Archivio del Tag ‘periferie’
-
Militari, nuovo avviso a Macron: guerra civile alle porte
Signor Presidente della Repubblica, Signore e Signori, Ministri, Membri del Parlamento, Ufficiali Generali, dei vostri gradi e qualità, Non cantiamo più la settima strofa della Marsigliese, conosciuta come la «strofa dei bambini». Eppure è ricca di lezioni. Lasciamo che sia essa a prodigarle su di noi: «Entreremo nella carriera quando i nostri anziani non saranno più lì. Là troveremo la loro ceneri e il segno delle loro virtù. Molto meno gelosi di sopravvivere a loro che di condividere la loro bara, avremo il sublime orgoglio di vendicarli o seguirli». I nostri anziani sono combattenti che meritano di essere rispettati. Questi sono ad esempio i vecchi soldati di cui avete calpestato l’onore nelle ultime settimane. Sono queste migliaia di servi della Francia, firmatari di un appello di buon senso, soldati che hanno dato i loro anni migliori per difendere la nostra libertà, obbedendo ai vostri ordini, per intraprendere le vostre guerre o per attuare le vostre restrizioni di bilancio, che avete insozzato mentre il popolo della Francia li ha sostenuti.Queste persone che hanno combattuto contro tutti i nemici della Francia, le avete trattate come faziose quando la loro unica colpa è amare il loro Paese e piangere la sua caduta visibile. In queste condizioni spetta a noi, da poco entrati in carriera, entrare nell’arena semplicemente per avere l’onore di dire la verità. Veniamo da quella che i giornali hanno chiamato «la generazione del fuoco». Uomini e donne, soldati attivi, di tutti gli eserciti e di tutti i ranghi, di tutte le sensibilità, amiamo il nostro Paese. Queste sono le nostre uniche pretese di fama. E se non possiamo, per legge, esprimerci a faccia scoperta, è altrettanto impossibile per noi tacere. Afghanistan, Mali, Repubblica Centrafricana o altrove, molti di noi hanno subito il fuoco nemico. Alcuni lì hanno lasciato dei compagni. Hanno offerto la loro pelle per distruggere l’islamismo a cui state facendo concessioni sul nostro suolo. Quasi tutti noi abbiamo conosciuto l’operazione Sentinel. Abbiamo visto con i nostri occhi le periferie abbandonate, gli alloggi con la delinquenza. Abbiamo subito i tentativi di strumentalizzare diverse comunità religiose, per le quali la Francia non significa nulla, nient’altro che un oggetto di sarcasmo, disprezzo o persino odio.Abbiamo marciato il 14 luglio. E questa folla benevola e diversificata, che ci ha acclamati perché ne siamo l’emanazione, ci è stato chiesto di guardarla per mesi, vietandoci di circolare in divisa, rendendoci potenziali vittime, su un suolo che siamo comunque capaci di difendere. Sì, i nostri anziani hanno ragione sulla sostanza del loro testo, nella sua interezza. Vediamo la violenza nelle nostre città e nei nostri villaggi. Vediamo il comunitarismo prendere piede nello spazio pubblico, nel dibattito pubblico. Vediamo l’odio per la Francia e la sua storia diventare la norma. Potrebbe non essere compito dei militari dirlo, sosterrete. Al contrario: poiché siamo apolitici nelle nostre valutazioni della situazione, è un’osservazione professionale quella che forniamo. Perché questa decadenza, la abbiamo vista in molti Paesi in crisi. Precede il crollo. Annuncia caos e violenza e, contrariamente a quanto voi affermate qua e là, questo caos e questa violenza non verranno da un «pronunciamento militare» ma da un’insurrezione civile.Per cavillare sulla forma dell’appello dei nostri anziani invece di riconoscere l’ovvietà delle loro scoperte, bisogna essere piuttosto codardi. Per invocare un dovere di riservatezza mal interpretato al fine di mettere a tacere i cittadini francesi, bisogna essere molto ingannevoli. Per incoraggiare i principali ufficiali dell’esercito a prendere posizione ed esporsi, prima di sanzionarli ferocemente non appena scrivono qualcosa di diverso dalle storie di battaglia, devi essere molto perverso. Codardia, inganno, perversione: questa non è la nostra visione della gerarchia. Al contrario, l’esercito è, per eccellenza, il luogo in cui ci parliamo sinceramente perché impegniamo la nostra vita. È questa fiducia nell’istituzione militare che chiediamo. Sì, se scoppia una guerra civile, l’esercito manterrà l’ordine sul proprio territorio, perché gli verrà chiesto di farlo. È anche la definizione di guerra civile. Nessuno può desiderare una situazione così terribile, i nostri anziani non più di noi, ma sì, ancora una volta, la guerra civile si sta preparando in Francia e lo sapete perfettamente.Il grido di allarme dei nostri Anziani si riferisce infine a echi più lontani. I nostri anziani sono i combattenti della resistenza del 1940, che persone come voi molto spesso trattavano come faziosi, e che continuarono la lotta mentre i legalisti, paralizzati dalla paura, scommettevano già sulle concessioni con il male per limitare i danni; sono i “pelosi” [soprannome dato ai soldati francesi durante la Grande Guerra, ndr] di 14 anni, morti per pochi metri di terra, mentre voi abbandonate, senza reagire, interi quartieri del nostro Paese alla legge del più forte; sono tutti i morti, celebri o anonimi, caduti al fronte o dopo una vita di servizio. Tutti i nostri anziani, coloro che hanno reso il nostro Paese quello che è, che ne hanno disegnato il territorio, ne hanno difeso la cultura, hanno dato o ricevuto ordini nella sua lingua, hanno combattuto affinché voi lasciaste che la Francia diventasse uno Stato fallito, che sostituisce la sua impotenza regale sempre più evidente con una brutale tirannia contro quelli che tra i suoi servi che vogliono ancora avvertirlo? Agite, signore e signori. Questa volta non si tratta di emozioni personalizzate, formule già pronte o copertura mediatica. Non si tratta di estendere i propri mandati o conquistarne di nuovi. Riguarda la sopravvivenza del nostro Paese, del vostro Paese.(Testo diffuso dai militari francesi e ripreso l’11 maggio 2021 da “Renovatio 21″. «Da qualche giorno correva la voce che un nuovo appello dei militari francesi sarebbe apparso sulla scena», scrive il sito. «Stavolta però, a differenza del precedente, non sarebbe stato firmato da ufficiali in pensione, ma da soldati attivi». Il testo pubblicato da “Renovatio 21″ sta circolando in rete. «In Francia la situazione è grave», sottolinea il blog. «Dopo anni di aberrazioni terroristiche, proteste popolari soffocate nella repressione (i Gilet Gialli) e lockdown draconiani che hanno piegato il paese, forse la misura e colma. Lo Stato più superbo d’Europa si appresta a collassare sotto il peso delle sue stesse scelte dementi in campo sociale, economico, migratorio? E l’Italia, che lezione vuole trarre da ciò che sta accadendo appena Oltralpe?»).Signor Presidente della Repubblica, Signore e Signori, Ministri, Membri del Parlamento, Ufficiali Generali, dei vostri gradi e qualità, Non cantiamo più la settima strofa della Marsigliese, conosciuta come la «strofa dei bambini». Eppure è ricca di lezioni. Lasciamo che sia essa a prodigarle su di noi: «Entreremo nella carriera quando i nostri anziani non saranno più lì. Là troveremo la loro ceneri e il segno delle loro virtù. Molto meno gelosi di sopravvivere a loro che di condividere la loro bara, avremo il sublime orgoglio di vendicarli o seguirli». I nostri anziani sono combattenti che meritano di essere rispettati. Questi sono ad esempio i vecchi soldati di cui avete calpestato l’onore nelle ultime settimane. Sono queste migliaia di servi della Francia, firmatari di un appello di buon senso, soldati che hanno dato i loro anni migliori per difendere la nostra libertà, obbedendo ai vostri ordini, per intraprendere le vostre guerre o per attuare le vostre restrizioni di bilancio, che avete insozzato mentre il popolo della Francia li ha sostenuti.
-
Lockdown eterno e campi di detenzione: voci dal Canada
«Se dall’interno dei Lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui» (Primo Levi, “Se questo è un uomo”). Lo chiamano The Great Reset, ne hanno parlato a Davos a giugno, al World Economic Forum. Lo sostengono varie lobby internazionali, la fintech, Bill Gates con il suo Id2020, digitalizzazione degli umani, il suo Gavi, attraverso le vaccinazioni a tutti gli umani, Msn con il brevetto di rilevazione dei dati biometrici, con la criptovaluta a mining umano. Soros con il Bretton Woods II e la moneta digitale mondiale. La Rockefeller Foundation che sta promuovendo la sperimentazione del common pass, un passaporto sanitario che si sta sperimentando anche in Svizzera e in Canada, e presto ovunque. Ma di cosa si tratta esattamente? Cos’è questo reset? E’ il vecchissimo – vecchio come Matusalemme – “tabula rasa” di babilonica memoria: in un sistema di moneta debito, inventato 5.000 anni fa con la creazione della scrittura – onore all’autore David Graeber morto recentemente, che ha scritto “Cinquemila anni di debito” – la moneta debito, regolarmente, dev’essere cancellata – tabula rasa – perché quando il debito diventa insostenibile vanno condonati i debiti di tutti i cittadini, altrimenti rischiano di scappare al controllo dell’organizzazione del lavoro. E così i sumerobabilonesi facevano un giubileo ogni 49 anni.Ma questo inizialmente. Poi, con il passare dei secoli tale pratica fu abbandonata per una più cruenta e spietata: la guerra. Con la guerra si rimettono a zero i debiti incagliati e li si ristrutturano a vantaggio dei creditori guerrafondai che solitamente aizzano le due parti. Con la guerra i grands argentiers si garantiscono il bottino e l’indebitamento per la ricostruzione del paese per le future generazioni, fino a quando ritorna la necessità di reset, provocata dal debito circolante + gli interessi: aumento esponenziale, matematicamente parlando. E ricomincia la giostra. Anche le pestilenze del passato hanno assolto a quel ruolo di far crollare le banche dei Bardi e Peruzzi – dopo il fallimento della banca dei Bonsignori – che avevano indebitato i sovrani di mezzo mondo; fallimenti che avvennero anche con la complicità dei Veneziani, che ritirarono l’oro dai loro depositi presso i banchi fiorentini. Per inciso, la peste del 1349 arrivò dalla Cina attraverso la Via della Seta, controllata da Mongoli e Veneziani. Giusto per fare un parallelismo. E oggi, che il mondo è arrivato al necessario reset del debito, che cosa fanno i grands argentiers, i Veneziani di oggi?Con l’aiuto di una pandemia dai contorni inquietanti e dubbi, proveniente da un laboratorio di Wuhan – inaugurato dalla Francia, finanziato dall’Ue, gemellato con un laboratorio di Francoforte e facente parte di programmi di ricerca dell’Oms – si vuole azzerare il debito ma in un modo quanto mai cruento e spietato: schiavizzando con la fintech l’umanità intera. La scusa sarebbe il vaccino Covid, e il regime economico: il comunismo. Il cavallo di Troia? Il reddito universale per tutti, o almeno per quasi tutti. I dissidenti nel gulag. Anzi tutti tra il lockdown e i campi prima di potersi “liberare” con il chip o i dot quantici nel vaccino. A proposito di gulag, un’ipotesi che sta prendendo forma, si sta concretizzando. Ce lo dice l’interrogazione ufficiale di un deputato canadese dell’Ontario. Che chiede spiegazioni al ministro sul piano di costruzione di una rete di campi di detenzione e isolamento nella sua provincia – ma che riguarda il paese intero e il mondo itero – poi il microfono viene tagliato sul più bello. «A settembre il governo federale ha pubblicato un avviso di manifestazione di interesse destinato agli imprenditori per fornire, costruire e gestire campi di quarantena-isolamento in tutte le province e in tutti i territori del Canada. Ma questi campi di isolamento non sono destinati solo alle persone con il Covid, bensì a tutta una serie di altre categorie di persone».«Sicuramente il governo è al corrente dell’intenzione di costruire questi campi di isolamento in tutto il paese e la mia domanda al ministro è: quanti campi saranno costruiti e quante persone ha l’intenzione questo governo di detenere in questi campi?». Questa la prima domanda di Randy Hillier, a cui risponde il premier dell’Ontario. Risposta: «E’ vero che quando i cittadini lasciano il paese e poi ritornano, le province e il governo federale suggeriscono che si auto-isolino, questa è stata la pratica ed è stata efficiente non solo nell’Ontario ma in tutto il paese. E faremo in modo di raddoppiare gli sforzi perché i cittadini dell’Ontario siano messi in sicurezza. Quindi, se l’onorevole si riferisce al fatto che quando un cittadino esce dalla provincia o dal paese debba rimanere isolato per due settimane, al ritorno, rispondo che è stata una buona pratica e che ha funzionato. Anche questa Camera ha fatto la stessa cosa da quando siamo tornati. Quindi faremo tutto quanto è possibile per fare in modo che queste Camere lavorino e che i cittadini dell’Ontario siano messi in sicurezza».Risposta dell’onorevole Hillier: «Signor speaker, qua c’è il capitolato del bando di gara, e in questo capitolato è impiegato un linguaggio chiaro per esprimere che questi campi possono essere utilizzati per una serie di persone, che non si limitano ai viaggiatori, anzi i viaggiatori internazionali non sono neanche citati. Parla solo di “una vasta categoria di persone”. Vi invio la copia del capitolato. Quindi, il vostro governo sta negoziando ed è consapevole di questi piani per detenere e isolare cittadini e residenti del nostro paese e della nostra provincia. Signor speaker, chiedo al primo ministro dove saranno costruiti questi campi, quante persone saranno detenute e per quali ragioni potranno le persone essere detenute in questi campi di isolamento, e vorrei che il premier garantisse al popolo di Ontario…». E qua il microfono viene bruscamente tagliato. Censura. E poi, sempre dal Canada, c’è questa seconda fuga di notizie, che chiarisce con una luce sinistra l’interrogazione del deputato dell’Ontario. Si tratta di un documento che descrive una riunione avvenuta al gabinetto del primo ministro canadese Trudeau, in cui si prevede un secondo lockdown, e i campi di detenzione per chi rifiuta.L’informazione proviene da un deputato insider, che fa parte del partito liberale canadese e le informazioni provengono da una riunione nel Comitato di pianificazione strategica dal gabinetto del premier. «Lo faccio per i miei bambini e tutti gli altri, dice, per un futuro migliore». Il 30% del Comitato di pianificazione, pur non essendo soddisfatto delle politiche del governo e della direzione presa dal Canada, è stato ignorato dagli altri membri del Comitato. La tabella di marcia impartita dal Comitato di pianificazione del governo del Canada, è la seguente: istituire progressivamente un secondo lockdown su base continua prima nelle metropoli e poi nelle periferie entro novembre 2020; accelerare la costruzione dei campi di isolamento/quarantena entro dicembre 2020; è previsto l’aumento esponenziale dei casi e dei decessi, per fine novembre 2020; un secondo lockdown completo e totale molto più severo del primo, per fine dicembre 2020 e inizio gennaio 2021; la riforma e la trasformazione del sistema di sussidi di disoccupazione per la transizione verso un reddito universale, previsto per il primo trimestre 2021; la programmazione di una mutazione del virus Covid-19 con un altro virus chiamato Covid-21 che porterà a una terza ondata con un tasso di infezione e di decessi molto più elevato, per febbraio 2021.I nuovi casi di ricovero per Covid-19 e Covid-21 supereranno le capacità ospedaliere, per il primo e secondo trimestre del 2021. Restrizioni di lockdown migliorativo, chiamate “terzo lockdown”, saranno attuate con il divieto totale di viaggio anche tra città e paesi, secondo trimestre 2021. L’inserimento nel progetto di reddito universale, per il secondo trimestre 2021. L’interruzione programmata delle catene di rifornimento e degli stock, con grande instabilità economica, prevista per la fine del secondo trimestre 2021. Dispiegamento di militari nelle metropoli e nelle principali strade per instaurare posti di blocco e limitare gli spostamenti, al terzo trimestre 2021. Parallelamente a questo programma si è parlato di una transizione economica senza uguali in cui forzare i cittadini. Per compensare il crollo economico internazionale, il governo federale offrirà un taglio del debito, dei debiti personali, dei prestiti e delle ipoteche, grazie al Fmi, nell’ambito del programma mondiale di reset del debito; in cambio, i cittadini perderanno per sempre la proprietà privata di qualsiasi bene e dovranno partecipare al programma di vaccinazione Covid-19 e Covid-21 grazie al quale potranno viaggiare anche in pieno lockdown con un pass sanitario per il Canada. La stessa cosa vale per tutti i paesi del mondo.I membri del Comitato hanno chiesto chi saranno i proprietari dei beni confiscati, e cosa succederà agli istituti di credito: la risposta è stata solo che il programma di reset del debito del Fmi si incaricherà di tutti i dettagli. Il nulla assoluto. Altri membri si sono chiesti cosa succederà ai cittadini che rifiuteranno di partecipare al World Debt Reset del Fmi e al passaporto sanitario Health Pass, e la risposta è stata che i membri del Comitato devono elaborare un piano per fare di tutto perché non si produca mai il rifiuto, e che ne va nell’interesse di tutti i cittadini partecipare. Chi rifiuta vivrà indefinitamente rinchiuso, e quelli che rifiutano il programma di World Debt Reset saranno considerati come un rischio per la salute pubblica, e saranno rinchiusi per sempre se non accettano il programma di cancellazione del debito. Questo è quanto è stato diffuso da un membro del partito liberale canadese che ha partecipato ad una riunione del Comitato di programmazione tecnica del governo canadese. Questo è il programma per tutti i paesi del mondo intero. Tutti i membri che si sono opposti o che hanno fatto domande, sono stati ignorati. Quando vi dicevo che il punto di cui nessuno vuole parlare è la moneta, ma che è questa che muove il male? E che è questa che va riformata in senso di cassa, distributivo, e non debito verso parti terze. Adesso lo sapete.(Nicoletta Forcheri, “Fughe di notizie dal Canada sul grande reset: campi di detenzione e tabella di marcia”, da “Scenari Economici” del 26 ottobre 2020. Glottologa e traduttrice formatasi tra Olanda, Belgio e Regno Unito, la Forcheri ha lavorato per tribunali, Europol e Interpol, polizia giudiziaria, comitati e multinazionali, studi legali internazonali; a lungo attiva presso l’agenzia di stampa Agence Europe, ha operato anche al Parlamento Europeo e alla Commissione Europea).«Se dall’interno dei Lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui» (Primo Levi, “Se questo è un uomo”). Lo chiamano The Great Reset, ne hanno parlato a Davos a giugno, al World Economic Forum. Lo sostengono varie lobby internazionali, la fintech, Bill Gates con il suo Id2020, digitalizzazione degli umani, il suo Gavi, attraverso le vaccinazioni a tutti gli umani, Msn con il brevetto di rilevazione dei dati biometrici, con la criptovaluta a mining umano. Soros con il Bretton Woods II e la moneta digitale mondiale. La Rockefeller Foundation che sta promuovendo la sperimentazione del common pass, un passaporto sanitario che si sta sperimentando anche in Svizzera e in Canada, e presto ovunque. Ma di cosa si tratta esattamente? Cos’è questo reset? E’ il vecchissimo – vecchio come Matusalemme – “tabula rasa” di babilonica memoria: in un sistema di moneta debito, inventato 5.000 anni fa con la creazione della scrittura – onore all’autore David Graeber morto recentemente, che ha scritto “Cinquemila anni di debito” – la moneta debito, regolarmente, dev’essere cancellata – tabula rasa – perché quando il debito diventa insostenibile vanno condonati i debiti di tutti i cittadini, altrimenti rischiano di scappare al controllo dell’organizzazione del lavoro. E così i sumerobabilonesi facevano un giubileo ogni 49 anni.
-
Socialismo liberale, rooseveltiani al voto: Zagarolo e Varmo
«Il Movimento Roosevelt appoggia Marco Bonini come candidato sindaco di Zagarolo, grosso Comune alle porte di Roma, perché crede nella necessità di cambiare orizzonte». E’ esplicito, l’endorsement di Gioele Magaldi nei confronti di Bonini, già assessore nella precedente amministrazione dominata dal Pd e ora candidato con il supporto di svariati partiti del fronte opposto, tra cui Lega e Fratelli d’Italia. «Io non ragiono in termini di etichette facili e di superficie», chiarisce Magaldi, che archivia volentieri le categorie destra-sinistra e la contrapposizione solo fittizia tra i due schieramenti, protagonisti entrambi – nella Seconda Repubblica – del progressivo pensionamento della democrazia sostanziale. «Quello che oggi distingue un politico, semmai, è la sua vicinanza (o lontananza) rispetto all’unica ideologia subdolamente imperante, quella del neoliberismo che ha privatizzato e malamente globalizzato il pianeta». Una ideologia sommaria e totalizzante, «che oggi ci propone un orrore come il taglio dei parlamentari, insignificante sul piano del risparmio economico ma tragicamente simbolico: voler ridurre ulteriormente la rappresentanza democratica vuol dire continuare a penalizzare i cittadini, allontanando ulteriormente gli elettori e rendendo gli eletti sempre più irraggiungibili, fedeli solo ai leader di partito».«Seguiremo con grande attenzione le elezioni comunali di Zagarolo», annuncia il presidente del Movimento Roosevelt, che in tutt’altra parte d’Italia (a Varmo, Udine) schiera direttamente un suo dirigente, Massimo Della Siega, candidato sindaco in una coalizione squisitamente civica. «Non è davvero più questione di etichette, sigle e schieramenti», conferma Della Siega: «Qui si tratta di riscrivere le regole del buon governo locale, dialogando con tutti e cercando di “fare rete”, su territori resi sempre più periferici». L’impegno nei Comuni, sottolinea Magaldi, nella deprecata Prima Repubblica era – giustamente – il primo passo, per elaborare quell’esperienza che, col tempo, avrebbe forgiato dirigenti politici capaci, e non improvvisati come quelli di oggi. «Intanto – riassume Pierluigi Winkler, uno dei vicepresidenti del Movimento Roosevelt – è necessario tornare ai valori del socialismo liberale che abbiamo appena sentito risuonare nelle parole pronunciate a Berlino da Robert Kennedy Junior, che ci hanno scaldato il cuore: ogni vera soluzione, per l’umanità, non può prescindere dalla libera partecipazione democratica».Socialismo liberale? «Un ossimoro, per un guru del neoliberismo come Friedrich von Hajek – dice Magaldi – che finse di non aver letto Carlo Rosselli». Quei valori sono perfettamente coniugabili: e devono tornare a esserlo, oggi più che mai, dice Winkler, «anche se il socialismo maggioritario che si affermò in Occidente non era democratico ma comunista, cioè a vocazione oligarchica». Questa distorsione, per Magaldi, spiega la delusione che la sinistra ha riservato a tanti suoi elettori: mentre i socialisti liberali come Craxi (al netto dei loro errori) furono liquidati dal nascente regime neoliberista, furono gli eredi della tradizione comunista a mettersi a disposizione degli oligarchi che, negli anni Novanta, privatizzarono l’Italia e cominciarono a ridurre gli spazi di democrazia, puntando solo sui diritti civili in cambio della svendita dei diritti sociali. Passo dopo passo, abbiamo ristretto ogni spazio civico, fino ad arrivare alla brutale riduzione del Parlamento. Magaldi parla di una «bruttissima pseudo-riforma della Costituzione», che ora rischia di essere confermata dal referendum del 20-21 settembre.«Credo che, alla fine, gli italiani saranno condizionati dalla pessima pedagogia antipolitica, antidemocratica e demagogica di questi anni: moltissimi italiani non hanno nemmeno capito perché votare Sì piuttosto che No», dice il presidente “rooseveltiano”, mettendo a fuoco il problema: «Non c’è più una formazione civica adeguata, né tantomeno l’hanno fatta i mezzi di informazione, in questi mesi». Per questo, Magaldi teme che vincerà il Sì confermativo. «Ma stiano tutti tranquilli», avverte: «Appena possibile rimedieremo a questo eventuale scempio della Costituzione, se dovesse esserci. Tuttavia – aggiunge lo stesso Magaldi – anche se il pessimismo della ragione mi induce a ritenere che prevarranno i Sì, io andrò comunque a votare No».Evidente, in ogni caso, la fibrillazione del governo: Pd e 5 Stelle temono per l’esito delle regionali, e non sono neppure sicurissimi che gli italiani voteranno Sì al referendum. Intanto, Magaldi annuncia che il Movimento Roosevelt presenterà il suo “ultimatum” al governo Conte: un pacchetto di proposte per alleviare immediatamente le sofferenze economiche provocate dal lockdown. «Sarà anche calendarizzato l’esordio della Milizia Rooseveltiana», formazione che scenderà in piazza nel caso in cui l’esecutivo non dovesse rispondere, in modo adeguato, alle proposte avanzate. «Finora, l’ultimatum a Conte non è stato ancora presentato, a causa della fluidità della situazione, molto complicata ma anche molto feconda». Proprio in nome di un orizzonte nuovo, che sappia declinare il socialismo liberale nel terzo millennio, il Movimento Roosevelt sosterrà Massimo Della Siega a Varmo e Marco Bonini a Zagarolo, in questo caso nel segno della discontinuità: Bonini ritiene salutare un’alternanza, portando l’ex opposizione al governo di un Comune rimasto per vent’anni nelle mani del centrosinistra. Magaldi crede al lavoro nei Comuni, così come quello nelle Regioni, dove i “rooseveltiani” stanno sostenendo alcuni candidati. «Anche dai territori, grazie a uomini come Bonini e Della Siega – chiosa Magaldi – potrà crescere in modo laico e trasversale quella consapevolezza politica necessaria a sconfiggere la “teologia” neoliberista dell’austerity, per tornare a politiche autenticamente progressiste».«Il Movimento Roosevelt appoggia Marco Bonini come candidato sindaco di Zagarolo, grosso Comune alle porte di Roma, perché crede nella necessità di cambiare orizzonte». E’ esplicito, l’endorsement di Gioele Magaldi nei confronti di Bonini, già assessore nella precedente amministrazione dominata dal Pd e ora candidato con il supporto di svariati partiti del fronte opposto, tra cui Lega e Fratelli d’Italia. «Io non ragiono in termini di etichette facili e di superficie», chiarisce Magaldi, che archivia volentieri le categorie destra-sinistra e la contrapposizione solo fittizia tra i due schieramenti, protagonisti entrambi – nella Seconda Repubblica – del progressivo pensionamento della democrazia sostanziale. «Quello che oggi distingue un politico, semmai, è la sua vicinanza (o lontananza) rispetto all’unica ideologia subdolamente imperante, quella del neoliberismo che ha privatizzato e malamente globalizzato il pianeta». Una ideologia sommaria e totalizzante, «che oggi ci propone un orrore come il taglio dei parlamentari, insignificante sul piano del risparmio economico ma tragicamente simbolico: voler ridurre ulteriormente la rappresentanza democratica vuol dire continuare a penalizzare i cittadini, allontanando ulteriormente gli elettori e rendendo gli eletti sempre più irraggiungibili, fedeli solo ai leader di partito».
-
Della Siega: il coraggio di ripartire dall’Italia dei Comuni
«La notizia peggiore forse è questa: molte famiglie, qui in paese, quest’anno non avranno i soldi per iscrivere i figli all’università. E questo significa una sola cosa: tagliare il futuro, e dire addio a quel che resta dell’ascensore sociale». Il paese in questione è Varmo, nella piana friulana a meno di venti chilometri dal mare, sulla riva sinistra del Tagliamento, a metà strada tra Udine e Pordenone. Un borgo duramente colpito dal terremoto del 1976 e poi rifiorito, come molti altri, grazie alla proverbiale, silenziosa tenacia dei friulani. E’ di poche parole anche l’uomo che potrebbe diventarne il sindaco: Massimo Della Siega, 56 anni, odontoiatra e medico ospedaliero (in prima linea – durante il lockdown – tra i malati di Covid). Un evento rovinoso, destinato a cambiare la storia. Ma non per sempre: «Pur mantenendo la doverosa prudenza che la situazione impone – dice il medico – oggi abbiamo il dovere di osservare la realtà attuale: clinicamente il virus non è più la minaccia di qualche mese fa. Quindi è ora di rimboccarci le maniche e ricominciare a vivere, senza più stare ad ascoltare chi vorrebbe prolungare all’infinito il clima di emergenza e di paura, che poi è quello che ha prodotto il disastro economico che ora l’Italia intera dovrà affrontare».Massimo Della Siega è stato invitato a candidarsi, come sindaco, da due gruppi civici, “ViviAmo Varmo” e “Varmo comunità”. Nelle elezioni comunali, specie nei paesi con pochi abitanti (appena 2700, in questo caso), gli schemi classici – centrodestra contro centrosinistra – lasciano il tempo che trovano. Specie se poi a dover «fare sintesi» è un personaggio come il dottor Della Siega, per vocazione abituato all’ascolto e al dialogo: prima le idee, purché buone, a prescindere dalla fonte da cui provengono. «Sarà un fatto di carattere», dice, in web-streaming su YouTube: a vincere è il pragmatismo del medico, dell’approccio scientifico. «Poi, certo, nel mio modo di essere influisce anche la mia esperienza del Movimento Roosevelt, che è laico e trasversale, oltre le appartenenze, pur nell’ispirazione liberal-socialista». Lo conferma – in video-chat con Massimo su “MrTv” – il conterraneo Roberto Hechich, altro dirigente “rooseveltiano”, che riassume: «Qui si tratta di rianimare la politica italiana, parlando a tutti i partiti – nessuno escluso – per aiutarli a ritrovare la sovranità di fondo della democrazia sostanziale, confiscata attraverso i pericolosi equivoci di un’Europa mai nata. Lo si è visto anche adesso, con il Covid: aiuti scarsi, tardivi e gravati da pesanti condizionalità».Beninteso: il caso di Varmo resta un’esperienza civica, profondamente comunale, in cui a essere “rooseveltiana” è la storia (personale) del candidato sindaco, ben attento a concentrarsi sul paese con un programma di buon senso. Esempio: «In cassa ci sono un sacco di soldi che dovevano essere spesi per opere pubbliche, ma sono rimasti bloccati: amministrare non è mai facile, tra mille lacci e laccioli, ma forse è giunta l’ora di abbandonare le titubanze, perché la situazione oggi lo richiede». Oppure: «Il territorio è frazionato, e le periferie si sentono trascurate: noi istituiremo una Consulta permanente delle borgate, in modo che tutti possano segnalare puntualmente le loro necessità». La capacità di ascolto resta la prima virtù: del medico, e a maggior ragione del politico. E le prime note che al candidato tocca ascoltare, anche a Varmo, oggi sono dolenti: «Tutti sanno che la vera emergenza è quella economica: la drammatica eredità del Covid. Molte attività non riusciranno a riprendersi, molte famiglie faticheranno a vivere». Sarà proprio questa la prima linea nella quale si impegnerà il Comune: «Abbiamo risorse limitate, ma le useremo per dare ossigeno a chi non ce la fa: è una priorità assoluta».A Massimo Della Siega ha fatto piacere ascoltare il sermone di Mario Draghi al Meeting di Rimini, con la netta distinzione tra “debito buono” e “debito cattivo”. «L’ho sempre pensato anch’io, nel mio piccolo: non bisogna aver paura di fare deficit per sostenere iniziative destinate a creare lavoro, e al tempo stesso occorre evitare gli sprechi, cioè le spese improduttive». La comunità di Varmo è la prima a saperlo: gente abituata a utilizzare in modo oculato gli investimenti. L’industria è di taglio artigianale: chimica, tessile, alimentare, legno, profumi, lavorazione dei metalli. Solida agricoltura: foraggi, cereali e zootecnia. Le campagne – le Grave Fiuliane – producono fantastici vini, grazie ai terreni di origine alluvionale: nei millenni, il Tagliamento ha trascinato a valle i ciottoli dolomitici delle Alpi Carniche, arricchendo il suolo di mineralità marina che poi, nei calici, si traduce in profumi ed eccellenza vinicola. Non è che l’ennesima pagina del riscatto nazionale, di cui proprio il vino è diventato un ambasciatore importante, anche in termini di export.La parola d’ordine, oggi, è proprio questa: risollevarsi. «E’ un impegno, la partecipazione civica, che dovrebbe coinvolgere moltissimi italiani», dice Gioele Magaldi, che del Movimento Roosevelt è il fondatore: «L’esempio di Massimo Della Siega testimonia benissimo la capacità di interpretare il presente: oggi più che mai, è necessario scendere in campo in prima persona». Il Comune, peraltro, rappresenta una dimensione ideale: gli eletti sono direttamente controllabili, in piena trasparenza, dagli elettori che li hanno democraticamente scelti. Non è poco, in un mondo in cui il potere è diventato lontanissimo e post-democratico, quasi invisibile, affidato a vertici pressoché irraggiungibili (nazionali, europei, planetari). Candidarsi a casa propria, innanzitutto, significa accettare una scommessa: dimostrare che è possibilissimo, malgrado tutto, fare qualcosa di buono, e lo si può fare partendo proprio dal paese in cui si vive. “Dal particulare all’universale”, era un motto del grande Rinascimento italiano. Oggi lo si potrebbe tradurre con un altro termine: “glocal”. «Pensare globalmente, e agire localmente», sintetizzava Alex Langer, ideologo dei primissimi Verdi italiani.«L’importante è restare connessi, uniti, ascoltando le ragioni di tutti», dice Massimo Della Siega, pensando a Varmo e al Medio Friuli nel quale il paese è collocato: se i Comuni scontano i tempi di vacche magre accelerati dal Patto di Stabilità e dalla continua diminuzione di risorse statali, è giunto il momento di fare rete. «Nel nostro caso, l’idea è quella di aprire canali di comunicazione coi paesi vicini, per mettere in piedi servizi migliori». In altre parole, l’unione fa la forza. «La crisi economica indotta dall’emergenza Covid avrà conseguenze pesantissime: chi ancora non se ne fosse accorto, lo scoprirà nei prossimi mesi». La prima arma è la consapevolezza: essere lucidi, saper valutare la situazione. Serve a mettere in campo una strategia vincente per uscire dal tunnel. Quasi mezzo secolo fa, a schiantare il Friuli fu il sisma. Oggi, un terremoto di altro genere – ancora peggiore – sta frustando l’Italia, tutta quanta. I friulani non si lasciarono abbattere, allora. E non hanno l’aria di volersi arrendere nemmeno stavolta. E chissà che anche Varmo, nel suo piccolo, non possa fare storia.Il Varmo, piccolo affluente del Tagliamento, dà il titolo all’omonima novella di Ippolito Nievo: gli intrecci dell’umanità minuta (fine Ottocento) vivono di vita propria, grazie alla magia del paesaggio a cui ciascuno sente di appartenere. Sempre a Varmo sono ambientati due romanzi, “La casa a nord-est” e “La stazione di Varmo”, di Sergio Maldini, amico del giovane Pasolini e poi di Dino Buzzati. Il terzo romanzo potrebbe scriverlo, delibera su delibera, lo stesso Massimo Della Siega, rubando un po’ di tempo ai suoi pazienti all’ospedale. L’impegno degli italiani – oggi, in piena Era del Covid – ha un sapore inevitabilmente diverso: il paese intero è finito in terapia intensiva insieme alla sua economia, e la politica non sta certo meglio. Proprio il Comune resta la prima trincea, immediata, in cui è possibile incidere: non contro qualcuno, ma per ottenere qualcosa che faccia bene a tutti. E’ il dono più prezioso, in fondo: la consapevolezza di essere una comunità pienamente democratica, dove nessuno deve restare indietro. Le regole generali sono da riscrivere? Certo, ma occorre tempo. In municipio, invece, l’impresa è a portata di mano: si può cominciare da subito. Basta guardarsi negli occhi, per capire – insieme – da dove ripartire.(Giorgio Cattaneo, 5 settembre 2020).«La notizia peggiore forse è questa: molte famiglie, qui in paese, quest’anno non avranno i soldi per iscrivere i figli all’università. E questo significa una sola cosa: tagliare il futuro, e dire addio a quel che resta dell’ascensore sociale». Il paese in questione è Varmo, nella piana friulana a meno di venti chilometri dal mare, sulla riva sinistra del Tagliamento, a metà strada tra Udine e Pordenone. Un borgo duramente colpito dal terremoto del 1976 e poi rifiorito, come molti altri, grazie alla proverbiale, silenziosa tenacia dei friulani. E’ di poche parole anche l’uomo che potrebbe diventarne il sindaco: Massimo Della Siega, 56 anni, odontoiatra e medico ospedaliero (in prima linea – durante il lockdown – tra i malati di Covid). Un evento rovinoso, destinato a cambiare la storia. Ma non per sempre: «Pur mantenendo la doverosa prudenza che la situazione impone – dice il medico – oggi abbiamo il dovere di osservare la realtà attuale: clinicamente il virus non è più la minaccia di qualche mese fa. Quindi è ora di rimboccarci le maniche e ricominciare a vivere, senza più stare ad ascoltare chi vorrebbe prolungare all’infinito il clima di emergenza e di paura, che poi è quello che ha prodotto il disastro economico che ora l’Italia intera dovrà affrontare».
-
Bolzano regala 15.000 euro a chi apre negozi in montagna
Fino a 15.000 euro in regalo a chi apre un negozio in un paesino, assicurando generi di prima necessità. Succede in Alto Adige, dove la giunta provinciale di Bolzano ha stanziato fondi per un piano speciale di investimenti. Obiettivi: combattere, in modo concreto, lo spopolamento della montagna. Altro che reddito di cittadinanza: fioccano contributi per chi sceglie di tenere vive le Alpi, garantendo alle famiglie residenti i principali servizi di prossimità. E senza scordare i negozi che hanno finora resistito, nelle valli: un cospicuo assegno (da 9 a 11.000 euro) è l’incoraggiamento destinato a chi, in questi anni, ha tenuto duro, mantenendo la presenza di un punto vendita a portata di mano, raggiungibile a piedi. «L’obiettivo è quello di favorire il commercio interno ai paesini, sia tutelando i negozi già presenti sia incentivando l’apertura di nuovi esercizi», scrive Eleonora Angeloni su “GreenMe”. «Il commercio di vicinato rappresenta un vantaggio non solo per i commercianti locali, ma anche per i residenti, che non si trovano costretti a dover percorrere lunghe distanze per avere accesso ai prodotti necessari nella quotidianità».Stando al provvedimento, Bolzano potrà dunque assegnare contributi fino a 15.000 euro per l’apertura di negozietti nelle località che ne sono prive. Per “esercizi di vicinato” si intendono negozi che lavorano in paesi con almeno 150 abitanti e che vendono generi alimentari di prima necessità al dettaglio. «Le attività che possono usufruire di questo contributo devono svolgere uno dei seguenti servizi: vendita di prodotti locali, consegna a domicilio, vendita di giornali o servizio postale». Tra gli altri requisiti: piccolo giro d’affari, ridotta superficie di vendita, massimo tre addetti a tempo pieno. E poi gli orari: il negozio deve restare aperto per sei giorni la settimana, per almeno tre ore. In pratica: un forte incentivo a tenere viva l’economia locale, evitando – oltretutto – l’abbandono del territorio alpino (che, com’è noto, genera costi esponenziali in termini di sicurezza idrogeologica). Calcolando che il territorio dell’intera Penisola è in gran parte montano e collinare, con migliaia di borghi disseminati lungo alture boscose, va da sé che una simile misura socio-economica – se adeguatamente supportata, a livello centrale – avrebbe la capacità di rivitalizzare le aree periferiche di intere Regioni, dal Piemonte alla Sicilia.Ovviamente, i piccoli numeri e il particolare regime amministrativo dell’Alto Adige (statuto speciale) rendono possibile questo “miracolo” in miniatura, destinato anche a supportare indirettamente l’economia turistica. Se a Bolzano si fa di necessità virtù, di fronte all’esodo che sta svuotando le valli e facendo emigrare i consumatori verso gli ipermercati, dietro al progetto altoatesino si può leggere anche una visione “svizzera” del futuro, legata essenzialmente alle risorse del territorio, alle filiere corte, ai prodotti a chilometri zero. Una prospettiva “glocal”, che – senza disconnettersi dalla grande rete planetaria delle informazioni e delle merci – punta sul territorio per alimentare innanzitutto la domanda interna, che (a livello macroeconomico) in Italia è entrata in crisi in decenni di austerity progressiva, fino a crollare poi con il governo Monti. Può sembrare paradossale, la mini-rivoluzione di Bolzano, in un’Ue che sovrasta i governi nazionali imponendo scelte dall’alto. Nel terzo millennio cinese (e tedesco) del super-export, il lavoro si precarizza o sparisce, delocalizzato. E dopo aver eliminato la rappresentanza politica nelle Province, ora si vorrebbe tagliare anche i parlamentari, penalizzando ancora una volta le periferie. Bolzano risponde alla sua maniera, come può, e in modo keynesiano: soldi pubblici, per sostenere l’economia reale (privata) là dove è essenziale che non muoia. Una piccola, grande lezione.Fino a 15.000 euro in regalo a chi apre un negozio in un paesino, assicurando generi di prima necessità. Succede in Alto Adige, dove la giunta provinciale di Bolzano ha stanziato fondi per un piano speciale di investimenti. Obiettivo: combattere, in modo concreto, lo spopolamento della montagna. Altro che reddito di cittadinanza: fioccano contributi per chi sceglie di tenere vive le Alpi, garantendo alle famiglie residenti i principali servizi di prossimità. E senza scordare i negozi che hanno finora resistito, nelle valli: un cospicuo assegno (da 9 a 11.000 euro) è l’incoraggiamento destinato a chi, in questi anni, ha tenuto duro, mantenendo la presenza di un punto vendita a portata di mano, raggiungibile a piedi. «L’obiettivo è quello di favorire il commercio interno ai paesini, sia tutelando i negozi già presenti sia incentivando l’apertura di nuovi esercizi», scrive Eleonora Angeloni su “GreenMe“. «Il commercio di vicinato rappresenta un vantaggio non solo per i commercianti locali, ma anche per i residenti, che non si trovano costretti a dover percorrere lunghe distanze per avere accesso ai prodotti necessari nella quotidianità».
-
Airbnb fa male: il turismo low cost sfratta i meno abbienti
Si presenta come la principale “success story” del capitalismo delle piattaforme digitali: oggi, Airbnb è un impero mondiale. Nata nell’ottobre 2007 a San Francisco con l’intuizione di creare un portale online che coniugasse domanda e offerta del turismo low cost, è diventata un colosso da 30 miliardi di dollari: solo nel secondo trimestre del 2019 ha realizzato oltre un miliardo. In costante espansione, si appresta ad acquisire nuove società con l’obiettivo di avere il monopolio del settore a livello globale. «I numeri del boom sono impressionanti, se pensiamo che il portale ha visto crescere gli annunci pubblicati dagli 8.126 del 2011 ai 400mila attuali», scrivono Vincenzo Carbone e Giacomo Russo Spena su “Micromega”. «Utilizzato soprattutto tra i più giovani e gli squattrinati, da un lato è uno strumento comodo che permette di viaggiare a basso costo, dall’altro è diventato per qualcuno un’attività semi-professionale dando la possibilità a chi ha una camera libera nella propria abitazione di affittarla per brevi periodi». Su ogni transazione effettuata, la piattaforma trattiene una percentuale: il 3% dall’host, una percentuale variabile (fino al 20%) dal turista. La tesi: il turismo low cost promosso da Airbnb è contro i poveri.«Nel suo frame narrativo – continuano Carbone e Russo Spena – Airbnb parla di “città condivisa” rivendicandosi il ruolo di competitor per le catene alberghiere e per il turismo di lusso. Si autorappresenta come l’opzione politicamente corretta: la rivincita del ceto medio e dei meno abbienti e un nuovo modo di viaggiare tramite lo home-sharing». In effetti, il boom delle stanze in affitto porterebbe benefici diffusi anche per i territori, dal ripopolamento dei centri abbandonati alla riqualificazione di intere aree. Ma è tutto oro quel che luccica? Qual è idea di città che si nasconde veramente dietro il business di Airbnb? Dopo anni di studio, Sarah Gainsforth, ricercatrice e giornalista, ha prodotto il libro “Airbnb città merce” (DeriveApprodi), nel quale effettua un’attenta disamina di questa florida società-prodigio della Silicon Valley, focalizzandosi sulle conseguenze urbane del turismo low cost. Il testo, secondo la recensione di “Micromega”, non risulta né ideologico né manicheo. «La retorica fasulla di Airbnb va combattuta con dati reali e storie vere di origine e resistenza», si legge nella prefazione. Dietro il comodo strumento di Airbnb, si celerebbe un modello di città escludente e diseguale.Innanzitutto, il suo business avalla il fenomeno della “gentrification”, ovvero la riqualificazione estetica dei quartieri impoveriti (ma, nello stesso momento, l’aumento dei prezzi e dei valori immobiliari: il che che provoca un ricambio di popolazione e l’espulsione, diretta o indiretta, degli abitanti meno facoltosi). Airbnb contribuisce a questa trasformazione urbana perché gli affitti temporanei di alloggi contraggono l’offerta di case in affitto, favorendo il rialzo dei valori immobiliari e dei canoni di locazione. Secondo la Gainsforth, Airbnb non è altro che «uno strumento di concentrazione della ricchezza proveniente dalla rendita immobiliare: fa profitti imponendo un modello di città sbagliato dove persiste un centro turistico e vetrina e la contemporanea espulsione degli abitanti verso le periferie», che poi diventano contenitori dell’emarginazione sociale. «Che Airbnb favorisca la classe media è una favola», spiega l’autrice in una recente intervista su “Left”: «Se lo fa è soltanto nel mascherare gli effetti delle politiche neoliberiste che sono alla base del suo stesso successo». Peraltro, «il ceto medio è vittima principale delle prassi urbane attivate dall’azienda, in quanto soggetto principale che subisce gli effetti della “gentrification”».Molte città in Europa – da Barcellona a Lisbona – secondo “Micromega” stanno correndo ai ripari per arginare quel turismo di massa che sta devastando il volto dei propri centri, palesandosi come il principale strumento di “gentrification” e di marketing delle città, diventate al tempo stesso “imprenditrici” e merce di consumo. Se il mantra dei nostri tempi è “il turismo genera ricchezza”, la domanda è: per chi? «Questo modello di marketing turistico concentra i profitti nelle mani di pochi operatori privati, principalmente le compagnie aeree, i tour operator e i proprietari immobiliari», sostiene il ricercatore Augustin Cocola-Gant, intervistato nel libro: «Tutti gli altri ne sono esclusi, quella che inizialmente poteva sembrare un’opportunità per la città si sta rivelando una dimensione drammatica». In Italia, città come Firenze, Napoli e Venezia stanno cambiando volto per l’invasione del turismo di massa: «Nel capoluogo toscano, oltre 8.200 annunci per case-vacanze su 11.200 sono nel centro storico, e ciò sta portando all’abbandono dal centro di molti residenti».La “monocultura turistica”, poi, sfrutta (come “merce esperienziale”) ogni valore territoriale, ogni aspetto delle culture materiali: dal patrimonio enogastronomico, alle relazioni sociali nei contesti di vita, dalle sagre ai mercatini tipici, dalle rievocazioni storiche alle più arcaiche pratiche delle culture tradizionali, scrivono Carbone e Russo Spena. Persino nelle forme «polverizzate non governate (immediatamente) dai grandi tour operator», la massificazione dell’industria turistica «ha reso “merce” le esperienze urbane e dei territori», trasfigurando i quartieri. Siti d’interesse turistico «hanno visto progressivamente mutare funzioni e significati», e intere aree urbane «subiscono trasformazioni nella composizione degli abitanti, nelle attività economiche e commerciali, nei tempi di vita, esclusivamente scanditi su quelli del consumo». Un nuovo deserto: «I panorami sociali di queste aree sono spopolati, pochissimi i residenti stabili, mentre le classi meno agiate e le famiglie di ceto medio vengono espulsi», visto che mancano “servizi di prossimità” e i costi crescono.Poi ci sono appartamenti di rappresentanza, usati solo per pochi giorni l’anno: «Case senza abitanti e abitanti senza casa rappresentano un altro stridente paradosso dei territori turistificati, nei quali si generano conflitti sull’uso dello spazio e sui significati attribuiti ai luoghi tra chi li vive quotidianamente e chi, invece, semplicemente, li consuma». Secondo Sarah Gainsforth, una nuova “trappola” dell’economia delle piattaforme digitali si è costituita nell’incontro tra dispositivi tecnologici e meccanismi di autoimpresa: accogliere turisti è rappresentato come un’attività facile (smart) e persino divertente, mentre le tecnologie digitali consentono di intercettare agevolmente la domanda di ospitalità, mentre la condivisione dello spazio domestico costituisce «una modalità creativa per l’integrazione del reddito». L’idea di abitare, scrive “Micromega”, è mutata dalla molecolarizzazione dell’impresa turistica contemporanea: fare soldi con il turismo significa sempre più spesso “vendere” i turisti, «una preziosa merce da mobilitare per carpirne l’attenzione e per estrarne capacità di spesa».La città e il territorio? «Costituiscono un mezzo di produzione, una risorsa estrattiva per questa forma di produzione: i luoghi sono rendite da cui trarre profitto». Di fatto, la finanza «ha ridisegnato le città non più soltanto facilitando l’acquisto delle case attraverso i mutui ipotecari, ma attraverso l’ascesa delle grandi corporazioni immobiliari sostenute dai mercati di capitale internazionale e del capitalismo delle piattaforme come Airbnb». In altre parole, va a farsi benedire la pianificazione urbanistica, insieme con l’idea di città come spazio essenzialmente pubblico. «Già esistono, in Europa, modelli per regolamentare la sharing economy», concludono Carbone e Russo Spena. «Il turismo è un fenomeno complesso che modifica il senso della città ed è necessario governarlo. Non si può più relegare all’economia predatoria delle piattaforme digitali come Airbnb. Ci vogliono scelte politiche innovative, radicali e coraggiose. In Italia quando?».(Il libro: Sarah Gainsforth, “Airbnb città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale”, DeriveApprodi, 190 pagine, 18 euro).Si presenta come la principale “success story” del capitalismo delle piattaforme digitali: oggi, Airbnb è un impero mondiale. Nata nell’ottobre 2007 a San Francisco con l’intuizione di creare un portale online che coniugasse domanda e offerta del turismo low cost, è diventata un colosso da 30 miliardi di dollari: solo nel secondo trimestre del 2019 ha realizzato oltre un miliardo. In costante espansione, si appresta ad acquisire nuove società con l’obiettivo di avere il monopolio del settore a livello globale. «I numeri del boom sono impressionanti, se pensiamo che il portale ha visto crescere gli annunci pubblicati dagli 8.126 del 2011 ai 400mila attuali», scrivono Vincenzo Carbone e Giacomo Russo Spena su “Micromega“. «Utilizzato soprattutto tra i più giovani e gli squattrinati, da un lato è uno strumento comodo che permette di viaggiare a basso costo, dall’altro è diventato per qualcuno un’attività semi-professionale dando la possibilità a chi ha una camera libera nella propria abitazione di affittarla per brevi periodi». Su ogni transazione effettuata, la piattaforma trattiene una percentuale: il 3% dall’host, una percentuale variabile (fino al 20%) dal turista. La tesi: il turismo low cost promosso da Airbnb è contro i poveri.
-
Vox Italia: Dio, patria e famiglia. Chi ha paura di Fusaro?
Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate: oscurati da Facebook già in partenza, tanto per cominciare. E se si prova a varcare la soglia del sito ufficiale, voxitalia.net, è Google a trasformarsi in Cerbero: sito pericoloso, potrebbero scipparvi la carta di credito e i dati sensibili. Aiuto! Non insperate mai veder lo cielo, specie se vi chiamate Vox Italia. Come mai tanta paura, per il neonato movimento ispirato e guidato dal giovane filosofo torinese Diego Fusaro? Basta fare un giretto sul web per farsene un’idea. Le reazioni vanno dalla minimizzazione all’irrisione, fino alla diffamazione. Cos’è Vox Italia? Un movimento, si legge, che nasce per dar voce all’interesse nazionale. Slogan: “Pensare e agire altrimenti”, e muoversi “obstinate contra”, scrive Fusaro. «In direzione ostinata e contraria», avrebbe detto Fabrizio De Andrè, in un’Italia dove ancora esistevano menti come quella di Fabrizio De Andrè. «Il movimento – chiarisce Fusaro – unisce valori di destra e idee di sinistra». Più precisamente: «Valori dimenticati dalla destra e idee abbandonate dalla sinistra». Vox Italia si smarca dal «coro virtuoso del politicamente corretto», definito «superstruttura santificante i rapporti di forza del globalismo finanziario a beneficio degli apolidi signori del big business sradicato e sradicante».
-
Mangia: i veri padroni a cui risponde “l’avvocato del popolo”
La formazione di un governo è dipesa per 75 minuti dall’annuncio dell’esito di un sondaggio gestito da una società privata; il partito che per 18 mesi si è fatto paladino delle democrazia rappresentativa, e che in questi giorni ha ricordato a tutti le regole della democrazia parlamentare, voterà a breve la riduzione dei parlamentari; e ormai la Lega, pur di mettere in luce quel che è successo, cita Mortati e la presunzione di consonanza tra Parlamento e corpo elettorale. E’ roba che è morta e sepolta da quando Mattarella ha annunciato in televisione l’esistenza di una pregiudiziale europea, per cui non può fare il ministro chi, nella sua vita precedente, abbia mai criticato l’Unione Europea. Davvero ha ragione Mario Esposito a dire che ormai l’Ue fa parte della forma di governo italiana. È che se ne sono accorti in pochi, anche se è sotto gli occhi di tutti. Bisognerà, prima o poi, fare una riflessione sul ruolo della presidenza della Repubblica, e su cosa è diventata. La vera ragion d’essere di questo governo è anestetizzare per un po’ la situazione italiana, dopo le preoccupazioni che l’Italia aveva destato in una fase pessima per gli equilibri politici del continente. Altro che Iva da stornare e riduzione del cuneo fiscale da realizzare. Quella è roba, diciamo così, per il mercato elettorale interno.Finché si potrà, si cercherà di puntellare dall’esterno un governo che serve a tenere a bada una provincia dell’Impero dove covano germi di ribellione. E si sa che il partito delle molte Legion d’Onore – e cioè il Pd – è sempre disponibile per queste operazioni. Gli dà una mano il M5S, che adesso si è scoperto decisamente europeista, dopo aver consentito il nascere della Commissione von der Leyen. Chissà perché non hanno chiesto un parere a Rousseau anche su questo, visto che è stato il vero passaggio di rottura. D’altronde, Lega e 5 Stelle avevano già fatto una campagna elettorale ad insultarsi a vicenda mentre stavano al governo: era normale che questo dovesse avvenire. E non si è capito che Salvini le elezioni le aveva vinte in Italia, ma in Europa le aveva perse. E anche male. Era solo questione di tempo perché si spaccasse l’accordo. La durata di questo governo dipenderà dall’esterno, come è avvenuto per il precedente, che è caduto sulla politica estera. Kissinger vedeva nella dimensione imperiale la forma politica naturale per l’Europa. I fatti gli stanno dando ragione. Perché per un impero ad importare è il centro, mentre i confini sono secondari: possono espandersi o contrarsi, ma l’importante è che tenga il centro.Secondo me gli ideatori del format elettorale che va sotto il nome di 5 Stelle non si sono resi conto che l’“avvocato del popolo”, che era stato reclutato come un “professionista a contratto”, gli ha sfilato il giocattolo. E il momento in cui questo è avvenuto è stato al momento del voto sulla presidenza della Commissione Europea. È chiaro che i 5 Stelle cercavano una legittimazione a livello europeo dopo essere stati tenuti fuori da tutto fin dal loro ingresso a Strasburgo. E la loro occasione è stata quella di fornire 14 voti ad una Commissione che è entrata in carica per 9 voti. A quel punto la crisi d’agosto ha prodotto un’accelerazione. E Conte, che aveva già lavorato con un pezzo di governo che rispondeva al Quirinale per accreditarsi in Europa, si è trovato investito di un ruolo di statista che gli è stato concesso in tutta fretta per evitare i problemi che avrebbe potuto dare una crisi italiana in una fase in cui Brexit, recessione tedesca e guerra commerciale sono tutti punti interrogativi. Conte riceverà la fiducia da un gruppo parlamentare, il Pd, che non risponde alla sua segreteria, e da un altro gruppo parlamentare che fino a una settimana fa vedeva in Di Maio il leader politico e in Conte un mediatore tecnico.Il punto è che l’investitura rapidissima e simultanea, e su tutti i media mondiali, di Conte da parte di Merkel, Macron, Trump, Juncker, Bill Gates, Oettinger, Moscovici, Elvis Presley e Walt Disney pone un problema allo stesso Movimento. Adesso Conte a chi risponde?Bisogna domandarselo. Risponde al Pd, verso il quale ha rivolto in questi giorni parole di vecchio simpatizzante? Alla Casaleggio e Associati? A chi, con immenso candore, l’ha definito il “nuovo Tsipras” (Jean-Claude Juncker) ed eletto al ruolo di statista mondiale da “burattino” che era? O risponde fondamentalmente a se stesso, come ogni professionista che si rispetti? Se Di Maio fosse rientrato a Palazzo Chigi come vicepremier avrebbe avuto la possibilità di controllare il suo ex “professionista a contratto” e ritagliare un ruolo a quel che resta del Movimento. Se va a fare il ministro e basta, tutto si fa più confuso e provvisorio. Cosa direbbe, Kissinger, di questa situazione? Direbbe la verità. E cioè che in fondo Casaleggio, Conte e via dicendo sono dei parvenu dell’ordine mondiale. E che Conte sia stato, per il momento, cooptato per tenere buono un paese fastidioso, non vuol dire che lo sia anche il gruppo formatosi attorno alla Casaleggio e Associati, con i suoi progetti di democrazia cibernetica fatta in casa con il forno a legna.(Alessandro Mangia, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “I veri poteri a cui risponde l’avvocato del popolo”, pubblicato dal “Sussidiario” il 4 settembre 2019. Il professor Mangia è ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano).La formazione di un governo è dipesa per 75 minuti dall’annuncio dell’esito di un sondaggio gestito da una società privata; il partito che per 18 mesi si è fatto paladino delle democrazia rappresentativa, e che in questi giorni ha ricordato a tutti le regole della democrazia parlamentare, voterà a breve la riduzione dei parlamentari; e ormai la Lega, pur di mettere in luce quel che è successo, cita Mortati e la presunzione di consonanza tra Parlamento e corpo elettorale. E’ roba che è morta e sepolta da quando Mattarella ha annunciato in televisione l’esistenza di una pregiudiziale europea, per cui non può fare il ministro chi, nella sua vita precedente, abbia mai criticato l’Unione Europea. Davvero ha ragione Mario Esposito a dire che ormai l’Ue fa parte della forma di governo italiana. È che se ne sono accorti in pochi, anche se è sotto gli occhi di tutti. Bisognerà, prima o poi, fare una riflessione sul ruolo della presidenza della Repubblica, e su cosa è diventata. La vera ragion d’essere di questo governo è anestetizzare per un po’ la situazione italiana, dopo le preoccupazioni che l’Italia aveva destato in una fase pessima per gli equilibri politici del continente. Altro che Iva da stornare e riduzione del cuneo fiscale da realizzare. Quella è roba, diciamo così, per il mercato elettorale interno.
-
Sapelli: Italia senza via d’uscita, hanno svenduto il paese
Cosa sta succedendo in Europa? Che cosa cambia dopo il voto europeo e l’avanzare della trasformazione del sistema delle relazioni tra Stati in Europa e nel mondo? La struttura di questa relazione – scrive lo storico dell’economia Giulio Sapelli – in Europa è costituita da una forma di “superfetazione” tecnocratica, che rende faticosissimo e quasi impossibile l’emergere di un involucro istituzionale che sia idoneo sul piano funzionale a garantire l’unificazione del processo decisionale in atto nella sfera economica con quello in atto nella sfera politica. Com’è noto, aggiunge Sapelli sul “Sussuidiario”, nella storia secolare e ineguale della circolazione delle élite politiche emerse con il capitalismo, «la democrazia rappresenta un risultato assai recente e instabile, nella sua forma dettata dal suffragio universale». Le dittature tra le due guerre e il franchismo, il salazarismo e i colonnelli greci stanno lì a ricordarcelo, fino agli anni Settanta. «La forma politica in cui l’incompiuto impero europeo giunge nel secondo millennio – continua il professore – è quanto di più instabile e meno statico si sia potuto creare, nel rapporto tra economia e politica».Aggiunge Sapelli: «Mentre infatti i profeti dell’impero invocano la centralizzazione poliarchica per affrontare le sfide di una competizione globale che intravedono tra blocchi continentali (tra potenze di mare e di terra), nulla di tale centralizzazione si è realizzata nei decenni che sono seguiti al fatidico 1957 dopo la firma del Trattato di Messina tra Scilla e Cariddi». Lì si è rimasti, secondo Sapelli, «invocando la centralizzazione politica e perpetuando invece la divisione militare, economica e politica di un incompiuto impero», quello europeo, «unificato solo dall’alto con una ragnatela tecnocratica» che è «preda di lobbismo e giurisprudenzialismo», visto che manca «una Carta costituzionale europea» nonché «partiti politici europei», ma anche «grandi gruppi industriali e finanziari europei». E’ assente pure «una disciplina, tanto della politica» (un con Parlamento Europeo che è privo di poteri) «quanto dell’economia», cioè con «regole antitrust pro-consumatori e contro i produttori». Sempre secondo Sapelli, «questa incompiutezza volge al disfacimento, alla disgregazione».Lo dimostrano la Brexit e le recenti elezioni europee, «con la vittoria liberale ed ecologista che proprio queste non omeostaticità amplificheranno sino all’esaurimento». La continuità dell’ordoliberismo, per Sapelli, ormai non è più frenabile (continuità che le forze vincitrici «esaltano, sugli altari della lotta al debito come peccato». E questo «non potrà che rafforzare le spinte centrifughe, con conseguenze che saranno devastanti». Riflessione geopolitica: «L’emergere della Cina come potenza marittima eversiva dell’ordine internazionale non farà che aumentare le spinte centrifughe, attirando a sé le periferie più deboli», cioè il Portogallo e la Grecia, ma anche Italia, «che sta perdendo rapidamente la sua strategica posizione di ultima dei primi e prima degli ultimi». Secondo Sapelli, «è il frutto di un lavorio della borghesia “vendidora” italiana, che inizia nel fatidico 1981 con il cosiddetto divorzio tra Bankitalia e Tesoro e culmina con il Fiscal Compact», approvato dal governo Monti insieme all’inserimento del micidiale pareggio di bilancio nella Costituzione, abbattendo così «ogni possibilità reale e concreta di resistere, per un insediamento stabile a Stato debole come l’Italia».Ormai, sempre per Sapelli, è diventato impossibile «resistere ai venti della disintermediazione finanziaria internazionale», affermatasi negli anni Novanta «con il primitivo volto della lotta alla corruzione», maschera perfetta per coprire il vero obiettivo di un’operazione che avrebbe azzoppato quel che restava della sovranità economica nazionale. «Tutte le aspettative cresciute sull’italico suolo negli ultimi due anni – aggiunge Sapelli – si sono rivelate tradite da parte delle classi politiche peristaltiche elette dai variegati “popoli degli abissi”, mentre quelle che ancora impersonificano le aspettative di ciò che rimane della borghesia nazionale industriale e dei servizi faticano a cogliere il senso della battaglia epocale in corso». Stanno facendo a pezzi l’Italia, e nessuno se ne accorge. Così, conclude Sapelli, «ci si avvia, come i ciechi di Bruegel, verso il baratro di una lotta europea che sarà senza quartiere». Obiettivo della guerra indicata dal professore: «Abbattere le borghesie nazionali italiche, privandole di ogni capacità di resistenza dinanzi alle formule predatorie di una divisione internazionale del lavoro più spietata che mai». Una sorta di totalitarismo neoliberista che, secondo Sapelli, «non potrà che condurre all’italica desertificazione: amen».Cosa sta succedendo in Europa? Che cosa cambia dopo il voto europeo e l’avanzare della trasformazione del sistema delle relazioni tra Stati in Europa e nel mondo? La struttura di questa relazione – scrive lo storico dell’economia Giulio Sapelli – in Europa è costituita da una forma di “superfetazione” tecnocratica, che rende faticosissimo e quasi impossibile l’emergere di un involucro istituzionale che sia idoneo sul piano funzionale a garantire l’unificazione del processo decisionale in atto nella sfera economica con quello in atto nella sfera politica. Com’è noto, aggiunge Sapelli sul “Sussuidiario”, nella storia secolare e ineguale della circolazione delle élite politiche emerse con il capitalismo, «la democrazia rappresenta un risultato assai recente e instabile, nella sua forma dettata dal suffragio universale». Le dittature tra le due guerre e il franchismo, il salazarismo e i colonnelli greci stanno lì a ricordarcelo, fino agli anni Settanta. «La forma politica in cui l’incompiuto impero europeo giunge nel secondo millennio – continua il professore – è quanto di più instabile e meno statico si sia potuto creare, nel rapporto tra economia e politica».
-
Roberto Alice: un altro mondo è possibile, bisogna volerlo
«Si parla tanto di un progetto completamente assurdo e inutile come il costosissimo Tav Torino-Lione, mentre la Regione Piemonte ha chiuso 500 chilometri di ferrovie per i pendolari. E così, ogni giorno sono 400.000 le auto che inondano Torino». Follie piemontesi: «Il treno che da Pont Canavese raggiunge il capoluogo impiega un’ora e mezza per percorrere 55 chilometri. Con i soldi del Tav potremmo comprare 1.000 nuovi treni per il Piemonte, oppure 14.000 autobus elettrici o 200.000 auto elettriche. Risolveremmo una volta per tutte il problema del traffico e dell’inquinamento, mettendo fine all’inferno quotidiano dei pendolari». Parola di Roberto Alice, progettista hardware nel settore dell’elettronica per le telecomunicazioni. Torinese, è stato fra i tanti italiani che, anni fa, risposero all’appello di Beppe Grillo per ridare speranza all’Italia, sfinita dalla cattiva politica. Oggi la “rivoluzione” grillina è impigliata tra le luci e le ombre del governo gialloverde, troppo timido con Bruxelles nel rivendicare la propria autonomia finanziaria, indispensabile per investire in modo massiccio nei settori strategici, capaci di creare posti di lavoro. Lo sa benissimo Roberto Alice, keynesiano convinto, esponente piemontese del Movimento Roosevelt e collaboratore di “Scenari Economici”, il newsmagazine fondato da Antonio Maria Rinaldi, ora candidato alle europee con la Lega.Anche Alice è candidato, ma con i 5 Stelle e alle regionali piemontesi. «Il 26 maggio – dice Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt – gli elettori di Torino e provincia potranno arricchire la Regione Piemonte con la sensibilità “rooseveltiana” di Roberto Alice, sul piano della buona amministrazione e di una cultura politica di impronta keynesiana, fieramente ostile al neoliberismo che ha condizionato centrodestra e centrosinistra, meri esecutori dell’austerity Ue che, a cascata, ha impoverito Stati, Regioni e Comuni». Se Salvini e Di Maio possono non entusiasmare molti elettori, resta comunque intatta la solida passione degli attivisti come quelli che formano, ad esempio, la base pentastellata. Questione di impegno sociale personale: Roberto Alice vive la militanza nel Movimento 5 Stelle come strumento diretto di partecipazione civile, mettendo a disposizione la sua esperienza. Sogna un Piemonte più pulito e vivibile, da migliorare mettendoci la faccia. Di formazione scientifica, Roberto ha studiato fisica. Parla inglese e francese, viaggia, si guarda intorno. E’ comunque contento che, un anno fa, gli italiani abbiano mandato a casa la vecchia casta dei politici condizionati dai tecnocrati. Ecologia: fare pulizia a casa propria, innanzitutto. Il Piemonte? E’ un po’ come l’Italia: tante potenzialità, ma poco sfruttate. Cosa manca? Una visione: tecnologie pulite, al servizio dei cittadini.Quando ormai il Nord Europa brillava per la capacità di fare business riciclando i rifiuti con procedure a impatto zero, Torino non ha trovato di meglio che costruire un gigantesco inceneritore. Pessima idea: «Se i rifiuti li brucio, la loro massa non sparisce affatto: finisce semplicemente nell’aria, che poi respiriamo», dice Roberto. «Smettiamola di considerarli rifiuti, gli scarti che buttiamo via. Se anziché bruciarli li ricicliamo, abbiamo solo vantaggi: non inquiniamo, otteniamo materie prime rigenerate e risparmiamo molto denaro, in termini di energia». Facile a dirsi. Ma in Piemonte sembra tutto più complicato, a partire dai trasporti: i tagli – spesso imposti dalle politiche neoliberiste basate sul rigore – hanno colpito moltissime località periferiche, da cui ogni mattina sciamano lavoratori e studenti diretti nel capoluogo. Il Piano-B è semplice: incentivare la mobilità elettrica, creare parcheggi di scambio e aggregare i viaggiatori su vettori elettrici, treni e pullman. Efficienza, rapidità, aria pulita. «Abbiamo meno di 200 treni regionali, ormai vecchi, che spesso viaggiano a una media di 20 chilometri all’ora. E siamo nel 2019». Attenzione: «Quello dei pendolari rappresenta il 90% del trasporto regionale». Ma siamo in Piemonte, appunto, e non si smette di farneticare sull’ipotetico Tav Torino-Lione, inutile doppione (per merci inesistenti) dell’attuale linea Torino-Modane che già collega Torino a Lione attraverso la valle di Susa e il Traforo del Fréjus, appena riammodernato con una spesa di quasi mezzo miliardo di euro.Non è tutto, naturalmente. Tra i cavalli di battaglia di Roberto Alice c’è la contestazione del nuovo distretto sanitario torinese a valenza regionale, la Città della Salute, che si otterrebbe “traslocando” in periferia i poli ospedalieri d’eccellenza come il Cto (traumatologia), il Sant’Anna (neonatologia) e il Regina Margherita (pediatria). Veri e propri gioielli, di fama europea, cresciuti attorno all’ospedale maggiore, le Molinette, lungo il Po e di fronte alla collina. «Una location prestigiosa, appetibile per costruire alloggi residenziali: operazione che puzza di speculazione edilizia», avverte Alice. Poi ci sono altri pericoli, secondo il candidato grillino: «Si prevede una riduzione di 900 posti letto. E nel futuro maxi-quartiere ospedaliero rischia di sparire l’autonomia sanitaria dei centri di eccellenza. Senza contare la triste sorte dell’Ospedale Oftalmico, già colpito da scriteriati tagli orizzontali». Una politica lontana dai cittadini, progettata dall’alto e in modo opaco? E’ quanto sostengono gli esponenti piemontesi del Movimento 5 Stelle, forti – se non altro – delle prove di trasparenza sin qui offerte dall’amministrazione cittadina guidata dalla grillina Chiara Appendino, sindaco di Torino dal 30 giugno 2016.«Viviamo in un momento difficile», ammette Roberto Alice: «Ad ogni passo, se pur piccolo, verso una politica umanistica, si contrappone il fuoco di fila da parte dei grandi media, che rende faticoso il cammino. Per questo non bisogna mollare». Il governo gialloverde? «Sono cosciente delle difficoltà che deve affrontare». Un consiglio? «Un po’ più di coraggio nelle politiche economiche: i bravi economisti non ci mancano». Quello, infatti, è il vero nodo italiano: «Anziché le fallimentari politiche di austerità, per far crescere il benessere bisogna usare le leve keynesiane: investimento pubblico strategico». Con che soldi? Per esempio, quelli indicati da Nino Galloni, che lo stesso Roberto Alice ha presentato lo scorso 15 marzo a Torino, in un affollato convegno del Movimento Roosevelt: moneta parallela, non a debito, per creare posti di lavoro. «Dobbiamo abbandonare il modello neoaristocratico e turbo-liberista, accogliendo un modello equilibrato dove umanesimo e libero mercato concorrano come forze simbiotiche e non opposte». Come tradurre tutto ciò nelle elezioni regionali? «Impeganrsi nella Regione è importante – dice Roberto Alice – perché è la giusta dimensione intermedia fra il livello locale e quello nazionale ed europeo». Se l’Europarlamento conta pochissimo, e in ogni caso non elegge la Commissione Ue, almeno nelle Regioni sono ancora i cittadini-elettori e decidere, intercettando anche le istanze dei Comuni.Non è poco, in un sistema neo-feudale e post-democratico dominato da lobby potenti che, di fatto, scrivono direttamente le normative europee. Negli ultimi decenni, i livelli decisionali locali sono quasi scomparsi, in favore di una centralizzazione verticale del potere, a spese della sovranità democratica degli elettori. «E’ in Regione – insiste Roberto – dove le possibilità economiche date dallo Stato e dall’Europa possono essere tradotte in politiche virtuose verso il cittadino». Nei trasporti, per esempio: «Il diavolo si nasconde nei dettagli: a che serve disporre di grandi risorse per sviluppare la mobilità elettrica, se poi vengono usate solo per fare appalti a pioggia?». Roberto Alice ragiona da italiano semplice, ma fa parte di una categoria particolare: quella dei cittadini che si sono stancati di assistere passivamente al ripetersi del solito, deludente copione. Per questo si sono rimboccati le maniche, mettendosi a studiare problemi e soluzioni. «In una cornice ambientale sostenibile – ribadisce – possiamo guardare le nostre montagne sotto cieli azzurri, in un Piemonte di grandi tradizioni culturali ma spinto verso un futuro migliore grazie all’adozione di tecnologie pulite». D’accordo, ma perché mai un elettore dovrebbe votare proprio Roberto Alice? «Difficile rispondere», si schermisce l’interessato. «Conosco il territorio e le sue problematiche, ma sono tutte cose che potrebbe fare chiunque». Già, ma non tutti lo fanno. C’è qualcosa di intimamente personale, nello sguardo di Roberto: «Lo ammetto: ho la passione per vedere l’armonia, da cui deriva il benessere e forse anche la felicità. Che dite, può bastare?».«Si parla tanto di un progetto completamente assurdo e inutile come il costosissimo Tav Torino-Lione, mentre la Regione Piemonte ha chiuso 500 chilometri di ferrovie per i pendolari. E così, ogni giorno sono 400.000 le auto che inondano Torino». Follie piemontesi: «Il treno che da Pont Canavese raggiunge il capoluogo impiega un’ora e mezza per percorrere 55 chilometri. Con i soldi del Tav potremmo comprare 1.000 nuovi treni per il Piemonte, oppure 14.000 autobus elettrici o 200.000 auto elettriche. Risolveremmo una volta per tutte il problema del traffico e dell’inquinamento, mettendo fine all’inferno quotidiano dei pendolari». Parola di Roberto Alice, progettista hardware nel settore dell’elettronica per le telecomunicazioni. Torinese, è stato fra i tanti italiani che, anni fa, risposero all’appello di Beppe Grillo per ridare speranza all’Italia, sfinita dalla cattiva politica. Oggi la “rivoluzione” grillina è impigliata tra le luci e le ombre del governo gialloverde, troppo timido con Bruxelles nel rivendicare la propria autonomia finanziaria, indispensabile per investire in modo massiccio nei settori strategici, capaci di creare posti di lavoro. Lo sa benissimo Roberto Alice, keynesiano convinto, esponente piemontese del Movimento Roosevelt e collaboratore di “Scenari Economici”, il newsmagazine fondato da Antonio Maria Rinaldi, ora candidato alle europee con la Lega.
-
Rampini: la notte della sinistra, che ha tradito gli italiani
«Debuttai come giornalista (in nero e senza un contratto di lavoro, proprio come si usa oggi) nel 1977 alla “Città Futura”. Era il giornale della Federazione giovanile comunista italiana». Così impietosamente Federico Rampini – oggi firma di punta di “Repubblica” – ricorda il suo esordio professionale nel suo ultimo libro, “La notte della sinistra”, dove affonda il coltello nelle contraddizioni, nelle ipocrisie e negli errori della sua parte politica, che elenca: «Dall’immigrazione alla vecchia retorica europeista ed esterofila, dal globalismo ingenuo alla collusione con le élite del denaro e della tecnologia». Il libro di Rampini in pratica demolisce la sinistra. L’autore invita anzitutto a smetterla di «raccontarci che siamo moralmente superiori e che là fuori ci assedia un’orda fascista». Invita anche a smetterla «di infliggere ai più giovani delle lezioni di superficialità, malafede, ignoranza della storia. Si parla ormai a vanvera di fascismo, lo si descrive in agguato dietro ogni angolo di strada, studiando pochissimo quel che fu davvero… Si spande la retorica di una nuova Resistenza, insultando la memoria di quella vera (o ignorandone le contraddizioni, gli errori, le tragedie)».Poi l’autore ricorda le orribili assemblee studentesche degli anni Settanta, dove «gli estremisti decidevano chi aveva diritto di parola e chi no. “Fascisti”, urlavano a chiunque non la pensasse come loro. L’élite di quel momento (giovani borghesi, figli di papà, più i loro ispiratori e cattivi maestri tra gli intellettuali di moda) era una Santa Inquisizione che sottoponeva gli altri a severi esami di purezza morale, di intransigenza sui valori». Attualmente sembra si sia disinvoltamente cambiato tutto, ma «nel politically correct di oggi sono cambiate solo le apparenze, il linguaggio, le mode. Tra i guru progressisti ora vengono cooptate le star di Hollywood e gli influencer dei social, purché pronuncino le filastrocche giuste sul cambiamento climatico o sugli immigrati. Non importa che abbiano conti in banca milionari, i media di sinistra venerano queste celebrity. Mentre si trattano con disgusto quei bifolchi delle periferie che osano dubitare dei benefici promessi dal globalismo». Le parole d’ ordine e gli slogan dell’attuale sinistra vengono demoliti con chirurgica precisione. I sovran-populisti sono accusati di alimentare la paura? «Da quando in qua», si chiede Rampini, «la paura è una cosa di destra, anticamera del fascismo? Deve vergognarsi chi teme di diventare più povero? Chi patisce l’insicurezza di un quartiere abbandonato dallo Stato?».E le parole identità, patria, interesse nazionale? Rampini, sconsolato, scrive: «Dobbiamo smetterla di regalare il valore-nazione ai sovranisti». A loro, dice, «abbiamo lasciato» la parola Italia: «Certi progressisti» si commuovono per le grandi cause come «Europa, Mediterraneo, Umanità», mentre ritengono la nazione «un eufemismo per non dire fascismo». Solo che la liberal-democrazia è nata proprio «dentro lo Stato-nazione», e Mazzini e Garibaldi «erano padri nobili della sinistra», la quale peraltro ha «venerato tanti leader del Terzo Mondo – da Gandhi a Ho Chi Minh a Fidel Castro – che erano prima di tutto dei patrioti». La sinistra nostrana si entusiasma solo per il sovranismo altrui. Rampini osserva: «Non si conquistano voti presentandosi come “il partito dello straniero”. Negli ultimi tempi in Italia il mondo progressista ha sistematicamente simpatizzato con Macron quando attaccava Salvini e con Juncker quando criticava il governo Conte». Così si conferma «il sospetto che la sinistra sia establishment, e pronta a svendere gli interessi nazionali. Ed è un’illusione anche scambiare Macron per un europeista: è un tradizionale nazionalista francese, che dell’Europa si serve finché gli è utile, ma per piegarla ai propri interessi».Su Juncker poi Rampini è durissimo, ricordando che faceva parte del governo del Lussemburgo quando adottava certe politiche fiscali, cioè offriva «privilegi fiscali alle multinazionali di tutto il mondo: uno dei principali meccanismi di impoverimento del ceto medio e delle classi lavoratrici di tutto l’Occidente». Secondo Rampini «uno che ha governato il Lussemburgo» non dovrebbe essere «promosso» a dirigere la Commissione Europea. L’autore trova incredibile che «opinionisti di sinistra abbiano tifato per Juncker». E poi si chiede: «Perché solo gli italiani dovrebbero vergognarsi di avere cara la propria nazione? Definirsi europeisti in chiave antinazionale, il vezzo attuale della nostra sinistra, è un errore grave: a Bruxelles né i tedeschi né i francesi dimenticano mai per un solo attimo di difendere con determinazione gli interessi del proprio paese».Il primo capitolo del libro s’intitola “Dalla parte dei deboli solo se stranieri”. La fissazione delle élite progressiste per gli immigrati (che sono utilissimi a un certo capitalismo per abbattere retribuzioni e protezioni sociali) va di pari passo con la dimenticanza della stessa sinistra per i nostri poveri e il nostro ceto medio impoverito. Qui l’analisi di Rampini si fa spietata per moltissime pagine. E fa capire perché il popolo e i lavoratori hanno divorziato dalla sinistra e questa è diventata il partito delle élite e dei quartieri-bene: «L’Uomo di Davos ha plagiato la sinistra, i cui governanti si sono alleati proprio con quelle élite». La conclusione di Rampini è questa: «Non vedo un futuro per la sinistra italiana se si ostinerà a essere il partito dei mercati finanziari e dei governi stranieri, in nome di un europeismo beffato proprio da tedeschi e francesi».(Antonio Socci, “La confessione di Federico Rampini sulla sinistra: i veri fascisti siamo noi”, dal quotidiano “Libero” del 2 aprile 2019).«Debuttai come giornalista (in nero e senza un contratto di lavoro, proprio come si usa oggi) nel 1977 alla “Città Futura”. Era il giornale della Federazione giovanile comunista italiana». Così impietosamente Federico Rampini – oggi firma di punta di “Repubblica” – ricorda il suo esordio professionale nel suo ultimo libro, “La notte della sinistra”, dove affonda il coltello nelle contraddizioni, nelle ipocrisie e negli errori della sua parte politica, che elenca: «Dall’immigrazione alla vecchia retorica europeista ed esterofila, dal globalismo ingenuo alla collusione con le élite del denaro e della tecnologia». Il libro di Rampini in pratica demolisce la sinistra. L’autore invita anzitutto a smetterla di «raccontarci che siamo moralmente superiori e che là fuori ci assedia un’orda fascista». Invita anche a smetterla «di infliggere ai più giovani delle lezioni di superficialità, malafede, ignoranza della storia. Si parla ormai a vanvera di fascismo, lo si descrive in agguato dietro ogni angolo di strada, studiando pochissimo quel che fu davvero… Si spande la retorica di una nuova Resistenza, insultando la memoria di quella vera (o ignorandone le contraddizioni, gli errori, le tragedie)».
-
Q-Anon: guerra segreta contro il Deep State, anche in Ue
Se è una fiaba, è bellissima. Infatti, testate come “Wired” e il quotidiano web “Next” di Enrico Mentana l’hanno già dichiarata una schifezza, nient’altro che una bufala. Stefano Fait, consulente strategico internazionale per aziende ed entità pubbliche, la prende sul serio. Si tratta di Q-Anon, sigla-fantasma che sta invadendo il web. Distilla informazioni spesso preziose, sempre esatte, precise, coerenti. Lo stile, dice Fait, è quello dell’intelligence militare Usa. Campo d’azione: guerra psicologica. Obiettivo: colpire e affondare il maledetto Deep State che ha globalizzato il capitalismo finanziario più predatorio, criminale e terrorista. Il piano: rovesciare l’élite neoliberista planetaria, che ha in pugno i grandi media. Non mi stupirei, dice Fait – intervistato da Fabio Frabetti a “Border Nights” – se domani si scoprisse che Trump, Putin e Xi-Jinping sono segretamente alleati, in questa operazione di portata epocale. Passaggi cruciali: le elezioni europee e poi le presidenziali americane, che Q-Anon prevede saranno precedute da una vigilia turbolenta e violentissima. In Europa, la bistrattata Italia gialloverde gioca il ruolo dell’ariete contro il sistema Ue-Bce. Immediata risposta francese, i Gilet Gialli: una regia unica. La rivolta in Francia, stranamente organizzatissima, è scattata dopo il fatale tweet di Trump: «Make France great again».Che cos’è Q-Annon? Il solito network di “whistleblower”, come Wikileaks? Non esattamente: Anonimo-Q sarebbe «un’intelligence mista, militare e civile», riassume “Border Nights” sul suo sito. «Un’unità speciale, cabina di regia congiunta all’interno di Nsa e Dia, rivali di Cia e Fbi». Struttura-ombra, che sarebbe stata creata nientemeno che da John Fitzgerald Kennedy, e che ora ne starebbe «vendicando la morte». Le informazioni trasmesse tramite forum selezionati (“4chan” e poi “8chan”, come Jackie Chan) sono «una via di mezzo tra codici da decifrare e moderne parabole in linguaggio sapienziale, come le potrebbero formulare esperti di intelligence militare». In sostanza, Q-Anon «dissemina idee e nozioni nelle coscienze delle persone, fungendo da catalizzatore cognitivo e spirituale, prima ancora che politico». Cosa vuole Q-Anon? «La graduale rimozione di una mafia globalizzata che ha preso il controllo di quasi tutte le nazioni-chiave del mondo, a partire dal sistema bancario», gestendo direttamente «traffico di esseri umani e di organi, traffico di armi e di droga, segreti industriali». Obiettivo finale: «La creazione di una cittadinanza consapevole e resiliente, che prevenga il ripetersi di questa mostruosità».Fondamentalmente, secondo Fait, assistiamo al passaggio di consegne del potere «dall’élite bancaria psicopatica o sociopatizzata a una nuova élite scientifico-militare», che per molti versi assomiglia a quella che governa “Tomorrowland”, la “terra di domani”, nell’omonimo film. Rischio: una volta preso il comando, i “buoni” potrebbero comportarsi esattamente come i “cattivi”, secondo lo schema orwelliano della “Fattoria degli animali”. Stefano Fait è consapevole del pericolo, ma si dichiara costretto a registrare l’avvento di Q-Anon come una realtà inedita e assolutamente credibile. «Mi occupo principalmente di decifrare il presente per anticipare il futuro per aziende e amministrazioni pubbliche», spiega. «Q-Anon coinvolge decine di milioni di persone in tutto il mondo. I maggiori quotidiani e le Tv internazionali ne parlano, celebrità citano le formule rituali nelle reti sociali. Non si può fingere che non stia accadendo nulla». Secondo Fait, l’operazione Q-Anon «ha tutto quel che occorre per diventare il più vasto fenomeno sociale da quando esiste Internet, superando in intensità il Sessantotto e i figli dei fiori». Da cosa lo deduce? Dalla cronometrica, micidiale precisione dei “drop” immessi nella rete: contengono previsioni dettagliatissime, che rivelano l’autorevolezza delle fonti. E cioè: gli uomini del Pentagono che stanno proteggendo Trump.Geopolitica, innanzitutto: è in corso una guerra a tutto campo. Pietra miliare, la Brexit: «Sono convinto che la Gran Bretagna ne uscirà bene: non ci sarà nessun accordo con Bruxelles, non ci sarà nessun replay del referendum e il Regno Unito ci guadagnerà, dal divorzio, con grande scorno degli eurocrati». Poi l’Italia: «Da fonti certe – aggiunge Fait – so che l’opzione gialloverde era sul tappeto già prima delle elezioni. Missione: creare un governo non suddito di Bruxelles». I gialloverdi sono ammaccati, non sono riusciti a ottenere nulla – se non l’ostilità feroce dell’Ue. «Ne pagheremo il prezzo», dice Fait, «ma molto dipenderà dalle europee di maggio: nessuno sogna che le forze populiste-sovraniste possano davvero vincere, ma si spera che crescano abbastanza da acquisire sufficiente potere negoziale per impedire all’eurocrazia di proseguire con l’attuale politica di austerity». Dall’Europa – dove l’altra pedina sono i Gilet Gialli – i misteriosi promotori di Q-Anon si aspettano un successo, che aiuti Trump a restare alla Casa Bianca tra due anni. In altre parole: il piano procede se i vari Merkel e Macron rimediano una forte battuta d’arresto.Attento “esegeta” degli indizi cifrati di Q-Anon, Fait invita a indossare gli occhiali giusti, al di là delle retoriche politicanti cavalcate dalla disinformazione quotidiana del mainstream. Trump, per esempio: ha abbattuto le tasse e fatto volare l’occupazione, attacca Wall Street e la Fed, ha “smontato” molte regole globaliste del Wto. Attenzione: il Russiagate si sta sgonfiando, per ammissione dei suoi stessi “inventori”. Politica estera? Altri successi: le due Coree si stanno pacificando, e l’Isis sta sparendo dal Medio Oriente (dopo che gli Usa hanno dato via libera alla Russia, in Siria). Come aveva agito, Trump, in prima battuta? Abbaiando. Lo scopo: illudere il Deep State e dare tempo alla trattativa. Ma non solo: decifrando Q-Anon, Fait sfodera un ragionamento sofisticato: «Minacciare un imminente intervento militare ha un effetto preciso: fa uscire allo scoperto la rete nascosta del “nemico interno”, che a quel punto si attiva e diventa finalmente riconoscibile, agli occhi della contro-intelligence che la sta mappando». E’ esattamente quello che sta succedendo in Venezuela, scommette Fait: «Le minacce contro Maduro – roboanti come quelle contro Kim e Assad, finite nel nulla – porteranno alla luce le pedine del vecchio potere globalista e i loro legami. L’obiettivo finale è battere i peggiori settori del Deep State, annidati sia tra i sostenitori di Maduro che tra quelli di Guaidò».Troppo bello per essere vero? L’ennesima leggenda del web? Stefano Fait non la pensa così, anche se resta giustamente cauto: aspettiamo qualche mese, dice, e vedremo se le previsioni di Q-Anon saranno esatte. In ogni caso, aggiunge, la struttura-ombra sembra davvero impegnata nella “madre di tutte le battaglie”: spazzare via il peggior neoliberismo, che considera frutto – almeno, negli Usa – di veri e propri “traditori della patria”, divenuti mercenari (plutocrati cinici e apolidi, senz’altra bandiera che il denaro). C’è davvero una specie di esercito della salvezza, dietro la ruvida maschera di Trump? Secondo gli scettici, si tratta della solita trappola: è solo una guerra di potere, interna all’élite. Vale anche per la periferia dell’impero: basti vedere il cedimento italiano sul deficit e la conferma della legge Lorenzin sui vaccini. Tutto è teoricamente ambivalente, osserva Fait: se oggi Big Pharma intasca il grande business dei vaccini “sporchi”, non è detto che, domani, vaccini di nuova generazione – finalmente “puliti” e sicuri – non possano giovare alla salute dell’umanità.Si stanno verificando vere e proprie stranezze, come l’anomala insistenza parallela – di Trump e di Putin – sulla diffusione della temuta tecnologia G5. Molti esperti avvertono: le onde al altissima frequenza potrebbero “friggere” il cervello. E se domani – si domanda Fait – il G5 venisso reso sicuro, e impiegato per mettere fine alla politica della scarsità artificiale? Idem le cosiddette scie chimiche. «Scandaloso il silenzio dei media: i cieli di Tokyo sono puliti, come quelli cinesi, mentre da noi sono rigati dalle scie persistenti rilasciate dagli aerei». Ma, di nuovo: «Siamo certi che non siano un dispositivo a nostra tutela, per contrastare le alterazioni del clima?». Lo stesso Fait non vende certezze, si ferma onestamente alle domande. Però insiste: l’operazione Q-Anon ha l’aria di essere molto seria, più di quanto possiamo immaginare.Se è una fiaba, è bellissima. Infatti, testate come “Wired” e il quotidiano web “Next” di Enrico Mentana l’hanno già dichiarata una pagliacciata, nient’altro che una bufala. Stefano Fait, consulente strategico internazionale per aziende ed entità pubbliche, la prende sul serio. Si tratta di Q-Anon, sigla-fantasma che sta invadendo il web. Distilla informazioni spesso preziose, sempre esatte, precise, coerenti. Lo stile, dice Fait, è quello dell’intelligence militare Usa. Campo d’azione: guerra psicologica. Obiettivo: colpire e affondare il maledetto Deep State che ha globalizzato il capitalismo finanziario più predatorio, criminale e terrorista. Il piano: rovesciare l’élite neoliberista planetaria, che ha in pugno i grandi media. Non mi stupirei, dice Fait – intervistato da Fabio Frabetti a “Border Nights” – se domani si scoprisse che Trump, Putin e Xi-Jinping sono segretamente alleati, in questa operazione di portata epocale. Passaggi cruciali: le elezioni europee e poi le presidenziali americane, che Q-Anon prevede saranno precedute da una vigilia turbolenta e violentissima. In Europa, la bistrattata Italia gialloverde gioca il ruolo dell’ariete contro il sistema Ue-Bce. Immediata risposta francese, i Gilet Gialli: una regia unica. La rivolta in Francia, stranamente organizzatissima, è scattata dopo il fatale tweet di Trump: «Make France great again».