne coinvolto in quello scandalo; e il padre, ministro degli esteri, sodale di De Gasperi e protettore di Enrico Mattei, venne travolto da quell’ondata di fango. Poi lo scandalo si rivelò infondato, perché le responsabilità del figlio di Piccioni non erano quelle che la campagna ispirata dalla macchina occulta britannica gli aveva attribuito, tant’è che Piero Piccioni qualche anno dopo fu prosciolto, risultò innocente.Questo è solo un esempio di come la Gran Bretagna è intervenuta pesantemente nelle nostre vicende interne, e adesso ho citato due episodi che sono collegati alla guerra specifica energetico-petrolifera. L’Iran di Mohammad Mosaddeq, primo ministro, aveva nazionalizzato il petrolio britannico. La Gran Bretagna reagì imponendo l’embargo, e l’Italia dell’Eni e di De Gasperi violò quell’embargo. Winston Churchill, allora premier britannico – nel libro ci sono dei documenti desecretati inglesi – ordinò ai suoi apparati di “dare una lezione” agli italiani, perché avevano osato violare l’embargo imposto dagli inglesi contro l’Iran. Sono emersi nuovi documenti sulla guerra scatenata dalla macchina della propaganda occulta contro Enrico Mattei. Attraverso la sua politica, Mattei emarginò progressivamente le compagnie che curavano gli interessi britannici, in aree che gli inglesi consideravano, per importanza – sto citando testualmente un documento – seconde soltanto alla Gran Bretagna stessa. Aree come la Libia, come l’Egitto, come l’Iran, come l’Iraq che per gli inglesi erano di vitale importanza. Mattei andò a ficcare il naso, con la sua politica, in queste zone, disturbando, anzi addirittura emarginando, nel corso degli anni, la presenza britannica.In questi documenti Mattei venne definito dagli inglesi – cito testualmente – «un pericolo mortale per gli interessi britannici nel mondo». E c’è un altro documento che fa venire la pelle d’oca. E’ del 1962. Gli inglesi dicono che Mattei «è una verruca, è un’escrescenza da rimuovere in ogni modo». Scrivono: «Abbiamo tentato di fermarlo in tutti i modi e non ci siamo riusciti: forse è giunto il momento di passare la pratica alla nostra intelligence». Sei mesi dopo, Enrico Mattei morì in un incidente aereo che oggi sappiamo con certezza, anche sul piano giudiziario, essere stato causato da un atto di sabotaggio. Aldo Moro? La vicenda Moro si colloca esattamente nello stesso contesto della vicenda di Enrico Mattei. Aldo Moro è stato l’erede della politica mediterranea di Mattei. Tra il 1969 e il 1975, Moro è stato l’ispiratore della politica estera italiana. Era ministro degli esteri in diversi governi, e riuscì a mettere a segno ulteriori colpi contro gli interessi inglesi. Certo, non è che gli italiani scherzassero, a loro volta. In Libia, nel 1969, con Moro ministro degli esteri, ci fu un colpo di Stato che rovesciò la monarchia filo-britannica e portò al potere il colonnello Muhammar Gheddafi, addestrato nelle accademie militari italiane. E’ vero che Gheddafi cacciò via gli italiani, ma subito dopo nazionalizzò il petrolio, che era controllato dalle compagnie britanniche, espulse dalla Libia le basi militari britanniche e iniziò un rapporto privilegiato con gli italiani, grazie al quale l’Italia conobbe un periodo di grande benessere economico.E poi, negli anni successivi, ci furono altri colpi messi a segno, come in Iraq, dove il regime nazionalista aveva espropriato, nazionalizzato il petrolio controllato dalle compagnie britanniche. E l’Eni era riuscita a penetrare anche lì, grazie ovviamente ai successori della politica energetica di Mattei, ma soprattutto grazie alla politica estera di Aldo Moro. Tra i documenti di “Colonia Italia“, ce n’è uno che veramente fa venire i brividi, riportato con tutti i suoi riferimenti archivistici, per cui chiunque voglia andare a controllare può farlo. Nel gennaio del 1969, il responsabile della macchina della propaganda occulta a Roma dice: «Attraverso la macchina della propaganda occulta non abbiamo ottenuto grandi risultati contro questa classe dirigente italiana». Quindi invita il suo governo: «Dobbiamo adottare altri metodi». Quali metodi? Questa parte del documento è oscurata ancora oggi. E’ ancora oggi coperta dal segreto. Io chiedo continuamente agli opinionisti, ai direttori dei giornali, alla stampa: ma perché non chiedete al governo britannico la desecretazione di quella parte del documento, in cui sono spiegati gli “altri metodi” da utilizzare contro l’Italia a partire dal 1969?Nel 1969 ci fu la strage di piazza Fontana e iniziò una stagione di sangue, lo stragismo, il terrorismo, che toccò il suo punto più alto con il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro. E anche qui c’è da dire qualcosa a proposito dell’intervento britannico. Nel 1976 – questo è provato, perché lo dicono gli stessi documenti inglesi desecretati e conservati nell’archivio di Stato di Kew Gardens, a disposizione di tutti – ci fu un tentativo di colpo di Stato organizzato o progettato dagli inglesi nei primi sei mesi del 1976 per bloccare la politica di Aldo Moro. Quel progetto venne sottoposto all’attenzione degli alleati francesi, tedeschi e americani. I francesi aderirono immediatamente, perché l’Italia era un concorrente temibile anche per i francesi, non solo per gli inglesi, mentre americani e tedeschi si mostrarono molto più scettici, e dissero agli inglesi: «Ma voi siete pazzi! Un colpo di Stato in Italia, a parte i contraccolpi negativi nell’opinione pubblica per l’alleanza atlantica, in Italia c’è una sinistra forte, c’è una organizzazione sindacale molto radicata, cioè ci sarebbe una reazione e quindi un bagno di sangue!»Gli inglesi allora misero da parte il progetto di un colpo di Stato vero e proprio, classico. Però c’è un altro documento, pubblicato nel libro. Scrivono: «Visto che non è possibile attuare un colpo di Stato militare classico, per l’opposizione di Germania e Stati Uniti, passiamo al piano-B». Qual era questo piano-B? Purtroppo, anche in questo caso, come nel documento che ho citato prima, c’è soltanto il titolo. E il titolo è agghiacciante. Testualmente: “Appoggio a una diversa azione sovversiva per bloccare Aldo Moro”. Quale poteva essere questa “azione sovversiva” naturalmente io non lo so, perché anche questa parte del documento è ancora oggi secretata, protetta dal segreto. A suo tempo venne oscurata persino agli americani e ai tedeschi. E anche in questo caso non mi trattengo dal chiedere agli opinionisti italiani, alla stampa italiana: siamo in un paese in cui rivendichiamo tutti i giorni verità e giustizia; beh, quando ci troviamo di fronte a documenti di questo tipo, ma che ci vuole a chiedere agli inglesi di desecretare anche questo documento per capire quale poteva essere la “diversa azione sovversiva” contro Moro?Magari non c’entra nulla con il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, le cui responsabilità ovviamente ricadono sulle Brigate Rosse italiane. Magari, attraverso la desecretazione di quel documento, scopriamo che la diversa azione sovversiva con cui gli inglesi volevano bloccare Aldo Moro era soltanto una scampagnata della regina Elisabetta in Italia… Ci sono due documenti drammatici, che segnano due fasi drammatiche della nostra storia: piazza Fontana e l’assassinio di Aldo Moro. Entrambi questi documenti sono incompleti. Sono ancora oggi secretati. E visto che la Gran Bretagna è un paese nostro amico, addirittura nostro alleato, sarebbe utile per noi sapere se questo paese amico ha avuto un qualche ruolo, oppure no, nella strage di piazza Fontana e nell’assassinio di Aldo Moro. Allo stato delle nostre ricerche, ho ragione di ritenere che oggi il controllo britannico sul nostro paese sia ancora più forte di prima.(Giovanni Fasanella, dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora il 12 novembre 2015 per la video-intervista “I documenti Uk che fanno gelare il sangue, da Enrico Mattei ad Aldo Moro”, pubblicata su “ByoBlu” per presentare il libro “Colonia Italia”, Chiarelettere – 483 pagine, euro 18,90 – che Fasanella ha scritto insieme a Mario José Cereghino. Il possibile ruolo occulto della Gran Bretagna nella “sovragestione” dell’Italia è tornato drammaticamente in primo piano nel febbraio 2016 con l’uccisione al Cairo del giovane Giulio Regeni, ingaggiato in Egitto da una Ong collegata all’università di Cambridge; secondo molte fonti indipendenti, tra cui l’ex inviato di “Panorama” Marco Gregoretti, il lavoro di Regeni sarebbe stato utilizzato dall’Mi6, il controspionaggio inglese. La stessa intelligence britannica, sempre secondo Gregoretti, avrebbe “sacrificato” Regeni, utilizzando killer egiziani, per creare un incidente diplomatico tra Italia ed Egitto in vista di un possibile intervento militare italiano in Libia. E Fulvio Grimaldi, ex giornalista Rai, segnala che l’Italia, tramite l’Eni, ha raggiunto un accordo strategico con l’Egitto per lo sfruttamento di un immenso giacimento di gas, nel Mediterraneo, in acque egiziane, fatto che ha sicuramente irritato e preoccupato gli inglesi).“Colonia Italia”. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top secret di Londra. Sono cose che dobbiamo sapere. Quando si pensa alle ingerenze dall’estero nei confronti del nostro paese si pensa sempre agli Stati Uniti d’America. Ma basta aprire una cartina geografica e vedere dov’è l’Inghilterra, un’isola del Nord Europa, e dove sono stati per molti decenni – a ancora oggi – i suoi interessi economici, strategici, militari. In Nord Africa, nel Medio Oriente e in Estremo Oriente. E cosa c’è tra la Gran Bretagna e i suoi interessi? C’è il Mediterraneo e, al centro del Mediterraneo, l’Italia. Quindi già dai tempi del Risorgimento, l’Italia per la Gran Bretagna era una postazione di fondamentale importanza, attraverso la quale poteva controllare i suoi domini e le sue rotte marittime. Poi l’Italia perde la Seconda Guerra Mondiale e, tra Gran Bretagna e Stati Uniti, c’è una visione molto conflittuale sul problema Italia: per gli Stati Uniti noi eravamo un paese cobelligerante, cioè che si era autoliberato dal nazifascismo combattendo al fianco degli alleati. Per la Gran Bretagna invece noi eravamo un paese sconfitto tout-court. Punto e basta. Quindi un paese soggetto ai vincoli, imposti attraverso trattati internazionali, dalle potenze vincitrici alle nazioni sconfitte.
-
Carpeoro: un massone tradì Mussolini, che voleva arrendersi
Mussolini organizzò personalmente l’auto-golpe del 25 luglio, per evitare all’Italia di essere invasa dai nazisti? Archivi massonici finora rimasti top secret potrebbero gettare luce su un clamoroso retroscena della storia italiana. Figura chiave, un esponente di vertice della “libera muratoria” dell’epoca, vicino al Duce, che all’ultimo minuto avrebbe svelato al Vaticano le vere intenzioni del dittatore: simulare la sua deposizione e assegnare a Galeazzo Ciano la guida della futura Rsi, Repubblica Sociale Italiana, con l’incarico di sfilarsi dalla guerra ormai perduta e cercare di far dimenticare il fascismo, abbracciando elementi di socialismo. Una prospettiva allarmante per la Santa Sede, che avrebbe fatto fallire il piano, provocando il precipitare degli eventi – fino alla fucilazione di Ciano – dopo aver tempestivamente riferito ai tedeschi le reali intenzioni dell’entourage mussoliniano. E’ l’ipotesi alla quale sta lavorando Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzioni), già a capo della massoneria italiana di rito scozzese, quella di Piazza del Gesù, custode di archivi riservati come quello del duca-conte Carlo Alberto Di Tullio, dirigente fascista lombardo.Capo dell’Ovra di Pavia sotto la Rsi, Di Tullio fu poi “graziato” dal tribunale partigiano presiediuto da Oscar Luigi Scalfaro: con l’aiuto della Croce Rossa – utilizzando la sua carica – il futuro “gran maestro” Di Tullio aveva messo in salvo decine di ebrei, dopo l’8 settembre 1943. Lo studio di Carpeoro, probabilmente destinato a essere condensato in un volume di prossima pubblicazione, potrebbe comprovare – documenti alla mano (nomi, date, eventi circostanziati) – quella che suona come la possibile “vera storia” del 25 luglio, con il Gran Consiglio del Fascismo al quale, a quel punto, non restò che deporre – davvero – Mussolini, il quale poi sarà confinato sul Gran Sasso e, di lì e poco, “liberato” (suo malgrado?) dai paracadutisti del Führer guidati da Otto Skorzeny. Ammesso che l’ipotetico piano di Mussolini per tentare di passare al post-fascismo fosse autentico e realistico, quanto sarebbe cambiata la storia italiana se fosse andato in porto? Il futuro governo Ciano sarebbe stato protetto dalla longa manus degli inglesi, dai quali il giovane Mussolini era stato a lungo stipendiato come loro agente?Domande che restano nel mondo delle ipotesi, di fronte alla drammatica realtà dell’8 settembre 1943, con l’Italia in balia degli eventi dopo il proclama Badoglio, che lasciava l’esercito allo sbando, senza ordini precisi, e quindi nelle mani degli ex alleati tedeschi, prontamente trasformatisi in invasori. Sullo choc dell’8 Settembre l’Italia ha prodotto un vastissimo patrimonio di testimonianze. Tra le meno note quella di Nuto Revelli, lo scrittore del “Mondo dei vinti”. Militare di carriera (tenente degli alpini) era un fascista convinto, fino alla tragedia della ritirata di Russia, che concluderà a modo suo: spedendo a casa, a Cuneo, tre fucili mitragliatori, in vista della resa dei conti con fascisti e nazisti. Nel memorabile “La guerra dei poveri” (Einaudi), il giovane Nuto – a cui la guerra fascista ha aperto gli occhi, mostrandogli la brutalità e la corruzione del regime – descrive con sgomento, in pagine memorabili, il disfascimento della Quarta Armata, tornata precipiosamente in Italia, attraverso le Alpi, dopo aver abbandonato il Sud della Francia.Anche la “Guerra dei poveri” rivela come, in fondo, la realtà storica è fatta anche di chiaroscuri: lo stato maggiore della Quarta Armata, pur fascista, aveva al seguito centinaia di ebrei, sottratti alla Gestapo. La loro storia, sempre Nuto Revelli la racconterà in una delle sue ultime opere, “Il prete giusto”, che dà la parola a un umile e coraggioso sacerdote, don Raimondo Viale (poi “sospeso a divinis” dalle autorità vaticane), che riuscì a mettere in salvo le famiglie ebree giunte in Italia insieme ai soldati in fuga dalla Provenza. Regione francese che poi lo stesso Revelli contribuì a liberare – altra pagina di storia poco nota – esportando oltralpe la guerra partigiana dopo aver contrastato duramente le colonne corazzate tedesche in valle Stura, sulle montagne cuneesi. La liberazione mise fine a 20 mesi di spaventosa violenza, inaugurati dall’eroico sacrificio della Divisione Aqui che, sull’isola greca di Cefalonia, rifiutò di arrendersi ai tedeschi. Un bilancio di sangue, quello della Resistenza, che secondo gli storici ammonta a decine di migliaia di vittime. Davvero le si sarebbe potute risparmiare, se non fosse stato sabotato (come ipotizza Carpoero) il piano mussoliniano per uscire in sordina dal conflitto mondiale, abbandonando la Germania ed evitando gli orrori della guerra civile?Mussolini organizzò personalmente l’auto-golpe del 25 luglio, per evitare all’Italia di essere invasa dai nazisti? Archivi massonici finora rimasti top secret potrebbero gettare luce su un clamoroso retroscena della storia italiana. Figura chiave, un esponente di vertice della “libera muratoria” dell’epoca, vicino al Duce, che all’ultimo minuto avrebbe svelato al Vaticano le vere intenzioni del dittatore: simulare la sua deposizione e assegnare a Galeazzo Ciano la guida della futura Rsi, Repubblica Sociale Italiana, con l’incarico di sfilarsi dalla guerra ormai perduta e cercare di far dimenticare il fascismo, abbracciando elementi di socialismo. Una prospettiva allarmante per la Santa Sede, che avrebbe fatto fallire il piano, provocando il precipitare degli eventi – fino alla fucilazione di Ciano – dopo aver tempestivamente riferito ai tedeschi le reali intenzioni dell’entourage mussoliniano. E’ l’ipotesi alla quale sta lavorando Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzioni), già a capo della massoneria italiana di rito scozzese, quella di Piazza del Gesù, custode di archivi riservati come quello del duca-conte Carlo Alberto Di Tullio, dirigente fascista lombardo.
-
Il vero Mostro di Firenze: oscurare le troppe stragi di Stato
«Non più delitti attribuibili a un gruppo di sbandati dediti all’alcol e alla prostituzione hard discount, quali erano i “compagni di merende” di Pacciani &. C, ma una tragedia legata addirittura a una sciagurata “pista nera”», ovvero: «Delitti studiati a tavolino in ambienti eversivi per distrarre da ciò che succedeva nel paese, con le vittime che non sarebbero state scelte a caso, ma mirate». Scrive Stefano Cecchi sulla “Nazione”: a 49 anni dal primo duplice delitto, dopo 16 morti e una storia processuale infinita e straziante, «l’Italia scopre che la storia mandata in archivio come “Il Mostro di Firenze” potrebbe avere un altro movente, addirittura apocalittico». La magistratura ha riaperto il caso, a sorpresa, mettendo nel mirino un uomo di 86 anni, ex legionario Giampiero Vigilanti, ora residente a Prato ma nel 1951 a Vicchio, nel Mugello, dove Pacciani – che conosceva – uccise l’ex rivale sorpreso con la sua ragazza. «Abile a sparare, appassionato di armi e frequentatore di poligoni», lo descrive la “Nazione”. «Legato agli ambienti dell’estrema destra e anche a quelli dei servizi segreti», negli anni della P2 e di Gladio. «Adesso è ufficialmente sospettato di aver avuto un ruolo negli omicidi del Mostro di Firenze».Trentadue anni dopo il delitto degli Scopeti, quello dell’ultima delle otto coppiette trucidate con la solita, introvabile Beretta calibro 22, c’è almeno un altro indagato per la storia che ha fatto conoscere al mondo il lato più oscuro del capoluogo toscano, continua il quotidiano di Firenze. I più attenti si ricorderanno di Vigilanti, classe 1930, perché lambito dalle indagini che poi virarono su Pacciani e i “compagni di merende”. «Da diversi mesi, Vigilanti, ora residente a Prato, è sotto torchio. L’ex legionario, alto e forte anche oggi che ha 86 anni, è stato accompagnato nei luoghi dei delitti. Dice e non dice. Sembra però sapere. Molto, tanto che dalle sue parole, i carabinieri sono arrivati a perquisire anche un medico che vive in Mugello il cui grado di coinvolgimento è ancora da chiarire». Una silenziosa svolta nell’indagine, tenuta ostinatamente aperta dal procuratore Paolo Canessa con l’aiuto del collega Luca Turco, che apre anche una inedita e clamorosa “pista nera”: delitti studiati a tavolino o cavalcati in ambienti eversivi per distrarre magistrati e opinione pubblica da ciò che accadeva nell’Italia della strategia della tensione.Il primo a indicare questa strada, a suon di esposti – aggiunge la “Nazione” – è stato il legale della coppia di francesi uccisa nel 1985 agli Scopeti, l’avvocato Vieri Adriani. «Ci sono sinistre vicinanze tra stragi e misteri di quel difficile periodo storico e i delitti del “mostro». Il 4 agosto ’74 esplode la bomba sull’Italicus, il 14 settembre il mostro uccide a Sagginale Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore. Prima che il 6 giugno ’81 a Mosciano venissero massacrati Carmela Di Nuccio e Giovanni Foggi, imperversava la storia della loggia di Licio Gelli e c’era stato l’attentato al Papa, senza dimenticare la bomba a Bologna dell’80. Il 23 ottobre ’81, il giorno dopo l’uccisione a Calenzano di Susanna Cambi e Stefano Baldi, c’era uno sciopero generale. Il giorno prima che Antonella Migliorini e Paolo Mainardi morissero sotto i colpi della calibro 22, era stato ritrovato impiccato sotto il ponte dei frati neri a Londra il banchiere Roberto Calvi. Il 9 settembre ’83 vengono ritrovati i cadaveri dei tedeschi Uwe Rusch e Horst Meyer: il 10 agosto precedente era evaso Licio Gelli dal carcere svizzero. E, secondo la nuova chiave di lettura, non sarebbero casuali le vittime.La Pettini era la figlia di un partigiano di Vicchio. «Il giorno del delitto – ricorda il giornale di Firenze – ricorreva il trentennale della liberazione del Paese e alcuni dettagli fanno pensare a una esecuzione in stile nazifascista: i vestiti dei due fidanzati vennero ritrovati piegati fuori dalla macchina, come se fosse stato dato loro un ordine sotto il tiro dell’arma». E Vigilanti? «L’ex legionario conosceva Pacciani, di cinque anni più anziano di lui, e come lui viveva a Vicchio nel 1951, quando il contadino uccise il rivale sorpreso ad amoreggiare con la fidanzata». Dopo un primo tentativo alla fine degli anni ’40, Vigilanti si arruolò nella Legione Straniera subito dopo la condanna di Pacciani, nel 1952. Un’altra coincidenza? «L’ex legionario, che rientrò in Italia nel 1960, ha conosciuto anche i ‘sardi’», prime vittime del “mostro”, «perché ha abitato nella stessa strada di Salvatore Vinci, a Vaiano». A Vigilanti, gli investigatori si erano avvicinati già nel 1985: gli trovarono in casa articoli della “Nazione” sul delitto di Sagginale del ’74, una pagina sulla strage dell’Italicus, i ritagli dell’elezione del presidente Cossiga. La polizia tornò a casa dell’ex legionario per caso, nel ’94, a causa di una denuncia di un vicino, con cui aveva avuto una lite. «Quella volta, spuntarono 180 proiettili Winchester serie H: gli stessi del mostro, fuori produzione, all’epoca, da almeno una dozzina d’anni».Secondo il blog “Maestro di Dietrologia”, gli omicidi “mediatici” del Mostro di Firenze sarebbero stati «un singolo episodio all’interno di una più vasta strategia della tensione», che secondo il blog perdura tuttora e include «tutto il palinsesto degli omicidi mediatici degli ultimi anni, da Meredith a Cogne, Erba, Elisa Claps, Melania Rea, da Yara a Sarah Scazzi, fino Marco Prato compreso». Il mainstream deride i “complottisti”? «Da oggi la controinformazione avrà una legittimazione maggiore», se le indagini di Firenze sulla “vera storia” del Mostro accerteranno le verità ipotizzate. «Strategia della tensione di omicidi mediatici – aggiunge “Maestro di Dietrologia” – ai quali corrispondevano sempre “step” strutturali di eventi transnazionali, nazionali e economico-politici, esoterici, gestiti da avanguardie di reparti come Gladio, P2, Rosa dei Venti, ovviamente dall’estrema destra». Organizzazioni la cui unica missione è stata quella di «contemplare stragi, omicidi e terrore, essendo da sempre lo strumento principe del padronato turbo-capitalista e neo-aristocratico», ruolo che oggi a livello globale è interpretato «dalla fantomatica Isis, avanguardia sionista di Ur-Lodges reazionarie occidentali che utilizzano “candidati manciuriani” fondamentalisti islamici come carne da macello e reparti di contractor per le operazioni più complesse».Come narra lo Giuseppe Genna nel capolavoro “Nel nome di Ishmael”, romanzo «che descrive in maniera sublime la realtà occulta del potere», a determinati omicidi “mediatici” (con relativi capri espiatori) corrispondono «messaggi operativi in codice, che appartengono a linguaggi militar-esoterici». Gli stessi studi, aggiunge “Maestro di Dietrologia”, sono stati condotti negli ultimi vent’anni dal ricercatore Giuseppe Cosco, dalla giornalista Gabriella Carlizzi e poi dall’avvocato Paolo Franceschetti, «che ha avuto il merito di ampliare certi concetti, espandendoli a diversi omicidi mediatici e raffigurando una strategia operativa che agisce anche a livello internazionale». Sono gli stessi paradigmi che evocava il regista Elio Petri, con personaggi come il poliziotto-killer di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, fino al Pasolini dell’atroce “Salò”, che mette in scena la mattanza “sacrificale” organizzata da vertici politici, militari, giudiziari e aristocratici. Narrazioni allucinanti, che suggeriscono «come il potere costituito faccia omicidi anche apparentemente casuali per “dialogare” in codice, addirittura multi-omicidi che serviranno a comporre “frasi” che potranno essere usate militarmente come “start” di operazioni». Massacri che verranno poi regolarmente attribuiti «a poveri cristi, i quali diventeranno i soliti capri espiatori». Morale: i nomi dei veri colpevoli «ce li possiamo scordare», ma almeno possiamo intravedere «quali mondi stanno dietro a certi delitti».«Non più delitti attribuibili a un gruppo di sbandati dediti all’alcol e alla prostituzione hard discount, quali erano i “compagni di merende” di Pacciani &. C, ma una tragedia legata addirittura a una sciagurata “pista nera”», ovvero: «Delitti studiati a tavolino in ambienti eversivi per distrarre da ciò che succedeva nel paese, con le vittime che non sarebbero state scelte a caso, ma mirate». Scrive Stefano Cecchi sulla “Nazione”: a 49 anni dal primo duplice delitto, dopo 16 morti e una storia processuale infinita e straziante, «l’Italia scopre che la storia mandata in archivio come “Il Mostro di Firenze” potrebbe avere un altro movente, addirittura apocalittico». La magistratura ha riaperto il caso, a sorpresa, mettendo nel mirino un uomo di 86 anni, l’ex legionario Giampiero Vigilanti, ora residente a Prato ma nel 1951 a Vicchio, nel Mugello, dove Pacciani – che conosceva – uccise l’ex rivale sorpreso con la sua ragazza. «Abile a sparare, appassionato di armi e frequentatore di poligoni», lo descrive la “Nazione”. «Legato agli ambienti dell’estrema destra e anche a quelli dei servizi segreti», negli anni della P2 e di Gladio. «Adesso è ufficialmente sospettato di aver avuto un ruolo negli omicidi del Mostro di Firenze».
-
Fanta-epidemie e sciacalli: la salute rende meno dei vaccini
«Radio e giornali continueranno a parlare di democrazia e di libertà, ma quelle due parole non avranno più senso. Intanto l’oligarchia al potere, con la sua addestratissima élite di soldati, poliziotti, fabbricanti del pensiero e manipolatori del cervello, manderà avanti lo spettacolo a suo piacere». Così Aldous Huxley in “Brave New World Rivisited”, 1958. «La vedete la cornice?», scrive Emanuela Lorenzi su “Come Don Chisciotte”, scandalizzata dall’assordante silenzio del mainstream sul decreto-mostro dei 12 vaccini obbligatori. Disinformazione: già nel 2015 si apprese a Washington che gli “untori” contagiosi potrebbero essere proprio «gli individui vaccinati di recente». Lo ricorda il Comilva, comitato per la libertà vaccinale. A tal proposito, la “guida per i pazienti” dell’ospedale John Hopkins in caso di immunodepressione raccomanda di «evitare il contatto» con i bambini appena vaccinati. Si raccomanda ad amici e familiari di «non fargli visita», se i vaccini in questione sono contro varicella, morbillo, rosolia, influenza, poliomielite e vaiolo.«La sanità pubblica incolpa i bambini non vaccinati per l’epidemia di morbillo di Disneyland, ma la malattia potrebbe altrettanto facilmente esser stata provocata dal contatto con un individuo vaccinato di recente», ammette Sally Fallon Morell, presidente della Fondazione Western A. Price. «Le prove indicano che individui vaccinati recentemente dovrebbero esser messi in quarantena al fine di proteggere la popolazione». Entrambi, vaccinati e non vaccinati, sarebbero a rischio esposizione da parte di chi è stato appena sottoposto a vaccino, ribadisce Emanuela Lorenzi sempre su “Come Don Chisciotte”. «I fallimenti vaccinali sono diffusi; l’immunità indotta dal vaccino non è permanente. E recenti epidemie di pertosse, parotite e morbillo hanno avuto luogo in popolazioni completamente vaccinate. Chi riceve il vaccino antinfluenzale diventa più suscettibile ad infezioni future dopo vaccinazioni ripetute».«Basta volerli conoscere, gli studi», aggiunge la Lorenzi: «Provano che gli “untori” possono essere i vaccinati». In più, «avendo sostituito il morbillo selvaggio con quello vaccinale e avendo modificato in modi ancora non del tutto prevedibili l’epidemiologia di una malattia ciclica quale il morbillo», si sono create «nicchie ecologiche, presto riempite da genotipi a più elevata morbilità». Sicché, «il danno della vaccinazioni di massa, che comunque non garantiscono immunizzazione a fronte di rischi invece ben documentati», sembra superare di gran lunga i presunti benefici. «La vedete la cornice?». Nulla che traspaia, ovviamente, nel dibattito italiano, dove – secondo la Lorenzi – siamo di fronte a «un regime» che non esita a «imporre un decreto folle», quello dei 12 vaccini, «scritto da Big Pharma», grazie a «multinazionali invitate a Palazzo Chigi con promessa di investimenti» e presentato «quasi direttamente dalla Glaxo nella persona di Ranieri Guerra».Emanuela Lorenzi accusa chi cerca di «scatenare epidemie per favorire la cupola dei vaccini che lucra sul traffico di virus». E afferma: «Dopo la falsa epidemia di meningite e la falsa epidemia di morbillo che esiste solo nelle teste di chi deve farle fruttare, la prossima sarabanda sarà magari la polio: quanti di voi sanno che ci hanno già provato in Belgio nel 2014 sversando “accidentalmente” nel fiume Lasne 45 litri di virus concentrato di polio vivo?». La Lorenzi accusa Big Pharma di «fare terrorismo e disinformazione per imporre un piano vaccinale che ricalca esattamente quello delle industrie farmaceutiche, senza neppure darsi pena di nascondere i conflitti di interesse». Insiste: vogliono sacrificare i bambini italiani «sull’altare del falso dogma vaccinale, come prime cavie di un piano mondiale», nascondendo i dati dei bambini uccisi dalle reazioni avverse, già sottostimati «grazie alla inefficace farmacovigilanza». E si può persino «arrivare a strumentalizzare», con un atto di vero sciacallaggio, «la morte di un bambino immunodepresso che, non trovando posto in oncologia, è stato messo in un reparto infettivo di pediatria dove in aprile c’era stata una “epidemia di morbillo” (ma dove qualunque infezione sarebbe stata compresa nelle 12 vaccinazioni imposte dal decreto-canaglia) incolpando persino i fratellini sani non vaccinati».Aggiunge Lorenzi: «Che i pianificatori vaccinali mondiali “filantropi” (Gates Foundation e Oms in primis) non abbiano scrupoli è evidente dalla lunga scia di sperimentazioni sulle bambine indiane, sia con l’anti-Hpv che con l’antipolio, che hanno portato a migliaia di bambini con paralisi flaccida postvaccinica in India (47.000 solo nel 2011), sui bambini pachistani, per non parlare dell’antimeningite A ai bambini africani (500 bambini chiusi dentro la loro scuola e costretti a ricevere un vaccino sperimentale all’insaputa dei genitori, tutti danneggiati in modo più o meno grave)». E nessuno ha pagato, nessuno ha parlato di eugenetica. Poi ci sono «le sterilizzazioni attuate negli anni 70 dalla task force sui vaccini per la regolazione della fertilità ad opera di Oms, Banca Mondiale e Fondo per la popolazione delle Nazioni Unite «La vedete la cornice?», insiste Lorenzi, che propone una sinistra cronologia di lutti. Usa, 2014: il dottor William Thompson sta per denunciare la più grossa frode scientifica ad opera dei vaccinisti di Atlanta, ma il film “Vaxxed”, che ne parla, è oggetto di censura anche in Italia. Poi scoppia la «falsa ma funzionale» epidemia di morbillo a Disneyland. Al che, la Disney-story causa l’accelerazione dell’approvazione del Senate Bill 277 proposto dai senatori Pan e Alley, «che tramite un atto di lobbismo senza precedenti (e via mazzetta di 95.000 dollari a Pan secondo il “Sacramento Bee”) impone vaccinazioni obbligatorie per tutti i bambini per accedere alle scuole pubbliche o private escludendo ogni possibilità di esenzione».A Bari, nel 2014 Renzi promette alle Pharma: «Noi vi garantiamo un progetto di lungo-medio periodo, invitiamo le università, le imprese a investire i territori a credere nel settore farmaceutico, perché il made in Italy non deve significare solo food e fashion ma anche settore farmaceutico». Poco dopo, Renzi va da Obama e l’Italia viene incensata come capofila della Ghsa, Global Health Security Agenda: «L’Italia – riportarono le cronache – guiderà nei prossimi cinque anni le strategie e le campagne vaccinali nel mondo». Il nostro paese, rappresentato dal ministro della salute Beatrice Lorenzin «accompagnata dal presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) professor Sergio Pecorelli, ha ricevuto l’incarico dal Summit di 40 paesi». E’ un importante riconoscimento all’Italia, disse Pecorelli, «soprattutto in questo momento, in cui stanno crescendo atteggiamenti ostili contro i vaccini». L’Italia come battistrada pro-vax in Europa. Quindi, a ottobre 2014, Renzi raduna a Palazzo Chigi i Ceo del settore farmaceutico. Ad aprile 2016, la Gsk investe un ulteriore miliardo in Italia: leader mondiale nei vaccini con 3,7 miliardi di sterline di fatturato su 23,9 totali, è da questo settore (profittevole in due casi su 10 nel mondo) che la multinazionale britannica si aspetta una autentica escalation nei prossimi anni. Fino ad arrivare a 6 miliardi di sterline entro il 2020. «Per questo Gsk crede nell’eccellenza italiana», sottolineano le fonti ufficiali. «E in questa eccellenza continueremo a investire, chissà, forse anche di più», promette l’azienda, a patto che l’Italia saprà essere un paese «ospitale» per gli investitori.A giugno 2017, abbiamo finalmente la nostra Disneyland: Beatrice Lorenzin dice che «l’Austria invita a non andare a Gardaland per colpa dei mancati vaccini», come riporta “Il Gazzettino”, ma la ministra «dovrebbe ripassare la geografia», visto che a parlare non è l’Austria ma la Slovenia, precisa Emanuela Lorenzi. Solo che la notizia è falsa: né Vienna né Lubiana hanno mai fatto un’affermazione simile. «La fake news viene smentita, ma la prima boutade – come si sa – è quella che rimane impressa a supportare il “frame”». Infine, arriva il decreto legge «nazi-fascista» che impone 12 vaccini per l’accesso scolastico e pene pecuniarie, inclusa la minaccia di sospensione della responsabilità genitoriale, «con i dirigenti scolastici a fare da delatori di regime: una misura ingiustificata e coercitiva (nessuna necessità e urgenza), nonché odiosamente classista (con poteri parascientifici di eliminare l’ipotetico virus tramite pizzo di Stato) palesemente anticostituzionale (ma anche contraria a una serie di carte internazionali fra le quali la Convenzione di Oviedo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il mai troppo citato Codice di Norimberga che vieta sperimentazioni su esseri umani e, recentemente, la sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani che stabilisce che le vaccinazioni obbligatorie sono lesive della vita privata dei cittadini».Così, il decreto «viene incredibilmente firmato da un costituzionalista come Mattarella» e la sua presunta costituzionalità «viene orwellianamente sancita dal Ministero della Verità grazie al voto favorevole di questi senatori della Repubblica di Oceania». Emanuela Lorenzi denuncia la a-scientificità del decreto, «che impone all’Italia, caso unico al mondo, uno scellerato piano vaccinale interamente firmato Glaxo», tra «frodi e sperimentazioni eugenetiche». Di fatto, «non esistono studi di sicurezza su 12 vaccini combinati fatti a un bimbo di pochi mesi», e neppure su quelli singoli, «in quanto i vaccini sono considerati presidi di prevenzione, e non farmaci, e sono di fatto i farmaci meno sicuri al mondo testati direttamente sui bambini». Dietro alla creazione dei vaccini combinati come l’esavalente «ci sono le grasse risate di Jean Stèphane, direttore della Glaxo Smith Kline, che spiega il trucco dell’antiepatite B davanti ad una platea di dirigenti». Vaccini che «non sono fatti per fare “meno punture” al bambino, come vorrebbe la propaganda per acquietare le mamme ansiose». Si tratterebbe di sperimentazioni imprudenti, sulla pelle dei bambini, con vaccini come l’antinfluenzale il cui «fallimento» sarebbe ormai «dimostrato da studi inequivocabili».E mentre in Svizzera il Consiglio federale si pronuncia per il rimborso delle cure omeopatiche (ma anche della medicina cinese, antroposofica, fitoterapica) a tempo indeterminato, l’Italia «conduce una battaglia cieca nei confronti di queste medicine», visto che «la salute fa troppa concorrenza alla malattia», sottolinea Lorenzi. «Alzando lo sguardo, è slittata al Senato l’approvazione del Ceta, accordo che quasi in segreto attribuisce alle multinazionali gli stessi privilegi del più noto Ttip, consentendo loro di inibire i legislatori degli Stati citando i governi nazionali presso i tribunali sovranazionali con l’obiettivo di chiedere risarcimenti in caso di regolamentazioni avverse al loro interesse. La vedete adesso la cornice?». Tutto si tiene, a quanto pare: «Siamo noi l’investimento della Glaxo». Siamo nel “frame” di cui parla spesso Marcello Foa: è «il recinto dell’immaginario che fa da contorno a tutti i pensieri già pensati da altri e dentro il quale il gregge può muoversi belando le stesse menzogne all’infinito». Dentro al “frame” delle vaccinazioni, «la narrazione già vista assicura sudditanza financo nella sceneggiatura con i dettagli nostrani, incluso il vergognoso sciacallaggio della morte di un bambino».«Radio e giornali continueranno a parlare di democrazia e di libertà, ma quelle due parole non avranno più senso. Intanto l’oligarchia al potere, con la sua addestratissima élite di soldati, poliziotti, fabbricanti del pensiero e manipolatori del cervello, manderà avanti lo spettacolo a suo piacere». Così Aldous Huxley in “Brave New World Rivisited”, 1958. «La vedete la cornice?», scrive Emanuela Lorenzi su “Come Don Chisciotte”, scandalizzata dall’assordante silenzio del mainstream sul decreto-mostro dei 12 vaccini obbligatori. Disinformazione: già nel 2015 si apprese a Washington che gli “untori” contagiosi potrebbero essere proprio «gli individui vaccinati di recente». Lo ricorda il Comilva, comitato per la libertà vaccinale. A tal proposito, la “guida per i pazienti” dell’ospedale John Hopkins in caso di immunodepressione raccomanda di «evitare il contatto» con i bambini appena vaccinati. Si raccomanda ad amici e familiari di «non fargli visita», se i vaccini in questione sono contro varicella, morbillo, rosolia, influenza, poliomielite e vaiolo.
-
Ma l’Ue nasce dall’Opus Dei, riciclando criminali nazifascisti
L’Opus Dei svolse un ruolo di primo piano nella costruzione europea. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, vecchi responsabili fascisti si insediarono in seno alle nuove istituzioni europee, collocati dai membri dell’“opera divina”. Durante la guerra, pur condannando l’ideologia nazista, i principali responsabili della Chiesa cattolica sostennero notevolmente i regimi fascisti, per il fatto che costituivano un baluardo alla sovversione bolscevica. Il crollo del III Reich, sotto i colpi congiunti di inglesi, americani e sovietici, avrebbe dovuto tradursi non soltanto con l’epurazione della classe politica europea, ma anche con quella della Chiesa romana. Non se ne fece nulla. Gli ecclesiastici collaborazionisti manipolarono l’illusione religiosa al punto che ogni obiezione della loro responsabilità in crimini contro l’umanità apparve come una blasfemia. Utilizzando l’immunità che agli occhi dei credenti è loro conferita dalle sacre funzioni da essi esercitate, si dedicarono ad “esfiltrare” verso l’America Latina i capi fascisti per sottrarli alla giustizia e impedire che i processi giungessero a rivelare le loro colpe. In questo contesto, l’Opus Dei dedicò tutte le sue forze nel cancellare le tracce della storia, favorendo la riconciliazione europea.Questa politica fu favorita a malincuore dal generale de Gaulle. I francesi avevano sostenuto massicciamente e sino all’ultimo momento il regime fascista dell’ex-maresciallo Pétain e, attraverso lui, avevano attivamente partecipato allo sforzo di guerra del Reich. Alla conferenza di Yalta, gli Alleati avevano deciso di occupare la Francia non appena avessero vinto, di fucilare i suoi ufficiali e di accusare di incapacità civica tutti gli uomini al di sopra dei quarant’anni. Il genio di de Gaulle fu dunque di presentare lo Stato francese come un usurpatore e il governo della Francia libera, durante la sua avventura londinese, come il solo legittimo. Perfettamente cosciente che la Resistenza che era effettivamente esistita sul suolo francese era in maggioranza comunista, e temendo un’insurrezione marxista, Churchill diede il suo appoggio a questa menzogna storica: si presentò la disfatta dello Stato francese come la liberazione da un territorio occupato da un nemico. Trascinato da questa logica revisionista, de Gaulle fu costretto ad accettare il mantenimento dei vescovi fascisti e a fare amnistiare, cioè presentare come “resistenti” diversi responsabili petainisti.Questo riciclaggio di cattolici fascisti fu favorito da due membri dell’Opus Dei vicini al generale: Maurice Schumann (“La vois de la France Libre”) e la contessa Thérése, sposa del maresciallo Leclerc de Hautecloque. De Gaulle pensava di evitare così una guerra civile. Comunque sia, questa tattica ha permesso a dei politici e funzionari di estrema destra di integrarsi nelle nuove istituzioni democratiche, di farvi carriera di nascosto e infine di farvi trionfare di nuovo le loro idee. Un caso sorprendente è quello di Robert Schuman (con una sola “n”, con nessun legame di parentela con il precedente appena citato). Nel settembre del 1944, questo politico cristiano-democratico, allora di 58 anni, appariva come l’effimero consigliere del maresciallo de Lattre de Tassigni durante la liberazione dell’Alsazia-Lorena. Eletto deputato nel 1945, nominato ministro delle finanze nel 1946, presidente del Consiglio nel 1947, ministro degli affari esteri nel 1948. Nel 1949, installò la sede della Nato a Parigi. Lanciò l’idea dell’Europa comunitaria nel 1950 (Ceca e Ced) e partecipò attivamente al governo di Antoine Pinay. Tenuto ai margini degli affari francesi al ritorno di de Gaulle, fu il primo presidente del Parlamento Europeo. Colpito da senilità, morì nel 1963. Rimane nella memoria come il “padre dell’Europa”.Lo si conosceva come profondamente religioso, come uno che assisteva alla messa ogni mattina, che si dedicava a dolorose mortificazioni; si sa oggi, in occasione della sua beatificazione, che era membro dell’Opus Dei. Avremmo dovuto ricordarci del decreto Poinso-Chapuis: quel testo, che egli firmò il 22 maggio 1948 da presidente del Consiglio, permetteva alla Chiesa di sviare delle sovvenzioni pubbliche attraverso l’espediente delle associazioni familiari. Fu ritirato dopo una potente mobilitazione nazionale. Ma prima che Robert Schuman venisse proclamato beato, poi santo da Giovanni Paolo II, conviene chiedersi come hanno potuto dimenticarsi che era stato fascista, sottosegretario di Stato di Philippe Pétain. Colpito da indegnità nazionale alla Liberazione, al momento stesso in cui aveva tentato di porsi presso il maresciallo de Lattre, era stato sollevato dalla sua ineleggibilità per intervento di Charles de Gaulle nell’agosto del 1945. Per camuffare questa riabilitazione si era evidenziato il fatto che era stato posto agli arresti domiciliari dai nazisti sin dal 1941. In realtà, Robert Schuman aveva sempre sostenuto la “rivoluzione nazionale” fascista e si era unicamente opposto all’annessione dell’Alsazia-Mosella da parte del Grande Reich.Robert Schuman non poté edificare le prime istituzioni europee che con l’aiuto di un altro membro dell’Opus Dei, Alcide De Gasperi, il cui processo di beatificazione è anch’esso in corso alla Sacra congregazione per la causa dei santi. De Gasperi si oppose all’accesso di Mussolini al potere e fu imprigionato dalle “camicie nere” nel 1926. Ma fu liberato e si ritirò dall’opposizione dopo la firma degli accordi del Laterano tra la Santa Sede e l’Italia. Visse allora nella Città del Vaticano, dove lavorò agli archivi segreti sino alla caduta del Duce. Segretario generale della Democrazia Cristiana, entrò al governo sin dal giugno del 1945 e fu diverse volte presidente del Consiglio. Sospese immediatamente l’epurazione e vegliò personalmente al ricollocamento dei quadri del fascismo che avevano saputo essere così generosi con il papato. Morì nel 1954. Robert Schuman e Alcide De Gasperi poterono appoggiarsi su Konrad Adenauer per costruire l’Europa dell’amnesia. Il cancelliere tedesco, presidente della Democrazia Cristiana tedesca (Cdu), non sembra essere stato membro della santa setta, ma fu, almeno sino al 1958, il suo alleato indefettibile.Pur sostenendo il nazismo, non svolse un grande ruolo nel regime hitleriano. Sindaco di Colonia, era stato accusato di incapacità dagli Alleati e rimosso dalle sue funzioni. Konrad Adenauer partecipò attivamente alla protezione dei sospetti di crimini contro l’umanità e al riciclaggio dei fascisti, non soltanto per ambizione politica ma per occultare il proprio passato. I primi vagiti dell’Europa comunitaria si concretizzarono nel 1950 con l’instaurazione della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (Ceca). Riuniva come per caso gli interessi dei grandi industriali cattolici, produttori di materie prime, e degli armamenti pesanti. Nel 1957, la Comunità Europea vide la luce grazie al Trattato di Roma. I testi fondatori impiegano una fraseologia improntata alle encicliche sociali: “comunità”, “comunione”, “sussidiarità”. La sede della Comissione fu stabilita a Bruxelles, capitale del molto pio membro dell’Opus Dei Baldovino I. Il cardinale Danneels ha richiesto d’altronde la beatificazione del re cristiano che si era opposto all’aborto, confermando che l’Opus Dei è un vivaio di piccoli santi.Per garantire l’aiuto reciproco dei fascisti reinseriti in seno alle nuove istituzioni europee, l’erede del trono d’Austria-Ungheria, l’arciduca Otto von Asburgo-Lorena, fondò allora il Centro europeo di documentazione e di informazione (Cedi). Questa lobby fu del tutto naturalmente installata dall’Opus Dei al riparo dalla madrepatria sotto la protezione del caudillo, il generalissimo Franco. Cattolico di grande umiltà, Sua Altezza Imperiale Otto von Asburgo si è fatto eleggere semplice deputato europeo per continuare a Strasburgo la sua lotta per la riconciliazione europea. Grazie a lui, al Parlamento Europeo, i democratici cristiani (Ppe, Partito Popolare Europeo) non sono più a destra, e i socialisti (Pse, Partito Socialista Europeo) non sono più a sinistra. I confronti ideologici sono riservati alla galleria, in occasione delle elezioni. Una volta eletti, i deputati dei due grandi gruppi abbandonano i loro programmi e votano insieme la maggior parte dei testi. A Strasburgo la buona educazione di “monsignore” si è imposta: non ci sono conflitti politici, non vi sono che interessi condivisi. Il consenso dei privilegiati permette anche di spartirsi la presidenza del Parlamento e di organizzare un sistema a turno Ppe/Pse. I gruppi che rifiutano di entrare nella combinazione (comunisti, ecologisti, radicali) sono esiliati, insieme alle loro convinzioni.Con la progressione della sua espansione, l’Opus Dei ha ampliato i suoi obiettivi in Europa. Al riciclaggio dei fascisti, alla difesa delle monarchie cattoliche, al controllo delle nuove istituzioni democratiche si è aggiunta la difesa dei grandi interessi economici. Lo strumento più notevole fu creato nel 1983 sotto l’impulso del visconte dell’Opus Dei Étienne Davignon (allora comissario europeo incaricato dell’Industria e successivamente presidente della Societé Générale del Belgio): la Tavola Rotonda degli Industriali europei (Ert, European Roundtable of Industrialists). Raccoglie oggi una quarantina di dirigenti d’impresa, di cui più della metà sono membri della santa setta. L’adesione si fa unicamente per cooptazione, a titolo individuale, e non impegna ufficialmente le loro imprese. Tuttavia l’Ert è finanziata da queste imprese e pone a suo servizio alcuni dei loro quadri. L’Ert rivolge regolarmente le sue “raccomandazioni” alla Commissione Europea.L’Ert non manca mai di ricordare che è la lobby economica più potente in Europa: i suoi 42 membri impiegano tre milioni di persone. Realizzano 3.500 miliardi di franchi annui (del 1995) di volume d’affari. Un argomento che permette all’Ert di imporre le sue esigenze. Il “social-cristiano” Jacques Delors, che non gli rifiutava nessun appuntamento, diceva dell’Ert: «È una delle forze maggiori dietro il mercato unico». È «risolutamente pronunciata per uno sviluppo di reti europee di infrastrutture» e ha fatto inscrivere questi obiettivi nel Trattato di Maastricht. L’Opus Dei non si accontenta di piazzare i suoi membri e di difendere la loro comunità di interessi. Persegue sempre il suo obiettivo di restaurazione della cristianità. Per questo è protesa sia sul controllo dell’evoluzione istituzionale che sul controllo dei media. Così ha ottenuto che uno dei suoi membri fosse nominato alla Commissione Europea. Marcellino Oreja-Aguirre si è così visto stranamente affidare allo stesso tempo il portafoglio dei “Problemi audiovisivi” e quello della rinegoziazione del Trattato di Maastricht.Per quel che riguarda i “Problemi audiovisivi”, l’Opus Dei è favorevole al libero scambio. Cioè si augura di abolire «l’eccezione culturale», con riserva di una deontologia euro-americana della moralità nei media. Auspica che un ordine di giornalisti e produttori sia incaricato del suo rispetto. Quanto all’evoluzione istituzionale sono favorevoli a uno sviluppo della sovranazionalità a condizione che il potere politico sia affidato a dei tecnici. Su questo principio, hanno ottenuto il trasferimento del potere monetario a un consiglio non-politico, sul modello della Bundesbank. Un sistema che incantava il presidente (dell’Opus Dei) della banca centrale tedesca, Hans Tiettmeyer, oltretutto accademico pontificio. Si sono pronunciati per un allargamento dell’Europa sul criterio della cultura cristiana e non su quello della democrazia. È in base a questo principio che il democratico cristiano Helmut Kohl si è opposto al sostegno europeo alla repubblica laica della Bosnia Erzegovina, la cui popolazione è a maggioranza musulmana.(Thierry Meyssan, “L’Opus Dei e l’Europa, dal riciclaggio dei fascisti al controllo delle democrazie”, da “Osservatorio Anticapitalista” del 4 gennaio 2012. Giornalista internazionale e analista politico francese, Meyssan è fondatore di “Réseau Voltaire” e della conferenza “Axis for Peace”).L’Opus Dei svolse un ruolo di primo piano nella costruzione europea. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, vecchi responsabili fascisti si insediarono in seno alle nuove istituzioni europee, collocati dai membri dell’“opera divina”. Durante la guerra, pur condannando l’ideologia nazista, i principali responsabili della Chiesa cattolica sostennero notevolmente i regimi fascisti, per il fatto che costituivano un baluardo alla sovversione bolscevica. Il crollo del III Reich, sotto i colpi congiunti di inglesi, americani e sovietici, avrebbe dovuto tradursi non soltanto con l’epurazione della classe politica europea, ma anche con quella della Chiesa romana. Non se ne fece nulla. Gli ecclesiastici collaborazionisti manipolarono l’illusione religiosa al punto che ogni obiezione della loro responsabilità in crimini contro l’umanità apparve come una blasfemia. Utilizzando l’immunità che agli occhi dei credenti è loro conferita dalle sacre funzioni da essi esercitate, si dedicarono ad “esfiltrare” verso l’America Latina i capi fascisti per sottrarli alla giustizia e impedire che i processi giungessero a rivelare le loro colpe. In questo contesto, l’Opus Dei dedicò tutte le sue forze nel cancellare le tracce della storia, favorendo la riconciliazione europea.
-
Carpeoro: ucciso il socialismo, era l’antidoto all’orrore Ue
Hanno ucciso Olof Palme, il migliore dei leader, per assassinare il socialismo in Europa, intimidire e poi togliere di mezzo personaggi come Schmidt e Mitterrand (e volendo, lo stesso Craxi). Obiettivo: far stravincere l’oligarchia finanziaria e mettere in piedi l’attuale obbrobrio chiamato Unione Europea. Faceva paura, il premier svedese? Eccome: acerrimo avversario di ogni totalitarismo, in Svezia aveva varato un’economia mista, con quote di controllo allo Stato, nelle aziende, e quote di partecipazione assegnate ai lavoratori. Pragmatismo, coraggio. E soprattutto idee: «E’ di quelle che ha paura, il potere. Per questo ha trasformato la parola “ideologia” in una specie di insulto. Ma l’ideologia è il futuro, il progetto. E senza idee, non puoi fare nessun progetto». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo e romanziere, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, intervenuto in un recente convegno a Roma. L’occasione per una riflessione anche storica sull’eredità del socialismo: se la nostra società occidentale è ridotta così, alla solitudine dell’homo homini lupus, è perché è stato scientificamente, chirurgicamente asportato il virus benefico del socialismo. Anche con il terrorismo, e non da oggi.Alla tragedia del leader socialdemocratico svedese, ucciso a Stoccolma nel 1986 da un killer mai identificato, Carpeoro ha dedicato lunghe pagine del suo lavoro sui legami occulti tra massoneria, servizi segreti e terroristi (il sistema della “sovragestione”). Ed è tornato sul tema a margine del simposio “Le forme della democrazia”, promosso dal Movimento Roosevelt, fondato da Gioele Magaldi. Cos’è stato, il socialismo? Cos’è oggi, e cosa potrebbe essere domani? «Non è stato un pensiero statico, ha avuto un’evoluzione storica, politica», e ora è stato letteralmente rimosso. «Da dov’era partito, il socialismo? Da molto lontano», esordisce Carpeoro: da un periodo di grande riflessione spirituale. «Senza scomodare i Rosacroce», già nel ‘600 si trovano svariate opere proto-socialiste: “Utopia” di Tommaso Moro, “La città del sole” di Tommaso Campanella, “La nuova Atlantide” di Francesco Bacone. Fino ad arrivare a opere meno conosciute, come quelle di Johann Valentin Andreae, presunto autore dei manifesti rosacrociani dell’epoca, che chiude la sua esistenza scrivendo “Christianopolis”, dove racconta il naufragio in un’isola (Caphar Salama) che viene governata in maniera socialista.«Perché la chiamo socialista? Perché una serie di capisaldi di queste opere caratterizzeranno la fase che Marx, con intento quasi spregiatorio, chiamerà “socialismo utopistico”». Ma la parola “utopia”, ricorda Carpeoro, non esisteva nemmeno, prima di Tommaso Moro. «L’ha inventata lui. E’ un neologismo di origine greca, significa “non luogo”. Lo stesso Marx, dunque, citando il “socialismo utopistico”, si richiama a Tommaso Moro». E come nasce, il socialismo utopistico? Ha varie declinazioni: è anarchica quella di Pierre-Joseph Proudhon, quasi mistica quella di Henri de Saint-Simon. Ci sono interpretazioni più pragmatiche, e c’è una declinazione, «forse la più illuminata», che è quella di Auguste Blanqui. «Ma in tutte queste declinazioni ci sono i capisaldi di quello che, secondo gli utopisti del ‘600, doveva essere lo Stato perfetto, la comunità perfetta, con l’abolizione della proprietà privata». In sostanza, «si cominciava a riconoscere il diritto delle persone a vivere secondo dignità e aspettative». Perché questi diritti vengano finalmente riconosciuti in modo istituzionale ci vorrà Eleanor Roosevelt, con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo alle Nazioni Unite nel 1948. «Ma queste idee erano state in qualche modo anticipate già quattro secoli prima». Giustizia e libertà. Tradotto: una società che riconosca il giusto a ognuno, dando a ciascuno la possibilità di scegliere. «Sembra una cosa semplice, no? Eppure, noi ancora non l’abbiamo creata, una società così».Nella sua storia, aggiunge Carpeoro, il movimento socialista si è continuamente frammentato. Lo dimostra la stessa storia del Psi italiano, fondato a Genova nel 1892 da Filippo Turati, «che sarà forse il socialista più coerente», fedele all’impostazione iniziale del progetto ottocentesco, rivoluzionario. Obiettivo: la “guerra” alla società classista del sistema capitalistico, che sottomette e sfrutta contadini e operai. Due mosse: prima la rivoluzione, per abbattere il sistema padronale, e poi l’abolizione delle classi sociali. Come? “Socializzando” i mezzi di produzione, l’economia, le industrie, e distribuendo le terre ai contadini. Poi irrompe Marx, che «istituzionalizza questa sorta di diagnosi», e pensa a come realizzare il disegno rivoluzionario e la fase successiva. «Marx chiama tutto questo “socialismo scientifico”, da contrapporre a quello che lui, disprezzandolo un po’, chiamava “socialismo utopistico”». Ma l’obiettivo, aggiunge Carpeoro, non era forse arrivare comunque all’utopia? «L’eliminazione delle classi cos’è, se non la realizzazione di “Utopia”, della “Nuova Atlantide”, della “Città del Sole”?». In ogni caso, poteva il “fiume” socialista restare interamente ancorato a questo schema? No, ovviamente. E così cominciano le divisioni.«La prima scissione, nel mondo socialista, è quella degli anarchici», ricorda Carpeoro. «Per loro non esiste la fase intermedia, si annulla tutto: nella loro visione, la dissoluzione dello Stato capitalistico è una fase contestuale all’impulso rivoluzionario». Poco dopo, vanno per la loro strada anche i comunisti: «Hanno una visione schematica, per la quale bisogna arrivare con quei passaggi, alla soluzione», che è sempre rivoluzionaria. Rimane il nucleo socialista, che – in Italia come in Europa – si divide a sua volta: nascono i “riformisti”, che restano anti-capitalisti e combattono per la giustizia sociale, ma rinunciano alla rivoluzione come mezzo per ottenerla. Poi ci sono quelli che, successivamente, si chiameranno “socialdemocratici”, come Leonida Bissolati, «i quali aboliscono anche il passaggio finale, l’abbattimento del capitalismo», e quando poi si radicheranno anche nel Pci prenderanno il nome di “miglioristi”. Secondo loro è irrealistica la rinuncia al sistema liberale. Semmai, il capitalismo va corretto con continue migliorie, per guarirne le distorsioni. Nell’800 c’era stato anche il filone dei “socialisti libertari”, che «declineranno il socialismo esclusivamente all’interno dei diritti civili e delle libertà, senza più occuparsi di strategie di governo».Il socialismo libertario, spiega Carperoro, era ciò che era rimasto di un’ulteriore scissione, quella di Mazzini: litigando con Garibaldi, l’ideologo del Risorgimento si era portato via «quel nucleo che poi diventerà l’area laica», repubblicani e Partito d’Azione). Ma, superata la tragedia della Prima Guerra Mondiale – intervisti, neutralisti – e poi il blackout planetario del nazifascismo, nel dopoguerra «dagli anni ‘70 in poi, l’unica direttiva che lentamente si afferma, nel socialismo, è quella socialdemocratica», alimentata anche dalla guerra fredda: nel fatidico 1956 il leader sovietico Khrushev alimenta grandi speranze con la denuncia dei crimini di Stalin, ma nello stesso anno non riesce a evitare la sanguinosa repressione della rivolta popolare scoppiata in Unghieria, replicata nel ‘68 con il soffocamento della “Primavera di Praga”. «In realtà – prosegue Carpeoro – si avvia quella che nel ‘70 si chiamerà “terza via”, cioè la possibilità di trovare una composizione della società, correggendone le deviazioni, verso una maggiore giustizia sociale: cosa che la socialdemocrazia europea considerava assolutamente irrinunciabile».E questa linea, particolarmente efficace perché moderata nelle forme quanto incisiva nei contenuti, «trova un eroe assolutamente straordinario», anche se è «un personaggio di cui non parla mai nessuno». Straordinario «da tutti i punti di vista (anche dal mio, perché era massone come me)», ammette Carpeoro, parlando di Olof Palme. «E’ stato uno dei personaggi più fulgidi del ‘900. Vi invito a leggere i suoi scritti, e soprattutto a rimetterlo sulle bandiere». Il leader svedese, intanto, «è la prima vittima di una congiura contro il socialismo». Attenzione: «Nell’arco di vent’anni, i grandi leader socialisti europei vengono tutti cancellati, in circostanze ambigue. Olof Palme viene ucciso mentre è presidente del Consiglio, in Svezia. E non è che ne sia parlato molto in Europa. Ancora oggi si parla di Che Guevara, non di Olof Palme. Ma è un eroe». E viene ucciso da killer rispetto ai quali «emergono connessioni con ambienti dell’estrema destra e anche, purtroppo, della massoneria: in un telegramma piuttosto equivoco, alla vigilia dell’attentato, Licio Gelli scrive a un parlamentare americano, Philip Guarino, che nel giro di pochi giorni “la palma svedese” sarebbe “caduta”, come la Svezia pullulasse di palme».Lo stesso Craxi, ricorda Carperoro, vinse lo storico congresso del Psi al Midas, da cui nacque la sua leadership, «con un programma che al 50% era quello di Olof Palme, che era il padre nobile di tutti questi socialisti europei». Poi ovviamente «ognuno è libero di considerare i seguaci degni o non degni, ma resta il fatto che Palme aveva dato un programma socialista all’Europa». Dopo il drammatico “avvertimento” rappresentato dall’omicidio di Stoccolma, nessuno dei seguaci di Palme gli sopravviverà – politicamente, quantomeno. «Craxi, in circostanze che non riesco a considerare nitide (e con tutti i suoi errori, certo) viene comunque rimosso dalla vita politica italiana. Poi viene rimosso Mitterrand, in Francia. E viene rimosso Schmidt in Germania, con uno scandaletto. E pensate che, dopo tutte queste concatenazioni nel giro di pochi anni, poi la si faccia casualmente, l’Europa unita, nel modo in cui è stata fatta?». Per Carpeoro, c’è poco da cianciare di complottismo: «Sono stati eliminati i vertici di un movimento politico che aveva un capofila importante».Palme, già attivissimo come leader del suo partito, ha poi svolto due mandati come presidente del Consiglio, in Svezia, «e il secondo l’ha fatto coram populo». Disse: «Io non sono contro il capitalismo, voglio solo tagliargli le unghie ogni tanto». E’ questo il ruolo del socialismo, sottolinea Carpeoro: «Per questo il socialismo è necessario, è indispensabile a questa società. Anche perché, senza socialismo (come, del resto, senza liberismo) questa società non può camminare. Deve avere due ruote, un polo conservatore e un polo progressista. E possibilmente, questi due poli devono essere talmente di qualità che il fatto che si possano alternare al potere deve dipendere solo dalle condizioni del momento». Il liberismo sfrenato? «Non ha fatto male, all’America, appena è stato introdotto da Reagan. Poi però ci si doveva fermare. Se qualcuno ti progetta un regime oligarchico ultraliberista e senza regole per vent’anni, ti vuoi meravigliare se poi il risultato sono le banche che saltano, i soldi che non viaggiano, l’economia che non gira? E’ una forma di staticità della società, e la società non può essere statica».Di fronte alla drastica possibilità di nazionalizzare le aziende, Olof Palme adottò una soluzione intermedia, ispirata alla teoria dell’economista Rudolf Meidner: una quota ai lavoratori, una quota di controllo allo Stato e una quota al privato. «Non per tutto: solo per le aziende in difficoltà. E ha funzionato, in Svezia. Il problema è che poi Palme l’hanno ammazzato». E in Italia? «Se avessero adottato lo schema Meidner, anche da noi, forse molte aziende in difficoltà sarebbero sopravvissute, e i sacrifici richiesti alle nostre maestranze sarebbero stati vissuti in maniera diversa». Non c’è bisogno di tornare all’antico, all’assistenzialismo dell’Iri, basterebbe la leva dei benefici fiscali, alla portata di uno Stato che possedesse quote di aziende. Perché nonè successo? «Perché noi non abbiamo avuto il coraggio di fare quello che Palme ha osato fare, in Svezia, dal ‘69 in poi». Rimettere mano, oggi, alla “contaminazione” socialista? Assolutamente sì, come stimolo ideologico: «Progetto e ideologia sono la stessa cosa: non puoi fare un progetto se non hai un’ideologia. E l’aver trasformato l’ideologia in un insulto è la riprova che a questo sistema, le cose che hanno idee, fanno paura. Il potere le teme, vuole cose senza idee. Vogliono un encefalogramma piatto come quello di Renzi, dove non ci sono onde».Hanno ucciso Olof Palme, il migliore dei leader, per assassinare il socialismo in Europa, intimidire e poi togliere di mezzo personaggi come Schmidt e Mitterrand (e volendo, lo stesso Craxi). Obiettivo: far stravincere l’oligarchia finanziaria e mettere in piedi l’attuale obbrobrio chiamato Unione Europea. Faceva paura, il premier svedese? Eccome: acerrimo avversario di ogni totalitarismo, in Svezia aveva varato un’economia mista, con quote di controllo allo Stato, nelle aziende, e quote di partecipazione assegnate ai lavoratori. Pragmatismo, coraggio. E soprattutto idee: «E’ di quelle che ha paura, il potere. Per questo ha trasformato la parola “ideologia” in una specie di insulto. Ma l’ideologia è il futuro, il progetto. E senza idee, non puoi fare nessun progetto». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo e romanziere, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, intervenuto in un recente convegno a Roma. L’occasione per una riflessione anche storica sull’eredità del socialismo: se la nostra società occidentale è ridotta così, alla solitudine dell’homo homini lupus, è perché è stato scientificamente, chirurgicamente asportato il virus benefico del socialismo. Anche con il terrorismo, e non da oggi.
-
La caverna dei 7 ladri: Gelli, il Pci e il tesoro di Jugoslavia
Belgrado, 17 marzo 1941. Su 57 autocarri sono caricate 1.300 cassette di legno, sulle quali è stampigliata la scritta Banque Nationale Royame de Jugoslavie, Caisse Centrale. Ciascuna cassetta è numerata in rosso e contiene 55 chili d’oro fino in lingotti, per un totale presunto di 60 tonnellate. Su altri otto autocarri viaggia un altro tesoro: fondi neri di generali e ministri jugoslavi in fuga al seguito del re, per un totale di 64,494.177 dinari, 223 mila franchi francesi, 175 mila corone, 76.675 mila dollari. Poi c’è un terzo tesoro, quello della corona: sacchi di ruvida tela che contengono 500 milioni di dinari in biglietti da mille, e un imprecisato numero di casse piene di gioielli e monete d’oro. Il 14 aprile, sotto la scorta di cento uomini, il convoglio arriva a destinazione nei pressi di Cattaro, ma nel frattempo la situazione militare crolla: fra il 9 e il 13 aprile l’Italia occupa la Dalmazia fino alle bocche di Cattaro. Il 15 aprile il tenente di stato maggiore che comanda il prezioso convoglio, riceve l’ordine, in attesa dell’imbarco per l’Egitto, di nascondere il tesoro in una caverna naturale a due chilometri dalla città di Niksic, sulla strada per Podgoriza, vicino alla base navale di Cattaro: la caverna dei sette ladri, così chiamata per via di sette banditi che nell’Ottocento vi nascondevano il frutto delle loro scorrerie.Il giovane re Pietro volle però che il tesoro della corona fosse nascosto nelle grotte del monastero del patriarca Gavrilov, sul monte Ostrog. Tenne per sé 15 milioni di dinari per le spese personali e per la fuga. Intanto il 17 aprile l’Italia con le divisioni Centauro, Messina e Marche, occupa l’intero Montenegro, e improvvisamente, il piano del governo jugoslavo e dell’ambasciatore inglese per imbarcare il tesoro, diventa impraticabile. Entrano in scena i servizi segreti militari italiani. Il generale Mario Roatta localizza l’oro jugoslavo attraverso il generale Riccardo Pentimalli, comandante della divisione Marche, e fa piantonare la caverna. Entra in scena Licio Gelli, che all’epoca è in Jugoslavia al seguito di un ex federale di Pistoia, Luigi Alzona, diventato rappresentante del Servizio Informazione Militari (Sim). E’ proprio Gelli a proporre l’idea di un falso treno ospedale diretto a Trieste, per trasportare il tesoro jugoslavo. Con questo stratagemma il tesoro raggiunge l’Italia, i cinque vagoni che lo trasportavano furono parcheggiati in un binario morto dopo la stazione di Trieste. Lì, Alzona e Gelli lo consegnarono ad altri agenti del Sim.A questo punto, il bottino si divise: otto tonnellate d’oro furono consegnate alla Banca d’Italia, le altre per la maggior parte furono nascoste dagli stessi funzionari della Banca d’Italia in varie località segrete, dove restarono fino alla liberazione di Roma sotto il controllo del governatore Azzolini, di Roatta e di Pentimalli. In questo quadro si inserirebbe un incontro tra Licio Gelli e Palmiro Togliatti, nella sede romana del Pci, dove Gelli sarebbe giunto scortato da tre ex partigiani comunisti, incaricati dal Cln, al comando di Bruno Tesi. Perché ci sarebbe stato questo incontro? Gelli voleva un appoggio per far sbiadire i suoi trascorsi fascisti? Forse voleva parlare del malloppo jugoslavo, barattando l’informazione con protezioni politiche? Di certo si sa che in questo periodo del presunto colloquio con Togliatti, Gelli ebbe vari contatti con esponenti responsabili del Pci. Nel 1945, via mare e in gran segreto, 27 tonnellate d’oro del tesoro jugoslavo furono restituite a Tito. Solo nel 1947, ufficialmente, furono restituite le otto tonnellate conservate nelle casseforti della Banca d’Italia.Nel frattempo i protagonisti della vicenda dell’oro jugoslavo, Roatta, Pentimalli, Azzolini e Gelli, approdano con pochi danni dal regime fascista a quello democratico. La scure dell’epurazione non colpì nessuno dei quattro protagonisti, che alla fine furono tutti riabilitati nel secondo grado di giudizio, perché “ingiustamente” condannati. Secondo Gianfranco Piazzesi, autore del libro “La caverna dei sette ladri” (Baldini & Castoldi, 1996), dopo l’incontro con Togliatti, Gelli poté entrare nell’isola della Maddalena sotto la tutela degli americani, dove lo raggiunse la moglie e il resto della famiglia, tutti al sicuro da eventuali vendette partigiane. Il suo iter giudiziario fu davvero poco drammatico. Fu spedito nelle carceri di Cagliari e di Napoli. A Regina Coeli, poi, condivise la cella con Junio Valerio Borghese, il principe nero, ex comandante della X Mas. Nel 1947 fu in carcere a Pistoia, poi a Firenze con l’accusa di collaborazionismo. Nel 1947 Togliatti, ministro della giustizia, promulga l’amnistia, dalla quale sono esclusi solo i colpevoli di sevizie particolarmente efferate. Gelli ha collaborato con i nazisti, ma si è fatto anche vedere a fianco dei partigiani e i documenti del Cln sono tutti a suo favore. Gelli rientra a pieno titolo nei casi previsti dall’amnistia. E il tesoro? Oltre venti tonnellate d’oro restarono in mani misteriose.(Lara Pavanetto, “La caverna dei sette ladri, ovvero come l’esercito italiano trafugò l’oro jugoslavo grazie a Licio Gelli. Cattaro 1941”, dal blog della Pavanetto, 5 ottobre 2014).Belgrado, 17 marzo 1941. Su 57 autocarri sono caricate 1.300 cassette di legno, sulle quali è stampigliata la scritta Banque Nationale Royame de Jugoslavie, Caisse Centrale. Ciascuna cassetta è numerata in rosso e contiene 55 chili d’oro fino in lingotti, per un totale presunto di 60 tonnellate. Su altri otto autocarri viaggia un altro tesoro: fondi neri di generali e ministri jugoslavi in fuga al seguito del re, per un totale di 64,494.177 dinari, 223 mila franchi francesi, 175 mila corone, 76.675 mila dollari. Poi c’è un terzo tesoro, quello della corona: sacchi di ruvida tela che contengono 500 milioni di dinari in biglietti da mille, e un imprecisato numero di casse piene di gioielli e monete d’oro. Il 14 aprile, sotto la scorta di cento uomini, il convoglio arriva a destinazione nei pressi di Cattaro, ma nel frattempo la situazione militare crolla: fra il 9 e il 13 aprile l’Italia occupa la Dalmazia fino alle bocche di Cattaro. Il 15 aprile il tenente di stato maggiore che comanda il prezioso convoglio, riceve l’ordine, in attesa dell’imbarco per l’Egitto, di nascondere il tesoro in una caverna naturale a due chilometri dalla città di Niksic, sulla strada per Podgoriza, vicino alla base navale di Cattaro: la caverna dei sette ladri, così chiamata per via di sette banditi che nell’Ottocento vi nascondevano il frutto delle loro scorrerie.