Archivio del Tag ‘palude’
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Magaldi: serve ben altro che il taglio (irrisorio) dei vitalizi
Non penseranno di cavarsela con la burletta dei famosi vitalizi, vero? Ben altre prove – assai più decisive, per il popolo italiano, di quei quattro spiccioli destinati agli ex parlamentari – attenderebbero Di Maio e Salvini, nel caso dessero un taglio ai minuetti e provassero a dar vita a qualcosa che assomigli ad un governo. A oltre un mese dal voto, sarebbe ora di darsi da fare: lo dice persino un compassato gentleman come Paolo Mieli, uno dei signori del mainstream italico, la tribuna vip che accolse Mario Monti come un salvatore della patria, Enrico Letta come il naturale successore e il suo “killer” Matteo Renzi come un formidabile rinnovatore, anche lui benedetto dagli stessi dèi. Ora è di scena l’ex impresentabile Di Maio: che aspetta a muoversi, onde annunciare poi a Mattarella di avere in tasca i numeri vincenti? Dopo il voto, lo stesso Mieli era tra quanti la prendevano con calma: tempo al tempo, nella speranza forse che il Pd si decidesse a dare udienza ai 5 Stelle. Ma ora l’intervallo sta scadendo. O meglio, dice Mieli, onnipresente nei talk-show: quei due hanno “spaccato” con argomenti forti, anzi fortissimi. Reddito garantito, tasse tagliate alla radice. Vogliamo cominciare a ragiornare, seriamente, per capire da che parte cominciare?Siamo nel mezzo di una torbida palude, dice un osservatore indipendente come Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt nonché fustigatore pubblico della massoneria più onnipotente, il regno misterioso delle superlogge-ombra come quelle in cui milita George Soros, che firmerà un contributo speciale nel sequel di “Massoni”, saggio di prossima uscita. Già nel primo volume, Magaldi sostiene che l’Italia sia un campo di battaglia decisivo, riguardo al futuro dell’Europa, anche per il mondo esclusivo delle Ur-Lodges: da una parte la fazione dominante, reazionaria, che ha impugnato la clava del rigore finanziario demolendo benessere e diritti, e dall’altra i progressisti, riemersi dall’ombra con Bernie Sanders alle primarie americane e con Jeremy Corbyn alla guida dei laburisti inglesi. La Francia? Dopo la grande delusione di François Hollande, sponsorizzato dalla “Fraternité Verte”, all’Eliseo è tornata una pedina dell’oligarchia destrorsa, il finto outsider Emmanuel Macron, sorretto dalla supermassoneria neo-aristocratica – che infatti annuncia tagli devastanti al welfare e storiche mutilazioni del pubblico impiego. “En Marche”, ma dalla parte opposta: quella raccomandata dall’élite cha trasformato l’Unione Europea in un bagno penale per “popoli superflui”, per usare un’espressione di Marco Della Luna.Siamo nella palude, dice Magaldi a “Color Radio”, ma non è detto che dal fango fertile non nasca qualche fiore. Purché, appunto, non si monti una gazzarra fuorviante sulla quisquilia dei vituperati vitalizi, pari a zero nel bilancio delle cose che contano davvero. Per esempio: reddito di cittadinanza e scure sulle tasse. Post-keynesiano come Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, Magaldi tiene ai suoi distinguo: non è saggio pensare a un’assistenzialismo permanente, né a una Flat Tax come quella promessa da Salvini in campagna elettorale, con l’aliquota al 15%. Ma il reddito pentastellato è qualcosa di diverso: se ben amministrato, può essere un ammortizzatore molto utile, almeno in via temporanea. Beninteso: è il lavoro, il faro della riscossa del paese. E la leva strategica sono gli investimenti pubblici, destinati alle imprese private. Non si contano le infrastrutture ormai cadenti cui mettere mano, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Idem, le tasse: passi la boutade elettorale del 15%, ma non è pensabile che si continui a taglieggiare le aziende, messe in croce da uno Stato che sa essere efficiente solo quando veste i panni di esattore. Sono argomenti forti, quelli sul tappeto. L’importante è cominciare a spacchettarli: soccorso finanziario a chi è nei guai, e riduzione netta della tassazione. Si farà sul serio? Sappiano, i vincitori del 4 marzo, che l’Europa li sta guardando – insieme agli italiani che li hanno votati.Non pensino di cavarsela con la burletta dei famosi vitalizi. Ben altre prove – assai più decisive, per il popolo italiano, di quei quattro spiccioli destinati agli ex parlamentari – attenderebbero Di Maio e Salvini, nel caso dessero un taglio ai minuetti e provassero a dar vita a qualcosa che assomigli ad un governo. A oltre un mese dal voto, sarebbe ora di darsi da fare: lo dice persino un compassato gentleman come Paolo Mieli, uno dei signori del mainstream italico, la tribuna vip che accolse Mario Monti come un salvatore della patria, Enrico Letta come il naturale successore e il suo “killer” Matteo Renzi come un formidabile rinnovatore, anche lui benedetto dagli stessi dèi. Ora è di scena l’ex impresentabile Di Maio: che aspetta a muoversi, onde annunciare poi a Mattarella di avere in tasca i numeri vincenti? Dopo il voto, lo stesso Mieli era tra quanti la prendevano con calma: tempo al tempo, nella speranza forse che il Pd si decidesse a dare udienza ai 5 Stelle. Ma ora l’intervallo sta scadendo. O meglio, dice Mieli, onnipresente nei talk-show: quei due hanno “spaccato” con argomenti forti, anzi fortissimi. Reddito garantito, tasse tagliate alla radice. Vogliamo cominciare a ragiornare, seriamente, per capire da che parte cominciare?
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Reddito e Flat Tax: Di Maio e Salvini devono imporsi all’Ue
«La mancanza di copertura che la Lega ha presentato sulla Flat Tax – avvertono ambienti di Bankitalia – non è dissimile dalla mancanza di coperture del reddito di cittadinanza dei 5 Stelle». Vista l’aria che tira, i vincitori delle elezioni riusciranno a dribblare i sommi sacerdoti dell’austerity, già all’opera da Bruxelles a Roma? Ce la faranno, Lega e 5 Stelle, a mettersi d’accordo «agendo, una volta tanto, nell’interesse dell’Italia e non dell’Unione Europea?». L’appello è rivolto a tutti – grillini e leghisti in primis – ma anche ai perdenti: cioè «la “famiglia” Soros-De Benedetti-Bonino», alias «Pd and friends», cioè «la “cosa grassa” di D’Alema», nonché «la “famiglia” Berlusconi-Lupi-Fitto», anch’essa ormai giunta all’irrilevanza. Da Vincenzo Bellisario una proposta secca, anzi due: accordo tra Salvini e Di Maio su un unico punto (cambiare la legge elettorale, mettendo il vincitore in condizioni di governare) o accordarsi per modificare i trattati europei. Obiettivo: rendere finanziabili misure come il reddito di cittadinanza e la Flat Tax. «Basta una settimana, per trovare una soluzione». Unico scenario da evitare: la palude, nella quale si sta lentamente inabissando il risultato delle urne, con gravi rischi innanzitutto per le due formazioni uscite vincitrici dal test elettorale. Il 55% degli elettori ha votato Di Maio, Salvini e Meloni per dire “no” al rigore. Esiste un modo per tradurre in pratica il mandato ricevuto, ma bisogna agire subito.Sul blog del Movimento Roosevelt, Bellisario avverte i grillini: «Avete proposto per circa 12 anni un reddito di cittadinanza, un reddito per tutti: non potete tirarvi indietro, o farlo a metà, perché la “gente normale” vi ha votato solo per quello». Dovrebbe essere il primo pensiero, per un movimento che si è dipinto “alternativo” e oggi rischia di farsi ingabbiare nei “giochetti” per la presidenza delle Camere. Il rischio? Deludere gli elettori, e quindi fare la fine della Bonino, sostenuta da George Soros, o del Pd sorretto da Carlo De Benedetti. E’ lo stesso Salvini a proporre uno spiraglio: basterebbe una settimana per votare un emendamento al Rosatellum, che introduca un premio di maggioranza per chi arriva primo. Obiettivo: tornare al voto di corsa, per offrire al paese un risultato più chiaro (e un governo coerente con il voto). Oppure, Piano-B: un accordo fondato su appena 4 punti, due indicati da Di Maio e due dalla Lega, per rendere attuabili le proposte lanciate durante la campagna elettorale. Come? Nel solo modo possibile: mettendo mano alla complessa procedura che consente la revisione dei trattati europei a partire da quello di Maastricht, che obbliga lo Stato a contenere la spesa pubblica entro il 3% del Pil. L’Ue boccerebbe il ricorso? «E allora bisogna essere pronti a togliere il disturbo: ciao, Bruxelles».Negli ultimi 26 anni, dopo Tangentopoli, l’Unione Europea ha avuto il coltello dalla parte del manico: ha imposto e ottenuto tutto quello che voleva. Come affermare le proprie ragioni in sede comunitaria? «Semplicemente – scrive Bellisario – trattiamo quelli dell’Ue come loro hanno trattato noi negli ultimi 26 anni. Ma se “se la tirano troppo”, nel giro di poche ore possiamo salutarli a colpi di decreti, avendo una maggioranza assoluta decisa a impugnare il famoso coltello dalla parte del manico». Altre soluzioni, semplicemente, non esistono: a lungo andare, la Lega appassirebbe all’ombra del Muro di Bruxelles, non potendo attuare le proprie proposte di salvataggio dell’economia basate sul taglio verticale delle tasse. Peggio ancora il Movimento 5 Stelle, che ha quasi il 33% dei voti ed è esposto da più tempo alle aspettative degli elettori, accese dal reddito di cittadinanza: guai, se non lo si potesse applicare integralmente, e in tempi rapidissimi. L’esasperazione sociale è al limite. Lo stesso Grillo, nel suo blog, scrive: «Si deve garantire a tutti lo stesso livello di partenza: un reddito, per diritto di nascita. Soltanto così la società metterà al centro l’uomo e non il mercato». Non ci provi, il Movimento 5 Stelle, a tirarsi indietro proprio adesso. Finirebbe in barzelletta: “Mamma, ho perso il reddito!”.«La mancanza di copertura che la Lega ha presentato sulla Flat Tax – avvertono ambienti di Bankitalia – non è dissimile dalla mancanza di coperture del reddito di cittadinanza dei 5 Stelle». Vista l’aria che tira, i vincitori delle elezioni riusciranno a dribblare i sommi sacerdoti dell’austerity, già all’opera da Bruxelles a Roma? Ce la faranno, Lega e 5 Stelle, a mettersi d’accordo «agendo, una volta tanto, nell’interesse dell’Italia e non dell’Unione Europea?». L’appello è rivolto a tutti – grillini e leghisti in primis – ma anche ai perdenti: cioè «la “famiglia” Soros-De Benedetti-Bonino», alias «Pd and friends», cioè «la “cosa grassa” di D’Alema», nonché «la “famiglia” Berlusconi-Lupi-Fitto», anch’essa ormai giunta all’irrilevanza. Da Vincenzo Bellisario una proposta secca, anzi due: accordo tra Salvini e Di Maio su un unico punto (cambiare la legge elettorale, mettendo il vincitore in condizioni di governare) o accordarsi per aggirare dichiaratamente i trattati europei. Obiettivo: rendere finanziabili misure come il reddito di cittadinanza e la Flat Tax. «Basta una settimana, per trovare una soluzione». Unico scenario da evitare: la palude, nella quale si sta lentamente inabissando il risultato delle urne, con gravi rischi innanzitutto per le due formazioni uscite vincitrici dal test elettorale. Il 55% degli elettori ha votato Di Maio, Salvini e Meloni per dire “no” al rigore. Esiste un modo per tradurre in pratica il mandato ricevuto, ma bisogna agire subito.
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Magaldi: a casa, con Renzi, tutti i dirigenti dell’ipocrita Pd
E dire che l’aveva avvertito: Matteo, cambia politica o vai a sbattere. Oggi, a previsione regolarmente avveratasi, Gioele Magaldi rilancia: se Renzi va a casa, dopo essersi sottomesso ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, dovrebbe dimettersi l’intero gruppo dirigente del Pd. Non si salva nessuno, hanno tutti tradito qualsiasi idea di giustizia sociale: «Il sedicente centrosinistra italiano egemonizzato dal Pd ha rinnegato l’anima stessa del socialismo liberale keynesiano, calpestata dall’ordoliberismo dell’Ue, il brutale mercantilismo degli opposti nazionalismi competitivi su cui si fonda la Disunione Europea». Con buona pace dei recenti deliri di Emma Bonino, giustamente punita – insieme a Renzi – dagli elettori italiani, stanchi della finzione falso-europeista del rigore “teologico” imposto come dogma. E a proposito: c’è da sperare che Luigi Di Maio e Matteo Salvini, «vincitori relativi» del 4 marzo, non deludano chi li ha appena votati. Guai se dimenticano che l’Italia non può continuare a stare in Europa in questo modo, subendo qualsiasi decisione «presa a tavolino da Macron, dalla Merkel e dai loro satelliti nord-europei». Deve rialzarsi in piedi, l’Italia, e dire la sua per mettere fine a questa pseudo-Europa antidemocratica, «concepita come il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, con i tecnocrati al posto dei vassalli feudali».Le elezioni? Tutto come previsto: il grande sconfitto è Renzi, che ha solo finto di alzare la voce con l’Ue. L’altro perdente annunciato è Berlusconi, «quindi esce sconfitto quell’auspucio, caldeggiato anche da ambienti sovranazionali, che è stato uno dei moventi di questa legge elettorale». Sipario sul “Renzusconi”, cioè sulle larghe intese «convergenti verso questa melassa centrista infeconda che ha caratterizzato anche le passate legislature, da Monti in poi: esecutivi che hanno fatto tutti lo stesso mestiere, a quanto pare inviso agli italiani, che questa volta hanno dato una bella bastonata a questa prospettiva». Così Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio” il giorno dopo il voto. Una tornata ricca di conferme: «Come immaginato, nessuno ha vinto davvero: grandi exploit da Salvini e dai 5 Stelle, ma nessuno di loro ha i numeri per governare da solo». Terza previsione azzeccata: «Nulla sarà più come prima», ma siamo piombati in una palude: «E le paludi sono feconde, come il concime». Mattarella darà la precedenza al centrodestra, la coalizione meglio piazzata, o ai 5 Stelle primo partito? Un’alleanza tra grillini e Pd de-renzizzato «sarebbe un abbraccio singolare, dopo che il Pd ha demonizzato i 5 Stelle come fossero gli Unni». Eppure, «questa alleanza potrebbe vedere il favore di Mattarella, ed è quella verso cui si è mosso Di Maio». Per contro, escludere i 5 Stelle, cioè i più votati in assoluto, «sarebbe una beffa: impensabile, ai tempi della Prima Repubblica».Per Magaldi «cambieranno molte cose di giorno in giorno: ciò che oggi appare improbabile potrebbe mutare prospettiva, oltre questo scenario così ostico». Emergeranno soluzioni «difficili da concepire con gli schemi di prima del voto». Alla fine, «sulle difficoltà politiche prevarranno le possibilità numeriche». Molto dipenderà dal presidente della Repubblica: nel 2013, Napolitano dette a Bersani solo un incarico esplorativo ufficioso. «Constatando l’eccezionalità della situazione», aggiunge Magaldi, «anziché lasciare tutto all’interno nel Palazzo», il Quirinale potrebbe passare la palla al Parlamento, «per vedere chi ci sta, sulla base di un programma, a formare un governo». Certo, la “palude” è infida. Ma almeno, il voto ha stabilito una tendenza: ha reso chiaro «quello che gli italiani non vogliono». Ovvero: «C’è il desiderio di affrancarsi da un corso politico: direi che l’ingloriosa storia della Seconda Repubblica finisce qui». C’è da rivalutare semmai la tanto vilipesa Prima Repubblica, «in cui un paese in ginocchio dopo la guerra, dopo la sconfitta della barbarie nazifascista, in pochi decenni era diventato una grande potenza industriale». Ma c’era un paradigma vigente – la spesa pubblica strategica, chiave del successo storico del “made in Italy”: paradigma abbattuto dal ‘92 in poi. «E questi signori, che sono venuti a raccontarci le “magnifiche sorti e progressive” che con la Seconda Repubblica si sarebbero avverate in Italia e in Europa, oggi escono di scena», sintetizza Magaldi. «Compaiono altri attori, dalle prospettive incerte».Un voto “utile”, comunque, a ramazzare via gli orpelli polverosi. Come “Liberi e Uguali”, che Magaldi definisce «una follia pianificata». E spiega: «Solo l’immaginazione malsana e l’assenza di senso della realtà e lungimiranza di Bersani e D’Alema, Civati e Speranza, poteva immaginare che Grasso potesse essere il portavoce carismatico e ricco di appeal per un elettorato di sinistra critico verso il Pd». Se in Grasso e Bersani prevale l’ipocrisia, nel dirsi “di sinistra” sottoscrivendo il protocollo dell’euro-austerity, in Emma Bonino versione 2018 ha invece stravinto il delirio: «Sconcertante, la Bonino, nel venirci a proporre “più Europa”. Un messaggio thatcheriano: lo statista come il buon padre di famiglia che deve preoccuparsi di ripagare i debiti, come se il debito pubblico fosse il debito privato, che va ripagato perché c’è la cambiale che scade». In una macroeconomia, cioè in un sistema economico complesso, il debito pubblico – insieme all’inflazione, agli investimenti a deficit – è uno dei fattori da maneggiare con oculatezza, «sapendo che uno Stato con sovranità monetaria gestisce le cose non come una famiglia privata (che non può stampare i soldi in cantina): uno Stato più fare deficit per aumentare il Pil e diminuire così, anziché coi tagli alla sanità, il rapporto malsano tra debito e Pil».Da Emma Bonino abbiamo sentito assurdità mostruose: bloccare la spesa pubblica per i prossimi due anni, alzare l’Iva. «Questo è un paese martoriato dalle tasse, dove i consumi sono crollati e c’è l’esigenza di far circolare moneta e tenere più bassa la pressione fiscale», puntualizza Magaldi. «Soltanto dei pazzi potrebbero pensare di tagliare ancora la spesa e aumentare ulteriormente le tasse». E in campagna elettorale questo delirio ha avuto libero corso, «complice anche un linguaggio mediatico alterato». Già, infatti: «A che livello è scesa la comunicazione giornalistica, in Italia? Rappresenta le cose per come non sono. E’ lo stesso giornalismo che aveva fatto credere a Mario Monti di avere un consenso maggioritario nel paese, nel 2013, quando i giornaloni titolavano che finalmente l’Italia eta governata da illuminati professori. Monti e la Fornero ci sono stati proposti come sacerdoti del “vero” economico, per settimane, da quell’altro bel tomo di Giovanni Floris». Oltre al vecchio ceto politico, insiste Magaldi, «dovremmo rottamare un ceto mediatico corporativo, con giornalisti che si intervistano a vicenda, elevando la figura del giornalista a grande intellettuale e politologo – ma spesso è gente che non conosce nemmeno i rudimenti della storia patria, non parliamo dell’economia internazionale».Altra mistificazione: gli apostoli della Costituzione “più bella del mondo” che si professano nemici della massoneria – Di Maio in primis – dimenticando il massone conclamato Meuccio Ruini, presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigerne il testo (e il capo di gabinetto di Ruini era il grande economista Federico Caffè, insigne keynesiano). «Se vuole governare l’Italia – dichiara Magaldi – Di Maio dovrà affrancarsi dalle proprie fobie e immaturità illiberali e anticostituzionali. Nella lista di possibili ministri che ha presentato ci si richiama a John Maynard Keynes, altro notorio massone al pari di Franklin Delano Roosevelt: colonne portanti del mondo post-bellico, cioè di ciò che ha consentito il ritorno della libertà in Europa e nel mondo. Quindi merita riconoscenza quella corrente maggioritaria di massoneria che ha prima costruito e poi difeso le società aperte, liberali, parlamentarizzate e democratiche». Sono verità storiche che per Magaldi vanno finalmente acquisite, se si vuole fronteggiare davvero questa Disunione Europea «in cui vige il mercantilismo più spudorato da parte della Germania».Mercantilismo: dottrina econonica (superata dal libero mercato) secondo cui la ricchezza della nazione sta nel surplus di esportazioni. «La Germania ha violato anche i pessimi trattati vigenti, che pur essendo pessimi non consentirebbero il mercantilismo», insiste Magaldi. «Siamo al di là del pessimo: abbiamo una costruzione europea non democratica, nata dalla Dichiarazione Schuman scritta dall’ex progressista Jean Monnet convertito all’idea economicistica dell’Europa, sulle idee di Kalergi, ideatore di una costruzione quasi neo-feudale dell’Europa», a imitazione del feudalesimo carolingio. E’ un’Europa pericolosa, «fondata su un’idea di sfiducia verso la democrazia e verso la politica». Orrore: «O il potere spetta al popolo sovrano, oppure spetta a sedicenti illuminati – poco importa che utilizzino strumenti finanziari, diplomatici, militari, religiosi o mediatici. O il popolo è sovrano, o è sovrano qualcun altro», aggiunge Magaldi. «Dovremmo avere un Parlamento Europeo che rappresenta il popolo sovrano, con una potestà legislativa piena, con facoltà di fiduciare o sfiduciare un esecutivio europeo reale, al posto di questa barzotta Commissione Europea. Juncker e Tajani? Figure stucchevoli, a cui non lascerei gestire neppure un condominio, e invece sono ai vertici. Dovremmo avere un dipartimento del Tesoro e buoni del Tesoro europei che taglino alla radice qualunque cataclisma da spread, vero o presunto». Di Maio e Salvini presentati come antieuropeisti? Errore: «I veri antieuropeisti sono quelli che oggi infestano le cancellerie europee e gli organi tecnocratici di questa Unione Europea». Ma i neo-vincitori sapranno cambiare passo, verso Bruxelles?«Non vorrei che le istanze euro-critiche del Movimento 5 Stelle si andassero appannando, nel percorso politico che si avvia con queste consultazioni», dice Magaldi. «Mi piacerebbe che tutti gli schieramenti in Parlamento avessero un nuovo modo di guardare all’Europa». C’è anche un problema di legittima rappresentanza delle istanze nazionali: «L’Italia è un grande contraente dell’Ue e dell’Eurozona, eppure ha visto sfumare anche un riconoscimento simbolico come l’attribuzione dell’Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco. E’ finita in farsa, l’Italia è stata defraudata anche di questa piccola cosa. E il peggio è che si è vista la latitanza delle istituzioni italiane nel far valere le ragioni del nostro paese». Disunione Europea, appunto: «Un equilibrio di cancellerie, che perseguono scopi nazionali mascherati da un’impalcatura burocratica. Spero che tutti – non solo i vincitori relativi di queste elezioni – ripensino il modo in cui l’Italia deve stare in Europa». L’Italia? «Deve essere più autorevole: non lo è stata affatto quando è venuto il tecnocrate Mario Monti, inviato direttamente dai salotti buoni europei. L’elemento più sublime della sua narrazione era che dovessimo fare quel che ci diceva “l’Europa”, perché l’avevamo interiorizzato. Uno scenario da Grande Fratello orwelliano: abdicare al proprio libero pensiero critico e fare qualcosa che viene imposto da altri, perché eseguire senza discutere è cosa buona e giusta».Nei fatti, alla “teologia” dell’Ue si è sottomesso anche Renzi, che ora trasforma in farsa le sue dimissioni, dopo aver corso a capofitto verso la disfatta. «Sarebbe passato quasi per eroe – dice Magaldi – se solo avesse avuto il coraggio di inserire nel fatale referendum almeno il pareggio di bilancio in Costuzione, lasciando esprimere gli italiani». L’obbligo costituzionale del bilancio in pareggio, afferma Magaldi, «riporta il sedicente centrosinistra egemonizzato dal Pd alla destra storica di Quintino Sella, che conseguì il pareggio di bilancio nella seconda metà dell’800, quando al governo c’era il liberismo storico più bieco e spietato, che mandava Bava Beccaris a massacrare contadini, operai e povera gente che manifestava contro la tassa sul macinato e per le condizioni sociali allora davvero inique». Attenzione: su un tema come il pareggio di bilancio, di importanza capitale per la vita di tutti, non c’è stato uno straccio di dibattito mediatico: «Questo è un paese che parla a reti unificate solo di questioni irrisorie, mentre quando si votata il pareggio di bilancio gli eletti in Parlamento hanno agito come soldatini obbedienti, senza nessuna eccezione». Dov’era, il Pd? In aula, a votare: uso obbedir tacendo. «Via Renzi, il nuovo che avanza sarebbe Gentiloni, che ha fatto un governo renziano in linea con quelli di Monti e Letta? E gli altri che stanno nel Pd? Quando mai hanno levato la loro voce per proporre una traiettoria diversa? Sono tutti responsabili di questa bastosta. E’ una classe politica, quella del Pd, che deve andare a casa».Vale anche per l’Europa, aggiunge Magaldi: il Pd sta nell’alleanza dei socialisti democratici, e in tutta Europa «i socialisti sono chiaramente in regressione perché non hanno nessuna proposta socialista». Magaldi si definisce liberalsocialista: «L’elemento socialista ci deve essere: è la capacità di costruire un contesto di giustizia e mobilità sociale, in cui lo Stato abbia un ruolo dinamico e complementare a quello del libero mercato (e dove ci sia davvero libero mercato, senza monopoli, oligopoli e conflitti d’interesse)». Tutto ciò è mancato: poi qualcuno si lamenta se “la sinistra” è in estinzione. «E poi c’è il grande rimosso: John Maynard Keynes. Oggi, in tanti dicono che vogliono riscoprirlo: li aspettiamo al varco». L’eventuale Pd post-renziano? Può avere un senso solo a una condizione: che si dimetta, insieme a Renzi, chiunque abbia avuto un ruolo dirigente. «E se si deve eleggere un nuovo segretario, lo si faccia con un dibattito corale e democratico molto ampio, molto lungo e molto doloroso», perché la sincerità è una medicina amara. Sempre che ne valga la pena, di salvare il Pd: i tempi stanno cambiando velocemente. E Magaldi (promotore dell’ipotesi Pdp, Partito Democratico Progressista) è fra quanti pensano che forse sia il caso di «costruire qualcosa di nuovo, da offrire a un paese vistosamente lacerato».E dire che l’aveva avvertito: Matteo, cambia politica o vai a sbattere. Oggi, a previsione regolarmente avveratasi, Gioele Magaldi rilancia: se Renzi va a casa, dopo essersi sottomesso ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, dovrebbe dimettersi l’intero gruppo dirigente del Pd. Non si salva nessuno, hanno tutti tradito qualsiasi idea di giustizia sociale. Il pareggio di bilancio? Lo fece Quintino Sella, all’epoca in cui la destra mandava Bava Beccaris a sparare sulla folla. «Il sedicente centrosinistra italiano egemonizzato dal Pd ha rinnegato l’anima stessa del socialismo liberale keynesiano, calpestata dall’ordoliberismo dell’Ue, il brutale mercantilismo degli opposti nazionalismi competitivi su cui si fonda la Disunione Europea». Con buona pace dei recenti deliri di Emma Bonino, giustamente punita – insieme a Renzi – dagli elettori italiani, stanchi della finzione falso-europeista del rigore “teologico” imposto come dogma. E a proposito: c’è da sperare che Luigi Di Maio e Matteo Salvini, «vincitori relativi» del 4 marzo, non deludano chi li ha appena votati. Guai se dimenticano che l’Italia non può continuare a stare in Europa in questo modo, subendo qualsiasi decisione «presa a tavolino da Macron, dalla Merkel e dai loro satelliti nord-europei». Deve rialzarsi in piedi, l’Italia, e dire la sua per mettere fine a questa pseudo-Europa antidemocratica, «concepita come il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, con i tecnocrati al posto dei vassalli feudali».
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Magaldi: potessimo “votare” per Olof Palme, cioè per l’Italia
Votare per Olof Palme, il 4 marzo? Un sogno impossibile: il leader svedese è stato assassinato 32 anni fa, mentre era primo ministro, alla vigilia della sua probabile elezione all’Onu come segretario generale. Se fosse ancora qui, probabilmente, gli italiani avrebbero ben altri candidati da scegliere, alle elezioni. E tra Bruxelles, Berlino e Francoforte siederebbe tutt’altro genere di politici e tecnocrati. Per questo, idealmente, Gioele Magaldi “vota” per Palme, cui il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno in primavera, a Milano: «Il leader socialdemocratico svedese era probabilmente il più grande ostacolo alla costruzione di questa Europa matrigna, tecnocratica, economicistica e antidemocratica, che ha condannato l’Italia a 25 anni di declino». Lo conferma il triste spettacolo dell’offerta elettorale, con programmi-burla e nomi più che grigi, da Tajani a Gentiloni, già pronti per il probabilissimo inciucio che ci attende. Di Maio? Idem: «Invece di avanzare un’alternativa politica rispetto all’andazzo degli ultimi anni, la squadra di ministri tecnici che ha presentato sembra davvero il governo Monti senza Monti: la montagna ha partorito il topolino, per usare un’espressione di “Dagospia”».Non lasciatevi ingannare dalle apparenze: quello che ci aspetta è solo «una grande palude», sostiene Magaldi, a colloquio con David Gramiccioli di “Colors Radio”. «Nel mondo che Berlusconi auspicherebbe, cioè con una centralità di Forza Italia dopo il voto del 4 marzo», il presidente del Parlamento Europeo «sarebbe la carta perfetta, perché gli consentirebbe di avere un suo uomo gradito ai salotti e agli organi istituzionali europei». In fondo, Antonio Tajani «è il Gentiloni del centrodestra: non dà troppo disturbo e sarebbe perfetto per non suscitare particolari avversioni da parte di nessuno. E’ percepito come un moderato, senza infamia né lode. Ma per vederlo a Palazzo Chigi dovrebbe vincere il centrodestra, con Forza Italia in vantaggio sulla Lega: condizioni non facilissime da realizzarsi». Di fatto, «Tajani è un candidato ecumenico che può piacere a tanti, come si fa finta che possa piacere Gentiloni». Ma in realtà, dichiara Magaldi, «sono personalità diafane, prive di un reale spessore, non in grado di imprimere una qualche direzione: sono terminali di chi sta loro dietro: lo è stato Gentiloni in rapporto a Renzi, anche se adesso Gentiloni sembra vivere di vita propria».In più, Tajani è ritenuto un valido “maggiordomo”, adatto a difendere il Cavaliere da eventuali colpi provenienti da Bruxelles: «Berlusconi è traumatizzato da quello che accadde nel 2011, cioè dall’intervento di poteri massonici molto forti, che a suo tempo lo hanno defenestrato con le buone e con le cattive». E’ ancora traumatizzato, l’uomo di Arcore, «dalla delegittimazione che poteri forti e fortissimi gli hanno imposto». Secondo Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela il ruolo della supermassoneria sovranazionale nel massimo potere mondiale, «oligarchie massoniche internazionali stanno valutando la possibilità di completare questa rilegittimazione di Berlusconi nel quadro di un governo di neo-solidarietà nazionale. A questo – aggiunge – sono funzionali anche le vicende di violenza politica, gli accenni di scontri tra neofascisti e antifascisti squadristici, che ci ricordano gli anni di piombo». C’è un clima strano, avverte Magaldi: da un lato si sostiene che bisogna «accompagnare la presunta crescita che sarebbe iniziata (ma che non c’è)», e dall’altro, sotto sotto, Pd e Forza Italia si strizzano l’occhio accampando «ragioni di argine rispetto al populismo, che – dicono – potrebbe diventare feroce, sfociando in violenza aperta».Anche per questo, da tempo, lo stesso Berlusconi «cerca di riconquistare una qualche forma di credibilità, o di addirittura di avallare l’idea che sia meglio lui, in fondo, di quei “guastafeste teppistoidi” del Movimento 5 Stelle, che sono i nuovi “barbari” nella neo-narrazione berlusconiana». In realtà non ci sono barbari, sottolinea Magaldi, e Tajani «sta solo facendo il suo compitino». Purtroppo i politici italiani sono talmente ininfluenti che non sono stati capaci nemmeno di assicurare a Milano la briciola dell’Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco: «E’ un’Italia che pesa pochissimo, eppure ha in Tajani un alto rappresentante in sede europea: se non è in grado di fare granché per l’Italia lì, figuriamoci da primo ministro». Ma niente paura: «Non credo che ci saranno le condizioni per cui Tajani possa ricevere l’incarico da Mattarella, né credo che l’incarico sarà offerto a Di Maio». Delusione 5 Stelle: «E’ indice di trasparenza la decisione di presentare in anticipo la lista di ministri in pectore, ma perché reclutare solo tecnici? Professori, magistrati e militari dovrebbero fare il loro mestiere, non i ministri. Non c’era personale politico adeguato? Che la società civile sia meglio della società politica è un’idea antidemocratica, sdoganata da Berlusconi».Per Magaldi, il destino che ci attende è ancora una volta quello delle larghe intese: «Una prospettiva esiziale, per il popolo italiano. Non abbiamo bisogno di ulteriori governicchi come quelli di Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, che hanno semplicemente accompagnato la decadenza dell’Italia in nome di presunti obiettivi superiori, guidati dalla mano autorevole degli “illuminati” reggitori di quest’Europa matrigna». Liste elettorali alla mano, «tutto dovrebbe continuare come prima». Cioè malissimo, per l’Italia. «Da qualche decennio c’è chi lavora in modo verminoso, proprio come vermi che rosicchino dall’interno, per rendere le istituzioni democratiche imbelli e anche poco gradite ai cittadini», ribadisce Magaldi. «Tutti capiscono che queste istituzioni ripiegate su se stesse sono in realtà un’élite reazionaria, che ci ha proiettato in un incubo post-democratico. Il modello Palme? Serve anche per arginare questo tumore». Il Movimento Roosevelt ha dato il suo “endorsement” a pochi, selezionati candidati: come Pino Cabras a Paolo Margari (5 Stelle), Simone Orlandini (Lega), Felice Besostri e Chiara Mariotti (“Liberi e Uguali”). «Poi ci sono altri candidati a noi vicini: una volta in Parlamento – dice Magaldi – vigileranno per impedire manovre antidemocratiche». Indicazioni generali di voto, tranne che per i candidati “amici”? «Scheda bianca o nulla, oppure astensionismo». Sperando di poter, domani, “votare” per Olof Palme.Votare per Olof Palme, il 4 marzo? Un sogno impossibile: il leader svedese è stato assassinato 32 anni fa, mentre era primo ministro, alla vigilia della sua probabile elezione all’Onu come segretario generale. Se fosse ancora qui, probabilmente, gli italiani avrebbero ben altri candidati da scegliere, alle elezioni. E tra Bruxelles, Berlino e Francoforte siederebbe tutt’altro genere di politici e tecnocrati. Per questo, idealmente, Gioele Magaldi “vota” per Palme, cui il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno in primavera, a Milano: «Il leader socialdemocratico svedese era probabilmente il più grande ostacolo alla costruzione di questa Europa matrigna, tecnocratica, economicistica e antidemocratica, che ha condannato l’Italia a 25 anni di declino». Lo conferma il triste spettacolo dell’offerta elettorale, con programmi-burla e nomi più che grigi, da Tajani a Gentiloni, già pronti per il probabilissimo inciucio che ci attende. Di Maio? Idem: «Invece di avanzare un’alternativa politica rispetto all’andazzo degli ultimi anni, la squadra di ministri tecnici che ha presentato sembra davvero il governo Monti senza Monti: la montagna ha partorito il topolino, per usare un’espressione di “Dagospia”».
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Magaldi: come liberarci degli ipocriti che faranno l’inciucio
Per favore, basta ipocrisie: tutti giurano che non stringeranno alleanze e invece sono già pronti a farle, ben sapendo che nessuno vincerà. La soluzione? Un taglio netto alla palude della Seconda Repubblica, vassalla dei super-poteri neoliberisti di Bruxelles. Primo passo, il ritorno al sistema proporzionale puro: obiettivo, piena rappresentatività del Parlamento. Seconda mossa: presidente della Repubblica non più eletto dai partiti, ma direttamente dagli italiani. E’ il piano sul quale Gioele Magaldi (Movimento Roosevelt) intende impegnarsi per il dopo-elezioni, già contando sull’esito deludente della consultazione del 4 marzo, anticipato da una campagna elettorale imbarazzante in cui si alternano promesse “impossibili” e “liste della vergogna”, con candidati che vengono additati come semi-delinquenti. «No alle liste di proscrizione, innanzitutto: non esistono gli “impresentabili”, è la legge a stabilire chi può concorrere alle elezioni, e dopodiché decidono gli elettori chi è “presentabile” e chi no, votandolo o meno», dichiara Magaldi a “Colors Radio”. «Finiamola, con questo clima da caccia alle streghe, che ammorba la politica dopo aver travolto il mondo dello spettacolo, mettendo alla berlina e rovinando chiunque sia stato anche solo sospettato di abusi sessuali, magari riferiti a trent’anni fa».
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Elezioni irrilevanti: dopo, avremo il solito Governo dei Proci
Prepariamoci: non cambierà niente, in Italia, dopo le elezioni. L’ultima volta s’è votato nell’ormai remoto 2013. Un match concluso con la “non vittoria” di Bersani, la flessione del Cavaliere (bombardato dalla filiera mediatica Nato-Ue) e la squillante ma pletorica affermazione dei 5 Stelle. Risultato: governicchi di compromesso (da Letta a Gentiloni) intervallati dalla meteora Renzi, il finto rivoluzionario rottamatore, ben attento a non disturbare il vero manovratore finanziario, atlantico, europeo. Ora siamo alla parità perfetta di tre blocchi elettorali, ma sempre in assenza in proposta politica: nessuno si candida a sbloccare la situazione di crisi, innanzitutto economica e democratica. «Dato che abbiamo tre poli politici – Pd, M5S, Centrodestra – ciascuno vicino al 30%, consegue che, probabilmente, col sistema elettorale attuale (e non vi è impegno di mutarlo), frutto del lavoro della Corte Costituzionale su leggi elettorali incostituzionali, dopo le imminenti elezioni politiche semplicemente non ci potrà essere una maggioranza uscita dalle urne, un governo che sia espressione democratica», scrive l’avvocato e saggista Marco Della Luna, che teme l’avvento del “governo dei Proci”, i saccheggiatori di Itaca.«Un governo dovrà però esser formato in ogni caso, perché lo esigono i “mercati”(=lobby bancaria) come condizione per continuare a comperare i buoni del Tesoro», scrive Della Luna sul suo blog. Quindi, aggiunge, questo nuovo governo post-elettorale «lo si formerà grazie all’intervento dei soliti “responsabili” – forse mediante un’alleanza tra Berlusconi e Pd (=lobby bancaria), col sostegno di Mattarella, dell’“Europa” (=lobby bancaria), dell’Eurogruppo (=lobby bancaria), del Fmi (=lobby bancaria)». Morale: «E’ il trionfo dei Proci, che saccheggiano Itaca e il palazzo di Odisseo approfittando della sua assenza e tramando affinché non tornasse più sul trono». Tradotto: sarebbe «la cuccagna della partitocrazia italiana, di questi partiti consistenti in coalizioni di comitati di affari per il saccheggio delle risorse pubbliche». Mano libera, ai “Proci”, grazie a «due leggi elettorali incostituzionali di fila», nonché «un Parlamento eletto incostituzionalmente». Fattori che «garantiscono che il popolo non possa scegliere chi governa». E così, «la partitocrazia si ritrova in una situazione che neutralizza gli elettori e lascia pertanto le segreterie partitocratiche (=coordinamenti dei comitati di affari) padrone di negoziare tra loro stesse le più opportune e redditizie lottizzazioni».Tutto questo, aggiunge Della Luna, avverrà «sopra la testa della gente, creando governi servili agli interessi non-italiani dominanti in Europa e in generale in Occidente». Interessi, dice, a cui la palude italiana «continuerà ad appoggiarsi», per ottenere «sostegno e legittimazione», aspetti necessari a «portare avanti le sue pratiche ladresche e di svendita degli interessi nazionali». Se Della Luna non usa toni diplomatici, è difficile non convenire sulla serietà dei rischi che paventa: la Germania è alle prese con i primi incubi (il malessere incarnato da Afd per un’economia asimmetrica, votata all’export e basata sulla compressione di salari e consumi) ma per ora continua a dormire tra due guanciali, la Cdu e l’Spd, così come la Francia che – dopo il sedativo Hollande, strattonato dal super-potere oligarchico – ha scelto direttamente l’originale: Macron è un prodotto fabbricato in vitro e orgogliosamente rivendicato come tale dal suo padrino Jacques Attali, eminente supermassone reazionario, tra i massimi guru ispiratori dell’architettura neo-artistocratica, antipopolare e antidemocratica chiamata Unione Europea. E in questa situazione, con l’economia appesa ai diktat della Bce e della Bundesbank, l’Italia schiera Di Maio e Berlusconi, Salvini e Renzi, Bersani e D’Alema. Chi di loro arriverà a Palazzo Chigi? Non importa, è del tutto indifferente, sostiene Della Luna: per l’Italia non cambierà niente.Prepariamoci: non cambierà niente, in Italia, dopo le elezioni. L’ultima volta s’è votato nell’ormai remoto 2013. Un match concluso con la “non vittoria” di Bersani, la flessione del Cavaliere (bombardato dalla filiera mediatica Nato-Ue) e la squillante ma pletorica affermazione dei 5 Stelle. Risultato: governicchi di compromesso (da Letta a Gentiloni) intervallati dalla meteora Renzi, il finto rivoluzionario rottamatore, ben attento a non disturbare il vero manovratore finanziario, atlantico, europeo. Ora siamo alla parità perfetta di tre blocchi elettorali, ma sempre in assenza in proposta politica: nessuno si candida a sbloccare la situazione di crisi, innanzitutto economica e democratica. «Dato che abbiamo tre poli politici – Pd, M5S, Centrodestra – ciascuno vicino al 30%, consegue che, probabilmente, col sistema elettorale attuale (e non vi è impegno di mutarlo), frutto del lavoro della Corte Costituzionale su leggi elettorali incostituzionali, dopo le imminenti elezioni politiche semplicemente non ci potrà essere una maggioranza uscita dalle urne, un governo che sia espressione democratica», scrive l’avvocato e saggista Marco Della Luna, che teme l’avvento del “governo dei Proci”, i saccheggiatori di Itaca.
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Sogni d’oro, Italia: il superpotere Ue festeggia il Rosatellum
Aveva ben presente, l’allora giovane rottamatore Renzi, quale fosse il cuore del problema: metter fine alla sciatteria di una farsa, recitata da partiti impresentabili. Un acquario virtuale, dentro cui c’erano mille sigle ma mancava la bandiera fondamentale, quella dell’Italia: il calpestato popolo italiano, non più sovrano né decentemente rappresentato nelle sue istanze fondamentali. Solo che il Matteo ne ha organizzata un’altra, di farsa – la sua – limitandosi a fingere di rottamare un sistema ingessato, perfettamente funzionale alla grande oligarchia affaristica internazionale, con i suoi terminali nella piccola oligarchia nazionale. E’ stato ferocemente boicottato, Renzi, e poi si è auto-affondato con un referendum sbilenco. Ma intanto gli era già caduta la maschera: il suo dirompente potenziale comunicativo l’aveva sprecato scagliandolo appositamente fuori bersaglio, contro ipotetici mulini a vento (le “auto blu” grillesche, la “casta”, gli “sprechi”), sparacchiando a casaccio contro l’antropologia partitocratica, per poi affrettarsi a svendere gioielli di famiglia (Poste Italiane) mettendosi in coda: ecco, sono io il nuovo feudatario, è con me che dovete parlare per continuare il grande saccheggio. “Sburocratizzare”, è stata la sua parola d’ordine, perfettamente adatta a evitare di sfiorare l’unica vera burocrazia nefasta, quella di Buxelles, da cui l’Italia è intrappolata.Oggi si indignano, i dinosauri dell’Ulivo, di fronte allo spettacolo dell’ultima legge elettorale imposta con la forza, manu militari, arrivando a rimpiangere il Berlusconi del Porcellum, avversato con autentico odio per vent’anni, salvo poi spalancare le porte a Mario Monti, al pareggio di bilancio, al Fiscal Compact, alla legge Fornero sulle pensioni. Non una parola di autocritica dalla sfinge Prodi – demolitore dell’Iri, fanatico supporter dell’euro e del Trattato di Maastricht, presidente della Commissione Europea, super-privatizzatore, advisor europeo di Goldman Sachs. Contro Renzi si agita D’Alema, che vantò il record europeo delle privatizzazioni all’epoca in cui aveva trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank. E sul già famerigerato Rosatellum si abbattono i fulmini dei grillini, ben decisi anche loro – esattamente come Renzi – a non sfiorare nemmeno lo zerbino di Bruxelles, astenendosi da qualsiasi proposta per contrastare la super-oligarchia Ue-Nato, i diktat di Juncker e Merkel, le sanzioni alla Russia, l’infame euro-sistema, le regole intoccabili dell’austerity. Inservibili, anche loro: buoni solo a drenare rabbia, illudendo un elettore su tre di poter votare per il meno peggio. Alla freschezza spontanea di una base di militanti e attivisti è stato imposto un regime di caserma, con ordini impartiti dall’alto ed eseguiti a comando da figure debolissime, come l’avatar Di Maio.Piangono un po’ tutti, per la nuova super-schifezza elettorale, perché sanno di dover recitare – per un riflesso di decenza – almeno l’avanspettacolo del pianto. Ma sono ben contenti di aver rinnovato l’abbonamento a vita alla palude, l’acquitrino dove ciascun nuotatore sa perfettamente che non deciderà nulla, dovendo limitarsi a ratificare scelte adottate fuori dall’Italia. Il nuovo concorso-poltrone, progettato per un potere piccolo e senza idee (quello dei Letta, dei Gentiloni) dimostra solo che l’Italia continuerà a restare innocua e sottomessa, inoffensiva, di fronte ai grandi poteri che si trincerano dietro la Merkel e Macron. Un’Italia inerte, alla deriva nel Mediterraneo, in balia di un equipaggio inaffidabile, mediocre, mercenario. Non uno straccio di idea, di progetto per il paese. Meno tasse e più servizi? Investimenti strategici per uscire dalla cosiddetta crisi? Servono soldi, ma per metterli a bilancio bisogna litigare coi signori dell’Europa. Troppa fatica, troppi rischi. Meglio restare a guardare la nave che lentamente affonda, tenendosi stretti alla poltrona riconquistata con il sotterfugio di una legge elettorale che imbarazza persino chi l’ha imposta. Grasse risate, come al solito, da Parigi a Berlino: sogni d’oro, Italia. Nessuno disturberà il manovratore.Aveva ben presente, l’allora giovane rottamatore Renzi, quale fosse il cuore del problema: metter fine alla sciatteria di una farsa, recitata da partiti impresentabili. Un acquario virtuale, dentro cui c’erano mille sigle ma mancava la bandiera fondamentale, quella dell’Italia: il calpestato popolo italiano, non più sovrano né decentemente rappresentato nelle sue istanze fondamentali. Solo che il Matteo ne ha organizzata un’altra, di farsa – la sua – limitandosi a fingere di rottamare un sistema ingessato, perfettamente funzionale alla grande oligarchia affaristica internazionale, con i suoi terminali nella piccola oligarchia nazionale. E’ stato ferocemente boicottato, Renzi, e poi si è auto-affondato con un referendum sbilenco. Ma intanto gli era già caduta la maschera: il suo dirompente potenziale comunicativo l’aveva sprecato scagliandolo appositamente fuori bersaglio, contro ipotetici mulini a vento (le “auto blu” grillesche, la “casta”, gli “sprechi”), sparacchiando a casaccio contro l’antropologia partitocratica, per poi affrettarsi a svendere gioielli di famiglia (Poste Italiane) mettendosi in coda: ecco, sono io il nuovo feudatario, è con me che dovete parlare per continuare il grande saccheggio. “Sburocratizzare”, è stata la sua parola d’ordine, perfettamente adatta a evitare di impensierire l’unica vera burocrazia nefasta, quella di Bruxelles, da cui l’Italia è intrappolata.
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Magaldi: smascheriamo insieme i bari della politica italiana
Smascherare i bari della politica? Facilissimo: basta vedere chi votò per Mario Monti, il devastatore dell’Italia inviato a Roma nel 2011, tramite Napolitano. Una missione speciale, la sua, per conto dei super-poteri oligarchici che hanno fatto dell’Ue una fabbrica di diktat, trasformando i Parlamenti in “bivacchi di manipoli” dormienti, ancora impegnati a recitare la liturgia di una democrazia che ormai non esiste più, non conta, non decide più niente. Se ne vergognano, gli ex sostenitori di Monti? «Certamente se ne vergogna Bersani, che infatti nella sua nuova formazione politica ha inserito un riferimento all’articolo 1 della Costituzione “fondata sul lavoro”, ben sapendo di aver votato a favore della riforma Fornero, massimo attentato politico nella storia recente contro il mondo del lavoro e dei lavoratori». Parola di Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” e presidente del Movimento Roosevelt, che ora annuncia un conto alla rovescia: quello della nascita di un nuovo soggetto politico destinato, spera, a sconvolgere la “palude” italiana, intasata di replicanti finto-progressisti e finto-ribellisti, per fornire agli elettori una vera chance di cambiamento in senso sovranistico e democratico, lontano dalla “dittatura” di Bruxelles e dei suoi corifei nazionali.Berlusconi? Ancora una volta incerto e ambiguo, nell’elogiare – forse in funzione anti-Salvini – la Pax Europea di cui avremmo beneficiato. Niente di più falso, sostiene Magaldi, in collegamento con David Gramiccioli ai microfoni di “Colors Radio”: questa Ue, che doveva unire il continente – accusa il leader del Grande Oriente Democratico – ha letteralmente frantumato l’Europa, provocano una feroce crisi economica e pericolose rivalità tra Stati. Il Pd renziano? Minestra riscaldata: lo stesso Renzi ha commesso errori madornali come quello sul referendum, e il suo destino è comunque segnato. In ogni caso, aggiunge Magaldi, anche una quota rilevante di elettorato Pd è delusa e disorientata, nonostante l’overdose di camomilla somministrata dal Gentiloni di turno, vero e proprio clone del dimenticabile Enrico Letta. «In Italia – sostiene Magaldi – esistono praterie sconfinate, sul piano politico, per chi voglia provare a cambiare davvero il corso delle cose: manca solo uno strumento chiaro e preciso, finalmente a disposizione degli elettori». Proprio per questo, aggiunge, nascerà il Pdp, Partito Democratico Progressista: un programma netto, destinato a smascherare l’ipocrisia generale e la reticenza dei partiti di oggi, incluso il Movimento 5 Stelle.«A Roma il movimento di Grillo non ha dato buona prova di sé, e c’è da temere che sarebbe così anche su scala nazionale, se dovesse governare l’Italia». Per un motivo semplice, dice Magaldi: «I 5 Stelle non avevano un vero programma per la capitale, così come non hanno un vero programma per il paese». Per “vero programma”, spiega Magaldi, si intende qualcosa di esplicito e inequivocabile: aprire una vertenza storica con l’Ue, minacciando di sbattere la porta. Obiettivo: ripristinare la democrazia in modo sostanziale, quella dei diritti del lavoro, svuotata dalla tecnocrazia euro-tedesca, che Magaldi definisce “paramassonica”, dettata dalle strutture di potere apolidi che hanno fabbricato l’attuale globalizzione asimmetrica, che concentra i poteri e fa sparire i diritti, spingendo i cittadini verso una precarietà universale, senza speranza. Un esito inaccettabile, da rovesciare a partire dalle fondamenta, riscrivendo le regole: l’economista Nino Galloni è uno dei cervelli del movimento fondato da Magaldi per sollecitare il risveglio della politica italiana, di cui però ancora non si vede traccia. E dunque, se i partiti continuano a dormire, non resta che scendere in campo direttamente: è questo il ragionamento alla base del varo (imminente, pare) del Pdp, aperto a «chiunque ami sinceramente la democrazia, cioè la legittima quota di sovranità assegnata ad ogni cittadino».Smascherare i bari della politica? Facilissimo: basta vedere chi votò per Mario Monti, il devastatore dell’Italia inviato a Roma nel 2011, tramite Napolitano. Una missione speciale, la sua, per conto dei super-poteri oligarchici che hanno fatto dell’Ue una fabbrica di diktat, trasformando i Parlamenti in “bivacchi di manipoli” dormienti, ancora impegnati a recitare la liturgia di una democrazia che ormai non esiste più, non conta, non decide più niente. Se ne vergognano, gli ex sostenitori di Monti? «Certamente se ne vergogna Bersani, che infatti nella sua nuova formazione politica ha inserito un riferimento all’articolo 1 della Costituzione “fondata sul lavoro”, ben sapendo di aver votato a favore della riforma Fornero, massimo attentato politico nella storia recente contro il mondo del lavoro e dei lavoratori». Parola di Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” e presidente del Movimento Roosevelt, che ora annuncia un conto alla rovescia: quello della nascita di un nuovo soggetto politico destinato, spera, a sconvolgere la “palude” italiana, intasata di replicanti finto-progressisti e finto-ribellisti, per fornire agli elettori una vera chance di cambiamento in senso sovranistico e democratico, lontano dalla “dittatura” di Bruxelles e dei suoi corifei nazionali.
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I 5 Stelle? Crolleranno quando nascerà un’alternativa seria
I 5 Stelle scivolano nella palude romana, per la gioia del mainstream politico e mediatico che finalmente li vede in seria difficoltà alla prova del comando? Male, anzi malissimo. Ma chi scommette sul crollo dei grillini si illude, dice Aldo Giannuli: la base pentastellata sa benissimo che il movimento di Grillo non ha una vera classe dirigente, ed è pronta – ancora – a perdonargli ingenuità anche gravi, pur di non tornare ai figuranti del sistema precedente. Se i grandi media e i partiti concorrenti (Pd in testa) sparano a man salva sui 5 Stelle dichiarandoli incapaci di governare, ben altre critiche provengono dall’area di opinione che si esprime su molti blog: il vero problema dei grillini è che non hanno soluzioni radicali e risolutive per la crisi, sociale ed economica, innescata dal dominio della finanza e, in Europa, tradottasi nei diktat dell’Unione Europea e della Bce, con la storica confisca della moneta sovrana. Anche a Roma i grillini si sono tenuti alla larga dal problema, evitando di denunciarlo apertamente. Eppure, vengono ancora visti da una larga parte di elettorato come una forza politica alternativa, l’unica in campo.Tutta la polemica di queste settimane – gli incarichi discutibili, le procedure di trasparenza – si sviluppa a valle del grande problema: come rilanciare l’economia italiana, a partire da una metropoli come Roma, senza disporre di investimenti strategici? Come è possibile impostare un governo radicalmente “rivoluzionario” senza prima rivendicare, ad alta voce, il diritto alla sovranità finanziaria, senza più la tagliola del patto di stabilità imposto da Bruxelles? Sono i temi sui quali era stata lanciata, dal Movimento Roosevelt di Gioele Magaldi, la candidatura (altamente simbolica) di un fuoriclasse dell’economia keynesiana, il professor Nino Galloni. Premessa: per poter impostare una politica sociale, di sviluppo e benessere, occorre prima azzerare tutti i vincoli imposti dal sistema dell’Eurozona, anche con azioni dimostrative – e un palcoscenico come quello di Roma sarebbe perfetto, per ottenere la massima risonanza anche a livello europeo, “costringendo” anche i maggiori partiti a prendere atto che è giunto il momento di cambiare passo, regole, paradigma: la missione dell’ente pubblico non può essere il pareggio di bilancio, perché solo l’investimento pubblico può rilanciare le aziende.Nessuno, oggi, cavalca questa battaglia in Italia – nemmeno la Lega di Salvini lo fa in modo organico. Eppure, il 30% dell’elettorato (perlomeno, quello votante) scommette ancora sui 5 Stelle, non avendo altra offerta politica da prendere in considerazione. Il politologo Giannuli, non certo ostile ai grillini, avverte: il consenso attorno al Movimento 5 Stelle non è un fenomeno solo italiano, ma è «qualcosa che investe tutto l’Occidente o, quantomeno, Europa ed Usa». L’elettorato mette in discussione «la legittimazione dei sistemi di potere consolidati». Negli anni ‘30, ricorda Giannuli, «si affermò un modello di democrazia sociale, fondato sul compromesso socialdemocratico fra capitalismo e organizzazioni del movimento operaio: pace sociale contro redistribuzione della ricchezza e Stato assistenziale». Questo ordine, continua Giannuli, «è andato in frantumi man mano che è avanzata la controrivoluzione neoliberista per affermare un nuovo ordinamento basato sul comando della finanza, la delocalizzazione industriale, la precarizzazione di massa, la distruzione del ceto medio». Risultato: «Una concentrazione della ricchezza senza precedenti e una globalizzazione pensata in funzione del monopolarismo imperiale americano».Oggi, otto anni dopo l’esplosione definitiva di una crisi che «ha distrutto risparmi, posti di lavoro, garanzie sociali, falcidiando salari e stipendi, si sta manifestando la rivolta delle classi subalterne e dei ceti medi che ritirano la delega ai partiti tradizionali di sistema (liberali, socialdemocratici, cattolici, conservatori) aggregandosi in nuove formazioni abbastanza improvvisate». Formazioni che, nel caso dei 5 Stelle, non indicano neppure chiaramente la causa del problema, né avanzano soluzioni precise – ma agli elettori, almeno per ora, sembra bastare la semplice denuncia del malessere, dei sintomi sociali più acuti. Toni che ricorrono dall’Europa agli Usa, dal Front National di Marine Le Pen fino a Donald Trump. Lo scenario, peraltro, è dominato dalle ondate migratorie cui stiamo assistendo: «E’ un fenomeno strutturale che non torna indietro», e produce immediate ripercussioni elettorali: i delusi, che ormai sono la stragrande maggioranza, «possono passare da una formazione antisistema ad un altro movimento simile o forse passare all’astensione, ma, in gran parte, non pensano affatto di rifluire nella gabbia del sistema dalla quale sono uscite. E questo vale anche per il M5S».Per questo, insiste il politologo dell’ateneo milanese, sbaglia chi pensa che gli elettori stiano per abbandonare i grillini: sono pronti a perdonare loro «una quantità di sciocchezze», viste come «il prezzo da pagare per portare il sistema al crollo». Perché di questo sarebbero convinti, molti elettori di Grillo: credono davvero che la missione del movimento sia l’abbattimento del sistema, anche se il M5S non ha finora neppure sfiorato il tema capitale, cioè la drammatica sottomissione al supremo potere euro-Ue – sottomissione che rende semplicemente impossibile la realizzazione di qualsiasi politica alternativa, democratica, partecipativa e trasparente, fondata sulla riconversione sociale dell’economia. La crisi morde, e produce «umori contrastanti», dall’insofferenza verso la folle pressione fiscale alla classica rivolta contro la “casta” (vista come detentrice di privilegi, non come l’entità che ha svenduto il paese alla super-casta Ue). «Poi c’è di tutto: da quelli che temono gli immigrati al sindacalismo radicale, da vegani e nonviolenti a frange fascistoidi, da pezzi di sinistra comunista a cattolici impegnati nel volontariato. Tutto e il contrario di tutto».«E questo magma – avvisa Giannuli – attraverserà molte trasformazioni, diventerà cose diverse, ma non sparirà nel nulla». Il Movimento 5 Stelle? Rischierà davvero di sparire solo quando comparirà un’alternativa seria, realmente anti-sistema, decisa a ribaltare per davvero le regole del gioco. E cioè: fine della svendita dell’interesse pubblico, fine delle privatizzazioni e di tutte le altre conseguenze-capestro imposte dal regime autoritario dell’Eurozona, dalla super-tassazione al pareggio di bilancio. Servirà un gruppo dotato di visione prospettica, capace di rifondare l’economia abbattendo i falsi dogmi del neoliberismo, che prevedono la demolizione dello Stato come garante del cittadino. Ma anche qui, conclude Giannuli, è inutile farsi illusioni: «Per ora, non c’è nessun segno che lasci presagire una sfida del genere in tempi politicamente prevedibili». I 5 Stelle, dunque, potranno dormire sonni tranquilli: con buona pace dell’Italia che, senza una vera alternativa, continuerà ad affondare.I 5 Stelle scivolano nella palude romana, per la gioia del mainstream politico e mediatico che finalmente li vede in seria difficoltà alla prova del comando? Male, anzi malissimo. Ma chi scommette sul crollo dei grillini si illude, dice Aldo Giannuli: la base pentastellata sa benissimo che il movimento di Grillo non ha una vera classe dirigente, ed è pronta – ancora – a perdonargli ingenuità anche gravi, pur di non tornare ai figuranti del sistema precedente. Se i grandi media e i partiti concorrenti (Pd in testa) sparano a man salva sui 5 Stelle dichiarandoli incapaci di governare, ben altre critiche provengono dall’area di opinione che si esprime su molti blog: il vero problema dei grillini è che non hanno soluzioni radicali e risolutive per la crisi, sociale ed economica, innescata dal dominio della finanza e, in Europa, tradottasi nei diktat dell’Unione Europea e della Bce, con la storica confisca della moneta sovrana. Anche a Roma i grillini si sono tenuti alla larga dal problema, evitando di denunciarlo apertamente. Eppure, vengono ancora visti da una larga parte di elettorato come una forza politica alternativa, l’unica in campo.