Archivio del Tag ‘Pandora tv’
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ControTv, in diretta: Chiesa e Mazzucco aggirano YouTube
Attenti a quei due: da anni sfidano il mainstream, smontando le sue leggende, e non hanno ancora smesso di impensierire il Grande Fratello. Tant’è vero che, non appena la nuova iniziativa è finita su una pagina Facebook con oltre 40.000 contatti, la segnalazione è stata trasmessa in automatico solo a 9.000 follower. Già si annusano guai in vista, ipotizza Massimo Mazzucco, titolare della pagina stranamente “filtrata”: il mitico algoritmo di Zuckerberg sospetta che il suo nome, unito a quello di Giulietto Chiesa, possa essere sinonimo di grane? Del resto, quello è il sistema che dispensa sonni tranquilli al cittadino, magari invitandolo a rifugiarsi nel politically correct come nel caso del polverone attorno alla commissione Liliana Segre. Sacrosanto condannare chi insulta i reduci della Shoah, beninteso: purché questo poi non venga usato per silenziare chiunque la pensi diversamente, sui temi più disparati. «Vale anche per il revisionismo: un conto è oltraggiare i reduci, un altro è avere idee differenti sulla storia. Proibirle non è forse contrario alla libertà di parola tutelata dalla Costituzione?». E poi: «Perché la versione ufficiale dovrebbe essere obbligatoria solo per la Shoah, di cui si stabilisce il numero di vittime senza mai interrogarsi sulle vere cause del nazismo e sui sostenitori occulti di Hitler?». A quel punto, dice Mazzucco, si emani una verità ufficiale su ogni altro tema, e buonanotte a tutti.
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Magaldi: “Liberiamo l’Italia” non sa che tutto sta cambiando
Che senso ha invocare il rispetto di una Costituzione brutalmente amputata da Monti nel 2012 con l’obbligo del mostruoso pareggio di bilancio? E che senso ha farlo oggi, proprio mentre i vertici della Bce – l’uscente Draghi e l’entrante Lagarde – ammettono, in modo clamoroso, che bisogna gettare nella spazzatura decenni di austerity, da loro stessi imposta, per “restituire la moneta al popolo” e varare gli eurobond destinati a sostenere i debiti pubblici azzerando il fantasma dello spread? Se lo domanda Gioele Magaldi di fronte a quello che definisce «il velleitarismo rossobruno» dei promotori della manifestazione “Liberiamo l’Italia”, in programma a Roma il 12 ottobre. Bocciatura secca, per qualsiasi generico “sovranismo” gridato: serve solo a rendere impresentabili certe proposte (uscire dall’euro e dall’Ue) che i media si incaricano prontamente di presentare come pittoresche, dunque inoffensive. «A Roma si svolgerà l’ennesima parata malinconica e inutile, come tutte quelle finora promosse da chi, in questi anni, ha compiuto una sorta di idolatria della Costituzione, limitandosi ad auspicarne la piena attuazione, senza mai portare a casa nessun risultato».
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Vendetta: ora Assange potrà morire, estradato negli Usa
«Viviamo in un mondo capovolto: chi lavora per la libertà di parola e il libero giornalismo finisce in galera, chi si macchia di crimini di guerra resta a piede libero». Così lo sceneggiatore Paolo Mosca commenta, su Facebook, l’arresto a Londra di Julian Assange. Uno dei principali motivi per cui Assange è stato arrestato, scrive Mosca, dirigente del Movimento Roosevelt, è il video conosciuto come “Collateral murder”: elicotteri americani uccidono civili iracheni, a Baghdad, sparando nel mucchio. Nessuno di quegli assassini è stato condannato, aggiunge Mosca. In galera ci è finito solo Bradley Manning (oggi Chelsea Manning), cioè l’allora militare Usa che aveva poi inviato il video a Wikileaks, sottolinea Gianluca Ferrara sul “Fatto Quotidiano”, secondo cui «Assange andrebbe premiato, non arrestato». Se ora il governo italiano lo abbandonerà al suo destino, afferma il grillino Alessandro Di Battista, «non ci sarà differenza con gli scendiletto Usa che ci hanno governato negli ultimi trent’anni». Il solo a mobilitarsi per Assange, negli ultimi mesi, era stato Paolo Barnard, protagonista di un lunghissimo sit-it sotto le finestre del “prigioniero”, a Londra, durante le festività natalizie. Unica ammissione ottenuta da Barnard, quella di un giornalista del “Guardian”, Damien Gayle: «Sono stato in ansia a “twittarti”, ma dovevo farlo», gli scrisse Gayle, «perché la libertà di dissenso dovrebbe essere l’anima stessa del mio giornale. Spero non mi licenzino».Barnard era solo quanto Assange, davanti all’ambasciata ecuadoriana che da 7 anni ospitava il fondatore di Wikileaks, fermato con accuse pretestuose (ipotetico tentativo di stupro, in Svezia). Dapprima trattato come rifugiato politico dall’Ecuador di Rafael Correa, ultimamente era stato ridotto a ostaggio, nella sede diplomatica londinese del paese centramericano, nel frattempo “normalizzato” dal neo-presidente Lenin Moreno, riallineatosi agli Usa che ora pretendono l’estradizione di Assange. Su “Pandora Tv”, Giulietto Chiesa ha buon gioco nel ricordare che il “ribaltamento del mondo” cui allude Paolo Mosca si specchia ormai anche tra i “whistleblower”: un tempo erano i dissidenti dell’Urss a scappare in Occidente, mentre oggi l’eroe Edward Snowden vive a Mosca, protetto da Putin, dopo aver sollevato lo scandalo mondiale dello spionaggio di massa gestito dalla Nsa, mentre Assange finisce in carcere per aver messo in mostra la brutalità “imperiale” del potere militare americano e in particolare la spregiudicatezza criminale di Hillary Clinton. Pino Cabras, deputato pentastellato, sottolinea il coraggio del giornalista australiano: «Attraverso la sua azione ha svelato le condotte illegali o minacciose di organi istituzionali e potentissime lobby».Di fatto, Wikileaks «ha consentito alla democrazia contemporanea di superare i limiti e le chiusure del giornalismo tradizionale nonché le timidezze dei parlamenti nel correggere i comportamenti opachi di vari governi». Citando una presa di posizione dei 5 Stelle alla Camera, Cabras ricorda che Assange ha dato coraggio alla pratica del “whistleblowing” e dell’obiezione di coscienza fino a farla riconoscere nelle leggi e nei codici etici a tutti i livelli. «Come Movimento 5 Stelle – dicono i parlamentari grillini – abbiamo sentito sin dall’inizio dell’avventura di Wikileaks un interesse per una pratica che valorizzava il controllo dal basso e la democratizzazione dell’informazione nell’ambito di una rivoluzione tecnologica con un grande potenziale di liberazione per individui e popoli. Per questo motivo – aggiungono – riteniamo che debbano essere fatti tutti i possibili passi affinché a Julian Assange sia riconosciuto il valore e il rango politico del suo attivismo, da sempre minacciato con ogni mezzo, che sia salvaguardata la sua incolumità e che non ci siano forzature politiche nelle procedure a cui sarà sottoposto».La figura di Assange, ricorda Alfonso Bianchi sulla “Stampa”, è diventata sempre più quella di un perseguitato per la libertà di espressione. E in tanti, da semplici cittadini a personalità pubbliche, gli hanno espresso solidarietà al punto da candidarlo al Nobel per la Pace. Nel frattempo le accuse contro di lui in Svezia sono cominciate a cadere, prima nel 2015 quella per molestie sessuali e poi due anni dopo anche quella per stupro. Ma su Assange continuava a restare in vigore la richiesta d’arresto britannica per il fatto che si era rifiutato di consegnarsi spontaneamente. Assange ha sempre temuto di essere estradato negli Usa, dove ora Donald Trump lo accusa di aver pubblicato documenti riservati del governo, mettendo a rischio la sicurezza nazionale. Dopo il cambio di governo in Ecuador, la vita di Assange a Londra era diventata quella di un detenuto: fine dei contatti con l’esterno. Gli era stato anche interrotto il collegamento a Internet, con l’accusa di aver violato «un impegno scritto fatto al governo alla fine del 2017 di non rilasciare messaggi che avrebbero potuto interferire con altri Stati». A ottobre, ricorda sempre Bianchi sulla “Stampa”, il suo avvocato, Baltasar Garzon (cioè l’ex magistrato spagnolo anti-corruzione, già impegnato contro il dittatore cileno Pinochet) ha fatto causa al governo di Quito accusandolo di violare i «diritti e le libertà fondamentali» dell’uomo.Da allora le cose hanno continuato a precipitare fino all’ultimo colpo di scena: il ritiro dell’asilo politico, l’arresto e la conferma della richiesta di estradizione da parte degli Usa. «L’arresto di Julian Assange era prevedibile perché oramai tutte le voci fuori dal coro, tutti i personaggi che sfidano il pensiero unico sono inaccettabili e vanno eliminati», scrive Gianluca Ferrara sul “Fatto”. «A mio avviso – aggiunge – la “colpa” di Assange e della sua Wikileaks è quella di aver svelato quei poteri che proliferano dietro le quinte della politica estera e che puniscono chi si permette di rendere note le loro gesta. La “colpa” di Assange è quella di aver palesato ciò che si cela dietro la maschera che i mass media costruiscono». Ferrara rievoca la mattanza filmata da “Collateral murder” e resa pubblica il 12 luglio del 2007, con i due elicotteri Apache che sparano sui civili a Baghdad, accanendosi anche sui feriti, compresi i bambini. Tra le vittime della carneficina anche due cronisti della “Reuters”, Namir Noor Eldeen e Saeed Chmagh. Dall’elicottero, vedendo i corpi dilaniati, i militari statunitensi commentarono: «Guarda quei bastardi morti!».Come Manning e Snowden, dice Ferrara, uomini come Assange «ufficialmente possono aver violato delle leggi, ma hanno permesso di svelare nefandezze inquietanti». Assange andrebbe premiato, ribadisce Ferrara, «per il coraggio di aver denunciato quel Deep State, quel complesso di lobby che si celano dietro la facciata di Stati apparentemente democratici». Ora, Julian Assange – ospitato dall’ambascia dell’Ecuador dal 19 giugno 2012 – rischia il carcere duro e forse persino la vita, se venisse estradato negli Usa. Ci ha rivelato verità indicibili, rendendoci più consapevoli e quindi più liberi. Ma ora Julian Assange può crepare, scriveva a gennaio Paolo Barnard, senza che nessuno muova un dito per salvarlo: giornali, attivisti, intellettuali, politici, governi. Si è immolato per tutti, Assange, con le esplosive rivelazioni affidate a Wikilekas. Sperava di suscitare un’ondata di protesta capace di scuotere il potere. E immaginava che l’indignazione lo avrebbe protetto dalla vendetta dell’establishment. Ma si sbagliava: dopo essere stato costretto a «morire giorno per giorno», trattato come un ospite sempre più sgradito, ora è finito in manette senza che nessuno sia riuscito a salvarlo, esattamente come previsto da Barnard.«Viviamo in un mondo capovolto: chi lavora per la libertà di parola e il libero giornalismo finisce in galera, chi si macchia di crimini di guerra resta a piede libero». Così lo sceneggiatore Paolo Mosca commenta, su Facebook, l’arresto a Londra di Julian Assange. Uno dei principali motivi per cui Assange è stato arrestato, scrive Mosca, dirigente del Movimento Roosevelt, è il video conosciuto come “Collateral murder”: elicotteri americani uccidono civili iracheni, a Baghdad, sparando nel mucchio. Nessuno di quegli assassini è stato condannato, aggiunge Mosca. In galera ci è finito solo Bradley Manning (oggi Chelsea Manning), cioè l’allora militare Usa che aveva poi inviato il video a Wikileaks, sottolinea Gianluca Ferrara sul “Fatto Quotidiano”, secondo cui «Assange andrebbe premiato, non arrestato». Se ora il governo italiano lo abbandonerà al suo destino, afferma il grillino Alessandro Di Battista, «non ci sarà differenza con gli scendiletto Usa che ci hanno governato negli ultimi trent’anni». Il solo a mobilitarsi per Assange, negli ultimi mesi, era stato Paolo Barnard, protagonista di un lunghissimo sit-it sotto le finestre del “prigioniero”, a Londra, durante le festività natalizie. Unica ammissione ottenuta da Barnard, quella di un giornalista del “Guardian”, Damien Gayle: «Sono stato in ansia a “twittarti”, ma dovevo farlo», gli scrisse Gayle, «perché la libertà di dissenso dovrebbe essere l’anima stessa del mio giornale. Spero non mi licenzino».
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Bufale un tanto al chilo, Libreidee nella lista nera di Butac
Il blog Libreidee.org è stato inserito nella “black list” di “Butac”, acronimo di “Bufale un tanto al chilo”. Si tratta di uno spazio web che si definisce «una pagina dedicata alla lotta contro: bufale, disinformazione, allarmismi gratuiti e frodi online!» (il punto esclamativo è presente nel testo originale). “Butac”, spiegano i fondatori, «vuol esser un blog fatto con passione, la passione per l’informazione corretta, la passione per la verità». Il sito è stato «registrato in maniera non anonima» da Michelangelo Coltelli insieme a Noemi Urso, Neil Perri e Pietro Arina, alias “DottPA”, tra i principali “contributor” del blog. «Cerchiamo di scovare quelle che sono le false informazioni veicolate online, ma anche sui giornali e in televisione, e proviamo a sbufalarle o renderle più chiare!». Tra un punto escalamativo e l’altro, i gestori di “Butac” precisano: «Non vogliamo fare polemiche politiche o ideologiche, ma solo porre davanti a tutto scienza e correttezza d’informazione». Aggiungono: «Nasciamo su Facebook, ma per comodità abbiamo scelto di avere anche un piccolo blog per permettere una lettura più semplice dei nostri articoli e un sistema di ricerca migliore per trovare le bufale già trattate».Tra le notizie presentate come “bufale”, si includono titoli di questo tenore: “Mastercard prepagate e anonime agli immigrati, l’ombra di George Soros: ma con quali soldi?”. In questo caso, il reo è “Libero”, il quotidano diretto da Vittorio Feltri. Tra i cattivi informatori figurano anche “Le Iene” (categoria “disinformazione”, per aver parlato di concorsi universitari truccati). “Butac” si occupa anche delle citazioni di Selvaggia Lucarelli, delle caramelle verdi forse pretese dai Nirvana nei loro tour e delle buche nelle strade di Milano, causa di un incidente di cui sarebbe rimasto vittima il deejay Linus. “Butac” interviene su questioni agro-ecologiche come la polemica sul micidiale glifosato, spiegando che «alcune precise lobby hanno scelto di contrastarne l’uso» (a smontare il possibile prodotto alternativo provvede un “laureato in scienze agrarie”, presentato come “esperto”). Nella sezione “medicina”, è il tema-vaccini a imporsi fra i titoli esibiti come inattendibili: “Meningite: è ufficiale, è colpa del vaccino”; “Medico svela che il vaccino antinfluenzale è progettato per diffondere il cancro”; “Morta a 2 anni dopo un vaccino”. Infine, “Butac” propone ai suoi lettori una serie di “guide”, dal network marketing al “giornalismo 3.0”.La “black list”, letteralmente sterminata, è composta da centiana di voci che evidentemente “Butac” considera inaffidabili. “Libreidee” è un blog, ma è classificato tra i “siti complottisti”, al pari di “Luogo Comune” (il blog di Massimo Mazzucco) e “Pandora Tv” (la web-tv di Giulietto Chiesa). Alla stessa categoria appartengono inoltre “Disinformazione.it”, mentre “Il Navigatore Curioso” figura tra i “siti di pseudoscienza” con “Dionidream” e “Disquisendo”, nonché i popolarissimi “MeteoWeb” e “IlMeteo.it”, mentre ad esempio le pagine web di “Cosmofruttariano” sono inserite tra i “blog di pseudiscienza”. Poi c’è la categoria riservata a “siti di pseudo-medicina e alimentazione”, da “Alleanza per la salute” a “Autismovaccini.org”, passando per “La nuova medicina germanica”, spazio web dedicato a Ryke Geerd Hamer. Nella lista nera non manca il sito del Comilva, che raggruppa la maggior parte dei genitori italiani contrari all’imposizione dell’obbligo vaccinale. E il più importante video-blogger italiano, Claudio Messora (fondatore di “ByoBlu”) è relegato tra i siti di pseudo-giornalismo politico, insieme a “Il Primato Nazionale”, “Imola Oggi” e “Informare per Resistere”.La lista nera di “Butac” si estende ai “blog di pseudogiornalismo” e ai “siti di meteoterrorismo” (tra questi, il “Centro Meteo Italiano”). Non mancano i “siti di notizie virali” e i “siti di pseudo-satira”. Tra i “blog complottisti”, poi, svetta “Su la testa” del giornalista Gianni Lannes, pluri-minacciato dalla mafia dei rifiuti. E’ in compagnia di “Un Universo” e di “Tanker Enemy”, l’osservatorio di Rosario Marcianò sulle scie chimiche. La “black list” si completa con le “pagine che pubblicano bufale per incrementare le visite” e con il lunghissimo elenco di pagine Facebook che “Butac” considera inattendibili. Tra i canali YouTube messi all’indice compaiono “Accademia della Libertà”, “Apriamo gli occhi” e “La verità ci rende liberi”. L’idea, scrive “Butac”, è di aggiornare la lista con le progressive segnalazioni degli utenti, ma «stando attenti», perché «le testate che fanno opinione non sono testate bufalare, ma posti dove qualcuno esprime le proprie idee (giuste o sbagliate)», e quindi «bisogna imparare a distinguere da idee e opinioni (dove tutti siamo liberi di pensare quel che ci pare) e notizie». Sempre “Butac” dichiara di «distinguere tra chi di queste cose parla con “troppo” trasporto, arrivando a spacciare bufale, e chi invece è davvero appassionato ed è capace di avere blog seri e sensati senza dover per forza spacciare fuffa per caviale!» (testuale, ancora, il punto escalamativo).Il blog Libreidee.org è stato inserito nella “black list” di “Butac”, acronimo di “Bufale un tanto al chilo”. Si tratta di uno spazio web che si definisce «una pagina dedicata alla lotta contro: bufale, disinformazione, allarmismi gratuiti e frodi online!» (il punto esclamativo è presente nel testo originale). “Butac”, spiegano i fondatori, «vuol esser un blog fatto con passione, la passione per l’informazione corretta, la passione per la verità». Il sito è stato «registrato in maniera non anonima» da Michelangelo Coltelli insieme a Noemi Urso, Neil Perri e Pietro Arina, alias “DottPA”, tra i principali “contributor” del blog. «Cerchiamo di scovare quelle che sono le false informazioni veicolate online, ma anche sui giornali e in televisione, e proviamo a sbufalarle o renderle più chiare!». Tra un punto escalamativo e l’altro, i gestori di “Butac” precisano: «Non vogliamo fare polemiche politiche o ideologiche, ma solo porre davanti a tutto scienza e correttezza d’informazione». Aggiungono: «Nasciamo su Facebook, ma per comodità abbiamo scelto di avere anche un piccolo blog per permettere una lettura più semplice dei nostri articoli e un sistema di ricerca migliore per trovare le bufale già trattate».
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Giulietto Chiesa in Rai con Messora, Dijsselbloem al Corsera
«Molto improbabile che nasca un governo politico, a meno che Berlusconi non faccia un passo di lato e lo sostenga dall’esterno». Così Alessandro Trocino, ai microfoni di “Radio Radicale” il 7 maggio scorso, a meno di un mese dall’insediamento di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Due previsioni, entrambe sbagliate: alla fine s’è fatto, eccome, il governo più clamorosamente politico da 25 anni a questa parte, e il Cavaliere si è ben guardato dal sostenerlo. Sei mesi dopo, lo stesso giornalista – in forza al “Corriere della Sera” – spara ad alzo zero contro Giulietto Chiesa, in realtà per colpire i 5 Stelle, “rei” di aver preso per buona l’analisi di Chiesa sull’ultima sparata del signor Jeroen Dijsselbloem, tipico esemplare del potere eurocratico: anonimo e incolore il suo profilo politico, ma micidiale quello tecnocratico, speso al servizio dell’oligarchia finanziaria che ha massacrato la Grecia e imposto il prelievo forzoso a Cipro, scatenando il panico e l’assalto ai bancomat. Cos’ha detto, l’insigne Dijsselbloem? Che l’economia italiana imploderà, per colpa del governo gialloverde. E Giulietto Chiesa? Ha interpretato le parole di Dijsselbloem nell’unico modo possibile: una minaccia. Ovvio, a questo punto, il rilancio dei 5 Stelle sul loro blog.Ovvio per tutti, salvo che per il “Corriere”, secondo cui Giulietto Chiesa ha travisato le parole dell’apollineo, impeccabile, meraviglioso Dijsselbloem. Niente di strano, peraltro: secondo Trocino, Chiesa non sarebbe altro che una specie di mentecatto. Allo storico corrispondente da Mosca (prima per “l’Unità”, poi per la “Stampa” e per il Tg5), il “Corriere” dedica un affondo che merita di essere letto come capolavoro comico, sia pure del genere neo-orwelliano inaugurato dalla popstar Colin Powell, irresistibile nel famoso numero con la fialetta all’antrace. Il grande Powell poté esbirsi all’Onu solo grazie all’altra vicenda spettacolare del secolo, altrettanto cristallina: il crollo delle Torri Gemelle, notoriamente collassate su se stesse in pochi secondi per colpa di aerei dirottati da oscuri energumeni arabi, armati di taglierini e capaci di schiantare a velocità folle, con manovre da top-gun, velivoli che non sapevano pilotare e che la stessa azienda costruttrice, la Boeing, dichiara che – semplicemente – non potrebbero volare a 900 chilometri orari, a quote così basse, senza sbriciolarsi in aria prima ancora dell’impatto.Certo si tratta di trascurabili amenità, sulle quali è impensabile si soffermi il “Corriere della Sera”, impegnato com’è a formulare vaticinii e profezie sui governi italiani, specie l’inguardabile esecutivo gialloverde, i cui azionisti politici osano mancare di rispetto ai sacerdoti della santa eurocrazia, i bramini dai nomi impossibili – Dijsselbloem, Oettinger, Dombrovskis – che gli italiani hanno tuttavia imparato ad amare, in questi anni di benessere, prosperità e serenità per tutto il continente. Come sarebbe bello, cinguetta Massimo Mazzucco – altro incorreggibile mascalzone, del calibro di Giulietto Chiesa – se finalmente, grazie alla presidenza della Rai affidata a Marcello Foa, lo stesso Chiesa potesse lasciare per un attimo la redazione di “Pandora Tv” e partecipare ogni tanto, magari in terza serata, a programmi come quelli che un tempo persino la televisione di Stato produceva, all’epoca in cui faceva anche vera informazione, con signori come Biagi, Minà, Zavoli.Pensate, dice Mazzucco, se – magari all’una di notte – ci fosse la possibilità di assistere a un confronto tra Chiesa e, per dire, il fondatore di “ByoBlu”, Claudio Messora, capace di realizzare servizi su YouTube visionati ogni volta anche da 200.000 utenti. Numeri enormi, sottolinea Mazzucco, se paragonati agli standard televisivi (per esempio, i 600.000 spettatori che faceva registrare “Matrix”, ai bei tempi). Non c’è paragone, conferma Fabio Frabetti di “Border Nights”, in web-streaming con Mazzucco, anche perché la potentissima e ricchissima Tv basta accenderla, mentre un video-blog devi andartelo a cercare: quei click valgono mille volte tanto. E lo sanno, i signori dei “giornaloni”, al punto – oggi – da attaccare Giulietto Chiesa, anche a costo di fare involontariamente pubblicità alla sua web-tv. Lo sanno così bene, che il vento è cambiato, da applaudire a scena aperta l’eroico bavaglio imposto al web da Bruxelles, su iniziativa dei soliti noti – su tutti Oettinger, l’uomo che sussurra ai mercati, proprio come il suo socio Dijsselbloem.Poi, si sa, è noto che le minacce mafiose le fanno appunto i capimafia, non certo i cardinali e ciambellani del superclan euro-finanziario che ha coordinato, sul campo, il più vasto trasferimento di ricchezza, dal basso verso l’alto, che la storia moderna ricordi. Un’operazione ammantata di misticismo e ispirata dal Bene, cioè il rigore di bilancio che vieta i deficit e quindi obbliga ad aumentare le tasse, producendo le meraviglie che fanno dell’Unione Europea e in particolare dell’Eurozona il paradiso terrestre a cui il mondo intero guarda con invidia, non potendo fare a meno di ammirare il commovente spirito di cooperazione e solidarietà che oggi affratella i popoli europei, pronti a correre in soccorso del più debole e a risolvere insieme, da buoni amici, ogni controversia, a cominciare dal problema dei migranti. Un’Europa così sublime non può che primeggiare anche nell’arte del bel canto, visti i soavi gorgheggi giornalistici che si levano da giornali e talkshow. Troppo bello, lo spettacolo del Bene che celebra se stesso, per rischiare di offuscarlo con sgraziate stonature, profeti di sventura e blogger, così impudenti da insolentire il divo Dijsselbloem, l’affabile Juncker, il garbato Moscovici.A chi si fosse curiosamente convinto che lo show quotidiano sia soltanto una tragica farsa piuttosto scadente, affidata a interpreti la cui mediocrità è pari solo all’immenso potere di cui dispongono, protetto dall’anonimato finanziario che ha sequestrato la democrazia nel vecchio continente, Mazzucco va ripetendo un consiglio pratico: insistere, nel raccontare quello che si è scoperto, perché soltanto l’impegno di migliaia di neo-sudditi potrebbe un giorno restituire agli europei lo status di cittadini, a buon diritto membri di una comunità civile vera e propria, con le sue sue regole fondamentali – una su tutte: governa chi è stato designato dai cittadini, mediante regolari elezioni. Il giorno che la maggioranza si accorgesse dell’insostenibile anomalia europea, costituita da mezzo miliardo di persone governate da un consiglio di amministrazione, probabilmente i solisti come Oettinger e Dijsselbloem si troverebbero senza uno spartito e senza più nemmeno il coro, cartaceo e radiotelevisivo, al quale sono abituati: una clacque preziosa e imprescindibile, per evitare fischi e pomodori. E’ come se una lunga marcia fosse cominciata, dice Mazzucco, fino a giungere di fronte alle mura del palazzo, seminando allarme: non si spiega altrimenti tanta permura nel prendere a sberle, in pubblico, gli storici tribuni della trasparenza. Ma in caso di rivoluzione, niente paura: il grande Dijsselbloem potrebbe sempre cantare ancora, nel coro degli autorevolissimi editorialisti del “Corriere”.«Molto improbabile che nasca un governo politico, a meno che Berlusconi non faccia un passo di lato e lo sostenga dall’esterno». Così Alessandro Trocino, ai microfoni di “Radio Radicale” il 7 maggio scorso, a meno di un mese dall’insediamento di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Due previsioni, entrambe sbagliate: alla fine s’è fatto, eccome, il governo più clamorosamente politico da 25 anni a questa parte, e il Cavaliere si è ben guardato dal sostenerlo. Sei mesi dopo, lo stesso giornalista – in forza al “Corriere della Sera” – spara ad alzo zero contro Giulietto Chiesa, in realtà per colpire i 5 Stelle, “rei” di aver preso per buona l’analisi di Chiesa sull’ultima sparata del signor Jeroen Dijsselbloem, tipico esemplare del potere eurocratico: anonimo e incolore il suo profilo politico, ma micidiale quello tecnocratico, speso al servizio dell’oligarchia finanziaria che ha massacrato la Grecia e imposto il prelievo forzoso a Cipro, scatenando il panico e l’assalto ai bancomat. Cos’ha detto, l’insigne Dijsselbloem? Che l’economia italiana imploderà, per colpa del governo gialloverde. E Giulietto Chiesa? Ha interpretato le parole di Dijsselbloem nell’unico modo possibile: una minaccia. Ovvio, a questo punto, il rilancio dei 5 Stelle sul loro blog.
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Giulietto Chiesa: m’ero sbagliato, in Russia la gente soffre
Non è da tutti, ammettere i propri errori, specie se si ha alle spalle una lunga storia fatta anche di coraggio. E’ il caso di Giulietto Chiesa, amico personale di Mikhail Gorbaciov. Nell’agosto del ‘91, mentre il golpista Ghennadi Janaev tentava di mascherare il colpo di Stato in corso, accampando ipotetici “problemi di salute” da parte del padre della Perestrojka, Giulietto Chiesa lo sfidò, in mondovisione, con una semplice domanda: «E lei come si sente, signor Janaev?». Per anni corrispondente da Mosca per “L’Unità”, poi per “La Stampa” e per il “Tg5”, Chiesa fu tra i primi, in Italia, con il saggio “La guerra infinita” uscito nel 2003 per Feltrinelli, a denunciare le trame (altrettanto golpiste) dei “neocon” Usa, sospettati di aver incubato la strage dell’11 Settembre, comodamente attribuita all’islamico Bin Laden. Giulietto Chiesa – riconobbe anni fa il caustico Paolo Barbard – è stato l’unico, degli esponenti della “casta” giornalistica italiana, a mettere a repentaglio la sua reputazione (e i suoi privilegi di ospite fisso, in televisione) pur di denunciare una verità che il manistream non voleva accettare. Oggi, a parte le sfortunate avventure politiche con Antonio Ingroia, Chiesa dirige sul web la voce libera di “Pandora Tv”, da cui spessissimo difende la politica di Putin e la Russia in generale, esponendosi alla facile accusa di coltivare nostalgie sovietiche. Ora fa pubblica ammenda: sulla Russia mi sono sbagliato, dice; Putin non è riuscito a rimediare agli orrori di Eltsin, e così il popolo soffre.Beninteso: non è mai stato facilissimo il rapporto tra Giulietto Chiesa e la Russia, neppure ai tempi dell’Unione Sovietica. «Giulietto Chiesa mente», scrisse l’agenzia del Cremlino, la “Tass”, per ottenere la rimozione del corrispondente italiano, ritenuto scomodo (e difeso invece con ostinazione da Berlinguer, il segretario del Pci che l’aveva scelto come giornalista da inviare a Mosca). Caduta l’Urss, dopo tanti saggi sull’ex impero sovietico, oggi Giulietto Chiesa ammette: purtroppo ho visto in ritardo i problemi che affliggono i russi, alle prese con una politica interna non all’altezza della politica estera brillantemente svolta da Putin. A richiamarlo sul tema, scrive lo stesso Chiesa su “Megachip”, è un’affezionata lettrice, russa, che gli scrive dalla Russia “profonda”, dove non è mai arrivato il recente benessere di Mosca e San Pietroburgo. «Non metto la sua firma, per la sua sicurezza, né il luogo dove abita». Una premessa poco rassicurante: dimostra che il dissenso politico, in Russia, è tuttora pericoloso. «Credo che le cose che lei mi dice siano purtroppo vere», premette Chiesa, «come lo sono i processi degenerativi anche da noi». E’ delusa, la lettrice russa, dall’ultimo intervento del giornalista a “Radio Padania”, che l’ha resa «molto triste». Motivo: «Mi sono resa conto – gli scrive – di come il tuo giudizio sulla Russia intera sia influenzato da ciò che vedi a Mosca. E anche di quanto questa Mosca benestante sia completamente disinteressata a ciò che succede nel resto del paese».I nuovi intellettuali democratici citati da Chiesa a “Radio Padania”? «Io non so nulla di questa nuova generazione di intellettuali – aggiunge la donna – perché il nostro eroe principale, da queste parti, è il delinquente marginale, che ruba e non fa niente di niente. E le leggi lo difendono». Non solo: grazie a questa “esemplare” impunità, aggiunge la lettrice, si forma la nuova generazione che appare allo sbando. «Vorrei che tu vedessi e sentissi come ragazzi e ragazze, giovanissimi, parlano tra loro, con un linguaggio dove altro non c’è che la più bassa volgarità. Perché non conoscono altro linguaggio che quello». Tutto ciò, aggiunge la donna, «mentre le persone normali sono ormai minoranza, e per loro non esiste alcun ordine pubblico, nemmeno l’elementare sicurezza, poiché chiunque voglia può infierire su di loro». Soprattutto, continua la lettera, «non c’è all’orizzonte alcuna prospettiva, non c’è luogo o occasione dove ognuno possa impiegare le sue forze e energie intellettuali. Non c’è posto per realizzare semplicemente il proprio desiderio di fare qualche cosa che abbia un senso, un’utilità, per la quale sacrificare se stessi». E questo, assicura, non accade soltanto nella sua piccola città: «Anche nel capoluogo più vicino alla piccola città in cui vivo è difficilissimo incontrare qualcuno che riesce a trovare un posto di lavoro che corrisponda alle sue capacità e alla sua professione. Io, per lo meno, di queste persone non ne conosco nemmeno una. Avverto perfino fisicamente come nella società crescono la stanchezza e l’insofferenza. Nessuno è però in grado di esprimere l’una e l’altra cosa in forme civilizzate».Un esempio italiano? La lettrice russa cita il ministro Toninelli, che ha parlato della “nostra infelice Italia”. «Ti risulta che qualcuno del nostro governo abbia mai pronunciato qualcosa di simile alla “nostra infelice Russia”? Da noi si sentono soltanto lodi sperticate di grandi successi», scrive la donna. «La gente, in Occidente, può manifestare e protestare, mentre da noi non può. Forse perché non abbiamo idea di cosa sia la società civile, o forse semplicemente per la sensazione che “tutto è inutile, e che in ogni caso loro faranno come gli pare”». Negli ultimi tempi, poi, «l’insofferenza si va dirigendo non solo contro i burocrati in generale ma anche contro Putin (al quale in un certo senso molto veniva perdonato, anche perché da noi è ancora forte l’esigenza di uno “zar buono”)». Il dissenso è tale che «può accadere qualche cosa di imprevisto e terribile». Una profezia, confidata a Chiesa: «Probabilmente tu non mi crederai se ti dico che Putin non resterà al suo posto fino alla fine del mandato». La donna manifesta «una grande paura». Teme cioè che la Russia «non sopravviva a un’altra rivoluzione». E conclude con un appello, ben poco ottimistico, alla divina provvidenza: «Che Dio non ci costringa a essere testimoni della rivolta russa, insensata e senza pietà».A tanta franchezza, Giulietto Chiesa replica senza giri di parole: «Cara amica, penso che la tua descrizione dei fatti sia purtroppo molto vicina alla realtà». Ma, aggiunge, «non so se lo siano anche le tue previsioni circa il futuro». E spiega: «Per quel poco che so del popolo russo, penso che il “bunt”, la rivolta, sia molto lontana. La vostra pazienza secolare ha impedito che essa si affacciasse molte volte». Di “bunt”, Giulietto Chiesa assicura di averne visto uno solo: quell’immensa protesta di popolo, a Mosca, nell’ottobre 1993, che precedette il bombardamento del Parlamento (la Casa Bianca) deciso da Boris Eltsin, «con il successivo massacro di cui nessuno parlò». E anche allora, «per quanto immensa fosse quella folla, la rivolta non andò a finire bene». Ma non c’è nessun dubbio, ammette Chiesa, che la politica interna della Russia stia andando assai male, «come non c’è dubbio che la distanza tra l’élite moscovita e pietroburghese e le masse popolari sia in crescita geometrica». Non c’è dubbio, aggiunge Chiesa, «che la corruzione sia dilagante, che la solidarietà sia in calo verticale», e che la cultura «stia degradando, così come l’istruzione». Non c’è alcun dubbio, insomma, «che la fiducia dei cittadini nelle istituzioni dello Stato sia ormai logorata». Il motivo? «La democrazia non ha fatto passi avanti rispetto al momento in cui iniziò la Perestrojka, sollevando grandi speranze in milioni di persone», come lo stesso Chiesa potè vedere con i suoi occhi.«Ma questo distacco dalle masse, che il potere non fa nulla per riempire – aggiunge il giornalista – è, anche per me, fonte di grande preoccupazione». Giulietto Chiesa pensa che la Russia, se vuole risolvere i suoi problemi, «debba in qualche modo essere di esempio al resto del mondo». Ovvero: «Debba, in primo luogo, ridurre la disuguaglianza sociale, impedire che la degenerazione consumistica e intellettuale, e morale, entri nel suo corpo con gli effetti devastanti», peraltro identici – in questo senso – a quelli che stanno investendo tutto l’Occidente. Nello stesso tempo, aggiunge, «io so qual è il peso mondiale della Russia». Sa bene, Chiesa, «qual è stato in questi anni il ruolo di pace che, con Putin, essa ha svolto». Per questo, ribadisce, continua ad appoggiare «la ragionevolezza delle sue prese di posizione, politiche a pratiche». Una precisa visione geopolitica: «Penso che, senza la Russia e il suo ruolo deterrente, il mondo sarebbe già assai più vicino a una guerra gigantesca e definitiva». E tuttavia, ammette Chiesa, il suo consenso rispetto al Cremlino «finisce sui confini della politica estera della Russia», dal momento che «il sistema sociale che è emerso dalla contro-rivoluzione etsiniana è stato un gravissimo passo indietro, al quale fino ad ora non è stato posto rimedio».Sempre secondo Chiesa, «la democratizzazione, nelle forme “russe” che essa non potrebbe non avere (non certo scimmiottando la democrazia “elitaria” che oggi domina l’Occidente) sarebbe indispensabile per ricostruire un rapporto decente tra dirigenti e diretti, e per aiutare il formarsi di una società civile moderna, da cui emergerebbero forze intellettuali e morali», oggi assenti nella Russia “profonda” descritta dalla lettrice. Non ha paura, Giulietto Chiesa, di sottoscrivere la più sincera delle ammissioni: «Credo, per quanto mi riguarda, di essere involontariamente caduto – raccontando la Russia in questi ultimi anni – nell’errore che invece non commisi durante i miei venti anni come corrispondente dall’Urss e poi dalla Russia: quello di pensare che la “vetrina” corrispondesse al paese». Non è così, scrive Chiesa: la “vetrina” non è lo specchio fedele della Russia. «Penso di aver commesso questo errore – aggiunge – confondendo e mettendo sullo stesso piano due cose assai distinte», come appunto «la politica estera e quella sociale interna». E cioè: «Volendo sostenere la prima posso avere dato l’impressione di appoggiare anche la seconda. Con questa mia risposta pubblica – conclude – intendo ristabilire la differenza».Non è da tutti, ammettere i propri errori, specie se si ha alle spalle una lunga storia fatta anche di coraggio. E’ il caso di Giulietto Chiesa, amico personale di Mikhail Gorbaciov. Nell’agosto del ‘91, mentre il golpista Ghennadi Janaev tentava di mascherare il colpo di Stato in corso, accampando ipotetici “problemi di salute” da parte del padre della Perestrojka, Giulietto Chiesa lo sfidò, in mondovisione, con una semplice domanda: «E lei come si sente, signor Janaev?». Per anni corrispondente da Mosca per “L’Unità”, poi per “La Stampa” e per il “Tg5”, Chiesa fu tra i primi, in Italia, con il saggio “La guerra infinita” uscito nel 2003 per Feltrinelli, a denunciare le trame (altrettanto golpiste) dei “neocon” Usa, sospettati di aver incubato la strage dell’11 Settembre, comodamente attribuita all’islamico Bin Laden. Giulietto Chiesa – riconobbe anni fa il caustico Paolo Barbard – è stato l’unico, degli esponenti della “casta” giornalistica italiana, a mettere a repentaglio la sua reputazione (e i suoi privilegi di ospite fisso, in televisione) pur di denunciare una verità che il manistream non voleva accettare. Oggi, a parte le sfortunate avventure politiche con Antonio Ingroia, Chiesa dirige sul web la voce libera di “Pandora Tv”, da cui spessissimo difende la politica di Putin e la Russia in generale, esponendosi alla facile accusa di coltivare nostalgie sovietiche. Ora fa pubblica ammenda: sulla Russia mi sono sbagliato, dice; Putin non è riuscito a rimediare agli orrori di Eltsin, e così il popolo soffre.
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Maddalena a Mattarella: arrendersi ai mercati è un crimine
Di fronte alla scelta di Mattarella di negare a Paolo Savona la nomina ministeriale ho provato disorientamento e abbattimento. Dal punto di vista strettamente costituzionale poteva dire “io non firmo”, perché l’articolo 90 della Costituzione conferisce al presidente potere di nomina. Ma nel caso di specie, dopo aver consentito a Di Maio e Salvini di fare un programma di governo e dopo aver dato l’incarico a Conte, la contrarietà a un singolo ministro per un fatto individuale trovo sia perlomeno politicamente inammissibile, comunque contraria alla volontà del popolo italiano e al corpo elettorale, che si è espresso chiaramente per cambiare il sistema. Gli italiani hanno espresso un voto antisistema, invece Mattarella – chiamando Cottarelli, che proviene dal Fmi – ha voluto ribadire il suo apprezzamento per il sistema neoliberista. Su questo il presidente sbaglia: tutto si può dire, tranne che il sistema neoliberista abbia portato dei buoni frutti. Ha aumentato le disuguaglianze in tutto il mondo. Ha cominciato Pinochet, che ha distrutto il Cile. Poi c’è stata la Thatcher in Inghilterra, dove il divario tra ricchi e poveri ha raggiunto livelli mai visti. Il neoliberismo è stato applicato da Reagan e poi soprattutto da Clinton negli Stati Uniti (che ora hanno reagito non confermando la Clinton e votando Trump: dalla padella alla brace).Il sistema valido è quello keynesiano, che permise agli Usa di superare la Grande Depressione degli anni Trenta. Si tratta di distribuire il denaro alla base della piramide sociale cioè ai lavoratori, facendo sì che i negozi aprano e le imprese assumano, in un circolo virtuoso. Invece, secondo la tesi neoliberista lanciata all’inizio degli anni ‘60 da un certo Milton Friedman della Scuola di Chicago, bisogna concentrare la ricchezza nelle mani di pochi e bisogna estromettere lo Stato dall’economia – cioè, il popolo intero non può partecipare all’economia come comunità statale: non si possono dare aiuti alle imprese, ci vuole una forte competività. Questo crea le premesse per cui il lavoro diventa merce, e quindi si tradisce l’idea stessa di Stato-comunità che è in Costituzione. La comunità è formata dal popolo, che contribuisce alla comunità col suo lavoro, dal territorio che offre i mezzi di sostentamento e le fonti di ricchezza necessarie per il progresso materiale e spirituale della società. La sovranità lascia al popolo l’appartenenza, a titolo di sovranità, del territorio, nonché la possibilità di decidere. Mi sembra che tutti gli elementi dello Stato-comunità vengano attaccati dal pensiero neoliberista, e mi spiace molto.Lo spread? Noi legittimiamo – non so in base a quale principio giuridico – l’azione speculativa, che è vietata dal nostro codice. E’ una sopraffazione, la speculazione: non è che possiamo dire che i mercati sono liberi di fare quello che vogliono. Quando gli Stati si sottomettono ai mercati, compiono un crimine fortissimo: i governanti devono appunto governare il mercato, non esserne governati. Il mercato fa i suoi interessi, e la speculazione non è lo strumento per fare i nostri. E’ vietata, la speculazione: può recare danno e farci morire tutti. E’ vietata dall’articolo 501 del codice penale, che punisce chi rompe la stabilità dei prezzi delle merci. Questa sottomissione al mercato, da parte dei governi di tutto il mondo – specie del mondo occidentale – è un errore madornale. Avere un mercato aperto non significa dare accesso a leggi di mercato arbitrarie. Il mercato dovrebbe seguire una sola legge naturale, quella della domanda e dell’offerta. In realtà, oggi tende solo ad appropriarsi dei beni altrui. Noi abbiamo dato tutto, ormai. Ci hanno tolto tutto: sono rimasti solo i nostri immobili privati, qualche piccola industria. Dobbiamo dare anche questo? Mi pare assurdo. E l’assurdità sta proprio in questo assecondare il pensiero neoliberista, e soprattutto l’azione – non legittima, per usare un eufemismo – che opera la finanza. La speculazione finanziaria è costituzionalmente illegittima: non è possibile darle legittimità. La riteniamo una cosa intoccabile, quasi sacra, quando in televisione stiamo a sentire com’è andata la Borsa.Nel rifiutare Savona, Mattarella ha detto di voler tutelare i piccoli risparmiatori italiani? Su questo sono completamente in disaccordo, tant’è vero che lo spread è salito. Non si possono assecondare i mercati, che agiscono in base a principi egoistici. Noi abbiamo bisogno di una cooperazione internazionale per controllare i mercati, ma lo stesso trattato internazionale sul commercio si è votato a favore della speculazione finanziaria. A mio avviso, la scelta di Sergio Mattarella – che rispetto, come persona – è completamente sbagliata. Ha buttato a mare un percorso che era durato 85 giorni. Lo stesso Savona gli aveva offerto una soluzione, dichiarandosi a favore dell’Europa: un’Europa con più uguaglianza tra gli Stati. La finanza agisce in modo malevolo, come la criminalità organizzata: se alla criminalità organizzata vai a dire “io faccio il tuo interesse”, quella fa il suo interesse e ti uccide lo stesso. Ci stanno uccidendo ugualmente, infatti: non si tratta, col nemico criminale. La trattativa Stato-mafia? Allora furono le stragi a portarci alla trattativa, adesso è la guerra economica cavalcata soprattutto dalla Germania. L’unica nostra salvezza è attuare la Costituzione. Anche se dovessimo andare verso una “decrescita felice”, come afferma Latouche, sarebbe preferibile: manterremmo le nostre cose e non saremmo esposti alla schiavitù. Perché a questo punto ci tolgono tutto il territorio ed è finita la comunità italiana – com’è avvenuto in Grecia, dove i cittadini fanno i camerieri per gli stranieri a cui hanno svenduto le loro case.Ho capito da tempo che nel pensiero neoliberista c’è un meccanismo pratico che prevede la creazione del denaro dal nulla e la commercializzazione di denaro fittizio, come quello dei derivati. Tutto a favore delle multinazionali e contro gli interessi del popolo italiano. Addirittura l’ultimo Gentiloni ha approvato il decreto legislativo incostituzionale “taglia-foreste”, destinate ad alimentare le centrali a biomassa dei nostri grandi imprenditori. Nell’ordinamento italiano è stato recepito il bail-in, cioè: se falliscono le banche, pagano i depositanti. Bella roba: questo è il sistema neoliberista, adottato dal Trattato di Maastricht e dal Trattato di Lisbona. Si tenga presente che, sui trattati europei, prevale la Costituzione della Repubblica italiana: a partire dal 1973, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha più volte affermato che nell’ordinamento italiano non possono entrare le norme comunitarie contrarie ai diritti fondamentali, ai diritti dell’uomo e ai principi fondanti della Costituzione repubblicana. Il diritto al lavoro è un diritto fondamentale: come facciamo a sostenere questo sistema economico predatorio neoliberista e ridurre il lavoro a merce? Dobbiamo ripristinare il diritto, e l’ha fatto l’Islanda con grande successo – nazionalizzando tutti i fattori della produzione. Se invece in Italia andiamo avanti così, sensa nazionalizzare niente, è sicuro che moriremo tutti.La finanza ci annienta con denaro fittizio: i derivati sono diventati 20 volte il Pil di tutti gli Stati del mondo. Noi italiani cosa siamo, degli imbecilli? Li potremmo far crollare abrogando leggi insulse che abbiamo approvato, facendo il male nostro. Addirittura i nostri rappresentati al Parlamento Europeo hanno detto sì al Ttip e al Ceta, cioè o trattati euro-atlantici che pretendono il risarcimento del danno se le multinazionali non riescono a piazzare in Italia i loro prodotti, che producono magari tumori. Per contro, quando sta succedendo potrebbe aiutare gli italiani a rendersi conto che devono essere uniti e opporsi al sistema predatorio e neoliberista. Evitando le delocalizzazioni, le liberalizzazioni e le privatizzazioni, e nazionalizzando il più possibile, gli italiani devono riprendersi il territorio che ci è stato tolto. Tornando al Quirinale: chi ha consigliato male il nostro presidente vuole il male dell’Italia, non in bene degli italiani. Il meccanismo neoliberista si fonda su precisi passaggi. Primo, creazione del denaro dal nulla. Derivati, cartolarizzazioni, Jobs Act, project-bond e tante altre cose, fatte con leggi incostituzionali. Quindi: privatizzazioni, liberalizzazioni. Nel 1990 abbiamo privatizzato tutte le banche pubbliche, primo atto assolutamente inconcepibile. Poi nel ‘92 abbiamo privatizzato l’Ina, l’Eni, l’Enel e l’Iri, con tutte le sue industrie. Ci siamo spogliati di tutto: il popolo italiano non produce più niente, è emarginato dall’economia. Come facciamo a pagare i nostri debiti? Anche quelli sono diventati una prestazione impossibile, ai sensi del codice civile. In un sistema predatorio, ogni giorno ci impoveriamo di più, ogni giorno il debito cresce.Poi addirittura questi signori pretendono che il debito diminuisca mettendo denaro da parte: ma il denaro non basta più neppure per arrivare a fine mese, è il sistema che deva cambiare. Questo sistema poi finisce con le svendite: tutto il settore alimentare se l’è preso la Francia insieme a quello della moda, il settore meccanico se l’è preso la Germania, mentre la Cina s’è preso il settore agricolo. Siamo mancanti di tutto, e manteniamo ancora questo sistema? Per fortuna la gente sta capendo che bisogna cambiare, sente che questo sistema fa male. E i due partiti che hanno avuto più voti sono stati antisistema. Vogliamo un altro sistema? Questo dovrebbe chiarito, alle prossime elezioni: vogliamo ancora il sistema predatorio che ci fa morire o vogliamo il sistema produttivo che ci fa vivere? Non ci sono più destra, sinistra e centro: sopra c’è la finanza speculativa e sotto ci sono gli schiavi, ci siamo noi. E gli schiavi ci sono anche negli Stati Uniti, in Cile, in Sudamerica, in Germania, in Francia. Bisogna rivitalizzare il senso della comunità politica e il senso della civiltà, perché è nella “civitas” che nasce la comunità. Altrimenti torniamo all’uomo-branco, dove piccoli branchi di speculatori finanziari uccidono tutti gli altri. E li stiamo anche legalizzando: quando il crimine diventa totale, allora lo si legalizza. Ma è un sistema suicida, illogico e riprovevole, dal quale dobbiamo uscire.(Paolo Maddalena, dichiarazioni rilasciate a Roberto Citrigno per l’intervista “E’ il momento di cambiare sistema”, trasmessa da “Pandora Tv” il 31 maggio 2018. Il professor Maddalena è vicepresidente emerito della Corte Costituzionale. Per l’editore Donzelli, Maddalena ha pubblicato nel 2014 il saggio “Il territorio bene comune degli italiani. Proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico”, seguito nel 2016 da “Gli inganni della finanza. Come svelarli, come difendersene”).Di fronte alla scelta di Mattarella di negare a Paolo Savona la nomina ministeriale ho provato disorientamento e abbattimento. Dal punto di vista strettamente costituzionale poteva dire “io non firmo”, perché l’articolo 90 della Costituzione conferisce al presidente potere di nomina. Ma nel caso di specie, dopo aver consentito a Di Maio e Salvini di fare un programma di governo e dopo aver dato l’incarico a Conte, la contrarietà a un singolo ministro per un fatto individuale trovo sia perlomeno politicamente inammissibile, comunque contraria alla volontà del popolo italiano e al corpo elettorale, che si è espresso chiaramente per cambiare il sistema. Gli italiani hanno espresso un voto antisistema, invece Mattarella – chiamando Cottarelli, che proviene dal Fmi – ha voluto ribadire il suo apprezzamento per il sistema neoliberista. Su questo il presidente sbaglia: tutto si può dire, tranne che il sistema neoliberista abbia portato dei buoni frutti. Ha aumentato le disuguaglianze in tutto il mondo. Ha cominciato Pinochet, che ha distrutto il Cile. Poi c’è stata la Thatcher in Inghilterra, dove il divario tra ricchi e poveri ha raggiunto livelli mai visti. Il neoliberismo è stato applicato da Reagan e poi soprattutto da Clinton negli Stati Uniti (che ora hanno reagito non confermando la Clinton e votando Trump: dalla padella alla brace).
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Scie chimiche in tribunale, ma resta il silenzio sul fenomeno
Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nessuno sa o vuole spiegare come mai i cieli non sono più azzurri, ma a strisce bianche. Eppure la colpa è dei “complottisti”, non dei governi che tacciono sul fenomeno. Non fa eccezione la reporter Silvia Bencivelli, letteralmente bombardata da «un crescendo di insulti e minacce sui social (spesso a sfondo sessuale)», dopo un articolo scritto per “La Stampa” nel 2013, dal titolo: “Scie chimiche, la leggenda di una bufala”. Un assedio intimidatorio che, scrive ora su “Repubblica”, «mi ha costretto a vivere nella paura» da quando un “branco” di ostinati “cospirazionisti” l’ha presa di mira. Ora è stato condannato quello che Silvia Bencivelli definisce “il capobranco”: si tratta di Rosario Marcianò, del blog “Tanker Enemy”: otto mesi, per diffamazione a mezzo web. «La sentenza è di quelle storiche, capaci di creare un precedente», scrive Giorgia Marino sulla “Stampa”, che saluta «forse anche un cambio di rotta, in tempi in cui odio digitale ed esacerbata violenza verbale impediscono troppo spesso un pacato e civile dialogo online». Tutto nasce nel 2013, quando Bencivelli scrive un articolo che la stessa Marino definisce “di giornalismo scientifico”. «Dopo appena mezz’ora dalla pubblicazione online, sulla casella di posta elettronica della giornalista arriva una email di Marcianò: “Non ti vergogni?”. Da quel momento – scrive Giorgia Marino – comincia un vero e proprio mail-bombing da parte dei seguaci di Marcianò, a cui segue una valanga di messaggi aggressivi su Facebook, incitati dallo stesso guru delle scie chimiche».«Una bufera a cui non ero minimamente preparata», sostiene Silvia Bencivelli: «Io mi occupo di neutrini e balene, mai avrei pensato di poter suscitare un tale odio con un mio scritto». Si occupa di neutrini e balene, ma ha affrontato anche il tema delle scie chimiche. Come? Definendo il fenomeno “la leggenda di una bufala”. Sicurezza tolemaica, esibita già a partire dal sottotitolo: “Come una storia inventata da due truffatori americani nel 1997, per colpa dell’irrazionalità e dell’antiscienza, è diventata un articolo di fede”. Dunque quelle scie bianche sono rilasciate “dall’irrazionalità e dall’antiscienza”, non dagli aerei? Nell’articolo, la Bencivelli rievoca la storia di due statunitensi, Richard Finke e Larry Wayne Harris, che per reclamizzare la Lwh Consulting, società di consulenza contro gli attacchi terroristici, nel 1997 «cominciarono a spammare email in cui annunciavano l’imminenza di un attacco», con il batterio della peste bubbonica nebulizzato in atmosfera. A seguire, un “mailing” aggressivo sulla presunta irrorazione con sostanze tossiche mescolate al carburante degli aerei: «Le linee che riempiono i nostri cieli non sono scie di condensazione: vengono disperse e possono durare ore, rilasciando lentamente il flagello». La bufala cominciò così a volare, scrive Bencivelli, approdando sui media americani grazie al giornalista William Thomas, che ha lanciato “Skyder Alert”, il primo social network per appassionati di “chemtrails”: scaricato su smartphone, permette di inviare direttamente ai propri politici di riferimento le foto del cielo solcato da strisce bianche.«Sì, perché le principali prove dell’esistenza del fenomeno sono, al momento, fotografie del cielo», aggiunge Silvia Bencivelli nel suo articolo del 2013, citando “leggende” come quella degli “elicotteri neri” e “arei invisibili” che rilascerebbero veleni. Ma, a parte le dicerie sui vettori-fantasma, che dire delle scie che infestano lettaralmente il cielo da una quindicina d’anni? «Nella loro versione tradizionale», scrive la giornalista, «le scie chimiche vere e proprie sarebbero bianche e si riconoscerebbero dalle normali scie di condensazione degli aerei perché più spesse, più durature e genericamente insolite e sospette». Sarebbero? Certo: si usa il condizionale, di fronte alle scie bianche, come se chiunque non le potesse vedere. «Sarebbero anche recenti, cose degli ultimi vent’anni», aggiunge Bencivelli, «a dispetto di documenti fotografici risalenti alla guerra civile spagnola e alla seconda guerra mondiale che mostrano il cielo striato dalle tracce dei bombardieri». Qui bisogna ricorrere a Orwell: a meno di non metter mano a Photoshop, infatti – tra le foto scattate, a miliardi, sul pianeta Terra – è praticamente impossibile vedere (in tempo di pace) cieli striati di bianco, prima del Duemila. Oggi, viceversa, come chiunque può constatare – chiunque, ma non il giornalismo “scientifico” – non esiste più alcun orizzonte interamente blu, se non in giorni di forte vento: l’atmosfera è letteralmente coperta dalla griglia candida stesa in cielo ogni giorno dai “pittori” alati.Come da copione, in questi casi il mainstream si rivolge al Cicap, il think-tank fondato alla fine degli anni ‘80 su impulso di Piero Angela. L’iniziale Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, proprio nel 2013 ha cambiato pelle: il suo “controllo” si è concentrato sulle Affermazioni sulle Pseudoscienze. L’uomo Cicap immancabilmente citato da Silvia Bencivelli nel suo celebre articolo sulla “Stampa” è Simone Angioni, chimico dell’università di Pavia. Lo schema è ripetitivo: Angioni si limita a parlare delle innocue scie di condensazione, quelle che “seguono” l’aereo per pochi chilometri, dissolvendosi rapidamente. Un giornalista, “scientifico” o no, a questo punto dovrebbe fare domande. Per esempio: le scie sono aumentate? Da quando sono comparse le scie “persistenti”? Sono provocate dal carburante degli aerei o da mutate condizioni atmosferiche? C’è da preoccuparsi o possiamo stare tranquilli? In altre parole: cosa sono, tutte quelle scie che ormai velano il sole e che vent’anni da non c’erano? Ma niente: non se ne parla proprio, laddove si svela “la leggenda di una bufala”. Il chimico Angioni preferisce un altro tema: la descrizione delle dicerie comuni, a cura del “complottismo”, sulla composizione delle scie. «Per qualcuno, di recente – aggiunge il tecnico del Cicap – c’è anche il sospetto di un complotto internazionale per indurre modifiche climatiche con microparticelle metalliche o cose simili, che nasce dalla confusione con esperimenti veri, e pubblici, di modifica di microcondizioni climatiche».Esperimenti veri, e pubblici, di modifica di microcondizioni climatiche? Questa sì che è una notizia, ma a quanto pare è fuori dalla portata dal nostro giornalismo “scientifico”. Il report “owning the weather” diffuso dal generale Fabio Mini, già a capo della missione Nato in Kosovo, è rimasto per lo più confinato nel recinto “cospirazionista” del web, così come le tesi sulla geoingegneria esposte a Erice dallo scienziato americano Edward Teller, il primo a parlare di “aerosol” nei cieli. «Ma in sostanza, niente di dimostrato e niente, alla fine, di veramente spaventoso», si legge nell’articolo della Bencivelli sulle scie, rassicurante solo per i ciechi. «Solo una bufala che vola», insiste, nonostante le innumerevoli interrogazioni parlamentari sul tema e il riprovevole spazio concesso alle ipotetiche “chentrails” da trasmissioni come “Voyager” e da emittenti come “Radio Deejay”. Ma attenzione: «Non è un vero business», precisa il chimico Angioni, improvvisandosi esperto di comunicazione: «Piuttosto serve ad avere l’attenzione dei media e del pubblico, fino alla prima serata in tv», quando finalmente si parlerà di cose più serie. «Nonostante tutto, la bufala delle scie chimiche continua a viaggiare indisturbata». Perché? Secondo Angioni, per una ragione umanissima: «La convinzione di essere i salvatori del mondo è appagante, soprattutto se si può diventare eroi restando comodamente seduti alla propria scrivania».Al contrario, «rivedere le proprie convinzioni significa tornare alla dura realtà», sostiene il chimico del Cicap. «Così molti preferiscono rimanere nel mondo delle cospirazioni globali». Il mondo dei complotti: «Quello in cui le bufale volano, per esempio», chiosa Silvia Bencivelli, il cui caso – le minacce, ora sanzionate dalla magistratura – torna ad alimentare la campagna di stampa contro il web. Silenzio assoluto, invece, sulle fake news che i grandi media continuano a fabbricare: solo “Pandora Tv” ha raccontato la storia di Hassan Djab, 11 anni, trasformato – in cambio di un po’ di cibo – in “comparsa” per il video girato dagli Elmetti Bianchi per simulare le conseguenze del presunto attacco chimico a Douma, servito da pretesto per il bombardamento missilistico ordinato da Trump. Giornali e televisioni? Hanno parlato dei “gas di Assad”, poi hanno voltato pagina. «I Caschi Bianchi tentano di corrompere anche il mondo dello spettacolo», denuncia Roger Waters in un concerto a Barcellona, dopo che qualcuno aveva cercato di ingaggiare l’ex Pink Floyd per la “crociata” contro la Siria. E’ vero, sui social media circola molto odio, protetto dall’anonimato dei nickname. Le menzogne veicolate dalla grande stampa, invece, fanno volare i missili. Le scie chimiche? Sembrano una piccola palestra di deformazione della realtà. Non viene in mente, al Cicap, che per dissipare le più fervide fantasie “complottistiche” basterebbe un pizzico di verità? Chi si azzarderebbe ancora a romanzare ipotesi fantasiose, se finalmente un governo si decidesse a spiegare cosa sono, quelle scie bianche che tutti (tranne il giornalismo “scientifico”) vedono invadere il cielo, da una ventina d’anni?Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nessuno sa o vuole spiegare come mai i cieli non sono più azzurri, ma a strisce bianche. Eppure la colpa è dei “complottisti”, non dei governi che tacciono sul fenomeno. Non fa eccezione la reporter Silvia Bencivelli, letteralmente bombardata da «un crescendo di insulti e minacce sui social (spesso a sfondo sessuale)», dopo un articolo scritto per “La Stampa” nel 2013, dal titolo: “Scie chimiche, la leggenda di una bufala”. Un assedio intimidatorio che, scrive ora su “Repubblica”, «mi ha costretto a vivere nella paura» da quando un “branco” di ostinati “cospirazionisti” l’ha presa di mira. Ora è stato condannato (in primo grado) quello che la Bencivelli definisce “il capobranco”: si tratta di Rosario Marcianò, del blog “Tanker Enemy”: otto mesi, per diffamazione a mezzo web. «La sentenza è di quelle storiche, capaci di creare un precedente», si compiace Giorgia Marino sulla “Stampa”, che saluta «forse anche un cambio di rotta, in tempi in cui odio digitale ed esacerbata violenza verbale impediscono troppo spesso un pacato e civile dialogo online». Tutto nasce nel 2013, quando Bencivelli scrive un articolo che la stessa Marino definisce “di giornalismo scientifico”. «Dopo appena mezz’ora dalla pubblicazione online, sulla casella di posta elettronica della giornalista arriva una email di Marcianò: “Non ti vergogni?”. Da quel momento – scrive Giorgia Marino – comincia un vero e proprio mail-bombing da parte dei seguaci di Marcianò, a cui segue una valanga di messaggi aggressivi su Facebook, incitati dallo stesso guru delle scie chimiche».
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Putin: Usa fermatevi, abbiamo missili iper-sonici ‘imparabili’
Scordatevi di passarla liscia, dopo aver colpito la Russia con un “first strike”, un attacco nucleare preventivo come quello lungamente accarezzato dai neocon annidati alla Casa Bianca sotto la presidenza Obama: Mosca dispone di armi nuovissime e micidiali, in grado di annullare l’intero arsenale balistico statunitense. Ha del clamoroso, il recente annucio di Putin: i russi hanno a disposizione armamenti fino a ieri inimmaginabili. Missili atomici intercontinentali fulminei, non intercettabili: viaggiano a una velocità pari a 20 volte quella del suono, e non in base a un’orbita prestabilita. I missili Avangard e Sarmat sono a guida remota, pilotati a distanza e diretti sul bersaglio, su cui piombano dopo un volo a bassissima quota. In più, la Russia annuncia di aver varato il primo drone sommergibile della storia, un natante senza pilota in grado di filare a 200 chilometri orari a grande profondità, anch’esso armato con missili atomici. «Non esiteremo a impiegare questi armamenti – avverte Putin – per difendere il suolo russo e anche i nostri più vicini alleati». Il che, tradotto, «significa una sola cosa: la protezione strategica russa si estende alla Cina», sostiene Giulietto Chiesa su “Pandora Tv”. Di colpo, l’annuncio del Cremlino vanifica 15 anni di continue provocazioni da parte degli Usa, che hanno sostanzialmente accerchiato la Federazione Russa.Tutto comincia nel 2002, un anno dopo l’11 Settembre, quando George W. Bush decide di stracciare il trattato Abm stipulato nel 1975: impegnava Usa e Urss a non sviluppare difese strategiche contro i missili balistici, esponendo in tal mondo le due superpotenze, in modo simmetrico, alla rappresaglia incrociata – la famosa “pax nucleare”, fondata sulla reciproca deterrenza atomica. Dopo il crollo delle Torri Gemelle, in piena era Bush, gli Usa hanno avviato la loro “guerra infinita” col pretesto del terrorismo islamico, di fatto chiudendo l’ex Unione Sovietica in una sorta di assedio progressivo. Afghanistan e Georgia, estensione della Nato nell’Est Europa (violando la storica promessa fatta da Bush senior a Gorbaciov), quindi la clamorosa provocazione del golpe in Ucraina travestito da rivolta democratica, a ridosso della frontiera russa, e infine la guerra in Siria, per tentare di rovesciare l’alleato mediorientale di Putin, a capo dell’unico paese che ospiti una base militare di Mosca (quella di Tartus, nel Mediterraneo) situata fuori dai confini russi. Ultimo capitolo del piano pluriennale di accerchiamento: la tensione (pirotecnica) con la Corea del Nord. Obiettivo generale degli Usa, secondo Chiesa: posizionare truppe e missili a ridosso dei missili di Mosca, per poterli colpire al momento del lancio.Di recente, aggiunge Chiesa, gli Stati Uniti hanno annunciato che tra 5-6 anni sarà pronto il loro “scudo spaziale antimissile”, progettato probabilmente per neutralizzare i vecchi armamenti russi. Le nuove super-armi di Putin invece sono già pronte, e l’annuncio del Cremlino (difficile che si tratti di un bluff) potrebbe avere conseguenze politiche inaudite: ristabilisce l’antica parità strategica infranta dagli Usa e mette anzi la Russia in posizione di vantaggio. Come dire: finiamola una volta per tutte, con questa corsa folle, perché nessuno potrà colpire l’altro senza rimetterci la pelle. I super-missili russi possono radere al suolo il Giappone e colpire l’America, ma è ovvio che nel mirino c’è soprattutto l’Europa (Italia in primis) trasformata in “fortezza” con decine di basi Nato: le installazioni missilistiche europee, par di capire, sarebbero le prime a essere colpite. La mossa di Putin, che aveva sperato invano nell’elezione di Trump per poter voltare pagina, ha un valore geopolitico inaudito. Fino alla vigilia delle sanzioni euro-atlantiche contro l’economia russia, all’epoca dei giochi olimpici di Sochi, Putin aveva ripetuto un messaggio chiarissimo: la Russia chiede rispetto e vuole essere un partner dell’Occidente, non un antagonista. Obama e la Clinton hanno risposto con la demonizzazione del Cremlino, trasformando l’Est Europa in una caserma Nato.Ora, Putin rimette la palla al centro. Non provateci, è come se dicesse: non vi conviene. Bisogna cambiare politica: e se non basta la diplomazia, a pesare sarà la minaccia dei super-missili. E’ di enorme portata, osserva Chiesa, il passaggio in cui Putin avverte: reagiremo anche se a venir colpita fosse la Cina, che evidentemente non è ancora in grado di schierare armi analoghe: rivela la profondità dell’alleanza difensiva russo-cinese, maturata in risposta all’offensiva americana. Inoltre, aggiunge Chiesa, se queste armi sono già in funzione, la loro presenza cambia completamente il quadro strategico, sul piano militare: annulla, di colpo, la storica superiorità navale degli Usa, trasformando le portaerei in “barchette di carta”, «perché questi missili non sono “parabili”, attualmente: sono troppo veloci e imprevedibili». Di fatto, «va a farsi benedire l’idea stessa della guerra nucleare, così com’era stata concepita in tutti i decenni precedenti». Tramonta la storica superiorità strategica defli Stati Uniti? Implicazioni sconcertanti: archiviano «l’idea stessa della possibilità di uno scontro». E c’è di più: Russia e Cina si muoveranno insieme, nella conquista dello spazio. «Significa avere una proiezione prima impensabile, nel campo delle armi spaziali, grazie alla tecnologia russa e ai mezzi finanziari cinesi».«Con questa mossa – aggiunge Giulietto Chiesa – la Russia comunica che la parte militare della “guerra ibrida” è ancora disinnescabile: una bomba ancora fermabile». Ma quella che Papa Francesco chiama “Terza Guerra Mondiale a pezzi” è appunto “ibrida” e pienamente in corso: guerra mediatica, guerra tecnologica, guerra biologica, guerra climatica, guerra finanziaria. Poi c’è una guerra ancora più invisibile, affidata ad armi segrete in fase di sperimentazione. «E in tutte queste guerre – dice Chiesa – ho l’impressione che la Russia sia in grande svantaggio: sicuramente l’immensa rete web è interamente in mani americane». Altro problema, per Mosca: l’energia. «I russi sono molto vulnerabili sotto il profilo energetico, perché l’intero mercato del petrolio è ancora nelle mani dell’Opec, cioè degli Usa. A stabilire il prezzo del barile sono 9 grandi banche internazionali, di cui 6 statunitensi, che possono infliggere colpi durissimi a chi non sta al loro gioco, cioè paesi come Venezuela, Iran e Russia». La guerra biologica, sottolinea Chiesa, è basata sulle nano-tecnologie, con esiti inimmaginabili: «Parliamo di strumenti di controllo e di previsione che hanno la dimensione di una molecola, inseribili in qualsiasi corpo». Quanto alla guerra climatica, è la stesa marina Usa ad annunciare che, nel 2025 gli Stati Uniti avranno il controllo del clima mondiale: potranno condizionare la vita di milioni di persone, in ogni continente.«Tutto è aperto, ma questo quadro dipende comunque dalla realizzabilità di un attacco militare distruttivo e definitivo», conclude Giulietto Chiesa. «La Russia si conferma in questo momento una forza deterrente cruciale, anche se gli europei non l’hanno ancora capito. I cittadini sono fuori causa, dal momento che non sono informati: ma i dirigenti europei dei paesi Nato? Sono consapevoli del rischio che stiamo correndo, e della tendenza a uno scontro?». Il gruppo dirigente Usa puntava al “first strike” risolutivo entro 8-10 anni, che ora non è più pensabile: assisteremo quindi a un ragionevole cambiamento di strategia, o i gruppi che vogliono la guerra reagiranno invece con un’accelerazione? «Sfortunatamente, il sistema mediatico ha mascherato questa realtà: non l’ha fatta arrivare alle orecchie e agli occhi del grande pubblico occidentale. E’ tempo di rimettere al passo le lancette degli orologi, rendendoci conto di quello che sta davvero avvenendo». Dall’alto dei suoi nuovissimi missili supersonici, Vladimir Putin annuncia “cinque anni di tempo per rinsavire”.Scordatevi di passarla liscia, dopo aver colpito la Russia con un “first strike”, un attacco nucleare preventivo come quello lungamente accarezzato dai neocon annidati alla Casa Bianca sotto la presidenza Obama: Mosca dispone di armi nuovissime e micidiali, in grado di annullare l’intero arsenale balistico statunitense. Ha del clamoroso, il recente annucio di Putin: i russi hanno a disposizione armamenti fino a ieri inimmaginabili. Missili atomici intercontinentali fulminei, non intercettabili: viaggiano a una velocità pari a 20 volte quella del suono, e non in base a un’orbita prestabilita. I missili Avangard e Sarmat sono a guida remota, pilotati a distanza e diretti sul bersaglio, su cui piombano dopo un volo a bassissima quota. In più, la Russia annuncia di aver varato il primo drone sommergibile della storia, un natante senza pilota in grado di filare a 200 chilometri orari a grande profondità, anch’esso armato con missili atomici. «Non esiteremo a impiegare questi armamenti – avverte Putin – per difendere il suolo russo e anche i nostri più vicini alleati». Il che, tradotto, «significa una sola cosa: la protezione strategica russa si estende alla Cina», sostiene Giulietto Chiesa su “Pandora Tv”. Di colpo, l’annuncio del Cremlino vanifica 15 anni di continue provocazioni da parte degli Usa, che hanno sostanzialmente accerchiato la Federazione Russa.
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Davide Cervia, “sequestro di Stato”: condannato il ministero
Una donna senza più il marito, due figli senza più il padre. Scomparso. Catturato da sconosciuti, una sera, davanti al cancello di casa, nella campagna di Velletri. Che fine ha fatto? E’ stato “venduto” a paesi come la Libia, a cui l’Italia non avrebbe potuto né dovuto fornire armamenti? E’ stato poi ucciso, per cancellare la prova vivente di un affare inconfessabile? Chi sa, non parla: da quasi 28 anni. Quell’uomo? Preziosissimo. Un super-militare, con competenze Nato top secret: guerra elettronica. E’ ancora vivo? Invocano notizie la moglie, la figlia. E’ passato un quarto di secolo, e i militari non parlano. Un regista, Francesco Del Grosso, dopo 24 anni di silenzio decide di fare un film su quella storia, “Fuoco amico”. Ma alla vigilia delle riprese salta in aria la casa, esplode una finestra. Solo per miracolo la ragazza, Erika, non viene investita dall’esplosione. Lei e sua madre devono smetterla di chiedere dov’è finito quell’uomo, l’enfant prodige della marina militare italiana. Sapeva rendere invulnerabile una nave da guerra. Era il mago dei missili Teseo-Otomat, che colpiscono a 180 chilometri di distanza. Era stato il migliore, al corso d’élite frequentato a Taranto. Il miglior tecnico, imbarcato sulla miglior nave da battaglia italiana, la fregata Maestrale. Una sera è stato catturato. Sparito, inghiottito nel nulla. Lo Stato? Ha ostacolato la ricerca della verità. Lo afferma, oggi, la sentenza di una giudice, Maria Rosaria Covelli. Ma la verità è ancora lontana: che fine ha fatto Davide Cervia?«Nemmeno il “Fatto Quotidiano” ha voluto dare la notizia della sentenza: nemmeno Marco Travaglio, a cui ho scritto», dice la moglie di Davide, Marisa Gentile, a colloquio con Stefania Nicoletti e Paolo Franceschetti a “Forme d’Onda”, trasmissione web-radio. «Viviamo un assedio infinito: lettere minatorie, pedinamenti, telefonate mute, anonimi che dicono “sappiamo dov’è tuo marito”. Ogni volta che andiamo a parlare nelle scuole di Velletri, poi ci ritroviamo le gomme dell’auto tagliate. Un funzionario del ministero dell’interno arrivò a offrirmi un miliardo di lire purché lasciassimo perdere. Adesso, il 23 gennaio, il tribunale di Roma ha condannato il ministero della difesa. Il danno, secondo i nostri avvocati, ammontava a 5 milioni di euro. Ma abbiamo preteso solo un risarcimento simbolico: un euro. E comunque l’avvocatura dello Stato ci ha costretto a firmare la rinuncia ad altre cause civili, altrimenti avrebbero chiesto la prescrizione, che sarebbe stata la pietra tombale su questa storia». L’ultima sentenza è decisiva, come quelle su Ustica: sancisce la violazione, da parte dello Stato, del diritto alla verità. Lo sostengono gli avvocati, Alfredo Galasso e Licia D’Amico. L’ammiraglio a riposo Falco Accame, vicino alla famiglia, auspica che il coraggioso verdetto del tribunale di Roma possa rompere il silenzio che oscura le “morti bianche” di tanti militari uccisi dall’uranio impoverito nelle missioni all’estero. Secondo Franceschetti, domani potrebbero “svegliarsi” anche i familiari di altre vittime, quelle delle troppe stragi impunite.Di origine ligure, Davide Cervia si era trasferito a Velletri dopo aver lasciato la marina. E’ scomparso il 12 settembre 1990: assalito mentre rincasava e caricato a forza su un’auto verde. Lo Stato ha impiegato anni, per ammettere che fosse stato rapito: si fece credere che, semplicemente, avesse abbandonato volontariamente la famiglia. Poi la marina militare ha negato a lungo che fosse un tecnico altamente specializzato: il suo vero curriculum è saltato fuori soltanto dopo che i familiari hanno occupato fisicamente il ministero. Adesso, dopo quasi 28 anni, il tribunale romano condanna i militari: hanno ostacolato il diritto alla verità. Quale verità? Non è dato saperlo. Tanti inidizi portano alla Libia, che nel ‘90 era sotto embargo e immaginava di essere minacciata, alla vigilia della prima Guerra del Golfo. Due operai italiani sostengono di aver visto Davide Cervia quattro anni dopo, vivo e vegeto, in una base missilistica vicino a Sebha. Per anni, racconta il giornalista investigativo Gianni Lannes sul blog “Su la testa”, la marina militare negò che Davide Cervia avesse la qualifica di esperto “Ge”, guerra elettronica, fino al giorno in cui, appunto, «la moglie Marisa e il suocero Alberto occuparono, insieme al “Comitato per la verità su Davide Cervia”, gli uffici dall’allora ministro della difesa italiano Martino».Dopo otto ore di trattative serrate e tese, ricorda Lannes, «il vero foglio matricolare venne fuori: la specializzazione che la marina aveva sempre negato era lì, nero su bianco». Non si trattava di un attestato qualsiasi: comprovava «un addestramento di altissimo livello, che poche decine di tecnici avevano». Per la burocrazia della marina, Cervia era un tecnico Elt/Ete/Ge, specializzato nei dispositivi di disturbo dei radar nemici. Quella sigla rendeva l’ex sergente della marina scomparso «un pezzo prezioso che qualcuno aveva “venduto”, includendolo in uno dei sofisticati sistemi d’arma prodotti in Italia». E Davide non era uno qualsiasi, aggiunge Lannes, tanto che sul suo dossier gli ufficiali scrissero: «Ha contribuito in maniera fattiva alla esecuzione delle manutenzioni preventive e correttive sugli apparati “Ge”, facendosi apprezzare per l’elevata preparazione professionale, l’interesse e la dedizione al servizio». Per Gianni Lannes si è trattato di «un sequestro di Stato», sostanzialmente «favorito da agenti del Sismi, allora guidato dall’ammiraglio Fulvio Martini». Lo stesso Sismi che il giornalista considera implicato nella scomparsa dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo (Libano, 1980), nonché nell’eliminazione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (Somalia, 1994), e dei due sottufficiali piloti della Guardia di Finanza, Gianfranco Deriu e Fabrizio Sedda, caduti in Sardegna nel 1994 a bordo dell’elicottero “Volpe 132” (a loro volta, dopo indagini su armi-fantasma?).A quel tempo, ricorda Lannes, il capo di stato maggiore della marina era l’ammiraglio di squadra Filippo Ruggero. «Per la cronaca incombeva in quell’anno il governo Andreotti: alla difesa c’era Martinazzoli, mentre agli esteri figurava De Michelis, con l’apporto di Gava agli interni». Proprio la qualifica di specialista Ete/Ge, dice Lannes, «è la causa del rapimento di Davide Cervia, “venduto” a sua insaputa come tecnico esperto di guerra elettronica, in seguito al divieto delle Nazioni Unite di commerciare armi o addestrare militari nei paesi in guerra». In quel periodo, rammenta il suocero di Davide, Alberto Gentile, era vietato vendere armi alla Libia di Gheddafi. Ma, negli anni ‘80, i libici avevano riammodernato nei cantieri di Genova (su una fregata e due corvette) le stesse apparecchiature di cui era esperto Davide: Otomat, Aspide e Albatros. Nel dicembre del ‘96 la famiglia incontrò il sottosegretario Rino Serri, racconta Alberto Gentile in un’intensa ricostruzione realizzata da Marcello Michelini ed Enrico Chiarioni per “Crescere Informandosi”, trasmessa da “Pandora Tv”. «Davanti a testimoni – afferma il suocero di Davide – Serri raccontò che stavano facendo trattative con la Libia “per poter liberare Davide”, ma disse che non si poteva assolutamente parlare di “rapimento”».Nato a Sanremo nel ‘59, Davide Cervia si era arruolato volotario in marina il 5 settembre 1978, diciannovenne, con ferma di sei anni. A Taranto risultò il migliore del suo corso e venne qualificato specialista Ete/Ge, tecnico elettronico per la guerra hi-tech. All’epoca, tra tutti gli “Elt 78/B” fu l’unico a ottenere quella qualifica, ricorda Lannes. Avviato al Centro Addestramento Aeronavale per la specializzazione pre-imbarco, sempre a Taranto, venne poi inserito nell’equipaggio di quella che all’epoca era la più moderna nave italiana, la fregata Maestrale, «acquisendo una specializzazione preziosissima». Si congedò dalla marina il 1° gennaio 1984 e quattro anni dopo si trasferì a Velletri, dove iniziò a lavorare nella società Enertecnel Sud, con sede presso Ariccia. Davide Cervia, riassume Lannes, era dunque un tecnico della guerra elettronica, specializzato nei sistemi di arma Teseo-Otomat che l’industria militare italiana «aveva venduto fin dagli anni ‘70 ai tanti paesi-canaglia del mondo, Libia compresa». Gli elementi che collegano la sua scomparsa alla Libia sono molteplici: «L’assistenza militare del regime di Gheddafi è sempre stata una nostra specialità», scrive Lannes. Un tecnico come Cervia «era a dir poco preziosissimo», per gestire le attrezzature Teseo-Otomat installate su navi libiche a fine anni ‘80.Secondo il portale giuridico “Altalex”, il verdetto ora emesso dall’autorità giudiziaria romana rappresenta «una sentenza molto importante», perché, «oltre a dar ragione nella sostanza alla famiglia dello scomparso, sul fatto che si tratti di rapimento e non di allontanamento volontario, pone alcuni importanti principi di diritto, già affermati con la sentenza che riguarda il caso Ustica». E cioè: «Il diritto alla verità da parte dei parenti di un soggetto scomparso in circostanze misteriose è un diritto soggettivo, personalissimo e di rango costituzionale, contenuto nell’articolo 21». Diritto che viene leso da ogni attività che, senza un’adeguata giustificazione, «impedisca, limiti o condizioni» l’acquisizione di informazioni. «In questa sentenza c’è una novità assoluta, cioè il riconoscimento del fatto che il ministero della difesa ha violato questo diritto, e per questo viene condannato», dichiara l’avvocato Licia D’Amico a “Osservatore Italia”. «Non so quante altre volte sia accaduto che una istituzione dello Stato, un ministero, sia stato condannato a risarcire un danno ad una famiglia per aver nascosto la verità: insomma, non è poca cosa». Specie se si considera che gli “insabbiatori” hanno insistito fino all’ultimo sull’idea che Cervia – di cui hanno a lungo negato la decisiva specializzazione – avesse abbandonato la famiglia volontariamente. «Pura follia», racconta la figlia, Erika: «Papà era alle prese con grandi preparativi per l’anniversario di matrimonio».Molte cose su Davide, dice la moglie Marisa nel video realizzato da Michelini e Chiaroni, la famiglia le ha apprese solo dopo la sua scomparsa: aveva rivestito incarichi di particolare segretezza, anche svolgendo stage presso aziende belliche. «Tra i documenti di Davide abbiamo trovato persino il Nos, “nulla osta di segretezza Nato”, ammesso dalla marina dopo 6 anni di nostre pressanti richieste». Per la famiglia Cervia, un incubo senza fine: «Rapito Davide, eravamo a Velletri solo da due anni, e io ne avevo appena 28: fecero girare la voce che mio marito era scappato con un’altra». Eppure, i fatti gridavano la peggiore delle verità: la sera di quel maledetto 12 settembre l’anziano vicino di casa, Mario Cavagnero, vide tutto. «Testimoniò con le lacrime agli occhi di aver visto mio padre strattonato da alcune persone che lo aspettavano davanti al cancello di casa», racconta la figlia, Erika. «Immobilizzato, narcotizzato e spinto con la forza in un’auto color verde bottiglia. Mio padre gridò più volte il nome del vicino, nella speranza che lo potesse aiutare». Raccontò l’uomo: «“Mario!” mi chiamava, disperato: ma è stato tutto troppo rapido perché potessi intervenire». Era la prova regina del rapimento: solo che poi, racconta Erika, «dal verbale dei carabinieri emerse che mio padre stesse chiamando Mario per salutarlo, e che Mario (il testimone chiave) fosse un povero vecchio in stato confusionale».Poco dopo, un autista delle autolinee locali (oggi Cotral) sulla tratta Roma-Velletri «incrociò l’auto verde e la Golf bianca di mio padre guidata da un biondino». Un quasi-incidente, all’incrocio tra Colle dei Marmi e l’Appia. «Dovette fare una brusca frenata per evitare le due auto, che non si fermarono allo stop». L’autista del pullman notò sull’auto verde «due persone, sedute dietro, che con le spalle e le braccia coprivano qualcosa, come a voler nascondere qualcuno». E la Golf bianca di Davide Cervia? «I carabinieri “dimenticarono” di idicare nel verbale il numero di targa: per giorni, la polizia non potè cercarla», dice la moglie. Una vettura rimasta “fantasma” per addirittura sei mesi. «Poi, grazie a una lettera anonima indirizzata alla trasmissione “Chi l’ha visto?”, allora condotta da Donatella Raffai, l’auto venne ritrovata a Roma in via Marsala, vicino alla stazione Termini, dove (secondo la lettera) era parcheggiata da 6 mesi. Ma così non era: mio padre, ferroviere, coi suoi colleghi aveva setacciato la zona palmo a palmo», racconta Marisa Gentile. La Golf riapparsa? «Fatta ritrovare lì per far credere a un allontanamento volontario». Intervennero gli ispettori della Digos: «Frugarono dappertutto, ma senza guanti: addio impronte digitali». Prima ancora, l’auto fu aperta con una micro-carica esplosiva, osserva Marisa: «Quella Golf aveva un impianto a gas, e quindi far saltare la serratura con dell’esplosivo poteva essere pericoloso: a meno che non si sapesse che il serbatoio del gas era vuoto?».Nel frattempo, mentre le indagini “dormivano”, arrivò un indizio dalla Francia. Gianluca Cicinelli, autore di due libri sulla vicenda nonché presidente del “Comitato per la Verità su Davide Cervia”, nel ‘95 venne contattato da un ex funzionario dell’Air France, da poco in pensione. Raccontò: tra dicembre ‘90 e gennaio ‘91 era arrivata alla compagnia aerea transalpina una richiesta di verifica, per sapere se ci fosse un biglietto aereo a nome Davide Cervia. «Lo trovò: per il 6 o l’8 gennaio ‘91 (non ricordava bene la data) per la tratta Parigi-Cairo. Biglietto acquistato per un’agenzia che lavora per il ministero francese degli affari pubblici. Nessuno ne aveva mai parlato». Al che, Cicinelli fece denuncia alla Criminalpol, partì l’indagine e si scoprì che quel biglietto effettivamente esisteva. Ma l’Air France non aveva comunicato nulla agli inquirenti perché, secondo loro, apparteneneva a un omonimo di Davide: un militare francese (con nome italiano, in quanto originario della Corsica). Fino ad allora, la procura di Velletri non aveva potuto fare vere indagini «per carenze di organico». Nel ‘98-99, quando la procura di Roma avocò l’inchiesta riaprendo il caso del biglietto aereo, l’Air France cambiò versione: quel biglietto aereo non era più intestato al “Davide Cervia della Corsica”, bensì a una “signorina Cervia”; in più era cambiata la tratta, e “purtroppo” non si poteva più fare nulla perché tutti i documenti erano stati cestinati.Il 5 aprile del 2000, racconta Erika Cervia, il caso fu archiviato come sequestro di persona a opera di ignoti. «Per noi fu una grandissima vittoria, veder sparire la testi dell’allontamento volontario di mio padre. Ma anche una sconfitta: dopo dieci anni, con l’archiviazione, veniva messa una pietra tombale sulla vicenda. Scandaloso: per i primi 8 anni mio padre non fu assolutamente cercato dalla procura di Velletri, quindi si sono persi proprio gli anni fondamentali per la sua ricerca». Poi, nel 2012, la notizia su Ustica: i familiari delle vittime hanno avevano citato a giudizio i ministeri trasporti e difesa, per omissioni, depistaggi, negligenze e violazione del cosiddetto “diritto alla verità”. «Noi abbiamo denunciato il ministero della difesa e quello giustizia. Ma i testi sono stati finalmente ascoltati solo a partire dal 2016, dopo quattro anni di rinvii». Nel frattempo, la famiglia Cervia è stata incessantemente sottoposta al consueto trattamento: minacce e intimidazioni, fino all’esplosione della finestra di casa. «Spesso – rileva Paolo Franceschetti, avvocato – i parenti delle vittime, in casi analoghi, si piegano. I Cervia invece hanno resistito in modo commovente, per amore di Davide, spiazzando i loro persecutori». Oggi brindano: c’è l’immensa soddisfazione morale di una sentenza che condanna lo Stato per aver mentito. Ma all’appello manca ancora il premio più importante: Davide.«Il prossimo passo – annuncia Marisa Gentile – sarà un appello alla politica, appena il nuovo Parlamento sarà insediato, perché ci spieghi come mai alcune strutture dello Stato hanno depistato». Con la speranza, naturalmente, che «chi sa trovi il coraggio di parlare e di raccontarci quanto accaduto», dice la donna a Fabrizio Peronaci del “Corriere della Sera”, l’unico grande giornale che abbia dato la notizia della sentenza romana. «E’ sconcertente il silenzio dei media», dice Marisa, «per non parlare del silenzio del servizio pubblico Rai». Ancora ai giorni nostri il sequestro Cervia è un fatto indicibile, rileva Gianni Lannes, tant’è vero che ad alcuni atti parlamentari il governo Renzi non ha risposto, come nel caso di un’interrogazione del 10 aprile 2014. Perché tacere ancora su questa scottante vicenda, «coperta dall’affaristica ragion di Stato»? Il Sismi, aggiunge Lannes, «si è sempre occupato direttamente della vendita di armi all’estero, compresi i sistemi d’arma ed il personale altamente specializzato. In questa vicenda non bisogna farsi ingannare dai depistaggi istituzionali che hanno messo in atto più volte, per dirottare la famiglia ed eventuali ricercatori indipendenti su piste fantasma. Un classico: omissioni, reticenze e menzogne dell’apparato statale costellano la vicenda, nonché minacce e intimidazioni alla stessa famiglia Cervia, mai protetta dallo Stato».Per dipanare l’aggrovigliata matassa, insiste Lannes, «bisogna partire dal movente e dai mandanti: Cervia aveva forse rifiutato qualche offerta?». Ovvero: è stato rapito dopo essersi rifiutato di trasferirsi, magari in Libia? Nel blog “Su la Testa”, Gianni Lannes esibisce una vastra documentazione: a partire dal 1992, un anno dopo la scomparsa di Davide, su Camera e Senato è piovuta una grandine di richieste per far luce sulla vicenda. Risultato: silenzio di tomba. Domande scomode, che oggi Lannes riassume: «Qual è stato il ruolo svolto nella vicenda dai servizi segreti italiani? Come si spiegano le reticenze e la contraddittorietà degli interventi che emergono dalle risposte rese nel tempo ad alcuni atti di sindacato ispettivo inerenti la vicenda?». E poi: «Sono state condotte ricerche sulla sorte degli altri tecnici italiani che hanno conseguito la stessa specializzazione di Davide Cervia? Quanti sono, quanti di loro risultano in congedo e quanti sono ancora in servizio in Italia o all’estero?». Ancora: «Sono state effettuate ricerche e indagini giudiziarie presso i paesi ai quali gli armamenti in questione (Teseo-Otomat) sono stati venduti? E’ stata accertata l’effettiva destinazione finale delle suddette armi onde verificare che non sia in atto un traffico d’armi “triangolato” e che non vi siano state violazioni delle norme sulle esportazioni di armi verso paesi per i quali fossero in corso embarghi militari?». Se non altro, dopo quasi 28 anni di depistaggi e omissioni, ora c’è almeno un brandello di verità: lo Stato è colpevole. Ma dov’è finito il super-tecnico rapito? «Giustamente si chiede verità per Giulio Regeni», dice Marisa Gentile. «A quando la verità su Davide Cervia?».Una donna che non sa più dove sia il marito, E due figli senza più notizie del padre, specialista in guerra elettronica. Scomparso. Catturato da sconosciuti, una sera, davanti al cancello di casa, nella campagna di Velletri. Che fine ha fatto? E’ stato “venduto” a paesi come la Libia, a cui l’Italia non avrebbe potuto né dovuto fornire armamenti? E’ stato poi ucciso, per cancellare la prova vivente di un affare inconfessabile? Chi sa, non parla: da quasi 28 anni. Quell’uomo? Preziosissimo. Un super-militare, con competenze Nato top secret. E’ ancora vivo? Invocano sue notizie, inutilmente, i familiari. E’ passato un quarto di secolo, e i militari tacciono. Un regista, Francesco Del Grosso, dopo 24 anni di silenzio decide di fare un film su quella storia, “Fuoco amico”. Ma alla vigilia delle riprese salta in aria la casa, esplode una finestra: solo per miracolo la ragazza, Erika, figlia dello scomparso, non viene investita dall’esplosione. Lei e sua madre devono smetterla di chiedere dov’è finito quell’uomo, l’enfant prodige della marina militare italiana. Sapeva rendere invulnerabile una nave da guerra. Era il mago dei missili Teseo-Otomat, che colpiscono a 180 chilometri di distanza. Era stato il più bravo, al corso d’élite frequentato a Taranto. Il miglior tecnico, imbarcato sulla miglior nave da battaglia italiana, la fregata Maestrale. Una sera è stato catturato. Sparito, inghiottito nel nulla. Lo Stato? Ha ostacolato il diritto alla verità. Lo afferma, oggi, la sentenza di una giudice, Maria Rosaria Covelli. Ma la verità è ancora lontana: che fine ha fatto Davide Cervia?
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Giulietto Chiesa: così Beppe Grillo ha ingannato gli italiani
Avevo creduto alle promesse di Grillo, ma mi ero sbagliato: che se ne rendano conto o meno, i grillini non hanno nessuna possibilità di cambiare l’Italia. E nemmeno nessuna intenzione di farlo, stando a come si comportano i leader: nessuna proposta vera su niente di importante, né la crisi economica né quella geopolitica. «Fanno le pulci alle spese dei parlamentari, ma tacciono sui fiumi di soldi che spendiamo per la difesa militare: 60 milioni di euro al giorno, contro i 44 di finanziamento pubblico a cui i parlamentari grillini hanno rinunciato, dal 2013». Parola di Giulietto Chiesa, direttore di “Pandora Tv” e promotore – con Antonio Igroia – del progetto “Lista del Popolo”, definito anche “La Mossa del Cavallo”. In sintesi: «Metà degli italiani non vanno più a votare, l’altra metà votano per partiti in cui non credono più, in gran parte, e intanto l’Italia va a rotoli: quindi che facciamo, stiamo a guardare?». Chiesa punta su una lista che si rivolga all’oceano dell’astensionismo, per portare in Parlamento un nucleo di opposizione radicale al mainstream politico: «Fra cinque anni sarà tardi, perché i cartelli bancari avranno finito di privatizzare il paese e per l’Italia non ci sarà più niente da fare», dice, ai microfoni di “Border Nights”.A motivare Chiesa rispetto al progetto elettorale con Igroia, anche la cocente delusione rappresentata dai 5 Stelle: «Li ho votati, sperando che la loro spallata sarebbe stata molto utile, ma poi alla spallata non è seguita un’azione». Beppe Grillo? «Mi aveva telefonato, promettendomi che ci saremmo risentiti, per parlare di contenuti. Invece è sparito». Peccato, si rammarica il giornalista, autore di saggi come “La guerra infinita”, sul terrorismo “false flag” dell’11 Settembre. Giulietto Chiesa è tra quanti avevano sperato che, dopo i “vaffa” iniziali, i grillini potessero accettare di crescere e confrontarsi con altri interlocutori sui temi più decisivi. Errore: continuano a ripetere che non faranno alleanze con nessuno. «Hanno ottenuto un grande risultato, dovuto alla genialità spettacolare di Beppe Grillo», ammette. Ma poi, aggiunge, «sostanzialmente hanno ingannato milioni di persone, perché non si può cambiare l’Italia con il 25%». Onestamente: è impensabile cambiare un paese complesso come l’Italia rappresentando solo un elettore su quattro. Si erano illusi di poter conquistare il 51% per cento? «Qualcuno ha addirittura scritto, stupidamente, che tutti si dovrebbero iscrivere al M5S». Altra sciocchezza: «Nel paese ci sono sensibilità diverse, esperienze, storie. Non puoi chiedere alla gente di cancellare il proprio passato. Non esiste una maggioranza della totalità».Nel frattempo, aggiunge Chiesa, «i leader sono andati dietro a Grillo, il deus ex machina che li aveva portati, tra virgolette, al potere. Hanno creduto che, essendo entrati in Parlamento, fossero entrati nel potere: e ci sono stati comodi». Volevano moralizzare il paese? «Ma la moralizzazione che avevano concepito, adesso si vede con tutta chiarezza: era la lotta contro i politici. Sembravano (e sembrano) non rendersi conto che i politici sono solo dei maggiordomi. E’ un errore di analisi», sottolinea Chiesa. «I veri guastatori della democrazia sono state le banche, i grandi imprenditori che hanno venduto le loro imprese all’estero». Un nome su tutti, la Fiat. «Come mai non si parla mai dei grandi imprenditori ladri? Come mai non si parla dei politici che, insieme a loro, hanno cambiato le leggi dello Stato? Non le hanno mica fatte i politici: le hanno fatte i ricchi banchieri che hanno deciso chi doveva scrivere quelle leggi». Giulietto Chiesa non ha mai smesso di parlare con gli elettori grillini, anche su Facebook. «Qualcuno mi ha detto: ma perché non ti iscrivi al M5S? Io ci ho persino provato, ma sono stato respinto: perché ero troppo ingombrante, per questi signori, a cominciare da Beppe Grillo, e a quel punto ho cominciato a pensare che non era un uomo sincero. E adesso lo penso con cognizione di causa».Racconta Chiesa: «A Grillo ho offerto aiuto. Gratis, senza nessun impegno. Gli ho offerto documenti, analisi. Una volta mi telefonò, ero a Mosca, mi ringraziava per aver invitato a votare 5 Stelle in Sicilia. Mi disse: forse dovremmo parlarci. E io: bene, lo farò molto volentieri, al mio rientro in Italia. Mai più sentito». Aggiunge Giulietto Chiesa: «Io sono stato espulso, virtualmente, probabilmente perché sapevano che si sarebbero trovati in grave difficoltà a rispondere a mie obiezioni, che erano tutte amichevoli». Assicura: «Non ho niente contro il Movimento 5 Stelle. Anzi, al contrario: penso che in gran parte sia composto da persone arrabbiate, che non hanno il quadro della situazione ma sono arrabbiate, come milioni di italiani. E io sono arrabbiato esattamente come loro, ma ho capito che senza una linea politica chiara, senza aver individuato il nemico, non si vince. Ecco la differenza». In altre parole: inutile sparare sui politici, meglio individuare i veri “mandanti”. E magari, fare proposte concrete: «Il loro programma 2018 è inconsistente, pari a quello del 2013. Nessun impegno sostanziale sull’economia, sull’Europa, sulla Nato».C’è chi sospetta che i 5 Stelle non siano nient’altro che “gatekeeper”, specchietti per allodole. Missione: deviare l’indignazione popolare verso binari non pericolosi per il potere. Giulietto Chiesa non lo crede: «Ho l’impressione che all’inizio non ci fosse nessun disegno. Credo che né Grillo né gli altri avessero qualche secondo fine. Semplicemente, non essendo in politica, hanno saputo percepire gli umori popolari, e li hanno interpretati. Un fatto spontaneo, quindi, senza un disegno per imbrigliare la spinta popolare». Del resto, qualcosa del genere è avvenuto un po’ in tutta Europa: «Chi ha capito al volo la sfiducia verso i partiti tradizionali ha raccolto questa protesta». Poi, ovvio, i poteri forti hanno strumenti formidabili per imbrigliarla: «Riescono a corrompere, distorcere, inquinare la spinta del nemico. Quindi qualcuno adesso può benissimo aver pensato a questa forza nuova, che però è molto primitiva, non conosce la situazione, non ha esperienza. Qualcuno quindi può aver pensato: ok, dirottiamola su fenomeni secondari. Così il nemico è diventato la classe politica, tutto il resto non è stato visto».Secondo Giulietto Chiesa, «l’Italia è ridotta a colonia dell’America», al guinzaglio della Nato che minaccia la pace in mezzo mondo. «Ma se tu non ti poni il problema di chi è il padrone che ti ha colonizzato, come diavolo puoi pensare di rivoltare l’Italia come un calzino?». I grillini, insiste Chiesa, si sono scatenati contro il finanziamento pubblico ai partiti, rinunciando finora a 44 milioni di euro. «Ma 44 milioni fanno ridere: la nostra difesa militare ci costa 60 milioni di euro al giorno». Grillo dispone di 170, tra deputati e senatori, che si limitano a fare le pulci al conti dei parlamentari: il problema della spesa militare Nato «dovrebbero sollevarlo in Parlamento e gridarlo ai quattro venti», dice Chiesa. «Almeno, quei 44 milioni dovrebbero usarli fare una televisione, che lo dica tutti i giorni dove finiscono quei soldi. Allora sì, ci sarebbe stato un rilancio del movimento: e invece, su queste questioni, silenzio». A quattro anni dalle elezioni 2013, «il Movimento 5 Stelle non solo non dice “uscire dalla Nato”, ma dice “ci voglio rimanere, nella Nato”». E il suo nuovo leader, Di Maio, «va negli Stati Uniti per dire agli americani: state tranquilli, noi non metteremo in discussione il nostro essere una vostra colonia». E allora, conclude Chiesa, «è la fine del Movimento 5 Stelle, e mi dispiace». Può anche darsi che vadano bene, a queste elezioni, «e io glielo auguro». Ma non hanno più nessuna chance di salvare l’Italia.Avevo creduto alle promesse di Grillo, ma sbagliavo: che se ne rendano conto o meno, i grillini non hanno nessuna possibilità di cambiare l’Italia. E nemmeno nessuna intenzione di farlo, stando a come si comportano i leader: nessuna proposta vera su niente di importante, né la crisi economica né quella geopolitica. «Fanno le pulci alle spese dei parlamentari, ma tacciono sui fiumi di soldi che spendiamo per la difesa militare: 60 milioni di euro al giorno, contro i 44 di finanziamento pubblico a cui i parlamentari grillini hanno rinunciato, dal 2013». Parola di Giulietto Chiesa, direttore di “Pandora Tv” e promotore – con Antonio Igroia – del progetto “Lista del Popolo”, definito anche “La Mossa del Cavallo”. In sintesi: «Metà degli italiani non vanno più a votare, l’altra metà votano per partiti in cui non credono più, in gran parte, e intanto l’Italia va a rotoli: quindi che facciamo, stiamo a guardare?». Chiesa punta su una lista che si rivolga all’oceano dell’astensionismo, per portare in Parlamento un nucleo di opposizione radicale al mainstream politico: «Fra cinque anni sarà tardi, perché i cartelli bancari avranno finito di privatizzare il paese e per l’Italia non ci sarà più niente da fare», dice, ai microfoni di “Border Nights”.
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Germania, la sinistra: basta guerra alla Russia, via la Nato
Le prossime elezioni tedesche, e i sondaggi di opinione che danno la Merkel in grande vantaggio in vista del 24 settembre, stanno spingendo le altre forze politiche, specie quelle di sinistra e di centrosinistra, ad accendere la miccia su contenziosi rimasti a lungo spenti nel dibattito interno tedesco. La candidata della Linke, Sahra Wagenknecht, in una intervista al sito “Ostexperte”, ha gettato il guanto di sfida ponendo tre questioni cruciali per il futuro della Germania e per il suo ruolo-guida della disastrata Unione Europea. Nell’ordine: fine delle sanzioni contro la Russia; scioglimento della Nato e soluzione diplomatica della crisi ucraina. «Una tale piattaforma – rileva Giulietto Chiesa su “Sputnik News” – non era mai stata formulata neppure dalla forza di opposizione più radicale del Parlamento di Berlino». La battagliera deputata ha precisato in dettaglio le misure da prendere con urgenza: non solo cancellazione delle sanzioni contro la Russia, ma «ritiro della Bundeswher dal confine russo», dove l’esercito tedesco è stato dispiegato nell’ambito di grandi manovre anti-russe, e addirittura «scioglimento della Nato e sua sostituzione con un sistema di sicurezza collettiva insieme alla Russia». La sicurezza europea, ha aggiunto la Wagenknecht, non può esistere «contro, ma solo con la Russia».Posizioni come queste, continua Chiesa, non hanno alcuna possibilità di scalfire le tetragone posizioni della Cancelliera, che procede a vele spiegate verso un rinnovo del suo mandato. «Ma va tenuto in conto il fatto che posizioni analoghe, sebbene assai più sfumate, emergono dall’interno della socialdemocrazia». E questa, aggiunge il direttore di “Pandora Tv”, è una novità che deve trovare una spiegazione. «Infatti per esempio Martin Schulz, candidato socialdemocratico, ex presidente del Parlamento Europeo, che si era caratterizzato come campione di tutte le scelte Nato più aggressive degli ultimi tempi, post-golpe di Kiev, ha cambiato rotta sollevando serie critiche nei confronti dell’Alleanza Atlantica a proposito della presenza in Germania di armi atomiche». Trump vuole le armi nucleari, ma noi le respingiamo, ha detto Schulz, a cui ha fatto eco, prontamente, il ministro degli esteri Sigmar Gabriel (presidente della Spd fino al marzo scorso), definendo «giusta» la richiesta di «toglierle dal nostro paese». Appare evidente che l’Spd cerca di guadagnare spazio elettorale, ammette Chiesa, «ma è significativo che lo faccia accentuando la sua distanza dagli Stati Uniti d’America e sottolineando anch’essa la necessità di migliorare i rapporti con la Russia».Di recente, in una intervista esclusiva al canale russo “Rt”, lo stesso Gabriel si è spinto al punto da lodare la politica russa di «pacificazione e ricostruzione della Siria» come un esempio, anzi un «impulso», per la soluzione diplomatica della crisi in Ucraina, osserva Giulietto Chiesa. «Un invito clamoroso agli europei a interrompere l’ostilità nei confronti di Mosca». Ripercussioni? «Come una tale posizione sia accolta in capitali europee come Varsavia, Vilnius, Riga o Tallinn è facilmente prevedibile», data l’ostilità verso Mosca che risale ai tempi della dominazione sovietica. «Ma è comunque evidente che la Spd ritiene che l’attuale linea europea non sia affatto popolare e che contrapporvisi pubblicamente può portare voti nelle asfittiche riserve politiche della sinistra». Il clamoroso “contrordine, compagni” nella Spd forse non è così inatteso negli ambienti vicini alla massoneria progressista: qualche mese fa il saggista Gianfranco Carpeoro, esponente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi, aveva avvertito: d’ora in poi ne vedremo delle belle, dato il risveglio della supermassoneria internazionale democratica, contraria alla svolta oligarchica degli ultimi anni. Carpeoro segnalava la fiammata di Corbyn in Gran Bretagna e l’attivismo del gruppo di Sanders negli Usa, annunciando anche l’imminente “resurrezione” dei socialisti francesi nell’opposizione a Macron. Un quadro di generale risveglio della sinistra, cui ora sembra aggiungersi la GermaniaLe prossime elezioni tedesche, e i sondaggi di opinione che danno la Merkel in grande vantaggio in vista del 24 settembre, stanno spingendo le altre forze politiche, specie quelle di sinistra e di centrosinistra, ad accendere la miccia su contenziosi rimasti a lungo spenti nel dibattito interno tedesco. La candidata della Linke, Sahra Wagenknecht, in una intervista al sito “Ostexperte”, ha gettato il guanto di sfida ponendo tre questioni cruciali per il futuro della Germania e per il suo ruolo-guida della disastrata Unione Europea. Nell’ordine: fine delle sanzioni contro la Russia; scioglimento della Nato e soluzione diplomatica della crisi ucraina. «Una tale piattaforma – rileva Giulietto Chiesa su “Sputnik News” – non era mai stata formulata neppure dalla forza di opposizione più radicale del Parlamento di Berlino». La battagliera deputata ha precisato in dettaglio le misure da prendere con urgenza: non solo cancellazione delle sanzioni contro la Russia, ma «ritiro della Bundeswher dal confine russo», dove l’esercito tedesco è stato dispiegato nell’ambito di grandi manovre anti-russe, e addirittura «scioglimento della Nato e sua sostituzione con un sistema di sicurezza collettiva insieme alla Russia». La sicurezza europea, ha aggiunto la Wagenknecht, non può esistere «contro, ma solo con la Russia».