Archivio del Tag ‘Nwo’
-
Globalisti privatizzatori, questa catastrofe è il loro piano
Cos’è il globalismo, e perché esiste? E’ ormai noto da decenni che la spinta alla globalizzazione è un preciso piano coltivato da un’élite di finanzieri internazionali, banchieri centrali, leader politici e think-tanks esclusivi. «Spesso nelle loro pubblicazioni ammettono apertamente il loro obiettivo di globalizzazione totale, forse nella convinzione che le persone semplici e non istruite in ogni caso non le leggeranno mai», scrive Brandon Smith su “Zero Hedge”. Carroll Quigley, mentore di Bill Clinton, viene spesso citato per le sue ammissioni: «I poteri del capitalismo finanziario avevano un obiettivo di ampia portata, niente di meno che creare un sistema mondiale di controllo finanziario in mani private, in grado di dominare il sistema politico di ciascun paese e l’economia del mondo intero». Un sistema che «doveva essere controllato in maniera feudale dalle banche centrali del mondo, che avrebbero agito di concerto, con accordi segreti». Il vertice del sistema «doveva essere la Banca dei Regolamenti Internazionali a Basilea, in Svizzera, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali mondiali che sono esse stesse imprese private».Ciascuna banca centrale, continua Quigley, cerca di dominare il governo del proprio paese «grazie alla capacità di controllare i prestiti del Tesoro, di manipolare gli scambi con l’estero, di influire sull’attività economica del paese e influenzare i politici disposti a collaborare, ricompensandoli poi economicamente nel mondo degli affari». Si pensi alle classiche “porte girevoli” tra politica e grandi banche d’affari. «Le persone che stanno dietro all’obiettivo di imporre la globalizzazione – scrive Smith in un post ripreso da “Voci dall’Estero” – sono legate da una particolare ideologia, quasi un culto religioso, in cui immaginano un ordine mondiale come viene descritto nella “Repubblica” di Platone. Credono di essere stati “prescelti” – dal fato, dal destino o dalla genetica – per dominarci tutti come dei re-filosofi. Pensano di essere quanto di più intelligente e capace l’umanità abbia da offrire e di poter creare dal nulla, con poteri semi-divini, il caos e l’ordine, e così poter plasmare la società a loro piacimento».Questa mentalità appare evidente nel sistema globale: «La gestione delle banche centrali non è altro che un meccanismo per intrappolare le nazioni in debiti, svalutazioni valutarie e, in ultima analisi, schiavitù, attraverso l’estorsione economica diffusa». Obiettivo ultimo delle banche centrali, «scatenare delle crisi finanziarie di portata storica, che possono poi essere usate dalle élite come leva per promuovere la completa centralizzazione globale come unica soluzione possibile». Questo processo di destabilizzazione delle economie e delle società, continua Smith, non viene neppure controllato dai presidenti delle varie banche centrali: in realtà è pilotato da istituzioni globali ancor più centralizzate come il Fondo Monetario Internazionale e la stessa Bank of International Settlements, come spiegato in interessanti articoli come “Ruling The World Of Money”, pubblicato da “Harpers Magazine”. Se ne deduce che la campagna per un “nuovo ordine mondiale” non è esattamente un progetto umanitario: «Innumerevoli persone odieranno il nuovo ordine mondiale, e moriranno protestando contro di esso».L’élite mette in conto «almeno una generazione di malcontenti, molti dei quali saranno persone buone e di valore», stando alle parole dello scrittore britannico Herbert George Welles, laburista e profeta del “Nuovo ordine mondiale” (il primo a coniare l’espressione, che titola una sua opera del 1940). «In breve, la “casa dell’ordine mondiale” dovrà essere costruita dal basso verso l’alto anziché dall’alto verso il basso. Sembrerà una grande “rumorosa, esplosiva confusione”, per usare la famosa descrizione della realtà di William James, ma alla fine un lento assedio della sovranità nazionale, che la eroda pezzo per pezzo, risulterà più efficace del vecchio sistema dell’assalto frontale», scrive nel 1974 Richard Gardner, membro della Commissione Trilaterale, su “Issue of Foreign Affairs”. Precisa un altro campione dell’élite globalista, Henry Kissinger, al “World Action Council” del 1994: «Il Nuovo Ordine Mondiale non può realizzarsi senza la partecipazione degli Stati Uniti, visto che siamo il suo membro più importante. Certo, ci sarà un Nuovo Ordine Mondiale, e imporrà agli Stati Uniti di cambiare le proprie percezioni».Mentre alcuni considerano la globalizzazione una “evoluzione naturale” del libero mercato o l’inevitabile sbocco del progresso economico, «la verità è che la spiegazione più semplice (alla luce delle evidenze disponibili) è che la globalizzazione è una guerra aperta condotta contro l’ideale dei popoli sovrani e delle nazioni», scrive Brandon Smith. «E’ una guerriglia, o una guerra di quarta generazione, intrapresa da un piccolo gruppo di élite contro tutti gli altri». Un elemento significativo di questa guerra, aggiunge, riguarda la demolizione dei confini delle nazioni, degli Stati e persino di città e villaggi, come delimitazioni di comunità solidali e identitarie: «Non ci piace essere costretti ad associarci a persone o a gruppi che non hanno i nostri stessi valori». Le culture «innalzano i confini perché, francamente, i popoli hanno il diritto di controllare coloro che desiderano aderire alla comunità e condividerne gli intenti», rifiutando «altri gruppi di persone e di ideologie che per noi risultano distruttive». Curiosamente, invece, i globalisti «sosterranno che, rifiutandoci di associarci con coloro che potrebbero distruggere i nostri valori, siamo noi che violiamo i loro diritti. Vedete come funziona?».I globalisti «sfruttano la parola “isolazionismo” per infangare i sostenitori della sovranità agli occhi della pubblica opinione», e invece «non bisogna vergognarsi dell’isolamento quando principi quali la libertà di parola e di espressione o il diritto all’autodifesa vengono messi in discussione». Inoltre, «non c’è nulla di sbagliato nell’isolare un modello economico prospero da altri modelli insoddisfacenti», anche perché, al contrario, «imporre a un’economia di mercato libero decentralizzato di adottare un’amministrazione feudale attraverso un governo e una banca centralizzati finirà per distruggere il modello». Così come «importare milioni di persone con differenti valori per rinvigorire una nazione» non è altro che «una ricetta per il disastro». In un mondo senza barriere, continua Smith, si potrà solo eliminare una cultura per sostituirla con un’altra: «Questo è quello che vogliono ottenere i globalisti. E’ lo scopo vero dietro le politiche delle “frontiere aperte” e della globalizzazione – annichilire il confronto delle idee, così che l’umanità finisca col pensare di non avere altra opzione all’infuori della religione delle élite». Lo scopo ultimo dei globalisti «non è di controllare i governi», che sono solo uno strumento, bensì «ottenere un’influenza psicologica totale», onde conquistare definitivamente «il consenso delle masse».Le élite sostengono che la loro idea di una singola cultura mondiale è il pilastro fondamentale dell’umanità, e che non c’è più alcun bisogno di confini perché nessun principio è più importante di questo. «Fino a quando i confini, come concetto, continuano a esistere, ci può sempre essere la possibilità di separare ideali diversi che competono con la filosofia globalizzatrice: questo non è accettabile per le élite». Oggi, con l’affermarsi dei movimenti anti-globalisti, la tesi portata avanti dal mainstream è che i “populisti” (conservatori) rappresentano una classe spregevole e ignorante, sono elementi pericolosi che minacciano “la pace e la prosperità” provenienti dalle sapienti mani globaliste. Ancora una volta, Carrol Quigley predice questa propaganda con decenni di anticipo, quando discute la necessità di “rimanere all’interno del sistema” per cambiarlo, anziché combattere contro di esso, e parla della «classe medio-bassa» definendola «spina dorsale del fascismo del futuro». E spiega: «I membri del partito nazista in Germania venivano per lo più da questa classe», alla quale associa «i movimenti di centro-destra» degli Stati Uniti.I globalisti, continua Smith, hanno avuto mano libera sulla maggior parte dei governi mondiali per almeno un secolo, se non di più. «A seguito della loro influenza, abbiamo avuto due guerre mondiali, la Grande Depressione, la Grande Recessione che non è ancora finita, troppi conflitti regionali e genocidi perché possano essere contati, e la sistematica oppressione dei liberi imprenditori, degli inventori e delle idee, al punto che soffriamo ormai di stagnazione sociale e finanziaria». Curioso: «I globalisti sono rimasti al potere a lungo, ma la colpa delle numerose crisi avvenute negli ultimi 100 anni viene data all’esistenza dei confini». I campioni della libertà «vengono definiti inqualificabili populisti e fascisti», mentre i globalisti si sottraggono a ogni accusa. «Non esiste uno straccio di prova che confermi l’idea che la globalizzazione, l’interdipendenza e la centralizzazione funzionino davvero», insiste Smith. Per capirlo, «basta esaminare l’incubo economico e migratorio presente nell’Ue». Quindi, i globalisti «sosterranno che il mondo non è abbastanza centralizzato», cioè diranno che «ci vuole più globalizzazione, non meno, per risolvere i problemi del mondo».Nel frattempo, «i principi della sovranità devono essere demonizzati storicamente». Intollerabile, infatti, la stessa esistenza di diverse culture: «Per le generazioni future deve essere psicologicamente associata al male». Vogliono un mondo in cui «il principio di sovranità sia considerato così aberrante, così razzista, così violento e insidioso che chiunque si vergognerebbe di averlo sostenuto». E’ una vera «prigione mentale», ed è «il luogo dove i globalisti vogliono portarci». Ribellarsi? Per Smith, è possibile solo col volontariato, costruendo «una spinta verso la decentralizzazione, la localizzazione, l’indipendenza e la vera produzione». Meglio i confini, se lasciano l’individuo «libero di partecipare a qualsiasi gruppo sociale che desidera o che crede migliore per lui», nell’ambito di una società «non costretta ad associazioni forzate». Ma Smith non è ottimista: «Questo sforzo richiederebbe enormi sacrifici e una battaglia che probabilmente durerebbe per una generazione». L’unica sicurezza è nera: «Posso solo mostrare che il mondo dominato dai globalisti in cui viviamo oggi è chiaramente destinato alla catastrofe. Potremo discutere su cosa fare dopo solo quando avremo tolto la testa dalla ghigliottina».Cos’è il globalismo, e perché esiste? E’ ormai noto da decenni che la spinta alla globalizzazione è un preciso piano coltivato da un’élite di finanzieri internazionali, banchieri centrali, leader politici e think-tanks esclusivi. «Spesso nelle loro pubblicazioni ammettono apertamente il loro obiettivo di globalizzazione totale, forse nella convinzione che le persone semplici e non istruite in ogni caso non le leggeranno mai», scrive Brandon Smith su “Zero Hedge”. Carroll Quigley, mentore di Bill Clinton, viene spesso citato per le sue ammissioni: «I poteri del capitalismo finanziario avevano un obiettivo di ampia portata, niente di meno che creare un sistema mondiale di controllo finanziario in mani private, in grado di dominare il sistema politico di ciascun paese e l’economia del mondo intero». Un sistema che «doveva essere controllato in maniera feudale dalle banche centrali del mondo, che avrebbero agito di concerto, con accordi segreti». Il vertice del sistema «doveva essere la Banca dei Regolamenti Internazionali a Basilea, in Svizzera, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali mondiali che sono esse stesse imprese private».
-
Tsunami Trump, nel panico l’élite del globalismo armato
«L’impossibile è avvenuto. Il Mule, l’incontrollabile, il pazzo, è riuscito a convicere un popolo stordito dalla crisi più di quanto non potesse fare l’esausta icona dell’establishment, la Killary capace di distruggere la Libia senza un piano per tenerla insieme o di chiedere se fosse possibile mandare un drone per far fuouri Julian Assange. Due esempi, tra i tanti, della “democraticità ed equilibrio” che dovevano sbarrare la strada al “populismo”». Così il blog “Contropiano”, a scrutinio americano non ancora concluso ma di fatto, nei numeri, più che consolidato. «E’ stata una vittoria netta. Non solo in termini di superdelegati, ma anche in termini di voti popolari», quasi un milione e mezzo di elettori a favore di Donald Trump, che «ha conquistato tutti i principali Stati-chiave, a partie da quell’Ohio che era un tempo il cuore dell’industria automobilistica Usa e quindi anche della classe operaia». “Contropiano” ricorda che «la disoccupazione reale statunitense è diventata già da 20 anni talmente esplosiva da far entrare anche la classe operaia – prima del 2007, prima dell’esplosione dei mutui subprime e di Lehmann Brothers – nel novero del presunto “ceto medio”».E lo stesso, continua il blog, era avvenuto per molti “farmers”, agricoltori e allevatori, «buzzurri quanto si vuole, ma rovinati progressivamente e irreversibilmente dalla concorrenza globale, fondata su salari da fame incomparabili con quelli Usa». Un’analisi squisitamente socio-economica: «Il lavorio della crisi, che suscita paure, insofferenza, paura del futuro, ha alla fine generato un gigantesco “vaffa” che ora minaccia di attraversare il pianeta come uno tsunami che non conosce ostacoli». Per il newsmagazine, che si definisce “giornale comunista online”, Trump è «il sintomo, il collettore, il terminale inconsapevole e inadeguato di una miriade di contraddizioni persino difficili da elencare». Così, «chi aveva spinto per la “riduzione del danno” – l’establishment di tutti i paesi – ha perso tutto». L’explot di Trump, «se non verrà in qualche modo imbrigliato e depotenziato dagli apparati del potere (statale e finanziario, nazionale e multinazionale), mette in discussione i pilastri della governance globale degli ultimi 70 anni».In altre parole, insiste “Contropiano”, lo storico pronunciamento popolare dei cittadini statnitensi «mette in discussione “l’ordine mondiale” centrato sulla capacità degli Stati Uniti di esercitare egemonia (culturale, politica, economica e soprattutto militare) sul resto del mondo». Un’avvisaglia dello sconvolgimento globale che questo risultato annuncia la si ricava dalle piazze finanziarie asiatiche, le prime ad aprire: yen e euro si rafforzano sul dollaro, il peso messicano precipita (Trump ha condotto una campagna fortemente anti-immigrati dal paese confinante) mentre vola l’oro, bene-rifiugio per eccellenza. L’indice giapponese Nikkei perde il 4,8%, Hong Kong il 2,8 (dopo essere arrivata al -3,4%), Taiwan il 2,7%. Catastrofe annunciata per Wall Street, cioè il vero “fortino” di Hillary Clinton. La cittadella finanziaria di Manhattan, per “Contropiano”, è «la vera sconfitta in queste elezioni».«L’impossibile è avvenuto. Il Mule, l’incontrollabile, il pazzo, è riuscito a convicere un popolo stordito dalla crisi più di quanto non potesse fare l’esausta icona dell’establishment, la Killary capace di distruggere la Libia senza un piano per tenerla insieme o di chiedere se fosse possibile mandare un drone per far fuouri Julian Assange. Due esempi, tra i tanti, della “democraticità ed equilibrio” che dovevano sbarrare la strada al “populismo”». Così il blog “Contropiano”, a scrutinio americano non ancora concluso ma di fatto, nei numeri, più che consolidato. «E’ stata una vittoria netta. Non solo in termini di superdelegati, ma anche in termini di voti popolari», quasi un milione e mezzo di elettori a favore di Donald Trump, che «ha conquistato tutti i principali Stati-chiave, a partie da quell’Ohio che era un tempo il cuore dell’industria automobilistica Usa e quindi anche della classe operaia». “Contropiano” ricorda che «la disoccupazione reale statunitense è diventata già da 20 anni talmente esplosiva da far entrare anche la classe operaia – prima del 2007, prima dell’esplosione dei mutui subprime e di Lehmann Brothers – nel novero del presunto “ceto medio”».
-
Putin: chi terremota il mondo vi sta portando via il futuro
«Tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ‘90, c’è stata la possibilità non solo di accelerare il processo di globalizzazione, ma anche di dare ad esso una diversa qualità e renderlo più armonico e sostenibile. Ma alcuni paesi che si vedevano vincitori della Guerra Fredda hanno colto l’occasione per rimodellare l’ordine politico ed economico globale solo per soddisfare i propri interessi». A parlare è il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, di fronte ai 150 rappresentanti di 53 paesi che hanno partecipato alla riunione annuale del Club Valdai, uno dei più prestigiosi spazi internazionali di confronto e analisi tra l’élite economica e culturale russa e quella del resto del mondo. Il discorso di Putin va letto con attenzione perché rappresenta non solo un atto di accusa diretto alle politiche dell’Occidente, ma anche un’analisi realista e in qualche caso ironica di ciò che l’egemonia americana sta imponendo. Questi paesi, ha continuato Putin, «nella loro euforia, hanno sostanzialmente abbandonato dialogo e parità con gli altri attori della vita internazionale, hanno scelto di non migliorare né di creare istituzioni universali, ma di portare il mondo sotto le loro organizzazioni, le loro norme e le loro regole».Putin si scaglia contro l’Occidente, contro le sue guerre umanitarie e i suoi tentativi di esportare la democrazia fuori da una cornice multipolare: le guerre in Serbia, in Iraq, in Afghanistan e in Libia «spesso condotte senza le relative decisioni del Consiglio di Sicurezza Onu»; e poi ancora hanno deciso «di spostare l’equilibrio strategico a proprio favore distaccandosi dal quadro giuridico internazionale che proibisce l’implementazione di nuovi sistemi di difesa missilistica»; hanno «creato gruppi terroristici le cui azioni hanno generato milioni di profughi, e gettato intere regioni nel caos». Putin definisce la “minaccia militare russa” con cui l’Occidente sta costruendo la nuova Guerra Fredda, un «business redditizio da utilizzare per pompare denaro fresco nei bilanci della difesa, espandere la Nato fino ai nostri confini». Il leader russo è categorico: Mosca «non ha intenzione di attaccare nessuno»; pensarlo è «sciocco e irrealistico. I paesi membri della Nato insieme con gli Stati Uniti hanno una popolazione totale di 600 milioni circa; la Russia solo 146. E’ semplicemente assurdo concepire anche tali pensieri».Poi Putin ironizza sulla «isteria degli Stati Uniti circa una presunta ingerenza russa nelle elezioni presidenziali americane»; e rivolgendosi alla platea, «lo chiedo a voi: qualcuno seriamente pensa che la Russia possa in qualche modo influenzare la scelta del popolo americano? Cos’è l’America? Una Repubblica delle Banane o un grande potenza?». Ma la denuncia più violenta di Putin è contro l’élite tecnocratica che sta scippando il valore della sovranità. Nelle democrazie più avanzate «la maggioranza dei cittadini non ha alcuna reale influenza sul processo politico e sul potere». Le persone avvertono «un divario sempre crescente tra i loro interessi e quelli dell’élite che governa i processi». E quando, attraverso le elezioni o i referendum, i cittadini scelgono in maniera diversa rispetto a quello che l’élite vorrebbe, ecco che essa trasforma la volontà popolare in “anomalia” o immaturità o incapacità di scegliere. E ciò che in maniera sprezzante viene definito populismo, per Putin è «gente comune, cittadini che stanno perdendo fiducia nella classe dirigente».Sembra che le élite non vedano il dissesto profondo nella società e «l‘erosione della classe media, mentre allo stesso tempo, esse impiantano ideologie distruttive per l’identità culturale e nazionale». Putin avverte: «E’ la sovranità la nozione centrale di tutto il sistema delle relazioni internazionali. Il rispetto per essa e il suo consolidamento contribuirà a sottoscrivere la pace e la stabilità sia a livello nazionale e internazionale». Quello di Putin è un monito a chi si diverte a disegnare un nuovi ordini mondiali sulla pelle di nazioni e popoli; un avvertimento agli alchimisti della finanza globale e ai guerrafondai umanitari che alimentano le rivoluzioni colorate, le guerre civili e il terrorismo per generare il caos funzionale ai propri progetti egemonici. Quella di Putin è l’analisi realista della deriva dell’Occidente ed una prospettiva anche per l’Europa: disegnare un sistema multipolare che metta «fine alla divisione del mondo in vincitori e vinti permanenti». L’unica speranza per scongiurare una crisi internazionale senza ritorno.(Giampaolo Rossi, “Putin il realista”, dal blog “L’Anarca” su “Il Giornale” del 2 novembre 2016).«Tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ‘90, c’è stata la possibilità non solo di accelerare il processo di globalizzazione, ma anche di dare ad esso una diversa qualità e renderlo più armonico e sostenibile. Ma alcuni paesi che si vedevano vincitori della Guerra Fredda hanno colto l’occasione per rimodellare l’ordine politico ed economico globale solo per soddisfare i propri interessi». A parlare è il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, di fronte ai 150 rappresentanti di 53 paesi che hanno partecipato alla riunione annuale del Club Valdai, uno dei più prestigiosi spazi internazionali di confronto e analisi tra l’élite economica e culturale russa e quella del resto del mondo. Il discorso di Putin va letto con attenzione perché rappresenta non solo un atto di accusa diretto alle politiche dell’Occidente, ma anche un’analisi realista e in qualche caso ironica di ciò che l’egemonia americana sta imponendo. Questi paesi, ha continuato Putin, «nella loro euforia, hanno sostanzialmente abbandonato dialogo e parità con gli altri attori della vita internazionale, hanno scelto di non migliorare né di creare istituzioni universali, ma di portare il mondo sotto le loro organizzazioni, le loro norme e le loro regole».
-
Fabbricò l’allarme-antrace, ora Pence controllerà Trump
«Se vincerà la Clinton, il proseguimento delle guerre imperialistiche è garantito già in partenza. Se invece vincesse Trump, si troverà comunque il modo di farle proseguire, con metodi meno leciti ma comunque molto efficaci. Gli unici che non perdono mai le elezioni, in America, sono quelli del complesso militare-industriale». Parola di Massimo Mazzucco, che averte: «I media occidentali sono talmente ingolfati nel seguire l’altalenante vicenda di Donald Trump, che si sono dimenticati di dare un’occhiata da vicino al suo vicepresidente nominato, cioè Mike Pence». Chi è costui? «E’ stato presentato come un politico sempliciotto e di buone maniere, di solide tradizioni repubblicane, messo accanto a Trump per dare più credibilità al ciuffo selvaggio dell’imprenditore newyorkese». Invece, Pence «è molto di più di un semplice politico conservatore». In realtà è «un “attack dog” di primissimo livello dei neocons, mascherato da perbenista praticante». Ricordate la pagliacciata della fialetta all’antrace agitata all’Onu da Colin Powell per fabbricare prove contro Saddam? Era opera sua, di Mike Pence. L’uomo che ora è stato messo “in marcatura” su Trump, nel caso dovesse battere Hillary.Molti ricorderanno i famosi “attacchi all’antrace” che seguirono di un paio di mesi gli attentati alle Torri Gemelle del 2001, scrive Mazzucco su “Luogo Comune”. In quel periodo, diversi esponenti del partito democratico – soprattutto quelli che chiedevano una indagine parlamentare sull’11 Settembre – ricevettero nei loro uffici delle lettere contenenti una strana polverina bianca, che si rivelò poi essere antrace. Mentre a quei democratici «passava immediatamente la voglia di istituire una commissione parlamentare sull’11 Settembre», il panico si diffondeva in tutta l’America, continua Mazzucco, «poiché nel frattempo erano morte diverse persone a causa dell’antrace». E mentre tutti cercavano di capire da dove potesse essere arrivata quella “polvere maledetta”, «fu proprio Mike Pence a guidare la propaganda mediatica che cercava di far ricadere su Saddam Hussein le colpe per la diffusione dell’antrace». Inizialmente, prosegue Mazzucco, Mike Pence diffuse la falsa notizia che quell’antrace fosse stata “geneticamente modificata” (da qualche Stato estero, si supponeva) per renderla più virulenta e resistente alle cure. Poi invece si scoprì che per combattere l’antrace bastava prendere dei normalissimi antibiotici.Quando l’Fbi scoprì finalmente che l’antrace proveniva da un laboratorio interno degli Stati Uniti (e non da una “nazione straniera”), «fu proprio Mike Pence ad andare su tutte le furie, perché gli veniva a mancare un argomento fondamentale per la futura invasione dell’Iraq». In un gesto di rabbia stizzita, scrive Mazzucco, lo stesso Pence scrisse una lettera aperta all’allora ministro di giustizia, John Ashcroft, chiedendo: «Perché mai l’Fbi sembra aver concluso che l’origine di questi attacchi all’antrace sia interna, quando vi sono indizi importanti che suggeriscono una fonte internazionale per questi materiali?». Naturalmente, anche quegli “indizi importanti” si rivelarono inesistenti, e la fonte dell’antrace fu definitivamente confermata essere un laboratorio degli Stati Uniti. «Nel frattempo però Mike Pence aveva svolto egregiamente il suo compito a favore dei neocons, che avrebbero poi approfittato del terreno da lui preparato per mandare all’Onu Colin Powell ad accusare Saddam Hussein con la famosa fialetta di polvere bianca».Oggi, cioè 15 anni dopo, ecco che Pence ricompare. Dove? Accanto a Trump, all’indomani della sua inattesa vittoria alle primarie repubblicane. «Dopo aver provato in tutti i modi a fermarlo, evidentemente, gli stessi repubblicani devono aver pensato che la soluzione migliore, in caso di una sua elezione alla Casa Bianca, fosse di mettergli accanto un personaggio fidato, come appunto Mike Pence», ragiona Mazzucco. Se quindi Donald Trump dovesse vincere, si apriranno due possibili scenari, molto diversi fra loro, ma con un risultato comunque simile: «Nel primo scenario il buon Donald verrebbe docilmente guidato dal silenzioso Pence a continuare la politica espansionistica degli Stati Uniti, esattamente come il buon George Bush venne docilmente guidato dal silenzioso Dick Cheney all’invasione militare di Afghanistan e Iraq, 15 anni fa. Nel secondo scenario, invece, Trump – se non dovesse per caso “recepire” i buoni consigli di Pence – avrà prima o poi un brutto incidente, che lo toglierà di mezzo definitivamente, o che gli impedirà comunque di continuare a fare il presidente. E così, in un caso come nell’altro, saranno stati nuovamente i neocons a riprendere il controllo dell’America».«Se vincerà la Clinton, il proseguimento delle guerre imperialistiche è garantito già in partenza. Se invece vincesse Trump, si troverà comunque il modo di farle proseguire, con metodi meno leciti ma comunque molto efficaci. Gli unici che non perdono mai le elezioni, in America, sono quelli del complesso militare-industriale». Parola di Massimo Mazzucco, che avverte: «I media occidentali sono talmente ingolfati nel seguire l’altalenante vicenda di Donald Trump, che si sono dimenticati di dare un’occhiata da vicino al suo vicepresidente nominato, cioè Mike Pence». Chi è costui? «E’ stato presentato come un politico sempliciotto e di buone maniere, di solide tradizioni repubblicane, messo accanto a Trump per dare più credibilità al ciuffo selvaggio dell’imprenditore newyorkese». Invece, Pence «è molto di più di un semplice politico conservatore». In realtà è «un “attack dog” di primissimo livello dei neocons, mascherato da perbenista praticante». Ricordate la pagliacciata della fialetta all’antrace agitata all’Onu da Colin Powell per fabbricare prove contro Saddam? Era opera sua, di Mike Pence. L’uomo che ora è stato messo “in marcatura” su Trump, nel caso dovesse battere Hillary.
-
Il potere è guerra. E pretende il nostro Sì al referendum
Pensate che si tratti di un referendum normale, di quelli indetti in tempo di pace? «Cari amici, poiché ho 85 anni devo dirvi come sono andate le cose», premette Raniero La Valle, veterano della sinistra italiana. Molti credono che il mondo abbia cambiato volto dopo l’11 Settembre? Errore. Tutto è esploso almeno dieci anni prima, quando – alla caduta dell’Urss – si è deciso di «rispondere alla fine del comunismo portando un capitalismo aggressivo fino agli estremi confini della terra», promuovendolo «da ideologia a legge universale, da storicità a trascendenza». Vi spaventa Renzi con la sua riforma, da cui la battaglia sul referendum? Non è che l’ultimo gradino di una lunghissima scala in discesa: «Avevamo preteso di superare il conflitto di classe smontando i sindacati», e di «sfruttare la fine della contrapposizione militare tra i blocchi facendo del Terzo Mondo un teatro di conquista». La scelta decisiva? «Restauratrice e totalmente reazionaria». Questa: «Disarmare la politica e armare l’economia – non in un solo paese, ma in tutto il mondo». Globalizzazione a mano armata. Inaugurata da un sacrificio simbolico: la Guerra del Golfo del 1991. L’era della guerra totale come nuova normalità: la guerra dell’Occidente contro il resto del mondo.In un lungo intervento su “Repubblica” ripreso da “Micromega”, La Valle parte dall’Italia, dove «succede che undici persone al giorno muoiono annegate o asfissiate nelle stive dei barconi nel Mediterraneo, davanti alle meravigliose coste di Lampedusa». Qualcuno dice che nel 2050 i trasmigranti saranno 250 milioni. «E l’Italia che fa? Sfoltisce il Senato». L’ex parlamentare della Sinistra Indipendente non usa giri di parole: «E’ in corso una terza guerra mondiale non dichiarata, ma che fa vittime in tutto il mondo. Aleppo è rasa al suolo, la Siria è dilaniata, l’Iraq è distrutto, l’Afganistan devastato, i palestinesi sono prigionieri da cinquant’anni nella loro terra, Gaza è assediata, la Libia è in guerra». In Africa, in Medio Oriente e anche in Europa «si tagliano teste e si allestiscono stragi in nome di Dio. E l’Italia che fa? Toglie lo stipendio ai senatori». Nel resto del mondo, peraltro, lo spettacolo non è migliore: è appena fallito il G20 ad Hangzhou, in Cina. I “grandi della terra”, «che accumulano armi di distruzione di massa e si combattono nei mercati in tutto il mondo», non sanno che fare «per i profughi, per le guerre», non vogliono «evitare la catastrofe ambientale», né tantomeno «promuovere un’economia che tenga in vita sette miliardi e mezzo di abitanti della terra».L’unica cosa che decidono «è di disarmare la politica e di armare i mercati, di abbattere le residue restrizioni del commercio e delle speculazioni finanziarie, di legittimare la repressione politica e la reazione anticurda di Erdogan in Turchia e di commiserare la Merkel che ha perso le elezioni amministrative in Germania». E in tutto questo l’Italia che fa? «Fa eleggere i senatori dai consigli regionali». Ed è l’Italia a crescita zero, col 39% di giovani disoccupati, il lavoro precario, i licenziamenti in aumento: «I poveri assoluti sono quattro milioni e mezzo, la povertà relativa coinvolge tre milioni di famiglie e otto milioni e mezzo di persone». Il governo Renzi «fa una legge elettorale che esclude dal Parlamento il pluralismo ideologico e sociale, neutralizza la rappresentanza e concentra il potere in un solo partito e una sola persona». Si dice: ce lo chiede l’Europa, cioè il fantasma di un sogno lontano e completamente abortito. «Se questa è la distanza tra la riforma costituzionale e i bisogni reali del mondo, dell’Europa, del Mediterraneo e dell’Italia, la domanda è perché ci venga proposta una riforma così».La verità è rivoluzionaria, certo, ma bisogna conoscerla per tempo: «Il guaio della verità è che essa si viene a sapere troppo tardi, quando il tempo è passato». Esempio: «Se si fosse saputa in tempo la bugia sul mai avvenuto incidente del Golfo del Tonchino, la guerra del Vietnam non ci sarebbe stata, l’America non sarebbe diventata incapace di seguire la via di Roosevelt, di Truman, di Kennedy, e avrebbe potuto guidare l’edificazione democratica e pacifica del nuovo ordine mondiale inaugurato venti anni prima con la Carta di San Francisco». Idem: «Se si fosse conosciuta prima la bugia di Bush e di Blair, e saputo che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non c’erano, non sarebbe stato devastato il Medio Oriente, il terrorismo non avrebbe preso le forme totali dei combattenti suicidi in tutto il mondo». E ancora: «Se si fosse saputa la verità sul delitto e sui mandanti dell’uccisione di Moro, l’Italia si sarebbe salvata dalla decadenza in cui è stata precipitata».Dunque, insiste La Valle, la verità del referendum anti-Renzi va conosciuta “finché si è in tempo”. Il vantato risparmio sui costi della politica? Ridicolo: per la Ragioneria Generale dello Stato, il taglio della paga dei senatori vale appena 58 milioni, mentre il costo del Senato resta. Il risparmio sui tempi della politica? Illusione: il bicameralismo rimane, perché «si introducono sei diversi tipi di leggi e di procedure che ricadono su ambedue le Camere», creando «un intrico di passaggi tra Camera e Senato e un groviglio di competenze». Non è la legge Boschi il vero oggetto della consultazione: la verità è nascosta dietro le urne. Il referendum è «un evento di rivelazione che squarcia il velo sulla situazione com’è: è uno svelamento della vera lotta che si sta svolgendo nel mondo e della posta che è in gioco». Il voto è rivelatore dello stato del mondo. Bisogna trovare la sua verità nascosta, il suo vero “movente”, la sua vera premeditazione, partendo proprio da Renzi: ha ammesso che la riforma gli è stata “suggerita” da Napolitano. E prima ancora dalla Jp Morgan, che già nel 2013 accusava la nostra Costituzione di tutelare eccessivamente i diritti del lavoro e «la libertà di protestare contro le scelte non gradite del potere».E’ il diktat storico della Commissione Trilaterale fondata da Rockefeller: limitare la democrazia. «La stessa cosa vogliono ora i grandi poteri economici e finanziari mondiali, tanto è vero che sono scesi in campo i grandi giornali che li rappresentano, il “Financial Times” e il “Wall Street Journal”, i quali dicono che il No al referendum sarebbe una catastrofe come il Brexit inglese». Ci si è messo anche l’ambasciatore americano a Roma: se in Italia vincesse il No, gli “investitori” scapperebbero. I diritti del lavoro Renzi li ha già “sistemati” col Jobs Act. “Spegnendo” il Senato diverrebbe padrone dell’agenda parlamentare. E con l’Italicum – 340 deputati su 615 al partito di maggioranza, a prescindere dal numero di voti ottenuti – ne farebbe “un uomo solo al comando”: sfiduciare il governo, se pessimo, sarebbe prerogativa esclusiva del partito stesso, non più degli eletti. In più le nuove procedure introdotte «renderanno più difficili le forme di democrazia diretta come i referendum o le leggi di iniziativa popolare». Risultato: «Ci sarà una diminuzione della possibilità per i cittadini di intervenire nei confronti del potere». Si accorgeranno, “i cittadini”, che sono stati proprio loro a spingere Renzi fin lassù?Tra gli “indizi” che svelano la vera natura della sfida, Raniero La Valle cita la risposta di Romano Prodi, interrogato sul voto: non mi pronuncio, ha detto, perché altrimenti turbo i mercati e destabilizzo l’Italia in Europa. «Dunque non è una questione italiana, è una questione che riguarda l’Europa, è una questione che potrebbe turbare i mercati. Insomma è qualcosa che ha a che fare con l’assetto del mondo». Mondo che, continua La Valle, era già cambiato – in modo drastico – ben prima dell’11 settembre 2001. Per lo storico britannico Eric Hobsbawm, il “secolo breve” finì già nel 1991: lì fu dato inizio «a un nuovo secolo, a un nuovo millennio e a un nuovo regime che nella follia delle classi dirigenti di allora doveva essere quello definitivo», tant’è vero che l’economista Francis Fukuyama, beniamino della Trilaterale, lo definì come la “fine della storia”: il capitalismo senza più freni, che si finanziarizza e impone in tutto il mondo la legge del più forte. Un potere totalitario che abbatte diritti, conquiste sociali e sovranità democratiche. E attenzione: secondo La Valle «c’è una teoria molto attendibile secondo cui all’inizio di un’intera epoca storica, all’inizio di ogni nuovo regime, c’è un delitto fondatore».Ed ecco il punto: il sacrificio simbolico. Secondo l’antropololo francese René Girard, fin dall’inizio della storia della civiltà, il “delitto fondatore” è l’uccisione della vittima innocente. «Ossia c’è un sacrificio, grazie al quale viene ricomposta l’unità della società dilaniata dalle lotte primordiali». Per un padre dell’Illuminismo come il filosofo inglese Thomas Hobbes, lo Stato stesso viene fondato dall’atto di violenza con cui il Leviatano assume il monopolio della forza, ponendo fine alla lotta di tutti contro tutti e assicurando ai sudditi la vita in cambio della libertà. Anche secondo Freud, all’origine della società civile c’è un “delitto fondatore”: quello dell’uccisione del padre. «Se poi si va a guardare la storia – continua La Valle – si trovano molti “delitti fondatori”. Cesare molte volte viene ucciso, il delitto Matteotti è il delitto fondatore del fascismo, l’assassinio di Kennedy apre la strada al disegno di dominio globale della destra americana che si prepara a sognare, per il Duemila, “il nuovo secolo americano”». Da noi, «l’uccisione di Moro è il “delitto fondatore” dell’Italia che si pente delle sue conquiste democratiche e popolari».E qual è il “delitto fondatore” dell’attuale regime del capitalismo globale? Qual è il crimine sacrificale che “battezza” il nuovo regime planetario basato sul governo del denaro? Quale grande evento sdogana questa “economia che uccide”, istituzionalizzando un sistema in base al quale, perché qualcuno stia meglio, altri “devono” stare peggio? E’ la guerra, naturalmente: per la precisione la prima Guerra del Golfo, quella del 1991. «È a partire da quella svolta che è stato costruito il nuovo ordine mondiale», scrive Raniero La Valle, che cita una data precisa: il 26 novembre 1991. Quel giorno, il nuovo “regime” si presentò in Italia. Il ministro della difesa Rognoni illustrò in commissione, alla Camera, il Nuovo Modello di Difesa. La “nuova” guerra, quella di oggi. Svanito il nemico sovietico, la vecchia Nato non serviva più: tramontata la guerra fredda, veniva meno anche la deterrenza nucleare. Opportunità storica: investire nella pace e nello sviluppo i miliardi fino ad allora destinati ad armamenti ormai inutili. «Ma l’Occidente fa un’altra scelta: si riappropria della guerra e la esibisce a tutto il mondo nella spettacolare rappresentazione della prima Guerra del Golfo del 1991».Ci siamo: cambia la natura della Nato, il nemico non è pià l’Est ma il Sud. L’Occidente «cambia la visione strategica dell’alleanza e ne fa la guardia armata dell’ordine mondiale cercando di sostituirla all’Onu». Tramontano anche «gli ideali della comunità internazionale, che erano la sicurezza e la pace». Meglio la guerra, per assicurarsi in modo permanente l’accesso privilegiato alle materie prime, come il petrolio. Riflesso italiano: via l’esercito di leva, serve una milizia di professionisti. Da impiegare non più in Italia ma all’estero, nelle missioni “umanitarie”. Mediterraneo, Somalia, Medio Oriente, Golfo Persico: «La nuova contrapposizione è con l’Islam», a partire dal conflitto israelo-palestinese. «Chi ha detto che non abbiamo dichiarato guerra all’Islam? Noi l’abbiamo dichiarata nel 1991». Col Nuovo Modello di Difesa imposto all’Italia «non cambia solo la politica militare ma cambia la Costituzione, l’idea della politica, la ragion di Stato, le alleanze, i rapporti con l’Onu: viene istituzionalizzata la guerra e annunciato un periodo di conflitti ad alta probabilità di occorrenza che avranno l’Islam come nemico». In Parlamento «non si dovrebbe parlare d’altro», e invece «nessuno se ne accorge, il Modello di Difesa non giungerà mai in aula».Un modello-fantasma, sotterraneo ma pienamente operativo da subito: «Tutto quello che è avvenuto in seguito – dalla guerra nei Balcani alle Torri Gemelle all’invasione dell’Iraq, alla Siria, fino alla terza guerra mondiale a pezzi che oggi, come dice il Papa, è in corso – ne è stato la conseguenza e lo svolgimento». E allora, meglio si capisce, oggi, la verità del referendum renziano: «La nuova Costituzione è la quadratura del cerchio», avverte La Valle. «Gli istituti della democrazia non sono compatibili con la competizione globale, con la guerra permanente: chi vuole mantenerli è considerato un conservatore. Il mondo è il mercato; il mercato non sopporta altre leggi che quelle del mercato. Se qualcuno minaccia di fare di testa sua, i mercati si turbano». La politica? Si faccia da parte: «Non deve interferire sulla competizione e i conflitti di mercato. Se la gente muore di fame, e il mercato non la mantiene in vita, la politica non può intervenire, perché sono proibiti gli aiuti di Stato. Se lo Stato ci prova, o introduce leggi a difesa del lavoro o dell’ambiente, le imprese lo portano in tribunale e vincono la causa. Questo dicono i nuovi trattati del commercio globale».Si scrive referendum, ma si legge: ultimo appello. Per Raniero La Valle, votare No «è l’unica speranza di tenere aperta l’alternativa, di non dare per compiuto e irreversibile il passaggio dalla libertà della democrazia costituzionale alla schiavitù del mercato globale». Perché «sia la società selvaggia che, con il No, sia dichiarata in difetto e attraverso la lotta sia rimessa in pari con la Costituzione, la giustizia e il diritto». E’ toccato a Renzi indossare quella maschera, ma al suo posto poteva esseci chiunque altro. Certo, l’attuale premier si è dimostrato l’uomo giusto al posto giusto: «Ci vogliono poteri spicci e sbrigativi», per sgombrare il campo dagli ultimi inciampi rappresentati dalle Costituzioni che “ripudiano la guerra”. Tutto è guerra, ormai. Questa economia è guerra. Pefettamente mondializzata, a partire dal fatidico 1991, l’anno del “sacrificio” dell’Iraq che spalancò le porte alla nuova epoca fondata sulla violenza internazionale. Da allora, «la guerra è lo strumento supremo per difendere il mercato e far vincere nel mercato».Pensate che si tratti di un referendum normale, di quelli indetti in tempo di pace? «Cari amici, poiché ho 85 anni devo dirvi come sono andate le cose», premette Raniero La Valle, veterano della sinistra italiana. Molti credono che il mondo abbia cambiato volto dopo l’11 Settembre? Errore. Tutto è esploso almeno dieci anni prima, quando – alla caduta dell’Urss – si è deciso di «rispondere alla fine del comunismo portando un capitalismo aggressivo fino agli estremi confini della terra», promuovendolo «da ideologia a legge universale, da storicità a trascendenza». Vi spaventa Renzi con la sua riforma, da cui la battaglia sul referendum? Non è che l’ultimo gradino di una lunghissima scala in discesa: «Avevamo preteso di superare il conflitto di classe smontando i sindacati», e di «sfruttare la fine della contrapposizione militare tra i blocchi facendo del Terzo Mondo un teatro di conquista». La scelta decisiva? «Restauratrice e totalmente reazionaria». Questa: «Disarmare la politica e armare l’economia – non in un solo paese, ma in tutto il mondo». Globalizzazione a mano armata. Inaugurata da un sacrificio simbolico: la Guerra del Golfo del 1991. L’era della guerra totale come nuova normalità: la guerra dell’Occidente contro il resto del mondo.
-
Marchi: l’universo siamo noi, così la religione ci teme
In molte occasioni ho parlato dell’unità e dell’unione di ogni essere in un Tutto universale unico. Perché questo concetto è così difficile da accettare? Semplice. Perché da millenni l’umanità è stata educata dalle varie religioni del mondo, attraverso riti e cerimoniali vari, a credere all’esistenza di un Creatore e di un Creato. A parlare di un Dio Formale (in maniera antropomorfica) anziché di una Divinità Informale, come stato di Coscienza Cosmica. In questo modo la “teologia morale” ha potuto tenere in scacco l’individuo, parlandogli di giudizi universali, di condanne e di peccato originale, da cui poi egli si è sentito oppresso in maniera punitiva per le sue miserevoli “colpe”. Riscattarsene oggi, con un Dna così preformato, è quasi un’impresa disperata. Da sempre, il fatto che la materia sia intessuta in un modo così straordinariamente perfetto, fino a manifestare una intelligenza del più alto livello ed in modo così stupefacente, ha finito per implicare nella mente degli uomini la presenza nel mondo di un “Grande Progettista” geniale, di un “Grande Orologiaio” distaccato, di un “Grande Orchestratore” esterno, di un “Grande Architetto” costruttore, di un “Grande Regista”, direttore dell’universo.E ciò ha continuato ad avvenire, nonostante la ricerca abbia ormai dimostrato largamente che tutti i sistemi viventi (dato che neanche un atomo è materia inerte) hanno mostrato un grado di assemblarsi da soli veramente strabiliante, a seguito di una trasformazione “auto-organizzata” o “auto-arrangiata” che lascia sbalorditi. Il concetto è difficile da accettare perché sfida il programma subdolo di una cultura millenaria che lo ha spacciato per la nozione più eretica e blasfema che si possa immaginare. E poi perché in quella dualità si annida il business dell’intermediazione, il più scandaloso affare di tutti i secoli. Un affare che è la madre di tutte le atrocità compiute dall’umanità, perché toglie dignità a qualsiasi cosa creduta altro da noi stessi e al nostro stesso simile. Quando invece siamo un “Singolo Organismo” o Campo di Coscienza Universale, un “Intatto” interamente intelligente. Del resto, ci siamo mai chiesti: ma perché la verità si chiama verità? Non perché il suo contrario sia il falso, ma perché essa è unica. Vedere ciò è diverso che dire che essa è non-falsa.Ci sono stati o ci sono ancora individui e organizzazioni che in modo cosciente hanno operato affinché l’Uno apparisse come Due e tale apparente separazione fosse percepita come realtà? Di queste ce n’è una miriade, laiche e religiose. Ma ce n’è una di vertice su tutte, cui tutte fanno capo: il “New Global Order”. Tuttavia per l’approfondimento e l’analisi di questa enorme e micidiale struttura dominante, per la cui trattazione completa ci vorrebbe uno spazio a parte, è bene rimandare qui alla lettura dei libri “La Scienza dell’Uno” e “Mirjel, il Meraviglioso Uno”, entrambi testi del Gruppo Editoriale Macroedizioni, che ne fanno ampio riferimento.(Vittorio Marchi, estratti dall’intervista “Fisica quantistica e spiritualità”, pubblicata sul blog di Giovanni Pelosini il 10 luglio 2011. Il professor Marchi è un eminente ricercatore italiano nel campo della fisica quantistica, autore di importanti saggi anche a carattere divulgativo come “La scoperta dell’invisibile”, “La vertigine di scoprirsi Dio” e “La grande equazione – io, l’universo, Dio”).In molte occasioni ho parlato dell’unità e dell’unione di ogni essere in un Tutto universale unico. Perché questo concetto è così difficile da accettare? Semplice. Perché da millenni l’umanità è stata educata dalle varie religioni del mondo, attraverso riti e cerimoniali vari, a credere all’esistenza di un Creatore e di un Creato. A parlare di un Dio Formale (in maniera antropomorfica) anziché di una Divinità Informale, come stato di Coscienza Cosmica. In questo modo la “teologia morale” ha potuto tenere in scacco l’individuo, parlandogli di giudizi universali, di condanne e di peccato originale, da cui poi egli si è sentito oppresso in maniera punitiva per le sue miserevoli “colpe”. Riscattarsene oggi, con un Dna così preformato, è quasi un’impresa disperata. Da sempre, il fatto che la materia sia intessuta in un modo così straordinariamente perfetto, fino a manifestare una intelligenza del più alto livello ed in modo così stupefacente, ha finito per implicare nella mente degli uomini la presenza nel mondo di un “Grande Progettista” geniale, di un “Grande Orologiaio” distaccato, di un “Grande Orchestratore” esterno, di un “Grande Architetto” costruttore, di un “Grande Regista”, direttore dell’universo.
-
Mazzucco: l’11 Settembre spiegato ai pompieri, a casa mia
Questa mattina abbiamo dovuto chiamare i vigili del fuoco, per un piccolo incidente domestico. Si era rotta la serratura della porta d’ingresso, ed eravamo rimasti chiusi in casa. Hanno dovuto entrare dal balcone per venire a “liberarci”. Mentre i suoi colleghi lavoravano per smontare la porta, io ho fatto due chiacchiere con il caposquadra. Aveva gli occhi sottili come due fessure, la pelle bruciata dal sole, e la fronte imperlata di sudore. Mi domandavo come facessero a lavorare, d’estate, con quei pesantissimi pantaloni e quegli stivaloni di gomma. Abbiamo iniziato a parlare degli incendi estivi, e lui mi ha spiegato che sono quasi tutti dolosi, ma che non c’è una intenzione particolare di creare dei disastri. «Di solito – mi spiegava – sono gli stessi contadini che danno fuoco ai loro prati ormai seccati, perché l’erba fresca che ricresce produce nelle capre un latte migliore e meno amaro. Ogni tanto la cosa gli scappa di mano, e noi dobbiamo intervenire». A quel punto ho provato a spostare l’argomento sull’11 Settembre. «Ogni volta che vedo i vigili del fuoco in azione – ho detto – mi vengono in mente quei poveracci morti nelle Torri Gemelle».«Quelli sono stati proprio sfortunati», ha detto lui, con un sospiro: «Gli è crollato tutto addosso, mentre cercavano di spegnere le fiamme». «Veramente non è andata proprio così», ho detto io: «Quelle torri non dovevano crollare». «Come no?», ha replicato lui: «Lì il calore ha sciolto la struttura, ed è venuto giù tutto». «Ma scusi – gli ho suggerito io – la struttura era in acciaio, e l’acciaio fonde a 1500°, giusto?». Giusto. «Il cherosene [combustibile degli aerei] però sviluppa al massimo 800°, quando brucia». «Ah già, è vero. Non ci avevo mai pensato», ha detto lui: «Ma allora, scusi, perché sono venute giù?». «Sono venute giù perché le hanno tirate giù», ho detto io: «Con gli esplosivi». «Con gli esplosivi? E chi li ha messi gli esplosivi?». «Li hanno messi loro, gli americani. Quelli del Pentagono. Avevano bisogno di creare un disastro, per dare la colpa a bin Laden e andare a fare la guerra in Afghanistan». A quel punto le fessure delle palpebre si sono aperte, e ho visto due grandi occhi azzurri, completamente persi nel vuoto.E’ rimasto in silenzio per qualche secondo, poi ha chiamato i suoi colleghi: «Vincenzo, Salvatore, venite un po’ qua. Sentite cosa ha da dire questo signore». E così ho iniziato a parlare della struttura delle Torri Gemelle, dell’amianto che contenevano, delle 80.000 tonnellate di struttura sana sotto il livello di impatto, di caduta libera, di dozzine di testimonianze sulle esplosioni, del fatto miracoloso che due aerei siano riusciti a far crollare tre grattacieli nello stesso giorno, ecc. ecc. Poi è arrivato il momento più delicato, quando gli ho detto: «I vostri fratelli non sono morti fra le macerie per semplice sfortuna. Sono morti perché ce li hanno mandati, a morire. Li hanno mandati lì dentro, pur sapendo che poco dopo le torri sarebbero crollate. Avevano bisogno di martiri, per scatenare l’indignazione popolare e andare a fare la guerra in Afghanistan». Loro mi guardavano stupefatti. Uno era rimasto letteralmente con la bocca aperta e il cacciavite in mano.Non dev’essere facile, per gente che è abituata a rischiare la vita per gli altri, sentirsi dire che qualcuno li ha ammazzati apposta per farsi i propri porci comodi. Hanno finito il lavoro in silenzio, senza più parlare. Poi, prima di andarsene, il comandante mi ha chiesto: «Ma scusate, com’è che noi di queste cose non ne sappiamo niente?». Io una risposta l’avrei avuta, ma sarebbe stata troppo lunga e troppo complicata. Ho preferito regalargli una copia di “Inganno Globale”, dicendogli: «Guardate questo, passatevelo fra voi e decidete da soli quello che è successo. Poi se un giorno volete fare due chiacchiere, io sono sempre qui. Passate di qui quando volete, e ci beviamo un bel caffè». «Lo faremo sicuramente», mi ha risposto il comandante, mentre scendevano silenziosi le scale.(Massimo Mazzucco, “Vigili del fuoco e 11 Settembre”, dal blog “Luogo Comune” del 21 agosto 2016).Questa mattina abbiamo dovuto chiamare i vigili del fuoco, per un piccolo incidente domestico. Si era rotta la serratura della porta d’ingresso, ed eravamo rimasti chiusi in casa. Hanno dovuto entrare dal balcone per venire a “liberarci”. Mentre i suoi colleghi lavoravano per smontare la porta, io ho fatto due chiacchiere con il caposquadra. Aveva gli occhi sottili come due fessure, la pelle bruciata dal sole, e la fronte imperlata di sudore. Mi domandavo come facessero a lavorare, d’estate, con quei pesantissimi pantaloni e quegli stivaloni di gomma. Abbiamo iniziato a parlare degli incendi estivi, e lui mi ha spiegato che sono quasi tutti dolosi, ma che non c’è una intenzione particolare di creare dei disastri. «Di solito – mi spiegava – sono gli stessi contadini che danno fuoco ai loro prati ormai seccati, perché l’erba fresca che ricresce produce nelle capre un latte migliore e meno amaro. Ogni tanto la cosa gli scappa di mano, e noi dobbiamo intervenire». A quel punto ho provato a spostare l’argomento sull’11 Settembre. «Ogni volta che vedo i vigili del fuoco in azione – ho detto – mi vengono in mente quei poveracci morti nelle Torri Gemelle».
-
Isis, cioè turchi e sauditi: guerra in Siria per un gasdotto
Lo sapevate che Steve Jobs, il guru della Apple, era figlio di un siriano immigrato negli Usa negli anni ‘50? E che il presidente Assad ha un consenso democratico superiore a quello di Obama? E ancora: chi sapeva che la principale fonte dei media occidentali sul conflitto siriano è un negozio di magliette in Inghilterra? «Non è uno scherzo», assicura “TheAntiMedia.org”. «Se seguite le notizie è probabile che abbiate sentito i media parlare di un’entità grandiosamente definita “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani” (“Syrian Observatory for Human Rights”, Sohr)». Ebbene, questo cosiddetto “osservatorio” è gestito da una sola persona nella propria casa, a Coventry, a migliaia di chilometri di distanza dal conflitto siriano. «Eppure è definito come la fonte più rispettata dai media occidentali: “Bbc”, “Reuters”, “Guardian”». Le credenziali di questa persona? «Consistono nell’essere proprietario di un negozio di magliette nella stessa via della propria casa, nonché di essere un noto dissidente dell’attuale presidente siriano». E questa è solo una delle tante cose che i media mainstream non raccontano, del conflitto in Siria. Dove, a innescare la guerra, è stato il rifiuto di Assad di concedere il proprio territorio per un gasdotto che avrebbe collegato Arabia Saudita e Turchia.Lo scrive Darius Shahtahmasebi, in un post ripreso da “Zero Hedge” e rilanciato da “Voci dall’Estero” per illuminare le clamorose falle della narrazione ufficiale sulla guerra in Siria. Una notizia decisamente irrintracciabile, su giornali e televisioni, è il tasso di popolarità di Bashar Assad: «Dall’inizio del conflitto nel 2011 – scrove Shahtahmasebi – Assad ha sempre mantenuto il sostegno della maggioranza del suo popolo. Le elezioni del 2014 – dove Assad ha ottenuto una vittoria schiacciante, e osservatori internazionali hanno dichiarato che non ci sono stati brogli – è la prova del fatto che, sebbene Assad sia stato accusato di gravi violazioni dei diritti umani, continua a mantenere un’ampia popolarità presso il popolo siriano». Obama, dal canto suo, ha vinto le elezioni del 2012 con una maggioranza di appena il 53,6%, e con solo 129 milioni di cittadini recatisi alle urne. «Questo significa che circa 189,8 miliori di americani non hanno votato Obama». Il suo attuale tasso di approvazione è quindi attorno al 50%, inferiore a quello del “dittatore” Assad.Un’autentica barzelletta, continua Shahtahmasebi su “TheAntiMedia.org”, riguarda la famosa “opposizione moderata”: se mai c’è stata, non esiste più. «Il cosiddetto Libero Esercito Siriano sostenuto dall’Occidente è dominato da anni dalle forze estremiste. Gli Usa lo sanno già, eppure hanno continuato a sostenere l’opposizione siriana. Il “New York Times” nel 2012 ha riportato che la maggior parte degli armamenti spediti in Siria finivano nelle mani degli jihadisti». Un report riservato della Dia prediceva l’ascesa dell’Isis nel 2012: «Se la situazione si dipana – recitava testualmente il documento – è possibile che si stabilisca un principato Salafita, sia esso dichiarato o meno, nella Siria orientale. Questo è esattamente ciò che vogliono attualmente le forze dell’opposizione, per isolare il regime siriano». Inoltre, una testimonianza di un comandante del Libero Esercito Siriano mostra non solo l’ammissione che i suoi combattenti partecipano regolarmente ad azioni congiunte con al-Nusra (il braccio siriano di Al-Qaeda), ma anche che lui stesso spera di vedere la Siria governata dalla legge della Sharia.Altra super-montatura, quella dell’uso di armi chimiche da parte del regime nell’agosto 2013, che rischiò di innescare bombardamenti Nato: tra gli altri, un giornalista Premio Pulitzer come Seymour Hersh dimostrò che l’intelligence Usa era perfettamente al corrente dell’uso del gas Sarin da parte dei “ribelli”. Darius Shahtahmasebi ricorda che lo stesso generale Wesley Clark rivelò che, all’indomani dell’11 Settembre, il Pentagono aveva sviluppato un piano per rovesciare, in cinque anni, i governi di sette paesi: oltre alla Siria l’Iraq (invaso nel 2003), il Libano (attaccato da Israele nel 2006), la Libia (distrutta nel 2011), la Somalia (oggi sorvolata dai droni Usa) e il Sudan, smembrato nel 2011 al termine di una sanguinosa guerra civile. Nell’elenco degli Stati da abbattere era compreso anche l’Iran, che con la Siria ha un accordo di reciproca difesa stipulato nel 2005. Gioco pericoloso: con l’Iran sono schierate Russia e Cina. E l’intervento militare russo in Siria «dimostra che queste non sono vane minacce: il loro impegno ha seguito le loro parole».I media raccontano che l’Isis è nato in Siria? Sbagliato: il Califfato è nato come conseguenza dell’invasione statunitense in Iraq, dice Shahtahmasebi. Prima, l’Isis era noto come “Al-Qaeda in Iraq”, ed è diventato importante in seguito all’invasione Nato del 2003. «È ben noto che non c’era alcuna traccia tangibile di Al-Qaeda in Iraq prima di quella invasione, e per un motivo ben preciso: quando Paul Bremer ricevette il ruolo di inviato presidenziale in Iraq nel maggio 2003, dissolse le forze di polizia e l’esercito. Bremer licenziò quasi 400.000 uomini in servizio, tra cui ufficiali militari di alto rango che avevano combattuto nella guerra Iran-Iraq negli anni ’80. Questi ufficiali oggi detengono importanti posizioni all’interno dell’Isis. Se non fosse stato per l’azione statunitense, l’Isis probabilmente non sarebbe mai esistito». I suoi tagliagole oggi «sono diventati fondamentali nel programma occidentale di rovesciamento dei regimi in Libia e in Siria. Quando i vari gruppi iracheni e siriani affiliati ad al-Qaeda si sono uniti lungo il confine siriano nel 2014, ci siamo trovati con il gruppo terroristico che conosciamo oggi».Oltre al ruolo della Turchia di Erdogan nel fornire assistenza di ogni genere all’Isis in Siria, c’è poi un altro fondamentale retroscena: «Turchia, Qatar e Arabia Saudita volevano costruire un gasdotto lungo la Siria, ma Assad ha rifiutato». Ed ecco i guai. La storia comincia nel 2009, quando il Qatar propose di costruire una conduttura lungo la Siria e la Turchia per esportare il gas saudita, scrive Shahtahmasebi. «Assad rifiutò la proposta e formò al contrario un accordo con l’Iran e l’Iraq per costruire una conduttura verso il mercato europeo, che avrebbe tagliato fuori Turchia, Arabia Saudita e Qatar». Da allora, prosegue “TheAntiMedia.org”, questi paesi sono diventati forti sostenitori dell’opposizione siriana che voleva rovesciare Assad. «Complessivamente, hanno investito miliardi di dollari, prestato armamenti, incoraggiato la diffusione del fanatismo ideologico e hanno permesso il passaggio dei combattenti lungo i propri confini». Grazie alla resistenza di Assad sostenuto da Putin, la conduttura Iran-Iraq «rafforzerà l’influenza iraniana nella regione e minerà il suo rivale, l’Arabia Saudita, l’altro grande produttore Opec. Se avrà la capacità di trasportare gas verso l’Europa senza dover passare per gli alleati di Washington, l’Iran guadagnerà potere contrattuale e potrà negoziare accordi di escludano completamente gli Usa e il dollaro». Un mare di soldi: e questo, più di qualunque altro argomento, aiuta a capire meglio lo strano accanimento contro il governo di Damasco.Lo sapevate che Steve Jobs, il guru della Apple, era figlio di un siriano immigrato negli Usa negli anni ‘50? E che il presidente Assad ha un consenso democratico superiore a quello di Obama? E ancora: chi sapeva che la principale fonte dei media occidentali sul conflitto siriano è un negozio di magliette in Inghilterra? «Non è uno scherzo», assicura “TheAntiMedia.org”. «Se seguite le notizie è probabile che abbiate sentito i media parlare di un’entità grandiosamente definita “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani” (“Syrian Observatory for Human Rights”, Sohr)». Ebbene, questo cosiddetto “osservatorio” è gestito da una sola persona nella propria casa, a Coventry, a migliaia di chilometri di distanza dal conflitto siriano. «Eppure è definito come la fonte più rispettata dai media occidentali: “Bbc”, “Reuters”, “Guardian”». Le credenziali di questa persona? «Consistono nell’essere proprietario di un negozio di magliette nella stessa via della propria casa, nonché di essere un noto dissidente dell’attuale presidente siriano». E questa è solo una delle tante cose che i media mainstream non raccontano, del conflitto in Siria. Dove, a innescare la guerra, è stato il rifiuto di Assad di concedere il proprio territorio per un gasdotto che avrebbe collegato Arabia Saudita e Turchia.
-
Dante e i Templari fiorentini, fino a John Fitzgerald Kennedy
In un libro edito da Aurora Boreale, “Firenze, città santa dei Templari”, Luca Monti scrive che Dante Alighieri fu il Gran Maestro segreto dei Templari dopo Jacques De Molay. «La storia dei Templari è molto diversa da quella che viene descritta dagli storici tradizionali», spiega Monti, intervistato da Paolo Franceschetti. «Quando io mi occupo della storia non me ne occupo con gli strumenti tradizionali, cioè con i libri e i materiali scritti da storici, perché questi sono materiali scritti da uomini, quindi con criteri limitati; io parto invece dai simboli, che sono universali a tutte le latitudini. Da questo punto di vista i simboli usati dai Templari ci dicono molto, e ci dice molto anche il modo in cui Dante scriveva, che era di tipo esoterico. Già questo quindi offre le prime basi di partenza per l’interpretazione della Divina Commedia e ci dà delle precise indicazioni sul suo valore». Tutto, aggiunge Monti è basato su determinati numeri: 3 cantiche, e 3 è il numero della perfezione; 33 canti, e 33 è il massimo grado della massoneria, il massimo grado sapienziale. Ricorre spesso il numero 13: Dante mette nelle varie cantiche diversi gruppi di 13; 13 i dannati a cui Dante chiede il nome, 13 quelli cui non chiede il nome, 13 i dannati che si fanno riconoscere senza che venga loro chiesto il nome, eccetera.«Abbiamo poi indizi che dicono che Dante era un templare», prosegue Monti, nell’intervista pubblicata sul blog di Franceschetti. Esiste una moneta conservata in un museo di Vienna, in cui viene attribuito a Dante il grado di Cavaliere Kadosh, uno dei cavalierati più segreti all’interno dei Templari. «Attorno a sé lui aveva creato un circolo che ufficialmente si occupava di poesie d’amore, ma in realtà era un circolo segreto di matrice esoterica. L’ultima guida di Dante poi è San Bernardo, che è il creatore della regola templare». I manoscritti originali di Dante, ufficialmente, non esistono, osserva Franceschetti: non abbiamo una sua firma autografa, un suo manoscritto, nulla. Esiste qualcuno che li ha? «Per quello che posso immaginare sì, ci sono – risponde Monti – ma non sono consultabili e credo siano negli Stati Uniti, custoditi dai Templari di oggi. C’è ad esempio un certo Filippo Mazzei che è stato uno dei firmatari della Costituzione americana ed era un fiorentino di una famiglia templare molto importante. I legami quindi tra Templari e Usa sono molto stretti, perché a partire dal 1200 ormai l’Europa divenne scomoda per i Templari e quello che potevano fu portato negli Usa».Questi documenti, continua Monti, «non vengono divulgati perché da secoli ci sono battaglie all’interno del movimento templare tra coloro che sono chiamati “passatisti”, che hanno una visione pura del mondo iniziatico, e i “modernisti”, che sono la componente più nera». Nella Divina Commedia non esiste un solo cenno alla moglie di Dante, Gemma Donati, e così pure nelle altre opere. Corso Donati, Forese Donati e Piccarda Donati sono parenti di Gemma e vengono nominati, aggiunge Franceschetti – ma perché mai la moglie? Cosa ci hanno taciuto del personaggio di Dante? E’ possibile che sia un’opera collettiva e Dante sia un personaggio romanzato? «No, credo proprio di no. Credo sia tutta farina del sacco di una persona», dice Monti. «Dante divenne maestro templare controvoglia. Il vero maestro doveva essere Brunetto Latini, ma non se la sentì e per questo fu posto all’Inferno, per punirlo simbolicamente del suo rifiuto. Quanto a Gemma, potrebbe simboleggiare la “gemma gnostica” e non essere un personaggio vero e proprio. Probabile fosse quindi uno pseudonimo».E Dante cosa faceva nei periodi bui della sua biografia? «Si dedicò a ripristinare l’Ordine templare che ormai era quasi finito», racconta Luca Monti. «Non è escluso che sia stato in Medio Oriente per incontrare i Sufi, con cui ebbe rapporti molto stretti. Lo stesso Federico II provò a mettere insieme la cavalleria cristiana e islamica e addirittura quella mongola; lui infatti temporeggiava nell’intraprendere la crociata voluta dal Papa di allora, perché cercava questo accordo tra Islam e Cristianesimo esoterico». Altra domanda: Castel Del Monte, in Puglia, era il luogo dove fu custodito il Graal dai Templari? «E’ plausibile. Occorre vedere quale Graal, perché ce n’erano tre. Il contenitore del sangue di Cristo, il balsamario e quello dell’ultima cena». E che dire di due personaggi fondamentali della Divina Commedia, San Bernardo e Beatrice? «Beatrice è l’obiettivo cui devono tendere i Templari, perché simbolicamente rappresenta la gnosi, la “sofìa”, la conoscenza suprema. Per questo la troviamo nel Paradiso, perché non deve essere contaminata da energie basse». Quanto a San Bernardo, «non è solo chi ha scritto la regola, ma è colui che ha plasmato esotericamente i Templari». E i cavalieri del Tempio «non nascono certo per difendere i pellegrini in Terrasanta: in 9 infatti potevano fare ben poco». La loro vera missione: «Trovare degli oggetti esotericamente importanti». Nel tempio di Gerusalemme «cercarono l’Arca dell’Alleanza, la testa di San Giovanni Battista e molto altro».In chiave inziatica, aggiunge Franceschetti, com’è che l’esoterista Dante “vede” Inferno, Purgatorio e Paradiso? «Secondo me li ha visitati davvero», risponde Monti, «nel senso che con un “viaggio astrale” probabilmente lui ha effettuato questo percorso, e probabilmente è stato il “viaggio astrale” più interessante della storia dell’umanità», nientemeno. Con l’espressione “viaggio astrale” si può intendere “esperienza extracorporea”, nota anche con le sigle Obe o anche Oobe (dall’inglese “out of body experience”), che per Wikipedia sta a indicare «tutte quelle esperienze, la cui interpretazione rimane controversa, nelle quali una persona percepisce di “uscire” dal proprio corpo fisico, cioè di proiettare la propria coscienza oltre i confini corporei». Sempre per Wikipedia, circa una persona su dieci ritiene di aver avuto qualche volta nella vita una di queste esperienze. «Più stringatamente», il termine «sta a indicare quella sensazione che taluni provano come se stessero fluttuando all’esterno del proprio corpo e, in taluni casi, percependo la presenza del proprio corpo da un punto esterno ad esso».In genere – prosegue Franceschetti, cambiando argomento – gli iniziati condivisono tra loro il cosiddetto “segreto iniziatico”, e proprio per questo motivo «non parlano di Dante svelandone i principali segreti». Luca Monti invece perché ne parla? Non è vincolato al “segreto iniziatico”, pure essendo “Gran Priore del Sacro Ordine Equestre Ecumenico Templare”? «Personalmente – spiega l’autore del libro sul templarismo fiorentino – credo sia il momento di divulgare il più possibile, e che il “segreto iniziatico” debba essere molto ridimensionato». E aggiunge: «Credo anzi che la missione del vero iniziato, oggi, in cui i tempi sono molto cambiati, debba addirittura essere capovolta rispetto al passato, cioè essere quella di cercare di innalzare il livello sapienziale delle masse, per quanto possibile, buttando sempre più sassolini per permettere a chi vuole di fare delle ricerche». Sicché, Franceschetti ne approfitta: «Dante – dice – parla spesso di un “cinquecentodieci e quinque”, 515, che libererà l’umanità». Che cos’è? Cosa rappresenta? «E cosa rappresenta il 666? Teniamo conto che nella Divina Commedia le profezie dantesche sono tutte collocate, con precisione matematica, a 515 o 666 versi di distanza l’una dall’altra».«Io penso che questo 515 arriverà verso il 2020», risponde Monti. «Ma questo numero rappresenta anche la riunificazione; noi siamo tutti in potenza parti di Dio, particelle divine, e il 515 rappresenta la riunione di noi stessi col divino. Il 666 invece è il numero della Bestia dell’Apocalisse, ma ricordiamoci anche che l’Apocalisse è la Rivelazione». Altro quesito: se Dante fu il successore segreto di Jacques De Molay, l’ultimo leader dei Templari arso sul rogo, chi fu il successore di Dante? Sorpresa: per Luca Monti, il successore dell’Alighieri-templare fu «Gherarduccio dei Gherardini, antenato di John Fitzgerald Kennedy. Ecco perché questo legame tra Dante e i Templari». Sul tema, Monti sta scrivendo un libro, “Dal rogo all’ermellino”, ovvero «la trasformazione dei Templari dalla clandestinità all’affermazione di nuovi ordini». E i Catari, sterminati tra 1200 e 1300 dal Vaticano prima con la Crociata Albigese e poi con l’istituzione dell’Inquisizione, come incrociano la loro storia “eretica” con Dante e i Templari? «Catari e Templari sono fratelli – sostiene Monti – nel senso che condividevano una stessa visione gnostica della spiritualità; solo che i Templari non potevano esternarlo ufficialmente come i Catari, essendo formalmente riconosciuti dalla Chiesa». Ma non è tutto, perché «il legame spirituale dei Templari va oltre il Catarismo e oltre il Sufismo», basti pensare che «San Bernardo era un druido e anche quella è, quindi, una direzione spirituale da percorrere». Templari e Fedeli d’Amore? Stessa cosa, a Firenze: «I Fedeli d’Amore, quindi il gruppo di Cavalcanti e Brunetto Latini, erano i veritici templari, perché quello di “Fedele d’Amore” è il grado più alto dei Templari».(Il libro: Luca Monti, “Firenze, città santa dei Templari”, Aurora Boreale editore, 80 pagine, 12 euro).In un libro edito da Aurora Boreale, “Firenze, città santa dei Templari”, Luca Monti scrive che Dante Alighieri fu il Gran Maestro segreto dei Templari dopo Jacques De Molay. «La storia dei Templari è molto diversa da quella che viene descritta dagli storici tradizionali», spiega Monti, intervistato da Paolo Franceschetti. «Quando io mi occupo della storia non me ne occupo con gli strumenti tradizionali, cioè con i libri e i materiali scritti da storici, perché questi sono materiali scritti da uomini, quindi con criteri limitati; io parto invece dai simboli, che sono universali a tutte le latitudini. Da questo punto di vista i simboli usati dai Templari ci dicono molto, e ci dice molto anche il modo in cui Dante scriveva, che era di tipo esoterico. Già questo quindi offre le prime basi di partenza per l’interpretazione della Divina Commedia e ci dà delle precise indicazioni sul suo valore». Tutto, aggiunge Monti è basato su determinati numeri: 3 cantiche, e 3 è il numero della perfezione; 33 canti, e 33 è il massimo grado della massoneria, il massimo grado sapienziale. Ricorre spesso il numero 13: Dante mette nelle varie cantiche diversi gruppi di 13; 13 i dannati a cui Dante chiede il nome, 13 quelli cui non chiede il nome, 13 i dannati che si fanno riconoscere senza che venga loro chiesto il nome, eccetera.
-
Francesi, a chi giova il terrore? Chi lo copre, chi lo finanzia?
Mentre diversi paesi in Europa occidentale sono vittime di attacchi terroristici rivendicati da “Daesh”, cioè l’Isis – scrive sul suo sito il movimento indipendentista francese Upr, Unione Popolare Repubblicana, molti politici trovano la scusa per aumentare a dismisura il loro potere, restringendo la libertà dei cittadini. In particolare, il terrorismo è l’alibi perfetto per «limitare ulteriormente la libertà pubbliche (estensione dello stato di emergenza di François Hollande), insegnare ai giovani a “essere pronti a vivere con il terrorismo” (Manuel Valls), creare “campi di detenzione preventiva”, ossia campi di concentramento secondo il vocabolario degli anni ‘30 (Laurent Wauquiez)», e magari «armare i soldati di lanciarazzi», come propone Henri Guaino. Non solo: si chiede anche di «stabilire lo stato d’assedio» (Frédéric Lefebvre) e «demolire lo Stato di diritto» (Jacques Bompard ed Eric Ciotti), accantonando la Costituzione della Quinta Repubblica (David Douillet) e considerando lo Stato di diritto come paccottiglia, mero ammasso di noiosi “argomenti giuridici” che devono essere superati, come dice Nicolas Sarkozy, ansioso di unirsi allo “scontro di civiltà” teorizzato dai “think-tank” americani.«Naturalmente – aggiunge l’Upr, in un post ripreso da “Voci dall’Estero” – tutti gli attacchi sono crimini assoluti e devono essere puniti dai tribunali con la massima fermezza, allo stesso modo in cui tutte le reti del traffico di armi e dei finanziamenti occulti devono essere distrutte». Nel contempo, però, la Francia dovrebbe «vietare immediatamente qualsiasi ingerenza straniera in alcuni suoi ambiti territoriali, come fanno apertamente gli Stati Uniti o il Qatar». E deve «ritirare tutti i suoi soldati dai teatri di guerra dove si è resa corresponsabile della morte di migliaia di civili, come in Libia e in Siria». Al di là di queste proposte di misure d’emergenza che l’Upr formula, il movimento sovranista francese chiede ai cittadini di «non indulgere in reazioni sconsiderate ed emotive, anche se gli attacchi sono sempre più odiosi, ma di mantenere la loro compostezza». E soprattutto di farsi due domande essenziali: «Chi trae vantaggio da questi crimini, in definitiva? E cosa ci insegna la storia dell’ondata di attentati verificatisi in Europa durante gli anni ’50?».L’Upr cita lo studio scientifico dello storico Daniele Ganser, intitolato “Gli eserciti segreti della Nato – le reti Stay Behind, Gladio e il terrorismo in Europa Occidentale”, pubblicato in francese nel 2007. Nel saggio, Ganser «dimostra che, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1990, esistevano nei paesi membri della Nato, oltre alle truppe regolari dell’Alleanza, eserciti segreti della Nato (noti anche come Stay-Behind o Gladio), che erano stati istituiti dalla Cia e dal Mi6 britannico». Eserciti-ombra, «controllati e coordinati da un ufficio di sicurezza segreta all’interno del quartier generale della Nato a Bruxelles». Eserciti-fantasma, guidati dalla Nato e dalla Cia, che «non hanno esitato a commettere attacchi terribilmente mortali per terrorizzare le popolazioni, nel contesto della “strategia della tensione”». I francesi citano la spaventosa strage italiana della stazione di Bologna del 1980, coi depistaggi messi in atto: falsi colpevoli immediatamente dati in pasto alla stampa e rivendicazioni troppo velocemente annunciate. «Nell’esempio italiano, era stata una parte dell’apparato statale, sostenuta dalla Nato e dalla Cia, a indirizzare la popolazione contro il “pericolo rosso”: i comunisti. Non si tratta di “complottismo”, ma di una verità storica».Oggi non parliamo più di “pericolo rosso”, ma di “minaccia islamica”. «E la gente approfitta delle emozioni legittime causate dagli attacchi per minare le libertà civili, mantenere di popolazioni in uno stato d’ansia e impedire qualsiasi dibattito su centinaia di migliaia di morti civili commesse dalla Nato e dalle forze armate americane, francesi e inglesi in Medio Oriente», dove la pretesa “lotta contro il terrorismo” ha causato più di 1,3 milioni di morti civili in 10 anni. «I francesi – continua l’Upr – devono riflettere sul fatto che i popoli dell’Iraq, della Libia, della Siria, non ci avevano fatto assolutamente niente fino a quando i paesi della Nato non hanno iniziano a bombardarli – con la scusa della rappresaglia per gli attentati dell’11 Settembre – ma molto più sostanzialmente per consentire alle grandi compagnie petrolifere e finanziarie occidentali di appropriarsi delle loro ricchezze». Conclusione: «La storia deve pertanto invitarci a una grande cautela nei confronti dei drammatici eventi in atto in Francia e in molti altri paesi europei. Prima di tirare conclusioni affrettate – insiste l’Unione Popolare Repubblicana – i francesi devono chiedersi chi ci sia dietro i terroristi. Chi li finanzia? Chi li arma? Chi li manipola? Chi li condiziona e li droga? Non sono forse solo “utili idioti” che servono interessi superiori che li scavalcano?».Mentre diversi paesi in Europa occidentale sono vittime di attacchi terroristici rivendicati da “Daesh”, cioè l’Isis – scrive sul suo sito il movimento indipendentista francese Upr, Unione Popolare Repubblicana, molti politici trovano la scusa per aumentare a dismisura il loro potere, restringendo la libertà dei cittadini. In particolare, il terrorismo è l’alibi perfetto per «limitare ulteriormente la libertà pubbliche (estensione dello stato di emergenza di François Hollande), insegnare ai giovani a “essere pronti a vivere con il terrorismo” (Manuel Valls), creare “campi di detenzione preventiva”, ossia campi di concentramento secondo il vocabolario degli anni ‘30 (Laurent Wauquiez)», e magari «armare i soldati di lanciarazzi», come propone Henri Guaino. Non solo: si chiede anche di «stabilire lo stato d’assedio» (Frédéric Lefebvre) e «demolire lo Stato di diritto» (Jacques Bompard ed Eric Ciotti), accantonando la Costituzione della Quinta Repubblica (David Douillet) e considerando lo Stato di diritto come paccottiglia, mero ammasso di noiosi “argomenti giuridici” che devono essere superati, come dice Nicolas Sarkozy, ansioso di unirsi allo “scontro di civiltà” teorizzato dai “think-tank” americani.
-
Carpeoro: massoneria e terrorismo, attenti al 10 agosto
Dalla massoneria al terrorismo: per capire davvero cos’è accaduto in seno al massimo vertice mondiale nel corso degli ultimi decenni, con il “golpe” dell’élite finanziaria neo-feudale, fino al ricorso – ormai sistematico – alla strategia della tensione su scala internazionale, con le guerre asimmetriche e gli attentati stragistici, ufficialmente ricondotti a sigle come l’Isis. Eventi catastrofici e molto sanguinosi, tra i cui risvolti gli osservatori di formazione massonica possono facilmente riconoscere delle “firme” inequivocabili, ricavandole dai nomi dei luoghi, le date, i numeri collegati, i riferimenti simbolici e i richiami diretti a fatti storici collegabili. E’ un linguaggio di segni cifrati quello che permette di intuire che, dietro a molto terrorismo di oggi, operano “menti raffinatissime”, di formazione esoterica, che dispongono di interi settori dei servizi segreti, a valle dei quali agisce una docile manovalanza, inconsapevole e manipolata, oggi per lo più di matrice islamista-radicale. E’ la testi attorno alla quale si sviluppa il prossimo libro dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, che avverte: proprio grazie alla profonda conoscenza del “modus operandi” altamente simbolico dei veri mandanti delle stragi, nel mirino potrebbero esserci Roma o Palermo, già il prossimo 10 agosto.«I terreni ipotizzabili di una azione neoterroristica, anche sotto il profilo simbolico proprio della “sovragestione”, oggi sono due: Roma, ovviamente, e la Sicilia, Palermo per esempio», scrive Carpeoro il 6 agosto sulla sua pagina Facebook. «E la data del 10 agosto, magari proprio collocata nella città di Palemo e forse già a partire da questo sinistro 2016, ma anche in seguito, potrebbe rivelarsi caratterizzata dal segno sanguinoso di Ecate», cioè della “dea della magia” nella tradizione religiosa greco-romana, ritenuta capace di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dei e il regno dei morti. Massone e profondo conoscitore dei sistemi simbologici, autore di romanzi come “Il volo del Pellicano” (Melchisedek) che ripercorre la ricerca mistico-simbologica dei Rosacroce, con la loro misteriosa “conoscenza parallela” e sempre velata (da Dante a Giorgione, da Cartesio a Newton) per tenerla al riparo degli abusi del potere, Carpeoro è uno degli alti esponenti della massoneria italiana – già gran maestro, 33esimo grado del rito scozzese – che di recente hanno intrapreso “esternazioni” a catena, per squarciare il velo su molti aspetti, ben poco edificanti, del milieu libero-muratorio degradatosi in struttura di potere.«Per la quinta volta – ha annunciato un paio di anni fa, nel corso di un incontro pubblico – ho rifiutato un incarico di consulenza propostomi dai servizi segreti italiani». Un altro autorevole osservatore privilegiato, Fausto Carotenuto, ha operato per decenni in qualità di analista strategico dell’intelligence, e oggi – attraverso il network “Coscienze in Rete” – fornisce un prezioso contributo nel chiarire il ruolo attuale di molti servizi, in funzione della “piramide di potere” di stampo mondialista. Un’opera pienamente consonante con quella di un altro esponente della massoneria, Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere), che ha apertamente denunciato l’esistenza di una galassia di 36 Ur-Lodges, cioè superlogge internazionali, pronte a fare uso di svariati sistemi di intelligence, come si evincerebbe dal “fatale” successo di tutte le operazioni terroristiche recentemente attuate sul suolo europeo, grazie alle “strane” inefficienze degli apparati di sicurezza. A questo quadro si aggiungerà ora il saggio di Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, in uscita il prossimo ottobre per “rEvoluzioni Edizioni”, del gruppo Uno Editori, lo stesso di Mauro Biglino.«Oltre a qualche inedita chiarificazione storica e concettuale sulla Libera Muratoria – anticipa l’autore – spiegherò come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come, con i servizi segreti, vogliono controllare il mondo». Carpeoro aggiungerà «qualche spiegazione sulla P2, ma anche sulla P1», e quindi «i collegamenti tra massoneria autocratica e terrorismo». In altre parole, aggiunge: «spiegherò cosa sia la “sovragestione”». L’editore stesso conferma che, in 220 pagine, il libro offrirà «uno sguardo dall’interno nel mondo della massoneria, così pieno attualmente di contraddizioni». Dalla antica sacralizzazione del lavoro (la ritualizzazione del costruire) alla nascita della dei riti massonici, ovvero «quello che pochi sanno della dottrina massonica, fin dalle sue radici mitiche e filosofiche». Poi i veleni, cioè «l’incesto col potere, fin dalle ambiguità dei Neoilluminati, invano combattuto da George Washington». Il libro ripercorre «l’incubo del Nwo», il nuovo ordine mondiale, nonché «la definitiva mutazione genetica del sogno e delle utopie dei Rosa+Croce».Ed eccoci precipitati nel fosco scenario recente, con il primo piano «il fenomeno della massoneria reazionaria, che trasforma le logge in focolai di eversione per inaugurare una storia di sangue e di distruzione», di cui Carpeoro individua con precisione «la radice massonica e le firme occulte del terrorismo islamico». Spesso, in Italia, la parola massoneria richiama alla mente la loggia P2. Ma quella, sostiene l’autore, era solo uno «specchietto per le allodole», affidato alla «marionetta Gelli», senza che nessuno si sia mai chiesto: se c’è stata una P2, esiste dunque una P1 mai venuta allo scoperto? Si suppone di sì, ovviamente: nei mesi scorsi, lo stesso Carpeoro ne ha fatto esplicito riferimento, nel corso di trasmissioni web-radio come “Border Nights”, facendo nomi come quello di Eugenio Cefis, già patron dell’Eni dopo l’attentato di Bascapè costato la vita a Enrico Mattei. Esiste dunque una struttura-ombra deputata alla “sovragestione” degli eventi, pilotando servizi e tagliagole per allestire il “terrore permanente” destinato, in ultima analisi, a radere al suolo i diritti democratici? L’allarme è serio, dichiara Gioele Magaldi, sostenendo che la strage di Nizza contenga una minaccia esplicita rivolta all’Italia. Carpeoro restringe il campo a Roma o Palermo, e anticipa la data del 10 agosto. Forse già di quest’anno.Dalla massoneria al terrorismo: per capire davvero cos’è accaduto in seno al massimo vertice mondiale nel corso degli ultimi decenni, con il “golpe” dell’élite finanziaria neo-feudale, fino al ricorso – ormai sistematico – alla strategia della tensione su scala internazionale, con le guerre asimmetriche e gli attentati stragistici, ufficialmente ricondotti a sigle come l’Isis. Eventi catastrofici e molto sanguinosi, tra i cui risvolti gli osservatori di formazione massonica possono facilmente riconoscere delle “firme” inequivocabili, ricavandole dai nomi dei luoghi, le date, i numeri collegati, i riferimenti simbolici e i richiami diretti a fatti storici collegabili. E’ un linguaggio di segni cifrati quello che permette di intuire che, dietro a molto terrorismo di oggi, operano “menti raffinatissime”, di formazione esoterica, che dispongono di interi settori dei servizi segreti, a valle dei quali agisce una docile manovalanza, inconsapevole e manipolata, oggi per lo più di matrice islamista-radicale. E’ la testi attorno alla quale si sviluppa il prossimo libro dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, che avverte: proprio grazie alla profonda conoscenza del “modus operandi” altamente simbolico dei veri mandanti delle stragi, nel mirino potrebbero esserci Roma o Palermo, già il prossimo 10 agosto.
-
L’auto-golpe del boia Erdogan, ladrone e super-terrorista
“La mente è come un paracadute, non funziona se non si apre” (Frank Zappa). “Siamo gli strumenti e i servi di uomini ricchi dietro le quinte. Siamo le marionette; loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre capacità e le nostre vite sono tutti la proprietà di altri. Siamo prostitute intellettuali” (John Swinton, direttore del “New York Tribune”, 1880). Partiamo dall’ultima bufala False Flag, quella dell’autogolpe del tiranno turco, destinata a completare, con l’ennesima carneficina di propri sudditi, la serie di autoattentati con cui è riuscito a governare uno Stato di Polizia quasi perfetto. Gli mancava la liquidazione di qualche residuo di esercito, magistratura, informazione, politica (il gruppo Fethullah Gulen) e una dimostrazione ad alleati vagamente perplessi che senza di lui non si va da nessuna parte. E così ha allestito il suo incendio del Reichstag, quello che nel 1933 servì a Hitler per rimuovere comunisti, socialisti e cattolici antifascisti e, nel 2011, con l’11 settembre, alla cupola militar-finanziaria-industriale USraeliana a lanciare la guerra per la loro dittatura mondiale.Lo sibila tra i denti anche lo stesso Gulen che, ovviamente, rintanato negli Usa sotto tutela e controllo di Washington, non c’entra niente. Anche perché quando mai lui, islamista integralista quanto Erdogan, avrebbe potuto/voluto lanciare contro il sultanato una forza militare che, a dispetto delle epurazioni islamizzanti subite negli anni, mantiene una robusta base secolare e nazionalista. Anche perché per una roba del genere i suoi sorveglianti americani non gli avrebbero mai allentato le briglia. Ci possono essere dissapori, tra il maniaco criminale di Ankara e quelli di Washington. Che so, sui curdi, sulla gestione del califfo, su pace o guerra con Mosca o Iran, ma mettere in discussione un pilastro Nato piantato in mezzo a Medioriente e Asia, ai confini della Russia che delenda est, una forza militare che è la seconda dell’Occidente dopo gli Usa, un regime che tiene appesa al gancio del collasso da migrazioni l’Unione Europea, ecchè, vogliamo metterlo in discussione?E allora tutti, da Obama al “Manifesto”, lungo l’intero arco atlantico da destra a sinistra, a inneggiare alla preservazione delle istituzioni, dei diritti civili e del governo democraticamente (sic!) eletto, con qualcuno dal sottofondo che flauteggia l’auspicio che Erdogan si ravveda e non ne combini più delle sue. Non se ne preoccupa più di tanto Tommaso De Francesco, del quotidiano cripto-Nato, ma con etichetta comunista, il quale non fa che inanellare scemenze e insipienze da quando attribuì a Milosevic despotismo e pulizie etniche e in questo caso, con una Turchia chiaramente spaccata a metà tra affascinati dalla Sharìa e resistenti umani, individua un “Erdogan ferito”, ma anche un “popolo turco”, tutto intero, sdraiatosi davanti ai carri armati come a Tien An Men, in difesa del suo presidente, “democraticamente eletto”. Già gli erano svaporati dalle malferme sinapsi i milioni che negli anni si sono ritrovati nelle piazze, da Dyiarbakir a Istanbul, per farsi sparare addosso dagli sgherri del democraticamente eletto.Divertente poi la linea a balzelloni del giornaletto restituito a malavita (lo ha annunciato l’altro giorno) e alla sua cooperativa più che da lettori fedeli, dai paginoni dei compagni di Eni, Enrel, Telecom, Enav, Coop. Come quando con il suo responsabile esteri sentenzia un Erdogan fragile e indebolito dall’emergere di un elemento di contrasto capace di tenerlo sulla corda per ben tre ore di golpe, nientemeno, mentre l’altro redattore si piega alla realtà di un presidente tornato in grande spolvero e ora in grado spazzare via ogni residuo di opposizione. Ma che riunioni di redazione fanno? Torniamo al “golpe”, auto. Quello sul cui fallimento il “Manifesto” e tanta stampa (un po’ meno lo scaltro “Il Fatto”) si azzarda a ricostruire la «centralità del Parlamento e del ruolo fondamentale dei partiti politici nel gioco democratico» (sic!): esattamente, ed è naturale, i termini in cui hanno salutato il salvataggio della democrazia da parte del più turpe energumeno nazista dell’area gli zii della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e del Pentagono e, scendendo molto in basso per li rami, pure Matteo Renzi e – qui ci scappelliamo – l’eurodama Mogherini.Ebbene qualcuno si ricorda dei colpi di Stato effettuati dai militari turchi ogni qualvolta sospettavano che l’eredità nazionale e laica di Ataturk fosse posta a repentaglio da destra o sinistra? E qualcuno gli ha messo a confronto quiell’aborto di colpetto di Stato della notte tra il 15 e il 16 luglio 2016? Hanno occupato la tv di Stato, ma non le tv private, tutte infeudate a Erdogan, non la Cnn turca (braccio mediatico Nato e Usa) dalla quale è difatti ripartito il controgolpe, cioè il colpo di Stato vero, con la trasmissione da smartphone dell’appello di Erdogan al pogrom antimilitare. Non hanno fatto nessuna delle cose che potevano assicurare il successo di una liberazione militare del popolo turco dalla Vergine di Norimberga in cui progressivamente lo ha rinchiuso il suo Torquemada. Non hanno spento i ripetitori delle telecomunicazioni, i cellulari, internet, non hanno ordinato il coprifuoco e proclamato la legge marziale, non hanno occupato i ministeri, appena qualche tank sui ponti sul Bosforo, di grande visibilità e dove sarebbero potuti arrivare in poco tempo e in tanti a “difendere la democrazia”.Non hanno occupato alcuna via di comunicazione strategica nel paese e tra il paese e i vicini, non hanno occupato le prefetture, presidiato i nodi ferroviari, bloccato gli aeroporti (solo per finta quello di Istanbul dove Erdogan è potuto subito arrivare dal suo luogo di vacanze, a Marmaris, che nessuno si è sognato di bombardare o occupare). Nel tempo delle immagini e dei leaderismi che ne scaturiscono non hanno saputo produrre un nome e una figura carismatica di riferimento, non hanno usato i social network. Dilettantismo di quattro sprovveduti, per quanto bene intenzionati, che non hanno neanche ricordato che i colpi di Stato si fanno a notte fonda, prima dell’alba, quando non si corre l’inconveniente di gente sveglia e per strada. E così le Cnn e le tv associate al disegno del despota hanno potuto riprendere strade e piazze con qualche centinaio di persone, emerse da discoteche e trattorie e poi moltiplicati dagli accorsi agli appelli di Erdogan liberamente trasmessi, simulando una rivolta di massa contro i carri.Poi è finito tutto. Salvo per i 300 morti, per ora, i 6000 arrestati, per ora, i 3000 magistrati dimessi e poi incarcerati, la campagna di linciaggi lanciata contro i soldati “traviati”, piazza pulita di tutti i critici e irriverenti, l’immaginabilissima ulteriore stretta sui diritti politici, civili, operai, la continuità del doppio forno antisiriano (alleanza con Isis, finto guerra all’Isis), lo sprofondare del paese in un abisso di regressione politica e culturale. Una Turchia degna dell’ingresso nell’Ue,vero modello avanzato di quanto si ha in mente a Bruxelles, Washington e tra coloro che brandiscono Nato e Ttip, tanto per assicurarci sulla «centralità del Parlamento turco e dei partiti come attori fondamentali del gioco democratico», come titola il foglio cripto-Nato su un pezzo davvero turco di tale Mariano Giustino. Cosa può essere successo?Che gli attentati finalizzati, come in Francia, come ovunque, ad accelerare la marcia verso lo Stato con gli stivali chiodati e a passo dell’oca non erano riusciti a far ingranare la quarta. Che nell’esercito, per quanto epurato, sopravvivevano fermenti laici, nazionalisti, in disaccordo con le catastrofiche imprese esterne e interne di un regime che andava isolandosi da tutti. Che si è lasciato che i portatori di questi fermenti, nei gradi medio-alti, congiurassero, che magari con agenti provocatori li si incoraggiasse, che addirittura gli si facesse balenare un appoggio euro-atlantico, che poi li si inducesse a commettere le ingenuità, gli errori clamorosi che si sono visti, nell’illusione, loro, che si sarebbero tirati dietro popolo e armate.Tutti a sottolineare il silenzio delle cancellerie occidentali, Obama, Merkel, Juncker, May, Hollande e Renzi (per quel che conta), nelle tre ore del golpe, interpretato e biasimato come un barcamenarsi in attesa di sapere chi avrebbe vinto. Balle! Sapevano benissimo chi avrebbe vinto, ma, davanti all’immagine del golem turco insediatasi ormai nella percezione della gente pensante in tutta la sua orripilante identità di padrino del terrorismo jihadista, massacratore del suo e di altri popoli, corrotto ladrone e capo di un clan di malfattori senza scrupoli, conveniva mostrare qualche disponibilità a chi aveva proclamato nel suo comunicato il «ritorno alla democrazia e al rispetto dei dirtti umani e la pace e amicizia con tutti i popoli vicini». Ovviamente anatema per la Nato e per un’Europa che si muove, per ora con mocassini e tacchi a spillo, nella stessa direzione.Pensate se avesse vinto il colpo di Stato. Via i Fratelli Musulmani, quelli tanto cari al “Manifesto”, ormai nettamene minoritari nella regione (Tunisia, Qatar e Turchia). Cioè via la forza sociale, militare e culturale ideata e nutrita dai colonialismi vecchi e nuovi a garanzia dei propri modelli di sviluppo e di sfruttamento, del proprio ordine mondiale. Al suo posto una realtà imprevedibile e incalcolabile, con rigurgiti nazionalisti e statalisti suscettibili di guardare oltre il soffocante perimetro delle alleanze e dipendenze occidentali, sicuramente laica e, dunque, ostica ai processi di decerebramento religioso che servono a neutralizzare nostalgie di autodeterminazione popolare e nazionale. Quelle che hanno animato alla rivolta alcune decine di milioni di egiziani, dopo aver assaporato la medicina dei Fratelli Musulmani e dei loro surrogati terroristici, sotto un presidente eletto “democraticamente” dal 17% della popolazione in un voto boicottato dalla maggioranza, che aveva imposto la sharìa, sparato sui manifestanti, incarcerato gli oppositori, bruciato le chiese cristiane, trasferito tagliagole in Siria e i cui seguaci ora assassinano civili, funzionari e poliziotti in una guerra terroristica che tutti preferiscono nascondere sotto le presunte infamie di Abdelfatah Al Sisi.Avessero vinto in Turchia i militari, ontologicamente fascisti secondo un’aporia di sinistra, a dispetto di dimostrazioni storiche contrarie, ci saremmo giocati «la centralità del Parlamento turco e dei partiti nel loro ruolo di attori fondamentali del gioco democratico», come temeva il “Manifesto” e tutto il cucuzzaro destro-sinistro dell’atlantismo? Chi lo sa. Di sicuro c’è che, come Al Sisi è meglio di Morsi per gli egiziani, gli arabi, il Medioriente, il movimento delle cellule cerebrali dell’essere umano, difficilmente qualcuno di quelli che si sono agitati l’altra notte a Istanbul avrebbe potuto essere peggio di Erdogan, il padrino degli squartatori del popolo iracheno, libico e siriano. Certo che la Nato, John Negroponte, l’Mi6, la Cia, Oxford Analytica e il “manifesto”, a questo qualcuno non avrebbero esitato un attimo a spedigli un Giulio Regeni, poveretto.(Fulvio Grimaldi, “Turchia, fanno tutto da soli e sono capaci di tutto”, da “Mondocane” del 17 luglio 2016).“La mente è come un paracadute, non funziona se non si apre” (Frank Zappa). “Siamo gli strumenti e i servi di uomini ricchi dietro le quinte. Siamo le marionette; loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre capacità e le nostre vite sono tutti la proprietà di altri. Siamo prostitute intellettuali” (John Swinton, direttore del “New York Tribune”, 1880). Partiamo dall’ultima bufala False Flag, quella dell’autogolpe del tiranno turco, destinata a completare, con l’ennesima carneficina di propri sudditi, la serie di autoattentati con cui è riuscito a governare uno Stato di Polizia quasi perfetto. Gli mancava la liquidazione di qualche residuo di esercito, magistratura, informazione, politica (il gruppo Fethullah Gulen) e una dimostrazione ad alleati vagamente perplessi che senza di lui non si va da nessuna parte. E così ha allestito il suo incendio del Reichstag, quello che nel 1933 servì a Hitler per rimuovere comunisti, socialisti e cattolici antifascisti e, nel 2011, con l’11 settembre, alla cupola militar-finanziaria-industriale USraeliana a lanciare la guerra per la loro dittatura mondiale.