Archivio del Tag ‘ong’
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Migranti d’oro: finanziare la disperazione “vale” 445 miliardi
È una domanda che tutti, almeno una volta, ci siamo posti: chi finanzia i costosi viaggi della morte che spingono migliaia di disperati su imbarcazioni di fortuna, tra mille peripezie e l’incognita dell’approdo? Molti giornalisti si sono impegnati nella ricostruzione dei calvari degli emigranti per arrivare al porto di partenza, delle condizioni schiavistiche cui sono sottoposti dalla criminalità locale. Ma rimane irrisolto il tassello iniziale di queste tragiche diaspore, ossia la disponibilità di somme di denaro ragguardevoli, esorbitanti se rapportate al tenore di vita locale, per intraprendere il viaggio. Le inchieste in merito sono limitate e le nostre domande cadono nel vuoto. Nel cercare di comprendere questo enigmatico fenomeno ci viene in aiuto uno studio condotto dalla sociologa Maryann Bylander in Cambogia tra il 2008 il 2010. Analizzando la frequenza e le modalità di emigrazione della popolazione si scopre una correlazione diretta tra espansione del microcredito e aumento dei flussi migratori verso l’estero. Stesso nesso si riscontra in un altro Stato del Terzo Mondo, il Bangladesh, paese di origine di circa un decimo dei migranti che ogni anno arrivano in Italia (oltre 10.000 nel solo 2017).
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Peggio del patto degli zombie, la fanta-sinistra di Bersani
Da una parte «il finto segretario del partito di Renzi», dall’altra il fantasma del movimento di protesta che nel 2018 sfiorò il 33% e ora sarebbe ridotto al 10% dei consensi, secondo i sondaggi evocati da Vittorio Sgarbi. Più che imbarazzanti le manovre per tentare di dar vita al governo-zombie, tra le voci sulla regia occulta di Prodi (che spera di arrivare al Quirinale dopo Mattarella), i ventilanti “sconti-flessibilità” dell’ignobile Ue e le navi delle Ong improvvisamente dirottate su Malta, ora che non c’è più Salvini da “speronare”. Mentre metà dei grillini manifestano orrore per l’inciucio, Sgarbi sintetizza: non solo si cerca di mettere al governo chi ha perso le elezioni lasciando fuori chi le ha vinte, cioè la Lega, «che oggi veleggia attorno al 40%». Peggio: i notai del possibile patto di potere, sostenuto solo dal terrore di perdere le poltrone che anima i parlamentari Pd e 5 Stelle, sono Zingaretti (che non controlla deputati e senatori, largamente renziani) e l’altrettanto inconsistente Di Maio, sorretto da Grillo ma ormai isolato da Fico, Di Battista e dalla base grillina, che ormai invoca – con Casaleggio – il ricorso alla consultazione interna per respingere in extremis l’accordo-vergogna che metterebbe fine, per sempre, all’illusione ottica e politica del grillismo. In questo sfacelo, si può fare di peggio? Ci prova, mestamente, Pierluigi Bersani.Ospite di Luca Telese e David Parenzo a “In Onda” su La7, l’ex segretario del Pd (defenestrato da Renzi all’indomani della “non vittoria” del 2013) riesce a trasformare in capolavoro surrealista lo sconcio della trattativa per il Conte-bis, che – come ricorda Nicola Porro – rischierebbe di «portare il Pd al governo per la quarta volta, in 6 anni, senza elettori». In mezz’ora di puro delirio politologico, Bersani – senza mai venir meno al suo stile casereccio, onestamente simpatico – racconta un’Italia che esiste solo nella sua fantasia: un paese imbranato e sfortunato, pasticcione, unico responsabile del caos nel quale si trova. La sola analisi che Bersani fornisce è la seguente: gli elettorati del Pd e dei 5 Stelle sono contigui, per questo il Pd ha commesso un errore storico nel demonizzare i grillini, come se il centrosinistra – peraltro – fosse immacolato, figlio di una storia esemplare. Non è lecito dubitare della sincerità di Bersani, e in questo sta la vera tragedia: perché l’ex capo della “ditta”, infatti, sembra ignorare del tutto l’esistenza del vincolo esterno chiamato Unione Europea, la camicia di forza post-democratica che impedisce, nei fatti, qualsiasi politica espansiva. Rompere il guscio (come chiede Salvini) sarebbe l’unica possibilità per ottenere politiche diverse, anche sociali, come quelle che invoca Bersani. Ma l’ex leader del Pd sembra non rendersene conto: e siamo nel 2019.Bersani militarizzò il Pd come una caserma, suicidando qualsiasi residuo della parola “sinistra” nell’imporre il sostegno al governo nazi-liberista di Mario Monti, fino al sacrificio supremo inflitto alla nazione, senza anestesia: iper-tassazione, legge Fornero sulle pensioni, Fiscal Compact e pareggio di bilancio in Costituzione. Nerl giro di pochi mesi, l’Italia perse il 25% del suo potenziale economico. Corollario: l’esplosione della disoccupazione. Non ha imparato niente, Bersani? Pare di no: oggi infatti rimprovera al governo gialloverde di aver potuto agire, laddove è riuscito a combinare qualcosa, solo grazie al denaro racimolato coi mini-condoni e con il ricorso al deficit. E dove lo andrebbe a recuperare, Bersani, il denaro necessario a finanziare politiche “di sinistra”? Semplice: instaurando una tassazione più progressiva e scatenando una lotta epocale contro l’evasione fiscale – cioè, ancora una volta: a valle del problema che affossa l’Italia, ovvero il bullismo degli oligarchi Ue. Un tempo, proprio la sinistra combatteva per il welfare, saggiamente sostenuto dal deficit. La stessa sinistra s’è rimangiata tutto, comprata a peso dall’establishment. Bersani evidentemente non c’è stato bisogno di comprarlo: esegue volontariamente i diktat dell’establishment finanziario, e lo fa orgogliosamete “da sinistra”, come se l’Unione Europea nemmeno esistesse. Uno spettacolo sconcertante e preoccupante: quand’anche la storia togliesse di mezzo i Conte, i Di Maio e gli Zingaretti, resterebbero tra i piedi i Bersani (e i Prodi) a raccontare agli italiani, ancora una volta, il contrario della verità.Da una parte «il finto segretario del partito di Renzi», dall’altra il fantasma del movimento di protesta che nel 2018 sfiorò il 33% e ora sarebbe ridotto al 10% dei consensi, secondo i sondaggi evocati da Vittorio Sgarbi. Più che imbarazzanti le manovre per tentare di dar vita al governo-zombie, tra le voci sulla regia occulta di Prodi (che spera di arrivare al Quirinale dopo Mattarella), i ventilanti “sconti-flessibilità” dell’ignobile Ue e le navi delle Ong improvvisamente dirottate su Malta, ora che non c’è più Salvini da “speronare”. Mentre metà dei grillini manifestano orrore per l’inciucio, Sgarbi sintetizza: non solo si cerca di mettere al governo chi ha perso le elezioni lasciando fuori chi le ha vinte, cioè la Lega, «che oggi veleggia attorno al 40%». Peggio: i notai del possibile patto di potere, sostenuto solo dal terrore di perdere le poltrone che anima i parlamentari Pd e 5 Stelle, sono Zingaretti (che non controlla deputati e senatori, largamente renziani) e l’altrettanto inconsistente Di Maio, sorretto da Grillo ma ormai isolato da Fico, Di Battista e dalla base grillina, che ormai invoca – con Casaleggio – il ricorso alla consultazione interna per respingere in extremis l’accordo-vergogna che metterebbe fine, per sempre, all’illusione ottica e politica del grillismo. In questo sfacelo, si può fare di peggio? Ci prova, mestamente, Pierluigi Bersani.
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Colonia Italia, l’agenda neoliberista del servizievole Di Maio
Siamo alle solite, nel vecchio usurato copione. In Italia, dal dopoguerra in poi, o c’è un governo gradito ai mondialisti e agli americani, vedi Dc e poi governi tecnici Pd, oppure c’è un governo voluto dal popolo che puntualmente viene annerito, definito “fascista”, “razzista”, con tanto di diabolizzazione del capo, vedi caso Craxi, poi Berlusconi, poi adesso Salvini. Questo copione viene snocciolato agli italiani nel frame emotivo della tifoseria da stadio dove due squadre devono assolutamente contrastarsi anche qualora avessero trovato, per miracolo, una sinergia, e agendo sulle leve della manipolazione di massa a cui si prestano i media appartenenti ai grandi gruppi, Rai compresa, che sottostà ai diktat dei gruppi di pubblicità. Ed è così che le due squadre di governo dovevano sin da prima della loro nascita mai unirsi in quei punti sovranisti, tanti, che condividevano nei programmi elettorali, insieme al programma della Meloni che, primo errore, è stata scartata sin da subito da Luigi Di Maio al momento di formare il governo.Pertanto la Meloni per tutta la durata di questo governo ha giocato al gioco di gettare olio sul fuoco della zizzania del divide et impera voluto dalla finanza internazionale, allo scopo di riformare un centrodestra – voluto da Trump e Bannon – tanto poco sovranista quanto di stampo liberista, pro-privatizzazioni, per le autonomie e le riforme costituzionali, tra cui il presidenzialismo, riforme del tutto non necessarie per il popolo italiano ma che vanno, assieme al taglio dei deputati fortemente voluto da M5S e FdI, nel senso di castrare e silenziare il Parlamento con un governo ancora più forte e per di più espresso – nel caso del presidenzialismo alla francese – da un uomo forte al comando. Ricordiamo che i punti in comune per cui alcuni sovranisti hanno voluto e votato questo governo erano, sia il reddito di cittadinanza che la Flat Tax, sia misure anticicliche keynesiane che la separazione tra banche commerciali e banche d’affari, sia la nazionalizzazione di Bankitalia che una banca pubblica per gli investimenti, sia strumenti monetari aggiuntivi, come i minibot, che la sospensione dei limiti ai contanti e nessun aumento dell’Iva, il superamento della legge Fornero e la rimessa in discussione del Fiscal Compact.Questi erano i punti in comune tra i tre partiti, che però hanno poi finito per dare la priorità a tutti gli altri punti, populisti e poco sovranisti, come le autonomie, il taglio dei deputati, oltre a una misura raffazzonata del reddito di cittadinanza, perché dalla copertura troppo corta, un non superamento della legge Fornero che ha partorito un topolino, quota cento, e per finire il regalo alla Francia: la Tav. Sin dall’inizio, dicevo, comunque il governo è nato male: con il siluramento di Savona all’economia, e l’infiltrazione nel governo di ministri come Tria, in economia, che proprio non ne ha voluto più sapere di minibot, di superamento del deficit e di Flat Tax, oltre a personaggi non politici, come Moavero agli esteri e la Trenta alla difesa che hanno spudoratamente remato contro Salvini, denunciandolo persino negli ambienti comunitari (Moavero alla Commissione) per il decreto sicurezza-bis fatto e votato giustamente per fermare le Ong con il toto-clandestini all’Italia e quell’enorme inganno chiamato “immigrazione” di (finti) “profughi”.Quindi dal punto di vista programmatico viene fuori che a partire dallo strappo sulla von der Leyen (di cui non si è capito il non detto do ut des, ma che possiamo facilmente immaginare nello scambio di favori al M5S di cariche di commissari e di altro tipo, ancora da scoprire entro ottobre quando si voteranno i commissari europei), la Lega si è vista pesantemente penalizzata a livello europeo nonostante la vittoria schiacciante elettorale – con un piddino italiano alla presidenza del Parlamento Europeo – e tanto di stigmatizzazione generale del personaggio Salvini, con la tecnica, già usata per Berlusconi e Craxi, di “character assassination”. Tecnica utilizzata per tutti quei personaggi fuori dalle righe, nel mondo, che non si adeguano al linguaggio del perbenismo ipocrita e mondialista, onde creare le condizioni presso l’opinione pubblica di un loro siluramento o assassinio quanto meno traumatizzante ed eclatante: Saddam Hussein, Gheddafi, Laurent Gbagbo, oppure Orban, Chavez, Putin, Al Assad, Fidel Castro, il presidente nord coreano, eccetera; la lista è lunghissima e la tecnica è sempre la stessa. Dopo la “character assassination” si passa ai fatti con infiltrazioni e maneggi interni i quali, se non bastano, lasciano posto all’embargo economico, di qualsiasi tipo esso sia. In Europa, essendo impossibile per via dell’unione doganale, interviene lo spread.Perché stigmatizzare Salvini? Perché Salvini negli ultimi interventi si è pronunciato contro alcune misure che l’Ue vuole assolutamente imporci, ad esempio: l’eliminazione totale e illegale dei contanti; il rafforzamento della fattura elettronica e agenda digitale indiscriminata; le privatizzazioni demaniali di cui ha parlato Conte nel suo intervento; l’obbedienza ai criteri di deficit imposti dal Fiscal Compact, del tutto ingiustificati poiché paesi come Francia, Spagna e Portogallo, ma anche Belgio continuano allegramente a sforare il 3% o ci si avvicinano. Inoltre traspare ben chiara la volontà di Salvini, dagli ultimi interventi, di alleggerire assolutamente l’onere fiscale degli italiani con la Flat Tax e di chiudere i porti, due misure imprescindibili per la ripresa del paese o per lo meno per non farlo affossare del tutto, e verso le quali il 5S è risultato più prudente. Al punto che nei 10 punti programmatici per un eventuale rimpasto di governo, Di Maio uscendo dal Colle ha completamente omesso sia la Flat Tax, sia una soluzione “porti chiusi” – senza citare il decreto sicurezza bis, votato dal suo gruppo che non poteva immediatamente rimettere in discussione – parlando in cambio di soluzioni assieme alle politiche dell’Unione Europea e la modifica del regolamento di Dublino.Ma come, non lo sanno che vi è un tacito consenso europeo e internazionale per portarli tutti da noi (e in Grecia), cioè nei due paesi presi di mira da chi ci ha denominati Piigs, ossia i mercati, come strumento per destabilizzarci e farci fallire più facilmente? Una lista di dieci punti, quella di Di Maio, che mescola appunto misure volute dall’establishment finanziario – riduzione dei parlamentari, Green Deal, conflitto di interessi Rai (quale?) per un modello Bbc, velocizzare la giustizia per pignoramenti più rapidi, autonomie e riforme enti locali – con timidissime misure sovraniste, come il salario minimo orario (più che giusto, ma senza strumenti monetari aggiuntivi e senza alleggerimento fiscale non farà che penalizzare ulteriormente micro e mini imprese) – sostegno nascite, disabilità e aiuto casa (più che giusto, ma senza dire “no alla patrimoniale” sono solo parole) – rintracciabilità dei grandi evasori (bisogna capire chi intenda per grandi evasori, la mafia nostrana che opera in contanti, scusa suprema per digitalizzarci tutti, o le grandi multinazionali i cui flussi infrasocietari devono essere resi pubblici alle nostre autorità fiscali, per cui basterebbe la volontà politica compatta?).Per ultimo, banca pubblica per gli investimenti per il Sud e separazione tra banche d’affari e banche commerciali: come vedete, questi due punti, che sono l’abc di una politica anticiclica, o keynesiana che dir si voglia, vengono in fondo alla lista; e poi, visto che 10 punti sono tanti, per un governo provvisorio, non verranno mai attuati. La tattica è sempre la stessa. Chi di noi aveva visto che nel contratto la priorità era il taglio dei deputati? Non certo i sovranisti che studiano la moneta, o chi studia gli abusi delle banche; eppure improvvisamente questo punto è andato all’ordine del giorno, perché all’agenda globalista che si intromette continuamente nei nostri affari premono più di tutto, oltre alle misure di austerità, le riforme della nostra Costituzione e dell’assetto dello Stato per andare verso un assetto costituzionale di regioni forti onde minare lo Stato centrale insieme a governi forti – presidenzialismo – e sempre meno importanza del Parlamento, già esautorato da anni, relegato al ruolo del passa carte dei decreti di governo.Il solito copione, fino a quando non metteremo la moneta al centro di un nuovo contratto sociale, sia nazionale che internazionale, non cambierà mai; ma anzi abbiamo visto che questi, alla minima burrasca dei media e dei mercati hanno smesso persino di citare la parola minibot, che – ricordiamo – era una proposta del senatore della Lega Claudio Borghi. In poche parole, il “sospettato” antieuropeismo mai sopito della Lega, oramai fugato dal M5S con molteplici dichiarazioni nel senso dell’euroadesione, oltre alla determinazione di contrastare il limite al contante, e di perseverare con la Flat Tax, il deficit al 3% e i porti chiusi hanno fatto il resto, essendo le misure più impopolari per i mercati e l’Europa loro lacché. As usual. Colonia rimane chi si comporta come tale. E noi lo rimaniamo.(Nicoletta Forcheri, “Colonia Italia, solito copione”, da “Scenari Economici” del 23 agosto 2019).Siamo alle solite, nel vecchio usurato copione. In Italia, dal dopoguerra in poi, o c’è un governo gradito ai mondialisti e agli americani, vedi Dc e poi governi tecnici Pd, oppure c’è un governo voluto dal popolo che puntualmente viene annerito, definito “fascista”, “razzista”, con tanto di diabolizzazione del capo, vedi caso Craxi, poi Berlusconi, poi adesso Salvini. Questo copione viene snocciolato agli italiani nel frame emotivo della tifoseria da stadio dove due squadre devono assolutamente contrastarsi anche qualora avessero trovato, per miracolo, una sinergia, e agendo sulle leve della manipolazione di massa a cui si prestano i media appartenenti ai grandi gruppi, Rai compresa, che sottostà ai diktat dei gruppi di pubblicità. Ed è così che le due squadre di governo dovevano sin da prima della loro nascita mai unirsi in quei punti sovranisti, tanti, che condividevano nei programmi elettorali, insieme al programma della Meloni che, primo errore, è stata scartata sin da subito da Luigi Di Maio al momento di formare il governo.
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Mascalzoni contro il popolo: eccolo, il Patto del Lazzarone
Poi c’è l’Italia. E ci sono gli italiani. Quelli che ascoltano sconcertati e indifesi le registrazioni da Bibbiano e vedono la famiglia sotto attacco, i bambini plagiati e costretti a denunciare i loro genitori per abusi inesistenti. Quelli che vedono in tv un marocchino che strazia con otto coltellate una barista a Bologna. Quelli che vedono altre ondate di migranti a bordo, stremati e malati, e poi si scopre che si tratta solo dell’otite di un passeggero; vivono la tragedia di essere imbarcati da giorni mentre, si sa, venivano da una vita agiata, da un’attesa confortevole in Libia, e sono stati costretti da qualcuno a imbarcarsi… E questa sarebbe l’emergenza nazionale, la priorità assoluta per il governo che verrà, mentre gli italiani vivono con disagio in un paese calante ed inefficiente, sentono la pressione e l’oppressione dell’Europa, temono l’aumento dell’Iva e le mazzate del fisco, si sentono indifesi, isolati, raggirati, per giunta in balia di magistrati irresponsabili e schierati. Vedono che la realtà è da una parte e la rappresentazione e soprattutto la rappresentanza va da un’altra. Si può parlare restando decenti di un governo giallorosso che parte con l’80 per cento di contrari tra il popolo sovrano?Quattro italiani su cinque non vogliono un’alleanza grillina-sinistra; e noncuranti il Palazzo, i Media, il Patriziato euro-nazionale, si spende tutto per quell’alleanza. Dalla sinistra estrema ai moderati illuminati, dai vecchi marpioni del regime ai grillini antisistema, dai giornaloni ai Travaglio, tutti – cani e porci, più gentil farfallette – nell’arca di Noè anti-voto e anti-salvini. C’è pure lui che propone un nuovo patto del Lazzarone, versione mascalzona del già torbido patto del Nazareno, e tutti gli danno torto, salvo seguire fedelmente le sue istruzioni. Eccolo che si prepara, il governo di lorsignori. E quelli che fino a ieri erano considerati barbari, i grillini, vengono d’un colpo costituzionalizzati, profumati e incravattati, vengono perfino definiti gentiluomini liberali. E i grillini per campare accettano di diventare domestici, si lasciano cioè addomesticare, entrano nel sistema, alzano la zampa quando glielo dice il domatore, giocano perfino col pallone sul naso, come le foche ammaestrate. Sono ammessi nel club esclusivo dei patrizi, salvo cacciarli appena non servono più, accompagnati dal loro avvocato Zelig Conte, trasformista, equilibrista, multitasking, democristiano quanto serve, progressista quanto basta, brillantina europeista, cromatina da notabile del sud, pochette tardoborghese da taschino più un’incipriata di populismo da tinello per compiacere il gentil volgo.Vi dico già i ministri di culto del governo che hanno in mente, in parità di quote: Greta, Carola, Ursula e Saviano, Lucano e Romano (Prodi). Con la benedizione straordinaria di Bergoglio & Scalfari associati. Ma che possiamo fare noi cittadini, oltre che dire, scrivere e votare quando ci chiameranno, mi scrivono sconfortati alcuni lettori? Niente, ragazzi, già l’idea di manifestare il dissenso in piazza diventa in questo caso tentato golpe e insurrezione armata. A cuccia, buoni. Altrimenti vi fanno le scariche al cervello. Come in Cina, come a Bibbiano. Bene, prendiamo atto che il popolo sovrano non conta un beato fico secco, e se si orienta per i sovranisti e dimezza i grillini, il patriziato si ingegna a salvare i grillini e a massacrare chi ha sostegno popolare. Prendiamo atto che si possono fare scelte, governi, nomine in cui i cittadini non contano assolutamente nulla. Allora, vi dico, perché non avete il coraggio di mutare la Costituzione, mutare forma al regime democratico? Vi consiglio una soluzione decorosa, comunque meno assurda di quella orwelliana di dichiarare che state salvando la democrazia mentre l’affossate.Seguitemi. Per separare la volontà popolare, il consenso elettorale, dal governo e dal potere praticate una riforma astuta. Ripristinate un’antica magistratura di 25 secoli fa, i Tribuni della Plebe, e consentite agli elettori di votare per loro. Date ai Tribuni della Plebe il massimo ascolto, la massima rilevanza, ma poi a governare e a designare chi governa ci pensa sempre il patriziato, cioè voi medesimi, in persona personalmente. Voi vi tenete il potere consolare, e a loro date di premio di consolazione. Loro vegliano su chi governa, rappresentano le istanze del popolo, strepitano, insomma sono difensori del popolo e oppositori riconosciuti. Ma, a governare ci pensate voi, levandovi di torno quella plebaglia, gli italiani. Elezioni democratiche, libertà di parola e di dissenso, diritto di ascolto garantiti. Ma poi decidete voi, col Patto del Lazzarone.(Marcello Veneziani, “Il Patto del Lazzarone”, da “La Verità” del 21 agosto 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Poi c’è l’Italia. E ci sono gli italiani. Quelli che ascoltano sconcertati e indifesi le registrazioni da Bibbiano e vedono la famiglia sotto attacco, i bambini plagiati e costretti a denunciare i loro genitori per abusi inesistenti. Quelli che vedono in tv un marocchino che strazia con otto coltellate una barista a Bologna. Quelli che vedono altre ondate di migranti a bordo, stremati e malati, e poi si scopre che si tratta solo dell’otite di un passeggero; vivono la tragedia di essere imbarcati da giorni mentre, si sa, venivano da una vita agiata, da un’attesa confortevole in Libia, e sono stati costretti da qualcuno a imbarcarsi… E questa sarebbe l’emergenza nazionale, la priorità assoluta per il governo che verrà, mentre gli italiani vivono con disagio in un paese calante ed inefficiente, sentono la pressione e l’oppressione dell’Europa, temono l’aumento dell’Iva e le mazzate del fisco, si sentono indifesi, isolati, raggirati, per giunta in balia di magistrati irresponsabili e schierati. Vedono che la realtà è da una parte e la rappresentazione e soprattutto la rappresentanza va da un’altra. Si può parlare restando decenti di un governo giallorosso che parte con l’80 per cento di contrari tra il popolo sovrano?
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Salvini, ventriloquo degli italiani, meglio dei ventriloqui Ue
Mezzo paese è convinto che l’Italia abbia un solo problema: Salvini. L’altra metà è convinta che l’Italia abbia una sola soluzione: Salvini. Posso dirvi che personalmente non credo che Salvini sia il problema né la soluzione? Non sono neutrale, equidistante o cerchiobottista. Preferisco Salvini ai suoi numerosi avversari, condivido molte delle sue opinioni, mi disgustano molti degli attacchi che riceve. Bene o male, lui è, con la Meloni, l’unica voce che si oppone al politically correct, a cui aderiscono sotto sotto anche i grillini e il loro avvocato-premier. Contro di lui c’è tutta l’Italia e l’Europa che non ci piace, chi ci detesta e chi campa ancora come iene sul fascismo sepolto. Come accadde con Trump, il blocco indigesto che gli si oppone, ci impone di preferirlo ai suoi nemici, anche obtorto collo. Tralascio la provenienza di Salvini, mi soffermo su dov’è ora, dove mira o dice di mirare. Proviamo a guardare oltre questo incredibile agosto, coi suoi voltafaccia, chissà dove porteranno. Non mi faccio illusioni, non ritengo che Salvini sia il pericolo nazionale ma nemmeno il rimedio salvifico. Non penso che sia in grado di fronteggiare quasi in solitudine quell’armata di poteri, partiti, papati e apparati che sono contro di lui.Uno contro tutti può funzionare in campagna elettorale, ma non si può governare soli contro tutti. E l’uno contro tutti non funziona nemmeno in questa fase preliminare e pre-elettorale, come si sta vedendo, perché se le elezioni non le vuole nessuno e se tutti temono un successo di Salvini, ha poco senso aprire una crisi contro tutti e aspettare che ti facciano votare. Col precedente del Lodo Ursula all’Europarlamento era prevedibile la piega che avrebbe preso la faccenda. Sull’evolversi del quadro politico si conferma un teorema che avevo già espresso un anno fa. Il nostro è un quadrilatero politico: ai quattro angoli ci sono nell’ordine i 5 Stelle, alla sua destra la Lega, alla sua sinistra il Pd, di fronte a loro Berlusconi. Ciascuno può allearsi con chi ha a fianco ma non con chi ha di fronte: i grillini con la Lega o col Pd, a sua volta il Pd coi grillini o con Berlusconi; la Lega, idem, coi grillini o Berlusconi, e Berlusconi con la Lega o il Pd. Le sole alleanze allo stato attuale incompatibili sono tra grillini e Berlusconi e tra Lega e Pd.In particolari frangenti può accadere una provvisoria convergenza, come è accaduto nel primo caso all’Europarlamento o nel secondo caso sulla Tav. Ma Lega e Pd sono incompatibili, come Berlusconi e Grillo. E non solo: a mezza strada tra la Lega e Fi c’è la Meloni, tra il Pd e i grillini c’è Leu, tra Forza Italia e Pd c’è +Europa (forse un domani ci sarà Renzi), tra Lega e 5 Stelle non c’è nessuno, salvo scissioni. Ecco il quadro politico e il teorema su cui regge. Torniamo alla politica reale. Non mi pare che Salvini minacci la democrazia, che annunci la guerra o che porti addirittura al nazismo e al razzismo, come sostiene la più becera propaganda avversaria. In tema di sicurezza ha incassato qualche buon risultato, soprattutto psicologico e simbolico, nonostante i magistrati e la campagna intimidatoria. Sui migranti è riuscito a frenare gli sbarchi e a scoraggiare le Ong, mandando un messaggio dissuasivo a entrambi; ma non è riuscito (ancora) a gestire i tanti clandestini sul nostro territorio, tantomeno a rimpatriarli.Tutto sommato un segnale forte l’ha lanciato, la sua fermezza ha pagato, ha riacceso un po’ di fierezza nazionale. È tanto per il nulla a cui siamo abituati, è poco per quel che ancora c’è da fare. Le grandi aspettative in tema di fisco, autonomie e rilancio che ha generato, sono rimaste sospese o inevase, perché non solo aveva il mondo contro, ma non aveva dalla sua nemmeno l’alleato di governo. Peraltro la sua azione ha risaltato nel raffronto coi grillini, che sono stati il suo alibi e il suo facile termine di paragone. Allo stato attuale Salvini è il ventriloquo degli italiani, parla in loro nome, dice le cose che dicono loro o che vogliono sentirsi dire. La definizione di ventriloquo non sarà esaltante ma è meglio essere il ventriloquo degli italiani che dei potentati, soprattutto esterni. Non so se oltre a esprimere le opinioni della gente e ad essere un efficace tribuno della plebe, Salvini sappia anche governare e rilanciare il paese; è un’incognita, non ha precedenti e la sua attitudine primaria è la leadership politica, anzi la comunicazione politica. Ma se l’alternativa è il grillismo più la sinistra, meglio lui, da solo o in compagnia del redivivo centro-destra. Nutro fiducia? No, semmai speranza, tenendo sempre presente chi c’è dall’altra parte.Tra le cose che propone alcune ci piacciono e vanno fatte subito, altre ci piacciono ma sono difficilmente realizzabili, un paio non ci piacciono per niente o quasi. Non reputo il suo partito fatto di aquile e giganti, non li considero i migliori in assoluto né i più onesti e più competenti, ma hanno buon senso pratico, sono stati in generale buoni amministratori e sono guidati da un’idea dell’Italia che mi pare più in sintonia con la vita reale, gli interessi e le aspirazioni degli italiani. Una sola cosa vorrei consigliare ai suoi sostenitori: non aspettatevi troppo da lui salvo poi restare delusi e abbandonarlo in fretta; riservategli un consenso meno entusiasta ma più avveduto e semmai più duraturo. Sostenetelo, se siete convinti, ma non aspettatelo come il Salvatore della Patria. Magari è il primo capitolo di una nuova stagione, un punto di avvio. In questo frangente e a queste condizioni, potete sostenere Salvini. Di più non dimandate…(Marcello Veneziani, “Con Salvini, senza illusioni”, da “La Verità” del 18 agosto 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Mezzo paese è convinto che l’Italia abbia un solo problema: Salvini. L’altra metà è convinta che l’Italia abbia una sola soluzione: Salvini. Posso dirvi che personalmente non credo che Salvini sia il problema né la soluzione? Non sono neutrale, equidistante o cerchiobottista. Preferisco Salvini ai suoi numerosi avversari, condivido molte delle sue opinioni, mi disgustano molti degli attacchi che riceve. Bene o male, lui è, con la Meloni, l’unica voce che si oppone al politically correct, a cui aderiscono sotto sotto anche i grillini e il loro avvocato-premier. Contro di lui c’è tutta l’Italia e l’Europa che non ci piace, chi ci detesta e chi campa ancora come iene sul fascismo sepolto. Come accadde con Trump, il blocco indigesto che gli si oppone, ci impone di preferirlo ai suoi nemici, anche obtorto collo. Tralascio la provenienza di Salvini, mi soffermo su dov’è ora, dove mira o dice di mirare. Proviamo a guardare oltre questo incredibile agosto, coi suoi voltafaccia, chissà dove porteranno. Non mi faccio illusioni, non ritengo che Salvini sia il pericolo nazionale ma nemmeno il rimedio salvifico. Non penso che sia in grado di fronteggiare quasi in solitudine quell’armata di poteri, partiti, papati e apparati che sono contro di lui.
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Rottamati i 5 Stelle, l’Italia resta prigioniera del voto-contro
Prima spariscono dai radar i 5 Stelle, meglio è per l’Italia. Che abbaglio: nel 2013 avevano rotto il sarcofago maleodorante in cui imputridivano Berlusconi, Bersani e gli altri cadaveri eccellenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi, cinque anni dopo, si sono ritrovati tra le mani un trionfo difficilissimo da maneggiare, che infatti hanno affrontato nel modo peggiore. Poteva andare diversamente? Evidentemente no, vista la caratura del fragilissimo e inesperto Di Maio, a sua volta telecomandato dalla “ditta”. Sconcerta, semmai, che i grillini – mossi da un’esasperazione condivisibile, rispetto alla palude italica – si siano lasciati regolarmente dominare dai loro persuasori, occulti e non, padroni assoluti del movimento. Dissenso silenziato, espulsioni a catena, sanzioni pecuniarie per i parlamentari che cambiassero casacca. Zero confronto interno, solo diktat – annacquati, per finta, dalla piattaforma digitale di proprietà del signor Casaleggio. Quanto al signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, per fischiare la fine dell’ultimo campionato – abbandonando al suo destino l’icona elettorale della valle di Susa e aprendo le porte all’arcinemico Renzi – non ha nemmeno più sentito il bisogno della parodia rituale della consultazione della “rete”.Se i militanti grillini, almeno all’inizio, furono coinvolti in una specie di palingenesi simil-rivoluzionaria a suo tempo coraggiosa, restando poi ipnotizzati dall’inerzia della dinamica interna fatalmente scaduta nel tifo e nel furore momentaneo per questa o quella causa contingente, milioni di elettori italiani – mai arruolatisi veramente nel circo pentastellato – erano stati indotti a votare 5 Stelle quasi per disperazione, non esistendo altro modo per contestare in modo squillante l’andazzo dei governi dimezzati, proni alla grande menzogna dell’austerity eterodiretta a scapito dell’Italia. Fu comunque un consenso freddo, vigile, pieno di riserve: chi votò per i grillini nel 2013 e nel 2018 vedeva benissimo quanto fosse ambiguo, confuso e inconsistente il programma esibito da Di Maio, che – in modo fin troppo eloquente – ometteva di citare la fonte prima del male oscuro italiano, cioè l’intollerabile sudditanza (psico-politica, finanziaria, economica) rispetto alla cricca degli avventurieri dominanti, il cartello delle industrie finanziarie private che manipolano l’Ue a loro uso e consumo, in questa fase utilizzando l’élite franco-tedesca, in combutta con l’establihment tricolore, per continuare allegramente a spolpare il Balpaese dormiente.Dove mai sarebbe potuto arrivare, il piccolo Di Maio, senza neppure gli spiccioli del mini-deficit al 2,4%, per finanziare in modo decente il più che discutibile reddito di cittadinanza, sbandierato in modo demenziale come orizzonte salvifico? Per fortuna, gli elettori hanno reagito tempestivamente, revocando in modo brutale il consenso imprudentemente concesso ai 5 Stelle. Molti peraltro si sono rifugiati nel limbo più frustrante, l’astensionismo: alle europee ha votato poco più che un elettore su due. Ora quel voto d’opinione si trova a un bivio altrettanto scomodo: provare a digerire il folkloristico Salvini, l’unico a non aver ancora rinnegato le sue promesse e la sfida lanciata all’attuale governance Ue, piuttosto che arrendersi agli zombie del partito eterno della morte civile e della svendita del paese a rate, all’infinito, ai poteri che banchettano su quella che una volta era la potenza industriale italiana. Le gazzette naturalmente propongono le loro Carola Rackete, le loro Greta, evitando accuratamente di informare il pubblico pagante su quanto sta avvenendo davvero, in Italia e nel mondo. E il pubblico, a sua volta, evita – ancora e sempre – di decidersi a fare qualcosa di concreto per avere, un giorno, la possibilità di regalarsi una proposta politica da votare con convinzione, senza turarsi il naso.Basterà, a fare pulizia, l’estinzione del super-bidone a 5 Stelle che ha coperto l’Italia di ridicolo anche in Europa, passando dal sostegno ai Gilet Gialli al voto decisivo per Ursula von der Leyen? L’impressione è che quei milioni di voti (oggi a spasso, o decisi a restare a casa) confluiranno mestamente verso altre scommesse azzardate, magari meno cialtrone ma altrettanto claudicanti, spurie, non trasparenti. Prima di suicidarsi, o di fingere di farlo, Salvini, Grillo e Conte sono riusciti a intonare insieme l’antico coretto della Torino-Lione, ancora una volta – come tutti i loro predecessori (Berlusconi e Prodi, Monti e Letta, Renzi e Gentiloni) – senza degnarsi di spiegare, con la dovuta trasparenza, a cosa mai servirebbe quell’immane spreco di denaro, in un paese che ha un drammatico bisogno di grandi opere utili. In questa Italia passa velocemente di moda anche la quasi-tragedia dell’obbligo vaccinale, imposto di colpo nello stesso modo: senza spiegazioni. Silenzio assoluto sull’unica istituzione che abbia brillato per dovere civico, la Regione Puglia presieduta da Michele Emiliano, la sola capace di approntare un servizio di farmacovigilanza attiva (che per inciso ha svelato come 4 bambini su 10 abbiano subito reazioni avverse alle vaccinazioni somministrate in batteria anche ai neonati).Non c’è una vicenda – una sola – che si concluda in modo coerente, a quanto pare. La rissa a reti unificate contro il feroce Salvini che sbarra l’accesso ai porti è tutto quello che ha da offrire, il mainstream, di fronte al dramma plurisecolare dell’Africa aggravato dal globalismo finanziario. Il cardinale nigeriano Francis Arinze, voce nel deserto, sfida il fronte buonista capitanato dal pontefice: com’è possibile non capire che l’emorragia di giovani condanna il continente nero? Riflesso immediato, casalingo: il derby tra gli hoolingan dell’Ong di turno e quelli del bieco ministro dell’interno. C’è chi si dispera: è accettabile che non si creino mai le condizioni per un discorso serio, oltre l’emergenza? Come gli storici ben sanno, i risvegli generalmente sono drastici e burrascosi, innescati da veri e propri cataclismi. Viceversa, la sovrastruttura amministra il grande sonno reggendo i fili del discorso pubblico in modo più che attento, reticente e depistante, scegliendo anche gli innocui galletti da combattimento da gettare sul ring, uno dopo l’altro.Per contro starebbe crescendo, si dice, una specie di foresta: è ancora silente, ma più estesa di quanto si pensi. Una quota di popolazione che va riaprendo gli occhi: oggi, forse, un altro Grillo non riuscirebbe più a prendere in giro nessuno. Ma non basta. Il popolo del cosiddetto risveglio non ha ancora un lessico pienamente condiviso, né solidi strumenti per comunicare quello che pensa. L’ipotetica, nuova antropologia in arrivo sembra dover passare necessariamente per fenomeni come il post-leghismo di Salvini, largamente indigesto ai più, ancora in cerca di approdi univoci e meno divisivi. Mancano appigli, per il momento, diffusamente percepiti come viatico per la costruzione collettiva di un universo meno inospitale, più umano, con meno urlatori e più ragionatori. Il 99% della scena è tuttora intasato di scontri, bocciature, insulti, testa a testa. Vince il “no”, a mani basse: il voto-contro. E’ perfetto per rinviare all’infinito il voto-per, quello di cui tutti avrebbero bisogno. Che fare, per vedere finalmente l’arrivo di quel giorno?(Giorgio Cattaneo, “L’Italia non s’è desta, ancora prigionera dell’inutile voto-contro”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 agosto 2019).Prima spariscono dai radar i 5 Stelle, meglio è per l’Italia. Che abbaglio: nel 2013 avevano rotto il sarcofago maleodorante in cui imputridivano Berlusconi, Bersani e gli altri cadaveri eccellenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi, cinque anni dopo, si sono ritrovati tra le mani un trionfo difficilissimo da maneggiare, che infatti hanno affrontato nel modo peggiore. Poteva andare diversamente? Evidentemente no, vista la caratura del fragilissimo e inesperto Di Maio, a sua volta telecomandato dalla “ditta”. Sconcerta, semmai, che i grillini – mossi da un’esasperazione condivisibile, rispetto alla palude italica – si siano lasciati regolarmente dominare dai loro persuasori, occulti e non, padroni assoluti del movimento. Dissenso silenziato, espulsioni a catena, sanzioni pecuniarie per i parlamentari che cambiassero casacca. Zero confronto interno, solo diktat – annacquati, per finta, dalla piattaforma digitale di proprietà del signor Casaleggio. Quanto al signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, per fischiare la fine dell’ultimo campionato – abbandonando al suo destino l’icona elettorale della valle di Susa e aprendo le porte all’arcinemico Renzi – non ha nemmeno più sentito il bisogno della parodia rituale della consultazione della “rete”.
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Abis: in che mondo ci fa vivere l’élite, con il nostro consenso
Oggi voglio fare da cattivo, e dirvi quanto molti di voi sono condizionati. Le oligarchie hanno due motti: 1 – unisci quello che non può essere unito; 2 – dividi quello che può essere unito. E così hanno inventato: lotte tra vegani e onnivori; lotte tra destra e sinistra; unificazione italiana, americana ed europea; hanno inventato i termini: maschilismo, femminismo, razzismo, accoglienza, bontà, partitismo, fede e devozione; impongono il concetto di cosmopolitismo; fanno sembrare naturale vivere dentro assurde megalopoli. Hanno inventato milioni di giornate mondiali(ste) di questo e di quest’altro, delle mimose e delle scarpette rosse, delle memorie più o meno fantasiose; loro genocidano, e poi chiedono soldi a chi ne ha meno di loro per ovviare alle loro devastazioni; fanno i moralisti e diffondono oscenità, a parole pontificano sulle libertà e fabbricano catene, hanno inventato la globalizzazione per le loro merci e i loro schiavi, hanno stabilito che col lavoro si può rubare il tempo alla gente; hanno occupato tutti gli strumenti per intrattenere, l’arte e la musica possono variare a seconda dei loro scopi, si sono impossessati del cielo e dell’acqua …Hanno inventato le libertà parziali, ecco alcuni termini: separatismo, indipendentismo, autonomismo, zonafranchismo. Hanno inventato la “libertà” del “libero” mercato. Hanno inventato regole, prigioni, confini e recinti per il bestiame umano. Hanno inventato la televisione. Hanno inventato i giornali. Hanno inventato gli opinionisti, il concetto di cittadino, gli albi professionali, le scuole che fanno il contrario di quello che dovrebbero fare. Hanno inventato imposte, tasse, aste giudiziarie e pignoramenti. Hanno inventato i premi Nobel, Greenpeace e “Save the” non si sa cosa, le olimpiadi e i campionati, Hollywood, le Ong, la new age, la ricerca scientifica sotto ricatto. Hanno nascosto le cure ancestrali che funzionavano, e le hanno sostituite con farmaci in grado di curare possibilmente solo i sintomi. Hanno inventato le organizzazioni ambientaliste preventive, tutti i premi letterari e cinematografici. Hanno inventato le fondazioni per nascondere le loro malefatte, non certo per lavarsi la coscienza, visto che non sanno cosa sia. Hanno inventato le vaccinazioni di massa.Hanno inventato le guerre, con conseguente spopolamento, così possono ricavare tutto quello che vogliono da terre abbandonate. Hanno inventato tutti i gruppi terroristici. Affibbiano il termine complottista a chi cerca la verità sui loro complotti reali. Hanno inventato gli auto-attentati. Hanno inventato il capitale e lo spread, gli interessi, le monete private, le monete virtuali. Hanno inventato sia il contante che la sua eliminazione. Spacciano, loro sì, monete false. Hanno inventato il termine “dittatore”, meglio se accompagnato da “becero fascista”. Hanno inventato deleghe e democrazia. Le eggregore, simbologie sataniche, il partitismo e le votazioni, foraggiato utili rivoluzioni, utili ma solo per i loro affari. Ci hanno convinto che noi occidentali stiamo sfruttando popoli poveri, ma noi chi? Fanno di tutto per farci scordare chi siamo veramente. Hanno ricoperto di scorie mondialiste il nostro cervello ancestrale. Hanno ricoperto e soffocato la nostra spiritualità con le religioni. Vorrebbero dimostrare che loro sono le élite e noi il bestiame da sfruttare. Alterano la storia e la cultura. Impongono il pensiero unico. Livellano verso il basso ogni slancio. Chi cerca di elevarsi viene tirato giù dagli utili idioti plagiati. Il loro nome è fetension, fetenzie sioniste.(MarianoAbis, “Oggi voglio fare da cattivo e parlarvi delle oligarchie”, da “Jolao77” del 14 agosto 2019).Oggi voglio fare da cattivo, e dirvi quanto molti di voi sono condizionati. Le oligarchie hanno due motti: 1 – unisci quello che non può essere unito; 2 – dividi quello che può essere unito. E così hanno inventato: lotte tra vegani e onnivori; lotte tra destra e sinistra; unificazione italiana, americana ed europea; hanno inventato i termini: maschilismo, femminismo, razzismo, accoglienza, bontà, partitismo, fede e devozione; impongono il concetto di cosmopolitismo; fanno sembrare naturale vivere dentro assurde megalopoli. Hanno inventato milioni di giornate mondiali(ste) di questo e di quest’altro, delle mimose e delle scarpette rosse, delle memorie più o meno fantasiose; loro genocidano, e poi chiedono soldi a chi ne ha meno di loro per ovviare alle loro devastazioni; fanno i moralisti e diffondono oscenità, a parole pontificano sulle libertà e fabbricano catene, hanno inventato la globalizzazione per le loro merci e i loro schiavi, hanno stabilito che col lavoro si può rubare il tempo alla gente; hanno occupato tutti gli strumenti per intrattenere, l’arte e la musica possono variare a seconda dei loro scopi, si sono impossessati del cielo e dell’acqua…
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Vergogna M5S: ha tradito tutti, dai suoi elettori a Salvini
Nel 2014, il cofondatore del M5S Gianroberto Casaleggio rilasciava a “Il Fatto Quotidiano” una lunga intervista, dal titolo “Pacta Sunt Servanda”. Spaziando su molti argomenti, Casaleggio riassumeva l’idea di democrazia semplice e diretta che stava alla base del MoVimento: in politica gli impegni vanno mantenuti e chi non lo fa deve essere cacciato. Riferendosi al sindaco di Parma, l’allora pentastellato Federico Pizzarotti, Casaleggio sentenziava senza mezzi termini: «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa». Parole inequivocabili, che riflettevano una visione alternativa dei rapporti tra eletti e cittadini elettori. Nell’aprile 2019, dopo aver portato avanti efficaci campagne di demonizzazione e demolizione degli avversari politici ed avere ottenuto il potere, il M5S è arrivato a negare totalmente alcuni temi per i quali era stato da sempre sostenuto dai cittadini. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte le cose vanno indipendentemente dalla volontà di chi agisce. E vero, ma passare dal NoVax, NoTav e NoUe al Sì Vax, Sì Ue e infine Sì Tav non equivale a discorrere di quisquilie.E quanto all’Ue, il cambiamento da demolitori in aperti sostenitori non trova neppure una spiegazione razionale, perché quella del sostegno all’assetto dell’Ue in difesa del Pil italiano pronunciata dal senatore Lanzi lo scorso aprile è e rimane una “kaxxata” che solo persone prive di capacità cognitive potrebbero accettare per buona. Ma come, vieni a dirmi che dobbiamo difendere l’istituzione che ci ha massacrato economicamente e socialmente per 20 anni per salvaguardare proprio quel Pil italiano che è stato fatto a pezzi dai Lorsignori a marchio Bruxelles? E questo dopo che per 10 anni ripeti ovunque che quell’Europa istituzionale, che ora vuoi sostenere, è un Club Med di rispettabili criminali, arricchiti burocrati asserviti ai neoliberisti mondiali che nell’assetto dell’Ue e nelle sue regole capestro hanno trovato un altro giocattolo per far pagare le crisi finanziarie ai meno abbienti, italiani inclusi?Quanto alla Tav serve veramente a poco che Grillo dica che «non avere la forza numerica per bloccare l’inutile piramide non significa essersi schierati dalla parte di chi la sostiene». Servirebbe piuttosto chiedersi se il MoV ha cercato degli alleati per allargare il fronte istituzionale del dissenso in questi anni. Di fronte a fallimenti continui come si può affermare che qui si tratta di coerenza e non di rigidità? Con che coraggio o mancanza di vergogna si dichiara che se il resto d’Europa vuole la Tav, il M5S ha comunque coerentemente fatto tutto quello che doveva e quindi non è responsabile? Ma se impegnarsi e non riuscire a mantenere gli impegni comporta l’ammettere la propria inadeguatezza e andarsene – Casaleggio, mai sconfessato da Grillo, dixit – a cosa serve dire che si è fatto il possibile? E allora Pizzarotti che ha percorso tutte le vie legali per fermare l’inceneritore di Parma e non vi è riuscito cosa doveva fare? Andare di notte con un commando ed esplosivo e farlo saltare? Eppure lui doveva dimettersi – giustamente – e chi sta al governo che ha fatto un voltafaccia su tutto, no?!A questo punto rimarrebbe da spiegare il comandamento etico dei “pacta sunt servanda”, mai venuto meno per il M5S, e che in democrazia dovrebbe valere per tutti, semper Casaleggio Senior dixit. Dov’è il tradimento di Pizzarotti che, vistosi impossibilitato a mantenere una promessa elettorale, dopo aver esaurito tutte le vie legali, ha tentato di trattare con i poteri forti per restare a galla cercando di contenere i danni dell’inceneritore? Non è la stessa cosa che tenta di fare il M5S “per sopravvivere”, dopo che la decisione di Salvini di aprire la crisi di governo lo ha riportato alla realtà del voto e delle scelte maldestre e antitetiche al programma condiviso con la Lega in Europa? Quindi se fallire vuol dire “te ne vai”, anche se ci si può rifiutare comprensibilmente di associare al fallimento qualche dietrofront o inciampo su punti marginali, fallire totalmente su battaglie che in teoria rappresentavano l’anima politica del M5S, le promesse chiave di quel rinnovamento che voleva portare in Italia, cosa comporta? Starsene in poltrona per dire che si è coerenti e che gli altri sono brutti, cattivi e corrotti?Si leggono in questi giorni messaggi di ogni tipo su social che incolpano dell’attuale crisi di governo l’orco Salvini, l’irresponsabile traditore che vuole consegnare l’Italia all’ultradestra. Alternativamente Salvini cede il primo posto sulla gogna mediatica agli italiani, agli Usa, a Di Battista, meno a coloro che dirigono il M5S e che hanno sostenuto il suo sistema. Per i “veri” appartenenti al M5S, dal MoV dovrebbero uscire, anzi essere cacciati, i traditori, gli infiltrati, i fascisti… va bene, ma poi chi ti rimane? Intendo dire che se cacci i fascisti da un partito-azienda dove sopravvive e viene promosso chi fa la volontà del capo, che è una sola persona, non è che poi rimangono molti, dopo aver fatto pulizia. Ora, finché il proprietario era in vita e aveva una visione della storia e della politica ad ampio raggio, il messaggio innovatore poteva essere sostenuto, con qualche falla. Ma nel momento in cui è stato sostituito da un nuovo proprietario che al posto dei libri si interessa solo previsioni di vendita, di cosa ci illudiamo? Del cambiamento? Della Rivoluzione?Fatta da chi? Da una manica di gente messa insieme alla meno peggio e presentata ai cittadini dopo una selezione da casting televisivo su come si ripetono slogan messi a punto dalla Casaleggio, o su come vengono le zoomate fatte a 32 denti o sui tacchi? Se qualcuno davvero crede, dopo quanto il MoV ha mostrato nell’ultimo anno, che una simile compagine potesse davvero competere con Salvini e rappresentare un’alternativa al malgoverno sistemico di questa nazione, allora ha bisogno di supporto psichiatrico. E magari serviva pensare che a trattare con Salvini ci andava gente diversa da un ragazzo di 30 anni con una cultura, esperienza di vita e di lavoro molto limitata. E per capire questo non serviva una visione alternativa e unica della democrazia. Bastava il buon senso, anche se era contrario agli affari, per fare i quali serve impegnarsi solo nelle battaglie che portano utili, che però in questo caso non sono quelle che servono per cambiare l’Italia e abbattere la tanto detestata casta.Per cambiare la gestione sistemica dell’Italia serve ridare allo Stato italiano quella sovranità che non ha più, sovranità che a parole il M5S difende, e per farlo serve attaccare coloro che quella sovranità riducono, e che siedono a Bruxelles nel consesso dell’Ue. La battaglia è contro l’attuale assetto dell’Ue, contro i trattati applicati in modo diverso all’interno dei vari Stati, per cui mentre la Francia emette il franco coloniale contravvenendo al Trattato di Maastricht e in Germania le banche possono prestare denaro pubblico, come più e più volte ha evidenziato Nicoletta Forcheri, l’Italia non può fare nulla. La battaglia è contro la gestione del Mes, il Fondo europeo di stabilità finanziaria, di cui l’Italia è il terzo principale contributore dopo Germania e Francia, e nel quale finora ha versato miliardi di euro. Un fondo tanto generoso e gestito saggiamente che, se uno Stato in difficoltà ne avesse bisogno, verrebbe salvato con erogazioni a tassi di usura, per cui per ricevere in forma di aiuto quei soldi che ha versato deve pagare una tangente, come si fa con ogni rispettabile organizzazione mafiosa.La battaglia è contro la mancanza di una politica europea condivisa e seria sull’immigrazione, invece di favorire una tratta a pagamento di esseri umani gestita da Ong amiche e cooperative compiacenti, sotto la falsa pretesa di una solidarietà che vorrebbe che un continente ne ospitasse un altro “per risolvere i problemi di entrambi”, e che non ha nessun riscontro nella storia. A cosa serve risparmiare qualche ghello, anche tagliando i parlamentari, se poi dall’alto vi è chi ti dice comunque cosa devi o non devi fare, ti impone limiti di spesa, ti obbliga a versare miliardi con cui potresti sanare i debiti pubblici, e affossa i tuoi diritti? A niente, e se una forza politica “rivoluzionaria” si rifiuta di impegnarsi negli scontri veri inventandosi nemici immaginari, allora vuol dire che del cambiamento non gli frega niente. Questi sono i punti che il M5S dovrebbe trattare se volesse davvero cambiare le cose in Italia, e per farlo deve contrapporsi all’Europa così com’è. Certo costa, ma la via è quella. E invece su questi temi, dopo il famoso referendum consultivo sull’euro di 7 anni fa rimasto lettera morta, la propaganda del M5S e il blog non parlano mai… strano!Dovrebbe portare lo scontro in Europa, come ha dichiarato per 10 anni di voler fare. Avrebbe dovuto sostenere il fronte sovranista. E invece cosa ha fatto? Ha lasciato al manipolo di 14 europarlamentari eletti lo scorso maggio libertà di coscienza sulla votazione che avrebbe portato il piddino Doc Sassoli – quello che dice che il Parlamento Europeo per lui sarà sempre aperto all’immigrazione, come i porti, per intenderci – e ha votato alla presidenza della Commissione Ursula von der Leyen, eletta con appena 9 voti di scarto e alla quale non sono mancati quelli dei 14 del M5S. La signora Austerity, amica della Lagarde, la macellaia sociale dell’Ue, e di Angelona Merkel e sua ex ministra, è il correlativo oggettivo di Mario Monti in gonnella, e di Monti condivide oltre alla visione di austerity e tagli alle spese sociali, anche le amicizie importanti per le multinazionali e società di fondi d’investimento e di consulenza come la McKinsey. E mentre veniva incoronata presidente della Commissione Ue, Castaldo (M5S) è stato eletto vicepresidente nonostante i 5 Stelle siano senza gruppo a Bruxelles: è la prima volta in Europa. Ma sarà un caso?Queste “battaglie” del M5S sembrano più scambi di favori per chi vuole farsi gli affari propri a prescindere dalle promesse fatte al beneamato popolo che dovrebbe difendere. E mentre vende briciole di slogan di democrazia, il MoV si rifiuta di attuare le uniche vere scelte che dovrebbe fare se davvero volesse tener fede a quanto detto per una decade. Ma si sa, bisogna sopravvivere e poiché ‘l’amico del mio nemico può diventare amico mio” nel mondo dell’immaginifico politico stellato dove non esiste né destra né sinistra, le ideologie sono morte, ma il denaro rimane, ecco che allora anche l’ipotesi di allearsi con pezzi del Pd renziano può andar bene. Il cofondatore del M5S potrebbe infine illuminarci sulle ragioni – quelle vere, che ancora non conosciamo – per le quali la sua creatura politica è diventata europeista al punto di votare la von der Leyen, che rappresenta la reincarnazione femminile di Monti-aka Rigor Mortis, o chiarire il significato grillino – quello italiano lo conosciamo già – dell’espressione “comitati d’affari” tanto cara al MoV delle origini, lo stesso che nel 2011 condannava Rigor Mortis e che ora con metamorfosi politica – attuata per sopravvivenza o convenienza? – è arrivato camaleonticamente a fare le scelte di cui sopra. I nodi sono sempre quelli.(Alessandro Guardamagna, estratti da “Se pacta sunt servanda, chi ha tradito chi?”, da “Come Don Chisciotte” del 15 agosto 2019).Nel 2014, il cofondatore del M5S Gianroberto Casaleggio rilasciava a “Il Fatto Quotidiano” una lunga intervista, dal titolo “Pacta Sunt Servanda”. Spaziando su molti argomenti, Casaleggio riassumeva l’idea di democrazia semplice e diretta che stava alla base del MoVimento: in politica gli impegni vanno mantenuti e chi non lo fa deve essere cacciato. Riferendosi al sindaco di Parma, l’allora pentastellato Federico Pizzarotti, Casaleggio sentenziava senza mezzi termini: «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa». Parole inequivocabili, che riflettevano una visione alternativa dei rapporti tra eletti e cittadini elettori. Nell’aprile 2019, dopo aver portato avanti efficaci campagne di demonizzazione e demolizione degli avversari politici ed avere ottenuto il potere, il M5S è arrivato a negare totalmente alcuni temi per i quali era stato da sempre sostenuto dai cittadini. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte le cose vanno indipendentemente dalla volontà di chi agisce. E vero, ma passare dal NoVax, NoTav e NoUe al Sì Vax, Sì Ue e infine Sì Tav non equivale a discorrere di quisquilie.
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Migranti: le rimesse, 700 miliardi, fan gola a Libra-Facebook
Secondo l’infondato paradigma di sviluppo economico abbracciato dalle organizzazioni internazionali e smentito dalle evidenze, l’emigrazione rappresenterebbe un’opportunità di miglioramento della vita e del benessere delle popolazioni più povere. Così anche lo strumento del microcredito, ideato per traghettare i paesi in via di sviluppo fuori dalla condizione di miseria, ha finito per divenire in molti casi uno strumento per incentivare l’emigrazione. Non a caso il Bangladesh, dove questo strumento è nato, è il paese di provenienza di circa un decimo dei migranti che ogni anno arrivano in Italia. In Bangladesh opera la più grande Ong al mondo, leader nel settore dei prestiti all’emigrazione, e oltre che in quel paese opera in altre nazioni dell’Asia, in America Latina e in molti paesi dell’Africa, diffondendo così questo sistema collaudato. Non solo offre i finanziamenti e l’assistenza per emigrare attraverso il microcredito, ma a quanto pare si occuperebbe anche di fornire alle famiglie dei migranti dei prestiti sulle future rimesse, in modo da accedere a somme di denaro per fare investimenti o spese mentre aspettano di ricevere le rimesse inviate dall’estero. Ma così i migranti, che spesso non trovano lavoro nel paese di accoglienza, finiscono nel vortice dell’indebitamento, ricorrendo a tutti i mezzi pur di ripagare i prestiti contratti.Finanza e filantropia possono intrecciarsi sulla questione dei migranti? Beh, Jacques Attali, il mentore di Macron, ha fondato un’associazione che opera in 60 paesi al mondo per incentivare l’accesso ai servizi finanziari da parte delle popolazioni più povere. La sua mission, dichiara, è quella di “combattere la povertà attraverso lo sviluppo della microfinanza”. Per realizzarla si serve di otto unità specializzate, compresa un’agenzia di rating di microfinanza. Tra i suoi organi societari spiccano nomi eccellenti, alcuni dei quali hanno avuto in passato incarichi prestigiosi nelle istituzioni europee e comunitarie. Il cofondatore di questa ramificatissima Ong è il creatore della prima banca che concede denaro alle persone più indigenti, insignito addirittura del Nobel per la Pace, che scrive libri e tiene convegni in tutto il mondo per esportare questo modello spacciato come filantropico. C’è ancora un business gigantesco da aggredire, quello delle rimesse dei migranti. Lo scorso anno dall’Italia sono usciti 6,2 miliardi di euro di rimesse verso l’esterno e a livello globale la cifra raggiunge circa 700 miliardi di dollari.Il costo medio per una singola transazione si aggira intorno al 7%, con punte che superano il 10%. Il settore è in mano, in condizioni pressoché di duopolio, a due colossi statunitensi che hanno contratti esclusivi con gli enti statali. Ma un business così fiorente non poteva rimanere a lungo ignorato. Ed ecco infatti entrare in campo un altro magnate dell’economia mondiale, il ceo di Facebook Mark Zuckerberg, con la sua nuova moneta. La Libra nasce proprio come valuta globale, con l’obiettivo dichiarato di consentire alle persone di inviare denaro a chiunque, da qualsiasi luogo, a un prezzo basso e col solo utilizzo di un cellulare. È stato stimato che, a livello globale, un miliardo di individui non abbia accesso ai prodotti finanziari, ma possiede un telefono cellulare; e di questi, circa 480 milioni hanno accesso a Internet. Dunque il ricchissimo “piatto”, come lo chiamo io, delle rimesse sarà il primo obiettivo nel mirino della Libra?(Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate a Marta Moricone per l’intervista “Il ricco ‘piatto’ delle rimesse nel mirino della Libra?”, pubblicata da “Lo Speciale” il 31 luglio 2019. Il Premio Nobel cui si riferisce la Bifarini è Muhammad Yunus, mentre la Onf fondata Attali per finanziare i viaggi dei migranti si chiama Planet Finance).Secondo l’infondato paradigma di sviluppo economico abbracciato dalle organizzazioni internazionali e smentito dalle evidenze, l’emigrazione rappresenterebbe un’opportunità di miglioramento della vita e del benessere delle popolazioni più povere. Così anche lo strumento del microcredito, ideato per traghettare i paesi in via di sviluppo fuori dalla condizione di miseria, ha finito per divenire in molti casi uno strumento per incentivare l’emigrazione. Non a caso il Bangladesh, dove questo strumento è nato, è il paese di provenienza di circa un decimo dei migranti che ogni anno arrivano in Italia. In Bangladesh opera la più grande Ong al mondo, leader nel settore dei prestiti all’emigrazione, e oltre che in quel paese opera in altre nazioni dell’Asia, in America Latina e in molti paesi dell’Africa, diffondendo così questo sistema collaudato. Non solo offre i finanziamenti e l’assistenza per emigrare attraverso il microcredito, ma a quanto pare si occuperebbe anche di fornire alle famiglie dei migranti dei prestiti sulle future rimesse, in modo da accedere a somme di denaro per fare investimenti o spese mentre aspettano di ricevere le rimesse inviate dall’estero. Ma così i migranti, che spesso non trovano lavoro nel paese di accoglienza, finiscono nel vortice dell’indebitamento, ricorrendo a tutti i mezzi pur di ripagare i prestiti contratti.
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Magaldi: Salvini non è solo, stana i rivali-zombie e vincerà
Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono dalla sua parte tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».Allusione esplicita: «Le superlogge internazionali sono assolutamente in campo e stanno giocando una partita molto raffinata», dichiara Magaldi il 14 agosto nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Premessa: «L’Italia resta un campo di battaglia strategico, il luogo decisivo per le sorti della democrazia in Europa e per la stessa globalizzazione». E’ vero, la geopolitica appare dominata da colossi come gli Usa, la Cina e la Russia. Eppure, sottolinea Magaldi, «è in Europa che si è sperimentata dagli anni ‘90 una certa governance sovranazionale post-democratica, politico-economica, ed è qui in Italia che il corso delle cose può essere invertito: altrove non ci sono possibilità così magmatiche e feconde, in Francia e in Germania il sistema politico è bloccato». Sempre con Frabetti, Gianfranco Carpeoro – altro dirigente del Movimento Roosevelt – nei giorni scorsi ha svelato le mosse della supermassoneria reazionaria: obiettivo, imbrigliare Salvini e disarcionarlo con ogni mezzo. Di qui la strana disponibilità di Grillo ad abbracciare l’ex nemico Renzi, a cui sarebbe stato promesso finalmente l’accesso al mondo esclusivo dei massimi salotti massonici, nel caso riuscisse a sventare la minaccia delle elezioni anticipate richieste da Salvini.«Le reti delle Ur-Lodges oligarchiche sono ancora egemoni», conferma Magaldi, che però aggiunge: «Le superlogge progressiste hanno messo a segno colpi interessanti». Tra questi, ad esempio, il sostegno sotterraneo ai Gilet Gialli in Francia per mettere in croce Macron proprio mentre l’Eliseo premeva su Bruxelles per aggravare l’austerity italiana, bocciando il governo gialloverde e la sua iniziale richiesta di espansione del deficit. «La partita è vivace, anche se difficile da interpretare», dice Magaldi, lasciando capire che niente è come sembra. Il network massonico progressista internazionale starebbe sostanzialmente supportando Salvini nel suo tentativo di lasciare in mutande gli zombie della politica italiana, ancora e sempre proni ai diktat di Bruxelles. «Con le sue mosse, Salvini ha messo in moto un circo con bestie strane, e scomodarle proprio a ferragosto è stato ancora più divertente: cosa che a Salvini ha permesso di dire che non si vede perché ad agosto non possano lavorare anche i parlamentari, come moltissimi altri italiani già fanno». Bestie strane? «Alcune sembravano sotto spirito, imbalsamate, e sono state riesumate per l’occasione: hanno tutte paura e sperano di non scomparire per sempre». Salvini domatore? Ebbene sì: «Sembra condurre il gioco, e addirittura oggi torna a parlare persino di una possibilità di un rilancio gialloverde, un governo Conte-2 con adeguato rimpasto».A Genova, il capo della Lega ha accennato tranquillamente alla manovra, citando 2,4 miliardi per mettere in sicurezza ponti e infrastrutture: «Sembra parlare da azionista di un governo che potrebbe tornare in auge». Intendiamoci, avverte Magaldi: «Occorre decodificare il tiro di dadi inaugurato da Salvini, la cui tempistica ha spiazzato anche i leghisti», molti dei quali per nulla entusiasti all’idea di tornare alla corte di Arcore. Non è affatto impazzito, Salvini: ha solo beffato i suoi avversari, fingendo di divertirsi in modo spensierato sulla spiaggia del Papeete. Nessuno si aspettava che affondasse il colpo, annunciando la sfiducia a Conte: «E la sua mossa originaria, prima ancora della “mossa del cavallo” sul taglio dei parlamentari da votare con 5 Stelle e Pd) ha snidato personaggi e ipotesi che se ne stavano acquattate nell’ombra». Il risulato è fecondo, secondo Magaldi: dopo che Salvini ha pronunciato quel fatidico “io non ci sto più”, «abbiamo scoperto che Renzi stava preparando un nuovo partitino del 2-3%». Poi l’ex “rottamatore” «ha compiuto una torsione a 180 gradi rispetto a inizio legislatura, quando consegnò i 5 Stelle all’allenza con la Lega. Oggi sente vicina la sua fine politica, ma non ha capito che gioco sta facendo Salvini, consigliato da chi e perché». Già, appunto: non sperava di entrare nel grande gioco, Renzi, bussando alla superloggia Maat (quella di Obama) dopo la passerella al Bilderberg?Fa un po’ il misterioso, Magaldi, lasciando intendere di non poter dire più di tanto, per ora. Si limita a dichiarare che quello che sta davvero succedendo «non l’ha capito nemmeno Berlusconi, che prima si ringalluzzisce come possibile ago della bilancia, grazie a cui si può decidere se si va o no alle elezioni, quindi fa bastonare Salvini da Sallusti sulle Tv mainstream ma su Rete4 manda servizi contro Di Maio». Al che, si apprende che Salvini sarebbe disponibile a una trattativa con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Poi però il capo della Lega «offre a Berlusconi una lista unica, quindi una proposta di assorbimento di Forza Italia, che naturalente Berlusconi rifiuta». Falsa pista, quindi: dopo aver stanato il Cavaliere, spingendolo a esporsi, il 13 agosto Salvini risultava indisponibile a incontrarlo, per imprecisati “impegni al Viminale”. «Intanto Berlusconi è stato snidato: sperava in un accordo elettorale soddisfacente, con Salvini, nonostante sia stato per mesi in combutta con il Pd e con tutto il circo mediatico mainstream contro il governo gialloverde, e quindi anche contro la Lega». Doppio avvitamento, con figuraccia. «Sono stati snidati Renzi e Berlusconi, e il gioco non finisce qui» aggiunge Magaldi. «Anche l’inciucio Pd-M5S è stato portato fino all’estremo, fin quasi a concludersi: già hanno votato insieme per la calendarizzazione della sfiducia a Conte, ma Delrio (cerniera a metà strada tra Renzi e Zingaretti) dice che l’accordo si può fare solo se di largo respiro, e lo stesso Zingaretti sta diventando possibilista».Insomma: sono tutti agitati, ma il pallino rimane nelle mani di Salvini. «Sembra un domatore che fa esbire tante bestiole davanti alla platea degli italiani». E questo, sottolinea Magaldi, è solo l’aspetto “essoterico”, alla luce del sole. Per capire il senso di quello che sta avvenendo «occore rovesciare le cose facili, banali, scontate e fuorvianti che si sono dette in questi giorni». La lettura che propone il presidente del Movimento Roosevelt è la seguente: a un certo punto, “ispirato” da qualche insospettabile consigliere strategico, Salvini – pressato dalla magistratura e dal Russiagate, braccato dai media pro-Ong – ha di fatto «cominciato a mostrare tutte le ipocrisie e tutti i nervi scoperti degli altri attori politici». Il gioco è rischioso, ma per ora vincente. «In queste ore si potrà discutere persino di un rilancio del governo Conte, con un rimpasto significativo e una strutturazione del programma che veda i 5 Stelle molto più disciplinati, perché uno dei problemi degli ultimi mesi era che i 5 Stelle attaccavano Salvini anziché l’opposizione». Naturalmente, un nuovo patto presupporrebbe un cambio di passo su molti temi: «Sarebbe una vittoria di Salvini, anche rispetto a quei leghisti che al Nord restano inclini a un’alleanza con Berlusconi».In sostanza, osserva Magaldi, Salvini ha giocato d’anticipo su tutti. E ora ha compiuto la mossa del cavallo: ok, ha detto, votiamo il taglio dei parlamentari e poi andiamo subito a votare. «Quella di elezioni immediate è un’ipotesi costituzionalmente impraticabile, e del resto prima si vota la fiducia o sfiducia a Conte (che è dirimente, prima ancora della questione del taglio dei parlamentari)». Se invece la rottura si consuma, «la grande ammucchiata (Pd, 5 Stelle, Leu e frattaglie varie), al di là di dare un illusorio momento di respiro a Renzi e ai renziani che hanno la poltrona traballante, è una eccellente occasione per ridefinire il prossimo appuntamento elettorale, lasciando a quell’Armata Brancaleone l’onere di proseguire sulla linea del rigore». Una non-strategia, che aggraverebbe solo la situazione italiana. «Qui servirebbe un braccio di ferro fortissimo con la cosiddetta Europa e con i suoi avamposti italici – dice Magaldi – per definire una nuova traiettoria politico-economica fondata su investimenti importanti e un robusto taglio delle tasse, cioè una manovra che incontrebbere un’opposizione formidabile da parte dei gestori dell’austerity».Nell’ipotesi del “governo di salvezza nazionale”, Salvini lascerebbe a Renzi e anche ai grillini il “privilegio” di essere «definitivamente percepiti come i difensori dello status quo». Quindi il governo anti-Salvini sarebbe «un’occasione ghiottissima, una situazione da cui la Lega non potrà che uscire bene». Ma è un bene, per l’Italia, che Salvini abbia innescato questo balletto circense, rivelatore delle altrui pulsioni? Per Magaldi, la risposta è sì. Ed è utile, aggiunge, che da questa vicenda «escano con le ossa rotte i 5 Stelle», almeno fino a quando si fanno rappresentare da Luigi Di Maio: «Ha proprio la vista corta: gongolava, dicendo che Salvini ha dovuto cedere sul taglio dei parlamentari», non capendo che il leghista lo ha sostanzialmente “disarmato”. I 5 Stelle, peraltro, «uscirebbero distrutti dall’abbraccio col Pd: una parte del loro elettorato andrebbe verso la Lega e un’altra parte verso i Dem». A sua volta, il Pd ha problemi interni ancora più gravi: «E’ un soggetto politico afasico, privo di una narrativa convincente». E la prova del nove, ancora una volta, è proprio il capo della Lega: «Salvini cresce nei consensi perché esibisce una narrativa chiara, che parla anche di importanti investimenti e di un nuovo paradigma politico-economico, grazie ai suoi economisti post-keynesiani. E parla pure di taglio delle tasse, Salvini. Rispetto a questo, cos’hanno da dire Pd e 5 Stelle? Il piglio del leader ce l’ha lui, non certo il grottesco Renzi, imbolsito anche nei toni, che a un anno di distanza deve ammettere di aver sbagliato tutto rifiutando l’alleanza coi 5 Stelle».Nel frattempo, il Pd non ha mai fatto autocritica. «Non lo fa neppure oggi, né con Renzi né con Zingaretti, nemmeno rispetto alle cattive riforme costituzionali di Renzi, che non ha capito niente ed è ancora convinto che il Jobs Act fosse la migliore delle carte da giocare per rilanciare occupazione e crescita economica – siamo a questo livello». Si domanda Magaldi: «In cosa si identifica, per Renzi, il bene della nazione? Non lo sappiamo, ed è per questo che Renzi è franato, nella percezione degli italiani. E cosa ha da dirci Zingaretti?». Idem. Ma vale anche per Berlusconi, «anche lui agonizzante come Renzi e in cerca di una scialuppa di salvataggio». Morti che camminano. Salvini, invece, riesce anche a giocare col taglio dei parlamentari: «Ha presentato la cosa strumentalmente, come una decisione importante da condividere con “l’amico” Di Maio», che c’è cascato. Attenzione: «Come panacea dei mali italiani i 5 Stelle dunque propongono il taglio dei parlamentari e magari anche il dimezzamento dei loro stipendi?». Il Parlamento come covo di mascalzoni, affaristi e rubagalline? Pura demagogia grillina, altamente controproducente: «Con stipendi più bassi, i parlamentari saranno più esposti a tentativi di corruzione. E in Parlamento andranno solo le persone molto ricche, che possono permettersi di rinunciare alla loro carriera», obietta Magaldi.«Ai tempi della democrazia di Pericle, nell’Atene del V secolo avanti Cristo – ricorda Magaldi – furono inventate le “misthòtes”, le indennità, proprio per consentire anche ai poveri di occuparsi della cosa pubblica, viceversa prerogativa solo dei ricchi aristocratici». Oggi viviamo in un’Italia in piena stagnazione e con un governo che non ha certo “abolito la povertà”. «E dopo il fallimento clamoroso del reddito di cittadinanza, Di Maio ci viene a spiegare che la soluzione di tutto, la grande scelta epocale, sarebbe la diminuzione dei rappresentanti del popolo sovrano, facendo così diminuire anche il livello di democrazia rappresentativa?». Avverte Magaldi: «Stia attento, Di Maio, anche a quello che fanno i pentastellati nelle amministrazioni locali, perché gira voce che, paradossalmente, siano i più affamati di affari, affarucci e denari». Neoliberismo sospetto, in salsa populista: «C’è questo strano connubio: da un lato ciò che è pubblico (comprese le indennità) viene demonizzato, per offrirlo in pasto a un risentimento popolare del tutto presunto (la gente non ha più la sveglia al collo, vede bene che questi sono pretesti), e dall’altro il taglio delle indennità produce fatalmente più corruzione».Insomma, per Magaldi il “circo” stimolato da Salvini «ci mostra degli animali politici davvero bizzarri», nessuno all’altezza della crisi nazionale. «Questa rappresentazione richiede quindi un cambio di passo drastico: la classe politica italiana è scesa davvero al punto più basso, per merito delle abili mosse di Salvini». Ispirato da chi? Incalzato dalla domanda, nella diretta web-streaming su YouTube, Magaldi rifiuta di essere esplicito: «Diciamo che Salvini sta studiando». Per Carpeoro, non ha ancora trovato il suo “burattinaio”, cioè «uno di quei “venerabilissimi maestri” dei contesti massonici neoaristocratici che amano ridurre i politici a propri burattini». Secondo Magaldi, invece, c’è un’altra possibilità: «E cioè che personaggi come Salvini, che non hanno alle spalle burattinai e che magari non vogliono averne, possano invece cercare suggestioni e ispirazioni, mettendosi a studiare per poter interpretare in modo più adeguato al servizio della collettività». Comunque, aggiunge Magaldi, possiamo stare certi che il leader della Lega non ha tentato uno strappo in modo avventato, non è rimasto isolato e non sta assolutamente cercando di salvarsi in corner. Al contrario: è proprio lui a condurre le danze. In altre parole: “C’è del metodo, in questa follia”, come avrebbe detto Shakespeare.«C’è del metodo, e il primo risultato è quello di aver messo a nudo tutte le ipocrisie degli altri attori politici e la loro disponibilità a rimangiarsi il giorno dopo quello che avevano detto il giorno prima». Quindi, ribadisce Magaldi, c’è un’ispirazione precisa. E c’è anche «un personaggio che ha ancora molto da emendare, da imparare e da perfezionare». Tuttavia Salvini «è l’unico che ha i tratti e le caratteristiche per poter essere percepito come un pericolo, da parte di chi vorrebbe proseguire in modo imperterrito sulla strada di questi anni», cioè il suicidio programmato dell’economuia italiana da parte delle lobby che dominano l’Ue. Diciamola tutta, ammette Magaldi: «Salvini ha anche bisogno anche di smarcarsi da quella ghettizzazione, sempre possibile, che lo presenta come neofascista o fiancheggiatore dei neofascisti». Ne è consapevole: «Lo si è già visto nella sua prudenza rispetto a Fratelli d’Italia e poi anche rispetto a Forza Italia: un’alleanza così, anche se vincente, a livello internazionale sarebbe facile da ghettizzare come l’arrivo di una pericolosa destra». E poi Salvini «ha bisogno di alleanze e di riferimenti politici, ideologici e programmatici che semmai ne sdoganino il lato progressista». Quello che di certo non gli serve è «un abbraccio con Berlusconi e la Meloni in stile nuovo centrodestra, un copione già visto e già bocciato dagli italiani».Quello che sta facendo il capo della Lega, capace di scuotere la politica del Belpaese, non è comunque sufficiente: Salvini è ancora troppo condizionato dalla preoccupazione del consenso. «Il problema vero è che Salvini, e chiunque altro – da destra, da sinistra, dal centro – volesse partecipare di una nuova stagione politica (dove anche la Lega mutasse pelle e diventasse qualcos’altro, magari anche di più progressista), dovrebbe anche saper mordere, oltre che abbaiare e affabulare». Anche perché «non sarà un momento tenero, quello in cui si dovrà fare un braccio di ferro adeguato con i gestori dell’austerity». La verità, sottolinea Magaldi, è che se oggi il sedicente “governo del cambiamento” è comunque costretto a subire tutte queste rappresentazioni teatrali, è perché questo governo non ha cambiato alcunché: «Finora è stato il governo del falso cambiamento. E Salvini se n’è accorto, a differenza del narcisista e miope Di Maio». Caporetto 5 Stelle: «Non c’è discussione interna, Di Maio andrebbe valutato come inadeguato. Dovrebbe quindi esserci un ricambio di classe dirigente: solo a quel punto, prima di scomparire, il Movimento 5 Stelle potrebbe ancora avere un ruolo nel futuro dell’Italia». Se gli elettori ti investono di tante speranze, non puoi fingere: devi lottare, «fino a strappare – per l’Italia e per l’Europa – una prospettiva più democratica e anche più prospera».Il problema vero dice ancora Magaldi, non sta in come si risolve questa grande rappresentazione teatrale, o meglio circense, ma sta nel fatto che – alla fine dei giochi – qualcuno si assuma la responsabilità di fare quello che va fatto. «E quello che va fatto è chiaro: un piano di 50 anni di investimenti pubblici importanti, che diano fiato all’economia privata, iniziando un braccio di ferro con l’Europa in modo soft, cioè chiedendo di stralciare questi investimenti dai parametri del deficit. Poi serve l’apertura in Europa di un tavolo per la redazione di una Costituzione politica di natura radicalmente democratica». Per Magaldi «sono queste le cose importanti da fare, insieme all’abbassamento drastico delle aliquote fiscali». Cose semplici, come l’introduzione di una moneta parallela: «Misura che serve a difendersi dalle norme stringenti di oggi. Ma se l’Italia negoziasse lo stralcio degli investimenti necessari rispetto al computo del deficit, non ci sarebbe nemmeno più bisogno di moneta parallela». In altre parole, «le cose sono davvero più semplici di quello che sembrano, se davvero ci fosse la volontà politica di farle». Per questo servono politici capaci di fare un salto di qualità. Salvini, appunto? «Io credo che oggi stia studiando l’ipotesi di diventare davvero uno statista. Poi sta a lui riuscirci (e studiare bene) oppure no».Naturalmente, la crisi fa esplodere dietrologie multiple. Per esempio c’è il possibile ruolo del supermassone reazionario Michael Ledeen, in Italia da luglio, indicato da Carpeoro come fattore rilevante per disarcionare Salvini. Per Magaldi, invece, «quello di Ledeen è un ruolo forse sopravvalutato, come quello di Renzi: anche se dovesse entrare nel nuovo ipotetico governo e dovesse ridicolizzare Zingaretti, costringendolo a subire il peso della maggioranza dei parlamentari Pd (che oggi è di rito renziano), Renzi dovrebbe comunque accontentarsi di una breve stagione». Ledeen e gli altri “avvoltoi” oligarchici come il francese Attali, mentore di Macron? «Tutte vere le osservazioni di Carpeoro, ma guarderei in modo diverso la prospettiva di fondo», spiega Magaldi. «In realtà, i gruppi reazionari neoaristocratici sono in un momento di grande difficoltà, perché anche tutti gli sforzi fatti per non andare a votare, tenendo in sella certi personaggi, in un modo o nell’altro sono destinati a fallire». E questo, scandisce Magaldi, è davvero un fatto nuovo: «C’è una coscienza popolare che sta comunque crescendo, intorno ad aspettative che oggi vengono proiettate su Salvini». Ma se il leader leghista dovesse fallire o deludere, domani queste speranze «sarebbero comunque proiettate su qualcun altro, perché esprimono un’esigenza reale», che né Renzi né Di Maio (e tantomeno Berlusconi) hanno dimostrato di saper cogliere e interpretare.Magaldi punta alla sostanza, allo sfondo: «Non darei quindi grande peso al ruolo di vecchi arnesi come il “fratello” Ledeen: un anziano signore, memore di antichi giochi spregiudicati fatti anche destando irritazione persino tra le forze dell’ordine e l’intelligence italiana. Quei giochi sono ormai finiti», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt. «Credo che questi personaggi non siano più nemmeno i veri burattinai che cercano di frenare questo nuovi scenario che si prepara». Bisogna saper leggere tra le righe: «La battaglia oggi non è nel tentare di frenare quello che il popolo italiano proietta su personaggi come Salvini. Per questo esprimo una sorta di compassione anche per tutti quelli che si agitano, cercando di combattere in termini sbagliati». E attenzione: «Non può essere efficace utilizzare ancora a lungo il Movimento 5 Stelle come un elemento che rafforzi il sistema. Ha avuto consensi perché era visto come un mezzo per realizzare alcune speranze, per quanto confuse. Se però il M5S fa un abbraccio mortale con il Pd e con altri, contro le speranze proiettate su Salvini, compie un grande suicidio collettivo». “Ciaone”, caro Di Maio. «Tanti auguri, a questo governo che dovesse nascere: sarebbe un regalo, per noi progressisti, un po’ come l’ipotesi di Mario Draghi a Palazzo Chigi». Tutti si accorgerebbero che il Re è nudo: «Che regalo, vedere finalmente Draghi tutti i giorni in televisione a difendere le sue scelte di austerity – non più remoto, ieratico e autorevole dalla poltrona della Bce, ma costretto a rispondere con la sua faccia, non più in modo sfingeo, dovendo spiegare agli italiani (come già Monti) che l’austerità è bella».Secondo Magaldi, un anno di governo con Pd, 5 Stelle e Leu all’insegna del “teniamo i conti in ordine” sarebbe la miglior cosa da auspicare, per i progressisti: «Sarebbe la distruzione definitiva della credibilità di tutti coloro che dovessero animare quel governo». Se ce la faranno, a metterlo in piedi, si voteranno al suicidio. Aiutati dai “venerabili” burattinai della supermassoneria reazionaria? Magaldi è scettico: «Sono al tramolto molti vecchi tromboni alla Ledeen, gente che appartiene a un altro mondo, personaggi che stanno anche invecchiando e morendo. Il fronte massonico delle Ur-Lodges neoaristocratiche oggi è molto meno forte di quanto non si creda». Certo, le strutture nel frattempo create fanno sì che il percorso tracciato resti in piedi, per forza d’inerzia. «E’ la legge di Saturno, per dirla in termini astrologici: la conservazione della struttura esistente. Però la legge di Saturno comporta anche l’invecchiamento e la sclerotizzazione». Di fatto, il caso-Salvini dimostra che si stanno aprendo delle crepe, «nei cascami di questo sistema di governance che riguarda l’Italia». La nuova frontiera? «Sta nell’essere molto dinamici: il nuovo orizzonte credo sia quello di chi è capace di scendere in piazza per fare delle veloci operazioni di flash-mob a favore di telecamera, con le bandiere issate, andando nei luoghi dove si radunano i rappresentanti (magari marci) del potere attuale». E questo «sia nel caso in cui tutto il quadro frani, sia che Salvini invece emerga come qualcuno che finalmente ha iniziato a collocarsi dalla parte giusta, e con la giusta ispirazione ideologica». L’importante, chiosa Magaldi, è che gli italiani non restino a guardare anche stavolta.Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono a suo favore tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».
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Bidone Gialloverde, elezioni-farsa: e ora gli oligarchi ridono
Ma non dovevano aprire il fuoco contro i padroni del rigore europeo? Quello almeno era l’impegno di Salvini, consapevole della necessità di liberarsi della camicia di forza di Bruxelles. Di Maio invece aveva spiccato un volo pindarico: avremo di tutto, aveva promesso, ma senza spiegare come, con che soldi. Frode, incapacità, destino cinico e baro? Semplice gatekeeping all’italiana? Presa per i fondelli dell’elettorato? Rivisto al ralenty, l’inglorioso tramonto gialloverde è sbrodolato di Nutella salviniana, caviale russo, vaniloquio grillino. Difficile capire chi l’abbia vinta, la gara al ribasso verso il nulla: il Salvini che a parole rivendicava la Flat Tax o il Di Maio che, aggiungendo chiacchiere a chiacchiere, elargiva il suo reddito di cittadinanza teoricamente quasi universale? Man bassa di voti, un anno fa: i leghisti al Nord, i grillini al Sud. Bifronte come Giano, il Bidone Gialloverde. Ci erano cascati, gli italiani? Eccome: l’estate scorsa, il “governo del cambiamento” volava sulle ali di un consenso mai visto, né in Italia né nel resto d’Europa.Parlavano da soli gli applausi rovesciati addosso a Salvini e Di Maio dal popolo di Genova sulle macerie del Viadotto Morandi, prima che si sapesse che i super-incassatori dei pedaggi italiani, da mungere attraverso Autostrade, non erano i Benetton ma i veri padroni di Atlantia, gli americani di BlackRock. E addio “nazionalizzazione” dannunziana dell’italica rete autostradale, infrastruttura strategica costruita grazie all’uso intelligente del debito pubblico. Poi, va da sé, “il seguito è una vergogna”, come cantava Edoardo Bennato. Il peccato originale? Il cedimento sul deficit, l’addio alla cassaforte: Paolo Savona che si defila, silurato da Mattarella per la gioia di Visco, Draghi e tutti gli altri euro-strozzini che in questi decenni hanno spolpato il Belpaese, facendolo a pezzi per svenderlo agli amici degli amici. Questo significava il “niet” della Commissione: non avrete i soldi per fare quello che avevate promesso. Reazioni: nessuna. Faremo tutto ugualmente, hanno detto (barando) i bidonisti gialloverdi, sapendo perfettamente che – da quel momento – il “governo del cambiamento” era finito, clinicamente morto.Potevano protestare, insorgere? Dovevano farlo: godevano della fiducia del paese. Un fatto che aveva del miracoloso, in sé, visto il curriculum dell’Italia. Prima l’attacco al cuore del sistema, con la Prima Repubblica messa in ginocchio per via giudiziaria di fronte alle forche caudine del Trattato di Maastricht. Poi l’avvento del finto bipolarismo tra Berlusconi e Prodi, tra le “cene eleganti” di Arcore e la presidenza della Commissione Europea, passando per la Goldman Sachs. Quindi la macelleria di Monti, l’anestesia del falso medico Renzi, il pallore dei maggiordomi Letta e Gentiloni. Un establishment esausto, ridotto a banchettare sui resti di industrie e banche largamente cedute a mani straniere, grazie a governi-fantoccio appaltati a piccoli yesman. Poi sono arrivati loro, i giustizieri. Due aziende distinte: quella grillina senza idee, ma con la fedina immacolata. L’altra, la ditta leghista, con trascorsi non esattamente esaltanti, ma rigenerata da una leadership teoricamente sovraneggiante.Da come s’erano messe le cose, in autunno, c’era da sperare che i biscazzieri gialloverdi facessero fronte comune, affondando il colpo – Davide contro Golia – in modo spettacolare, magari presentandosi uniti alle elezioni europee per spiegare che le ragioni dell’Italia non sono diverse da quelle degli altri paesi, se ci si mette dalla parte del popolo e contro l’élite abusiva, privata, che domina le istituzioni pubbliche. Ma niente da fare. I due sparring partner, il leghista e il grillino, non hanno fatto altro che allenare i muscoli dei campioni, gli oligarchi, che almeno su una cosa si erano sbagliati: per un attimo, avevano pensato che Salvini e Di Maio facessero sul serio. Poi, quando li hanno visti azzannarsi tra loro ogni giorno, hanno capito di che pasta fosse, il Bidone Gialloverde. Gli hanno rubato il portafoglio, e l’hanno passata liscia: anziché coi ladri, Salvini se l’è presa coi migranti africani e coi negozietti di cannabis light. Di Maio, al solito, l’ha superato in capacità acrobatica: prima ha lisciato il pelo ai Gilet Gialli massacrati fa Macron, poi s’è genuflesso di fronte alla socia tedesca di Macron, e infine ha contribuito in modo decisivo all’elezione di Ursula von der Leyen, candidata della Merkel alla guida della Commissione Ue.Ora il film è finito, ma l’alternativa è il vuoto. Sfidando il ridicolo, Matteo Salvini – armato di crocifisso – dopo aver azzoppato l’ex socio ora tenta di proporre se stesso come salvatore della patria, sperando che gli italiani abbiano la memoria così corta da non ricordare chi era, Salvini, un anno fa, cosa diceva, cosa prometteva e cosa non ha mai neppure lontanamente provato a fare, in questi lunghi mesi in cui, insieme all’altro sparring partner, ha perso in giro gli elettori. Crede davvero, il leghista, che fare da valletto (l’ennesimo) ai voraci squaletti del Tav gli possa valere grandiosi trionfi? Seriamente si illude che il 34% rimediato alle europee, tornata in cui ha votato solo un italiano su due, si possa trasformare in un’apoteosi, nelle elezioni anticipate che ora pretende? Matteo Renzi riuscì a cadere faccia terra dall’alto del suo 40%, e anche lui per un test elettorale non dovuto, personalmente imposto al paese. Storie sinistramente parallele, quelle dei due Matteo, nella bassa marea in cui la navicella italiana continua a languire, con le vele flosce, senza che sia in vista nessun alito di vento.La campagna elettorale prossima ventura – trita continuazione di quella in corso da mesi – vedrà i bidonisti ex gialloverdi recitare una farsa penosa e cattiva, da commedianti falliti. Ripeteranno sensazionali stupidaggini, tentando di convincere il pubblico che il problema è solo italiano – è tutta colpa di Di Maio, anzi di Salvini – come se Di Maio e Salvini avessero davvero potuto fare quello che volevano. Da loro sentiremo di tutto, tranne la verità. Il grottesco sta nel fatto che questi due signori si rivolgeranno agli italiani come se niente fosse, come se non sapessero quali poteri – nella migliore delle ipotesi – li hanno sabotati fin dall’inizio. Ma gli italiani oggi si interrogano anche sull’altra ipotesi, la peggiore: non sarà che quei poteri li hanno guidati da subito, a partire dall’esordio, prima gonfiandoli e poi sgonfiandoli, i simpatici bidonisti gialloverdi? Lega e 5 Stelle non si libereranno del marchio che ormai li squalifica: avevano impegnato l’onore dell’Italia, di fronte all’Europa, in una promessa di liberazione democratica. Se si maneggiano parole come giustizia, trasparenza e soprattutto sovranità, la gente rischia di prenderti sul serio. Quando poi scopre che era solo un bluff, ti presenta il conto. L’unica certezza, di fronte al cadavere del Bidone Gialloverde, è che la politica italiana è da ricostruire da zero. Con tanti saluti all’increscioso acrobata grillino e allo sceriffo balneare padano, travestito da poliziotto e illuminato dalla Madonna di Medjugorje.(Giorgio Cattaneo, “Bidone Gialloverde: ridono gli oligarchi ma non gli italiani, costretti a subire elezioni-farsa”, dal blog del Movimento Roosevelt del 10 agosto 2019).Ma non dovevano aprire il fuoco contro i padroni del rigore europeo? Quello almeno era l’impegno di Salvini, consapevole della necessità di liberarsi della camicia di forza di Bruxelles. Di Maio invece aveva spiccato un volo pindarico: avremo di tutto, aveva promesso, ma senza spiegare come, con che soldi. Frode, incapacità, destino cinico e baro? Semplice gatekeeping all’italiana? Presa per i fondelli dell’elettorato? Rivisto al ralenty, l’inglorioso tramonto gialloverde è sbrodolato di Nutella salviniana, caviale russo, vaniloquio grillino. Difficile capire chi l’abbia vinta, la gara al ribasso verso il nulla: il Salvini che a parole rivendicava la Flat Tax o il Di Maio che, aggiungendo chiacchiere a chiacchiere, elargiva il suo reddito di cittadinanza teoricamente quasi universale? Man bassa di voti, un anno fa: i leghisti al Nord, i grillini al Sud. Bifronte come Giano, il Bidone Gialloverde. Ci erano cascati, gli italiani? Eccome: l’estate scorsa, il “governo del cambiamento” volava sulle ali di un consenso mai visto, né in Italia né nel resto d’Europa.
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Sul Tav, suicidio gialloverde: sembra Salvini, ma è Fantozzi
L’Italia “subisce ancora”, come Fantozzi: non bastava l’umiliazione sul deficit, ora si aggiunge anche il fardello del Tav Torino-Lione, massimo emblema della malapolitica nazionale al pari del surreale Ponte sullo Stretto. Capolinea gialloverde: era l’ultima diga possibile, ed è crollata. La Grande Opera Inutile – se mai si farà, al di là delle vuote ciance spadellate in Senato dal Partito Unico dello Spreco (Lega e Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia) – sarà ricordata come il triste mausoleo dei 5 Stelle, il movimento che doveva cambiare tutto e non ha cambiato niente, tranne se stesso. Dietrofront su tutta la linea: Tap e Ilva, obbligo vaccinale, trivelle petrolifere nell’Adriatico. Restava la trincea simbolica della valle di Susa, fortemente identitaria per i pentastellati, dai tempi in cui Beppe Grillo e Dario Fo (2005, un secolo fa) giuravano che mai avrebbe trionfato il sopruso, violento e mafioso, imposto al territorio per una ferrovia-doppione completamente inutile, se non per le tasche dei pochissimi “signori dei cantieri” coinvolti nella cordata trentennale per un’infrastruttura che i francesi valuteranno solo nel 2038 per capire se sarà il caso di costruirlo davvero, quel maledetto binario morto. Ai 5 Stelle restava la possibilità di un atto finalmente dignitoso: dimettersi. Ma non l’hanno fatto. Resta in sella il loro ex alleato, Salvini. Ma fino a quando?Braccato da magistrati e Ong, fanatici pro-migranti e giornalisti a caccia di inesistenti fondi neri dalla Russia, oggi il capetto della Lega sembra il padre-padrone del Belpaese – ma ha meno voti di quanti ne avesse Renzi, prima di sparire dalla scena. Salvini non ha esitato a suicidare i 5 Stelle (e quindi l’esecutivo gialloverde) negando ai grillini la possibilità di tentare di salvare la faccia almeno di fronte ai loro elettori, con la mozione di bandiera – solo dimostrativa – contro l’affare-vergogna del Tav. Ma niente: ora il leghista inscena una resa dei conti basata sulle poltrone, con la minaccia delle elezioni anticipate. Cade il governo Conte? Sai che tragedia, per il popolo italiano. Non mosse un dito, Fantozzi-Salvini, quando Mattarella sbarrò a Paolo Savona le porte del ministero dell’economia. E Savona doveva essere il cervello dell’operazione gialloverde, che prevedeva di impiegare l’Italia come ariete per sfondare il muro infame del rigore europeo, basato sulla teologia ordoliberista dello Stato minimo, ricattato dallo spread, alla mercé degli “investitori” privati che manovrano tutto, dalle agenzie di rating ai loro burattini della Bce e della Commissione Ue. Dov’era, il guerriero Salvini? A combattere sul fronte dei porti, bloccando lo sbarco di poche decine di africani. Grande cinema: perfetto, per distrarre il pubblico dai fallimenti fantozziani del governo.Bravo, Salvini, a spedire in Parlamento due economisti-contro come Borghi e Bagnai, di fede keynesiana. Meno bravo, poi, a relegarli al ruolo di belle statuine, mentre l’indegno sostituto di Savona – Giovanni Tria – si genufletteva a Bruxelles per poi tornare a casa senza l’ok per il deficit strategico su cui contava il governo per risollevare l’economia. E dov’era, il formidabile Salvini, quando l’italico giustizialismo faceva cadere la testa di Armando Siri, solo indagato? Il sottosegretario era il regista della Flat Tax, massimo punto di forza elettorale della Lega: gambizzato e travolto, archiviato insieme alla giusta battaglia (solo verbale, a questo punto) per abbattere la pressione fiscale. Il “capitano” aveva di meglio da fare: tipo accorrere alla festa della sacra famiglia tradizionalista, agitare il rosario e baciare il crocifisso nei comizi, perseguitare i negozietti di cannabis terapeutica nel paese dove la cocacina si compra ai giardinetti e dove la droga illegale può costare la vita a un carabiniere nel centro di Roma, massacrato a coltellate. Non si è fatto mancare niente, lo sceriffo padano: vestito da poliziotto, si è spinto (come tutti gli altri, prima di lui) anche nel piccolo tunnel geognostico di Chiomonte, sette chilometri in sette anni, l’unico cantiere Tav finora aperto, ma solo come opera accessoria. Del tunnel vero, quello per il treno – 57 chilometri – non è stato scavato neppure un metro.Non ci lasciano governare, ammise tempo fa il neo-deputato grillino Pino Cabras, denunciando il ruolo del Deep State (ministeri, Quirinale, Bankitalia-Bce) nel frenare qualsiasi istanza di cambiamento. Tutto vero, purtroppo. E come hanno reagito, i nostri eroi? Sparandosi addosso l’un l’altro. Ha cominciato Di Maio, terrorizzato dal crollo elettorale dei 5 Stelle. Salvini gli ha risposto da par suo, cioè affondando i grillini proprio sull’oscena Torino-Lione. Chi ci rimette, in tutto questo? Facile: gli italiani. Governo in pieno marasma: Conte cerca di sopravvivere al naufragio smarcandosi da Di Maio, la cui sorte sembra segnata (sarà probabilmente rottamato dai proprietari del “moVimento”, Grillo e Casaleggio). Fine del “governo del cambiamento”, dunque? Anche fosse, chi se ne accorgerebbe? Cos’hanno cambiato, Lega e 5 Stelle, in un anno di chiacchiere? Oggi, gli elettori grillini sanno che Di Maio e soci hanno tradito tutte le loro promesse. Ma quanto impiegheranno, gli elettori della Lega, a capire che nella loro parrocchia la canzone è la stessa? Cosa ha fatto, capitan Salvini, per dimostrare – coi fatti, di fronte all’Ue – di non essere la reincarnazione (politica, ma altrettanto patetica) del ragionier Fantozzi?L’Italia “subisce ancora”, come Fantozzi: non bastava l’umiliazione sul deficit, ora si aggiunge anche il fardello del Tav Torino-Lione, massimo emblema della malapolitica nazionale al pari del surreale Ponte sullo Stretto. Capolinea gialloverde: era l’ultima diga possibile, ed è crollata. La Grande Opera Inutile – se mai si farà, al di là delle vuote ciance spadellate in Senato dal Partito Unico dello Spreco (Lega e Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia) – sarà ricordata come il triste mausoleo dei 5 Stelle, il movimento che doveva cambiare tutto e non ha cambiato niente, tranne se stesso. Dietrofront su tutta la linea: Tap e Ilva, obbligo vaccinale, trivelle petrolifere nell’Adriatico. Restava la trincea simbolica della valle di Susa, fortemente identitaria per i pentastellati, dai tempi in cui Beppe Grillo e Dario Fo (2005, un secolo fa) giuravano che mai avrebbe trionfato il sopruso, violento e mafioso, imposto al territorio per una ferrovia-doppione completamente inutile, se non per le tasche dei pochissimi “signori dei cantieri” coinvolti nella cordata trentennale per un’infrastruttura che i francesi valuteranno solo nel 2038 (per capire se sarà il caso di costruirlo davvero, quel maledetto binario morto). Ai 5 Stelle restava la possibilità di un atto finalmente dignitoso: dimettersi. Ma non l’hanno fatto. Resta in sella il loro ex alleato, Salvini. Fino a quando?