Archivio del Tag ‘Nicola Zingaretti’
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Matteocrazia: Renzi e Salvini partner perfetti nel Circo Italia
Tu chiamala, se vuoi, Matteocrazia. Chi meglio di Salvini, per resuscitare Renzi? E chi meglio di Renzi, per aiutare Salvini ad allenarsi all’opposizione? Tramontato nonno Silvio, in giro non ci sono altri protagonisti: a meno che qualcuno non pensi, davvero, che sia qualcosa di diverso da una comparsa di lusso il professor-avvocato Giuseppe Conte, provvisoriamente miracolato dall’incerta lotteria dei sondaggi. L’altro vero protagonista, Beppe Grillo, gioca comodamente da casa, col telecomando con cui pilota la spaurita scolaresca grillina, fino a ieri guidata (in apparenza) dal capoclasse Di Maio, ora eclissato al ministero degli esteri, lasciando il mestiere diplomatico a Conte, Mattarella e Gentiloni. Altri? Non pervenuti, se non a spiccioli: il nano-liberismo all’italiana di Carlo Calenda, il mausoleo della fu sinistra di Bersani e Zingaretti, la piccola destra di complemento capitanata da Giorgia Meloni. Bipolarismo onomastico, Salvini e Renzi: coppia perfetta per reggere il palcoscenico. Il buono e il cattivo: intercambiabili, a seconda della platea. Il poeta e il contadino, il bizantino Machiavelli e il guerriero padano di Pontida.I due Mattei, in fondo, sono gli unici padroni della scena. Il fiorentino si gode la recentissima, spericolata conquista del ring. Ha letteralmente sfrattato Zingaretti, azzerato Di Maio, atterrito Conte. Un uno-due magistrale: prima il governo coi profughi grillini, poi il divorzio dal rottamificio. Uno spettacolo che deve aver letteralmente deliziato il competitore omonimo, impegnato nel facilissimo bombardamento quotidiano contro l’osceno partito trasversale delle poltrone. Che fortuna, per Salvini, scoprire in Renzi il partner ideale per recitare la commedia, in questa Italia in cui svettano giganti del pensiero politico come Marco Travaglio, Lilli Gruber e Corrado Formigli, per oltre un anno impegnati nel supremo cimento antifascista, antisovranista e antirazzista, ingaggiato con indomito coraggio per la salvezza morale, politica e spirituale della nazione. Come non chiamarli eroi, sentinelle della democrazia italiana? E’ grazie a loro, dopotutto, se il Belpaese è rimasto in Europa anziché essere annesso all’Impero Zarista, potendo oggi godere dell’immenso prestigio internazionale assicurato da statisti del calibro di Conte e Gentiloni, di cui parleranno per secoli i libri di storia.Questa coraggiosa battaglia per la libertà italiana è stata combattuta non esattamente in solitudine, certo: gli impavidi opliti della resistenza cartacea e radiotelevisiva hanno potuto beneficiare delle testate Rai, Mediaset e La7, del “Corriere” e di “Repubblica”, della “Stampa” e del “Fatto”. Giusta causa: cacciare l’usurpatore e impedire che il paese sprofondasse nella barbarie. Che meraviglia, oggi, ritrovare i vecchi amici dell’Italia, dalla Merkel a Macron, fino alla diletta Ursula, novella condottiera della gloriosa Unione Europea che tante gioie ha regalato agli italiani. Se però la festa ha un sapore imperfetto, con un che di beffardo, forse dipende proprio dall’inatteso avvento della nuovissima Matteocrazia. Si possono immaginare, le risate dei due Mattei, di fronte allo spettacolo di Salvini e Zingaretti alle prese con il terrore delle imminenti elezioni regionali, in cui si tenteranno alleanze elusive e mimetiche, deboli e perdenti. Il povero Conte già traballa: finito di negoziare ogni virgola col Matteo di ieri, gli tocca ricominciare col Matteo di oggi. Se non altro, il patetico avanspettacolo ha regalato al pubblico una verità: sono in pista gli unici due politici capaci di pensare, rischiare e decidere. E’ la Matteocrazia, appunto. E i vari Travaglio, Gruber e Formigli non possono davvero farci niente.Tu chiamala, se vuoi, Matteocrazia. Chi meglio di Salvini, per resuscitare Renzi? E chi meglio di Renzi, per aiutare Salvini ad allenarsi all’opposizione? Tramontato nonno Silvio, in giro non ci sono altri protagonisti: a meno che qualcuno non pensi, davvero, che sia qualcosa di diverso da una comparsa di lusso il professor-avvocato Giuseppe Conte, provvisoriamente miracolato dall’incerta lotteria dei sondaggi. L’altro vero protagonista, Beppe Grillo, gioca comodamente da casa, col telecomando con cui pilota la spaurita scolaresca grillina, fino a ieri guidata (in apparenza) dal capoclasse Di Maio, ora eclissato al ministero degli esteri, lasciando il mestiere diplomatico a Conte, Mattarella e Gentiloni. Altri? Non pervenuti, se non a spiccioli: il nano-liberismo all’italiana di Carlo Calenda, il mausoleo della fu sinistra di Bersani e Zingaretti, la piccola destra di complemento capitanata da Giorgia Meloni. Bipolarismo onomastico, Salvini e Renzi: coppia perfetta per reggere il palcoscenico. Il buono e il cattivo: intercambiabili, a seconda della platea. Il poeta e il contadino, il bizantino Machiavelli e il guerriero padano di Pontida.
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Magaldi: Vox Fusaro e Renzi-2, niente di nuovo per l’Italia
Tanti anni fa, il sociologo inglese Anthony Giddens vaticinava le “magnifiche sorti e progressive” della Terza Via, a metà strada tra socialismo e capitalismo. Traduzione pratica: negli ultimi decenni, la sinistra s’è messa a completo servizio della destra economica neoliberale. Capoclasse Tony Blair, seguito da Bill Clinton e Massimo D’Alema. Ultimi della fila, Matteo Renzi e Carlo Calenda, che è una specie di Renzi-bonsai «regolarmente “bruciato” e battuto sul tempo dal Renzi originale», osserva Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Peraltro, al clamore del mainstream per l’annuciato divorzio di Renzi dal Pd non corrispondono certo numeri entusiasmanti: le previsioni oscillano fra il 3 il 5% al massimo». In altre parole: un modo come un altro per non andare da nessuna parte, «non avendo niente di nuovo da offrire agli italiani, per giunta dopo averli malgovernati». Nessuna novità, secondo Magaldi, neppure dall’altra notizia che – in piccolo, su “ByoBlu” – si è affacciata nell’agenda politica: la nascita di Vox Italia, esperimento firmato da Diego Fusaro. «Peccato – dice Magaldi – che un intellettuale così colto non proponga altro che un “rossobrunismo nazionalsocialista”: a che serve bocciare l’imperante neoliberismo, se poi si prospetta un ritorno al tradizionalismo nazionalista e illiberale?».
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L’Ultima Fregatura, nuovo film di Renzi nella caverna-Italia
Sarà contento, il travaglismo nazionale, di aver tolto a Salvini le chiavi del governo per riconsegnarle a Renzi. Era il IV secolo avanti Cristo quando Platone inventò il cinema, con il Mito della Caverna: quella disegnata sulla parete non è la realtà, sono solo le ombre proiettate dal fuoco. Il mondo vero, tridimensionale, è là fuori: ad andare in scena nella grotta è un semplice spettacolo. Si può cadere in errore, certo. Dipende anche dal talento del proiezionista. Il Mago di Rignano, ad esempio, ne ha da vendere: superò il 40% dei suffragi dopo aver elargito la mancia degli 80 euro, brillando nell’arte cabarettistica in cui si sarebbe cimentato Di Maio. Poco dopo, nell’estate 2016, dal cinema si passò al teatro: uno spettacolare vertice con la Merkel e Hollande, sul ponte della portaerei Garibaldi al largo di Ventonene, per celebrare la farsa dell’unità europea evocando abusivamente il fantasma di Altiero Spinelli, padre del federalismo europeo del Novecento. Un pretesto altamente scenografico, con una missione illusionistica: spacciare per Europa Unita l’aborto dell’attuale Disunione Europea, di cui l’Italia – da Renzi a Conte – si candida a restare servitrice sottomessa e depredabile.
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Prima i migranti: così Pd e Leu suicideranno il Conte-bis
Se la sinistra è crollata nei consensi negli ultimi anni non è perché Renzi è antipatico, come vogliono far credere i suoi nemici nel Pd e quanti li sostengono. I dem sono precipitati perché nei sette anni in cui hanno governato si sono fatti travolgere dalla crisi economica e dall’invasione degli immigrati. Anziché provare a gestire le due questioni, la sinistra si è consegnata all’Europa, dalla quale si è fatta dirigere. Naturalmente, gli Stati Ue che contano, Germania e Francia, hanno pensato ai propri interessi e non ai nostri; quindi, da una parte hanno salvato le loro banche, lasciando fallire quelle italiane e girando il conto ai risparmiatori truffati, dall’altra ci hanno abbandonati nella gestione dei profughi, arrivando perfino a sospendere il Trattato di Schenghen affinché nessun migrante potesse uscire dal Bel Paese. Questo ha fatto sì che in Italia montasse un profondo risentimento verso le classi dirigenti della sinistra, genericamente ed erroneamente definito odio anti-casta. Era più semplicemente la sensazione di inadeguatezza e distanza dalla realtà che la sinistra ha ha suscitato nei cittadini, i quali hanno cominciato a realizzare che i governi dem avevano arricchito i ricchi e lasciato indietro tutti gli altri, dando in più la sensazione di occuparsi più dei poveri immigrati che dei poveri italiani, che intanto aumentavano.Le persone erano terrorizzate dalla crisi, dalla mancanza di lavoro e dall’enorme flusso di disperati dal mare e la sinistra provava a convincerle che gli immigrati fossero delle risorse e ci avrebbero salvato e che gli arrivi non fossero arginabili. Come a dire: meglio gli africani di voi. Inevitabilmente il 4 marzo 2018 gli elettori hanno punito il Pd votando M5S per bocciare la casta e tornare allo Stato assistenziale e Lega per fermare gli immigrati e avere meno tasse. Subito si è capito che i grillini non erano all’altezza del compito e pertanto i consensi si sono spostati su Salvini. Matteo ha avuto il merito di scegliere per sé il ministero dell’Interno e di imbroccare la politica migratoria, riducendo sbarchi e morti in mare, combattendo Ong e scafisti e dando la sensazione che al governo ci fosse finalmente qualcuno intenzionato a fermare gli ingressi di clandestini. Pd e Leu non hanno capito la lezione e per 14 mesi hanno insultato il leader leghista, dandogli del razzista, mentre l’89% degli italiani ne condivide la linea. Una volta tornata al governo nel modo in cui tutti sappiamo, la sinistra ha iniziato a ripetere gli errori che l’hanno affossata.Zingaretti, Veltroni, Bersani e Letta hanno dichiarato di voler aprire tutti i porti, introdurre lo ius soli e riavviare la macchina dell’accoglienza che piace alla Chiesa, alle Ong e alle cooperative che fanno affari con i migranti, nonché agli scafisti. A parole il Pd riconosce – e come potrebbe fare diversamente? – che la sua gestione dell’immigrazione è stata un fallimento. Però, anziché scusarsi e farsi umilmente da parte, la sinistra la rivendica nuovamente per sé, per di più con arroganza. L’effetto immediato è stato che la Lega, dopo un piccolo calo dovuto alla difficoltà di Salvini nello spiegare perché era uscito dal governo senza riuscire a ottenere nuove elezioni, è risalita nei sondaggi. Prevedibile: non c’è come lasciar governare M5S e Pd per suscitare nei più la nostalgia per il leader leghista. Delirante la proposta dell’ex premier Enrico Letta, quello che ha trasformato Lampedusa in un campo profughi a cielo aperto. Egli auspica di sottoscrivere, proprio sull’isola simbolo dell’abbandono dell’Italia da parte della Ue, un trattato europeo per la distribuzione degli arrivi.Il prode piddino non si preoccupa di arginare il flusso di arrivi, creare le condizioni perché gli africani non abbandonino e lascino morire il loro continente, che è grande tre volte l’Europa, e ospitare, come fanno tutte le nazioni civili, solo una quota selezionata di immigrati l’anno, quella necessaria all’economia degli Stati. No; lui è impegnato a lanciare un nuovo spot delle frontiere aperte a tutti i disgraziati del mondo: «Venite in Europa, in qualche modo vi distribuiamo tutti, un po’di qua, un po’di là». Enrico sta sereno dopo la sua pensata, ma lui ci è abituato. Noi no, e non vorremmo lasciare il posto a qualcun altro come ha fatto lui. Dopo anni di studi e lezioni a Parigi, Letta si sente non più pisano, ma international. Si è anche scagliato contro la Commissione per la Difesa dello stile di vita europeo, voluta dalla Von der Leyen. «Questo proprio no», ha twittato come fosse il demonio. Ma senza uno stile di vita, e quindi una cultura comune, l’Europa resterà sempre un’unione economica di Paesi sull’orlo del fallimento che si fanno concorrenza tra loro mentre il resto del mondo fa i soldi. Con il più forte che picchia il più debole. Imbevuti di multiculturalismo, Letta e il Pd queste cose non le capiscono più. Sognano un’Europa dalle frontiere ininterrottamente aperte e senza identità, dove tutti sono diversi e quindi uguali. Stanno facendo i conti senza l’oste: le persone non vogliono questo, e i primi a non votarli sono proprio gli extracomunitari riusciti a diventare cittadini.(Pietro Senaldi, “Pd e Leu si suicidano sui migranti”, da “Libero” del 14 settembre 2019).Se la sinistra è crollata nei consensi negli ultimi anni non è perché Renzi è antipatico, come vogliono far credere i suoi nemici nel Pd e quanti li sostengono. I dem sono precipitati perché nei sette anni in cui hanno governato si sono fatti travolgere dalla crisi economica e dall’invasione degli immigrati. Anziché provare a gestire le due questioni, la sinistra si è consegnata all’Europa, dalla quale si è fatta dirigere. Naturalmente, gli Stati Ue che contano, Germania e Francia, hanno pensato ai propri interessi e non ai nostri; quindi, da una parte hanno salvato le loro banche, lasciando fallire quelle italiane e girando il conto ai risparmiatori truffati, dall’altra ci hanno abbandonati nella gestione dei profughi, arrivando perfino a sospendere il Trattato di Schenghen affinché nessun migrante potesse uscire dal Bel Paese. Questo ha fatto sì che in Italia montasse un profondo risentimento verso le classi dirigenti della sinistra, genericamente ed erroneamente definito odio anti-casta. Era più semplicemente la sensazione di inadeguatezza e distanza dalla realtà che la sinistra ha ha suscitato nei cittadini, i quali hanno cominciato a realizzare che i governi dem avevano arricchito i ricchi e lasciato indietro tutti gli altri, dando in più la sensazione di occuparsi più dei poveri immigrati che dei poveri italiani, che intanto aumentavano.
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Giuseppe, stai sereno: Renzi, addio al Pd e avviso a Conte
Giuseppe, stai sereno: «Sosterrò convintamente il governo Conte-bis». Così Matteo Renzi, nell’annunciare al premier il divorzio dal Pd: «Formeremo due gruppi parlamentari, uno di 25 deputati alla Camera e un altro tra i 12-15 senatori a Palazzo Madama. Due nuovi soggetti che saranno decisivi per la maggioranza e per il governo», afferma l’ex rottamatore, decisivo – insieme a Grillo – per la nascita del governo giallorosso, e ora (più che mai) vero padrone dell’esecutivo. Un governo-mostro, voluto da Bruxelles e dell’establishment italiano per centrare tre obiettivi: fermare la corsa di Salvini, rinnovare le centinaia di super-cariche di Stato in scadenza nel 2020 e ipotecare il successore di Mattarella al Quirinale. Campane a morto per Zingaretti, e doccia fredda anche dai sondaggi. Mentre il nuovo partito di Renzi faticherebbe a raggiungere il 5%, secondo la Swg (rilevazione diffusa da Mentana su “La7”) la Lega “scippata” del voto sta dominando la scena (34%), con Fratelli d’Italia al 7% e Forza Italia poco sotto il 6%. Galleggia attorno al 20% il fantasma del Movimento 5 Stelle, mentre il Pd (al 21,5%) ora subirà il salasso renziano. «Solo chi è a digiuno di politica – dice Renzi – non capisce questa mia scelta». Nell’esecutivo ha alcuni dei suoi che molto probabilmente lo seguiranno: due ministre, Teresa Bellanova (agricoltura) e Elena Bonetti (famiglia), la viceministra Anna Ascani e il sottosegretario Ivan Scalfarotto.Secondo il “Fatto Quotidiano”, tra i deputati accreditati nel club renziani figura Roberto Giachetti, dimessosi dalla direzione Pd, che porterà con sé la Ascani insieme a Nicola Carè, Luciano Nobili, Gianfranco Librandi e Michele Anzaldi. Con Renzi la fedelissima Maria Elena Boschi insieme a Mattia Mor e Marco Di Maio. Poi Ettore Rosato, Luigi Marattin, Lucia Annibali, Silvia Fregolent, Mauro Del Barba e Gennario Migliore. Tra i senatori si parla di Francesco Bonifazi, Tommaso Cerno, Davide Faraone, Nadia Ginetti, Eugenio Comincini e Mauro Laus. «Nessun timore della concorrenza al centro di un’eventuale soggetto creato da Carlo Calenda insieme a Matteo Richetti». Dario Franceschini, tra i registi del Conte-bis, evoca i peggiori fantasmi del Novecento: «Negli anni Venti le divisioni dei partiti li resero deboli fino a far trionfare Mussolini, la storia dovrebbe insegnarci a non ripetere gli errori». Alcuni renziani, peraltro, resteranno nel Pd come spine nel fianco di Conte e Zingaretti: restano al loro posto Luca Lotti e Lorenzo Guerini, neo-ministro della difesa, insieme al sindaco fiorentino Dario Nardella. Secondo l’arcinemico Enrico Letta, la scissione è «una cosa non credibile», perché «non c’è alcuno spazio per una scissione a freddo». Per Luigi Zanda, lo strappo è «un trauma».Al “Times”, Renzi ha dichiarato: «Siamo 1 a 0 contro il populismo: è importante sconfiggere Salvini fra la gente, non solo politicamente». Operazione ampiamente annunciata, nelle scorse settimane, dal saggista Gianfranco Carpeoro: «Il grande potere massonico reazionario delle Ur-Lodges, a cui Renzi si era rivolto inutilmente quando era premier, gli aveva promesso di farlo finalmente entrare nel grande giro se fosse riuscito a sabotare il governo gialloverde». C’è riuscito mostrando straordinaria prontezza, aiutato dalla cinica disinvoltura del suo “socio”, Beppe Grillo, che ha “suicidato” i 5 Stelle nell’abbraccio col Pd. Ora siamo al secondo step: azzoppati i gialloverdi, Renzi passa a demolire il Pd zingarettiano. Messaggio rivelatore: le sue rassicurazioni a Conte. «Renzi è un fuoriclasse, nell’arte politica dell’imbroglio», ricorda Carpeoro: dopo aver giocato Bersani, Berlusconi e Letta, aveva giurato agli italiani che si sarebbe ritirato dalla politica dopo aver perso il referendum del 2016. Ora promette fedeltà a Conte. Capeoro rinnova il suo pronostico: il governo durera 90 giorni, al più tardi cadrà a gennaio. Su Palazzo Chigi incombe Mario Draghi, mentre Romano Prodi sogna il Quirinale. E intanto Salvini ha ripreso a volare nei sondaggi.Giuseppe, stai sereno: «Sosterrò convintamente il governo Conte-bis». Così Matteo Renzi, nell’annunciare al premier il divorzio dal Pd: «Formeremo due gruppi parlamentari, uno di 25 deputati alla Camera e un altro tra i 12-15 senatori a Palazzo Madama. Due nuovi soggetti che saranno decisivi per la maggioranza e per il governo», afferma l’ex rottamatore, determinante – insieme a Grillo – per la nascita del governo giallorosso, e ora (più che mai) vero padrone dell’esecutivo. Un governo-mostro, voluto da Bruxelles e dell’establishment italiano per centrare tre obiettivi: fermare la corsa di Salvini, rinnovare le centinaia di super-cariche di Stato in scadenza nel 2020 e ipotecare il successore di Mattarella al Quirinale. Campane a morto per Zingaretti, e doccia fredda anche dai sondaggi. Mentre il nuovo partito di Renzi faticherebbe a raggiungere il 5%, secondo la Swg (rilevazione diffusa da Mentana su “La7”) la Lega “scippata” del voto sta dominando la scena (34%), con Fratelli d’Italia al 7% e Forza Italia poco sotto il 6%. Galleggia attorno al 20% il fantasma del Movimento 5 Stelle, mentre il Pd (al 21,5%) ora subirà il salasso renziano. «Solo chi è a digiuno di politica – dice Renzi – non capisce questa mia scelta». Nell’esecutivo ha alcuni dei suoi che molto probabilmente lo seguiranno: due ministre, Teresa Bellanova (agricoltura) e Elena Bonetti (famiglia), la viceministra Anna Ascani e il sottosegretario Ivan Scalfarotto.
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Carpeoro: Draghi a Palazzo Chigi e poi Prodi al Quirinale
«Ancora state a sentire quel che dicono i politici? Prendete i 5 Stelle: non si erano presentati come quelli che dovevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno? E se io mi presentassi come Brigitte Bardot, sarei credibile?». Come dire: è peggio il politico cialtrone o l’elettore che gli crede? Con il consueto gusto per il paradosso, Gianfranco Carpeoro regala fotogrammi personalissimi di quest’Italia scassata e tragicomica: «Potremmo trovarci Mario Draghi a Palazzo Chigi e Romano Prodi al Quirinale. Servirà una buona dose di bicarbonato». Massone, saggista, attento osservatore dei retroscena del potere, Carpeoro conferma le sue previsioni: il Conte-bis «durerà appena 90 giorni, al più tardi andrà a casa a gennaio». Magari per “merito” di Matteo Renzi, sponsor del governo giallorosso al 50% con Beppe Grillo, che ha spinto i suoi parlamentari tra le braccia del vituperatissimo Pd. E’ serio, tutto questo? Forse no, però resta un fatto: questa è la minestra che passa il convento. «E Renzi è stato ancora una volta il più lesto ad approfittarne, anche se Salvini aveva comunque preparato a tavolino la caduta dell’esecutivo gialloverde, d’intesa con Zingaretti».Constatazioni a margine: una volta di più – dice Carpeoro, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – bisogna ammettere che Renzi «è un autentico fuoriclasse, nell’arte politica di fregare il prossimo». E’ riuscito a tagliare le gambe a Zingaretti mantenendo il controllo dei parlamentari Pd, ma anche a costringere i 5 Stelle al matrimonio d’interesse con l’odiato “partito di Bibbiano”, oltre a che ad allontanare le elezioni anticipate per le quali scalpitava Salvini. Ora sembra rimasto escluso dai giochi di potere per la conquista dei sottosegretari. Ma è solo apparenza, avverte Carpeoro: «Siete sicuri che volesse davvero metterci i suoi fedelissimi, in questi posti? Lui e la Boschi l’avevano detto subito: non ci sarebbero entrati, nel Conte-bis». Hanno un piano alternativo? «Probabile. Tra un po’, Renzi potrebbe staccarsi dal Pd e creare gruppi parlamentari autonomi». Un’eventuale accelerazione dell’instabilità non farebbe che dare consistenza alla “profezia” di Carpeoro: elezioni anticipate in primavera. E poi magari un bel governo tecnico, con Draghi al posto di Conte. Gran finale: Prodi al Quirinale dopo Mattarella? «Sicuramente Prodi ci spera». Ma lui e Draghi non sono la stessa cosa: «La finanza laica e la finanza cattolica restano aree di potere distinte, anche se poi magari a volte fanno le stesse cose».Su un punto, Carpeoro insiste: oltre a Grillo, decisivo per far convergere i pensastellati verso l’inciucio, il vero regista italiano del Conte-bis è Matteo Renzi. Ma non doveva essere ampiamente defunto? «Sia che si tratti di lui o di Berlusconi, o di chiunque altro sia al vertice, il vizio imperdonabile di molti italiani sta nella demonizzazione di chi comanda: l’uomo al governo viene sommerso di insulti». Col Cavaliere, prima ancora delle notti brave di Arcore, si parlò di maxi-tangenti inesistenti e persino di mafia. «Poi però s’è visto che tipo di ruolo fosse persino quello di Dell’Utri: in realtà Berlusconi fu minacciato, dalla mafia». A Craxi tirarono le monetine, mentre Renzi è stato denigrato in modo spietato. «Tutto questo – dice Carpeoro – perché non si voleva ammettere che avesse la stoffa del leader e che fosse arrivato ai vertici». Vizio italico: scatenare la macchina del fango, per negare l’evidenza. In controluce: debolezza politica del sistema. «Si ricorre all’insulto quando non si ha il coraggio di sfidare l’avversario sul terreno politico». Non che abbia ben governato, Renzi. Idem Berlusconi. Ma chi ha fatto loro la guerra, ora dov’è? I 5 Stelle sono a tavola col “partito della Boschi”. E il governo è appaltato allo sconosciuto Conte, amico di Macron e della Merkel più che degli italiani. Bel risultato, davvero.«Ancora state a sentire quel che dicono i politici? Prendete i 5 Stelle: non si erano presentati come quelli che dovevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno? E se io mi presentassi come Brigitte Bardot, sarei credibile?». Come dire: è peggio il politico cialtrone o l’elettore che gli crede? Con il consueto gusto per il paradosso, Gianfranco Carpeoro regala fotogrammi personalissimi di quest’Italia scassata e tragicomica: «Potremmo trovarci Mario Draghi a Palazzo Chigi e Romano Prodi al Quirinale. Servirà una buona dose di bicarbonato». Massone, saggista, attento osservatore dei retroscena del potere, Carpeoro conferma le sue previsioni: il Conte-bis «durerà appena 90 giorni, al più tardi andrà a casa a gennaio». Magari per “merito” di Matteo Renzi, sponsor del governo giallorosso al 50% con Beppe Grillo, che ha spinto i suoi parlamentari tra le braccia del vituperatissimo Pd. E’ serio, tutto questo? Forse no, però resta un fatto: questa è la minestra che passa il convento. «E Renzi è stato ancora una volta il più lesto ad approfittarne, anche se Salvini aveva comunque preparato a tavolino la caduta dell’esecutivo gialloverde, d’intesa con Zingaretti».
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Carpeoro: Salvini cala? Entro 90 giorni si torna a votare
«Il Conte-bis durerà appena tre mesi: entro 90 giorni lo scenario-elezioni diventerà probabile al 99%». Lo afferma Gianfranco Carpeoro, attento osservatore dei retroscena italiani. L’indizio: l’erosione del consenso di Salvini, ora che non è più sovraesposto, sui media, come ministro dell’interno impegnato nello stop agli sbarchi dei migranti. Il ragionamento: non appena i sondaggi confermeranno il trend – sfavorevole alla Lega, e con piccoli segnali di ripresa per la concorrenza – Pd e 5 Stelle romperanno il patto per tornare alle urne. Se questo accadrà «a fine anno, o al più tardi a gennaio», sullo sfondo sarà presente un convitato di pietra, Mario Draghi, che a novembre si sarà disimpegnato dalla guida della Bce. Già nei mesi scorsi, Carpeoro aveva segnalato l’esistenza di un piano-Draghi: forti pressioni sul super-banchiere, da parte delle superlogge più reazionarie, per spingerlo verso Palazzo Chigi. Ipotesi che secondo alcune fonti Draghi non gradirebbe, mirando il realtà al Quirinale, dopo Mattarella (e un uomo accorto come Draghi sa benissimo che la guida del governo potrebbe renderlo impopolare, fino a precludergli il Colle). Per contro, con le elezioni antcipate Zingaretti si libererebbe di Renzi.Più che le trame della sovragestione internazionale – dice Carpeoro, in streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – potrebbero pesare molto, nella partita italiana, gli interessi di bottega dei partiti in lizza. «Nessuno di questi, nemmeno la Lega, ha una visione strategica della situazione: nessuno dice come vorrebbe l’Italia tra dieci anni, e il peggio è che a non chiederglielo sono proprio gli italiani, in primis, che si accontentano di aspetti superficiali e irrilevanti». Esempio: «Può spostare voti il solo fatto che Di Maio si faccia fotografare mano nella mano con la fidanzata». Idem, ieri, le “barricate” di Salvini contro gli sbarchi: «E’ semplicemente da coglioni – dice Carpeoro, letteralmente – pensare che un problema come l’immigrazione si possa risolvere solo proibendo ai migranti di sbarcare: da che mondo è mondo l’uomo si sposta, e il Sacro Romano Impero nacque dalle invasioni barbariche, che altro non erano che forme – anche violente – di immigrazione». Il problema? «Non è stata mai creata un’agenzia per gestire l’immigrazione, capendo da cosa è originata, da quali paesi, per quali motivi. I problemi vanno governati: il non-governo è la soluzione peggiore, quella che danneggia tutti, migranti e italiani».Con mesi di anticipo sui recenti sviluppi della crisi di governo, Carpeoro aveva avvertito: «C’è un piano di origine supermassonica, che coinvolge Renzi e Grillo, per far fuori Salvini». Di fronte alla rottura decisa dal leader leghista, Carpeoro non ha avuto esitazioni nell’interpretarla come una scelta obbligata: «Salvini ha capito che, se fosse rimasto al governo, l’avrebbero cucinato a fuoco lento entro la fine dell’anno». Indagini a tappeto, Russiagate, stop alla Flat Tax, niente autonomia per Lombardia e Veneto: sarebbe stato costretto a deludere i suoi elettori. Ora, Pd e M5S si sono “attovagliati” con un programma ridicolo, inconsistente, e quindi applaudito da tutti i grandi poteri europei, che fingono di scambiare Giuseppe Conte per uno statista. Prima spettacolare mossa, ampiamente sbandierata: il taglio dei parlamentari. «Quel provvedimento – ricorda Carpeoro – era incluso nel famoso Piano di Rinascita Democratica della P2 di Licio Gelli. Ma quello che non si dice – aggiunge l’avvocato – è che la riduzione dei parlamentari fu ripresa pari pari dal piano di Gelli nella proposta di riforma avanzata dai magistrati di Mani Pulite. Era stato uno di loro, Gherardo Colombo, a scoprire quel piano a Villa Wanda: e il bello è che Colombo spedì a fare la perquisizione un capitano della Guardia della Finanza, che poi risultò lui stesso membro della P2».«Il Conte-bis durerà appena tre mesi: entro 90 giorni lo scenario-elezioni diventerà probabile al 99%». Lo afferma Gianfranco Carpeoro, attento osservatore dei retroscena italiani. L’indizio: l’erosione del consenso di Salvini, ora che non è più sovraesposto, sui media, come ministro dell’interno impegnato nello stop agli sbarchi dei migranti. Il ragionamento: non appena i sondaggi confermeranno il trend – sfavorevole alla Lega, e con piccoli segnali di ripresa per la concorrenza – Pd e 5 Stelle romperanno il patto per tornare alle urne. Se questo accadrà «a fine anno, o al più tardi a gennaio», sullo sfondo sarà presente un convitato di pietra, Mario Draghi, che a novembre si sarà disimpegnato dalla guida della Bce. Già nei mesi scorsi, Carpeoro aveva segnalato l’esistenza di un piano-Draghi: forti pressioni sul super-banchiere, da parte delle superlogge più reazionarie, per spingerlo verso Palazzo Chigi. Ipotesi che secondo alcune fonti Draghi non gradirebbe, mirando il realtà al Quirinale, dopo Mattarella (e un uomo accorto come Draghi sa benissimo che la guida del governo potrebbe renderlo impopolare, fino a precludergli il Colle). Per contro, con le elezioni antcipate Zingaretti si libererebbe di Renzi.
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Mangia: i veri padroni a cui risponde “l’avvocato del popolo”
La formazione di un governo è dipesa per 75 minuti dall’annuncio dell’esito di un sondaggio gestito da una società privata; il partito che per 18 mesi si è fatto paladino delle democrazia rappresentativa, e che in questi giorni ha ricordato a tutti le regole della democrazia parlamentare, voterà a breve la riduzione dei parlamentari; e ormai la Lega, pur di mettere in luce quel che è successo, cita Mortati e la presunzione di consonanza tra Parlamento e corpo elettorale. E’ roba che è morta e sepolta da quando Mattarella ha annunciato in televisione l’esistenza di una pregiudiziale europea, per cui non può fare il ministro chi, nella sua vita precedente, abbia mai criticato l’Unione Europea. Davvero ha ragione Mario Esposito a dire che ormai l’Ue fa parte della forma di governo italiana. È che se ne sono accorti in pochi, anche se è sotto gli occhi di tutti. Bisognerà, prima o poi, fare una riflessione sul ruolo della presidenza della Repubblica, e su cosa è diventata. La vera ragion d’essere di questo governo è anestetizzare per un po’ la situazione italiana, dopo le preoccupazioni che l’Italia aveva destato in una fase pessima per gli equilibri politici del continente. Altro che Iva da stornare e riduzione del cuneo fiscale da realizzare. Quella è roba, diciamo così, per il mercato elettorale interno.Finché si potrà, si cercherà di puntellare dall’esterno un governo che serve a tenere a bada una provincia dell’Impero dove covano germi di ribellione. E si sa che il partito delle molte Legion d’Onore – e cioè il Pd – è sempre disponibile per queste operazioni. Gli dà una mano il M5S, che adesso si è scoperto decisamente europeista, dopo aver consentito il nascere della Commissione von der Leyen. Chissà perché non hanno chiesto un parere a Rousseau anche su questo, visto che è stato il vero passaggio di rottura. D’altronde, Lega e 5 Stelle avevano già fatto una campagna elettorale ad insultarsi a vicenda mentre stavano al governo: era normale che questo dovesse avvenire. E non si è capito che Salvini le elezioni le aveva vinte in Italia, ma in Europa le aveva perse. E anche male. Era solo questione di tempo perché si spaccasse l’accordo. La durata di questo governo dipenderà dall’esterno, come è avvenuto per il precedente, che è caduto sulla politica estera. Kissinger vedeva nella dimensione imperiale la forma politica naturale per l’Europa. I fatti gli stanno dando ragione. Perché per un impero ad importare è il centro, mentre i confini sono secondari: possono espandersi o contrarsi, ma l’importante è che tenga il centro.Secondo me gli ideatori del format elettorale che va sotto il nome di 5 Stelle non si sono resi conto che l’“avvocato del popolo”, che era stato reclutato come un “professionista a contratto”, gli ha sfilato il giocattolo. E il momento in cui questo è avvenuto è stato al momento del voto sulla presidenza della Commissione Europea. È chiaro che i 5 Stelle cercavano una legittimazione a livello europeo dopo essere stati tenuti fuori da tutto fin dal loro ingresso a Strasburgo. E la loro occasione è stata quella di fornire 14 voti ad una Commissione che è entrata in carica per 9 voti. A quel punto la crisi d’agosto ha prodotto un’accelerazione. E Conte, che aveva già lavorato con un pezzo di governo che rispondeva al Quirinale per accreditarsi in Europa, si è trovato investito di un ruolo di statista che gli è stato concesso in tutta fretta per evitare i problemi che avrebbe potuto dare una crisi italiana in una fase in cui Brexit, recessione tedesca e guerra commerciale sono tutti punti interrogativi. Conte riceverà la fiducia da un gruppo parlamentare, il Pd, che non risponde alla sua segreteria, e da un altro gruppo parlamentare che fino a una settimana fa vedeva in Di Maio il leader politico e in Conte un mediatore tecnico.Il punto è che l’investitura rapidissima e simultanea, e su tutti i media mondiali, di Conte da parte di Merkel, Macron, Trump, Juncker, Bill Gates, Oettinger, Moscovici, Elvis Presley e Walt Disney pone un problema allo stesso Movimento. Adesso Conte a chi risponde?Bisogna domandarselo. Risponde al Pd, verso il quale ha rivolto in questi giorni parole di vecchio simpatizzante? Alla Casaleggio e Associati? A chi, con immenso candore, l’ha definito il “nuovo Tsipras” (Jean-Claude Juncker) ed eletto al ruolo di statista mondiale da “burattino” che era? O risponde fondamentalmente a se stesso, come ogni professionista che si rispetti? Se Di Maio fosse rientrato a Palazzo Chigi come vicepremier avrebbe avuto la possibilità di controllare il suo ex “professionista a contratto” e ritagliare un ruolo a quel che resta del Movimento. Se va a fare il ministro e basta, tutto si fa più confuso e provvisorio. Cosa direbbe, Kissinger, di questa situazione? Direbbe la verità. E cioè che in fondo Casaleggio, Conte e via dicendo sono dei parvenu dell’ordine mondiale. E che Conte sia stato, per il momento, cooptato per tenere buono un paese fastidioso, non vuol dire che lo sia anche il gruppo formatosi attorno alla Casaleggio e Associati, con i suoi progetti di democrazia cibernetica fatta in casa con il forno a legna.(Alessandro Mangia, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “I veri poteri a cui risponde l’avvocato del popolo”, pubblicato dal “Sussidiario” il 4 settembre 2019. Il professor Mangia è ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano).La formazione di un governo è dipesa per 75 minuti dall’annuncio dell’esito di un sondaggio gestito da una società privata; il partito che per 18 mesi si è fatto paladino delle democrazia rappresentativa, e che in questi giorni ha ricordato a tutti le regole della democrazia parlamentare, voterà a breve la riduzione dei parlamentari; e ormai la Lega, pur di mettere in luce quel che è successo, cita Mortati e la presunzione di consonanza tra Parlamento e corpo elettorale. E’ roba che è morta e sepolta da quando Mattarella ha annunciato in televisione l’esistenza di una pregiudiziale europea, per cui non può fare il ministro chi, nella sua vita precedente, abbia mai criticato l’Unione Europea. Davvero ha ragione Mario Esposito a dire che ormai l’Ue fa parte della forma di governo italiana. È che se ne sono accorti in pochi, anche se è sotto gli occhi di tutti. Bisognerà, prima o poi, fare una riflessione sul ruolo della presidenza della Repubblica, e su cosa è diventata. La vera ragion d’essere di questo governo è anestetizzare per un po’ la situazione italiana, dopo le preoccupazioni che l’Italia aveva destato in una fase pessima per gli equilibri politici del continente. Altro che Iva da stornare e riduzione del cuneo fiscale da realizzare. Quella è roba, diciamo così, per il mercato elettorale interno.
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Menti raffinatissime: i poteri a cui Grillo ora svende l’Italia
“Fare la storia, cambiare l’Italia: occasione irripetibile”. Ogni volta che parte la supercazzola di Beppe Grillo, ci siamo: sta per succedere qualcosa di orrendo. Il segnale: basta che il padrone del Movimento 5 Stelle si metta a parlare come un rivoluzionario dei cartoni animati. Caricatura di se stesso solo in apparenza, l’infido Grillo: è il servitore decisivo del potere europeo, l’unico capace di ripristinare la totale sottomissione del Belpaese. Dopo l’ambigua e velleitaria sbornia gialloverde, che aveva illuso la Lega (e gli italiani) che le regole potessero davvero cambiare, è intervenuto l’uomo del Britannia: è stato l’ex comico a dare il via libera alla “soluzione finale”. Senza il suo intervento padronale, i valletti grillini – pur traumatizzati dall’incubo delle elezioni anticipate – non ce l’avrebbero fatta, a calare le brache fino al punto di arrendersi all’odiato Matteo Renzi, decretando in questo modo la morte politica del Movimento 5 Stelle. L’indecorosa trattativa è stata affidata a manovali recalcitranti come Di Maio e Zingaretti, che hanno finto di prendere sul serio l’imbarazzante prestanome Giuseppe Conte. Ma è evidente che a decidere è stato il Giglio Magico, che ha colto al volo l’assist – decisivo – del Mago di Genova.
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Le fiabe di Don Marco (Travaglio) per incantare Rousseau
Si prova quasi tenerezza di fronte all’ingenuità delle frottole sciorinate da Marco Travaglio nel tentativo di orientare il voto della cosiddetta “base grillina” sulla fantomatica piattaforma Rousseau. Un tempo icona del giornalismo “con la schiena diritta”, celebrato nel santuario televisivo del collega Michele Santoro, il giustizialista Travaglio rimediò una tiepida figura nel 2013, quando l’Orribile Cavaliere – spintosi nella tana dei leoni – se la cavò benissimo di fronte alle domanducce dell’inquistore del “Fatto”. Ora, seppellito nonno Silvio, Travaglio ha semplicemente sostituito il Nemico. Il nuovo Uomo Nero, va da sé, si chiama Matteo Salvini. Pregustando il delitto eccellente, Travaglio riesce a digerire di tutto: dall’indecente grillismo “di lotta e di governo”, che ha fatto ridere l’Italia, all’eroico Renzi, riabilitato a tempo di record come geniale stratega. «Non avendo mai avuto tessere – pigola Travaglio, lindo come un giglio – non ho il problema del voto su Rousseau. Ma – aggiunge – se fossi iscritto, non avrei dubbi sul Sì al Conte-2». Nobile, il Cavaliere della Giustizia: il giornalista più sfacciatamente politico d’Italia non si sporca con la politica, ci mancherebbe; ma in questo caso si può ben fare un’eccezione. Ed ecco allora, sul “Fatto”, i dieci motivi per votare Sì al “governo dei prestanome”.Primo: i 5 Stelle (anche se non lo sanno) nacquero come «coscienza critica del centrosinistra». Nel 2007, scrive Travaglio, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio «sfidarono il Pd a opporsi davvero al berlusco-leghismo e a cambiare registro, cancellando le leggi-vergogna e sposando legalità e ambiente». Le loro proposte le portarono a Prodi, non a Berlusoni e Bossi. «E Grillo si iscrisse al Pd per candidarsi alle primarie, non a FI o alla Lega». Vero: quello che gli interessava, infatti, era sfasciare subito il neonato partito di Veltroni, Fassino e D’Alema, che infatti lo mandarono a stendere. «Ora, 12 anni dopo, il Pd cambia idea e tende la mano. Grillo l’ha subito afferrata. Perché i 5 Stelle dovrebbero respingerla?». E certo, sarebbe un peccato. L’oligarca Grillo, peraltro, non ha solo “teso la mano” al nemico storico: ha anche gambizzato Di Maio e imposto il suo potere monarchico ai sudditi, i parlamentari terrorizzati dalle elezioni anticipate. Ma queste sono quisquilie, per Marco Travaglio, che preferisce sfoderare il violino per dedicare una bella serenata ai votanti di Rousseau. «Il programma del Conte-2 include le bandiere storiche M5S», che diamine. Infatti: «Alt a nuovi inceneritori e trivelle, revisione delle concessioni autostradali, infrastrutture eco-compatibili, investimenti in green economy, riforma Bonafede della giustizia, pene più alte agli evasori, salario minimo, taglia-parlamentari. Bandiere stracciate da Salvini e accettate dal Pd. Perché dire No a se stessi e alla propria storia?».Qui Travaglio tocca il culmine della comicità involontaria. Si è già dimenticato delle altre “bandiere storiche” dell’armata grillina? Trivelle e Tap, Ilva e Tav, vaccini, Muos, F-35. Tutte “stracciate da Salvini”? Ridicolo. Ma il travaglismo “prestato alla politica” non si ferma qui: «Conte può restare premier solo con il governo M5S-centrosinistra. E merita di restarci». Ma certo: altrimenti come farebbero a brindare, gli amiconi dell’Italia? Sono già pronti col calice in mano: Macron e Merkel, il maxi-criminale Juncker (recordman dell’elusione fiscale in Lussemburgo ai danni del Belpaese), e perfino quel simpaticone di Günther Oettinger, quello che “saranno i mercati a insegnare agli italiani come votare”. Vogliamo deluderli, tutti questi Conte-Boys? Ma non si esaurisce qui, la predica di Don Marco: «Salvini e B. vedono il governo giallo-rosa come il fumo negli occhi: due ottime ragioni per farglielo trovare subito». Buona, questa: lo sanno anche i sassi, che Salvini si sta fregando le mani all’idea che Renzi & Grillo estinguano il Pd e i 5 Stelle, riversando altri milioni di voti sulla Lega grazie al governo patibolare del professor-avvocato di Volturara Apula, il compare dell’euro-brigata coalizzata contro gli italiani.Poi, Travaglio scende senza paura nell’officina inguardabile delle trattative: «Zinga non voleva Conte premier né Di Maio ministro e chiedeva un solo vicepremier Pd, poi ha ceduto su tutti e tre i punti». Vero, ma in cambio di cosa? Quale meravigliosa sorpresa è stata riservata all’ex elettore italiano? Ma attenzione: «Di Maio ha rinunciato a Palazzo Chigi, ricompattando un movimento in rotta e a rischio di estinzione. E recuperando Grillo in prima linea». Bum! Di Maio – preso a calci da Grillo, a reti unificate – avrebbe “ricompattato” i parlamentari? E il valletto avrebbe addirittira “recuperato” l’imperatore, spingendolo – lui, Giggino – a muovere il fondoschiena, ai suoi ordini, per schierarsi in prima linea? Siamo ormai nel regno del surreale. «Se vincesse il No – piange Travaglio – i gruppi parlamentari si spaccherebbero», finalmente. «Conte andrebbe a casa», ma magari!, «e Salvini avrebbe ciò che vuole». E cioè: «Voto, vittoria e “pieni poteri”». Brr, che paura. Si sono visti, i pieni poteri di Salvini: sberle rimediate sul deficit, gogna mediatica, ostracismo squadristico. Salvini ha dovuto assistere alla lapidazione di Armando Siri, l’inventore della Flat Tax, per un semplice avviso di garanzia. E’ stato inoltre accusato di sequestro di persona (in italiano: privare qualcuno della libertà di andare dove vuole) per aver impedito a stranieri di sbarcare in Sicilia (non di dirigersi altrove). Toglie il sonno, in effetti, l’idea che un simile mostro possa tornare in auge.«Le due alternative al governo Conte-2 sono peggiori», svela l’illuminato maestro Travaglio: «Elezioni, cioè governo Salvini-Meloni-B., che cancellerebbe Reddito, dl Dignità, Anticorruzione, blocca-prescrizione e reato di abuso d’ufficio e ripartirebbe con inceneritori e trivelle; nuovo Salvimaio, che coprirebbe i 5 Stelle di ridicolo e servirebbe a Salvini per tradirli di nuovo e/o per finire di mangiarseli». Finge di non vedere, Travaglio – reticente coi grillini e con i suoi lettori – che Salvini sta facendo di tutto per evitarlo, il “governo Salvini-Meloni-B”. Quanto al tesoro nazionale che l’ipotetico esecutivo “neofascista, razzista e xenofobo” comprometterebbe, c’è da mettersi le mani nei capelli: il reddito di cittadinanza – unica misura percepibile, del grillismo di governo – è una bazzecola, a fronte del super-tradimento dei 5 Stelle, al seguito dei domatori Grillo e Conte, in favore del feroce rigore eurocratico di Ursula von der Leyen. Una coltellata all’alleato Salvini, concepita per costingere il leghista a staccare la spina e chiudere la breve e ambigua stagione di semi-libertà che gli italiani si erano conquistati con il voto del 2018. Il Belpaese deve tornare una semplice espressione geografica, una colonia periferica e depredabile dal Sacro Romano Impero, tra gli applausi del post-giornalismo nazionale.Il seguito del sermone di Travaglio è un piccolo capolavoro letterario che oscilla tra il cabaret e la metafisica. «L’unica opzione migliore, per un iscritto, è un monocolore M5S. Mission impossible: dovrebbe superare il 40%. Questo Parlamento è grillino al 33%: il prossimo mi sa di no». Così scrive – senza ridere – il direttore del “Fatto Quotidiano”. «Un Pd così sbiadito e diviso, senza leader né slogan forti – aggiunge – è un alleato meno insidioso e concorrenziale del monolite Salvini». E avanti di questo passo: «Le coalizioni tra diversi sono sempre rischiose. Ma forse, dopo la cura Salvini, il M5S ha comprato mutande di ghisa per non farsi fregare». Prego? Chi ha votato a tradimento per Macron e Merkel in Europa, la Lega o i 5 Stelle? La decima e ultima tappa dell’orazione travagliesca suona persino puerile: «Fino a un mese fa Salvini era sempre tra i piedi e in prima pagina. Ora sfugge ai radar. Chi lo rivuole in copertina?». Nel 2011, un giornalista di ben altra caratura – Paolo Barnard – accusò Travaglio di depistare i lettori su falsi bersagli, proprio come i 5 Stelle hanno fatto con gli elettori. Valgono una crociata i decretucci come lo “spazzacorrotti” o il demenziale taglio dei parlamentari, mentre i veri lestofanti – Juncker e i compari di Ursula – si allontanano indisturbati col bottino, centinaia di miliardi di euro. I tempi cambiano, comunque: da quando è diventato l’organo di stampa del grillismo governativo, il “Fatto Quotidiano” vende meno di 30.000 copie al giorno. Ne ha perse diecimila solo nell’ultimo anno.Si prova quasi tenerezza di fronte all’ingenuità delle frottole sciorinate da Marco Travaglio nel tentativo di orientare il voto della cosiddetta “base grillina” sulla fantomatica piattaforma Rousseau. Un tempo icona del giornalismo “con la schiena diritta”, celebrato nel santuario televisivo del collega Michele Santoro, il giustizialista Travaglio rimediò una tiepida figura nel 2013, quando l’Orribile Cavaliere – spintosi nella tana dei leoni – se la cavò benissimo di fronte alle domanducce dell’inquistore del “Fatto”. Ora, seppellito nonno Silvio, Travaglio ha semplicemente sostituito il Nemico. Il nuovo Uomo Nero, va da sé, si chiama Matteo Salvini. Pregustando il delitto eccellente, Travaglio riesce a digerire di tutto: dall’indecente grillismo “di lotta e di governo”, che ha fatto ridere l’Italia, all’eroico Renzi, riabilitato a tempo di record come geniale stratega. «Non avendo mai avuto tessere – pigola Travaglio, lindo come un giglio – non ho il problema del voto su Rousseau. Ma – aggiunge – se fossi iscritto, non avrei dubbi sul Sì al Conte-2». Nobile, il Cavaliere della Giustizia: il giornalista più sfacciatamente politico d’Italia non si sporca con la politica, ci mancherebbe; ma in questo caso si può ben fare un’eccezione. Ed ecco allora, sul “Fatto”, i dieci motivi per votare Sì al “governo dei prestanome”.
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Davvero gli italiani accetteranno il Governo dei Prestanome?
Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso dai mercenari arruolati nel governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza degli cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, non resterà più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico pagliaccio Beppe Grillo, come uno dei maggiori traditori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo del Conte-bis perché non aveva alternative, se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla cricca di potere che porta il nome di Partito Democratico).Il governo dello spread, caro all’oligarchia che ha fatto carne di porco del Belpaese, sarà accolto nel modo più benevolo del regime euro-italico, di cui è al servizio, contro l’interesse nazionale. Una speciale plastica facciale proteggerà i suoi ministri-camerieri e i suoi servili mandanti, presto in passerella in tutte le televisioni, a reti unificate, a spiegare che l’orrore è bellissimo, che la sottomissione è nobile, e che prendere a calci in faccia gli elettori, derubandoli, è un’arte civilissima, antifascista e antirazzista, politicamente corretta. Resta da capire come lo accoglieranno, gli italiani, il Governo dei Mascalzoni. Tutte le dittature, quando sono alla canna del gas, si comportano allo stesso modo: prima di sparare sulla folla tentano un’ultima mossa, la manovra di palazzo fondata sulla frode. Il potenziale di fuoco di cui gode l’establishment italiano al servizio del potere straniero è tuttora molto rilevate, virtualmente schiacciante. Per ora ha disarmato la popolazione, sottraendole l’arma democratica a sua disposizione: il voto. E si prepara a punire l’elettorato con una lunghissima astinenza: gli italiani potranno tornare a votare solo dopo che il Governo dei Traditori avrà consegnato in mani anti-italiane i maggiori asset rimasti al paese, dall’Eni a Leonardo, e poi la presidenza della Repubblica.Il Governo dei Ladri di Democrazia cercherà in ogni modo di indorare la pillola, con l’aiuto dei suoi padroni europei: premierà il rating della finanza pubblica italiana, abbasserà il differenziale coi Bund, concederà l’elemosina di una piccola dose di flessibilità, in termini di bilancio e di deficit. Purché il cane continui a leccare la mano del padrone, anziché azzannarla. Purché gli italiani, soprattutto, continuino a non contare niente. E purché l’Italia, come nazione, arrivi rapidamente a contare meno di zero, integralmente svenduta, sottomessa, ridotta al silenzio e all’irrilevanza assoluta anche sul piano geopolitico, mediterraneo e africano. Ma loro, gli italiani? Sette su dieci volevano tornare alle urne. Il 70% del popolo italiano non accetta il Governo dei Cialtroni, e prova disgusto davanti alla sfrontata, ignobile disonestà dei burattini manovrati dal potere straniero, i 5 Stelle e gli zombie del Pd. Il Governo dei Buffoni lo stravince, il campionato mondiale dei fischi. E ogni giorno umilierà l’Italia, ne danneggerà l’immagine, distruggerà il residuo prestigio internazionale del paese: suggerirà l’idea che gli italiani sono dei poveri scemi, che si fanno mettere nel sacco da una congrega di imbroglioni disprezzati dal popolo. Può un paese democratico farsi rappresentare, seriamente, da una simile accozzaglia di miserabili?Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso da mercenari arruolati in un governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza dei cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, potrebbe non restare più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico giullare Beppe Grillo, come uno dei maggiori turlupinatori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo dell’ipotesi Conte-bis perché non aveva alternative; se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla congrega di potere che porta il nome di Partito Democratico).
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Magaldi: Salvini tifa per il Conte-bis, un regalone alla Lega
Seriamente: c’è qualcuno così sprovveduto da credere che Matteo Salvini, l’uomo che ha portato la Lega a decuplicare i suoi voti in una manciata di anni, si sia improvvisamente bevuto il cervello, sulla spiaggia del Pepeete? Davvero si pensa che il “capitano”, inesperto e pasticcione, si sia fatto mettere all’angolo, aprendo in modo avventato una crisi di cui lui, povero scemo, non ha saputo calcolare l’esito? Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, si dichiara allibito dalla dabbenaggine di tanti narratori manistream: se c’è qualcuno che non vede l’ora di veder nascere il Conte-bis, assicura, è proprio Matteo Salvini. «Il motivo è palese, anche se a molti giornalisti sembra sfuggire: Salvini sapeva perfettamente di dover staccare la spina, perché il cappio gli si stava stringendo attorno al collo. Grazie a personaggi come Tria e Conte, che hanno sabotato le sue politiche, non sarebbe stato in grado di mantenere le promesse fatte all’elettorato. Il piano era quello: demolirlo politicamente, un po’ alla volta». Magaldi conferma l’analisi già fornita a ferragosto, allo scoppio della crisi: «Salvini non è solo, in questo suo sganciamento: è stato sapientemente consigliato». E ora aggiunge, a scanso di equivoci: «C’è chi gli ha suggerito, precisamente, come e quando rompere».