Archivio del Tag ‘negri’
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I pro-vax e il complotto di oggi, annunciato 100 anni fa
Lo ammetto. Essendo un complottista, appena annunciarono il primo lockdown, la prima cosa che pensai è che volevano distruggere l’economia, e che il virus era una scusa. Ma essendo un complottista positivo, mi dicevo che non sarebbero arrivati ad imporre un vaccino a tutta l’umanità, come prevedeva Steiner 100 anni fa, né a imporre lockdown e misure restrittive a vita, come aveva previsto David Icke, il re dei complottisti. Come avrebbero fatto, mi dicevo a marzo dell’anno scorso, ad imporre un vaccino di cui sarebbero stati sconosciuti gli effetti a lungo termine? La gente non ci sarebbe cascata. E invece si sono avverate le peggiori previsioni. Il vaccino lo stanno imponendo a tutti; incuranti dello sfascio economico provocato da queste misure, i vari governi del mondo si preparano a nuovi lockdown, e nuove restrizioni che dureranno ancora anni, a colpi di varianti e di accuse ai non vaccinati di essere i nuovi untori di questa epoca.Insomma, per me la presa per il culo globale in cui stiamo vivendo è un’ovvietà. Non a caso le persone che stimo da anni, quelle con cui condivido idee, esperienze, percorsi, la pensano tutti come me. Una prima osservazione che io trovo decisiva, e addirittura dirimente, nel senso che basterebbe questo per far capire che siamo di fronte ad un immenso complotto globale, è il fatto che la cura per il Covid ci sarebbe, eccome. Attualmente, alcuni scienziati inascoltati, dicono che è sufficiente vitamina D3, vitamina C, vitamina K2, lattoferrina, quercetina, ma anche farmaci come Ivermectina e Idrossiclorochina, per curare senza problemi questo virus, a casa, senza affollare gli ospedali. Queste cure, a bassissimo costo e di efficacia dimostrata, se diffuse, renderebbero questo virus più innocuo di una normale influenza. Non è sufficiente questo dato, per concludere che i vari governi non hanno nessuna intenzione di combattere davvero il virus? Questo a me non sembra un discorso complottista, ma proprio un discorso medico. Scientifico.Le risposte sono varie. Alcuni ammettono candidamente che non ne ne avevano mai sentito parlare. Altri ti dicono che la scienza ufficiale (che dipende dalle case farmaceutiche, che finanziano le ricerche) non ha ancora accettato l’Ivermectina (ma è falso). E se gli fai notare che i 200 medici di Ippocrateorg.org (è solo una delle associazioni che hanno proposto le cure domiciliari) sono, appunto medici, e quindi scienziati (Fabio Burigana, presidente dell’associazione, si adopera per la diffusione di questa terapia, è uno scienziato molto apprezzato anche all’estero per i suoi studi) ti rispondono che queste terapie non sono validate dalla “scienza” (in realtà è falso, perché in altri paesi tali cure sono riconosciute come valide; l’India, ad esempio, vende in farmacia un Covid Kit a base di Zinco, Doxycilina, Ivermectina). Inoltre, è ovvio che nessuno abba testato a livello ufficiale la validità della vitamina C e D3, dato che sono prodotti che esistono da sempre; ma decine di migliaia di casi curati in Italia con questo metodo saranno pur un risultato scientifico. O no? No. Per il pro vax questo discorso non attacca.A questo punto cerco di capire cosa si intende per “scienziato”. Siccome si sono pronunciati contro l’utilità di questo vaccino diversi Premi Nobel e ricercatori di fama internazionale (Rault, Tarro, Montagnier, Massimo Citro, ecc.) la risposta è abbastanza sorprendente. Montagnier si è rincoglionito per l’età; Citro non ha vinto manco un Premio Nobel; Tarro ha ricevuto non so quali denunce, e via discorrendo con attacchi alla persona, non alle teorie che divulgano. Senza contare che anche Burigana, ad esempio, è un ricercatore di fama internazionale, noto nel suo ambiente per gli studi che ha portato avanti. Ma quando cito Fabio Burigana, la risposta è «Chi cazzo è Fabio Burigana?». Ora, quali sono questi scienziati di fama internazionale che promuovono il vaccino, francamente non sono riuscito a capirlo, a meno di non considerare tali Burioni, Fauci e persone famose solo per le comparse in televisione. E devo dire la verità, non sono proprio riuscito a capire il concetto di “scienza” cui fa riferimento il pro vax.Per quale motivo imporre il vaccino a tutti, e perché questo accanimento verso chi non vuole vaccinarsi? Perché solo se si vaccinano tutti, il virus sarà sconfitto, è la risposta. A quel punto fai notare che in Israele (dove erano tutti vaccinati) e in Islanda (dove la percentuale dei vaccinati era il 100 per cento) ci sono stati altri focolai, il che è la prova che il vaccino non funziona come metodo di prevenzione. Qui le risposte sono molto sofisticate, e sono di due tipi: 1) In realtà il problema è che la copertura del vaccino va da 4 ai 6 mesi e i governi dovrebbero imporre la cosiddetta terza dose dopo 4 mesi. Il fallimento della politica vaccinale quindi dipende dal fatto che le dosi dovrebbero essere somministrate con minor intervallo temporale. 2) Ad ogni modo, anche se il virus circola lo stesso, la gente si ammala meno e, se si muore, i morti sono molti meno. E gli effetti collaterali del vaccino? Soprattutto quelli a lungo termine, di cui non sappiamo nulla. Perché, se quelli a breve termine sono già evidenti, e in alcuni casi gravi molto gravi, figuriamoci quelli sul lungo periodo.In questa situazione internazionale, i principali governi del mondo sono allineati sul fronte vaccinista e pro lockdown; ora, considerato che non mi risulta che i singoli governi abbiamo mai pensato veramente al bene della popolazione, non trovate sospetto che per la prima volta nella storia dell’umanità tutti i governanti siano d’accordo per imporre le stesse misure? E che alcuni di quelli non allineati siano morti (come il presidente di Haiti, ucciso addirittura da un commando nella sua abitazione, insieme alla moglie?). Alla mia amica Solange (un tempo straordinaria studiosa di poteri occulti, ma oggi perfettamente allineata al pensiero mainstream) si scalda addirittura il cuore a sentire i discorsi di Mattarella, che invita alla vaccinazione come dovere civico e morale. Ma al centro di tutto il dibattito, al di là delle statistiche con cui si può dimostrare tutto e il contrario di tutto, c’è la scienza. E’ la scienza che ci dice che il vaccino funziona. Ed è la scienza che dice che i metodi restrittivi, come il lockdown, servono a prevenire il contagio. E chi siamo noi per contraddire la scienza?Inutile ricordare, a chi osanna la scienza, che la scienza ai tempi del nazismo spiegava con teorie di illustri scienziati la superiorità della razza ariana, ed è grazie alla scienza che si è perpetrato lo sterminio degli ebrei; che ai tempi dello schiavismo, molti scienziati dimostravano, teorie alla mano, che i neri erano inferiori ai bianchi ed erano nati per lavorare sodo, ed è grazie alla scienza che abbiamo massacrato milioni di africani che morivano durante i viaggi, ammassati nelle stive delle navi, e quelli che sopravvivevano venivano venduti, frustati, umiliati. Inutile ricordare che spesso la scienza ha dichiarato innocui farmaci rivelatisi dannosi se non addirittura mortali (ricordate il caso del Talidomide, tanto per citarne uno? Farmaco dichiarato sicuro, ma che poi, si riuscì a dimostrare, provocava aborti o la nascita di bambini malformati).Anche personaggi noti, nonostante la loro cultura, sostengono che il problema al centro del dibattito è la scienza. Il virus è il problema, e il vaccino la soluzione, scrive Beppe Servegnini in un recente articolo sulla logica del no vax. Mentre Samantha Cristoforetti dichiara beatamente che lei e la sua famiglia si sono vaccinate non perché ha acquisito informazioni che tutt’ora non ha, ma perché si fida delle istituzioni. Il reale problema, secondo lei, è «recuperare la fiducia nelle istituzioni». Mica si è informata su quello che le iniettano in corpo. Lei si fida. La situazione mi ricorda quella ai tempi di Nostradamus e Paracelso; imperversava spesso la peste, a quei tempi, ed entrambi sostenevano un cosa assai banale, ma derisa dal mondo scientifico di allora: che per non ammalarsi di peste bastava lavarsi di più e curare la propria igiene personale e quella del luogo in cui si viveva. Ma siccome la scienza non l’aveva ancora accertato ufficialmente, le loro teorie rivoluzionarie (cioè curare l’igiene) rimasero nel vuoto ancora per molto tempo.In conclusione: la logica del no vax è che il virus non sarebbe un problema (perchè le cure ci sono) e il vaccino non è la soluzione. Anche a me sembra logico affidarmi alla scienza. E infatti, non avendo elementi per capire efficacia e componenti di un vaccino, mi affido a scienziati di cui mi fido, oltre che al mio spirito di osservazione. Quello che trovo senza logica è il ragionamento di molti pro vax; non capisco di quale scienza parlano. Non capisco perché hanno paura di un virus e preferiscano veder distruggere l’economia e rischiare gli effetti collaterali di un vaccino sconosciuto, piuttosto che prendere in considerazione altre cure. Non ho proprio capito il criterio alla base dei loro ragionamenti e non credo che lo capirò mai (dò la mia spiegazione nell’articolo dedicato alle eggregore, le entità e la pandemia).E la mia amica Solange Manfredi, esperta di guerre psicologiche, che sostiene che siamo di fronte alla più grande operazione di guerra psicologica di tutti i tempi? Come si concilia questo con il suo postare continuamente i discorsi di Mattarella sul dovere civico e morale di vaccinarsi? Nulla. Impossibile – almeno per me – capire il suo pensiero, al di fuori dei suoi appelli a vaccinarsi e a rispettare il lockdown. Perché lei è un’esperta, insegna al master di intelligence, e – come consiglia un professore americano da lei citato – non parla con le menti deboli come la mia. Insomma, è la scienza a consigliarle di non parlare con gli idioti come me. E se lo dice la scienza, chi sono io per contraddirla?(Paolo Franceschetti, estratti da “La logica dei pro vax”, post pubblicato sul blog “Petali di Loto” il 22 agosto 2021).Lo ammetto. Essendo un complottista, appena annunciarono il primo lockdown, la prima cosa che pensai è che volevano distruggere l’economia, e che il virus era una scusa. Ma essendo un complottista positivo, mi dicevo che non sarebbero arrivati ad imporre un vaccino a tutta l’umanità, come prevedeva Steiner 100 anni fa, né a imporre lockdown e misure restrittive a vita, come aveva previsto David Icke, il re dei complottisti. Come avrebbero fatto, mi dicevo a marzo dell’anno scorso, ad imporre un vaccino di cui sarebbero stati sconosciuti gli effetti a lungo termine? La gente non ci sarebbe cascata. E invece si sono avverate le peggiori previsioni. Il vaccino lo stanno imponendo a tutti; incuranti dello sfascio economico provocato da queste misure, i vari governi del mondo si preparano a nuovi lockdown, e nuove restrizioni che dureranno ancora anni, a colpi di varianti e di accuse ai non vaccinati di essere i nuovi untori di questa epoca.
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Veneziani: dementi, credete che Nero sia meglio di Negro?
Ieri mi ha fermato un africano per vendermi qualcosa e mi ha detto “Fratello bianco”. Io gli ho risposto: «Ma come ti permetti?». Lui è rimasto allibito, pensando che ce l’avessi col fratello, invece ho proseguito: «A me, bianco non me l’ha mai detto nessuno», alludendo alla mia carnagione scura. Lui ha sorriso e mi ha detto: «Io però sono n., tu sei solo scuro». Non posso pronunciare la parola perché è vietata dalla polizia culturale e l’algoritmo la censura e l’inquisizione poi sospende il blog. Detesto la retorica di dire nero anziché n., sapendo che l’insulto è nell’aggettivo che può accompagnarlo o nel tono, non certo nella parola n. E mi piace che sia stato lui a dirlo. Ma si rendono conto, i retori dell’integrazione, che nero è sempre stata – salvo per i fascisti, i preti e la nobiltà nera – una connotazione negativa? Nera è la morte, il lutto e la sfortuna. Nero anzi noir è l’horror, nera è la cronaca dei delitti, nero è il lavoro sfruttato e l’evasione (ma il rosso in bilancio è peggio). Nero è il buio, nero è l’uomo cattivo dell’infanzia, nera è la giornata disastrosa. Nero è il tempo brutto, il gatto che porta male, il corvo funesto e l’abito dello iettatore.Nero è il futuro negativo, nera è la maglia della vergogna, nero è il volto dell’incazzatura, nera è la minaccia: ti faccio nero. Nera è l’anima del malvagio. Possibile che con questi precedenti si celebri come un progresso la promozione del n. a nero? Peggio di nero, c’è solo la definizione di uomo di colore, come se lui fosse un pagliaccio variopinto e noi degli esseri incolori. Due offese in un colpo solo. Più rispetto per i n., i chiari e i chiaroscuri. Quanto al calcio, io ricordo da bambino i cori e le battute degli spalti. Si accanivano contro qualunque calciatore della squadra opposta avesse uno spiccato tratto distintivo: se era pelato, se era troppo alto o troppo basso, se aveva la barba o era grassottello, se parlava in campo o se si agitava, se era nero, mulatto o rosso di capelli. Di quei cori puerili e di quelle frasi cretine non se ne faceva però un titolo di telegiornale, una campagna antirazzismo, non si istituiva una commissione o un processo, non si denunciava allarmati il ritorno di Hitler…Un crimine, un furto, un’aggressione, lo spaccio di droga non destano reazioni così decise, sanzioni così drastiche e pubblico raccapriccio come una parola scema fuori posto pronunciata in tema di colore della pelle. Se fai un commento, una battuta sul tema ti giochi il lavoro, la tua reputazione, il tuo posto in squadra, molto più che se hai compiuto veri reatiBisogna saper distinguere le cose gravi dalle cose sciocche; è molto più nociva l’abitudine di criminalizzare chiunque dica una parola sconveniente adottando la teoria demente che si comincia così e poi si finisce ai campi di sterminio. Chi prende sul serio una stupidaggine è più stupido di chi la pronuncia, o peggio è in malafede perché vuole speculare sull’incidente per criminalizzare l’intera area di chi non la pensa come lui. Salvateci dal politicamente corretto, fa più danni dell’idiozia episodica di una battuta, che viene reiterata proprio perché ha una risonanza immeritata che la moltiplica e la rende importante, quando era solo una stupida battuta.(Marcello Veneziani, “Più rispetto per i n.”, da “La Verità” del 5 novembre 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Ieri mi ha fermato un africano per vendermi qualcosa e mi ha detto: «Fratello bianco». Io gli ho risposto: «Ma come ti permetti?». Lui è rimasto allibito, pensando che ce l’avessi col fratello, invece ho proseguito: «A me, bianco non me l’ha mai detto nessuno», alludendo alla mia carnagione scura. Lui ha sorriso e mi ha detto: «Io però sono n., tu sei solo scuro». Non posso pronunciare la parola perché è vietata dalla polizia culturale e l’algoritmo la censura e l’inquisizione poi sospende il blog. Detesto la retorica di dire nero anziché n., sapendo che l’insulto è nell’aggettivo che può accompagnarlo o nel tono, non certo nella parola n. E mi piace che sia stato lui a dirlo. Ma si rendono conto, i retori dell’integrazione, che nero è sempre stata – salvo per i fascisti, i preti e la nobiltà nera – una connotazione negativa? Nera è la morte, il lutto e la sfortuna. Nero anzi noir è l’horror, nera è la cronaca dei delitti, nero è il lavoro sfruttato e l’evasione (ma il rosso in bilancio è peggio). Nero è il buio, nero è l’uomo cattivo dell’infanzia, nera è la giornata disastrosa. Nero è il tempo brutto, il gatto che porta male, il corvo funesto e l’abito dello iettatore.
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Niente preservativo: e la Chiesa fabbrica migranti e orrori
Verrà il giorno in cui, finalmente, l’ipocrita Chiesa romana oserà pretendere una soluzione per abolirla, la povertà? Anziché predicare l’aiuto ai poveri, nascerà un Papa capace di imporre alla politica di eliminarla dalla faccia della Terra, la miseria? Se lo domanda Paolo Barnard, nell’esprimere un giudizio impietoso sulla situazione di oggi, con l’Africa che si prepara a inondare l’Europa di migranti. E non è che l’inizio dell’esodo, visto il boom demografico in corso nel continente nero. Nessun impegno, dal Vaticano, per limitare la natalità mediante l’uso dei contraccettivi. Anzi: il pontefice è intervenuto per censurare l’Ordine di Malta, che aveva tentato di promuovere gli anticoncezionali in Africa. Così i barconi continuano a solcare il Mediterraneo, dando poi modo allo sceriffo Salvini di fare il “signor no”. Tutto teatro, dice Barnard: facendosi fotografare mentre agita la croce e il rosario, il capo della Lega chiarisce che non si permetterebbe mai di contestare il potere religioso, che secondo Barnard è il vero motore dell’emigrazione. «Il tasso di natalità africano – scrive il giornalista sul suo blog – è una macchina di disperazione e di morte di proporzioni infernali: non esiste guerra, sfruttamento neo-coloniale, franco Cfa o malapolitica africana che gli possa stare vicino, come causa nella monumentale tragedia della loro povertà oggi».Secondo Barnard, nel 2019, «il vero anti-razzista e umanitarista deve guardare in faccia l’africano e l’africana e dirgli di smetterla di figliare come pazzi». Il giornalista punta il dito contro «la perversione mentale chiamata fede cristiana che noi abbiamo esportato e che continuiamo a esportare là, e che fisicamente impedisce ai metodi contraccettivi e all’educazione ai diritti riproduttivi di raggiungere le donne del continente, anche quando sono laiche e consapevoli». In Africa una donna negli anni di fertilità partorisce dai 5 ai 7 figli, in media. L’Onu prevede che, fra 30 anni, più di un miliardo di umani si aggiungerà alla già stipata Africa. «Nonostante i cosiddetti aiuti umanitari – con missionari laici o religiosi, con l’industria delle donazioni e della “caritas cristiana” – il numero totale di poveri estremi nell’Africa Sub-Sahariana è oggi più alto che nel 1981. E di nuovo: l’abnorme tasso di natalità gioca, in questo, un ruolo infernale». Le cause storiche della povertà africana le conosciamo, e sono «il nostro furto delle loro risorse ma anche la loro corruzione». Ma figliare a questo ritmo scriteriato, aggiunge Barnard, «creerebbe disperazione economica anche nella Svizzera delle banche, disintegrerebbe il potere di spesa sociale della Fed degli Stati Uniti».Insiste Barnard: il flusso dei profughi economici che vediamo oggi è solo la minuscola frazione dei fuggitivi africani che riescono ad arrivare in Libia. Ma il 99% dei futuri migranti stanno appena più a Sud, «e sono quelli che arriveranno quando la vera crisi dei migranti esploderà: sono gli africani dell’immenso bacino cattolico». Che fare? Tanto per cominciare, bisognerebbe «distribuire su scala intensiva preservativi agli africani», attraverso «programmi di educazione ai diritti riproduttivi (come evitare gravidanze non volute), in un accordo non solo con i politici, ma con le due maggiori religioni africane, cattolicesimo e Islam». Significherebbe «aiutare a prevenire almeno una notevole fetta di sofferenze umane che negli ultimi 40 anni hanno di molto superato in numeri quelle dell’Olocausto nazista». E di conseguenza, «prevenire la crisi dei migranti». Al contrario, ostacolare la contraccezione in un’Africa già irresponsabilmente riproduttiva «significa pianificare a tavolino uno sterminio, con tragedie incalcolabili, con la destabilizzazione peggiore mai vissuta dall’Europa moderna». Un fenomeno che, fra l’altro, «alimenta la proliferazione dei nuovi fascismi europei».In un’intervista del 1952, ricorda Barnard, il filosofo della scienza Bertrand Russell «non solo predisse il globale dramma delle migrazioni per povertà, ma dettò la ricetta per fermarle, auspicando allo stesso tempo equità economica nell’intero pianeta». Barnard considera Russell «la mente forse più lucida, autorevole e umanitarista del XX secolo». Nodo irrisolto, da allora: il problema demografico e la proibizione cristiana della contraccezione. «Sarà impossibile ridurre la diseguaglianza globale – disse Russell – se non raggiungeremo popolazioni numericamente stabili». Altro pericolo: i poveri oggi possono vedere come vivono i ricchi, cioè noi. «La consapevolezza, da parte di immense masse di poveri, della disparità di ricchezza fra loro e noi, ci porterà pericoli alla pace e calamità», aggiunse Russell. «E’ assolutamente giusto che Africa e Asia ottengano eguaglianza nella ricchezza con l’Occidente. Ma se si vuole evitare che l’Africa e l’Asia travolgano il mondo con immense popolazioni in estrema povertà – concluse il filosofo – esse dovranno però imparare a mantenere popolazioni numericamente stabili. E se non impareranno a controllare questo, allora inevitabilmente perderanno la loro rivendicazione di eguaglianza economica».Cosa si deve aggiungere – dice Barnard – a parole del genere? Furono pronunciate «cinquant’anni prima che chiunque, qui da noi, sentisse parlare di barconi, crisi migranti, neo-razzismo e di Salvini». Profezia lampante: «Il controllo delle nascite, quindi la contraccezione, sono vitali per l’economia e la giustizia globali». La soluzione è proprio la contraccezione, «non la demente astinenza predicata dalla Chiesa». E chi si oppone a questa politica salva-pianeta che mitigherebbe guerre, migrazioni e drammi incalcolabili? «Due fanatici della croce vaticana, Bergoglio e Salvini», scrive Barnard. Per il Vaticano «la contraccezione, in ogni sua forma, è dannazione divina, è perdizione: equivale al peggior sudiciume morale, addirittura all’infanticidio». Non importa se poi la mancata contraccezione miete milioni di vittime: «Conta la croce vaticana, che purtroppo proprio nell’Africa più disperata ha una presa pandemica sui suoi abitanti». Per Barnard, il pontefice romano e il capo leghista «sono disgustosi entrambi», per ipocrisia: il primo contribuisce direttamente alla strage, l’altro campa politicamente sull’esodo. Bergoglio? «Nell’encefalo di milioni di fessi passa come un “francescano” riformatore», come il volto nuovo (decente) della «vomitevole Chiesa storica», cioè «quella dell’opzione per i ricchi e morte ai poveri».Ma per fortuna esiste Wikileaks, continua Barnard: il network di Julian Assange rivela che Papa Francesco intervenne «in un mefitico guazzabuglio di potere» con il cattolico Ordine di Malta, il quale «per un errore di un tal Gran Cancelliere» dell’ordine religioso vaticano, di nome Albrecht Freiherr von Boeselager, «aveva osato finanziare l’uso di contraccettivi per non sovrappopolare l’Africa, e quindi per evitare non solo le infezioni da Aids ma anche per diminuire le crisi dei migranti che finiscono sui barconi». Dai documenti pubblicati da Wikileaks, il Papa si sarebbe «prodigato nel suo decennale doppiogiochismo». Barnard ricorda che Bergoglio «fu pro/anti torturatori argentini, fu pro/anti teologi della liberazione, fu pro/anti-preti pedofili, fu pro/anti Fondo Monetario Internazionale alla gola dei poveri latinoamericani, infatti aiutava una manciata di poveracci ma ostacolava la “socialista” Kirchner». Secondo Wikileaks, se da un lato ha messo sotto scacco la parte più conservatrice del vaticanissimo Ordine di Malta («dopotutto deve figurare come Francesco il progressista, no?»), dall’altro avrebbe imposto «con feroce autoritarismo» la proibizione dei contraccettivi e dei diritti riproduttivi su tutta l’Africa, «con morti per Aids, sovrappopolazione e povertà disperata come conseguenze».Ipocrisia su ipocrisia: non sono certo «i miliardi vaticani investiti in hedge funds o immobili miliardari a pagare per l’accoglienza». Per Barnard, siamo di fronte a «oggettivi crimini contro l’umanità, dettati da una fede religiosa da sempre genocida». Crimini che però «farebbero poca strada, se poi non esistessero vaste masse di complici». Fra queste, «il “popolo del capro espiatorio” in drammatica espansione in Ue, cioè le destre populiste, quelli che “tutto è colpa del migrante, anche il deficit strutturale”». Peggio di loro si comportano le “anime belle”: «Sono l’altro popolo, cioè il “popolo della caritas”, quello che in nome della propria auto-santificazione alimenta l’orrore, abbracciando la croce del genocidio anti-contraccettivo». In patria, i buonisti «lavorano per l’inutile e controproducente industria della “caritas” verso i dannati della Terra», ma spesso «vanno anche a far danni diretti nelle ormai secolari scorribande missionarie vaticane».Si indigna, Barnard: «Se questo “popolo della caritas” dedicasse quella montagna di energie a pretendere dalla politica occidentale soluzioni sistemiche alla povertà e alla sovrappopolazione del mondo, senza neppure spostarsi da casa, se questo avessero fatto da anni invece di sentirsi “buoni” e dare l’obolo o fare il viaggetto santo, noi nel 2019 non avremmo mai sentito parlare di un trionfante Salvini, di barconi, di cadaveri sul fondo del Mediterraneo, di neofascismi in tutto l’Occidente e, soprattutto, la tragedia del Terzo Mondo sarebbe ora solo un brutto ricordo». E invece ecco ogni giorno in televisione «il Santo Signore di tutti gli Ipocriti, con al seguito il vostro beniamino padano che sbraita contro l’invasione dei disperati ma bacia la croce che l’alimenta a tutta forza». Però «mica se la prende con le gabbane, il Matteo: no, solo coi disperati». Ribadisce Barnard: «Priorità per la tragedia migranti: contraccettivi e educazione ai diritti riproduttivi. Ora. Perché mentre ne respingete uno, là se ne creano 10.000».Verrà il giorno in cui, finalmente, l’ipocrita Chiesa romana oserà pretendere una soluzione per abolirla, la povertà? Anziché predicare l’aiuto ai poveri, nascerà un Papa capace di imporre alla politica di eliminarla dalla faccia della Terra, la miseria? Se lo domanda Paolo Barnard, nell’esprimere un giudizio impietoso sulla situazione di oggi, con l’Africa che si prepara a inondare l’Europa di migranti. E non è che l’inizio dell’esodo, visto il boom demografico in corso nel continente nero. Nessun impegno, dal Vaticano, per limitare la natalità mediante l’uso dei contraccettivi. Anzi: il pontefice è intervenuto per censurare l’Ordine di Malta, che aveva tentato di promuovere gli anticoncezionali in Africa. Così i barconi continuano a solcare il Mediterraneo, dando poi modo allo sceriffo Salvini di fare il “signor no”. Tutto teatro, dice Barnard: facendosi fotografare mentre agita la croce e il rosario, il capo della Lega chiarisce che non si permetterebbe mai di contestare il potere religioso, che secondo Barnard è il vero motore dell’emigrazione. «Il tasso di natalità africano – scrive il giornalista sul suo blog – è una macchina di disperazione e di morte di proporzioni infernali: non esiste guerra, sfruttamento neo-coloniale, franco Cfa o malapolitica africana che gli possa stare vicino, come causa nella monumentale tragedia della loro povertà oggi».
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Facebook cancella membri dai gruppi in vista delle europee
Quando si parla dell’algoritmo di Facebook tutti pensano subito alla matematica. Eppure quante volte è capitato che vengano aggiunti amici al profilo senza che ciò venisse richiesto? Quante volte scompaiono i like senza motivo? Si elimina un commento e scompare l’intero thread del post. Il politically correct censura parole come “negri” dalle canzoni di Edoardo Vianello, mentre lascia passare minacce e ingiurie della paggior specie. Chi frequenta con assiduità il Re dei social sa benissimo di cosa stiamo parlando. E la matematica non c’entra nulla. In questi giorni, Facebook cancella in automatico gli iscritti dai gruppi. Tutti se ne sono accorti e gli admin lamentano la scomparsa improvvisa di centinaia, se non di migliaia di membri dal gruppo da loro gestito. Poichè il social di Zuckerberg è incontrollabile se non dagli sviluppatori di Menlo Park, viene da chiedersi perchè proprio i gruppi, e, soprattutto, quali gruppi? Pier Paolo Pasolini, in un celeberrimo articolo sul “Corriere della Sera”, scriveva così: «Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere)».«Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, (…) Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero (…)». Ebbene, anche se a fronte del repulisti censorio di Facebook verrebbe facile evocare Pasolini ed il suo “io so”, nel caso dei gruppi, direi che ci sono anche le prove. I gruppi dai quali sono spariti centiania di membri automaticamente sarebbero tutti, incondizionatamente, ma i soli a lamentarsene pubblicamente sono i gruppi che parlano di politica, specialmente quelli che trattano di controinformazione.I gruppi tacciati di “rossobrunismo” o che propongono politiche economiche di stampo keynesiano o molto critici nei confronti dell’Unione Europea. E’ in quei gruppi che si registrano i danni maggiori. La scusa per bannare è la passività dei membri. Detto diversamente, Facebook si è arrogata il diritto di cancellare tutti quei membri che non partecipano alla vita del gruppo, non mettono i like, non condividono nè postano notizie. Eppure, chi è iscritto in gruppi come “amici che rivogliono Pippo Baudo alla tele”, pur silenti da anni, non si sono visti scippare l’iscrizione da Zuckerberg… come mai? Ora i soliti siti antibufala si affrettano a garantire che è tutto un malinteso, perchè il messaggio di chiarimento inviato dal social californiano precisa che non compariranno più tra i membri quei soggetti che sono stati iscritti in passato da altri e che d’ora in avanti, per rimanerci, dovranno confermarlo in modo esplicito. Dunque, se rimani iscritto agli “amici che rivogliono Pippo Baudo” è solo perchè, quella volta, tu hai chiesto l’iscrizione. Qualora, invece, fossi stato iscritto “di nascosto”, ban automatico in attesa di conferma esplicita.Niente Zuckerberg cattivo, dunque. Ma questa difesa antibufala puzza come le bufale scadute da un mese. Se applicassimo lo stesso criterio alle democrazie occidentali, cadrebbero tutte domani mattina, perchè nessuno dei viventi ha sottoscritto di suo pugno la dichiarazione d’indipendenza americana del 1876 o la Costituzione italiana del 1948. E tornando a Internet, basta scivolare sul mouse per accettare i cookies di qualsivoglia sito web, oppure accedere ad un servizio tramite Facebook per vedersi arrivare in posta elettronica email spazzatura da tutto il mondo. Questo zelo – “ti elimino dai gruppi se ti ha iscritto un amico anni fa” – a pochi mesi dalle elezioni, puzza di bruciato. Il confronto politico di maggio 2019 potrebbe cancellare un’intera classe politica dal vecchio continente. lobby comprese. I gruppi che si sono visti dimezzare gli iscritti, infatti, molto difficilmente pubblicano approfondimenti di “Repubblica” o del “Sole 24 Ore”, e la scusa per azzopparli con astruse motivazioni tecniche può convincere solo chi è ingenuo. O in malafede.(Massimo Bordin, “Facebook cancella membri dai gruppi a pochi mesi dalle elezioni europee”, dal blog “Micidial” del 21 gennaio 2019).Quando si parla dell’algoritmo di Facebook tutti pensano subito alla matematica. Eppure quante volte è capitato che vengano aggiunti amici al profilo senza che ciò venisse richiesto? Quante volte scompaiono i like senza motivo? Si elimina un commento e scompare l’intero thread del post. Il politically correct censura parole come “negri” dalle canzoni di Edoardo Vianello, mentre lascia passare minacce e ingiurie della paggior specie. Chi frequenta con assiduità il Re dei social sa benissimo di cosa stiamo parlando. E la matematica non c’entra nulla. In questi giorni, Facebook cancella in automatico gli iscritti dai gruppi. Tutti se ne sono accorti e gli admin lamentano la scomparsa improvvisa di centinaia, se non di migliaia di membri dal gruppo da loro gestito. Poiché il social di Zuckerberg è incontrollabile se non dagli sviluppatori di Menlo Park, viene da chiedersi perché proprio i gruppi, e, soprattutto, quali gruppi? Pier Paolo Pasolini, in un celeberrimo articolo sul “Corriere della Sera”, scriveva così: «Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere)».
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Orrore indicibile: la polizia ritrova 123 bambini scomparsi
Rapiti e poi “parcheggiati”, in attesa di essere massacrati. La polizia di Detroit li ha ritrovati tutti insieme: 123 bambini. Erano «in un grave stato di denutrizione e di sofferenza psicologica», scrive l’“Huffington Post”. Tuttavia, «dagli accertamenti svolti non sembrerebbe che siano stati vittime di violenze sessuali». Gli agenti hanno impiegato molte ore per rintracciare le loro famiglie e riconsegnare i piccoli, sequestrati nei giorni precedenti. Secondo il “New York Post”, gli inquitenti stavano indagando «su una rete di rapimenti di minori che poi venivano coinvolti in traffici sessuali». Quello che sorprende, di queste notizie – osserva Paolo Franceschetti – è che vengono date di sfuggita: «Poche righe, liquidate come se si trattasse di una notizia del tipo “Belen ha un nuovo fidanzato”. Il sindaco di Riace, reo di aver favorito (non si sa poi se vero o no) l’immigrazione clandestina, ce lo rifilano su tutti i giornali e in tutte le salse». E i bambini scomparsi, invece? E i nomi delle persone arrestate o coinvolte nella vicenda? In America, aggiunge Franceschetti, scompare un numero incredibile di minori. «Le pareti di autogrill e supermercati sono spesso tappezzate dalle foto e di persone scomparse nel nulla, da un momento all’altro, come se niente fosse».I piccoli appena ritrovati a Detroit? «Destinati ad essere impiegati nel mercato del sesso, ma anche degli organi e dei riti satanici». Se da noi scompaiono ogni anno senza essere ritrovati centinaia di minori, in altri paesi europei la situazione è ancora peggiore: solo in Francia, quest’anno, i bambini spariti sono 1.238. Che fine fanno? Sul blog “Petali di Loto”, Franceschetti – avvocato, indagatore dei misteri italiani come quello del Mostro di Firenze – punta il dito contro il satanismo e le potentissime organizzazioni pedofile: nel mondo di calcola che ogni anno scompaiano circa 100.000 bambini. Un caso particolarmente doloroso riguarda i bambini figli di extracomunitari non registrati ufficialmente, e quelli che vengono “comprati” già da prima della nascita: «Si paga una coppia in difficoltà affinché faccia nascere un bambino e lo consegni all’organizzazione che lo richiede; è il modo più sicuro; non lascia alcuna traccia del delitto commesso e il bimbo scompare nel nulla e mai comparirà neanche nelle statistiche». Il loro destino? «Molti finiscono nel traffico di organi». Alcuni vengono utilizzati per i “giochi di morte” filmati negli abominevoli “snuff movies”, altri ancora diventeranno super-soldati, psicologicamente “riprogrammati”.Ma il posto d’onore, nella strage silenziosa dei piccoli, è occupato proprio dalle reti pedofile: «Sono organizzate a livello internazionale e coperte da capi di Stato», sostiene Franceschetti: in alcuni casi, a tirare le fila di questa realtà sono proprio i soggetti istituzionali che dovrebbero invece tutelare la sicurezza dei bambini. Franceschetti allude a magistrati, autorità di polizia, funzionari dell’Onu. «Molte delle organizzazioni antipedofilia e dei centri che accolgono i bambini abbandonati, poi, non sono altro che trappole ben congegnate per accalappiare i malcapitati che cercano aiuto». Le prove? «Ce ne sono a bizzeffe, ma il quadro – sostiene Franceschetti – va ricostruito come un immenso puzzle». Fece epoca il caso del serial killer belga Marc Dutroux, ribattezzato “il mostro di Marcinelle”. Una storia dell’orrore, rievocata nel libro “Tutti manipolati”, pubblicato da “Stampa Alternativa” e scritto da un coraggioso gendarme belga, Marc Toussaint, che aveva partecipato alle indagini per poi esserne estromesso perché “troppo ligio al dovere”. Tentarono anche di farlo fuori, provocandogli un incidente in moto. Il libro, documentato e basato sugli atti dell’inchiesta, racconta di come nel caso Dutroux furono coinvolti cardinali, ministri, e addirittura il Re del Belgio, Alberto II.Nel 1996 scomparve una bambina belga, Laetitia. Le indagini individuarono il rapitore: Dutroux. Il pedofilo aveva ucciso almeno sei bambine, ma ci vollero otto anni prima di giungere al processo. Nel frattempo, due bambine erano state rinchiuse in casa Dutroux, «ma i depistaggi della gendarmeria e della magistratura fecero sì che le bambine non venissero trovate durante le perquisizioni». La scoperta avvenne fuori tempo massimo: le piccole erano già morte. L’inchiesta, ricorda Franceschetti, portò ad individuare come mandanti personaggi di altissimo livello, che arrivavano fino al coinvolgimento personale del sovrano belga. L’organizzazione era dedita a “snuff movies” e ad attività come «il gioco del gatto e del topo, che a quanto pare è una costante di queste organizzazioni». Ma giornalisti e inquirenti che seguivano il caso persero la vita: «Incidenti e suicidi, ovviamente». E così, «tutto venne messo a tacere dalla magistratura e dalla gendermeria».Dall’Europa agli Usa: un ex agente segreto ha salvato dagli abusi e dal controllo mentale una delle vittime di queste organizzazioni, Cathy O’Brien. Dopo essere sfuggiti più volte alla morte, lo 007 e la ragazza sono riusciti a scrivere due libri: “Accesso negato alla verità” (Macro edizioni) e “Trance-formation of America”. In quest’ultimo, spiega Franceschetti, si narra di come l’organizzazione che abusava la donna facesse capo addirittura al presidente degli Stati Uniti, George W. Bush. «Si narra dei legami di Bush e Clinton con i signori della droga, si narra dei legami con le organizzazioni pedofile e con quelle sataniche». In particolare si evidenziano i legami di Bush e Clinton con il “Tempio di Seth”, che è «la più potente organizzazione satanista ramificata a livello internazionale». La fondò Michael Aquino, un ex ufficiale dell’esercito statunitense molto amico di Bush. «Stupri, omicidi, pedofilia, droga, satanismo… tutto narrato nero su bianco, con nomi e cognomi».Stati Uniti, Europa e anche Africa: tempo fa, aggiunge Franceschetti, in Ciad vennero arrestate per pedofilia e commercio di esseri umani alcune persone – appartenenenti all’organizzazione “L’Arca di Zoe” – che stavano portando in Francia 103 bambini. «Che fine dovessero fare quei bambini non si sa», ma l’allora presidente Sarkozy andò personalmente a trattare la liberazione degli arrestati per riportarli in patria. Gli operatori fermati avevano dichiarato che i bambini erano orfani provenienti dal Darfur. «Poi si è scoperto che erano figli di famiglie del Ciad, e i genitori erano ancora viventi». Da notare che “L’Arca di Zoe” «era sotto inchiesta anche in Francia, sospettata di trafficare in bambini per scopi tutt’altro che leciti». Non che da noi non esistano, retroscena analoghi: anzi, «in Italia inchieste così eclatanti non sono neanche mai iniziate». O meglio: quelle avviate «non sono state divulgate», sostiene Franceschetti: «Nel 2006 venne arrestato un avvocato romano, Alberto Gallo, per pedofilia. I giornali riporteranno la notizia come se si trattasse di un pedofilo isolato, ma in realtà faceva parte di un’organizzazione internazionale». Lo stesso Dutroux, in Belgio, era solo una pedina di queste potenti reti senza frontiere.Nel suo romanzo “La Loggia degli Innocenti”, il commisario Michele Giuttari – fermato a un passo dall’aver risolto il giallo del Mostro di Firenze – descrive un’organizzazione pedofila che fa capo al procuratore fiorentino, a cui (nella fiction) dà un nome non casuale: Alberto Gallo. «In altre parole, Giuttari lega chiaramente l’ex procuratore di Firenze Piero Luigi Vigna alla rete pedofila che era sotto inchiesta in quel periodo». E il nome della “loggia” allude chiaramente all’Ospedale degli Innocenti, «storico palazzo fiorentino dove da secoli è ospitato un centro che tutela i minori abbandonati». Un puzzle infinito, che coinvolgerebbe capi di Stato e ministri, teste coronate, ma anche «militari, magistratura e forze dell’ordine», senza contare i cardinali che negli Usa sono oggi al centro di un clamoroso scandalo, con migliaia di minori abusati. Il guaio, dice Franceschetti, è che il fenomeno “pedofilia internazionale” (con la variante del satanismo) è costantemente negato da quelli che sono «i massimi garanti del sistema in cui viviamo», alcuni dei quali poi finiscono in televisione, consultati come “esperti”. Franceschetti ricorda le parole che gli rivolse il figlio di un boss della ’ndrangheta: «Da noi c’è più legalità e giustizia. In Calabria e in Sicilia i bambini non si toccano; da voi al Nord, invece sì».Quella che può sembrare una follia oggi può assumere un terribile significato. La gente comune, dice Franceschetti, non si stupisce più di tanto se scopre che i vertici della politica hanno contatti organici con la mafia, ma non potrebbe tollerare lo spettacolo dell’altro orrore – quello perpetrato ai danni dei minori scomparsi. «Siamo disposti ad accettare che si scatenino guerre da milioni di morti in Iraq, Afghanistan, in Africa. In fondo, quelli sono negri. Che ce ne importa? Basta che non ci tolgano la partita di calcio della domenica. Ma probabilmente – aggiunge Franceschetti – se si venisse a sapere la verità sui bambini scomparsi, nessuno potrebbe reggere ad un simile shock. E allora sì, forse qualcuno comincerebbe a capire che il mondo in cui viviamo non funziona esattamente come i giornali e i mass media in genere ce lo descrivono». Ecco perché, probabilmente, quella realtà resta avvolta in tanta, misteriosa segretezza. E se la polizia ritrova 123 bambini in un colpo solo, i media archiviano la notizia “en passant”, senza scavare per capire cosa si nasconde dietro quell’enormità.Rapiti e poi “parcheggiati”, in attesa di essere massacrati. La polizia di Detroit li ha ritrovati tutti insieme: 123 bambini. Erano «in un grave stato di denutrizione e di sofferenza psicologica», scrive l’“Huffington Post”. Tuttavia, «dagli accertamenti svolti non sembrerebbe che siano stati vittime di violenze sessuali». Gli agenti hanno impiegato molte ore per rintracciare le loro famiglie e riconsegnare i piccoli, sequestrati nei giorni precedenti. Secondo il “New York Post”, gli inquirenti stavano indagando «su una rete di rapimenti di minori che poi venivano coinvolti in traffici sessuali». Quello che sorprende, di queste notizie – osserva Paolo Franceschetti – è che vengono date di sfuggita: «Poche righe, liquidate come se si trattasse di una notizia del tipo “Belen ha un nuovo fidanzato”. Il sindaco di Riace, reo di aver favorito (non si sa poi se vero o no) l’immigrazione clandestina, ce lo rifilano su tutti i giornali e in tutte le salse». E i bambini scomparsi, invece? E i nomi delle persone arrestate o coinvolte nella vicenda? In America, aggiunge Franceschetti, scompare un numero incredibile di minori. «Le pareti di autogrill e supermercati sono spesso tappezzate dalle foto e di persone scomparse nel nulla, da un momento all’altro, come se niente fosse».
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E’ andata a casa con il negro, la troia. Al rogo pure Vasco?
Chissà cosa direbbe oggi la cosiddetta società civile se un Tiziano Ferro qualunque o Laura Pausini usassero lo stesso frasario di Vasco Rossi nella sua celebre canzone “Colpa d’Alfredo”: «L’ho vista uscire mano nella mano con quell’africano che non parla neanche bene l’italiano». Urlava così, Vasco Rossi, al live Modena Park del 2017. E i giovani di oggi – italiani bianchi, neri, omosessuali, eterosessuali, cattolici, musulmani e atei – erano sotto il palco a braccia tese verso il loro idolo, pronti a cantare a squarciagola col Blasco e a spellarsi le mani dagli applausi. Nessuno ha pensato che ad un certo punto Vasco dice che «è andata a casa con il negro, la troia»: roba che se ti provi a scriverla oggi su Facebook il sistema ti banna fino all’età della pensione (cioè per sempre). E’ il politicamente corretto, bellezza. Peccato che il moralismo mainstream il razzismo non solo non lo distrugga affatto, ma che addirittura lo crei. In che senso, il politicamente corretto crea razzismo?Leggiamo su Wikipedia (sì, lo so, abbiate pazienza) che «l’espressione “politicamente corretto” designa una linea di opinione e un atteggiamento sociale di estrema attenzione al rispetto generale, soprattutto nel rifuggire l’offesa verso determinate categorie di persone. L’opinione, comunque espressa, che voglia aspirare alla correttezza politica dovrà perciò apparire chiaramente libera, nella forma e nella sostanza, da ogni tipo di pregiudizio razziale etnico, religioso, ecc». Qui siamo alle semplici definizioni online, e a prima vista sembra tutto ok. Assolutamente condivisibile. Però a ben pensarci, anche nella mera definizione, c’è qualcosa che stride, dato che si parla di pregiudizio, cioè di un giudizio espresso verso una persona o una categoria di persone prima di conoscerle. Già in questo assunto c’è qualcosa che non torna. Se in ufficio volessi dire che quell’ascensore è troppo stretto per la sedia a rotelle del mio amico disabile, non lo potrei oggi fare perchè il politicamente corrretto vuole l’espressione “diversamente abile”. Anzi, meglio sarebbe non dire proprio niente: l’ideale sarebbe far riferimento a un amico impossibilitato a salire in ascensore a causa della sua sedia a rotelle. Punto.Il che, però, non aiuta alla piena comprensione dei miei interlocutori, perchè potrebbe trattarsi di una situazione momentanea (un amico che ha appena subito un intervento chirurgico e che starà sulla sedia a rotelle per qualche giorno, ad esempio). Mentre io, nel far riferimento all’handicap, chiarisco meglio con la parola “disabile” o “handicappato”: cosa c’entra il pregiudizio? Non è forse vero che l’amico cui faccio riferimento si trova in una situazione di menomazione fisica? Nel caso del razzismo, i danni del politicamente corretto sono ancora più evidenti. Se, ad esempio, un passante di origine subsahariana assiste a un incidente stradale, e la polizia che sta eseguendo i rilievi chiede se ci sono dei testimoni, gli interessati si possono trovare in imbarazzo a dire: «Sì, un negro ha visto tutto» (ma anche solo un “nero”, o persino un “signore di colore”). Il politicamente corretto impone che si dica “un signore”, ma questo impedisce in gran parte la comprensione, e impedirebbe persino ai poliziotti di rintracciare il testimone, se egli si trovasse tra una folla di curiosi “bianchi” che assistono alla scena dopo l’intervento della polizia.Il razzismo nasce oggi quando, obbligati dal linguaggio imposto, noi contraddiciamo l’evidenza empirica (un nero per il senso della vista è nero, un disabile è disabile, ecc. ecc.). Da qui la necessità – vietata socialmente – di marcare la distinzione si rafforza a livello inconscio. In altri termini se, di fronte a persone di colore devo stare attento a come parlo, questo finisce per rimarcare, inconsciamente, che quelle persone sono diverse. Nella canzone di Vasco, noi ragazzini degli anni Ottanta ci riconoscevamo perché, chi più chi meno, tutti soffrivavamo di un certo provincialismo. Ne facevamo parte, ma non lo amavamo. Vasco cantava in modo arrabbiato e triste le delusioni d’amore e la superficialità dei coetanei (in questo caso, di una coetanea) che apprezzavano solo chi aveva un determinato stile di vita (la bella macchina). C’entrava un beato beeep il fatto che l’antagonista fosse “nero”; ehm, anzi no, “di colore”, anzi no, “afroitaliano”. Urca: che ho detto? “Un signore”.Secondo il filosofo e psicologo sloveno Slavoj Zizek, se qui in Occidente volessimo davvero sconfiggere il razzismo, il primo passo sarebbe farla finita con questo processo politicamente corretto di auto-colpevolizzazione. L’Occidente ha una tendenza a colpevolizzarsi: dopo essere stati i dominatori del terzo mondo, oggi possiamo ancora esserne i padri moralisti. Se un paese del terzo mondo si macchia di terribili crimini, non è mai pienamente sua responsabilità: sta soltanto imitando quello che faceva il padrone coloniale, ecc. La logica del politicamente corretto attiva quei meccanismi che possiamo chiamare di “sensibilità delegata”, spesso secondo questa linea di argomentazione: «Non mi urtano i discorsi sessisti o razzisti o di odio, o chi si prende gioco delle minoranze, ma io parlo a nome di quelli che potrebbero essere offesi da quelle parole».Il punto di vista è quindi quello di questi “altri” che, viene dato per scontato, sono così ingenui e indifesi da aver bisogno di protezione perché non capiscono l’ironia o non sono in condizione di rispondere agli attacchi. Detto in modo ancora diverso, secondo Zizek noi abbiamo maturato una sensibilità da preti e la proiettiamo su un “altro” ingenuo, producendo così una sua infantilizzazione. Il che è come dire che ci riteniamo ancora superiori e che dobbiamo proteggere i nostri concittadini, amici, compagni, mogli, mariti, figli adottivi e non adottivi, colleghi di lavoro che, magari, sono neri perchè da soli non ce la farebbero. E perchè non ce la farebbero? Perché non sono bianchi.(Massimo Bordin, “E’ andata a casa con il negro, la troia”, dal blog “Micidial” del 4 ottobre 2018).Chissà cosa direbbe oggi la cosiddetta società civile se un Tiziano Ferro qualunque o Laura Pausini usassero lo stesso frasario di Vasco Rossi nella sua celebre canzone “Colpa d’Alfredo”: «L’ho vista uscire mano nella mano con quell’africano che non parla neanche bene l’italiano». Urlava così, Vasco Rossi, al live Modena Park del 2017. E i giovani di oggi – italiani bianchi, neri, omosessuali, eterosessuali, cattolici, musulmani e atei – erano sotto il palco a braccia tese verso il loro idolo, pronti a cantare a squarciagola col Blasco e a spellarsi le mani dagli applausi. Nessuno ha pensato che ad un certo punto Vasco dice che «è andata a casa con il negro, la troia»: roba che se ti provi a scriverla oggi su Facebook il sistema ti banna fino all’età della pensione (cioè per sempre). E’ il politicamente corretto, bellezza. Peccato che il moralismo mainstream il razzismo non solo non lo distrugga affatto, ma che addirittura lo crei. In che senso, il politicamente corretto crea razzismo?
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Silenzio stampa sulla droga: la strage non è più di moda
Ci inchiodano per giorni e giorni a parlare di due tredicenni che chiamano sporco negro un immigrato e gli sparano a salve con la scacciacani, o di una capotreno che usa parole sconvenienti per far scendere dal treno zingari molesti senza biglietto e magari con portafogli altrui. O perfino di un barista che espone la foto di Mussolini. Tutto il circo è impegnato nell’impresa: dai clown del Pd ai trapezisti dell’ideologia, dai prestigiatori di notizie ai domatori di bufale, fino alle foche ammaestrate dalla sinistra da passeggio e da corteo. Ma nel frattempo passa inosservato un fenomeno quotidiano grave e preoccupante: lo spaccio e il consumo di droga crescente nel nostro paese, il numero di morti all’anno per overdose e in generale per droga, molti più dei femminicidi e di altre emergenze vere e presunte, il numero record di detenuti per reati connessi alla droga, gli incidenti anche mortali a causa di guidatori in stato di ebbrezza o di allucinazione, la scalata dell’Italia ai primi posti dei consumi e della tossicodipendenza. Quasi trecento all’anno: eran trecento, eran giovani e storti, e sono morti… Cresce l’eroina, per non dire delle droghe sintetiche, ottenute chimicamente, oltre quelle più note.Sono migliaia gli episodi di violenza, di minacce, di ricatti per procacciarsi la “signorina” che scorrono come un fiume quotidiano di sangue e di pazzia, e non ci facciamo più caso. Non c’è giorno che io non senta, magari col passaparola, episodi legati alla droga: infanticidi per alterazione mentale, uccisioni brutali di nonni, genitori, zii che non volevano più finanziare il vizio dei loro nipoti scellerati, aggressioni a donne, ex-conviventi, in stati di allucinazione dovuti alla droga, risse mortali davanti e dentro discoteche tra ragazzi in preda a deliri di droga, e potrei continuare… Certe zone, certi luoghi e certe ore sono off limits in tutte le città italiane perché è in corso la sagra dello spaccio, con relativa brutta umanità al seguito e sciame sismico di violenze e abusi. Si sente ogni tanto, a mezza bocca, notizia di partite di droga sequestrate; ma sono solo una piccola parte e solo il segnale di quale movimento, quale giro colossale vi sia dietro. Di tutto questo arriva poco o nulla alla Fabbrica delle Notizie e ai falsificatori di cui sopra, impegnati a denunciare un solo Male sotto mille vesti, il Razzismo.Perché passa sotto silenzio la droga, o si parla solo di qualche episodio ma senza la grancassa mediatica e intellettuale che ne indaga il fenomeno? Perché nella droga il razzismo o il nazionalismo non c’entra ma emerge piuttosto il suo rovescio, confluiscono due piaghe sconvenienti che si devono tacere: da una parte la manovalanza massiccia di migranti, soprattutto neri, nello spacciare e procurare la droga, dall’altro un modello di società libertaria, radical, trasgressiva, anti-proibizionista, che deriva dai piani alti della nostra società, dal nichilismo diffuso e dal cinismo degli imprenditori di morte. Diciamo che sulla droga s’incontra la libertà psichedelica del “tutto è permesso” di matrice sessantottina dove i diritti sconfinano nei desideri e l’accoglienza illimitata di migranti che, per fame ed estraneità al territorio, sono facilmente reclutabili nel racket. I due fattori, shakerati dall’ideologia radical, disegnano la nuova società verso cui andiamo incontro e che ha perso il senso del limite, personale e territoriale, morale e civile.Masse di espiantati, disperati, privi di tutto a disposizione dei racket e dall’altro masse di consumatori, disperati anch’essi, ma benestanti o comunque in grado di mungere soldi, privi di ogni riferimento. La tratta dei pomodori, lo schiavismo nelle campagne, assume – e giustamente – grande rilievo nei media; la tratta della droga, la vendita di morte, invece va in sordina. I caporali nelle campagne sono una brutta bestia ma impallidiscono in confronto ai caporali della droga e ai loro legami con la criminalità organizzata. Sentite mai parlare di campagne contro la droga, di emergenza droga, di educazione civica contro la droga? Macché, solo razzismo, nazismo, sessismo. L’omertà sulla droga e i mali derivati è una forma di complicità mediatica e politica assai grave. È anche un occultamento di cadavere: muore il senso del limite e della realtà e qui si festeggia il mondo global, senza frontiere tra i popoli, tra il bene e il male, tra il lecito e l’illecito. Un’informazione drogata.(Marcello Veneziani, “Silenzio stampa sulla droga”, dal “Tempo” del 14 agosto 2018; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Ci inchiodano per giorni e giorni a parlare di due tredicenni che chiamano sporco negro un immigrato e gli sparano a salve con la scacciacani, o di una capotreno che usa parole sconvenienti per far scendere dal treno zingari molesti senza biglietto e magari con portafogli altrui. O perfino di un barista che espone la foto di Mussolini. Tutto il circo è impegnato nell’impresa: dai clown del Pd ai trapezisti dell’ideologia, dai prestigiatori di notizie ai domatori di bufale, fino alle foche ammaestrate dalla sinistra da passeggio e da corteo. Ma nel frattempo passa inosservato un fenomeno quotidiano grave e preoccupante: lo spaccio e il consumo di droga crescente nel nostro paese, il numero di morti all’anno per overdose e in generale per droga, molti più dei femminicidi e di altre emergenze vere e presunte, il numero record di detenuti per reati connessi alla droga, gli incidenti anche mortali a causa di guidatori in stato di ebbrezza o di allucinazione, la scalata dell’Italia ai primi posti dei consumi e della tossicodipendenza. Quasi trecento all’anno: eran trecento, eran giovani e storti, e sono morti… Cresce l’eroina, per non dire delle droghe sintetiche, ottenute chimicamente, oltre quelle più note.
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Fascismo? Ci vuole orecchio, per smontare chi odia Salvini
«Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini». Lo scrive il giovane storico dell’arte Tomaso Montanari, 46 anni, autore (con Antonello Caporale) del libro “Matteo Salvini, il ministro della paura”, ovvero: “Come il leader della Lega ha conquistato gli italiani”. Per le edizioni del Gruppo Abele, Montanari ha inoltre scritto “Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Parafrasando Enzo Jannacci, su “Micromega” il professore spiega che «ci vuole orecchio, per battere Salvini». Sempre Montanari – proprio a causa dell’alleanza gialloverde con la Lega – ha rifiutato la propoposta avanzatagli da Luigi Di Maio, che lo voleva ministro dei beni culturali. Vincitore nel 2016 del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra, tre anni prima Montanari era stato insignito, da Giorgio Napolitano, dell’onorificenza di commendatore «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio». E sempre nel 2013 – sotto il disastroso governo Letta – era stato membro della commissione per la riforma del Mibac, istituita dal ministro Massimo Bray. Su “Micromega”, a proposito di Salvini, Montanari cita il filosofo Norberto Bobbio: «Non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza». Quale monopolio? Non vede, Montanari, che il governo Conte è assediato a reti unificate da tutti i media mainstream e da tutti i poteri che contano, italiani ed europei?Dal Quirinale a Confindustria, dalla magistratura a Bankitalia, da Macron a Juncker: ha solo nemici, quello che Montanari definisce il “ministro della paura”. Nemici così potenti da riuscire a impedire – in modo rocambolesco, grazie al solito Berlusconi alleatosi col Pd – l’elezione di un giornalista di razza come Marcello Foa alla presidenza della Rai, bloccata (secondo il massone Gianfranco Carpeoro) da una triangolazione telefonica tra il francese Jacques Attali (mentore di Macron), Giorgio Napolitano (membro della stessa superloggia, la “Three Eyes”, secondo Gioele Magaldi) e Antonio Tajani, massone anche lui. Dov’è il monopolio della forza di cui parla Montanari? Abbagli colossali, sia pure da un eminente intellettuale innamorato del patrimonio artistico italiano? «Ho indicato proprio in Saviano – scrive sempre Montanari su “Micromega” – uno dei non molti intellettuali liberi, e disposti a schierarsi». Salviano chi? L’autore di “Gomorra”, condannato a vita a recitare la parte della vittima sotto scorta, per la gioia del suo marketing editoriale? Allude, Montanari, allo stesso Saviano che in Italia spara a man salva sul leader della Lega ma, appena si volge verso il Medio Oriente, si schiera con Israele senza mai una parola sulle brutalità che lo Stato ebraico guidato da Netanyahu infligge ai “negri” della situazione, cioè ipalestinesi?Affacciandosi sul Paese delle Meraviglie, Tomaso Montanari è comunque capace di stupirsi: evidentemente, per lui, il “ministro della paura” non è l’unico imputato. «Come si fa a chiedere agli italiani sommersi e sfruttati – scrive – di stringersi intorno ai valori della Costituzione proprio mentre Sergio Mattarella, massimo garante della Carta e del suo primo articolo, si genuflette di fronte a un Sergio Marchionne?». Già. Ma dov’era, Montanari, quando Mattarella faceva il ministro nel governo D’Alema, l’esecutivo che “regalava” la rete autostradale italiana ai Benetton? Se ne riparla oggi, dopo l’immane tragedia del crollo a Genova del viadotto Morandi, con il governo Conte deciso a imporre ad Autostrade per l’Italia la revoca della concessione. Non vede come stanno realmente le cose, il professor Montanari? «Come possiamo pensare che gli italiani in difficoltà ascoltino i nostri appelli antifascisti se essi sono sostenuti dallo stesso establishment che esalta Marchionne, il quale non ha voluto restituire all’Italia, e a ciò che resta del suo stato sociale, nemmeno i soldi delle tasse sul proprio gigantesco patrimonio?». Le domande di Montanari, che appare sinceramente disorientato, sembrano rivolte all’interlocutore sbagliato. Cosa si aspetta, Montanari, da un potere-ombra così ipocrita e marcio da usare all’occorrenza le bandiere della sinstra per varare, in Italia, il neoliberismo più selvaggio?Equivoci, probabilmente figli della “santa alleanza” contro il falso bersaglio – Berlusconi – che ha permesso ai veri dominus di agire indisturbati per vent’anni, graniticamente supportati (senza chiasso, né olgettine) dal centrosinistra dei Prodi e dei D’Alema, degli Amato e dei Padoa Schioppa. L’impegno civile di Tomaso Montanari è cristallino: nel marzo 2017 è diventato presidente del cartello “Libertà e Giustizia”, succedendo a Nadia Urbinati. Nel giugno 2017, con Anna Falcone, è stato fra i promotori di “Alleanza Popolare per la Democrazia e l’Uguaglianza”, giornalisticamente ribattezzata come “percorso del Brancaccio”, dal nome dell’omonimo teatro romano dove si riunirono le prime 1.500 persone. Obiettivo: creare una lista civica nazionale della sinistra. Progetto poi naufragato a meno di sei mesi dalle elezioni, visto anche lo stato confusionale della sinistra stessa, reduce da due decenni di antiberlusconismo militante spacciato per progressismo. Si tratta della stessa sinistra che preferì sparare sul Cavaliere piuttosto che sul pareggio di bilancio inserito da Monti nella Costituzione con l’appoggio di Bersani, così come oggi – pur con i suoi dubbi – Montanari preferisce colpire Salvini, piuttosto che un establishment che aveva ridotto l’Italia a Cenerentola politica d’Europa, prona a qualsiasi diktat, incluso quello di tenersi i migranti salvati nel Mediterraneo dalla marina tricolore.Montanari è uno di quegli intellettuali italiani che non esitano a utilizzare la parola “fascismo” per connotare l’azione di Salvini, cioè del leader più rappresentativo del primo e unico governo – dopo tanti anni – formatosi a furor di popolo, sotto la spinta squisitamente democratica degli elettori, ansiosi di metter fine a una lunga sequela di “governi dell’orrore”, pronti a precipitare il paese (loro sì) nella paura: la paura di perdere tutto e di sprofondare in un’Italia senza futuro. «Tutto l’establishment che chiama al conflitto contro Salvini – riconosce Montanari – è quello che diceva e dice che non è possibile alcun conflitto sociale: che è invece lo strumento per creare giustizia sociale, ed è stato disinnescato proprio dal Partito Democratico e dai suoi sostenitori». Quando Salvini dice “prima gli italiani”, per il professore «nessuna risposta è credibile se non afferma la necessità di un conflitto invece “tra gli italiani”», ovvero tra i poveri e i ricchi, che notoriamente «non vogliono le stesse cose», per citare lo storico britannico Tony Judt. Quand’anche: perché Montanari spara su Salvini, che non ha alcuna responsabilità nella catastrofe della Seconda Repubblica, evitando di usare il termine “fascismo” per i decisivi collaborazionisti del “nazismo tecnocratico”, ai cui “successi” si deve, oggi, la vasta popolarità del leader della Lega?«Alla sinistra dei politici, professori, giornalisti paghi di appartenere alla ristretta cerchia dei salvati, disinteressati a cambiare il mondo e capaci solo di parlare di “austerità” e “responsabilità” – aggiunge Montanari – è subentrata una destra con una visione terribile e propagandistica, sanguinosa e fasulla». Sempre secondo il professore, «Salvini sa benissimo che non potrà cambiare in meglio la vita degli italiani: ed è per questo che accende la miccia della caccia al nero». C’è un che di vertiginoso, nel ricorrente abuso dei termini: il fascismo si impose in modo strisciante con le violenze delle camicie nere, incoraggiato dall’élite e ignobilmente tollerato dallo Stato liberale, monarchia in primis. Crede davvero, il professor Montanari, che l’ex anarchico ed ex socialista Mussolini abbia potuto marciare su Roma in solitudine, senza l’appoggio dei poteri forti attraverso il network discreto della massoneria? Crede che abbia potuto guidare svariati governi senza il sostegno decisivo del Vaticano, accanto a quello dei latifondisti e della grande industria?E perché mai spendere ancora, impunemente, nel 2018, la parola “fascismo”? Non vede, Montanari, da quale pulpito democratico vengono le lezioncine impartite all’Italia sui diritti umani? Non sa, Montanari, da quale scuola proviene l’illustre burattino francese Macron? Non vede quali onori gli sono stati tributati, in Vaticano, dall’uomo che la dottrina cattolica considera il vicario di Dio in terra? Conosce un altro fascismo, Montanari, che oggi sia più feroce di quello con cui la Germania e la Bce hanno ridotto la Grecia come un paese del terzo mondo? «Bisogna saper vedere, e saper dire, che Salvini è il sintomo terribile, e finale, della malattia che ha devastato questo paese anche “grazie” a ciò che chiamavamo “sinistra”», sostiene Montanari. Ma, anziché attaccare a testa bassa il tumore, lo storico dell’arte si accanisce su quello che considera il sintomo, come se i buoi non fossero già scappati dalla stalla. E questa incredibile miopia, probabilmente, mette fuori gioco molta parte dell’intellettualità italiana: se Salvini sarà sempre di più il nuovo leader del paese, con i suoi toni spesso così indigesti, lo si dovrà anche e soprattutto a chi vede l’autoritarismo dove non c’è, senza averlo visto – in tempo utile – là dove c’era, e dove sta tuttora, esercitando il suo immenso potere, ogni giorno, contro l’Italia e l’avvenire degli italiani.«Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini». Lo scrive il giovane storico dell’arte Tomaso Montanari, 46 anni, autore (con Antonello Caporale) del libro “Matteo Salvini, il ministro della paura”, ovvero: “Come il leader della Lega ha conquistato gli italiani”. Per le edizioni del Gruppo Abele, Montanari ha inoltre scritto “Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Parafrasando Enzo Jannacci, su “Micromega” il professore spiega che «ci vuole orecchio, per battere Salvini». Sempre Montanari – proprio a causa dell’alleanza gialloverde con la Lega – ha rifiutato la propoposta avanzatagli da Luigi Di Maio, che lo voleva ministro dei beni culturali. Vincitore nel 2016 del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra, tre anni prima Montanari era stato insignito, da Giorgio Napolitano, dell’onorificenza di commendatore «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio». E sempre nel 2013 – sotto il disastroso governo Letta – era stato membro della commissione per la riforma del Mibac, istituita dal ministro Massimo Bray. Su “Micromega”, a proposito di Salvini, Montanari cita il filosofo Norberto Bobbio: «Non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza». Quale monopolio? Non vede, Montanari, che il governo Conte è assediato a reti unificate da tutti i media mainstream e da tutti i poteri che contano, italiani ed europei?
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Veneziani: addio sinistra, lobby di potere senza più popolo
Lo psicodramma collettivo sulla fine della sinistra continua imperterrito da settimane, mesi o meglio ancora anni, ma c’è qualcosa di esagerato – scrive Marcello Veneziani – nel piangere e denunciare il collasso del Pd: non successe la stessa cosa quando sparì il partito-paese, la Dc, dopo mezzo secolo ininterrotto di potere. Ma la tragedia della sinistra, scrive Veneziani sul “Tempo”, tocca direttamente le fabbriche dell’opinione pubblica, gli influencer – dalla Rai all’Istat, dai giornali agli intellettuali – perché alla fine i due mondi coincidono. A volte sembra di vedere due tragedie umanitarie trasmesse in contemporanea: i barconi dei migranti che arrivano, e i politici morenti – sindaci, ministri – che sloggiano. E sorgono problemi di approdo per i migranti «in quanto non ci sono più i demosinistri e i cattoumanitari al potere». In tanti, aggiunge Veneziani, «hanno dato consigli alla sinistra per riprendersi il potere smettendo di essere sinistra». Un consiglio «doppiamente assurdo, perché sottintende una considerazione inaccettabile: che la sinistra può rinunciare alle sue idee ma non al potere a cui per diritto divino è destinata». Meglio rassegnarsi a constatarne il decesso, o comunque «il male incurabile, il declino irreversibile».«Se evaporò in poco tempo la Dc, riducendosi a pochi reduci – aggiunge Veneziani – non vedo perché non possa sparire la sinistra e se ne debba fare una malattia. Tanto più che il declino è mondiale, come ben si vede, e a furor di popolo». Lo stesso Veneziani trova «grottesca» quella che definisce «la sfilata dei maestrini che hanno rimproverato alla sinistra di essersi allontanata dalla realtà, dal popolo, dai suoi disagi e dal suo sentire». E lo dicono mentre, dappertutto, proprio loro, cioè «i maestrini, i loro giornaloni, le loro Tv, continuano a somministrare al paese la stessa pappa che ha portato al disastro la sinistra: pro-migranti, prima loro poi gli italiani, pro-Rom e pro-gay come se fossero temi di priorità epocale, antifascisti e antirazzisti». Protesta Veneziani: «Ma non avete capito che la sinistra è crollata proprio perché si è identificata col messaggio ossessivo che i suoi mass media, i suoi agenti, funzionari, ideologi propinano ogni giorno, disertando la realtà e i suoi disagi?».A questo punto, continua Veneziani, è inutile arrovellarsi su chi sarà il miracoloso resuscitatore della sinistra: sfilano in tanti, da Zingaretti a Calenda, «che è entrato tre mesi fa nel Pd e ora vuole già seppellirlo per collocarlo all’incrocio pigliatutto», senza contare «il coro delle prefiche piangenti della sinistra perduta o della cattosinistra, appena usciti disfatti dalle esperienze di governo». Chiosa Veneziani: «Sullo sfondo dal sarcofago di D’Alema si sentono risate sataniche». Scherzi a parte, sostiene il politologo, la sinistra che verrà non sarà più radical chic o proveniente dalla Ditta, come Bersani chiamava la filiera dell’ex Pci. «Il prossimo leader della sinistra, come il suo popolo del resto, sarà un Papa straniero», scrive Veneziani, tra il serio e il faceto. «Sarà negro. Sarà venuto dai barconi o avrà trovato nei barconi il suo elettorato maggiore e la sua base militante. Sarà pop, e non snob. Che saranno poi i milioni di migranti che la sinistra, il Papa, i mattarelli umanitari, avranno agevolato a far entrare nel paese e in Europa. Riprenderà, come è giusto, la bandiera del proletariato e farà la concorrenza ai grillini pauperisti».Ragiona Veneziani: «Non ha senso, per la marea di migranti, avere tutori che parlano in loro nome pur vivendo da agiatissimi borghesi, lontani dai sobborghi e dagli spazi pubblici affollati dai migranti. Lo faranno direttamente loro». Seriamente: «Finché dominerà il populismo, la sinistra continuerà ad essere quella che è stata, un centro di potere mediatico, culturale, bioetico, giudiziario; una fabbrica di influenze, codici e sentenze, una lobby trasversale che raggruppa al suo interno tante altre lobby che fanno setta, business o potere sui temi sensibili». Sempre secondo Veneziani, la cosiddetta sinistra smetterà pure di essere un partito, «perché è un’oligarchia capace di orientare le opinioni ma non di prevalere nel voto». E aggiunge: Fino a che ci saranno democrazia, sovranità e libertà, «la sinistra sarà minoritaria, perché avvertita non dalla parte del suo popolo ma fuori, sopra e contro di esso». Renzi? Gli è stata attribuita «una disfatta molto più grande e molto più radicale di lui». Come già Veltroni, ora si darà alla Tv, dimostrandosi essenzialmente un animatore, più che un politico. «Sono piccoli esempi vistosi di un processo più grande: la sinistra proletaria e sudata la faranno i neri, magari islamici; la sinistra da passeggio e da salotto sarà nei poteri che non passano dal consenso popolare».Lo psicodramma collettivo sulla fine della sinistra continua imperterrito da settimane, mesi o meglio ancora anni, ma c’è qualcosa di esagerato – scrive Marcello Veneziani – nel piangere e denunciare il collasso del Pd: non successe la stessa cosa quando sparì il partito-paese, la Dc, dopo mezzo secolo ininterrotto di potere. Ma la tragedia della sinistra, scrive Veneziani sul “Tempo”, tocca direttamente le fabbriche dell’opinione pubblica, gli influencer – dalla Rai all’Istat, dai giornali agli intellettuali – perché alla fine i due mondi coincidono. A volte sembra di vedere due tragedie umanitarie trasmesse in contemporanea: i barconi dei migranti che arrivano, e i politici morenti – sindaci, ministri – che sloggiano. E sorgono problemi di approdo per i migranti «in quanto non ci sono più i demosinistri e i cattoumanitari al potere». In tanti, aggiunge Veneziani, «hanno dato consigli alla sinistra per riprendersi il potere smettendo di essere sinistra». Un consiglio «doppiamente assurdo, perché sottintende una considerazione inaccettabile: che la sinistra può rinunciare alle sue idee ma non al potere a cui per diritto divino è destinata». Meglio rassegnarsi a constatarne il decesso, o comunque «il male incurabile, il declino irreversibile».
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Esultanza immortale: gran bel video, il palestinese colpito
«Figlio di puttana, che clip leggendaria!». Parole immortali, come il proiettile che ha abbattuto in mondovisione l’ennesimo palestinese, oltre il reticolato dello zoo di Gaza. Domande: chi si premura sempre di difendere Israele da qualsiasi accusa non rischia forse di incoraggiare all’infinito il bowling dell’orrore, il tiro a segno contro gli inermi mandati allo sbaraglio? Sconforta, l’esercito israeliano che si sente schiamazzare – come allo stadio – al di qua della telecamera dello smartphone, esultando come per un goal. Beninteso: l’eroico cecchino è umanitario, responsabile, armato dall’Unica Democrazia Del Medio Oriente, quindi aspetta lodevolmente che dallo scarafaggio di Hamas si allontani il bambino che gli ronza attorno. Poi finalmente spara (alle gambe dell’insetto adulto) scatenando l’ordalia del tifo. A strillare come per un goal sono ragazzi in armi, che sanno di essere impuniti. Militari di leva, non serial killer sociopatici. Eppure impazziscono di gioia, di fronte allo strike – gran bel colpo, figlio di puttana! – e soprattutto: gran bel video, accidenti a te. Sulla base di questa antropologia da videogame, c’è qualcuno al mondo che sia disposto a scommettere un bottone su uno straccio di pace, tra i Neanderthal di Tel Aviv e i Negri di Gaza, gli untermenschen arabi, gli scarafaggi palestinesi?Odio, macelleria e menzogne. L’industria delle fake news. «Assad è un animale», proclama l’autorevole zoologo Donald Trump, rifiutando però un’indagine dell’Onu che chiarisca chi ha usato davvero le armi chimiche, nella zona siriana della Ghouta, la stessa in cui – come appurato proprio dalle Nazioni Unite – furono i “ribelli” a gasare civili siriani, sperando di innescare la vendetta del giustiziere Obama. Stesso copione nel replay di qualche tempo fa, nel nord della Siria: sono i “ribelli” a detenere quegli arsenali tossici, basta una cannonata finita su un deposito per fare una strage. Da dove vengono molti di quei gas? Dalla Libia del dopo-Gheddafi, hanno svelato fior di inchieste giornalistiche. Ne sapeva qualcosa l’ambasciatore americano di Bengasi, saltato in aria con la dinamite, insieme ai suoi carteggi imbarazzanti elettronici con la Clinton, che a sua volta “sbianchettò” le email, azzerando le memorie dei suoi server. Qualcuno vuole che sia l’Onu a fare luce sull’ultimo massacro? Ingenui: la verità è ormai una barzelletta, dosata a rate dal telegiornale in modo smart, in mezzo alla pubblicità. E la strage impunita è figlia di quella precedente, la macelleria non raccontata. L’omissione è menzogna. Per noi è solo un’opinione, per altri è la strada che porta al cimitero.L’ultimo grande voto, in Medio Oriente, fu quello che volò con la pallottola diretta al cranio di Yitzhak Rabin. Dopo di allora fu archiviata la pratica palestinese, la storiella umoristica dei due Stati gemelli. Un imponente smottamento: le false primavere, la grandine di fosforo su Gaza. E i tagliagole in costume medievale sceneggiati a Hollywood, pagati e armati fino ai denti, protetti da droni onniveggenti. Putin e l’Iran, l’abominevole Erdogan socio dell’Isis, spalleggiato da una Nato clandestinamente a zonzo sulle alture della Siria, bombardate dai caccia israeliani in violazione di qualsiasi legge. La verità non interessa più, è insopportabile: come l’antico marinaio cui dà voce Coleridge, che tenta di convincere gli increduli gettando loro in faccia l’immane ferocia del naufragio. E se qualcuno poi dovesse sopravvivere, in ogni caso non sarà mai creduto: era il cinismo sfrontato dei nazisti, a tormentare Primo Levi. La verità è una pattuglia di scolari in gita, sorpresi a festeggiare mentre sparano su gente disarmata, filmando le balistiche prodezze in un’allegra gara di barbarie. Un video come quello può valere tonnellate d’odio, sangue futuro sparso a orologeria. Jeremy Corbyn, da Londra, è l’unico a suonare le dolenti note del poeta: peggio per tutti, se nessuno ascolterà la verità. Bombe e menzogne a oltranza, mentre un Senato alieno – dall’altra parte dell’oceano – ascolta il mesto pigolio di Zuckerberg.«Figlio di puttana, che clip leggendaria!». Parole immortali, come il proiettile che ha abbattuto in mondovisione l’ennesimo palestinese, oltre il reticolato dello zoo di Gaza. Domande: chi si premura sempre di difendere Israele da qualsiasi accusa non rischia forse di incoraggiare all’infinito il bowling dell’orrore, il tiro a segno contro gli inermi mandati allo sbaraglio? Sconforta, l’esercito israeliano che si sente schiamazzare – come allo stadio – al di qua della telecamera dello smartphone, esultando come per un goal. Beninteso: l’eroico cecchino è umanitario, responsabile, armato dall’Unica Democrazia Del Medio Oriente, quindi aspetta lodevolmente che dallo scarafaggio di Hamas si allontani il bambino che gli ronza attorno. Poi finalmente spara (alle gambe dell’insetto adulto) scatenando l’ordalia del tifo. A strillare come fossero in tribuna sono ragazzi in armi, che sanno di essere impuniti. Militari di leva, non serial killer sociopatici. Eppure impazziscono di gioia, di fronte allo strike – gran bel colpo, figlio di puttana! – e soprattutto: gran bel video, accidenti a te. Sulla base di questa antropologia da videogame, c’è qualcuno al mondo che sia disposto a scommettere un bottone su uno straccio di pace, tra i Neanderthal di Tel Aviv e i Negri di Gaza, gli untermenschen arabi, gli scarafaggi palestinesi?
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Marmaglia grillista, manganello antifascista: e il potere ride
Marmaglia: quantità di gente rumorosa e turbolenta, tale da suscitare fastidio e disprezzo. Non c’è bisogno di consultare il vocabolario Treccani per scoprire cosa intendesse dire, Massimo Giannini, quando ha usato l’espressione “marmaglia grillista” (“Repubblica”, 18 febbraio) per qualificare gli italiani che guardano ai 5 Stelle. Fastidio e disprezzo per la “marmaglia” – cioè l’avversario, il nemico, il negro, l’ebreo, il comunista, il fascista – sono il pane quotidiano del neo-squadrismo dilagante. Un militante di “Potere al Popolo” accoltellato a Perugia, un attivista di Forza Nuova aggredito a Palermo. “Staniamo Di Stefano”, annuncia il fantomatico collettivo “Torino Antifascista”, annunciando un agguato dimostrativo al leader di CasaPound. Sulle barricate anche la fake-giustiziera Boldrini, che propone addirittura di abolirla per legge, la “marmaglia”, disciogliendo i gruppetti che inneggiano al ventennio che fu. Fermi tutti, per favore: «No ad antifascismi di maniera che adottino metodologie bastonatorie tipiche proprio della cultura fascio-comunista: violenta, illiberale e antidemocratica», scrive Gioele Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt. E se proprio qualcuno vuole andare a caccia di “fascisti”, avverte un comunista doc come Marco Rizzo, lasci perdere i ragazzini dell’estrema destra: l’unico vero fascismo che conti, oggi, è quello dell’oligarchia finanziaria, il super-potere che nessun Giannini e nessuna Boldrini oseranno mai impensierire.«L’escalation di violenza va fermata», afferma il cossuttiano Rizzo, ora segretario del Partito Comunista. «Il potere è in crisi e quindi ha bisogno di riproporre una stagione simile a quella degli anni ’70, dove un’intera generazione di giovani è stata sacrificata. Da militante del ’77 – racconta – conosco molto bene le dinamiche che si possono scatenare e che il potere ha tutto l’interesse a incentivare, strumentalizzandole a proprio favore». In quegli anni, aggiunge Rizzo, le provocazioni e la logica degli “opposti estremismi” «servirono a fare il gioco del potere e a invocare la repressione: i giovani si scontravano, e alla fine vincevano i padroni». Oggi, dice, «il fascismo si combatte riprendendo le lotte tra i lavoratori, portando le parole d’ordine della solidarietà e dell’uguaglianza nei quartieri e nelle periferie, rifiutando la guerra tra poveri e dando una reale alternativa di lotta alle classi popolari, e non certo con l’antifascismo di facciata di chi ha scelto le banche e l’Unione Europea». Già dalla fine degli anni ’60, ricorda Magaldi, la “strategia della tensione” (lotta politica violenta, fino al terrorismo rosso e nero) «fu eterodiretta da quei “padroni del vapore sovranazionali” i quali avevano interesse ad alimentare un clima politico violento in Italia per propri scopi subdoli e inconfessabili». Scopi «del tutto lontani da quei pretesti pseudo-ideologici con cui veniva sobillata la lotta armata “neo-fascista” o delle cosiddette Brigate Rosse».In tempi come questi, «in cui la democrazia viene ridotta a mero formalismo rituale e svuotata di sostanza per interesse di élites oligarchiche», secondo Magaldi «l’eventuale ritorno della lotta politica violenta non può che giovare ai propugnatori degli “inciuci permanenti” e dei “governi di neo-solidarietà nazionale”, i quali servono soltanto ad anestetizzare proposte politiche alternative a quelle determinate dalla teologia dogmatica neoliberista e neoaristocratica». Dunque: rispetto e tolleranza, innanzitutto. «Non si fa antifascismo con la bastonatura di presunti fascisti. Ed è anche ora che chi si proclami antifascista si dichiari anche anticomunista, se vuole essere credibile in quanto autentico democratico e libertario: infatti, i regimi comunisti storicamente realizzatisi nel tempo sono stati altrettanto dispotici, totalitari, autoritari e liberticidi di quelli fascisti o fascistoidi». Violenza chiama violenza, avverte Magaldi: il che è tanto comodo, a chi vuole impedirci di riconquistare «democrazia sostanziale, libertà, giustizia, mobilità sociale e prosperità diffusa». Infatti: l’Italia è a pezzi, senza più una politica e con il bilancio appaltato a Bruxelles, ma per la Boldrini il pericolo sono le “fake news”. Oppure, citando Giannini, “l’accozzaglia forzaleghista”, che minaccia il paese al pari della “marmaglia grillista”. Il manganello è solo cartaceo, ma sprezzante. Un’idea infernale, come l’inferiorità biologica del nemico, nel ‘900 riempì fosse comuni e forni crematori.Marmaglia: quantità di gente rumorosa e turbolenta, tale da suscitare fastidio e disprezzo. Non c’è bisogno di consultare il vocabolario Treccani per scoprire cosa intendesse dire, Massimo Giannini, quando ha usato l’espressione “marmaglia grillista” (“Repubblica”, 18 febbraio) per qualificare gli italiani che guardano ai 5 Stelle. Fastidio e disprezzo per la “marmaglia” – cioè l’avversario, il nemico, il negro, l’ebreo, il comunista, il fascista – sono il pane quotidiano del neo-squadrismo dilagante. Un militante di “Potere al Popolo” accoltellato a Perugia, un attivista di Forza Nuova aggredito a Palermo. “Staniamo Di Stefano”, annuncia il fantomatico collettivo “Torino Antifascista”, annunciando un agguato dimostrativo al leader di CasaPound. Sulle barricate anche la fake-giustiziera Boldrini, che propone addirittura di abolirla per legge, la “marmaglia”, disciogliendo i gruppetti che inneggiano al ventennio che fu. Fermi tutti, per favore: «No ad antifascismi di maniera che adottino metodologie bastonatorie tipiche proprio della cultura fascio-comunista: violenta, illiberale e antidemocratica», scrive Gioele Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt. E se proprio qualcuno vuole andare a caccia di “fascisti”, avverte un comunista doc come Marco Rizzo, lasci perdere i ragazzini dell’estrema destra: l’unico vero fascismo che conti, oggi, è quello dell’oligarchia finanziaria, il super-potere che nessun Giannini e nessuna Boldrini oseranno mai impensierire.
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La sfida dell’eresia, dai Catari al mondo del pensiero unico
“Airesis”: scelta, contraria al dogma. A cosa servono, gli eretici? Spesso, a far fare passi da gigante, al mondo. La nonviolenza di Gandhi di fronte alla brutalità coloniale inglese. L’eroica tenacia di Nelson Mandela, ai lavori forzati per aver denunciato il delirio sociale di un paese africano per soli bianchi. Può vincere, l’eresia? Forse alla distanza, aprendo una crepa innanzitutto culturale, per poi scavare nella coscienza di ciascuno. Sul piano politico, invece, generalmente gli eretici vengono sconfitti, e il più delle volte ci rimettono la pelle. Martin Luther King sognava un’America fraterna, senza più discriminazioni razziali. Yitzhak Rabin osò immaginare un Medio Oriente libero dall’odio e dall’orrore. Sacco e Vanzetti? Fritti sulla sedia elettrica per aver lottato contro un sistema ingiusto. Thomas Sankara voleva un’Africa nuova, sollevata dal giogo finanziario del debito occidentale. Sono caduti tutti, ma oggi siedono in un pantheon intoccabile: in un certo senso, sono ancora qui. Non è possibile cancellare l’immagine del giovane Cassius Clay che getta nel fiume Hudson la medaglia olimpica conquistata a Roma, dopo esser stato respinto – perché “negro” – da un ristorante di New York. Il dissidente compie sempre qualche gesto simbolico, che costringe l’umanità a pensare. A ragione o a torto, l’eretico rischia in prima persona. Si ribella a un dogma imposto, cioè al non-pensiero di un mondo senza libertà.In questa Italia frastornata da una campagna elettorale stanca e mediocre, condizionata dal dogmatismo neoliberista del pensiero unico imposto da Bruxelles, serpeggia la tentazione di una sorta di diserzione di massa, mentre cresce – silenziosamente – una minoranza sempre meno sparuta di cittadini che si fanno domande, si documentano in proprio e si riuniscono, consultando esperti, nel fondato sospetto che qualsiasi versione ufficiale – dai vaccini alla geopolitica fino alla storiografia, passando per l’esegesi biblica dottrinaria – sia sempre inattendibile, incompleta, reticente. E’ un panorama, questo, nel quale fioriscono iniziative impensabili, fino a dieci anni fa: come la lusinghiera campagna di crowdfunding per finanziare, dal basso, il documentario “Bogre”, girato da Fredo Valla tra Bulgaria, Italia, Catalogna e soprattutto Occitania. Un viaggio affascinante, che ripercorre le remote geografie della più importante eresia del medioevo, cioè il Cristianesimo “dualistico” interpretato dai bogomili nei Balcani e poi dai càtari, i “bulgari” travolti dalla Crociata Albigese nella contea di Tolosa, per poi essere annientati da settant’anni di spietate persecuzioni ad opera dell’Inquisizione. Una tragedia che causò la rovina socio-economica della terra dei Trovatori, che alla fine del 1100 era tra le regioni europee più prospere e avanzate, più libere e tolleranti.Fu un trauma, per lo sviluppo armonico dell’Europa: lo sostiene una scrittrice a sua volta “eretica” come Simone Weil, secondo cui proprio la brutale repressione dell’eresia càtara – gli assedi e le stragi, il terrore scatenato dagli inquisitori – alimentò nel continente la generale rassegnazione al culto della forza, alla guerra come esito inevitabile di qualsiasi conflitto, fino al supremo orrore dell’abominio nazista. Chi è l’eretico? E’ uno che si alza in piedi e dice, semplicemente: non sono d’accordo. E spiega il perché. Chi lo ascolta, sa che sta rischiando il carcere, magari la vita. Il coraggio dell’eretico ricorda a tutti, inevitabilmente, che le versioni dei fatti sono sempre almeno due, mai una sola. Se invece l’ideologia è unica, per di più non proposta pacificamente ma imposta in modo dogmatico (cioè con l’esplicito divieto di metterne in discussione i fondamenti) allora l’umanità è in pericolo, si disumanizza, si divide in buoni e cattivi. Sotto il governo di Raimondo VI, conte di Tolosa, sul finire del 1100 poteva capitare di assistere, nelle chiese, ad avvincenti dispute teologiche tra parroci cattolici e predicatori càtari, di fronte alla platea dei fedeli: oggi, nel 2018, è praticamente impossibile che alla televisione abbia accesso qualche vero “eretico”, radicalmente critico nei confronti del sistema socio-economico che ci viene presentato come l’unico possibile.Quella del Catarismo è una storia spesso denegata, che le burocrazie religiose tendono a sminuire, come fosse un fantasma scomodo. Lo è: ma per il potere in generale e non solo per la Roma di allora, se è vero che l’Inquisizione inaugurò la prima vera forma di terrorismo totalitario, ostacolato – per reazione – dalla rivolta armata dei cavalieri “Faidits”, i primi guerriglieri della storia europea. Uno schema che poi non ha fatto che ripetersi, in modo tragicamente sistematico. Vaticano medievale e càtari? Ruoli e maschere di quasi mille anni fa. Più che la casacca indossata, in fondo può contare un gesto destinato a rimanere vivo: come l’immensa pietà per gli sconfitti, che risuona tra i versi cavallereschi della Canzone della Crociata, scritti da cattolici. E l’ultimo “perfetto” càtaro d’Occitania, Guilhelm Belibàsta, a un passo dalla morte sul rogo arrivò a perdonare (e a tentare di convertire) l’uomo che l’aveva tradito, consegnandolo ai carnefici. E questa l’umanità che il film “Bogre” cercherà di riesumare, dopo otto secoli di oblio, tra le pieghe di vicende solo in apparenza lontane da noi. L’eresia è una domanda, che costringe a interrogarsi. E’ il contrario dell’odio, che teme le domande e ama le guerre, vietando ai soldati di pensare. Rileggere l’avventura dei càtari può servire a scoprire di cos’è stata capace, l’umanità, prima di arrendersi al comodo letargo delle verità imposte.(E’ possibile aderire alla campagna di crowdfunding del documentario “Bogre” attraverso la piattaforma “Produzioni dal basso”; in cambio, si potrà ricevere il film in anteprima).“Airesis”: scelta, contraria al dogma. A cosa servono, gli eretici? Spesso, a far fare passi da gigante, al mondo. La nonviolenza di Gandhi di fronte alla brutalità coloniale inglese. L’eroica tenacia di Nelson Mandela, ai lavori forzati per aver denunciato il delirio sociale di un paese africano per soli bianchi. Può vincere, l’eresia? Forse alla distanza, aprendo una crepa innanzitutto culturale, per poi scavare nella coscienza di ciascuno. Sul piano politico, invece, generalmente gli eretici vengono sconfitti, e il più delle volte ci rimettono la pelle. Martin Luther King sognava un’America fraterna, senza più discriminazioni razziali. Yitzhak Rabin osò immaginare un Medio Oriente libero dall’odio e dall’orrore. Sacco e Vanzetti? Fritti sulla sedia elettrica per aver lottato contro un sistema ingiusto. Thomas Sankara voleva un’Africa nuova, sollevata dal giogo finanziario del debito occidentale. Sono caduti tutti, ma oggi siedono in un pantheon intoccabile: in un certo senso, sono ancora qui. Non è possibile cancellare l’immagine del giovane Cassius Clay che getta nel fiume Hudson la medaglia olimpica conquistata a Roma, dopo esser stato respinto – perché “negro” – da un ristorante di New York. Il dissidente compie sempre qualche gesto simbolico, che costringe l’umanità a pensare. A ragione o a torto, l’eretico rischia in prima persona. Si ribella a un dogma imposto, cioè al non-pensiero di un mondo senza libertà.