Archivio del Tag ‘New Deal’
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Kapò tedeschi e pagliacci europei? Usciamo dalla barbarie
L’Europa si è bruscamente risvegliata sotto il tallone della Germania. Oramai i nazisti che guidano il governo tedesco, Merkel e Schaeuble su tutti, non rispettano più neppure le forme. La Commissione Europea così come l’Eurogruppo o la Bce appaiono finalmente per quello che in realtà sono: paraventi buoni per mascherare l’assoluto dominio teutonico su tutti i popoli del Vecchio Continente. L’antico sogno hitleriano si è realizzato in pieno senza neppure dover ricorrere all’utilizzo di fucili e carri armati. Come abbia potuto la signora Merkel uccidere impunemente la democrazia in Europa resta un mistero. Una nazione sconfitta e umiliata, messa nelle condizioni di non nuocere all’indomani della seconda guerra mondiale, decide oggi per tutti, scegliendo di fatto arbitrariamente chi è degno di ricevere i fondi e chi no. Siamo all’assurdo. Il neoeletto premier greco Tsipras è costretto ad andare a Berlino con il cappello in mano nella speranza di ammorbidire la posizione dell’arcigna Germania. Ma chi ha deciso che la Germania è il nostro indiscusso nume tutelare? Nessun cittadino europeo ha mai conferito alla signora Merkel un mandato democratico.I tedeschi quindi stanno palesemente violando la sovranità di nazioni ancora oggi formalmente libere e indipendenti. L’Europa ha imboccato una deriva terribile, tenuta brutalmente al laccio da un manipolo di fanatici che dimostrano di non tenere la democrazia in nessun conto. I vari Renzi, Hollande e Rajoy sono poco più che valletti nelle mani del feroce gabinetto germanico, burattini che tradiscono il mandato ricevuto per guadagnare sul campo la benevolenza dei conquistatori. E’ perciò inutile sperare in un sussulto d’orgoglio da parte di simili soggetti, anime nere che mentono continuamente sapendo di mentire. L’unica prospettiva possibile è quella che punta a creare e sedimentare una solidarietà pan-europea organizzata dal basso. C’è bisogno cioè di un nuovo movimento trans-nazionale che raccolga all’interno di un unico contenitore tutti i sinceri democratici ovunque dislocati. Un contenitore libero e plurale, cementato però dalla radicale avversione nei confronti del totalitarismo finanziario e tecno-fascista oggi incarnato da un triumvirato famelico composto da Angela Merkel, Wolfang Schaeuble e Mario Draghi.Questa è la strada giusta. E’ sbagliato invece fomentare contrapposizioni di tipo prettamente nazionalistico. L’élite che oggi sovraintende lo svuotamento della democrazia sostanziale in Europa è apolide. I tedeschi, per indole e costituzione, si limitano soltanto a recitare meglio degli altri la parte dei kapò. Ma Hollande e Renzi, pavidi comprimari, non sono migliori di Angela Merkel, aggiungendo un pizzico di ignavia condita di ipocrisia alla conclamata e unanime predisposizione al sopruso e al raggiro. Nel frattempo in Italia come in Francia proseguono le controriforme di stampo neoliberista approvate da governi formalmente progressisti e di sinistra. Rileggendo i punti della lettera scritta nell’agosto del 2011 dalla Bce di Trichet e Draghi c’è da restare sbalorditi. I governi Monti, Letta e Renzi hanno palesemente applicato l’indirizzo politico deciso d’imperio da un istituto sprovvisto di mandato democratico.Siamo tornati al Medioevo, quando il potere promanava da Dio e i sudditi erano chiamati a non turbare un immutabile ordine costituito. Il nuovo Dio si chiama mercato finanziario e Mario Draghi è il suo profeta. Gli uomini liberi che non intendono arrendersi all’oscurantismo di ritorno si preparino a combattere un battaglia decisiva in difesa del progresso e contro la barbarie. Noi non permetteremo a nessuno di fondare sulla nostra pelle una nuova aristocrazia dello spirito desiderosa di dominare masse informi e abbrutite. Noi combatteremo a viso aperto, con coraggio e spirito di servizio, orgogliosi di stare senza dubbio dalla parte giusta della Storia. Alla lunga, trionferemo!(Francesco Maria Toscano, “Uniti sconfiggeremo il rigurgito nazista che opprime l’Europa”, dal blog “Il Moralista” del 20 febbraio 2015. Insieme a Gioele Magaldi, fondatore del Grande Oriente Democratico e autore del libro “Massoni”, Toscano è tra i promotori dell’assemblea costitutiva del “Movimento Roosevelt”, in programma a Perugia il 21 marzo 2015, per dare impulso a una riconversione democratica dell’assetto europeo).L’Europa si è bruscamente risvegliata sotto il tallone della Germania. Oramai i nazisti che guidano il governo tedesco, Merkel e Schaeuble su tutti, non rispettano più neppure le forme. La Commissione Europea così come l’Eurogruppo o la Bce appaiono finalmente per quello che in realtà sono: paraventi buoni per mascherare l’assoluto dominio teutonico su tutti i popoli del Vecchio Continente. L’antico sogno hitleriano si è realizzato in pieno senza neppure dover ricorrere all’utilizzo di fucili e carri armati. Come abbia potuto la signora Merkel uccidere impunemente la democrazia in Europa resta un mistero. Una nazione sconfitta e umiliata, messa nelle condizioni di non nuocere all’indomani della seconda guerra mondiale, decide oggi per tutti, scegliendo di fatto arbitrariamente chi è degno di ricevere i fondi e chi no. Siamo all’assurdo. Il neoeletto premier greco Tsipras è costretto ad andare a Berlino con il cappello in mano nella speranza di ammorbidire la posizione dell’arcigna Germania. Ma chi ha deciso che la Germania è il nostro indiscusso nume tutelare? Nessun cittadino europeo ha mai conferito alla signora Merkel un mandato democratico.
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Magaldi a Grillo: insieme, contro l’élite che minaccia l’Italia
Matteo Renzi è un “wannabe” (contrazione di “want to be”, voler essere) massone, cioè è un uomo che aspira a fare parte non tanto del Grande Oriente d’Italia o di altre comunioni massoniche italiane che hanno un’incidenza mediocre sulle vere dinamiche del potere, ma a una delle Ur-Lodges che stanno guidando i processi di destrutturazione sociale ed economica europea. E sono Ur-Lodges in cui è in gran parte protagonista Mario Draghi, un uomo che viene costantemente osannato dalla grande stampa manipolatoria che tratta gli italiani come bambini deficienti. E invece è un uomo che, bisognerebbe ricordarlo, non solo è padre di questa austerità europea che sta massacrando popoli, ma è colui che ha gestito le grandi privatizzazioni all’italiana che sono state una svendita, a favore di amici e amici degli amici, di importanti asset pubblici della nostra nazione. Se non fossero stati dei bambinoni deficienti, gli italiani non avrebbero accolto con le fanfare Monti, Letta, Renzi. Monti appartiene alle aristocrazie massoniche delle Ur-Lodges. Enrico Letta è un paramassone di rango, non è stato mai ammesso nel santa sanctorum delle superlogge più importanti ma è sempre stato al loro servizio in modo subalterno e ancillare.Le dimissioni Napolitano sono state, da qualcuno, messe anche in connessione con questa operazione editoriale che noi abbiamo lanciato (il libro “Massoni”, edito da Chiarelettere). Questa nostra operazione, unita ad altre, ha creato molti nervosismi. Questi fattori, naturalmente insieme ad altri, hanno indotto Napolitano a dimettersi. Il sostituto di Napolitano? Noi vigileremo, perché nel libro si parla non soltanto di massoneria aristocratica, quella che gestisce da 30-40 anni i grandi processi di globalizzazione e di insana costruzione europea, ma si parla anche di riscatto delle Ur-Lodges progressiste, l’ambiente democratico, di cui sono un “gran maestro”. Noi vigileremo su chi sarà il prossimo inquilino del Colle. In termini democratici, limpidi e trasparenti diremo di evitare che vada al Quirinale un altro personaggio nefasto come Napolitano. Se uno guarda l’Ur-Lodge a cui appartiene Napolitano e ne vede la storia, non esce benissimo uno che, come lui, è stato appartenente fino al 1978. Il prossimo presidente non sarà però influente e importante come lo è stato Napolitano, perché i tempi sono cambiati e la gente inizia ad aprire gli occhi e le orecchie. Prodi? E’ senz’altro parte del network massonico sovranazionale, in termini perfino clamorosi e insospettabili.Il “Movimento 5 Stelle”? E’ nato su esigenze molto importanti e utili, avrebbe da modificare alcune cose. Ha poi un problema interno di articolazione democratica e liberale. Noi stiamo fondando un movimento metapartitico che quindi non chiederà il consenso e non sarà concorrente né del Movimento 5 Stelle né di altri partiti, ma vuole riunire tutti i progressisti italiani ed extra-italiani, europei, per cambiare paradigma in Italia, in Europa e nel mondo, in questa cattiva globalizzazione. Questo movimento si chiama “Movimento Roosevelt” e vedrà la luce tra gennaio e febbraio 2015. Riunisce massoni e non massoni, purché accomunati da una vocazione progressista. Il nome “Movimento Roosevelt” richiama la dichiarazione dei diritti umani patrocinata da Eleanor Roosevelt, richiama la grande lezione del New Deal di Franklin Delano Roosevelt e la lezione economica di John Maynard Keynes, dimenticata in questa Europa tutta quanta friedmaniana e basata sui principi di un neoliberismo feroce e anche ottuso, se non fosse che è un neoliberismo in malafede, è fatto apposta, con le sue valide declinazioni per destrutturare la società europea, i suoi principi di welfare la sua prosperità.La massoneria rivendica la costruzione delle società aperte, libere, democratiche, e del pluralismo di informazione. Anche le lamentele sullo svuotamento di sostanzialità, la democrazia contemporanea, si possono fare, oggi, perché qualcuno in passato l’ha inventata, la democrazia: la democrazia e la libertà non le ha portate la cicogna, ma i massoni progressisti. L’opinione pubblica media, non solo italiana, purtroppo è facilmente manipolata dai grandi mezzi di informazione, concentrati nelle mani di editori non puri in gran parte, e questo è un caso eclatante per l’Italia. Da noi c’è poca editoria pura, il Quarto Potere che controlli gli altri tre poteri non esiste perché giornali e televisioni sono in mano a signori che hanno anche banche, assicurazioni e altri interessi industriali o finanziari. Agli italiani, e non solo a a loro, viene fatta una narrazione delle cose che prepara poi l’arrivo con le fanfare di personaggi come Monti e Letta e poi anche di Renzi che è un grande affabulatore molto più carismatico e vendibile di Monti e Letta, ma che nella sostanza ha proseguito le stesse politiche recessive e distruttive dell’interesse pubblico.Invito il “Movimento 5 Stelle” e i suoi dirigenti ad abbeverarsi, perché faremo una scuola di alta formazione politologica: faremo una Fondazione Roosevelt con interventi importanti di welfare sul territorio europeo per dimostrare che la politica dovrebbe essere intervento sulle cose, sui territori, riunendo le persone di sano intelletto e buona volontà anche di diversi schieramenti. Ma vorrei dare un ultimo consiglio agli ispiratori e ai gestori del “Movimento 5 Stelle”: accettino l’idea che non si possono abolire i partiti, e che l’alleanza tra diversi, pur mantenendo la propria identità, è l’unica possibilità di ridare sostanza alla democrazia italiana e non solo italiana. Se il “Movimento 5 Stelle” accetterà di dialogare e di allearsi con chi li considera il meno peggio nel panorama politico italiano, noi potremo avere una svolta politica importante, altrimenti si rischia di congelare milioni di voti che credono e hanno creduto, giustamente, al Movimento 5 Stelle come fattore di rinnovamento.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate al blog di Beppe Grillo per il “Passaparola” del 5 gennaio 2015).Matteo Renzi è un “wannabe” (contrazione di “want to be”, voler essere) massone, cioè è un uomo che aspira a fare parte non tanto del Grande Oriente d’Italia o di altre comunioni massoniche italiane che hanno un’incidenza mediocre sulle vere dinamiche del potere, ma a una delle Ur-Lodges che stanno guidando i processi di destrutturazione sociale ed economica europea. E sono Ur-Lodges in cui è in gran parte protagonista Mario Draghi, un uomo che viene costantemente osannato dalla grande stampa manipolatoria che tratta gli italiani come bambini deficienti. E invece è un uomo che, bisognerebbe ricordarlo, non solo è padre di questa austerità europea che sta massacrando popoli, ma è colui che ha gestito le grandi privatizzazioni all’italiana che sono state una svendita, a favore di amici e amici degli amici, di importanti asset pubblici della nostra nazione. Se non fossero stati dei bambinoni deficienti, gli italiani non avrebbero accolto con le fanfare Monti, Letta, Renzi. Monti appartiene alle aristocrazie massoniche delle Ur-Lodges. Enrico Letta è un paramassone di rango, non è stato mai ammesso nel santa sanctorum delle superlogge più importanti ma è sempre stato al loro servizio in modo subalterno e ancillare.
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Arrivano i Buoni: filantropia finanziaria, business del dolore
Geldof, Bono Vox, Soros e compagnia filantropica cantante hanno scoperto cosa significa “investire 1 euro e ottenerne 2,74 euro in un anno”. Quale investimento vi garantisce oggi un rendimento del 174%? Conseguentemente hanno investito un bel po’ di soldi in quelle operazioni di “tanto cuore, poco cervello”. O forse sono operazioni di “tutto cervello e niente cuore”? Non so, fate voi. Non credo che la truffa di One (Bono) o di Band Aid sia molto diversa dalla truffa dell’Open Society (Soros). Fatto sta che venendo meno lo Stato di diritto, sostituito dallo Stato di dovere (ve ne eravate accorti?), al cittadino viene imposto l’obbligo morale di fare ciò che fino a prima lo Stato faceva, ovvero normare la perequazione e finanziare il diritto. L’imperativo morale che ci sovrasta è fornire montagne di soldi a carrozzoni che dovrebbero (notate il condizionale) aiutare le persone o i popoli in difficoltà, dando così la possibilità agli squali della finanza di lucrare quel 174% sulla nostra buona fede e sui nostri sensi di colpa. Eppure paghiamo già abbondanti tasse e balzelli, il nostro dovere lo facciamo ogni giorno.Forse avete già intuito che tutti quei soldi vanno a finire nel salvataggio delle banche, o giù di lì. La novità consiste nel donare alla filantropia per permettere guadagni scandalosi alla finanza. Da Tares, Tari, Tasi a Telethon o Band Aid, cosa cambia quindi? L’idea, selvaggia e perversa al tempo stesso, è che noi cittadini dobbiamo salvare il mondo: Stati, banksters e filantropi compresi. Siamo perseguitati dalla tv del dolore che non perde occasione per farci vedere un’umanità sofferente che necessita del nostro aiuto. Sono tempi bui, e, come diceva un utile idiota, «non chiederti cosa lo Stato può fare per te, chiediti cosa TU puoi fare per lo Stato». Era il New Deal, o giù di lì, il massimo dell’espansione dello Stato. Figuriamoci oggi, che lo Stato è in totale recessione: cosa dovremmo fare per soddisfare gli insaziabili appetiti di Ong, Onlus e associazioni umanitarie varie?Ma poi di chi sarebbe la colpa di tutta questa oscena morale? Sono «le regole che hanno permesso agli speculatori di fare quel che hanno fatto» (e che continueranno a fare) dice il buon Soros, aggiungendo che «non è colpa degli speculatori». E ci mancherebbe! Che colpa ne hanno se lo Stato “consiglia” di donare soldi alla speculazione filantropica? Eppoi non facciamone una questione personale: nessun miliardario che si rispetti evita la filantropia, neanche Gates, secondo cui investire in Africa contro malattie e povertà è del tutto simile all’innovazione tecnologica. E porta ai medesimi risultati. L’uomo più ricco del pianeta (66 miliardi di dollari) è convinto che non solo sia giusto interessarsi dei bisogni non recepiti dai mercati, ma anche economicamente interessante. Ecco la nuova frontiera della finantropia (acronimo tra finanza e filantropia): unisci le tecniche del venture capital agli obiettivi del non profit e avrai “venture philanthropy”. La nuova filantropia mette da parte il paternalismo e tenta la sfida degli investimenti finanziari.E’ tutto un proliferare di attività finantropiche, ve ne siete accorti? Il mondo ha bisogno della nostra collaborazione, perchè il mondo sta finalmente cambiando. In questo nuovo quadro che si va delineando il ruolo storico dell’intermediazione e della consulenza finanziaria deve essere ridisegnato. Lo scopo non può essere soltanto quello di massimizzare il rapporto rendimento/rischio del cliente, è invece imperativo un allargamento del processo di investimento che, dal binomio rischio-rendimento, deve estendersi al trinomio sostenibilità-rischio-rendimento. Sappiate che le prestazioni dotate di buon senso e che creano valori sostenibili conferiscono energia al denaro, così che questo genera altro denaro e benessere per tutti allo stesso modo: per i filantropi e per chi riceve il capitale investito o i doni, per le organizzazioni, i collaboratori in seno al progetto e per il fundraiser.Lo Stato di dovere ci impone l’obbligo di aiutare i paesi poveri, e al microcredito è andato addirittura un Nobel. Sapete perchè? Ma perchè dalla filantropia al business il passo è breve, ammesso che esista: il credito a breve – erogato ai piccolissimi imprenditori dei paesi in via di sviluppo – è remunerativo e sicuro. Capito? Come sono stati raccolti questi capitali? Per esempio da fondi pensione svizzeri interessati a diversificare il loro portafoglio cercando investimenti che da una parte offrono un rendimento superiore a quelli di mercato, dall’altra rispondono a requisiti di responsabilità sociale. «Possiamo dire che la trasformazione della microfinanza in asset class investibile è nata in Svizzera, soprattutto a Ginevra». Non vi piacciono i neutrali banchieri svizzeri? Tranquilli che Unicredit ha ciò che fa per voi: “il mio dono” ovvero la rete della solidarietà di Unicredit.Date un’occhiata, ci sono ben 105 pagine di organizzazioni non-profit da scegliere perchè è «giusto interessarsi dei bisogni non recepiti dai mercati», come dice Gates. Cioè il Mercato va allargato a ciò che non è tecnicamente Mercato, come la solidarietà. Insomma la finantropia. Li avete già dati i due osceni euro? Avete già fatto quel fetente Sms per collaborare con quell’importantissimo progetto che salverà migliaia di vite? State dando una mano a Soros e fratelli in affari per diffondere finalmente benessere, democrazia, salute e non ultima della sana felicità nel mondo? NO? FATE SCHIFO! Ps: adesso vi regalo anche un passatempo per le festività: provate a distinguere il mio sarcasmo da ciò che gli avvoltoi finantropici spacciano per verità. Se avete dubbi seguite i link, poi fatemi sapere. Buon Natale, e siate sempre più buoni, mi raccomando. Che loro ci tengono.(Tonguessey, “Finantropia”, da “Come Don Chisciotte” del 24 dicembre 2014)Geldof, Bono Vox, Soros e compagnia filantropica cantante hanno scoperto cosa significa “investire 1 euro e ottenerne 2,74 euro in un anno”. Quale investimento vi garantisce oggi un rendimento del 174%? Conseguentemente hanno investito un bel po’ di soldi in quelle operazioni di “tanto cuore, poco cervello”. O forse sono operazioni di “tutto cervello e niente cuore”? Non so, fate voi. Non credo che la truffa di One (Bono) o di Band Aid sia molto diversa dalla truffa dell’Open Society (Soros). Fatto sta che venendo meno lo Stato di diritto, sostituito dallo Stato di dovere (ve ne eravate accorti?), al cittadino viene imposto l’obbligo morale di fare ciò che fino a prima lo Stato faceva, ovvero normare la perequazione e finanziare il diritto. L’imperativo morale che ci sovrasta è fornire montagne di soldi a carrozzoni che dovrebbero (notate il condizionale) aiutare le persone o i popoli in difficoltà, dando così la possibilità agli squali della finanza di lucrare quel 174% sulla nostra buona fede e sui nostri sensi di colpa. Eppure paghiamo già abbondanti tasse e balzelli, il nostro dovere lo facciamo ogni giorno.
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Rottamare il popolo, Renzi realizza il sogno della destra
“Missione compiuta”, gigioneggia Matteo Renzi a fronte delle regionali emiliano-romagnole e calabresi. Certo che sì. Ma non tanto per la presumibile conquista della poltrona di governatore da parte dei due candidati sponsorizzati, personaggi tutto sommato insignificanti, latori di proposte politiche inesistenti. Niente di tutto questo. La vera missione giunta a compimento è l’aver rottamato, in un colpo solo, circa il dieci per cento del corpo sociale italiano; le donne e gli uomini che – in quanto cittadini – intendono concorrere a determinare la volontà generale. E l’effetto “piazza pulita” fa maggiormente impressione se il soggetto collettivo, in più fragoroso allontanamento da una concezione attiva della politica, è proprio l’antica “maglia rosa” nazionale del civismo: l’Emilia Romagna appassionata e socialdemocratica. Il nostro premier può farsi scrivere dal ghost-writer di fiducia tutti i temini che vuole sulla sua presunta natura di sinistra, può precettare la Gioconda Boschi allo sbandieramento dell’essenza newdealistica ed egualitaria del Jobs Act (ma perché questi anglicismi, visto che il Renzi si incarta quando bazzica l’anglofonia? Lo chiami Asfaltalavoro così ci capiamo meglio). Renzi può raccontarcela come vuole, anche se la gag mostra ormai la corda.Resta il fatto che l’obiettivo della Destra apparsa in Occidente da quattro decenni, diventando dominante da un quarto di secolo, ha come primario obiettivo quello di azzerare il popolo. Obiettivo che il giovanile di Rignano porta avanti con proterva determinazione sotto gli sguardi compiaciuti dei suoi mentori e precettori (Berlusconi e Verdini tra i più cari), di quanti avevano vendette da consumare a sinistra (tipo Sacconi) e con la benevola approvazione dei liquidatori internazionali della tradizione progressista novecentesca keynesiano-rooseveltiana (dai vari Blair ai tecno-killer di Bruxelles, al servizio del sistema bancario internazionale). Il senso generale dell’operazione discende da due inestirpabili retropensieri del nostro tempo: la logica finanziaria, in cui la ricchezza per riprodursi non ha più bisogno delle persone (la produzione di denaro a mezzo denaro; a differenza dell’età industrialista, in cui il capitale produceva masse che ne acquistassero i prodotti); la priorità del potere oligarchico che recalcitra ad ogni forma di controllo, in particolare quello democratico.Sicché fa specie, ma non troppo, che gli Orfini – già “giovani turchi, poi rivelatisi “vecchi ottomani” (nel senso di afferrare poltrone) – imbarcati felicemente sul carro renziano non emettano neppure un sospiro davanti alla mattanza in atto. Così, tanto per salvarsi l’anima. Il fatto è che la vicenda regionale si inserisce in un lungo processo di normalizzazione in corso non da oggi. Che nel nostro paese si accompagna alla sostituzione di seppur imperfette forme di democrazia deliberativa con il grande baraccone dello star-system; iniziato con il guitto di Arcore e proseguito da una lunga serie di imitatori, che avevano recepito dal maestro le virtù dell’illusionismo per la conquista del consenso. Quella sequenza di personaggi che pare giunta alla sua più compiuta espressione nel premier che gioisce davanti all’esodo dal voto di sei italiani su dieci; sostanzialmente perché l’intera offerta esposta sui banconi elettorali appariva loro inaccettabile.Certo, così facendo si consente alla banda che presidia il varco della politica di vincere per no-contest, per abbandono della controparte civica. E di questo dovrebbe farsi carico in termini autocritici chi ha dissipato le speranze riposte nel febbraio 2013 nell’Altra Politica da parte di un quarto di italiani. Intanto continua l’opera di abrogazione del popolo. Un vecchio sogno delle plutocrazie, se già all’inizio dell’età industriale l’abate Sismondi poteva scrivere: «In verità non resta che desiderare altro se non che il re, rimasto solo nell’isola, girando una manovella, faccia eseguire per mezzo di congegni meccanici tutto il lavoro dell’Inghilterra».(Pierfranco Pellizzetti, “Rottamare il popolo”, da “Micromega” del 24 novembre 2014).“Missione compiuta”, gigioneggia Matteo Renzi a fronte delle regionali emiliano-romagnole e calabresi. Certo che sì. Ma non tanto per la presumibile conquista della poltrona di governatore da parte dei due candidati sponsorizzati, personaggi tutto sommato insignificanti, latori di proposte politiche inesistenti. Niente di tutto questo. La vera missione giunta a compimento è l’aver rottamato, in un colpo solo, circa il dieci per cento del corpo sociale italiano; le donne e gli uomini che – in quanto cittadini – intendono concorrere a determinare la volontà generale. E l’effetto “piazza pulita” fa maggiormente impressione se il soggetto collettivo, in più fragoroso allontanamento da una concezione attiva della politica, è proprio l’antica “maglia rosa” nazionale del civismo: l’Emilia Romagna appassionata e socialdemocratica. Il nostro premier può farsi scrivere dal ghost-writer di fiducia tutti i temini che vuole sulla sua presunta natura di sinistra, può precettare la Gioconda Boschi allo sbandieramento dell’essenza newdealistica ed egualitaria del Jobs Act (ma perché questi anglicismi, visto che il Renzi si incarta quando bazzica l’anglofonia? Lo chiami Asfaltalavoro così ci capiamo meglio). Renzi può raccontarcela come vuole, anche se la gag mostra ormai la corda.
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Morto il lavoro, c’è solo la paura: nessuno è al sicuro
Era uno dei principali obiettivi sin dall’inizio, e ci sono arrivati. Forse un po’ in ritardo rispetto ai tempi che si erano prefissati, ma ci sono arrivati. Chi ha capito il progetto dell’Unione Europea sa che le riforme del mercato del lavoro rappresentano lo strumento per ampliare la massa dei precari disposti a tutto e che, seppure con salari bassi e privi di risparmi, saranno costretti a comprare quei servizi essenziali (sanità, acqua, educazione) che nel frattempo verranno privatizzati. Noi tutti lo abbiamo capito da tempo, forse ora anche il sindacato? In realtà anche il sindacato lo aveva capito da tempo, solo che ora gli è impossibile girare la testa dall’altra parte. In diversi lavori la Mmt ha spiegato perché la linea di intervento “per superare la crisi bisogna lavorare sul lato dell’offerta” è sbagliata, perché il presupposto “per crescere, uno Stato deve avere i conti a posto” è in realtà una superstizione e perché il modello export-oriented a cui tende l’Ue è folle.Le riforme del mercato del lavoro hanno un impatto negativo sulla dinamica occupazionale ma anche un effetto disastroso da un punto di vista psicologico sul sentimento del lavoro di chi continuerà a lavorare. Chi come me viene dalle scienze sociali sta assistendo a uno stravolgimento tale che potremmo anche chiamarlo la cancellazione del sentimento e della cultura del lavoro. È come una malattia e si manifesta tramite una serie di sintomi. La destabilizzazione: il continuo dibattito sul mercato del lavoro serve a veicolare il messaggio “nessuno si senta più al sicuro”; in questo senso l’abolizione dell’articolo 18 è simbolico per l’Ue, nel senso che è il simbolo giusto tramite cui mandare questo messaggio. La fine dei valori del lavoro: cioè quel valore personale che una lavoratore cerca nel lavoro e che è alla base della sua soddisfazione (sentirsi utile oppure fare carriera o lavorare in un bell’ambiente). La cultura dell’austerità cancella la scelta e il desiderio nel lavoro: «E’ già tanto se lo hai, un lavoro», ti viene detto, «non puoi pretendere che sia il lavoro che vorresti».Per chi si ostina ad avere questo desiderio (meglio definito come “pretesa”) è prevista la fustigazione; per chi non ha più questa pretesa è prevista la frustrazione. La morte bianca dell’utilità del lavoro: è stato ucciso l’orgoglio del fare un lavoro utile che proviene anche dal fatto che gli altri lo riconoscano come un lavoro utile (produzione, insegnamento, il lavoro delle forze dell’ordine) che poi era l’essenza del “mestiere”. Ma per lo Stato, sotto scacco dei mercati finanziari, garantire un lavoro non è più una priorità, figurarsi se si pone il problema di far fare cose utili alla collettività, tanto il Pil è dato anche dalle attività illecite. Con la riforma degli ammortizzatori sociali, quei lavoratori in cassa integrazione prima orgogliosi di aver fatto il Pil della nazione saranno costretti ad accettare il primo lavoro utile proposto dalle agenzie di collocamento, cioè il primo che ti viene offerto, pena la fine del sussidio.Vedere oggi questo discorso di Roosevelt che parla del diritto delle persone ad avere un lavoro utile è come assistere a un documentario sul pianeta Marte. In un contesto in cui aumentano le famiglie povere, difendere il diritto a esprimersi tramite il lavoro, per le proprie capacità e aspirazioni, è etichettato dalla “cultura della scarsità” come un’assurda pretesa. Ma, a ben guardare, così si sta demolendo un altro pezzo della civiltà europea, quella della cultura del lavoro. L’austerità si porta dietro l’azzeramento della soggettività al lavoro, cioè quel mondo di sentimenti e di relazioni che rendevano il lavoro una parte importante della vita delle persone (le relazioni con gli altri, le aspettative, le gratificazioni e delusioni). Vale solo quanto sei disposto a fare un lavoro per un costo minore degli altri, a prescindere da quello che sei. E allora, scienziati sociali, psicologi del lavoro, sociologi, e così via: è o non è anche nostra la battaglia contro l’austerità?(Deanna Pala, “Senza lavoro sei disperato, ma non pensare che con un lavoro sarai tanto allegro”, da “Rete Mmt” del 22 settembre 2014).Era uno dei principali obiettivi sin dall’inizio, e ci sono arrivati. Forse un po’ in ritardo rispetto ai tempi che si erano prefissati, ma ci sono arrivati. Chi ha capito il progetto dell’Unione Europea sa che le riforme del mercato del lavoro rappresentano lo strumento per ampliare la massa dei precari disposti a tutto e che, seppure con salari bassi e privi di risparmi, saranno costretti a comprare quei servizi essenziali (sanità, acqua, educazione) che nel frattempo verranno privatizzati. Noi tutti lo abbiamo capito da tempo, forse ora anche il sindacato? In realtà anche il sindacato lo aveva capito da tempo, solo che ora gli è impossibile girare la testa dall’altra parte. In diversi lavori la Mmt ha spiegato perché la linea di intervento “per superare la crisi bisogna lavorare sul lato dell’offerta” è sbagliata, perché il presupposto “per crescere, uno Stato deve avere i conti a posto” è in realtà una superstizione e perché il modello export-oriented a cui tende l’Ue è folle.
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Renzi chi? Fa solo chiacchiere, a decidere sarà Draghi
Renzi chi? Sicuri che sia adatto a governare, in questa Italia in crisi profonda da ormai sei anni? Se lo domanda Lucia Annunziata, direttrice dell’“Huffington Post”, dando per scontata «la risposta da parte delle artiglierie dei Renzi-fan, diventati oggi così radicali e insultanti da far sembrare i grillini dei perfetti gentiluomini». Come se il Capo avesse «un dogma di “infallibilità”, una narrativa che passa da trionfo a trionfo, una vulgata del genere “durerà venti anni”, il mantra “a lui non c’è alternativa” ripetuto da amici e ancor più da nemici», in una sorta di sindrome di Fukuyama, l’autore della “fine della storia”, «presto smentito dalla storia stessa». Fuochi d’artificio a parte, un leader «dura tanto quanto è efficace la sua azione di governo». Dove sono i risultati di Renzi? «Il più atteso dei suoi provvedimenti, lo Sblocca Italia», è stato unanimemente giudicato «inferiore alle esigenze della drammatica situazione del paese». E’ vero che il premier «è in sella da soli sei mesi», ma «non è giustificabile la inadeguatezza del metodo con cui il premier si sta confrontando con le reali condizioni del paese».Il primo Consiglio dei ministri d’autunno? «La fotografia di un governo segnato dalla approssimazione amministrativa». Sul suo blog, la Annunziata parla di «vicende incredibili». Esempio: «Surreale il percorso della riforma della scuola. Non c’è nulla di meno serio di un premier che su un argomento così delicato per le famiglie e le decine di migliaia di lavoratori del settore, non lavori insieme al suo ministro; un premier che pochi giorni prima di proporre questa riforma scenda in campo con pirotecniche affermazioni tipo “vi stupirò”, salvo poi ritirare l’intero progetto evidentemente non pronto, con la flebile scusa dell’ingorgo». “Surreale” anche il percorso della riforma del lavoro, «con un ministro, Poletti, che un giorno annuncia, un giorno nega quel che ha detto», a cominciare dal lacerante rebus sull’articolo 18: che ne pensa il governo? «Ma se la voce lavoro è dispersa, la voce giustizia, la più delicata da vent’anni a questa parte, è finita dritta dritta di nuovo nelle secche dello scambio politico, irretita nelle fibrillazioni della maggioranza e delle preoccupazioni di Silvio Berlusconi. Stesso destino per le risorse fresche, i milioni promessi per il rilancio dell’economia, passati da 43 miliardi, oppure 30, altre cifre vaganti, a infine solo a 3,8».Nel complesso, «persino le azioni giuste, che riguardano soprattutto la semplificazione normativa», di fatto «sbiadiscono in rapporto a tutta la retorica dei mesi passati – Renzi, ricordate, è lo stesso leader che solo sei mesi fa accusò il suo predecessore Enrico Letta di usare “il cacciavite” laddove, disse, per cambiare l’Italia ci voleva “una rivoluzione”. Altro che cacciavite: al suo primo incontro con il mondo reale della vita dei cittadini Renzi ha fatto soprattutto manutenzione». La nomina della Mogherini a Lady Pesc? «Sembra segnare invece l’azione internazionale del premier di ben altra caratura di quella mediocre nazionale». Ma, con le tensioni con la Russia in corso, che significato ha la nomina della Mogherini? «A Bruxelles non abbiamo sentito nessun discorso di contenuti accompagnare la nomina», sottolinea la Annunziata. «Non sappiamo oggi più di ieri perché abbiamo chiesto il posto di Lady Pesc. Perché vogliamo creare un nuovo detente contro la Russia, perché temiamo una seconda guerra fredda, perché pensiamo che solo noi italiani possiamo essere un ponte fra russi e Occidente, perché pensiamo che i russi possano aiutarci in Medioriente – o forse sono essenziali solo a noi italiani perché così abbiamo una leva in più in Occidente? Di quale di queste opzioni si tratta?».Esattamente, continua Lucia Annunziata, per cosa ci batteremo sul cosiddetto scacchiere mondiale? «Siamo con Kissinger che chiede di ridefinire tutti gli strumenti di intervento, siamo per definire una nuova frontiera occidentale, siamo per un ribaltamento di alleanze in Medioriente, o per nuovi fronti militari? Siamo per i diritti umani o per la realpolitik? Siamo per bombardare Isis con Assad, e l’Iran, e vogliamo pagare per gli ostaggi, o liberarli impiegando le forze speciali? Insomma cosa pensa Renzi, premier del nuovo mondo? Per ora abbiamo soltanto sentito ripetere la frase “mediazione” a ogni angolo. Speriamo che basti». Ma se non ha parlato di politica estera, Renzi ha però fatto un commento per festeggiare la nomina di Mogherini: «Indica che c’è una nuova generazione al potere». Questa frase, scrive l’Annunziata, «è in fondo il vero cuore della sua identità politica: il raggiungimento del potere. Un potere formale, materiale, riconoscibile in una serie di posizioni per sé e per tutti i suoi associati». E nella piattaforma renziana, «fin dall’inizio, il potere ha un ruolo centrale, sotto forma di rottamazione, annuncio di un ricambio generazionale fatto con maniere decise». Obiettivo «del tutto legittimo», peraltro.Su questa piattaforma «Renzi si è rivelato geniale, e degno erede di quella grande scuola della Dc che ha visto in Andreotti il suo maggior e più pragmatico rappresentante, quello del potere che logora solo chi non ce l’ha». Infatti, «come un treno, ha saputo cogliere le debolezze del suo partito, del sistema burocratico romano, delle classi dirigenti italiane prima e quelle europee dopo. È riuscito a intimidire con insulti alcuni di loro, altri li ha invece piegati con la seduzione della sua energia, altri ancora facendo leva sull’opportunismo di chi ama i vincenti». Una visione del potere «senza gabbie etiche, solo e puramente funzionale». Mai un dubbio, infatti, «sulla natura tattica delle alleanze». Non ha esitato a far fuori Enrico Letta e rilanciare «senza nessuna spiegazione» l’ex arci-nemico del suo stesso partito, Berlusconi. In più, «ha distrutto e rivivificato carriere a seconda dei voti che aveva necessità di raccogliere su questo o quel provvedimento: che la priorità assoluta dei primi sei mesi della sua attività di governo sia stata la riforma del Senato ha senso solo in questo percorso».L’idea è che «il potere si giustifica col potere perché solo il potere autorizza il cambiamento», continua Lucia Annunziata. «Renzi in questo sfoggio di forza ha infatti affascinato e addomesticato quasi il 50 per cento del paese». Ma ora un nuovo problema bussa alla sua porta: «Dopo la conquista, il potere occorre riempirlo di fatti, di idee, di proposte. E su questo Renzi arriva tardi e male. E non solo perché non ha i soldi. Anzi. Arriva tardi e male perché in questi mesi non ha saputo o voluto raccordarsi davvero con il paese, e la sua crisi. Il suo orizzonte è stato il più politicista di tutti i leader più recenti. Proprio perché concentrato sulla presa dei centri di potere. Ma non ha saputo mai spiegare a tutti noi perché si sta sempre peggio, cos’è che non funziona nelle nostre città e come mai l’Italia ha continuato a scivolare verso dati economici negativi». Fateci caso: «Non lo abbiamo visto parlare con nessun poveraccio, salvo i suoi giri veloci e le sue pacche sulle spalle. Ha visitato a mala pena qualche fabbrica, della lunga vicenda della Alcoa non ha preso mai nota, ha fatto i suoi gesti di potere disprezzando Squinzi e i sindacati, ha visto Landini che è “nuovo” e cool ma non sembra avergli parlato a sufficienza da capire che lui e Landini vivono in luoghi diversi».Chi vuol prendere in giro, Renzi? «Parla tanto di quote rosa, ma non parla mai di aborto, di diritti, di bambini uccisi da madri a da padri in depressione. Non ha mai fatto una filippica sull’onestà collettiva, sulla evasione fiscale». In compenso, «abbiamo tante filippiche su gufi, invidiosi e specie altre». Il premier «non ha mai detto una parola sul disagio dei giovani, sul degrado che alcol droga e bassi affitti hanno scatenato questa estate sul nostro territorio nazionale, in compenso fa docce gelate, e prepara una mossa smart via l’altra, un permanente girotondo di discorsi, conferenze stampa, convegni – oggi sappiamo già della conferenza stampa di mercoledì e poi del convegno europeo di venerdì e poi della la visita all’Onu prima anticipata da quella – e dove altro? – alla Sylicon Valley». Ma soprattutto, «sembra non aver mai albergato nella sua testa l’idea che in un paese in gravissima crisi c’è bisogno di un qualche misura speciale. Forse di una idea di unità nazionale che non sia solo il suo patto con Berlusconi e Ncd a fini di raccattare i voti che gli servono». E’ storia: «Roosevelt fece i lavori pubblici, Marshall finanziò la ripresa europea, Mussolini risanò le paludi». E Renzi, che annunciava rivoluzioni epocali? «Ha qualche compito cui tutti noi possiamo concorrere, ha in mente una chiamata alla responsabilità di lavoratori e imprenditori, come in Germania ad esempio, o la ripresa viene automaticamente fuori dal suo inarrestabile presenzialismo?».E ancora: «Si è mai chiesto Renzi perché i suoi 80 euro non hanno funzionato? Dove li ha messi la gente che li ha ricevuti? Sotto il materasso? Ha saldato i debiti pregressi? Nemmeno con quei dieci milioni di italiani che ha concretamente e generosamente aiutato lo abbiamo mai visto parlare». E’ un premier che ci tiene a far sapere che ne infischia dei suoi critici, ma deve sapere che «le cambiali arrivano anche per lui». Alla fine di questa girandola, giunto «al dunque delle misure da decidere per il paese», i tanti suoi progetti «sono poi stati filtrati, messi in ordine e limitati da uomini più saggi e più vecchi di lui». Le sue ambizioni? Si sono scontrate con l’aritmetica del Tesoro, con Napolitano che non s’è prestato a «giochi di illusionismo politico», e soprattutto «con la figura imponente di Mario Draghi diventato ormai il real player politico anche per l’Italia, oltre che per l’Eurozona». Alla fine, spenti i fuochi artificiali, «il Renzi che esce da Palazzo Chigi e naviga nel mondo reale è nei fatti un premier tenuto continuamente a balia da altri», conclude la Annunziata. «Un premier decisamente messo al suo posto di ragazzino. E non solo dalla copertina dell’“Economist”».Renzi chi? Sicuri che sia adatto a governare, in questa Italia in crisi profonda da ormai sei anni? Se lo domanda Lucia Annunziata, direttrice dell’“Huffington Post”, dando per scontata «la risposta da parte delle artiglierie dei Renzi-fan, diventati oggi così radicali e insultanti da far sembrare i grillini dei perfetti gentiluomini». Come se il Capo avesse «un dogma di “infallibilità”, una narrativa che passa da trionfo a trionfo, una vulgata del genere “durerà venti anni”, il mantra “a lui non c’è alternativa” ripetuto da amici e ancor più da nemici», in una sorta di sindrome di Fukuyama, l’autore della “fine della storia”, «presto smentito dalla storia stessa». Fuochi d’artificio a parte, un leader «dura tanto quanto è efficace la sua azione di governo». Dove sono i risultati di Renzi? «Il più atteso dei suoi provvedimenti, lo Sblocca Italia», è stato unanimemente giudicato «inferiore alle esigenze della drammatica situazione del paese». E’ vero che il premier «è in sella da soli sei mesi», ma «non è giustificabile la inadeguatezza del metodo con cui il premier si sta confrontando con le reali condizioni del paese».
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Pritchard: via dall’euro, Italia salva. Renzi, che aspetti?
Eugenio Scalfari, fondatore di “Repubblica” e leader dell’establishment pro-euro, propone a Renzi di sacrificare l’Italia (cioè gli italiani) per salvare la moneta unica? Renzi non gli dia retta e faccia esattamente il contrario: salvi l’Italia e lasci affondare l’euro. Come? Tornando alla lira, e di corsa, scrive il prestigioso giornalista economico inglese Ambrose Evans-Pritchard. In fondo, osserva, Renzi era ancora minorenne all’epoca del “peccato originale”, lo sciagurato Trattato di Maastricht. Finora ha sbagliato tutto: in campagna elettorale ha promesso di contrastare l’austerity Ue, poi si è sottomesso a Bruxelles confidando nei suoi cattivi consiglieri, che parlavano di ripresa imminente. Ora ci siamo: l’Italia sta crollando e il debito pubblico rischia di arrivare al 150% del Pil, con l’incubo di tagli miliardari in autunno o, peggio, il commissariamento della Troika. Renzi, dice Pritchard, è ancora in tempo: può salvare l’Italia, uscendo dall’euro. Possibile: perché i conti dell’Italia – quelli veri – sono meno peggio di quelli di tanti altri paesi, inclusi Francia, Gran Bretagna, Giappone, Olanda e Stati Uniti.«E’ un fatto incontrovertibile – scrive Pritchard sul “Telegraph”, in un articolo ripreso da “Come Don Chisciotte” – che il disastro che dura da 14 anni in Italia coincide con l’adesione all’Uem», l’unione monetaria europea. «L’Italia è in depressione da quasi sei anni». Un crollo «costellato da false riprese, sopraffatte ogni volta dai dilettanti monetari responsabili della politica Uem». L’ultima “ripresa” è svanita dopo un solo trimestre, e l’economia è di nuovo in recessione tecnica: la produzione crollata del 9,1% dal suo picco, «indietro a livelli di 14 anni fa», l’industria italiana «scesa a livelli del 1980». Incredibile: «Ci vogliono errori di politica economica madornali per realizzare un tale risultato, in una economia moderna». Basti pensare che l’Italia non aveva subito niente di simile neppure durante la Grande Depressione, «facendo segnare una crescita del 16% tra il 1929 e il 1939». Nemmeno Mussolini, aggiunge Pritchard, era così maniacale da perseguire i suoi deliri sul “gold standard”. Le autorità italiane che oggi intravvedono segnali di ripresa? Sono «come le guardie della fortezza nel “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati», ingannate «dalle illusioni ottiche dell’orizzonte senza vita».Bollettino della catastrofe: i prestiti bancari alle imprese sono ancora in calo, “Moody’s” dice che quest’anno l’economia si contrarrà dello 0,1%, “Société Génerale” dello 0,2 Il crollo del settore immobiliare non ha ancora toccato il fondo: se l’anno scorso per vendere una casa occorreva attendere in media 8,8 mesi, ora l’attesa è salita a 9,4 mesi. Precipita l’indice del peggioramento delle condizioni di mercato: in soli tre mesi è passato da 19,6 a 34,7%. «Non possiamo andare avanti più a lungo», protesta la filiale di Taranto di Confindustria, in una lettera aperta al presidente della Repubblica in cui segnala che la Puglia sta diventando un «deserto industriale», con le piccole imprese sull’orlo della chiusura e dei licenziamenti di massa. «Il mix letale di contrazione economica e inflazione zero sta portando la traiettoria del debito in Italia a crescere in maniera esponenziale, nonostante l’austerità e un avanzo primario del 2% del Pil», aggiunge Pritchard. Nel primo trimestre 2014 il debito è salito al 135,6%, dal 130,2% dell’anno prima. E si può arrivare al 140% entro fine anno, «in acque inesplorate per un paese che in realtà si indebita in D-Marks».«Nessuno sa quando i mercati reagiranno», dicono i banchieri italiani. La recessione, intanto, sta erodendo le entrate fiscali così gravemente che Renzi «dovrà venirsene fuori con nuovi tagli, dai 20 ai 25 miliardi di euro, per soddisfare gli obiettivi di disavanzo dell’Ue, perpetuando il circolo vizioso». Il compito, dice Pritchard, è senza speranza, come confermano tutti gli studi. Secondo il think-tank “Bruegel”, l’Italia dovrebbe realizzare un avanzo primario del 5% del Pil per stabilizzare il debito con un’inflazione al 2%. Avanzo che salirebbe al 7,8% a inflazione zero. «Qualsiasi tentativo di raggiungere questo obiettivo porterebbe ad una implosione autodistruttiva dell’economia italiana», avverte Pritchard. Ashoka Mody, già alto funzionario del Fmi in Europa, dice che è impossibile realizzare avanzi primari così abnormi, cioè tagli spaventosi alla spesa pubblica. E consiglia alle autorità italiane di «cominciare a consultare dei bravi avvocati, per garantire una ristrutturazione ordinata del debito sovrano». Avverte: «Non deve essere un cataclisma, ci sono modi di dilazionare gli obblighi di pagamento nel corso del tempo. Ma non c’è nessuna ragione di attendere fino a che il rapporto giunga al 150% del Pil. Dovrebbero andare avanti in questo senso da subito».Tutt’altra musica quella che suona Eugenio Scalfari, secondo cui l’Italia dovrebbe «mettersi sotto il controllo della Troika», cioè del boia. «Scalfari sembra pensare che la democrazia in Italia dovrebbe essere sospesa per salvare l’euro – replica Pritchard – e che il paese dovrebbe raddoppiare le politiche di terra bruciata, imbarcandosi in uno sforzo ancora più draconiano per recuperare competitività attraverso un svalutazione interna», cioè tagliando i salari e il welfare. Renzi di rifletta, insiste Pritchard: pensi a salvare gli italiani, non l’euro. Sono 14 anni che il paese è in sofferenza, ovvero da quando è nell’Eurozona, che «ha messo in moto una dinamica molto distruttiva per le particolari condizioni dell’Italia». Ed è altrettanto chiaro che ora l’Uem «impedisce al paese di uscire dalla trappola». Ci dimentichiamo, aggiunge Pritchard, che l’Italia registrava abitualmente un surplus commerciale nei confronti della Germania, prima dell’euro: «Le industrie italiane del nord erano viste come concorrenti formidabili, quando la lira era debole». Antonio Guglielmi, di Mediobanca, dice che l’Italia “teneva” benissimo, prima di agganciare la lira al marco nel 1996. Solo allora è entrata in una «spirale negativa della produttività».In un rapporto che è una condanna, Guglielmi mostra come negli ultimi 40 anni la crescita della produttività e della competitività in Italia abbia vacillato ogni volta che la valuta nazionale è stata agganciata a quella tedesca, mentre si è ripresa dopo ogni svalutazione. Ennesima conferma dell’avvertimento lanciato da storici e antropologi: economie profondamente differenti non avrebbero mai potuto convergere felicemente nell’Eurozona. E ora siamo arrivati al capolinea: «L’Italia è sopravvalutata del 30% rispetto alla Germania e non può recuperare attraverso la deflazione, in quanto la stessa Germania è vicina alla deflazione». Le élite dellìunità monetaria, aggiunge Pritchard, esortano l’Italia a “fare le riforme”, «un termine che viene buttato là liberamente». Tutte storie: «Le metriche del mercato del lavoro per la Germania e l’Italia non sembrano così diverse», precisa Modi, già direttore del Fmi a Berlino. «Non è più facile assumere e licenziare in Germania». Il problema, semmai, è la mancanza in investimento in capitale umano, denuncia il professor Giuseppe Ragusa, della Luiss “Guido Carli” di Roma: «Ciò che veramente colpisce è quanto siamo indietro nell’istruzione».I dati dell’Ocse mostrano che l’Italia spende solo il 4,7% del Pil per l’istruzione, rispetto al 6.3% di tutta l’Ocse. La quota di giovani che hanno completato gli studi superiori è del 21%, rispetto ad una media del 39%. Gli insegnanti sono pagati una miseria. «Questo è davvero un grosso problema strutturale, ma non può essere risolto dalle “riforme”, figuriamoci dall’austerità». Ciò di cui l’Italia ha davvero bisogno, dice Pritchard, è di «un New Deal, un massiccio investimento in infrastrutture e competenze, sostenuto da uno stimolo monetario per sollevare il paese dalla sua soffocante tristezza cosmica». Renzi? «Deve ormai aver capito che questo non può essere fatto sotto l’attuale regime dell’Uem». Improvvisamente, il premier italiano «si ritrova nella stessa situazione terribile di François Hollande in Francia: etrambi si ritrovano con il cappio al collo». La differenza «è che Hollande è oltre ogni possibilità di salvarsi», perché «il regime depressivo dell’Uem ha distrutto la sua presidenza». “Le Figaro” sta pubblicando una fiction estiva in cui si esplora la possibilità di dimissioni anticipate. Renzi invece «non ha ancora bruciato il suo capitale politico, ed è un giocatore d’azzardo per natura», scrive Pritchard.Attenzione: «Non c’è più alcuna possibilità che Italia e Francia conducano una rivolta dei paesi latini, mettendo insieme una maggioranza in seno al Consiglio Europeo e alla Banca Centrale per imporre una strategia di rilancio a livello dell’Uem che cambi completamente il panorama economico». Con l’adesione alla Germania a tutti i costi, «la forza politica di Hollande è bruciata». E gli spagnoli pensano – sbagliando – di essere fuori dal guado, e di non avere bisogno di un “patto del Sud” con Italia e Francia. Così, «Renzi è solo». E si trova davanti una Bce «che ha sostanzialmente violato il suo contratto con l’Italia, lasciando cadere l’inflazione a 0,4% sapendo che questo avrebbe fatto andare in metastasi la crisi italiana». Poi c’è Juncker, a capo di una Commissione «che promette di attuare le stesse disastrose politiche economiche che si sono già dimostrate rovinose». In altre parole, «non vi è alcuno spazio di negoziazione», perché le istituzioni di Bruxelles non ammettono le loro responsabili nella catastrofe: «Sostenendo solo la volontà dei creditori, hanno messo a terra l’unione monetaria: non hanno più alcuna legittimità».«L’Italia deve badare a se stessa», conclude Pritchard. «Si può riprendere solo se si libera dalla trappola Uem, riprende il controllo dei suoi strumenti di politica economica e ridenomina i suoi debiti in lire, con controlli dei capitali fino a quando le acque si calmano». Missione tutt’altro che impossibile, precisa l’economista inglese: «L’Italia non si troverebbe ad affrontare una crisi immediata di finanziamento, dal momento che ha un avanzo primario di bilancio». La sua posizione patrimoniale netta sull’estero, inoltre, è al -32% del Pil, a fronte di un -92% della Spagna e -100% del Portogallo. «Il paese non soffre di eccesso di debito da un punto di vista fondamentale», dal momento che il debito ipotecario è molto basso, e che il debito aggregato (pubblico e privato) è circa il 270% del Pil, cioè «molto inferiore a quello di Francia, Gran Bretagna, Spagna, Giappone, Stati Uniti, Svezia e Paesi Bassi».Non c’è un modo “facile” di uscire dall’euro, perché «le strutture a incastro dell’unione monetaria sono andate ben oltre un aggancio di cambio fisso», e inoltre «gli interessi costituiti», quelli che hanno trasformato l’Eurozona in una sorta di lager economico cronicamente depresso, «sono potenti e spietati». Eppure non è impossibile, insiste Pritchard, secondo cui «la faccenda sicuramente precipiterà quando la traiettoria del debito italiano entrerà nella zona di pericolo». A quel punto, tutto sarà chiaro: restare nell’euro sarà il suicidio, uscirne sarà obbligatorio. Di fronte a una crisi molto forte, in autunno, «potrebbe non essere così evidente che il paese vuole essere salvato alle condizioni europee». Quindi, «Renzi può giustamente concludere che l’unico modo possibile per adempiere al suo compito», il famoso “Rinascimento” per l’Italia, «è quello di scommettere tutto sulla lira».Eugenio Scalfari, fondatore di “Repubblica” e leader dell’establishment pro-euro, propone a Renzi di sacrificare l’Italia (cioè gli italiani) per salvare la moneta unica? Il premier non gli dia retta e faccia esattamente il contrario: salvi l’Italia e lasci affondare l’euro. Come? Tornando alla lira, e di corsa, scrive il prestigioso giornalista economico inglese Ambrose Evans-Pritchard. In fondo, osserva, Renzi era ancora minorenne all’epoca del “peccato originale”, lo sciagurato Trattato di Maastricht. Finora ha sbagliato tutto: prima ha promesso di contrastare l’austerity Ue, poi si è sottomesso a Bruxelles confidando nei suoi cattivi consiglieri, che parlavano di ripresa imminente. Ora ci siamo: l’Italia sta crollando e il debito pubblico rischia di arrivare al 150% del Pil, con l’incubo di tagli miliardari in autunno o, peggio, l’arrivo della Troika. Renzi, dice Pritchard, è ancora in tempo: può salvare l’Italia, uscendo dall’euro. Possibile: perché i conti dell’Italia – quelli veri – sono meno peggio di quelli di tanti altri paesi, inclusi Francia, Gran Bretagna, Giappone, Olanda e Stati Uniti.
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Meno democrazia: Renzi, il tecno-populista dell’élite
L’Italia, paese di populisti e di populismi. Ne ha conosciuti ben tre (e mezzo), negli ultimi vent’anni, un record mondiale. Populismo: che è concetto classico della politica e della sociologia ma che tuttavia è un processo culturale prima che politico. E oggi economico prima che culturale e politico, nel senso che è appunto l’economia capitalista ad essere oggi un processo culturale prima che economico, producendo – prima delle merci e del denaro – le mappe concettuali, cognitive, relazionali, affettive necessarie per la navigazione nel mercato; trasformando quello che era il cittadino dell’illuminismo in lavoratore, merce, capitale umano – ovvero in mero homo oeconomicus. Tre populismi interi: Berlusconi, Grillo e Renzi. E il mezzo populismo della Lega. Tre padri politici invocati dal popolo perché lo sorreggano, lo portino da qualche parte, gli dicano cosa deve fare, perché questo stesso popolo si ritiene incapace (o non più desideroso) di assumersi la responsabilità di essere sovrano di se stesso.Effetto culturale, questo, dell’antipolitica capitalista, che per essere sovrano assoluto e culturalmente monopolista deve rimuovere ogni sovrano concorrente. Berlusconi: il populista che prometteva la modernizzazione neoliberale del paese. In realtà, un populismo del cambiare tutto per non cambiare nulla (soprattutto i suoi interessi personali e aziendali).Un populismo aziendalista, con la figura del padre/leader sostituita da quella dell’imprenditore che si è fatto da solo (o quasi), perfetta nell’esprimere il modello culturale che tutti dovevano apprendere: l’edonismo, il godimento immediato, la deresponsabilizzazione egoistica ed egotistica. Per legittimare – questa l’azione appunto culturale, pedagogica prima che economica – le retoriche neoliberiste dell’essere imprenditori di se stessi e della competizione come unica forma di vita.Bossi e la Lega: il mezzo populismo (non solo perché limitato a una parte del territorio), apparentemente il più classico dei populismi con il richiamo alla tradizione, ai simboli di terra e di sangue. All’essere padroni a casa nostra: da intendere però non come sovrani sulla nostra terra ma come padroni nel senso antico del capitalismo. Populismo da piccola impresa, da capitalismo molecolare come versione localistica dell’ordoliberalismo tedesco e della sua pedagogia per imporre il modello impresa all’intera società. Grillo: il populista contestatore, il teorico del net-populismo come forma perfetta della democrazia. Grillo come l’uomo del cambiamento ma incapace di cambiare (dice solo no) e forse populista anche di se stesso. E Matteo Renzi. Un populismo di tipo nuovo ma evoluzione dei precedenti. Perché anch’egli cerca il rapporto diretto con il popolo e lo invoca come propria totalizzante legittimazione. Perché aspira ad essere insieme Partito di Renzi e Partito della Nazione. Un partito-non-partito, tuttavia, ormai anch’esso trasversale – e quasi un non-luogo nel senso di Marc Augé: come un aeroporto, un supermercato, un luogo di consumo di politica.Un populismo che invoca il popolo contro le caste e il sindacato, salvando invece le oligarchie che lo sostengono come un sol uomo; che ha grandi mass-media schierati dalla sua parte e che gli consentono ciò che mai avrebbero consentito a Berlusconi; un populismo fideistico e teologico-politico (noi contro loro, noi il tutto che non accetta il due e il tre e il molteplice e gli eretici; noi il nuovo, gli altri il vecchio). Un populismo che vuole rottamare appunto il vecchio, ma che non rottama, non corregge (una volta si chiamava autocritica, ma il nuovo che avanza travolge anche la memoria) i molti errori del passato: il sì all’austerità, all’articolo 81 della Costituzione sul pareggio di bilancio. Un populismo finalizzato alla modernizzazione dell’Italia – e ogni populismo è stato, storicamente, anche una via per la modernizzazione, facendo accettare al popolo, in nome del popolo, quelle trasformazioni che altrimenti non sarebbero state possibili per trasformare un paese e quel popolo. Per questo, quello di Renzi è un populismo tecnocratico: che produce quella modernizzazione neoliberista che Berlusconi non è riuscito a produrre e Grillo fatica a poter produrre.Un populismo nel nome della tecnocrazia, che la tecnocrazia ama; un populismo che trasforma (forse questa volta per davvero) il potere politico nel senso richiesto dalla tecnocrazia: meno democrazia (la riforma del Senato, le proposte di nuova legge elettorale); meno diritti sociali e quindi politici (diventati un costo); più decisionismo; meno partecipazione e più adattamento alla realtà immodificabile del mercato; meno cittadinanza attiva e più accettazione della ineluttabilità del reale. Perché le sue pratiche politiche – al di là delle apparenze e delle discussioni con Angela Merkel e di alcuni interventi comunque virtuosi – sono tutte dentro alla cultura della modernizzazione richiesta dall’ideologia neoliberista (flessibilità del lavoro, privatizzazioni, un nuovo modo di essere imprenditori di se stessi, riduzione ulteriore dello stato sociale, crescita invece di sviluppo, competizione invece di solidarietà); e la flessibilità sul Fiscal Compact (invece della sua abolizione, per evidente irrazionalità e surrealtà economica), pure invocata, è un pannicello caldo rispetto al nuovo new deal che sarebbe invece necessario (e urgente).Un populismo futurista, inoltre: nel nome della velocità, delle macchine, delle parole in libertà, dell’azione per l’azione. Il populismo di Renzi è dunque più di un classico neopopulismo, che ha dominato la scena per trent’anni coniugando populismo e neoliberismo, mercato e popolo, modernizzazione e impoverimento e disuguaglianze. E’ un neopopulismo tecnocratico – per altro discendenza diretta di quello neoliberista – che scardina ancor più di quello neoliberista le forme e le pratiche della democrazia; riduce a niente la società e la società civile; attacca il sindacato o lo rende inutile (in coerenza con le tecnocrazie globali); che spettacolarizza se stesso proponendosi come outsider, come rottura, come alternativa, in realtà portandoci nella società dello spettacolo della tecnocrazia. Una tecnocrazia che non si espone più direttamente con i noiosi e antipatici tecnici, ma con la fantasia e l’estro di un populismo mediatico e spettacolare, moderno e postmoderno insieme, dove twittare è più importante che ascoltare.(Lelio Demichelis, “Il populismo tecnocratico del rottamatore”, da “Sbilanciamoci” del 4 luglio 2014).L’Italia, paese di populisti e di populismi. Ne ha conosciuti ben tre (e mezzo), negli ultimi vent’anni, un record mondiale. Populismo: che è concetto classico della politica e della sociologia ma che tuttavia è un processo culturale prima che politico. E oggi economico prima che culturale e politico, nel senso che è appunto l’economia capitalista ad essere oggi un processo culturale prima che economico, producendo – prima delle merci e del denaro – le mappe concettuali, cognitive, relazionali, affettive necessarie per la navigazione nel mercato; trasformando quello che era il cittadino dell’illuminismo in lavoratore, merce, capitale umano – ovvero in mero homo oeconomicus. Tre populismi interi: Berlusconi, Grillo e Renzi. E il mezzo populismo della Lega. Tre padri politici invocati dal popolo perché lo sorreggano, lo portino da qualche parte, gli dicano cosa deve fare, perché questo stesso popolo si ritiene incapace (o non più desideroso) di assumersi la responsabilità di essere sovrano di se stesso.
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Temo una rivolta, perché guadagno mille volte più di voi
«Probabilmente non mi conoscete, ma come voi sono uno degli 0,1%, un fiero capitalista. Ho fondato, co-fondato e finanziato più di 30 società di ogni genere, da cose piccole come il night club con cui ho cominciato a vent’anni, a giganti come Amazon.com di cui sono stato il primo investitore esterno. Poi ho fondato aQuantitative, una società di pubblicità su Internet che nel 2007 è stata venduta a Microsoft per 6,4 miliardi di dollari. In contanti. Insieme ad amici possediamo una nostra banca. Racconto tutto questo per dimostrarvi che per molti versi non sono molto diverso da voi. Come voi ho una visione ampia degli affari e del capitalismo. E come voi sono stato oscenamente ricompensato per il mio successo, con una vita che gli altri 99,9% di americani non possono nemmeno immaginare. Molteplici case, aereo personale, ecc». Comincia così una sorprendente lettera aperta, pubblicata qualche giorno fa dal sofisticato “Politico.com” e rilanciata da siti di economia & politica come “Business Insider” e “Zero Hedge”, ogni volta con un gran numero di lettori e apprezzamenti.Una lettera che è anche una analisi/denuncia del livello estremo raggiunto dalla disuguaglianza nell’odierno capitalismo. E un avviso: così non può continuare. Arriveranno i forconi, contro di noi. Nick Hanauer, 55 anni, nonni immigrati dalla Germania di Hitler, è un classico uomo d’affari americano, uno che si è fatto da sé. Americano anche nel piglio con cui si esprime. «Nel 1992 a Seattle vendevo cuscini fabbricati dall’impresa della mia famiglia a negozi in giro per il paese e Internet era una goffa novità alla quale ci si collegava a 300 baud. Ma già allora mi sono accorto abbastanza rapidamente che molti grandi magazzini miei clienti erano condannati. Ho capito che non appena Internet fosse diventata abbastanza veloce e affidabile – e quel tempo non era così lontano – tutti si sarebbero buttati a comprare on line come pazzi. Realizzare questo, vedere oltre l’orizzonte un po’ più in fretta di tanti altri, è stata la parte strategica del mio successo. La parte fortunata è stata invece l’avere un paio di amici, entrambi di grande talento, anche loro intrigati dalle potenzialità della rete. Uno è un tizio di cui non avrete certo sentito parlare, Jeff Tauber, l’altro era Jeff Bezos (il fondatore di Amazon ndr). Ero così eccitato dal potenziale del web che ho detto ai due Jeff che volevo investire in qualsiasi cosa avessero deciso di lanciare».«Il secondo Jeff – Bezos – mi chiamò per primo, e lo aiutai a sottoscrivere la sua piccola libreria start up. L’altro Jeff partì con un negozio on line chiamato Cybershop, ma quando la fiducia nelle vendite via Internet era ancora bassa; era troppo presto per la sua idea, la gente non era ancora pronta ad acquistare on line cose costose senza vederle di persona (a differenza di oggetti semplici come i libri, la cui qualità non cambia – questa è stata la carta vincente di Bezos). Cybershop non è andato lontano, è stato uno dei tanti fallimenti di imprese dot-com. Amazon è andato meglio. E io ora possiedo un maxi-yacht. Ma lasciatemi essere franco. Non sono la persona più intelligente che avete conosciuto, o quello capace di lavorare più sodo. Ero uno studente mediocre, non sono un tecnico – non so ho mai saputo scrivere una riga di software. Quel che mi è servito, credo, è una certa propensione al rischio e un’intuizione su quel che accadrà in futuro. Intuire dove le cose stanno andando è l’essenza dell’imprenditorialità. E cosa vedo oggi nel nostro futuro? Vedo dei forconi».«Mentre persone come voi e me prosperano oltre i sogni di ogni plutocrate nella storia, il resto del paese – il 99,9% – resta molto indietro e arretra. Il divario fra quelli che hanno e quelli che non hanno peggiora sempre di più. Nel 1980 l’1% in cima alla piramide controllava l’8% del reddito nazionale degli Stati Uniti. Il 50% più in basso si divideva il 18% delle ricchezze. Oggi l’1% più ricco si divide il 20%, e il 50% della popolazione solo il 12%. Ma il problema non è la disuguaglianza in sé, qualche misura è intrinseca a ogni economia capitalista che funzioni. Il problema è che la disuguaglianza è a livelli storicamente mai visti e peggiora di giorno in giorno. Il nostro paese sta diventando una società sempre meno capitalista e sempre più una società feudale. A meno che le nostre politiche non cambino drammaticamente, la classe media scomparirà, e torneremo indietro alla Francia del 18° secolo. Prima della Rivoluzione. Così ho un messaggio per i miei colleghi oscenamente ricchi, per tutti coloro che vivono nelle bolle dei nostri mondi circondati da cancellate: svegliatevi, gente. Non durerà. Se non si fa qualcosa per sanare le clamorose diseguaglianze in questa economia, i forconi ci saranno addosso».«Nessuna società può tollerare una tale disparità. Non ci sono esempi nella storia in cui si sia verificata una tale accumulazione di ricchezza e i forconi non siano arrivati. Dove c’è una società altamente disuguale o c’è uno Stato di polizia, o un’insurrezione. Non ci sono altre possibilità. Il punto non è se, ma quando. Molti di voi pensano che siamo speciali perché “questa è l’America”, pensiamo di essere immuni alla forze che hanno dato vita alla Primavera Araba o alle Rivoluzioni in Francia e in Russia. Molti fra i colleghi dello 0,1% sfuggono questo argomento, molti mi prendono per matto, altri vedono un ragazzino povero con un iPhone e pensano che l’ineguaglianza sia una finzione. Vivete nel mondo dei sogni, vi dico. Volete credere che se ci sarà qualche segnale di destabilizzazione, ci sarà tempo per reagire e organizzarsi. Ma non funziona così, come sa qualsiasi studente di storia. Le rivoluzioni, come le bancarotte, si manifestano per gradi e poi precipitano di colpo. Un giorno uno si dà fuoco e improvvisamente la gente è in strada, prima che ci si renda conto il paese brucia. E non c’è tempo per salire sul nostro Gulfstream e scappare in Nuova Zelanda. Succede così. E se l’ineguaglianza peggiorerà, succederà».Sembrano le parole dei ragazzi di “Occupy Wall Street”, movimento che pare scomparso nel nulla. Ma il nostro capitalista niente affatto pentito non parla così per paura quanto per interesse. Del paese, della società, ma anche degli stessi ultraricchi dello 0,1%, a quanto cerca di dimostrare nell’analisi che segue. La cui tesi si può riassumere nel titolo dato al post da “Business Insider” (foto di persone in fila negli anni ’30 della Grande Depressione): “Spiacenti, gente, ma i ricchi non creano occupazione”. Hanauer se la prende con il punto di vista “ortodosso” dell’economia politica, e ne smonta alcuni presupposti di fondo: «Sono i ricchi che creano occupazione? Falso. E’ come dire che il seme crea l’albero: magari ne è il presupposto, ma provate a piantare un seme su Marte o nel Sahara. Senza terra buona, acqua, nutrienti non spunterà nulla e il seme morirà. La retorica per cui l’America è grande per via di uomini come me e Steve Jobs è finzione. Se entrambi fossimo nati in Somalia o in Congo saremmo rimasti a vendere frutta all’angolo della strada».L’economia non è un’astrazione, ma un ecosistema complesso di persone reali fra loro interdipendenti. Se i lavoratori hanno più denaro, le imprese hanno più clienti e hanno bisogno di più impiegati. A creare posti di lavoro in ultima istanza sono i clienti, i consumatori, vale a dire la classe media. Non sono i ricchi, come vuole uno dei luoghi comuni dell’economia ortodossa, non sono gli imprenditori, che pure sono una parte importante del processo. La classe media è stata la causa, non la conseguenza, della prosperità goduta nel passato dagli Usa. Alzare il salario minimo costa posti di lavoro, per la legge della domanda e dell’offerta? Falso. Lo aveva ben capito Henry Ford che nel 1914 raddoppiò la paga ai suoi operai (a 5 dollari al giorno, equivalenti a 120 di oggi) affinché potessero permettersi di comprare le auto che producevano. Lo ha capito la città di Seattle, che ha alzato per legge il salario minimo a 15 dollari l’ora da 9 – che era già il 30% in più della media Usa. Risultato: Seattle è con San Francisco la città col tasso di occupazione più alto negli Usa, ed è in assoluto la città che cresce di più.Il problema con la nostra economia – chiosa “Business Insider” – è che quella che una volta era la nostra potente classe media è stata lasciata impoverire da decenni di tagli ai costi e salari stagnanti, e oggi porta a casa una quota molto minore di 30 anni fa, mentre gente come Hanauer e i suoi amici dell’1% si accaparravano fette sempre maggiori di ricchezza, anche dopo la crisi del 2008. Dal 2009 al 2012 il 95% dei guadagni è andato all’1% mentre il 99% è rimasto al palo. Negli ultimi tre decenni i compensi per i Ceo (amministratori delegati, direttori generali, alti dirigenti) sono cresciuti 127 volte più rapidamente di quelli di altre categorie. Dal 1950 il rapporto tra la paga di un Ceo e quella di un lavoratore è aumentato del 1.000%: i Ceo guadagnavano 30 volte il salario medio, oggi il loro stipendio vale 500 volte il secondo. E nessuno ha eliminato i propri alti dirigenti senior, li ha esternalizzati in Cina o ha automatizzato il loro lavoro. Al contrario, ce ne sono molti più di prima.Intanto la classe media veniva falcidiata da politiche fiscali favorevoli all’1%, dalla globalizzazione e da miglioramenti tecnologici senza controlli. Ma veniva strozzata anche dalla nostra ossessione per il profitto a breve termine, dall’ethos prevalente nel mondo degli affari per cui gli impiegati sono visti come “un costo” e le società tengono i loro salari più bassi possibile. E’ un bene per l’economia che i ricchi siano sempre più ricchi? Falso. Il punto è che la classe media spende quasi tutto quello che guadagna, e questa spesa diventa ricavo per società avviate, finanziate o possedute da persone come Hanauer. Ma oggi, con i salari bassi come mai grazie all’avidità e alle corte vedute dell’1%, la classe media non è più in grado di farlo, e ciò si ritorce contro l’economia reale e gli stessi imprenditori. In America infatti i più ricchi – imprenditori, investitori e società – oggi hanno così tanto denaro da non riuscire a spenderlo. Così, invece di ri-pomparlo nell’economia creando guadagni e salari, quel denaro resta in conti di investimento.«Io guadagno all’anno 1.000 volte l’americano medio, ma non compro mille volte più roba. La mia famiglia negli ultimi anni ha comprato tre automobili, non 3.000. Io ho acquistato qualche paio di pantaloni e qualche camicia all’anno, come molti altri americani. Ho comprato due paia dei migliori pantaloni di lana, quelli che il mio partner Mike chiama “pantaloni da manager”. Ma non avrei potuto acquistarne 1.000. Invece ho messo via il mio denaro extra là dove non fa molto bene al paese». Se i 9 milioni di dollari di Hanauer in più dei 10 milioni di guadagni annuali fossero andati a 9.000 famiglie invece che a lui, sarebbero stati pompati di nuovo nell’economia attraverso il consumo. E avrebbero creato più occupazione. Invece stanno nei conti bancari di Hanauer o investiti in società che non hanno abbastanza clienti potenziali a cui vendere. Hanauer stima che se la maggior parte delle famiglie americane portasse a casa la stessa quota di reddito nazionale di 30 anni fa, ogni famiglia avrebbe altri 10.000 dollari di reddito da spendere.Con famiglie più ricche, lo Stato potrebbe davvero diventare più snello, risparmiando su assistenza pubblica, cure mediche gratuite, buoni pasto (oggi fruiti da 44 milioni di cittadini). E anche i più ricchi se ne gioverebbero. Il messaggio finale: «Cari 1%, molti dei nostri compatrioti cominciano a credere che il problema sia il capitalismo in sé. Non sono d’accordo, e credo non lo siate neppure voi. Ma il capitalismo lasciato senza controlli tende alla concentrazione e al collasso. Ecco perché gli investimenti nella classe media funzionano, e i tagli delle tasse ai ricchi invece no. Bilanciare il potere dei lavoratori con quello dei miliardari alzando il salario minimo non è male per il capitalismo, è uno strumento indispensabile per rendere il capitalismo stabile e sostenibile», conclude Hanauer (all’inizio invero esortava a prendere esempio dalle riforme di Franklyn Delano Roosevelt, un po’ più ampie di così). «O possiamo star seduti, non fare nulla e goderci i nostri yacht. Aspettando i forconi».L’analisi di Hanauer riguarda anche l’Italia? Sì, per tre motivi. Perché le disuguaglianze ci sono anche da noi, sia pure meno accentuate che negli Usa; perché le tendenze in America si riflettono altrove, a cominciare dall’Europa; perché, al di là delle riforme indispensabili al nostro paese fermo da decenni, l’economia italiana fa parte del sistema economico globale. Un sistema che fra debiti enormi e disoccupazione vertiginosa non sta affatto bene, come oggi ricorda la Banca dei Regolamenti Internazionali, mentre un rapporto della Banca Mondiale invita esplicitamente a prepararsi per la prossima crisi. Hanauer parla sicuramente nell’interesse dell’economia reale, dei cittadini e delle imprese piccole e medie. Ma alle banche e alle grandi corporations i luoghi comuni dell’ortodossia vanno benissimo. Finanza e multinazionali, compresi i costruttori di armamenti, i colossi dell’high-tech, i giganti della farmaceutica o del web hanno clienti globali, si tratti dell’1% del pianeta (dove addirittura 85 iper-ricchi – non 8.500, né 850, proprio 85 – detengono tanta ricchezza quanta ne possiede la metà della popolazione della Terra) o della classe media che a livello planetario comunque emerge fra varie contraddizioni. E multinazionali e banche & finanza hanno anche le lobby più potenti capaci di “convincere” i politici a fare leggi e norme a loro più favorevoli. Non resta che attendere i forconi, allora, o aspettare la prossima crisi?(Maria Grazia Bruzzone, “Svegliatevi plutocrati, i forconi ci saranno addosso”, da “La Stampa” del 4 luglio 2014).«Probabilmente non mi conoscete, ma come voi sono uno degli 0,1%, un fiero capitalista. Ho fondato, co-fondato e finanziato più di 30 società di ogni genere, da cose piccole come il night club con cui ho cominciato a vent’anni, a giganti come Amazon.com di cui sono stato il primo investitore esterno. Poi ho fondato aQuantitative, una società di pubblicità su Internet che nel 2007 è stata venduta a Microsoft per 6,4 miliardi di dollari. In contanti. Insieme ad amici possediamo una nostra banca. Racconto tutto questo per dimostrarvi che per molti versi non sono molto diverso da voi. Come voi ho una visione ampia degli affari e del capitalismo. E come voi sono stato oscenamente ricompensato per il mio successo, con una vita che gli altri 99,9% di americani non possono nemmeno immaginare. Molteplici case, aereo personale, ecc». Comincia così una sorprendente lettera aperta, pubblicata qualche giorno fa dal sofisticato “Politico.com” e rilanciata da siti di economia & politica come “Business Insider” e “Zero Hedge”, ogni volta con un gran numero di lettori e apprezzamenti.
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Pritchard: così l’euro-sinistra ha svenduto i popoli all’élite
«Per un terribile rovescio del destino, la politica della sinistra europea sostiene la politica economica più reazionaria: i grandi partiti socialisti europei del dopoguerra sono rimasti intrappolati nella dinamica corrosiva dell’unione monetaria, apologeti della disoccupazione di massa e di un regime deflazionistico stile anni ‘30 che, sottilmente, favorisce gli interessi delle élite». In poche righe, Ambrose Evans-Pritchard fotografa la tragedia europea: i partiti che “inventarono” il sistema di welfare migliore del mondo sono oggi i migliori interpreti del rigore escogitato per demolire proprio quel welfare, il frutto migliore che la sinistra europea sia stata capace di creare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Fino a cancellare la stessa idea di Europa come patria comune, traguardo civile di convivenza. E’ stato il centrosinistra europeo a far ingoiare l’amara medicina dell’oligarchia finanziaria, abusando della fiducia storicamente ottenuta dalle fasce popolari e dall’elettorato progressista.«Uno dopo l’altro, la stanno pagando tutti», scrive Pritchard sul “Telegraph”, in un’analisi ripresa da “Come Don Chisciotte”. Primo esempio, i Paesi Bassi: «Il partito laburista olandese che diede vita al “Polder Model” e amministrò l’Olanda per mezzo secolo ha perso i suoi bastioni a Amsterdam, Rotterdam e Utrecht, i suoi sostenitori sono scesi al 10% per aver timidamente approvato le politiche di austerità che hanno portato alla deflazione e ad un abbattimento del valore immobiliare tanto da arrivare a ipoteche sul 25% di patrimoni netti negativi». Le politiche recessive «sono velenose per i paesi che già hanno problemi». L’indebitamento delle famiglie olandesi è passato dal 230% al 250% del reddito disponibile dal 2008 a oggi, mentre il debito dei britannici (che si sono tenuti la sterlina) è sceso da 151% al 133% nello stesso periodo. E’ tutta colpa del rigore imposto da Bruxelles, ma il partito laburista olandese «non può fare nessuna critica coerente, perché il suo orientamento pro-Ue lo costringe quasi al silenzio».«Il Partito Socialista non ha mai creduto nell’euro e non ci crediamo nemmeno adesso: dobbiamo quindi smettere di chiedere sempre più sacrifici per mantenerlo», ha detto Dennis de Jong, il leader del partito a Strasburgo che si appella a un “Piano B” per smantellare l’unione monetaria in modo ordinato». In Grecia, il socialista Pasok che ha guidato il paese verso la democrazia dopo la dittatura dei “colonnelli”, è sceso al 5,5%: un guscio svuotato da Syriza, che ora con il 25% di voti promette di strappare Atene dalle grinfie della Troika Ue. «Il Pasok si è meritato il suo annientamento», scrive il notista del “Telepgraph”: «Ha cospirato nel colpo di stato fatto nel retrobottega a novembre 2011, ancora una volta accettando le richieste dell’Ue per rovesciare il proprio primo ministro e per annullare il referendum della Grecia sul bail-out. Rinunciò, allora, ad una prova di forza catartica e necessaria con Bruxelles, per la troppa paura di rischiare l’espulsione dall’euro. Questo referendum si farà adesso: Tsipras ha trasformato le elezioni europee di questa settimana in un verdetto sulla servitù del debito».Se si può capire la paura della sinistra nei paesi periferici, aggiunge Evans-Pritchard, «il mistero è il motivo per cui un presidente socialista francese, con una maggioranza parlamentare, debba subire passivamente le politiche che stanno fiaccando la linfa vitale dell’economia francese e che stanno distruggendo la sua presidenza». François Hollande ha vinto due anni fa puntando sulla crescita e promettendo di bocciare il Fiscal Compact. Da quando è in carica, però, la disoccupazione francese è salita dal 10,1 al 10,4%, la crescita del Pil è scesa a zero e anche nell’ultimo trimestre la Francia ha perso 23.600 posti di lavoro, dopo i 57.000 perduti nel 2013. Sicché, secondo l’ultimo sondaggio Ifop, l’indice di gradimento di Hollande è crollato sotto il 18%: il peggiore da sempre per un leader francese. «La sua retorica del New Deal non ha portato a niente». Hollande «è capitolato sul Fiscal Compact, accettando una camicia di forza che obbliga la Francia a tagliare il debito pubblico ogni anno per un importo fisso per due decenni, fino a quando non sarà scesi al 60% del Pil, a prescindere dalla demografia o dal gap che esista nel settore privato o dalle esigenze di investimento dell’economia».La sua presidenza? «E’ stata tutto uno spettacolo dell’orrore di pacchetti di austerità, uno dopo l’altro, un circolo vizioso di maggiori imposte che fanno abortire qualsiasi recupero e lo debilitano con un effetto moltiplicatore che peggiora la situazione». Inasprimento fiscale nonostante il disavanzo: è la ricetta per il suicidio, se la Bce non interviene per compensare con iniezioni di denaro. «La risposta di Hollande è stata un raddoppio del rigore per infiocchettare il pacchetto: ha ceduto alle richieste di Bruxelles per altri 50 miliardi di euro di austerità nei prossimi tre anni». Questa volta, «la scure cadrà sulla spesa pubblica, arrivata al 57% del Pil». Inoltre, «ci saranno radicali riforme del lavoro, una variante della terapia-shock Hartz IV che servì per fottere i salari tedeschi dieci anni fa». In altre parole: se il socialista Hollande ha fatto pace con le grandi imprese, «sarà l’austerità a farlo a fette».Hollande si era prodigato per una “alleanza latina” per contrastare i deflattori quando presero il potere e per costringere la Germania a mettere il veto sulle azioni della Bce. Quella momentanea dimostrazione di grinta aveva spinto Draghi verso un piano di retromarcia sul debito italiano e spagnolo nel mese di agosto 2012, aiutato molto da Washington, ma poi non è andato avanti «e la Spagna ha continuato per la sua strada, come se fosse una Prussia del Sud o una nuova Tigre latina». La Bce? «Ancora una volta ha continuato a rigirarsi i pollici, incurante della deflazione». Francoforte «ha lasciato che i vincoli negativi bloccassero il bilancio francese facendolo ridurre di 800 miliardi, mentre l’euro si è rivalutato dell’ 8% contro lo yuan e del 15% contro lo yen, in un anno». Mentre gran parte del mondo sta cercando di tener basso il cambio delle valute e la deflazione delle esportazioni, l’Europa «è rimasta l’unica e tenersi tutto il pacco sulle spalle».I francesi non possono accettare di morire per asfissia economica: «La Francia è il cuore pulsante dell’Europa, l’unico paese con una statura di civiltà capace di condurre una rivolta e di prendersi carico della macchina politica dell’Unione Monetaria. Ma per scoprire il bluff della Germania, con una minima credibilità, Hollande dovrebbe essere pronto a rovesciare tutto il progetto dalle sue fondamenta e persino a rischiare una rottura sull’euro». Ed è quello che non farà mai. «Tutta la sua vita politica, da Mitterrand a Maastricht, è stata intessuta negli affari europei». Hollande «è prigioniero dell’ideologia di questo progetto, convinto come è che un condominio franco-tedesco rimanga la leva del potere francese e che sia l’euro a tenere legati i due paesi». Lo statista francese Jean-Pierre Chevenement confronta l’acquiescenza di Hollande con il corso rovinoso dei decreti deflazionistici di Pierre Laval nel 1935 durate il Gold Standard, cioè «l’ultima volta che un leader francese pensò di dover cavare sangue dal suo paese per difendere il vezzo di un cambio fisso».E’ la verità brutale, aggiunge Evans-Pritchard: «I socialisti francesi pensavano di non avere nulla da temere dall’ascesa del Fronte Nazionale, un partito che si prepara a sfruttare la furia prorompente dalla “France Profonde”, con l’impegno di ripristinare il controllo sovrano francese su tutto ciò che conta nella nazione, e che ha messo l’euro al primo posto tra i suoi compiti». I socialisti pensavano che il Fn avrebbe tolto voti ai gollisti, dividendo la destra? Errore: Marine Le Pen «sta dilaniando, con lo stesso vigore, anche le loro proprie roccaforti della classe operaia». Hanno sottovalutato la Le Pen, ora quotata al 24%, e sono scivolati al terzo posto, travolti dal “lepenismo di sinistra”, nuovo guardiano del welfare francese. I socialisti «non hanno nessuna risposta» da opporre agli attacchi del Fn sulla “austerità insensata” e “le politiche monetarie folli della Bce”, che continuano a intaccare il nucleo industriale della Francia. La Le Pen ripete che il prgetto dell’euro coincide con la disoccupazione di massa? «E’ tutto vero», dice Evans-Pritchard, ed è per questo che Hollande non sa cosa rispondere a Marine Le Pen.Tutto cominciò con il “referendum rubato”, la fatidica decisione di approvare il Trattato di Lisbona senza farlo votare, dopo che il popolo francese aveva già respinto un testo quasi identico chiamato “Costituzione europea”. «Nella scelta di ignorare la scelta del popolo del maggio 2005 – scrive Evans-Pritchard – i leader francesi hanno anticipato tutto quello che stiamo vedendo ora in Europa», ovvero «le scosse di assestamento di quel terremoto anti-democratico in Europa», per dirla con Coralie Delaume e il suo “Gli Stati Disuniti d’Europa”. «I socialisti dicono che è un oltraggio rifiutare un referendum su Lisbona, ma quando venne il momento di votarlo in parlamento, 142 deputati e senatori si astennero, e 30 votarono a favore del Trattato e diedero al presidente Nicolas Sarkozy la maggioranza dei tre quinti», ricorda Evans-Pritchard. «Le élite pensavano di essersela cavata con le loro prestidigitazioni su Lisbona? Non se l’erano cavata affatto», ma è ormai storia lo squallore del centrosinistra europeo, senza il quale l’oligarchia neoliberista non arebbe mai potuto imporre la crisi, attraverso il progetto neo-feudale chiamato euro.«Per un terribile rovescio del destino, la politica della sinistra europea sostiene la politica economica più reazionaria: i grandi partiti socialisti europei del dopoguerra sono rimasti intrappolati nella dinamica corrosiva dell’unione monetaria, apologeti della disoccupazione di massa e di un regime deflazionistico stile anni ‘30 che, sottilmente, favorisce gli interessi delle élite». In poche righe, Ambrose Evans-Pritchard fotografa la tragedia europea: i partiti che “inventarono” il sistema di welfare migliore del mondo sono oggi i più inflessibili interpreti del rigore escogitato per demolire proprio quel welfare, il traguardo più avanzato che la sinistra europea sia stata capace di centrare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Fino a cancellare la stessa idea di Europa come patria comune, traguardo civile di convivenza. E’ stato il centrosinistra europeo a far ingoiare l’amara medicina dell’oligarchia finanziaria, abusando della fiducia storicamente ottenuta dalle fasce popolari e dall’elettorato progressista.
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Barnard: neo-feudalesimo, chi e perché ci ha rovinato
Il complotto. Una parola trasformatasi in un’arma micidiale ai danni di chi studia, denuncia e lotta contro il Vero Potere. E’ usata da giornalisti, soprattutto, quelli che dalle pagine dei grandi quotidiani e dagli schermi Tv ammiccano sorrisetti spregiativi quando quelli come me parlano di Unione Europea criminale, di progetto Neoclassico e infine di Neofeudalesimo. Ci tacciano di essere dei fantasisti o pazzoidi che parlano di complotti, sciocchezze… suvvia, siamo seri. Io (e pochissimi altri) denuncio cose che volano in effetti chilometri sopra la comprensione comune della gente. Esse sono così distanti dal ‘ragionevole’, dal ‘plausibile’, che è gioco facile, per coloro che sanno invece benissimo che quello che io denuncio è vero, squalificarmi come complottista. E allora l’Olocausto?Il massimo storico dell’Olocausto mai esistito si chiamava Prof. Raul Hilberg. Il suo monumentale volume “La Distruzione degli Ebrei d’Europa” racconta fra la tante cose un fatto proprio ‘irragionevole’ e ‘non-plausibile’, una cosa che si direbbe pazzesca. Ed è che, nella civilissima Germania degli anni ’40 del XX secolo, la macchina mostruosa dell’Olocausto si compose precisamente di due componenti: a) di un’ideologia divenuta fede – cioè che l’ebreo andava eliminato per la salvezza del continente Europa; b) e di una, si faccia attenzione!, macchina burocratica di sterminio AUTOPROPAGATASI autopropagatosi, cioè non comandata dall’alto né pianificata dai vertici nazisti. Ovvero di un moto perpetuo e autonomo che creava pezzi della macchina di sterminio man mano che questo moto passava da una testa all’altra, da una burocrazia all’altra, da una regione all’altra, da un’autorità locale all’altra, in Germania come in Polonia.Nessun decreto di Hitler con le parole “gassateli”, nessun comando berlinese di ingegneri pianificatori dei campi di concentramento, nessuna riunione del Terzo Reich dove ogni sei mesi si faceva il punto dello sterminio. Ma, ripeto, un moto AUTOPROPAGATOSI autopropagatosi da un’ideologia/fede e che ha finito col ricomporsi SPONTANEAMENTE spontaneamente in un Olocausto gestito da migliaia di pezzetti burocratici autonomi senza alcuna gestione centrale. Non so se vi è chiaro, ma tutto questo ha dell’incredibile, eppure fu così, lo decreta il massimo storico del Nazismo mai esistito. Ora… immaginate se un’autorità della statura immensa come quella del Prof. Raul Hilberg avesse scritto di tutto ciò, previsto tutto ciò, negli anni dell’ascesa al potere di Hitler. Ma è straovvio: lo avrebbero squalificato come un mentecatto delirante e un complottista, probabilmente anche dagli stessi ebrei tedeschi. Facile, come bere un bicchier d’acqua.E qui arrivo al nostro NEOFEUDALESIMO Neofeudalesimo. Il mio lavoro di oggi, dopo il saggio “Il Più Grande Crimine 2011”, sta svelando una pianificazione di quasi un secolo da parte delle élite Tradizionaliste Neofeudali europee, cioè il Vero Potere, per riprendersi il dominio perduto dall’Illuminismo in poi; per, soprattutto, re-imporre alle “masse ignoranti” d’Europa un GIUSTO ORDINE giusto ordine che ne avrebbe evitato, a loro parere, la degenerazione in un modello di ‘depravata democrazia all’americana’. Il GIUSTO ORDINE giusto ordine significava e significa oggi per loro l’assoluto controllo di una élite non-eletta su centinaia di milioni di cittadini europei sempre più impoveriti, e quindi resi servi impotenti. E lo strumento che queste élite Neofeudali hanno usato per portare al successo quella pianificazione è l’UNIONE MONETARIA EUROPEA Unione Monetaria Europea, oggi chiamata Eurozona, che infatti sta ottenendo la devastazione della democrazia e degli standard di vita in tutta Europa, con crolli di quegli standard e dell’economia della piccola-media borghesia di proporzioni indicibili. Ebbene, ricordate Hilberg: facile per i tromboni servi del Vero Potere ridicolizzare me e le mie autorevoli fonti accademiche come complottisti. Ma non lo siamo. Noi vi stiamo raccontando il prossimo Olocausto, dove nei campi di sterminio è già oggi finita la DEMOCRAZIA democrazia.Elite Tradizionaliste Neofeudali: da dove nascono? E cosa hanno fatto?Per semplificare un racconto immenso, parto dal New Deal di Franklyn D. Roosevelt. Quando la notizia di quella rivoluzione sociale ed economica americana giunse in Europa, essa fu accolta dai discendenti delle famiglie dominanti e dai maggiori capitani d’industria, i Tradizionalisti Neofeudali, con orrore. Niente meno che orrore. Ma che stava facendo quel pazzo degenerato di Roosevelt?, pensarono. Dio! Stava usando i soldi dello Stato per creare dei “falsi diritti” per le “masse ignoranti”, per i disoccupati, e gli stava migliorando lo standard di vita! Questo era anatema per Tradizionalisti Neofeudali, per due motivi: lo Stato Usa, poiché possessore di una moneta sovrana, aveva in mano uno strumento di potere di fuoco infinito per far avanzare proprio le spregevoli “masse ignoranti”, e questo poteva contagiare anche gli Stati d’Europa. Andava evitato a tutti i costi; e una volta che le “masse ignoranti” avessero ottenuto abbastanza diritti e benessere, sarebbero divenute troppo potenti e avrebbero definitivamente distrutto i VALORI DEL GIUSTO ORDINE SOCIALE valori del giusto ordine sociale perduto dopo il crollo dei feudalesimi a favore della democrazia.Questi valori sono: a) sottomissione delle “masse ignoranti” alla superiore saggezza delle élite non-elette, che le governa attraverso istituzioni SOVRANAZIONALI sovranazionali rette da tecnocrati fedeli ai Tradizionalisti Neofeudali (vi dice già qualcosa….?); b) una vita di permanente povertà o scarsità delle “masse ignoranti” per non alzare troppo la testa sopra il regno della Chiesa vaticana, fedele alleata della restaurazione del GIUSTO ORDINE giusto ordine; c) da quella scarsità doveva venire paura e insicurezza continua delle “masse ignoranti” per cementare tutto ciò. Un esempio concreto: essi pensarono che con “masse ignoranti” rese benestanti ‘all’americana’ non sarebbe più stato possibile spedire milioni di poveracci a crepare come maiali al macello nelle trincee di una guerra Neofeudale (I Guerra Mondiale), o in avventure coloniali dello stesso stampo; non sarebbe più stato possibile estrarre manodopera della gleba per i loro conglomerati industriali.Ora ecco chi erano i Tradizionalisti Neofeudali. Il primo gruppo si riunì fra le due Grandi Guerre attorno al Comité des Forges in Francia, finanziato dalla famiglia Wendel e dai tedeschi Krupp, con interventi finanziari di non poco conto della Banca di Francia. Erano politici, principalmente, ma raccoglievano le idee di pensatori noti, da Junger a Keyserling, Heidegger, Jouvenel, Perroux, Mounier, Céline, naturalmente selezionandone le analisi più convenienti per il loro sogno di restaurazione del GIUSTO ORDINE giusto ordine, e scartandone molte altre (ad eccezione di Perroux che fu preso e copia-incollato da cima a fondo). Gli economisti di riferimento erano i Neoclassici più noti allora: Walras, Jevons, Menger. Questo primo drappello fu immediatamente ingrossato nelle sue fila dai maggiori industriali nordeuropei (franco-tedeschi soprattutto, il cosiddetto cartello dell’acciaio-carbone), dalle famiglie nobili, prima fra tutte la famiglia tedesca dei Thurn Und Taxis e i belgi Davignon e Boel, i Reali allora esistenti in Europa (esclusa la Gran Bretagna) e la miriade di discendenti della casa Hohenstaufen (non posso qui elencare tutti questi ‘rentiers’ europei, ma sono migliaia di famiglie).Se ne deduce che era principalmente un ‘asse’ franco-tedesco, ed aveva un progetto ben preciso: sottomettere a quasi servitù intere nazioni europee a cominciare da Italia, Portogallo, Spagna, il Benelux e anche gli scandinavi. L’Europa dell’est neppure era presa in considerazione, la consideravano territorio coloniale come l’Africa. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, i Tradizionalisti Neofeudali avevano due visioni nette: la prima era che la ‘democrazia dei consumi’ d’oltreoceano avrebbe finito per corrompere quella società con i valori ‘depravati’ del benessere minimo della gente, fino alla sua distruzione. Infatti il capitalismo americano, per quanto infestato di imperfezioni, doveva (e deve) mantenere in vita un minimo di spesa pubblica per evitare il collasso totale dei consumi, che è contrario agli interessi delle corporations, e quindi doveva (e deve) mantenere le strutture democratiche di: governo sovrano, Parlamento che decide la spesa (Congresso) e Banca Centrale che la finanza (Fed). Tutti elementi, questi, che per i Tradizionalisti Neofeudali erano bestemmie politiche allo stato puro che avrebbero affondato gli Usa celebrando la vittoria della loro Europa neofeudale.La seconda visione era che appunto l’Europa non avrebbe mai dovuto diventare un modello americano di Stati Uniti d’Europa con un governo centrale democraticamente eletto, un Tesoro comune e Banca Centrale a garanzia dei debiti pubblici (vi dice già qualcosa…..?). Il fatto è che in America nessun singolo Potere era, ed è mai riuscito badate bene, come invece in Europa oggi proprio al culmine del sogno Neofeudale, a impossessarsi di tutti e tre i poteri fondamentali delle élite: il potere economico, quello politico e quello di manipolazione delle masse. I Tradizionalisti Neofeudali invece lavorarono proprio per impossessarsi di tutti e tre questi poteri, con un successo tragico oggi chiamato Unione Europea / Eurozona.Ora torniamo al loro valore numero uno, sopradescritto come: a) sottomissione delle “masse ignoranti” alla superiore saggezza delle élite non-elette, che le governa attraverso istituzioni SOVRANAZIONALI sovranazionali rette da tecnocrati fedeli ai Tradizionalisti Neofeudali. La domanda che si posero fu come ottenere una struttura simile. La risposta che gli arrivò fu lampante: creare una UNIONE MONETARIA Unione Monetaria che, privando gli Stati della loro moneta, li distruggeva di fatto totalmente e li assoggettava ai gestori esterni, sovranazionali, di quella UNIONE Unione. Uno Stato senza portafoglio è un eunuco, anche meno di questo, è come un padre di famiglia senza reddito, il cui Parlamento diventa una facciata di cartapesta: democrazia MORTA morta. Di conseguenza le “masse ignoranti” sarebbero andate allo sbando e crollate nella deflazione permanente del loro standard di vita (vi dice già qualcosa….?), esattamente lo scopo dei Tradizionalisti Neofeudali.La sopraccitata risposta gli fu servita da quattro uomini: Robert Schuman, lobbista dell’industria pesante francese di acciaio e carbone, e un prediletto del Vaticano, uomo di collegamento coi trust dell’acciao-carbone tedeschi; Jean Monnet, banchiere, esperto di finanza, e uomo strategico perché in buoni rapporti con gli Usa; Walter Funk, presidente della Reichsbank (1943); e Francois Perroux, economista, il vero cervello dietro la moneta unica e il modello di Banca Centrale Europea che poi sarebbe venuto, un filonazista puro (almeno fino a che non giudicò Hitler troppo ‘soffice’), con cui lavorava un altro economista di pura tradizione neofeudale, Jaques Rueff.I Neofeudali di Francia e Germania, a quel tempo – e qui stiamo già parlando dei primi anni dopo il 1945 – capirono però che non potevano portare avanti un progetto di rottura così violento coi valori americani, perché l’Europa ridotta a macerie era appesa alla tetta di Washington disperatamente. Qui fu la furbizia di Monnet a fare il trucco. Monnet semplicemente descrisse il micidiale progetto neofeudale della UNIONE MONETARIA Unione Monetaria ai presidenti Usa Truman e Eisenhower come un’unione europea di nazioni retta da un governo di saggi in funzione anti-sovietica! Un muro contro il ‘pericolo rosso’. Non solo, Monnet disse agli americani che la Banca di Francia avrebbe continuato a finanziare la Germania dell’ovest, visto che i Wendel erano di fatto i padroni della banca. Washington ci cascò, e rimase totalmente inconsapevole della vera natura del progetto descritta sopra, e del suo odio feroce per qualsiasi modello americano.Prima di proseguire, va spiegata una cosa di una importanza cruciale, ma veramente assoluta. Quando parliamo di uomini del Vero Potere, tendiamo automaticamente a pensare a questi vampiri che siedono su castelli stracolmi di oro, ricchezze, fortune immani, e che fanno ciò che fanno a milioni di innocenti per pura arrogante avidità. No. Fermi. Personaggi di questa matrice esistono certamente, ma sono più gli americani a essere di quella pasta, come alcuni europei certo, ma NON non i Tradizionalisti Neofeudali. No, no e no. Essi, dovete capirlo, lavorarono, e oggi lavorano, solo per due motivi: a) Un senso di investitura divina al DIRITTO diritto di governare le “masse ignoranti”, esattamente come i loro antenati in epoca feudale. Ma soprattutto… b) Un senso del DOVERE dovere, cioè di dover fare quello che fanno, se no, essi sono convinti, il mondo del GIUSTO ORDINE SOCIALE giusto ordine sociale verrà travolto dalla depravazione di quel mostro purulento chiamato democrazia, che per loro è la fonte della fine di ogni valore, di ogni buon senso, la fonte della fine di tutto. Loro DEVONO devono salvarsi e salvarci, a costo di ammassare montagne di cadaveri.Ricordate bene: un uomo come l’attuale presidente del Consiglio Europeo, il super-Neofeudale Herman Von Rompuy, o un uomo come Mario Monti, ne sono convinti fin nel midollo. Così Juncker, Draghi, Issing, Barnier, Rehn, così erano Padoa Schioppa e soci. Ecco perché non mostrano un milligrammo di pietà umana per le sofferenze di milioni di europei oggi (vedi Grecia). Pensano che essa è la giusta via del SACRIFICIO sacrificio per impedire a tutto il continente di sprofondare nella sparizione finale dei loro ‘GIUSTI VALORI’ ‘giusti valori’. Lo Stato non dovrà MAI PIU’ mai più garantire alle masse i “falsi diritti” del welfare, della democrazia, del benessere in crescita (non vi dice già qualcosa….?).In questo i Tradizionalisti Neofeudali odierni derivano la loro ideologia non solo dai personaggi sopraccitati, ma anche da Heidegger, Hitler, Goebbels, Funk e Schacht, tutti autori di scritti e noti discorsi contro la ‘perversione’ del New Deal di Roosevelt, cioè del modello di Stato interventista nel sociale, e a favore invece della supremazia delle elite su Stati imbelli. Ma la derivano soprattutto (Monti fra i primi) da colui che si contende il titolo di ‘Il più sociopatico economista mai vissuto’ con Robert Malthus, cioè Friedrich Von Hayek, della cosiddetta scuola austriaca, un vero razzista di proporzioni epiche, l’uomo che scrisse di poter tollerare un minimo di Stato Sociale ma solo «per impedire ai poveri di esasperarsi al punto da divenire un pericolo fisico per le classi dominanti» (sic). E’ l’uomo che dopo il francese Perroux si batté per impedire l’accesso delle “masse ignoranti” all’istruzione pubblica, considerata pericolosa perché avrebbe fatto comprendere alle masse l’economia.Il salto del Neofeudalesimo dei Tradizionalisti al Vero Potere Neofeudale del giorno d’oggi.Non vi faccio perdere tempo. La nascita dell’Unione Europea è roba stranota come tappe formali: Piano Schuman 1949, la Ceca nel 1951, il Trattato di Roma 1957, nel 1967 la Comunità Europea (Ce), nel 1979 eleggemmo il primo Parlamento Europeo, poi arriva il 1993 quando nasce l’Unione Europea col Trattato di Maastricht, che sancì una serie di riforme eclatanti, fra cui dal 1° gennaio 2002 quella dell’euro come moneta unica per i suoi membri. La nostra Banca Centrale Europea di oggi è stata modellata precisamente sulle indicazioni del tradizionalista neofeudale François Perroux, che già allora scrisse quelli che oggi sono i comandamenti della Bce: impedire agli Stati di spendere a deficit per il terrore dell’inflazione; le crisi si curano con Austerità feroci, cioè tagli sociali e super-tasse; il Mercato Unico deve esser il Signore assoluto senza nessuna interferenza degli Stati; la flessibilità del lavoro è un comandamento imprescindibile. Questo scrisse il neofeudale Perroux nel 1943 (!), e questo è oggi!E sempre stando col francese, ma anche con l’ultra-neofeudale austriaco sopraccitato, Hayek, si viene a sapere che l’idea di sottomettere le banche al potere delle élite neofeudali – oggi in pieno svolgimento con l’Unione Bancaria Ue (………………………..) – fu loro già 60 anni fa. Oggi, le idee tradizionaliste/neofeudali degli anni ’30 di UNIONE MONETARIA Unione Monetariia, Banca Centrale e distruzione della spesa pubblica degli Stati, hanno preso la forma della perversa struttura dell’Eurozona, con l’UNIONE MONETARIA Unione Monetaria, la Bce e le AUSTERITA’ austerità. Queste perfette riproduzioni del vecchio progetto tradizionalista neofeudale hanno di fatto spogliato totalmente gli Stati ex sovrani di ogni reale potere consegnandolo a élite non-elette (Commissione Ue), e ne hanno esautorato i Parlamenti con i Trattati Ue sovranazionali che sono superiori in autorità alle nostre leggi, cioè il sogno neofeudale come detto più sopra.Ora notate però una cosa: il progetto tradizionalista neofeudale ha tolto tutto allo Stato nazionale meno una cosa: il potere di polizia fiscale, proprio per imporre a milioni di esasperati cittadini gli orrori del ‘giusto sacrificio’ del GIUSTO ORDINE giusto ordine neofeudale, che io ho battezzato coi nomi di Economicidio e Chemiotassazione. Bene, anche questa idea risale al club di Perroux, Funk, Rueff e soci, altra mostruosità neofeudale presente sulla soglia di casa di milioni di noi oggi. Ma chi sono oggi i portatori dell’oscena torcia Neofeudale nella Ue? Cioè: CHI SONO GLI UOMINI CHE HANNO RACCOLTO L’EREDITA’ DEL PIANO TRADIZIONALISTA NEOFEUDALE DEGLI ANNI ’30, E CHE LA STANNO PORTANDO ALLA VITTORIA CON LA DEVASTAZIONE DI TUTTE LE NOSTRE EX DEMOCRAZIE, CON DISOCCUPAZIONE RECORD, PAURA SOCIALE, E DEFLAZIONE ECONOMICA PERMANENTE AI MASSIMI LIVELLI DA 70 ANNI CREATE A TAVOLINO DALL’EUROZONA E DAI SUOI TRATTATI?Chi sono gli uomini che hanno raccolto l’eredità del piano tradizionalista neofeudale degli anni ‘30, e che la stanno portando alla vittoria con la devastazione di tutte nostre ex democrazie, con disoccupazione record, paura sociale e deflazione economica permanente ai massimi livelli da 70 anni, create a tavolino dall’Eurozona e dai suoi trattati?Ne ho già nominati alcuni, cioè Herman Von Rompuy, Mario Monti, Juncker, Draghi, Issing, Barnier, Rehn, Barroso, così era Padoa Schioppa. Aggiungo alcuni altri colossi neofeudali: Jaques Attali, Jaques Santer, lo fu François Mitterrand, Jean-Claude Trichet, poi Giuliano Amato, Romano Prodi, Theo Weigel, col codazzo di centinaia di vassalli tecnocrati come gli italiani Marco Buti e Massimo Tononi. Vi si aggiunge la corte di latifondisti, nobili e massoni ammorbati di Opus Dei che si riuniscono attorno a Etienne Davignon e al famigerato club Bilderberg, sempre potentissimi. Poi il micidiale Jaques Delors, l’uomo di devota ‘scuola Perroux’ che ha tenuto le massime redini d’Europa (presidente della Commissione Europea, il vero potere Ue) per tutti i 10 anni cruciali del passaggio dalle democrazie degli anni ’70 agli Stati fantoccio del dopo-Maastricht, Eurozona. Poi non si dimentichino le correnti tedesche di economia della Scuola di Berlino e di Bremen, con il cosiddetto ‘Ordo-Liberismo’ di Walter Eucken che ha spacciato a generazioni di gonzi tedeschi il Neofeudalesimo come corrente sociale!Ma qui c’è un altro passaggio da capire, che è cruciale. L’avanzata del NEOFEUDALESIMO Neofeudalesimo, cioè della VERA ANIMA vera anima di tutto quello che a voi raccontano come Eurozona e Unione Europea e che ci sta distruggendo come democrazie, si è servita di una specie di ‘ascensore’ per arrivare invisibile nella stanze del potere. Hanno usato l’economia cosiddetta Neoclassica e quella Neoliberista. Come detto, i Neofeudali hanno usato un’arma principale per ottenere l’abbattimento del potere degli Stati di spendere per la crescita del popolo e della democrazia: l’UNIONE MONETARIA Unione Monetaria che, ripeto, significa 1) bloccare la spesa pubblica 2) creare il terrore dei deficit 3) imprigionare i governi entro spese pubbliche microscopiche 4) quindi paralizzare il flusso di denaro nelle società, portando deflazione economica, fallimenti a catena, disoccupazione alle stelle, paura e insicurezza di tutti 5) e consegnare noi cittadini/aziende nelle mani dei produttori ‘privati’ di denaro, cioè le banche, visto che il produttore di denaro pubblico, lo Stato, è stato castrato.Bene, queste folli regole erano per coincidenza anche il vangelo degli economisti prezzolati dal Vero Potere che si organizzarono per distruggere, per letteralmente polverizzare, tutta l’Economia Sociale nata dal pensiero di Marx, di Keynes, della Robinson, di Kalecki, di Godley, quella cioè che predicava l’esatto opposto: uno Stato DEVE SPENDERE PIU’ DI QUELLO CHE TASSA PER FAR CRESCERE IL 99%, A SCAPITO DELL’1%. Deve spendere più di quello che tassa per far crescere il 99% a scapito dell’1%. Questi economisti prezzolati dal Vero Potere erano e sono appunto i Neoclassici e i Neoliberisti, quelli che (parlando dell’Italia) oggi campeggiano alla Bocconi e sul “Corriere della Sera”, cioè i Giavazzi, gli Alesina, i Boeri, i Mingardi, Stagnaro, Boldrin, ecc. Ma soprattutto i loro ‘superiori’ internazionali come Von Mises, Friedman, Brunner, Tsiang, Meltzer, Lucas, Reinhart e Rogoff, Mankiw.La cosa pietosa di ’sto drappello di venduti con crimini sociali sulla coscienza è che non si sono mai resi conto di essere stati usati come ‘ascensori’ da un potere ben più devastante, quello Neofeudale, che li disprezza persino, considerandoli troppo morbidi nell’opera di annientamento delle “masse ignoranti”, così come Perroux considerava Hitler troppo morbido. Ma i Neofeudali li hanno e li stanno ancora usando. Il problema è che tantissimi antagonisti del Vero Potere credono in buona fede che il nemico da combattere in Ue siano ’ste ‘puttane’ dell’economia Neoclassica e Neoliberista, mentre no! NO!, No!, il nemico ha un altro nome: NEOFEUDALESIMO Neofeudalesimo. Ma naturalmente…. Barnard è un complottista… eh? Cari miei economisti ‘di sinistra’ eteroignari alla Brancaccio, Zezza o Bellofiore? Non avete ancora capito NIENTE niente del Vero gioco, sciocchi.Il grande paradosso capitalistico.Una domanda, sono certo, vi ha già percorso la mente da un bel po’. Questa: ma le classi capitaliste europee non la vedono la contraddizione fra la dottrina ormai dilagante del Neofeudalesimo e i loro interessi? Non lo vedono che distruggere la ricchezza immessa dallo Stato in cittadini/aziende (la spesa pubblica), creare così deflazione permanente e ridurre alla semi-povertà milioni di europei li danneggia nei commerci di beni e servizi e quindi nei profitti? La risposta a questa domanda è sempre – come tutto è quando si parla di Vero Potere, e così come nell’esempio iniziale dell’Olocausto – scioccante e incredibile. La semplifico. Uno dei colossi dell’economia sociale, quella dell’INTERESSE PUBBLICO Interesse Pubblico, e naturalmente sepolto e dimenticato, era Michal Kalecki, polacco. Già lui negli anni ’40 del XX secolo ci avvisava della miopia, MIOPIA, miopia, permanente e irrimediabile della classe capitalista imprenditrice. Disse Kalecki che, contrariamente a tutte le evidenze della scienza economica, gli imprenditori nascono, crescono e muoiono con stampato nel loro cervello il Dogma secondo cui un’azienda profitta se paga i lavoratori il meno possibile. E questo, già ai tempi del geniale polacco, valeva per il gigante Krupp come per il salumaio di quartiere.Oggi questa demenziale distorsione mentale esiste identica in tutta la classe imprenditrice europea, dalla Fiat o Siemens, alle piccole medie imprese, al bar. Non è valso nulla che un altro genio dell’economia sociale come John Maynard Keynes abbia dimostrato all’infinito che il “Paradosso del Risparmio” è una rovina di tutto il ciclo economico mondiale: se si pagano poco i lavoratori, se si risparmia e non si spende, crolla il flusso di liquidità che è proprio quello che fa crescere aziende ed economia, che permette gli investimenti e infine i profitti stessi. E’ lampante no? Ma no. Non è valso a nulla che Marx nell’800 o che Godley pochi decenni fa abbiano spiegato ai capitalisti i precisi meccanismi della creazione del profitto, che richiede SEMPRE sempre l’esistenza di categorie di salariati capaci di spendere bene a favore di altre categorie (e se possibile senza ricorrere al debito con le banche) con, come fornitore di liquidità di ultima istanza, lo Stato. No. Niente. I capitalisti non lo capivano, e non lo capiscono ancora oggi.Gli imprenditori colossi, ma anche quelli medi e piccoli, non la vogliono capire. E allora ecco che si spiega perché il fanatismo dei Neoclassici di ridurre tutti i salari a livelli di semi-povertà gli va a genio perfettamente. E’ il trionfo del loro istinto idiota di dominare i dipendenti credendo di trarne profitto. E’ il trionfo della cocciuta stupidità dell’imprenditore che NON CAPISCE MAI, non capisce mai, MAI NULLA DEI FONDAMENTALI DELLA MACROECONOMIA KEYNESIANA, mai nulla dei fondamentali della macroeconomia keynesiana, che invece farebbe la fortuna sua e dei suoi dipendenti allo stesso tempo. Pensate, in questo contesto, al fenomeno delle mega-fusioni e acquisizioni industriali e bancarie. Spiego: da diversi anni assistiamo a una corsa maniacale di corporations e banche ad acquistare rivali, o aziende minori, per creare questi colossi sempre più immensi. Cito solo la tedesca Audi o la Deutsche Bank, perché la Germania è oggi lo Stato che più al mondo corre per gonfiare in modo mostruoso le dimensioni delle proprie maggiori aziende; ma anche la nostra Unicredit, Eni o Enel tentano espansioni simili, e altri esempi sono infiniti. Il punto che hanno in comune tutti questi operatori del mega-capitale è sempre il medesimo: tagliare i costi e i salari.Cosa stanno facendo questi sciagurati? Semplice: obbediscono all’ordine Neofeudale secondo cui, appunto, l’immane concentrazione del potere dei Signori deve ritornare agli splendori dei secoli IX o XII, con servitù della gleba come manodopera sia di colletti bianchi che blu. E di nuovo non comprendono che questo deprimerà proprio l’economia su cui vivono. No! Comandare è più importante per loro, del resto sono ciechi. E poi si faccia attenzione: i Neofeudali sanno benissimo che una volta che una Corporation o una banca divengono ipertroficamente colossali, è impossibile per qualsiasi Stato lasciarle fallire quando l’economia che esse stesse hanno depresso, come detto sopra, collassa, perché finirebbero per trascinarsi dietro mezzo mondo. E allora gli Stati devono usare il denaro pubblico per salvarle, chinando la testa come sguatteri. E perché la chinano? PERCHE’ NON POSSONO PIU’ USARE LA LEGGE DEI PARLAMENTI PER COMANDARE NELL’INTERESSE PUBBLICO, VISTO CHE I NEOFEUDALI SONO OGGI I SOLI POSSESSORI DELLA LEGGE SOVANAZIONALE. Perché non possono più usare la legge dei Parlamenti per comandare nell’Interesse Pubblico, visto che i Neofeudali sono oggi i soli possessori della legge sovranazionale. Attenti a questo passaggio, lo ripeto. Solo i Tecnocrati Neofeudali possono oggi controllare questi colossi industriali e bancari, visto che sono loro, i Neofeudali della Commissione Europea, della Bce o del Consiglio Ue che gestiscono l’arma finale di tutte le armi: LA LEGGE la legge, oggi da loro esclusivamente creata in Ue.La disperazione di un pubblico che non capisce. Cosa va fatto.Una precisazione importantissima per i lettori, che, mi perdonino, non riescono mai bene a capire le ombre del Vero Potere e virano sempre verso un quadro di buoni contro cattivi, chi vince chi perde. No, le cose nel mondo del Vero Potere, specialmente nella sua versione Neofeudale, non stanno così. La guerra è in corso, non è vinta; i Neofeudali hanno indiscutibilmente ottenuto vittorie agghiaccianti, le ho già descritte alla noia, ma ribadisco: basti pensare al fatto che Camera e Senato oggi sono stati resi teatrino di campagna assieme alla nostra Costituzione; basti pensare che l’Italia non ha mai visto un crollo dei consumi come quello odierno dalla fine della II Guerra Mondiale (Istat), con i giovani disoccupati italiani in numeri di livello africano. Io qui vi ho raccontato dell’esistenza di questo mostro e di ciò a cui mira in futuro. Ma ci sono forze antagoniste alla restaurazione finale del NEOFEUDALESIMO Neofeudalesimo in Europa: non sono certo gli attivisti, che non ci capiscono nulla e si rifiutano di capire; non sono certo (perdonate, conato…) i sindacati. Sono alcune forze di capitalismo europeo filo-Usa; è una parte del mondo finanziario, quella più vicina al sistema bancario ‘retail’, cioè piccole-medie banche; ma soprattutto sono le colossali incognite del capitalismo russo e cinese, dell’asse che stanno creando con l’idea di uno Yuan moneta di riserva internazionale sostenuta dal gas/petrolio russo, cioè una rivoluzione economica sempre modellata sugli Stati Uniti che potrebbe spazzare via da sola tutto il progetto neofeudale in pochi anni.Ma per ora i Neofeudali sono qui, a Bruxelles e a Francoforte, e sono micidiali, hanno in mano tutto il potere, TUTTO tutto. E qui arriva la mia disperazione: un pubblico che non capisce. Lo avete capito che tutto ciò che hanno creato i NEOFEUDALI Neofeudali in oltre 70 anni è all’origine della più devastante crisi delle democrazie, dell’economia, dei posti di lavoro, del futuro dei giovani, della tutela sociale dalla fine della II Guerra Mondiale? Lo capite che l’urlo dell’operaio del Veneto, che la depressione della famiglia laziale una volta benestante e oggi in crisi, che il collasso dei diritti alla vita dignitosa alla salute alla prosperità di milioni di noi provengono tutti dal progetto Neofeudale, OGGI VINCITORE oggi vincitore? Lo avete capito che quel progetto ha distrutto la spesa pubblica, la sovranità dei Parlamenti e l’economia dell’Interesse Pubblico, per restaurare il GIUSTO ORDINE giusto ordine del regno delle élite sulle “masse ignoranti”? E si chiama Eurozona, Ue dei tecnocrati.Lo avete capito che un fantoccio patetico come Renzi, immediatamente chiamato a obbedienza dalla neofeudale Angela Merkel, conta come una cacca di piccione sul davanzale d’Europa? Lo capite che i politici di Roma sono ridicoli figuranti impotenti e grottescamente ignari di tutto il Vero Potere? Vi è chiaro che gli sbraiti di un cretino di Genova neppure arrivano alla soglia di casa dell’autista di uno come Herman Von Rompuy? Che neppure arrivano all’orecchio della camiciaia di Barnier? Lo avete capito che il Vero Potere va studiato e che dobbiamo contrapporgli una guerra totale combattuta da uomini e donne con pedigree d’acciaio, con una preparazione che spacca un capello con uno sguardo? Che va combattuto da chi ha la seguente idea chiara, limpida e scolpita nell’acciaio della propria determinazione a liberarsi:I NEOFEUDALI CI HANNO SOTTOMESSI, DEPREDATI DI DEMOCRAZIA E DIRITTI, CI HANNO SCHIAVIZZATI USANDO CODICI DI LEGALITA’ DA LORO RESI ‘PLAUSIBILI’, QUANDO INVECE ERANO ‘INIMMAGINABILI’, E CI RISERVANO UN FUTURO DA SERVITU’ DELLA GLEBA NEL TERZO MILLENNIO.ORA NOI DOBBIAMO RIPRENDERCI 250 ANNI DI CODICI DI VERA LEGALITA’, QUELLA CHE HA PRODOTTO LE PIU’ AVANZATE COSTITUZIONI DEL MONDO PER L’INTERESSE PUBBLICO, E SBATTERGLIELA IN FACCIA, CON IL POTERE RESTITUITO AGLI STATI SOVRANI E AI PARLAMENTI DI FERMARLI E DI ARRESTARLI, DI PROCESSARLI PER I LORO IMMANI CRIMINI, E DI FARLI SPARIRE.I Neofeudali ci hanno sottomessi, depredati di democrazia e diritti, ci hanno schiavizzati usando codici di legalità da loro resi ‘plausibili’, quando invece erano ‘inimmaginabili’, e ci riservano un futuro da servitù della gleba nel terzo millennio.Ora noi dobbiamo riprenderci 250 anni di vera legalità, quella che ha prodotto le più avanzate Costituzioni del mondo per l’Interesse Pubblico, e sbattergliele in faccia, con il potere restituito agli Stati sovrani e ai Parlamenti di fermarli e di arrestarli, di processarli per i loro immani crimini, e di farli sparire.Questo dobbiamo fare. Significa: l’uscita dell’Italia dall’Eurozona neofeudale, il ripristino della nostra SOVRANITA’ MONETARIA E PARLAMENTARE sovranità monetaria e parlamentare, e l’applicazione in Italia della migliore economia dell’Interesse Pubblico mai esistita: la Mosler Economics Mmt (leggete il Programma di Salvezza Economica per il Paese). Ma significa soprattutto un’altra cosa, caro lettore, cara lettrice: che tu, come me, ritrovi il CORAGGIO coraggio, il coraggio di ribellarti, ora che sai cosa ti stanno facendo. Caro lettore, cara lettrice, senza coraggio siete morti, e saranno morti i vostri figli, e se non avrete coraggio ve lo meritate. Ps: buone elezioni europee… come andare a investire in un pollaio di Vicenza credendo di influenzare la Borsa di New York.(Paolo Barnard, “Il feudalesimo si chiama Eurozona. E’ un mostro. Storia, nomi, fatti”, dal blog di Barnard del 27aprile 2014).Il complotto. Una parola trasformatasi in un’arma micidiale ai danni di chi studia, denuncia e lotta contro il Vero Potere. E’ usata da giornalisti, soprattutto, quelli che dalle pagine dei grandi quotidiani e dagli schermi Tv ammiccano sorrisetti spregiativi quando quelli come me parlano di Unione Europea criminale, di progetto Neoclassico e infine di Neofeudalesimo. Ci tacciano di essere dei fantasisti o pazzoidi che parlano di complotti, sciocchezze… suvvia, siamo seri. Io (e pochissimi altri) denuncio cose che volano in effetti chilometri sopra la comprensione comune della gente. Esse sono così distanti dal ‘ragionevole’, dal ‘plausibile’, che è gioco facile, per coloro che sanno invece benissimo che quello che io denuncio è vero, squalificarmi come complottista. E allora l’Olocausto?
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Padoan, il “dolore utile” che stermina i bambini greci
«Il dolore sta producendo risultati»: fa impressione, proprio ora che è divenuto ministro dell’economia, rileggere quel che Pier Carlo Padoan disse il 29 aprile 2013 al “Wall Street Journal”, quando era vice segretario generale dell’Ocse. Già allora i dati sull’economia reale smentivano una così impudente glorificazione dell’austerità – e addirittura dei patimenti sociali che infliggeva – ma l’ultimo numero di “Lancet”, dedicato alla sanità pubblica in Grecia dopo sei anni di Grande Depressione, va oltre la semplice smentita. Più che correggersi, il ministro farebbe bene a scusarsi di una frase atroce che irresistibilmente ricorda Pangloss, quando imperterrito rassicura Candide mentre Lisbona è inghiottita dal terremoto raccontato da Voltaire: «Queste cose sono il meglio che possa accadere. La caduta dell’uomo e la maledizione entrano necessariamente nel migliore dei mondi possibili».“Lancet” non è un giornale di parte: è tra le prime cinque riviste mediche mondiali. Il suo giudizio sulla situazione ellenica, pubblicato sabato in un ampio dossier (lo ha ripreso Andrea Tarquini sul sito di “Repubblica”), è funesto: la smisurata contrazione dei redditi e i tagli ai servizi pubblici hanno squassato la salute dei cittadini greci, incrementando il numero di morti specialmente tra i bambini, tra gli anziani, nelle zone rurali. Nella provincia di Acaia, il 70 per cento degli abitanti non ha soldi per comprare le medicine prescritte. Emergency denuncia la catastrofe dal giugno 2012. Numerose le famiglie che vivono senza luce e acqua: perché o mangi, o paghi le bollette. Nel cuore d’Europa e della sua cultura, s’aggira la morte e la chiamano dolore produttivo. «Siamo di fronte a una tragedia della sanità pubblica», constata la rivista, «ma nonostante l’evidenza dei fatti le autorità responsabili insistono nella strategia negazionista». Qualcuno deve spiegare a chi agonizza come sia possibile che il dolore e la morte siano “efficaci”, e salvifiche per questo le riforme strutturali fin qui adottate.Né è solo «questione di comunicazione» sbagliata, come sosteneva nell’intervista Padoan: sottolineare gli esiti promettenti del consolidamento fiscale, ammorbidendo magari qualche dettaglio tecnico, non toglie la vittoria al pungiglione della morte. Trasforma solo un’improvvida teoria economica in legge naturale, perfino divina. Moriremo, certo, ma in cambio il Paradiso ci aspetta. Soprattutto ci aspetta se non cadremo nel vizio disinvoltamente rinfacciato agli indebitati-impoveriti: la “fatica delle riforme” (reform fatigue), peccato sempre in agguato quando i governi «sono alle prese con resistenze sociali molto forti». Quando siamo ingrati, come Atene, alle iniezioni di liquidità che l’Unione offre a chi fa bancarotta: nel caso greco, due bailout tardivi, legati a pacchetti deflazionistici monitorati dalla trojka. I contribuenti tedeschi hanno già dato troppo, dicono in Germania. Non è vero, i contribuenti non hanno pagato alcunché perché di prestiti si tratta, anche se a tassi agevolati e destinati in primis alle banche.Difficile dar torto alle “forti resistenze sociali”, se solo guardiamo le cifre fornite su “Lancet” dai ricercatori delle università britanniche di Cambridge, Oxford e Londra. A causa della malnutrizione, della riduzione dei redditi, della disoccupazione, della scarsità di medicine negli ospedali, dell’accesso sempre più arduo ai servizi sanitari (specie per le madri prima del parto) le morti bianche dei lattanti sono aumentate fra il 2008 e il 2010 del 43%. Il numero di bambini nati sottopeso è cresciuto del 19 %, quello dei nati morti del 20. Al tempo stesso muoiono i vecchi, più frequentemente. Fra il 2008 e il 2012, l’incremento è del 12,5 fra gli 80-84 anni e del 24,3 dopo gli 85. E s’estende l’Aids, perché la distribuzione di siringhe monouso e profilattici è bloccata. Malattie rare o estinte ricompaiono, come la Tbc e la malaria (quest’ultima assente da 40 anni. Mancano soldi per debellare le zanzare infette).La rivista inglese accusa governi e autorità europee, ed elogia i paesi come Islanda e Finlandia che hanno respinto i diktat del Fondo Monetario o dell’Unione. Dopo la crisi acuta del 2008, Reykjavik disse no alle misure che insidiavano sanità pubblica e servizi sociali, tagliando altre spese scelte col consenso popolare. Non solo: capì che la crisi minacciava la sovranità del popolo, e nel 2010-2011 ridiscusse la propria Costituzione mescolando alla democrazia rappresentativa una vasta sperimentazione di democrazia diretta. Non così in Grecia. L’Unione l’ha usata come cavia: sviluppi islandesi non li avrebbe tollerati. Proprio nel paese dove Europa nacque come mito, assistiamo a un’ecatombe senza pari: una macchia che resterà, se non cambiano radicalmente politiche e filosofie ma solo questo o quel parametro.Il popolo sopravvive grazie all’eroismo di Ong e medici volontari (tra cui Médecins du Monde, fin qui attivi tra gli immigrati): i greci che cercano soccorso negli ospedali “di strada” son passati dal 3-4% al 30%. S’aggiungono poi i suicidi, in crescita come in Italia: fra il 2007 e il 2011 l’aumento è del 45%. In principio s’ammazzavano gli uomini. Dal 2011 anche le donne. “Lancet” non è ottimista sugli altri paesi in crisi. La Spagna, cui andrebbe assommata l’Italia, è vicina all’inferno greco. Alexander Kentikelenis, sociologo dell’università di Cambridge che con cinque esperti scrive per la rivista il rapporto più duro, spiega come il negazionismo sia diffuso, e non esiti a screditare le più serie ricerche scientifiche (un po’ come avviene per il clima). L’unica istituzione che si salva è il Centro europeo di prevenzione e controllo delle malattie, operativo dal 2005 a Stoccolma.La Grecia prefigura il nostro futuro prossimo, se le politiche del debito non mutano; se scende ancora la spesa per i servizi sociali. Anche in Italia esistono ospedali di volontari, come Emergency. La luce in fondo al tunnel è menzogna impudente. Senza denunciarla, Renzi ha intronizzato ieri la banalità: «L’Europa non dà speranza se fatta solo di virgole e percentuali» – «l’Italia non va a prendere la linea per sapere che fare, ma dà un contributo fondamentale». Nessuno sa quale contributo. Scrive l’economista Emiliano Brancaccio che i nostri governi «interpretano il risanamento come fattore di disciplinamento sociale». Ma forse le cose stanno messe peggio: il risanamento riduce malthusianamente le popolazioni, cominciando da bambini e anziani.Regna l’oblio storico di quel che è stata l’Europa, del perché s’è unita. Dimentica anche la Germania, che pure vive di memoria. Dopo il ‘14-18 fu trattata come oggi la Grecia: sconfitto, il paese doveva soffrire per redimersi. Solo Keynes insorse, indignato. Nel 1919 scrisse: «Se diamo per scontata la convinzione che la Germania debba esser tenuta in miseria, i suoi figli rimanere nella fame e nell’indigenza [...], se miriamo deliberatamente all’umiliazione dell’Europa centrale, oso farmi profeta, la vendetta non tarderà». La vendetta non tardò a farsi viva, ed è il motivo per cui ben diversa e più saggia fu la risposta nel secondo dopoguerra. Quella via andrebbe ripercorsa e potrebbe sfociare in una Conferenza europea sul debito, che condoni ai paesi in difficoltà parte dei debiti, connetta i rimborsi alla crescita, dia all’Unione poteri politici e risorse per lanciare un New Deal di ripresa collettiva e ecosostenibile. È già accaduto, in una conferenza a Londra che nel 1953 ridusse quasi a zero i debiti di guerra della Germania. I risultati non produssero morte, ma vita. Fecero rinascere la democrazia tedesca. Non c’era spazio, a quei tempi, per i Pangloss che oggi tornano ad affollare le scene.(Barbara Spinelli, “Gli invisibili d’Europa”, da “La Repubblica” del 26 febbraio 2014, intervento ripreso da “Micromega”).«Il dolore sta producendo risultati»: fa impressione, proprio ora che è divenuto ministro dell’economia, rileggere quel che Pier Carlo Padoan disse il 29 aprile 2013 al “Wall Street Journal”, quando era vice segretario generale dell’Ocse. Già allora i dati sull’economia reale smentivano una così impudente glorificazione dell’austerità – e addirittura dei patimenti sociali che infliggeva – ma l’ultimo numero di “Lancet”, dedicato alla sanità pubblica in Grecia dopo sei anni di Grande Depressione, va oltre la semplice smentita. Più che correggersi, il ministro farebbe bene a scusarsi di una frase atroce che irresistibilmente ricorda Pangloss, quando imperterrito rassicura Candide mentre Lisbona è inghiottita dal terremoto raccontato da Voltaire: «Queste cose sono il meglio che possa accadere. La caduta dell’uomo e la maledizione entrano necessariamente nel migliore dei mondi possibili».