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Medici svedesi: Siria, bambini uccisi per incastrare Assad
L’attore Gerge Clooney tace, ma sa perfettamente che i bambini di Idlib esposti in televisione non sono stati uccisi dall’esercito di Assad, e neppure dal gas Sarin (sganciato sulla Siria da droni israelo-sauditi, secondo fonti d’intelligence Usa). Quei bimbi sarebbero stati uccisi con iniziezioni letali. L’accusa, frontale, proviene da Gordon Duff, una delle firme di “Veterans Today”, il blog che dà voce alla rabbia di molti ex militari statunitensi mandati a uccidere (e morire) in Medio Oriente. «Quando arriveranno al pettine, anche per l’America, i nodi dei sensi di colpa, come fu per la guerra della Germania nazista?», si domanda Duff, che rilancia la clamorosa denuncia firmata dai medici svedesi impegnati in Siria: quei bambini visti in televisione non sono stati “uccisi da Assad”, e nemmeno dalle armi chimiche. Sarebbero stati atrocemente assassinati dai cosiddetti “Elmetti Bianchi”, per alimentare l’orrore dell’opinione pubblica attraverso la sapiente manipolazione affidata a filmati raggelanti. Siamo dunque in un film dell’orrore? «Dimostreremo oltre ogni dubbio che si tratta di una fiction organizzata dallo “Stato Profondo”, un misto tra Cia, Al-Qaeda e servizi segreti britannici: ora abbiamo la prova “sicura” che Trump e le “fake news” che arrivano dal Medio Oriente sono sempre stati in sincronia, per prendersi gioco di tutti».In un post su “Veterans Today” tradotto da “Come Don Chisciotte”, Gordon Duff accusa nientemeno che George Clooney, peraltro noto per aver finanziato – con le pubblicità “Nespresso” della Nestlè, si dice – la messa in orbita di un satellite-spia, messo a disposizione della Cia. Cloonely, sostiene Duff, «sapeva che l’organizzazione svedese “Doctors for Human Rights” aveva già detto che i “Caschi Bianchi” avevano ucciso dei bambini quando stava producendo il video-propaganda da premio Oscar». Per “Veterans Today”, si tratta un «ultimo oltraggio» alla verità. L’organizzazione svedese Swedhr, molto autorevole, accusa direttamente gli “Elmetti Bianchi” dell’uccisione di bambini, «per mettere in scena un video di propaganda». Fatti che «sarebbero stati noti sia a Clooney che a Netflix che, malgrado tutto sono andati avanti: perché?». Inoltre, sempre secondo Duff, «anche Google è coinvolta nella guerra contro questo gruppo di ricercatori svedesi e contro altri, avendo censurato i loro articoli dai suoi motori di ricerca».Un silenzio tombale che caratterizza tutti i media occidentali anche sull’operato dei “Caschi Bianchi”: vicinissimi all’Isis, continua Duff, questi “eroi” siriani riceverebbero 100 milioni di dollari l’anno dalla Cia e dal Foreign Office del Regno Unito: «Sembra che ammazzare bambini sia uno dei loro compiti, come avremo modo di dimostrare». La condivisione della loro sede con l’intelligence di Ankara a Gaziantep, inTurchia, «rende questa organizzazione, di gran lunga, più simile a uno “squadrone della morte” che ad un ente di protezione civile», continua Duff, che su “Veterans Today” esibisce svariati video nei quali gli “Swedish Doctors For Human Rights” mostrano di aver scoperto che i video degli “Elmetti Bianchi” erano stati contraffatti, fino a lasciar intuire che «il presunto “rescue” è in realtà un omicidio». Dopo accurate indagini, il team medico di Swedhr ha accertato che uno dei ragazzini esibiti dai “Caschi Bianchi” a Idlib «era privo di sensi per effetto di una overdose di oppiacei». Il video «mostra un bambino a cui viene fatta una iniezione sul petto, forse nella zona del cuore: e potrebbe essere stato ucciso mentre si fingeva di somministrargli dell’adrenalina».E’ stato un omicidio, secondo l’analisi dei medici svedesi: con “false” iniziezioni di adrenalina praticate direttamente nel cuore in base a un ipotetico protocollo di soccorso. Peccato che «in nessun modo quelli prestati al bambino sono trattamenti idonei contro danni prodotti da qualsiasi potenziale agente chimico». In più, «la gestione e il trattamento del bambino sono stati effettuati in modo imprudente, pericoloso e in condizioni da causare gravi danni». Eloquenti, sempre secondo Duff, «sono le false e ripetute punture di adrenalina, nel cuore». Il personale medico degli “Elmetti Bianchi”? «A questo punto, credo che possiamo tranquillamente chiamarli attori: non sono riusciti nemmeno a spingere il liquido dalla siringa nell’ago». La diagnosi, «effettuata da un team di veri esperti medici, sulla base di ciò che si osserva nel video», dice che il bambino, probabilmente, stava per morire di overdose: «Non c’è nessuna prova di qualsiasi altro agente, chimico o altro». Di più: «Nessuno dei bambini nei video presentava segni di essere stato vittima di un attacco chimico».Per Duff, l’analisi dei sanitari svedesi non lascia dubbi: «E’ chiaro che la falsa iniezione simulata con l’ago lungo ha assassinato il bambino nel video. E’ stato un omicidio intenzionale messo in scena per farlo sembrare un trattamento medico». Dettaglio agghiacciante: «Sotto la falsa traduzione dell’audio, l’originale in arabo dava istruzioni su come posizionare il bambino per riprenderlo nel video, non per le cure mediche». I video sono stati caricati sul canale dei “Caschi Bianchi”, intitolato “Protezione civile siriana nella provincia di Idlib” e prodotto con l’organizzazione “Coordinamento Sarmin”, «il cui logo è una bandiera nera jihadista (Al Qaeda)». A smascherare l’impostura, ora provvede la Ong svedese, presieduta dal professor Marcello Ferrada de Noli: le conclusioni dei sanitari scandinavi «sono in linea con i risultati di altri eminenti scienziati tedeschi e internazionali sulla guerra in Siria», assicura Duff, che ricorda l’impegno della Swedhr: un team di medici impegnati a monitorare «gli effetti delle atrocità di guerra sulle popolazioni civili, sulla tortura dei prigionieri e sulle trasgressioni dei diritti umani». A differenza di altre Ong, quella di Stoccolma «non è sponsorizzata né finanziata da istituzioni governative svedesi». Domanda retorica: le conclusioni dei sanitari nord-europei riusciranno a bucare il muro di silenzio dei media mainstream?L’attore Geroge Clooney tace, ma sa perfettamente che i bambini di Idlib esposti in televisione non sono stati uccisi dall’esercito di Assad, e neppure dal gas Sarin (sganciato sulla Siria da droni israelo-sauditi, secondo fonti d’intelligence Usa). Quei bimbi sarebbero stati uccisi con iniziezioni letali. L’accusa, frontale, proviene da Gordon Duff, una delle firme di “Veterans Today”, il blog che dà voce alla rabbia di molti ex militari statunitensi mandati a uccidere (e morire) in Medio Oriente. «Quando arriveranno al pettine, anche per l’America, i nodi dei sensi di colpa, come fu per la guerra della Germania nazista?», si domanda Duff, che rilancia la clamorosa denuncia firmata dai medici svedesi impegnati in Siria: quei bambini visti in televisione non sono stati “uccisi da Assad”, e nemmeno dalle armi chimiche. Sarebbero stati atrocemente assassinati dai cosiddetti “Elmetti Bianchi”, per alimentare lo choc dell’opinione pubblica attraverso la sapiente manipolazione affidata a filmati raggelanti. Siamo dunque in un film dell’orrore? «Dimostreremo oltre ogni dubbio che si tratta di una fiction organizzata dallo “Stato Profondo”, un misto tra Cia, Al-Qaeda e servizi segreti britannici: ora abbiamo la prova “sicura” che Trump e le “fake news” che arrivano dal Medio Oriente sono sempre stati in sincronia, per prendersi gioco di tutti».
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Davide Casaleggio, poco o nulla di fronte a problemi epocali
La recente convention di Ivrea, fatta per ricordare Casaleggio senior e lanciare i lineamenti di visione della società da parte di Casaleggio junior, è sembrata, a molti osservatori non certo pro Pd, piuttosto deludente. Visto il filo conduttore della giornata di Ivrea, il futuro, non si può dire però che questa dimensione temporale sia stata fatta intravedere agl italiani. Non è venuta fuori un’idea di società, verso la quale un eventuale governo M5S tenderebbe, quanto una serie di immagini da proporre a differenti segmenti di pubblico. Niente di male, solo che qui non si cerca di proporre una nuova serie di paste da cucina (gli spaghetti a un tipo di pubblico, le pennette lisce ad un altro e il brand per tutti) ma si è davanti a una crisi economica storica, ad un Pil in declino da un trentennio ad una società con problemi drammatici ed inediti. Un’idea di futuro invece deve connettere, e mobilitare, un’intera società. Non per il rispetto dell’etichetta ma perché il M5S vuol governare da solo e che, per farlo secondo la legge elettorale attuale, deve raggiungere il 40% ovvero almeno 1/3 in più in più dei voti attuali. Sempre, s’intende, seguendo le stime delle attuali intenzioni di voto.Per arrivare a questo risultato la mobilitazione deve essere inedita, almeno per questi anni, e per ora questo non si è visto. La stessa definizione che Davide Casaleggio dà del Movimento 5 Stelle («siamo Netflix, mentre i partiti sono ancora Blockbuster») non pare adatta a suscitare questa mobilitazione. Confonde, infatti, l’immaginario dell’impresa della comunicazione con quello dell’impresa tout court e quello dell’impresa tout court con quello della società. L’idea di futuro di una impresa e quello di una società, per quanto intrisa di aziendalismo come la nostra, vanno separate. Lo stesso Berlusconi, che scese in campo portandosi dietro un immaginario di ricchezza non comparabile con quello della Casaleggio, per prendere voti di massa a livello di opinione dovette ricorrere alla coltivazione, reiterata, di un immaginario di maschio-alfa che stava molto più nel profondo della società italiana di quello dell’impresa. Cercare di costruire un futuro con un immaginario da start-up è, infatti, prepararlo allo stesso rischio di fine precoce che corrono questo tipo di aziende.Davide Casaleggio aveva poi aperto, sul “Corriere della Sera”, all’interrogativo principale della giornata di Ivrea: la rivoluzione robotica e il suo impatto nella società. Roba un po’ schematica, sulla velocità della rivoluzione tecnologica ci sarebbe più da ragionare che fare marketing, ma che sicuramente tocca la struttura della società italiana: dall’organizzazione del lavoro a quella dell’amministrazione dello Stato, della formazione, della ricerca scientifica e del diritto. Per non parlare del tipo di economia che si vuole, e in che modo produce ricchezza (e che tipo di ricchezza produce), in una società a forte tasso di invecchiamento. Questioni da far tremare i polsi, sulle quali non si è visto un lineamento di risposta, sempre tenute sullo sfondo grazie alla questione del “come” finanziare il reddito di cittadinanza. Quella del possibile impatto – sociale, economico, amministrativo – di questa misura rimane invece taciuta. E, essere generico su questi temi, non è solo un difetto di Casaleggio ma anche di tanta sinistra: pensare che il reddito di cittadinanza, misura comunque inevitabile, sia una sorta di derivato della carità (che una volta assolta fa sentire la società uguale a prima solo piu’ solidale) o una misura che riguarda comunque la periferia del corpo sociale.Non siamo più nel ‘900: il reddito di cittadinanza, se erogato davvero, non è una misura di equilibrio sociale che sta tra welfare e mercato. Di fronte a una rivoluzione tecnologica, che distrugge strutturalmente più posti di lavoro di quanti ne produce (a differenza, appunto, del ‘900), il reddito di cittadinanza ha un impatto fortissimo sul mercato del lavoro, sulla forma delle istituzioni e dell’amministrazione. Fa uscire strutturalmente dal lavoro, se è reddito di cittadinanza, non più una nicchia ma una parte consistente di società. In maniera inedita dalla rivoluzione industriale. Presupponendo cambiamenti tali da mettere in discussione anche la presa della forma impresa nelle pieghe della società e nella estrazione della ricchezza. È uno dei motivi, oltre al fatto che la ricchezza in Europa va nei paesi “core” come finiva nel nord ricco dell’Italia postunitaria, per cui questo paese non ha mai trasformato la propria struttura di welfare consociativo, tra le parti sociali come si era configurato nella sua epoca matura, in welfare di cittadinanza. Sarebbe saltata la struttura del potere reale tanto che gli attori in campo hanno preferito trasformare, di volta in volta, il welfare consociativo in uno strumento, in parte borbonico in parte neoliberista, di allineamento alle esigenze di sviluppo della Ue e dell’Eurozona. Insomma, problemi epocali ai quali è impossibile rispondere con un immaginario da start-up. Ma quando ti nutri, in modo totemico, del sapere dell’impresa certi salti in avanti non li puoi fare.Oltretutto, quando in tv Casaleggio jr. si è trovato davanti alla classica domanda, sul come finanziare il reddito di cittadinanza come antidoto alla disoccupazione tecnologica, ha risposto non cercando di conquistare nuovo pubblico ma parlando a quello già conquistato. Ha parlato infatti di «partire dal taglio delle pensioni d’oro», eccetera, ovvero la già vincente retorica sugli sprechi che, anche se fosse praticata allo spasimo, non arriverebbe mai a finanziare una posta di spesa così grande. Segno, perlomeno, di grande confusione, prima di tutto su cosa fare dopo l’evento epocale (e lo è) della rivoluzione tecnologica. Segno che, nonostante i desideri sul futuro, non si arriva a produrre novità politiche e non resta che parlare il solito linguaggio della “casta che ruba”. Davide Casaleggio ha anche aggiunto che, sul finanziamento del reddito di cittadinanza, in fondo, è una questione dei tecnici. Nel migliore dei casi siamo alla visione naif della politica che traccia un’idea e i tecnici la praticano. Quando invece ogni “dettaglio” tecnico porta, nel momento in cui va risolto, a drammatiche scelte politiche, oltretutto quando il provvedimento è destinato a produrre (complesse) ondate di impatto sulla struttura sociale e amministrativa.Qui ci vogliono non i tecnici ma idee di indirizzo politico chiare, e robustamente organizzate, per arrivare a praticare una riforma del welfare, dell’amministrazione e degli obiettivi dello Stato, tale è il reddito di cittadinanza altro che misura “tecnica”, che entrerebbero sicuramente in conflitto con Bruxelles e Francoforte (per non dire Berlino). Insomma, l’evento dell’associazione Gianroberto Casaleggio, che è distinta dal Movimento 5 Stelle, si è impantanato nei difetti della solita convegnistica di impresa che un giorno tocca l’idea di banda ultralarga e l’altro di Industria 4.0: un po’ di spettacolo, un tema di fondo magari azzeccato e tanta genericità a contorno dell’evento. L’invito al Ceo di Google Italia, al direttore della Trilateral e a quello del Tg7 (nonché a qualche sociologo che questa convegnistica se l’è fatta tutta in area Pd-Bassolino), da parte di Casaleggio, stavano in questa cornice. Il problema è che questo genere di convegnistica è fatta, soprattutto, per sviluppare il capitalismo di relazione in settori specializzati. Se il format viene riproposto per delineare il futuro di un paese, le crepe si vedono tutte. La forma start-up non è in grado di rappresentare la profondità di un paese come il nostro. Ma difficile che su quelle rive si cambi idea.Certo se dall’associazione Casaleggio c’è questa confusione in campo 5 Stelle, e ci riferiamo alla politica monetaria, le turbolenze non mancano. Il referendum, previsto come consultivo dal M5S, sulla permanenza nell’euro o meno assumerebbe, in questa cornice, i tratti della più spettacolare manna dal cielo per la speculazione finanziaria (che le borse “banchino” i referendum ormai è prassi consolidata) e quello della paralisi delle politiche di un paese in attesa del risultato. Sicuramente in tutto questo c’è molta propaganda ma anche occhi molto smaliziati stentano a trovarci coerenza e sostanza. Nessuno si augura un domani di riveder di nuovo pascolare i Gentiloni, i Renzi, gli Alfano, le Camusso. Ma bisogna anche essere consapevoli di cosa sta accadendo anche da altre parti della politica. Perché si sta preparando l’ennesima turbolenza per questo paese, comunque vada. E i convegni del genere “imprese per un paese che cambia” queste turbolenze non le governano, al massimo ne vengono governati. Oppure vengono spazzati via e avanti il prossimo.(“Davide Casaleggio, poco o nulla di fronte a problemi epocali”, da “Senza Soste” dell’11 aprile 2017).La recente convention di Ivrea, fatta per ricordare Casaleggio senior e lanciare i lineamenti di visione della società da parte di Casaleggio junior, è sembrata, a molti osservatori non certo pro Pd, piuttosto deludente. Visto il filo conduttore della giornata di Ivrea, il futuro, non si può dire però che questa dimensione temporale sia stata fatta intravedere agl italiani. Non è venuta fuori un’idea di società, verso la quale un eventuale governo M5S tenderebbe, quanto una serie di immagini da proporre a differenti segmenti di pubblico. Niente di male, solo che qui non si cerca di proporre una nuova serie di paste da cucina (gli spaghetti a un tipo di pubblico, le pennette lisce ad un altro e il brand per tutti) ma si è davanti a una crisi economica storica, ad un Pil in declino da un trentennio ad una società con problemi drammatici ed inediti. Un’idea di futuro invece deve connettere, e mobilitare, un’intera società. Non per il rispetto dell’etichetta ma perché il M5S vuol governare da solo e che, per farlo secondo la legge elettorale attuale, deve raggiungere il 40% ovvero almeno 1/3 in più in più dei voti attuali. Sempre, s’intende, seguendo le stime delle attuali intenzioni di voto.
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Internet per ricchi: i loro contenuti, veloci e costosi
«Immaginate un’autostrada con la corsia di sorpasso riservata ai soli proprietari di Mercedes e Bmw. Perché nel prezzo d’acquisto delle loro auto è incluso quel privilegio. Oppure, forse peggio ancora, la corsia veloce riservata a un paio di società multinazionali che gestiscono flotte di Tir, e hanno comprato quel diritto a farli circolare molto più in fretta di voi». Questo, avverte Federico Rampini, può accadere ben presto per la più importante di tutte le autostrade: Internet. La Rete da cui transita l’informazione, la comunicazione, ormai quasi ogni servizio essenziale, avrà qualità e servizi diversi. «Due velocità, per ricchi e poveri. È questa la conseguenza di una nuova normativa che sta per prendere forma negli Stati Uniti, la nazione che ha dato al mondo l’infrastruttura portante dell’èra digitale». Associazioni dei consumatori in rivolta, col mondo dei media dalla loro parte «nel denunciare la fine imminente di un principio che sembrava sacro: la Net Neutrality, la neutralità della Rete».Da un quarto di secolo, dalla nascita di Internet, il digitale ha avuto una sua ideologia egualitaria, l’idea cioè che Internet fosse potenzialmente “il grande livellatore”, che l’accesso alla conoscenza potesse abbattere barriere e diseguaglianze? Ora, scrive Rampini in un reportage su “Repubblica” ripreso da “Micromega”, il principio stesso che siamo tutti uguali quando ci colleghiamo online, sta vacillando. «La novità non sarà visibile a occhio nudo, anzi sarà ben nascosta per l’utente medio». Infatti non si parla di tariffe differenziate per chi vuole accesso alla banda larga, a una connessione Internet più veloce e potente, differenziazioni peraltro già diffuse grazie al ruolo sempre più dominante degli smartphone come strumento di accesso a Internet. La battaglia che si è aperta riguarda l’altra estremità della Rete: i colossi che l’alimentano di contenuti, e gli altri colossi che gestiscono l’infrastruttura stessa.In America – e quindi, a cascata, nel mondo intero – è uno scontro fra titani: da una parte le telecom (Comcast, Verizon, At&t, TimeWarner) che quasi sempre sono anche i gestori della cable-tv e degli accessi Internet, e dall’altra Google con la sua filiale YouTube, il numero uno dei servizi di videostreaming Netflix, la Walt Disney, Microsoft con Skype, Apple con iTunes. «Sono questi ultimi – scrive Rampini – i colossi che distribuiscono contenuti: informazione, comunicazione, spettacolo, musica». La “santa alleanza” delle telecom preme da anni sulle authority Usa, per spuntare il diritto a far pagare di più questi maxiutenti. «L’argomento ha una sua logica: se Google con YouTube “occupa” una parte consistente della banda larga, chi gestisce l’infrastruttura vuole fargli pagare questo volume di traffico da smaltire ad alta velocità». La posizione delle telecom ha fatto breccia, e ora la svolta viene data per certa. “Presto avremo le corsie veloci per il traffico online”, intitola il “New York Times”.Fin qui, aggiunge Rampini, sembra una contesa tra i big del capitalismo americano: la posta in gioco, in apparenza, è solo una redistribuzione di guadagni fra di loro. Ma non la pensa affatto così un paladino degli utenti online, Todd O’Boyle, che dirige la Common Cause’s Media and Democracy Reform Initiative. Secondo O’Boyle, «agli americani fu promesso fin dalle origini un Internet senza caselli né pedaggi atostradali, senza corsie preferenziali, senza censure statali o private; se passano queste nuove regole la promessa sarà tradita». È dello stesso parere un altro difensore dei consumatori, Michael Weinberg dell’associazione Public Knowledge: «Si va verso una discriminazione commerciale, l’opposto della neutralità di Internet che si fonda sulla non-discriminazione».In che modo sarebbero colpiti i consumatori, gli utenti finali? «Anzitutto – spiega Rampini – se vince la lobby delle telecom e quindi conquista il diritto di prelevare tariffe diverse da Google e Amazon, non c’è da illudersi su chi pagherà il conto: sempre noi, perché ovviamente grandi gruppi come Google e Amazon scaricheranno il sovrapprezzo sull’utente finale». Altre conseguenze dannose sono addirittura più subdole, aggiunge il corrispondente di “Repubblica”: «È ovvio che in cambio della tariffa superiore, i big dell’economia digitale avranno diritto a un servizio migliore. È una distorsione piena di pericoli. Anzitutto perché noi stessi non ci accorgeremo, quando navighiamo in Rete, che alcuni giganti del commercio online o “aggregatori d’informazione” arrivano a noi molto più velocemente coi loro contenuti. Crederemo di andare su Internet in cerca di qualcosa, in realtà sarà “qualcosa” a trovare noi molto a scapito di altri contenuti forse migliori e più utili».Infine, una «minaccia enorme» incombe sui piccoli operatori: aziende locali, startup, giovani con idee innovative, creatori di contenuto originale (filmati, musiche, informazione, e-book). Per i loro siti, «l’accesso al pubblico finale sarà tutto in salita, perché verranno confinati nelle corsie lente, superati dalle colonne di Tir che trasportano i servizi di YouTube, Amazon, Netflix, Skype, Ebay, Disney». Le nuove regole, ribadisce Weinberg, imporranno un prezzo d’ingresso e quindi una barriera d’entrata, contro l’innovazione. Se fosse esistito un Internet a due velocità fin dalle origini, forse Microsoft avrebbe impedito l’emergere di rivali come Apple? Una delle forze della Silicon Valley è stata la “distruzione creatrice” che sconvolge periodicamente le gerarchie di potere, con dei ventenni che inventano una nuova azienda e sfidano i giganti già esistenti. Finita la Net neutrality, in una Rete a due velocità vinceranno sempre gli stessi?Uno scontro simile, conclude Rampini, si sta riproducendo in Europa. L’inglese Vodafone e la tedesca Deutsche Telekom imitano le loro sorelle americane: vogliono far pagare a Google e Netflix una tariffa superiore per l’uso intenso delle infrastrutture, inondate di video-streaming. Argomento insidioso: sostengono che, in mancanza di adegaumenti tariffari, non avrebbero incentivi a investire per modernizzare la Rete, facendo perdere terreno all’Europa rispetto agli Usa e all’Asia. Poi la trasparenza: le “corsie preferenziali” di fatto esisterebbero già, perché gli operatori di telefonia e Internet favoriscono più o meno occultamente l’accesso alle proprie consociate e filiali, per esempio boicottando Skype in Europa o rallentando vistosamente i film di Netflix per chi cerca di scaricarli dalla rete TimeWarner che ha la sua offerta di videonoleggio concorrente. Sancire l’esistenza della “corsia veloce” alla luce del sole renderebbe le cose più trasparenti? Finora l’Ue ha scelto di difendere la neutralità di Internet. Per il giurista americano Tim Wu, se si abbandona la neutralità «anche Internet diventerà omologato ad ogni altro aspetto della società americana: sarà diseguale, e per ciò stesso una minaccia alla nostra prosperità nel lungo termine».«Immaginate un’autostrada con la corsia di sorpasso riservata ai soli proprietari di Mercedes e Bmw. Perché nel prezzo d’acquisto delle loro auto è incluso quel privilegio. Oppure, forse peggio ancora, la corsia veloce riservata a un paio di società multinazionali che gestiscono flotte di Tir, e hanno comprato quel diritto a farli circolare molto più in fretta di voi». Questo, avverte Federico Rampini, può accadere ben presto per la più importante di tutte le autostrade: Internet. La Rete da cui transita l’informazione, la comunicazione, ormai quasi ogni servizio essenziale, avrà qualità e servizi diversi. «Due velocità, per ricchi e poveri. È questa la conseguenza di una nuova normativa che sta per prendere forma negli Stati Uniti, la nazione che ha dato al mondo l’infrastruttura portante dell’èra digitale». Associazioni dei consumatori in rivolta, col mondo dei media dalla loro parte «nel denunciare la fine imminente di un principio che sembrava sacro: la Net Neutrality, la neutralità della Rete».