Archivio del Tag ‘Piano Marshall’
-
Veneziani: chi odia i Mostri di oggi sogna i Draghi di domani
In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.La chiamata alle armi contro il nazismo tornante produrrà effetti elettorali minimi, se non ridicoli, a vantaggio delle forze che si oppongono al Mostro. Nella realtà presente non c’è nessuno che possa sfidare seriamente il governo in carica con qualche possibilità di sostituirvisi. E tantomeno in caso di elezioni politiche anticipate: non si può governare senza affiancarsi, e in posizione di minoranza, a uno dei due mostri in questione. O governi con la Lega o governi coi grillini. Non c’è altra soluzione. Nella sua formidabile performance in cui sembra restaurato come la pellicola di un vecchio film, Berlusconi Settebellezze finge di essere ancora lui il leader del centro-destra con un’incrollabile fede in se stesso – un caso di sconfinata auto-ammirazione. Immagina che la Lega possa rientrare nell’ovile e farsi dirigere da lui, che a suo dire è la Mente, mentre loro sono le braccia o i piedi, personale di servizio o di locomozione.La sinistra fa ancora peggio: attacca il Mostro per antonomasia, Salvini, ma assicura che non si fidanzerà col Mostricciattolo, cioè l’alleato Di Maio. Dopo il voto magari ci sarà il distinguo: nessuna alleanza con Di Maio ma con un Figo, per esempio, sì. Ma intanto la loro fattura di morte sul governo, in che cosa concretamente si traduce? In un sogno proibito, che Berlusconi ha appena accennato, che Mattarella non ha mai pronunciato, e che la sinistra finge di non conoscere. Il sogno è Draghi. Mario Draghi, Sir Marius Drake per la letteratura globish. Al governatore della Bce scade il suo mandato a ottobre, e potrebbe diventare la carta da giocare da parte dell’Europa e delle forze d’opposizione anti-sovraniste d’Italia. Nessuno è così fesso e suicida da augurarsi di tornare alle urne con la probabilità di veder confermato a furor di popolo Salvini e la Lega come il primo leader e il primo partito d’Italia.Allora cosa si spera? Che grillini e leghisti non riescano a superare i malumori accumulati nella campagna elettorale e le palesi divergenze su quasi tutto, unite a una plateale insofferenza reciproca. E che si separino. Dall’altra parte l’Europa agiterà lo spettro del crollo italiano, e allora implorerà Draghi – o un suo succedaneo – di caricarsi del compito. Draghi è stato, va detto, un efficace presidente della Bce, a volte ha tolto le castagne dal fuoco e si è inventato qualche piano marshall finanziario per sostenere gli Stati e sorreggere le banche. Ma è omogeneo all’Establishment euro-globale da una vita. Continuiamo a ricordare il suo ruolo chiave ai tempi dello Yacht Britannia, quando l’Italia privatizzò e svendette i suoi gioielli su ordine dei superiori, sulla nave di Sua Maestà che batteva bandiera inglese. Ma quel che più spaventa è il film già visto. Un paese espropriato della sua sovranità, tramortito e spaventato a colpi di spread e di agenzie di rating, che si affida al grand commis delle istituzioni europee. Ieri Monti, domani Draghi. Mario I e Mario II, euroconcessionari di zona. E buonanotte ai populisti, ai sovranisti, agli elettori.Ipotesi probabile, possibile oppure no? Non ci azzardiamo a fare pronostici ma la furia distruttiva delle opposizioni, della sinistra in particolare, conduce a questa soluzione, con la benedizione di Mattarella. Noi lo abbiamo accennato giorni fa, poi abbiamo sentito e letto conferme in giro, abbiamo visto Berlusconi entusiasmarsi all’ipotesi Draghi e cercare di metterci su il cappello, ricordando che lo aveva mandato lui, non il suo governo, ma proprio lui, alla Banca Centrale Europea. Magari Draghi preferisce pensare al Quirinale o ad altro, vista la brutta fine del suo predecessore e omonimo, il bocconiano funesto Mario I, dei Monti di pietà. E dopo aver visto l’aborto di Cottarelli. A dir la verità, la ricetta grillina in economia, così velleitaria e così fallimentare, ci porta diritti a un governo tecnico tipo Draghi.A chi piace l’ipotesi Draghi, nulla da dire. Ma a chi questa ipotesi non piace o addirittura inquieta, a chi crede che sia un bene non negoziabile la sovranità popolare, nazionale e politica, rispetto al protettorato eurocratico, l’alternativa è chiara: o voti i sovranisti o voti tutti gli altri, della cooperativa Draghi. La scelta sovranista si traduce in primis in Salvini, il Nemico Assoluto e il Bersaglio Concentrico di questa folta truppa di poteri forti e alleati finti. O la Meloni, per chi crede utile votare sovranista ma favorire la caduta del governo coi grillini. A chi piace Drago Draghi e il suo codazzo, non resta che sperare in una vittoria mutilata dei sovranisti e in uno sfascio imminente del governo e del paese, per consentire l’arrivo del Soccorso Globale, voluto dall’Europa, dalla Sinistra, e a fasi alterne da Berlusconi. Chi detesta i grillini al governo ma non vuole arrendersi al Banco dei Pegni, non può che puntare sui sovranisti. Questa è la posta in gioco, Mostri contro Draghi.(Marcello Veneziani, “I Mostri di oggi, i Draghi di domani”, da “La Verità” del 26 maggio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.
-
E se nascesse il Partito del Papa, pro-migranti e pro-Islam
Prima o poi il Partito Popolare rinascerà. Lo farà Romano Prodi, o il suo erede, Enrico Letta; lo farà Berlusconi, o il suo Antonio Tajani del momento, o lo faranno insieme, i rivali di ieri, all’ombra del Ppe che già li unisce. Ma alla fine qualcosa del genere si farà, pensando all’Europa e ai sovranismi, più che a don Sturzo e al centenario del Partito Popolare. Però mentre i tirannosauri del popolarismo si muovono lentamente, indugiando e tergiversando, qualcuno sta bruciando le tappe. È la Chiesa di Bergoglio, è la Chiesa del Cardinal Bassetti, a capo della Conferenza episcopale italiana, è la Chiesa di Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna. Se il Partito Popolare lo fondò un prete, perché non dovrebbe pensarci ora un prelato anziché un politico? La novità è che un Partito del Papa, ossia un Partito dei Cattolici sotto l’egida di Bergoglio, avrebbe solo una cosa in comune col Partito Popolare prodiano e/o berlusconiano: nascerebbe contro la presente maggioranza, per sbarrare la strada ai populismi, ai nazionalismi e ai sovranismi. Ma dopo questa concordanza, il Partito del Papa sarebbe inevitabilmente il Partito dell’Accoglienza, il Partito Pro-Migranti, la prosecuzione della Caritas e della Comunità Sant’Egidio in politica. Al limite, sarebbe il partito di Gino Strada e di Mimmo Lucano, per capirci. Una cosa assai diversa da quello che fu da noi il Partito dei cattolici, la vecchia Dc.Allora lasciamo le polemiche contingenti e vediamo le cose in una prospettiva più ampia, storica. L’Italia riuscì a sopravvivere al fascismo, alla sconfitta della guerra, alle vendette e alle minacce del comunismo, rifugiandosi sotto le mammelle della Dc. Un partito che ebbe la sua forza nella sua debolezza, nel non opporsi a niente in modo radicale e risoluto, nel rispecchiare la realtà in modo duttile e malleabile, garantendo un po’ tutti, o non minacciando nessuno. Organizzò la fuoruscita dalla storia a tariffe convenienti, fu insieme una pomata e una polizza contro i traumi passati e presenti. La Dc fu l’autobiografia della nazione in versione materna, mentre il fascismo era stato l’autobiografia della nazione in versione paterna, virile, guerresca. La forza della Dc fu quella di garantire una transizione indolore dal fascismo all’antifascismo, dalla Nazione che volle farsi impero al paese che volle accucciarsi sotto l’ombrello atlantico americano e sotto il parasole europeista, ricevendo in cambio aiuti, piani di sostegno e controllo militare. La sua forza fu la paura del comunismo, la voglia di tranquillità. E la Matria al posto della Patria.Avrebbe senso oggi un partito dei cattolici in un paese fortemente scristianizzato, radicalmente secolarizzato, con le chiese svuotate? Ma soprattutto riuscirebbe a sfondare un partito dei cattolici proiettato sulla linea pontificia di Bergoglio? Non rischierebbe di lasciar fuori troppi cattolici che si riconoscono nella tradizione, nella civiltà cristiana, nella difesa della famiglia? Che posizione assumerebbe un partito papista sui temi dell’aborto e delle adozioni omosessuali, delle nozze gay e dell’eutanasia, delle nascite e della salvaguardia della figura materna e paterna? La Dc resse su un tacito ma duraturo compromesso tra questa componente conservatrice e la componente moderata che riteneva prioritaria la salvaguardia occidentale, l’atlantismo e l’anticomunismo, la difesa del mercato e del privato. Ma l’avversario principale per un partito cattolico non dovrebbe essere il laicismo radical, lo spirito giacobino e progressista, il materialismo ateo che è oggi il principale sponsor del bergoglismo? E la paura del comunismo non si traduce oggi nella paura dell’Islam, verso cui la Chiesa di Bergoglio è assai aperta?È evidente che il Partito del Papa non riuscirebbe a rappresentare che una piccola quota di cattolici, più una fetta di elettori radicali, di sinistra, non cattolici se non atei. Oggi il loro organo ufficiale non sarebbe l’“Avvenire” ma “La Repubblica”. E sarebbe un bel paradosso. Dopo mezzo secolo di guida democristiana, i cattolici riuscirono a ritagliarsi un ruolo nel sistema bipolare con l’antica strategia dei due forni, facendosi corteggiare da ambo i poli, perché stando nel mezzo e non avendo più rappresentanza politica, pur in minoranza, potevano spostare l’equilibrio a favore del centro-destra o del centro-sinistra. Da qualche anno invece, è lampante l’irrilevanza dei cattolici nelle scelte della politica. Certo, non mancano figure di garanzia per il mondo cattolico, da Mattarella a Conte. Ma l’influenza esercitata nel passato è oggi impensabile, e non parliamo del passato remoto o della Prima Repubblica ma anche più recente.Anche perché si è ridotta la pressione dei cattolici, della Cei, della Curia sui temi bioetici e sulla famiglia, per crescere invece sul tema migranti e accoglienza. Un tema che allontana molti cattolici, non perché siano refrattari alla carità, ma perché diffidenti davanti a una Chiesa-Ong che non si cura della civiltà cristiana in declino e apre le porte anche agli islamici. Allo stato attuale nessuno è in grado di rappresentare i cattolici in politica. Tre partiti cattolici s’intravedono all’orizzonte, quello che nascerebbe dalle ceneri dell’Ulivo, quello che sorgerebbe sulle spoglie di Forza Italia e quello che spunterebbe dalla tonaca del Papa (e dalla Cei). Ma sono tre partiti difficilmente componibili tra loro, tutti fortemente minoritari. E’ difficile immaginare che possa rinascere qualcosa come un partito unitario dei cattolici. Un tempo si diceva, con rassegnazione, moriremo democristiani. Oggi invece si dovrebbe dire: non rinasceremo democristiani.(Marcello Veneziani, “E se nascesse il Partito del Papa?”, da “Panorama” n. 4 del 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Prima o poi il Partito Popolare rinascerà. Lo farà Romano Prodi, o il suo erede, Enrico Letta; lo farà Berlusconi, o il suo Antonio Tajani del momento, o lo faranno insieme, i rivali di ieri, all’ombra del Ppe che già li unisce. Ma alla fine qualcosa del genere si farà, pensando all’Europa e ai sovranismi, più che a don Sturzo e al centenario del Partito Popolare. Però mentre i tirannosauri del popolarismo si muovono lentamente, indugiando e tergiversando, qualcuno sta bruciando le tappe. È la Chiesa di Bergoglio, è la Chiesa del Cardinal Bassetti, a capo della Conferenza episcopale italiana, è la Chiesa di Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna. Se il Partito Popolare lo fondò un prete, perché non dovrebbe pensarci ora un prelato anziché un politico? La novità è che un Partito del Papa, ossia un Partito dei Cattolici sotto l’egida di Bergoglio, avrebbe solo una cosa in comune col Partito Popolare prodiano e/o berlusconiano: nascerebbe contro la presente maggioranza, per sbarrare la strada ai populismi, ai nazionalismi e ai sovranismi. Ma dopo questa concordanza, il Partito del Papa sarebbe inevitabilmente il Partito dell’Accoglienza, il Partito Pro-Migranti, la prosecuzione della Caritas e della Comunità Sant’Egidio in politica. Al limite, sarebbe il partito di Gino Strada e di Mimmo Lucano, per capirci. Una cosa assai diversa da quello che fu da noi il Partito dei cattolici, la vecchia Dc.
-
Magaldi: 5 Stelle, bugie sul Venezuela e fallimenti in Italia
Mascalzoni: o siete ignoranti, all’oscuro dei fatti, o siete addirittura in malafede. E non si sa cosa sia peggio, visto che sedete addirittura al governo. Pazienza, se si trattasse dei soliti “leoni da tastiera”, che sui social diffondono falsità e distribuiscono insulti in modo sleale, protetti dall’anonimato, convinti di restare impuniti in eterno. Ma se si rivestono cariche istituzionali, non si può scadere fino a questo punto. Specie se, come in Venezuela, è in gioco la sicurezza di quasi 30 milioni di persone, ormai alle prese con un’emergenza umanitaria. Sono tantissimi i venezuelani di origine italiana, ieri vicini al governo socialista di Hugo Chavez e ora spaventati e mortificati: dall’invereconda autocrazia dell’indegno Nicolas Maduro, e dal silenzio ufficiale dell’Italia, il cui governo non prende posizione in modo netto sulla crisi in corso. E’ esasperato, Gioele Magaldi, di fronte all’opaca neutralità dei 5 Stelle: non riconoscendo Juan Guaidò come “presidente ad interim”, i pentastellati finiscono per supportare Maduro, cioè il politico fallimentare di cui la stragrande maggioranza dei venezuelani vorrebbe liberarsi. «Avevo dato del cialtrone ad Alessandro Di Battista – tuona Magaldi, in web-streaming su YouTube – ma ora allo stesso giudizio associo anche il vicepremier Luigi Di Maio, allineatosi a Di Battista, esattamente come il presidente della Camera, Roberto Fico».L’accusa: è semplicemente folle dare del “golpista” a Guaidò, solo perché è sostenuto dagli Usa. «L’autoproclamato presidente non ha fatto nulla che non fosse previsto dalla Costituzione del Venezuela: e il governo italiano non può fingere di non saperlo, come invece fanno i 5 Stelle». Scandisce i termini della questione, il presidente del Movimento Roosevelt: per chi non l’avesse ancora capito, ribadisce, Guaidò non è un “signor nessuno” messo lì dalla perfida America per rovesciare un governo legittimo. E’ il presidente del Parlamento. E la Costituzione del suo paese – in circostanze straordinarie, come queste – gli conferisce il potere, legale, di disconoscere il presidente in carica, sostituendolo in via strettamente provvisoria. Con un unico obiettivo: indire elezioni. Dove starebbe il golpismo? Per colpo di Stato si intende: presa del potere con metodi violenti, mediante l’uso della forza. Guaidò vuole forse cacciare Maduro per insediarsi stabilmente alla presidenza? No: si limita a compiere un passaggio costituzionale necessario, per imporre a Maduro il ripristino della legalità democratica. Vuole che i venezuenali possano tornare a votare. L’ultima volta che l’hanno fatto, lo scorso anno, il partito di Maduro ha praticamente vinto da solo: l’opposizione incarnata da Guaidò non si era neppure candidata, non ravvisando l’agibilità democratica della consultazione. Come si può parlare, seriamente, di golpe?Certo, il Venezuela è ricchissimo di petrolio: ha la prima riserva petrolifera del mondo, e ora è boicottato dagli Stati Uniti. Come ricorda Eugenio Benetazzo, c’è proprio il petrolio nel destino di Caracas, nel bene e nel male: usando i proventi del greggio, Hugo Chavez riuscì a condurre uno spettacolare programma di welfare, di stampo socialista. Maduro avrebbe voluto imitarlo, ma il crollo del prezzo del barile gliel’ha impedito. E quando il paese è scivolato nella crisi, l’erede di Chavez – a differenza del suo precedessore – non ha esitato a ricorrere alla repressione, di fronte alle proteste popolari. Maduro ha forzato ripetutamente la Costituzione, cosa che invece Chavez s’era ben guardato dal fare: aveva proposto una modifica costituzionale in senso presidenziale, ma aveva accettato (democraticamente) il verdetto contrario dei venezuelani. «Maduro – sintetizza Magaldi – ha letteralmente rovinato il gran lavoro svolto da Chavez». Non ci credete? E allora, suggerisce il presidente del Movimento Roosevelt, magari leggetevi su “L’Intellettuale Dissidente” le illuminanti analisi di un osservatore privilegiato come Giuseppe Angiuli, grande estimatore di Chavez e oggi rassegnato a descrivere “la triste parabola del socialismo bolivariano”, con ormai quasi 3 milioni di venezuali in fuga – per fame – nei paesi vicini.Lo fa notare lo stesso Benetazzo: è vero, il regime di Maduro si è trovato ad affrontare difficoltà serissime ed è stato progressivamente “accerchiato”. Ma la sua evidente incapacità è ormai diventata un problema insormontabile: al di là dell’avversione ideologica per il governo di Caracas, paesi come Brasile, Argentina ed Ecuador percepiscono Maduro come un ostacolo da rimuovere, non essendo in grado di impedire che il Venezuela si trasformi in una bomba sociale, nel teatro regionale di una catastrofe umanitaria. Alle Sette Sorelle – fa notare Gianni Minà – fa gola il petrolio venezuelano: il loro grande obiettivo è appropriarsi della Pdvsa, la compagnia petrolifera nazionale, tuttora statale. Tutto sembra congiurare contro Maduro: l’Ue lo ha scaricato, e la Banca d’Inghilterra rifiuta di restituire al Venezuela l’ingente riserva aurea di cui il paese virtualmente dispone, nei forzieri di Londra. Ma in tutto questo – insorge Magaldi – come si fa a non vedere da che parte sta, Juan Guaidò? Non agisce a nome delle perfide multinazionali, bensì del popolo venezuelano mortificato e affamato dalla crisi che Maduro non ha saputo affrontare, preferendo silenziare l’opposizione e reprimere ferocemente le proteste, anche calpestando la Costituzione che Hugo Chavez aveva sempre rispettato.Magaldi considera Guaidò un patriota, un vero sindacalista civile del suo paese. Un uomo coraggioso, pronto a rischiare la pelle in nome della democrazia. Il suo partito, “Voluntad Popular”, non è affatto neoliberista: è di ispirazione dichiaratamente liberaldemocratica. Magadi è trasparente: lui stesso, precisa, milita nello stesso network massonico internazionale di Guaidò, quello che si dichiara progressista e si oppone al dominio neo-oligarchico che ha confiscato la democrazia in tutto il pianeta. Come dire: di Guaidò potete fidarvi. In Venezuela, antichi supporter di Chavez masticano amaro, di fronte a quello che interpretano come un tradimento, e vedono in Guaidò un leale traghettatore. Ipotesi: un nuovo Venezuela, non più affamato né “normalizzato”, non ridotto a colonia neoliberale. Un paese senza più il carisma del chavismo, certo, ma senza neppure «gli eccessi statalistici che, in altri tempi, in Cile, prepararono le condizioni del golpe Usa che costò la vita ad Allende, altro massone progressista». Ma, a parte l’orientamento politico di Guaidò, «socialdemocratico, non certo reazionario», l’oppositore di Maduro – insiste Magaldi – riveste oggi un profilo istituzionale perfettamente legale, che solo un cieco potrebbe non vedere. Per questo, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, la vacuità bugiarda e cialtrona dei 5 Stelle, di fronte alla tragedia venezuelana, è pari alla fellonia parolaia del “governo del cambiamento”, che in Italia non sta cambiando proprio niente.Sparare proclami a vanvera su uno scenario lontano come il Venezuela, fa notare Magaldi, serve anche a distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica sulle miserie domestiche dell’infimo governo gialloverde. Nelle parole dei leader pentastellati risuonano echi terzomondisti e vetero-antiamericanisti? Male, dice Magaldi (atlantista dichiarato), perché è facile giocare con gli slogan, come fanno gli anonimi “eroi” del web complottista. L’imperialismo yankee è brutto? «Tutte le potenze del mondo, da sempre, attuano politiche di quel tipo». L’egemonia Usa è stata determinante per l’Italia? Eccome: «Ma chi demonizza gli Stati Uniti dimentica cos’era, l’Italia feroce di Mussolini con le sue leggi razziali. Dimentica che, senza il Piano Marshall, il paese – in macerie – non sarebbe mai diventato quello del boom economico. I detrattori degli Usa avrebbero preferito l’egemonia dell’Urss? Volevano che l’Italia diventasse come l’Albania? La Cecoslovacchia? L’Unghieria?». Ovvio, non c’è rosa senza spine: e l’Italia ne ha assaggiate parecchie. Bombe nelle piazze, stragismo, strategia della tensione, tentativi di golpe. Tutta roba americana, anche quella. Chi lo dice? Sempre Magaldi, nel saggio “Massoni”.Col piglio dello storico e del politologo, l’autore ha svelato retroscena mai prima chiariti: erano massoni statunitensi i burattinai della Loggia P2 di Licio Gelli, con la sua rete di servizi deviati e terroristi pilotati. Ma erano massoni statunitensi – di segno opposto, progressista – gli uomini come Arthur Schlesinger Jr., capaci di manovrare dietro le quinte per sventare tutti e tre i tentativi di colpo di Stato organizzati dai signori della “Three Eyes” capitanata da Kissinger, l’ispiratore del golpe in Cile, dall’onnipresente David Rockefeller (grande padrino della Trilaterale) e dal raffinato stratega Zbigniew Brzezinski, l’uomo che arruolò Osama Bin Laden in Afghanistan. Poi però, annota Magaldi, lo stesso Brzezinski ci riomase male, quando Bin Laden lasciò la “Three Eyes” per approdare alla “Hathor Pentalpha” dei Bush, cupola eversiva e terroristica, capace di progettare (con l’11 Settembre) la strategia della tensione internazionale che stiamo ancora scontando, per imporre – a mano armata – la peggior forma di globalizzazione. Uno schema a cui il pavido Obama non ha osato opporsi, e che oggi vede come il fumo negli occhi l’outsider assoluto che siede alla Casa Bianca, Donald Trump, l’uomo che oggi vorrebbe liberarsi di Maduro. Come dire: niente è come sembra, l’apparenza inganna. Più che gli Stati, la geopolitica la dettano gruppi ristretti, in lotta fra loro. Ma appena sale la tensione, ricompaiono le bandiere: e il derby lo vince l’emotività. Peccato veniale, prendere lucciole per lanterne, a patto che non si sieda al governo di un paese come l’Italia.Magaldi è stato un franco sostenitore del governo Conte, come unico possibile esecutivo “eretico” rispetto al dogma finto-europeista. Aveva scommesso sulla freschezza dei 5 Stelle e sulla conversione nazionale di Salvini, a capo di una Lega non più nordista. Sperava che l’esecutivo avesse il coraggio di resistere alle pressioni internazionali, esercitate prima ancora che il governo nascesse, con il “niet” su Paolo Savona all’economia. Ad ogni sconfitta, leghisti e grillini hanno alzato la voce: grandi proclami, per nascondere l’imbarazante verità. L’ipotesi di deficit al 2,4%? Troppo debole, per aiutare l’economia. Ma si sono dovuti rimangiare pure quella, piegandosi agli oligarchi di Bruxelles. Non hanno osato tener duro, i gialloverdi, neppure di fronte al clamoroso assist offerto in Francia, contro l’establishment eurocratico, dai Gilet Gialli. L’ultima cosa che oggi possono permettersi di fare, i 5 Stelle, è di dire stupidaggini su Juan Guaidò, insiste Magaldi: prima di parlare, si leggano la Costituzione del Venezuela. E smettano di essere ipocriti: «Il governo è pieno di massoni, anche se nel “contratto” (in modo discriminatorio, ledendo un diritto democratico) avevano scritto che non avrebbero dato spazio a esponenti della massoneria». Peggio: «Qualche settimana fa, esponenti della maggioranza erano venuti a chiedere la mia personale intercessione per essere aiutati, a livello europeo, dai circuiti massonici progressisti». E adesso vogliono farci la lenzioncina sul Venezuela?O siete ignoranti, all’oscuro dei fatti, o siete addirittura in malafede. E non si sa cosa sia peggio, visto che sedete addirittura al governo. Pazienza, se si trattasse dei soliti “leoni da tastiera”, che sui social diffondono falsità e distribuiscono insulti in modo sleale, protetti dall’anonimato, convinti di restare impuniti in eterno. Ma se si rivestono cariche istituzionali, non si può scadere fino a questo punto. Specie se, come in Venezuela, è in gioco la sicurezza di quasi 30 milioni di persone, ormai alle prese con un’emergenza umanitaria. Sono tantissimi i venezuelani di origine italiana, ieri vicini al governo socialista di Hugo Chavez e ora spaventati e mortificati: dall’invereconda autocrazia dell’indegno Nicolas Maduro, e dal silenzio ufficiale dell’Italia, il cui governo non prende posizione in modo netto sulla crisi in corso. E’ esasperato, Gioele Magaldi, di fronte all’opaca neutralità dei 5 Stelle: non riconoscendo Juan Guaidò come “presidente ad interim”, i pentastellati finiscono per supportare Maduro, cioè il politico fallimentare di cui la stragrande maggioranza dei venezuelani vorrebbe liberarsi. «Avevo dato del cialtrone ad Alessandro Di Battista – tuona Magaldi, in web-streaming su YouTube – ma ora allo stesso giudizio associo anche il vicepremier Luigi Di Maio, allineatosi a Di Battista, esattamente come il presidente della Camera, Roberto Fico».
-
Magaldi: siamo in guerra, siate eroi o finirete come Renzi
Oggi, dalle parti del governo, ci si può ancora godere qualche buon sondaggio: qualunque manovra, ancorché modesta, è pur sempre meglio dell’esercizio provvisorio. Ma fra sei mesi o un anno, la gente guarderà le proprie scarpe. E se saranno rotte com’erano un anno fa o due anni fa, prima che arrivasse il governo gialloverde, quelle scarpe se le toglierà e inizierà a tirarle, insieme ai pomodori, addosso ai presunti eroi del cambiamento. Quindi attenzione, cari amici gialloverdi del governo Conte: o si fa sul serio, a partire dal 2019, oppure farete – purtroppo – la fine che hanno fatto i vostri predecessori, cioè tutti quelli che di cambiamento hanno solo e sempre parlato. I governi dell’ultimo quarto di secolo hanno governato secondo i dettami di oligarchie massoniche neo-aristocratiche: si sono appecoronati, lasciandosi comprare un tanto al chilo, e hanno eseguito copioni scritti per loro da altri. Adesso il governo gialloverde ha al suo interno anche dei massoni sedicenti progressisti, e all’esecutivo – dal mondo massonico progressista – arriva il seguente messaggio: abbiate il coraggio di essere degli eroi, anche perché ci guadagnereste pure in termini elettorali e di durata, sul palcoscenico politico.Non sappiamo se questi suggerimenti saranno accolti. Certo, qualcuno potrebbe dire che il governo si è barcamenato, tra suggerimenti di segno opposto. In una prospettiva di autentico cambiamento, Paolo Savona al Senato ha evocato l’esigenza di un nuovo corso rooseveltiano, recependo appieno la narrativa politico-economica proposta dal mondo massonico progressista. Purtroppo però la manovra varata non si traduce in massicci piani di rilancio delle infrasttrutture, dell’occupazione, della sicurezza idrogeologica. Si resta invece in balia di una sorta di timore reverenziale verso la minaccia di tirate d’orecchie da parte dell’Europa. E così, per evitare la procedura d’infrazione, si assottiglia il già magro piano di misure volte ad abbandonare il paradigma del rigore e dell’austerità. Sembra che il governo Conte, schiacciato tra istanze opposte e contrarie – quelle dei massoni progressisti e quelle dei massoni neo-aristocratici – cerchi di barcamentarsi. Però questa cosa non funziona: barcamenarsi significa, alla fine, dar ragione ai massoni neo-aristocratici, che (attraverso i propri maggiordomi e camerieri) occupano indebitamente le istituzioni dell’attuale Disunione Europea. Opporsi a questi signori, invece, significa andare verso una vera Europa, e impegnarsi – come Italia – a costruirla, questa vera Europa, da protagonisti.La manovra del governo Conte è molto al di sotto delle aspettative, ma molti esponenti dell’area gialloverde annunciano di volerla migliorare nel 2019. A noi del Movimento Roosevelt farebbe piacere vedere un’evoluzione del governo Conte, più in linea con quelle che erano le attese. Della Seconda Repubblica diamo un giudizio storico, di fallimento complessivo. La Terza Repubblica comincerà solo col ritorno allo spirito originario della Costituzione, eliminando le cattive modifiche introdotte e vivificando le parti della Carta non adeguatamente declinate (e magari introducendo anche qualche perfezionamento). Avremo una Terza Repubblica quando al governo ci sarà qualcuno che lancerà finalmente un paradigma alternativo a quello neoliberista, egemone da troppi decenni, e quando – da parte dei governanti – ci sarà un atteggiamento consapevole della grandezza dell’Italia, potenziale ma anche attuale. L’Italia è un grande paese, che vive rappresentato al di sotto delle sue possibilità. L’Italia potrebbe recitare un ruolo leader nel Mediterraneo, in Africa e nel Medio Oriente. E potrebbe recitare un ruolo importante nel continente europeo, per costruire un’Europa veramente forte, democratica e popolare – ma non lo fa. L’Italia potrebbe essere anche un ponte tra Oriente e Occidente: lo è stata storicamente, ma riesce a esserlo solo a intermittenza, senza lungimiranza e senza valorizzare queste sue attitudini.In una Terza Repubblica, avremmo discorsi dei presidenti della Repubblica meno fasulli, meno retorici, meno gonfi di fumo e poveri di arrosto. Avremmo discorsi in cui il capo dello Stato si farebbe carico di interpretare le esigenze della nazione, parlando una lingua riconoscibile dai cittadini, senza menare il can per l’aia ingannando la platea. Mattarella dovrebbe fare autocritica, anzitutto, per come ha gestito il suo rapporto con la formazione del governo Conte e per come ha mortificato ingiustamente una fugura come quella di Paolo Savona impedendo che accedesse al ministero dell’economia. Mattarella ha presentato se stesso come il garante di un atteggiamento appecoronato, del sistema-Italia, verso diktat che non sono europei, non sono europeisti: sono solo il frutto contingente di una pessima ideologia, quella neoliberista, che ha corrotto qualunque sogno di integrazione politica europea. Mattarella si è fatto ragioniere occhiuto, e ha partecipato allo spavento per i risparmi degli italiani – messi in discussione da cosa? Se fosse stato un vero europeista, semmai, il presidente della Repubblica si sarebbe dovuto adoperare per promuovere l’eliminazione del problema dello spread alla radice, puntando a un’integrazione dei buoni del Tesoro (eurobond). Avrebbe dovuto, semmai, chiedere un surplus di democrazia nelle istituzioni europee.Queste cose Mattarella non le fa, ma non le ha fatte nessun suo predecessore. Non solo: Mattarella e i costituzionalisti del Qurinale non hanno detto una parola su quei profili dubbi del “decreto sicurezza” di Salvini. Invece partecipano, Mattarella e altri, al fiume di delegittimazione di Salvini sul piano di presunte xenofobie – che non ci sono mai state: la Lega ha eletto il primo parlamentare di colore in Italia. In questo triste crepuscolo di Forza Italia, del Pd e di altri partiti ormai in putrefazione, tutti epigoni di quella che è stata la Seconda Repubblica, la credibilità è davvero ai minini termini. Lo confermano i sondaggi: magari aumentano i cittadini disillusi dal troppo poco che ha fatto il governo, ma non cresce certo il consenso delle forze che vi si oppongono. La situazione è tale, che un capo dello Stato serio dovrebbe dire, oggi, agli italiani: scusatemi, perché forse ho attentato alla Costituzione quando (per un mio pregiudizio politico e ideologico) ho impedito che diventasse ministro dell’economia un galantuomo come Paolo Savona. Scusatemi, dovrebbe dire Mattarella, perché non ho fatto i giusti rilievi costituzionali (e non ho rimandato quindi alle Camere) il “decreto sicurezza” di Salvini, che forse contiene elementi illiberali – e lo dico io, che difendo Salvini da ogni attacco strumentale, e credo ancora che Salvini possa maturare politicamente, con tutta la Lega, verso una cifra politica adeguata alle sfide del XXI Secolo.Il vero punto è questo: Salvini è stato più muscolare degli altri, ma solo a parole. Il governo Conte, la Lega e i 5 Stelle vanno spronati a fare di più e di meglio. Questa manovra è riuscita male, così come l’atteggiamento con l’Europa. Si vuol dire che ogni tanto bisogna anche saper ripiegare e essere diplomatici? Va bene, staremo a vedere. Ma attenzione ai cortigiani, che oggi sono adulatori anche di Salvini: ricordo la fine che ha fatto Renzi, che era corteggiato e adulato, osannato e presentato nei sondaggi come l’uomo dell’anno (e degli anni). Ecco un’altra cosa che il presidente della Repubblica dovrebbe dire: italiani, cessate di essere servili e cortigiani. Cessate di essere stupidamente tifosi, com’è accaduto negli ultimi raccapriccianti episodi attorno al mondo calcistico: se proprio uno deve avere il coraggio di andare incontro alla morte, lo faccia per degli ideali importanti, non per una sciarpa e il tifo per una squadretta di calcio – con tutto il rispetto per la grande passione sportiva italiana. Italiani, siate seri: così dovrebbe dire un presidente della Repubblica autentico (lo disse Garibaldi in una delle sue avventure eroiche, e l’ultima stagione eroica dell’Italia è stata proprio il Risorgimento, pur tra mille retoriche).Insomma, il presidente della Repubblica dovrebbe dire: forse ho sbagliato, in questi anni, ma vi prometto che d’ora in avanti il mio ruolo di garante delle istituzioni sarà quello, anche in sede europea e mediterranea, di chi si adopera per favorire un reale Piano Marshall per l’Africa e un ruolo importante dell’Italia nel Mediterraneo. Tanto più che Mattarella proviene da quella sinistra democristiana che aveva in Aldo Moro un grandissimo esponente e un uomo di Stato che – fino a che non l’hanno ammazzato – aveva sicuramente gestito da par suo, insieme ad altri, un ruolo importante del nostro paese in varie questioni mediorientali e internazionali. Mattarella dovrebbe dire: mi adopererò perché l’Europa sia vera, democratica, popolare, con istituzioni non post-democratiche, non oligarchiche, non tecnocratiche. Questo dovrebbe dire: mi adopererò perché in Italia tornino la giustizia e la mobilità sociale, perché si vada verso il diritto al lavoro inserito nella Costituzione, cosicché il dibattito non sia più arenato tra reddito di cittadinanza (farlocco) o redditi integrativi di incerta applicazione. Questo dovrebbe dire: mi adopererò, come presidente della Repubblica, per far fare un salto di qualità a questa nazione.Noto peraltro che le persone sono più attente, alla questione della “res publica”: ne parlano di più, sono più smaliziate. Anche tra le persone semplici le antenne sono ben ritte. Quindi bisogna essere ottimisti, per il 2019 e per gli anni che verranno, perché forse l’Italia potrà davvero riannodare i fili della sua storia, e gli italiani potranno forse tornare a vivere qualche stagione eroica, com’è accaduto in secoli passati. Il governo Conte? Se sceglie la via del barcamenarsi farà la fine di Matteo Renzi, un grande “barcamenatore”: faceva la voce grossa e parlava di rinnovamento ma non rinnovava niente; stava lì a tenere buoni tutti, lanciando speranze poi tutte disattese. I rappresentanti del governo Conte sanno bene cosa dicono gli uni e gli altri, i progressisti e i neo-aristocratici, ma la scelta di barcamenarsi non è possibile. Questa è una guerra: lo dico con mitezza, perché è una guerra che si può combattere pacificamente e democraticamente. Ma è una guerra, nella quale si scontrano due visioni diverse della società. Una è una visione democratica e progressista, imperniata sulla giustizia, sulla mobilità sociale e sulle prosperità diffusa. L’altra visione è invece imperniata sulla post-democrazia, cioè su una neo-aristocrazia (che va a braccetto, sul piano economico, con quella ideologia neoliberista che ha ammorbato l’orbe planetario negli ultimi decenni). Per il bene di tutti, l’Italia deve tornare a recitare un ruolo importante. E faccio questa previsione: il 2019 vedrà un’accelerazione di parecchi processi.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming su YouTube “Gioele Magaldi Racconta” del 31 dicembre 2018. Autore del bestseller “Massoni”, nonché esponente del circuito massonico progressista internazionale, Magaldi annuncia per il 2019 un’intensa offensiva mediatica da parte del Movimento Roosevelt, di cui è presidente, e parallelamente prevede un’incisiva attività politica da parte del costruendo “Partito che serve all’Italia”, i cui attivisti torneranno a riunirsi a Roma il 10 febbraio, dopo l’assemblea prenatalizia alla quale hanno partecipato, a vario titolo, personalità come quelle di Nino Galloni, Claudio Quaranta, Antonio Maria Rinaldi e Ilaria Bifarini).Oggi, dalle parti del governo, ci si può ancora godere qualche buon sondaggio: qualunque manovra, ancorché modesta, è pur sempre meglio dell’esercizio provvisorio. Ma fra sei mesi o un anno, la gente guarderà le proprie scarpe. E se saranno rotte com’erano un anno fa o due anni fa, prima che arrivasse il governo gialloverde, quelle scarpe se le toglierà e inizierà a tirarle, insieme ai pomodori, addosso ai presunti eroi del cambiamento. Quindi attenzione, cari amici gialloverdi del governo Conte: o si fa sul serio, a partire dal 2019, oppure farete – purtroppo – la fine che hanno fatto i vostri predecessori, cioè tutti quelli che di cambiamento hanno solo e sempre parlato. I governi dell’ultimo quarto di secolo hanno governato secondo i dettami di oligarchie massoniche neo-aristocratiche: si sono appecoronati, lasciandosi comprare un tanto al chilo, e hanno eseguito copioni scritti per loro da altri. Adesso il governo gialloverde ha al suo interno anche dei massoni sedicenti progressisti, e all’esecutivo – dal mondo massonico progressista – arriva il seguente messaggio: abbiate il coraggio di essere degli eroi, anche perché ci guadagnereste pure in termini elettorali e di durata, sul palcoscenico politico.
-
Magaldi: Pd senza idee progressiste, non lo salverà Minniti
Spera davvero di cavarsela, il Pd, usando Marco Minniti per tentare di riempire il vuoto cosmico della sua non-politica, ridotta a semplice esecuzione delle direttive impartite dall’élite neoliberista? Ci vorrebbe ben altro che un vecchio arnese dalemiano come l’ex ministro dell’interno, per restituire una vera offerta politica a quei milioni di elettori che nel 2008 avevano salutato con simpatia e speranza la nascita del Pd. Ci vorrebbero ad esempio parole sferzanti come quelle appena usate da una giovane dirigente, Katia Tarasconi, che ha accusato il vertice del partito di aver curato solo gli interessi dell’oligarchia, trascurando il popolo. E soprattutto, servono idee: come declinare la grande eredità democratica del socialismo, nell’Europa del 2018? E invece niente: silenzio di tomba, al di là del ronzio e del gossip su questioni irrilevanti, il deprimente derby tra renziani e anti-renziani, Minniti contro Zingaretti (e magari Martina a fungere da cuscinetto). Per fare cosa, poi? Per andare dove? Restano senza risposta, per ora, le domande che Gioele Magaldi rilancia: dovrebbero essere il punto di partenza, per tentare di far uscire il Pd dallo stato di coma in cui si trova. Ma all’orizzonte non si vedono segnali di alcun genere: avanti così il partito corre verso l’estinzione, tra la desolazione dei suoi ex elettori.Come si può pensare che Marco Minniti possa rappresentare una novità? L’ex ministro, dice Magaldi in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, è stato un colonnello di D’Alema quando “baffino” era in auge, quindi «ha vissuto una stagione dalemiana di ferro» (era soprannominato Lothar, richiamando la coppia con Mandrake). Poi si è riciclato nel renzismo, «tanto che oggi diversi dirigenti del Pd dipingono la sua come una candidatura filo-renziana e anti-zingarettiana, anche se Minniti assicura che così non è». Niente di nuovo sotto il sole, purtroppo, «nell’agone di questo momento difficile e crepuscolare del Pd». Gli uomini sono sempre gli stessi e le donne restano in minoranza: i media mainstream concedono solo minuscole finestre alle pochissime voci dissonanti come quella della Tarasconi («magari ce ne fossero altre, in grado di parlare un linguaggio così diretto»). Ma non è questione di uomini o donne, insiste Magaldi: il problema è l’assenza di idee. «Non si assiste a un reale rinnovamento ideologico». Ovvero: qual è l’identità del Pd? Qual è la proposta politica dei candidati?». Cosa distingue, davvero, Zingaretti da Minniti? «Di cosa si fanno promotori? Qual è la loro idea di governo della cosa pubblica? A me pare che la grande assenza sia quella delle idee», sottolinea Magaldi: «Manca un ripensamento approfondito di una prospettiva democratica».Per il presidente del Movimento Roosevelt «assistiamo a uno stranissimo paradosso: il Pd renziano ha voluto entrare nel partito socialista europeo, ma poi non si è fatto carico di elaborare, nel XXI secolo, una proposta democratica e liberale di tipo socialista». Nel Pd non c’è più nulla, di quella tradizione. «La verità è che nel mondo politico europeo e occidentale c’è stata ormai da decenni una chiara subalternità all’unico modello politico-economico, quello neoliberista (sul piano strettamente economico) e neo-aristocratico (sul piano politico)». Da qui, infatti, la denuncia della Tarasconi, che rinfaccia al partito di essere agli ordini dell’élite. Non è il solo, peraltro: in questi decenni, ricorda Magaldi, «abbiamo assistito a due versioni di un unico paradigma: quella incarnata dal cosiddetto centrodestra e quella interpretata dal sedicente centrosinistra». Diversi gli attori, ma identico il copione. «Recuperare una tradizione socialista – aggiunge Magaldi – significa richiamarsi ai personaggi che ad esempio il Movimento Roosevelt ha iniziato a ripresentare alla coscienza pubblica: Carlo Rosselli, Olof Palme, Thomas Sankara e altri come loro, da Roosevelt a John Rawls, che sono le uniche possibili bussole per recuperare una tradizione autenticamente socialista, in senso liberale e democratico».Rialzare la testa, tornare a inquadrare l’orizzonte? Impossibile, a quanto pare: «Fa un po’ tristezza osservare come, invece di guardare a quei modelli, il dibattito politico all’interno del Pd si riduca alla contrapposizione tra piccoli leader». Non ci si rende conto che «questo volare basso, questa assenza di riferimenti» è fatale, per un partito che si candidi a rappresentare un’alternativa al governo gialloverde. E a proposito di riferimenti ideali: «Ricordo che la confusione ha regnato sovrana per anni, nel Pd, quando un Boccia poteva proporre Friedrich von Hayek come punto di riferimento del nuovo centrosinistra». Von Hayek, ovvero uno dei padri del neoliberismo, insieme a Milton Friedman: il vero ispiratore della destra economica, «incardinato in una visione neo-aristocratica». Lo stesso von Hayek si definiva “un old whig”, un vecchio ultra-conservatore, «facendo riferimento a Edmund Burke, fiero avversatore della Rivoluzione Francese». E in mezzo a tanta povertà politica, cosa potrà mai fare l’ex braccio destro del D’Alema convertito al neoliberismo, l’uomo che si vantò di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank realizzando il record europeo delle privatizzazioni?«Non credo affatto che Minniti possa essere una novità, è un personaggio che già ha vissuto tante vite», ribadisce Magaldi. «Certo – aggiunge – non è l’unico a non avere “idee chiare e distinte”, in senso cartesiano, da offrire alla platea della pubblica opinione: se gli elettori del Pd non avvertono il problema di chiedere alla propria dirigenza una chiarezza metodologica sulla prospettiva politica, è chiaro che i dirigenti non la daranno». Ultimamente, peraltro, è pur vero che «i simpatizzanti questa richiesta l’hanno fatta, molti facendo mancare il loro voto al Pd, la cui base elettorale si è ristretta». Altri – come Katia Tarasconi – stanno davvero cercando di alimentare un cambio di passo reale, benché siano «silenziati dai grandi media, preoccupati di offrirci il solito pastone in cui ci domanda se Renzi farà un nuovo partito e se Martina resterà in corsa: tutti discorsi inessenziali per il futuro dell’Italia e dell’Europa». Tradotto: riguardo al ruolo del nostro paese nell’Ue, «non è di nessun interesse capire qual è il ruolo di questo o di quello, nella filiera delle poltrone da occupare». Molto più importante, dice Magaldi, è capire «dove vorranno condurre l’Italia ed eventualmente l’Europa i nuovi dirigenti del Pd, quelli che insieme al nuovo segretario che dovesse essere eletto avranno una enorme responsabilità: ridare un senso al Pd o affossare definitivamente quell’esperienza politica, perché le cose che perdono di senso poi si logorano e muoiono per consunzione».Molta della visibilità mediatica di Minniti deriva dalla compostezza con la quale, da ministro, si dice che Minniti abbia gestito il problema migranti (oggi addirittura rivendica una sorta di imprimatur sulla spigolosa fermezza esibita da Salvini). Anche su questo fronte, però, secondo Magaldi siamo fuori strada: «Respingere senza prospettiva e come accogliere senza prospettiva». Doppia miopia, identica: «E’ ormai noto a tutti che proprio l’Africa, ricchissima di risorse ma mantenuta artificiosamente in stato di povertà, è il convitato di pietra del terzo millennio: lo dimostra l’enorme interesse da parte della Cina, che in Africa ha stanziato colossali investimenti, e lo conferma anche l’atteggiamento neo-coloniale della Francia, denunciato da personalità come quella del panafricanista Mohamed Konare». Domanda: perché fingere che il problema si risolva respingendo barconi, magari cavandosela con slogan del tipo “aiutiamoli a casa loro”? «Bisogna cominciare a farlo davvero, per esempio con una sorta di Piano Marshall per l’Africa, che sviluppi anche la necessaria educazione democratica per fare piazza pulita dell’esigua élite africana tuttora complice del neo-colonialismo occidentale».Per il presidente del Movimento Roosevelt, la vera opposizione è sempre la stessa: democrazia contro oligarchia. «Viviamo in un mondo nel quale si distrugge l’immagine di un grande attore come Kevin Spacey perché, nella serie televisiva “House of Cards”, ha osato evocare il Bohemian Club, santuario del massimo potere super-massonico neo-aristocratico». E’ esattamente il tema affrontato dalla giovane Katia Tarasconi, nel bocciare in blocco la nano-dirigenza del Pd: inutile far finta che il vero potere non sia in pochissime mani. Stupido, poi, schierarsi con il rigore Ue contro il governo gialloverde: semmai, un partito progressista dovrebbe rimproverare a Lega e 5 Stelle di essere troppo timidi, rispetto a Bruxelles, essendosi accontatentati di quel misero 2,4% di deficit per il 2019. Ma appunto, ci vorrebbe un partito progressista – non il Pd di Minniti e Renzi, Martina e Zingaretti. Neoliberismo, privatizzzazioni, dominio dell’élite imposto a suon di dogmi da un soggetto che ci si ostina a chiamare “l’Europa”. Oggi, ripete Magaldi, la prima cosa che dovrebbe fare l’Italia è questa: proporre una Costituzione Europea democratica, con un governo europeo finalmente eletto dall’europarlamento votato dagli elettori. Lontano anni luce da idee come queste, restano i Lothar e gli Zingaretti a contendersi i rottami del fu Pd.Spera davvero di cavarsela, il Pd, usando Marco Minniti per tentare di riempire il vuoto cosmico della sua non-politica, ridotta a semplice esecuzione delle direttive impartite dall’élite neoliberista? Ci vorrebbe ben altro che un vecchio arnese dalemiano come l’ex ministro dell’interno, per restituire una vera offerta politica a quei milioni di elettori che nel 2008 avevano salutato con simpatia e speranza la nascita del Pd. Ci vorrebbero ad esempio parole sferzanti come quelle appena usate da una giovane dirigente, Katia Tarasconi, che ha accusato il vertice del partito di aver curato solo gli interessi dell’oligarchia, trascurando il popolo. E soprattutto, servono idee: come declinare la grande eredità democratica del socialismo, nell’Europa del 2018? E invece niente: silenzio di tomba, al di là del ronzio e del gossip su questioni irrilevanti, il deprimente derby tra renziani e anti-renziani, Minniti contro Zingaretti (e magari Martina a fungere da cuscinetto). Per fare cosa, poi? Per andare dove? Restano senza risposta, per ora, le domande che Gioele Magaldi rilancia: dovrebbero essere il punto di partenza, per tentare di far uscire il Pd dallo stato di coma in cui si trova. Ma all’orizzonte non si vedono segnali di alcun genere: avanti così il partito corre verso l’estinzione, tra la desolazione dei suoi ex elettori.
-
Magaldi: la montagna gialloverde ha partorito un topolino
Diciamola tutta: alla fine, la montagna gialloverde «ha partorito il classico topolino». Dove lo vedete, il sacrosanto taglio delle tasse promesso dalla Lega in campagna elettorale? E qualcuno sa che fine ha fatto, esattamente, il mitico reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei 5 Stelle per sostenere le fasce sociali più in affanno? Sembra arrivata l’ora del disincanto, per Gioele Magaldi, tenace difensore d’ufficio del governo Conte, pur privato di un uomo come Paolo Savona al dicastero dell’economia. E se si passa per la capitale, si scopre che il disincanto è letteralmente esploso, ma non da oggi: «E’ insensato che si festeggi Virginia Raggi per aver evitato una condanna penale, peraltro solo in primo grado, quando la giunta capitolina non ha mai neppure cominciato a occuparsi seriamente di Roma». La sindachessa pentastellata «ha disatteso tutte le aspettative di chi l’aveva votata, sperando in un cambio radicale nella governance della città». Ma poi, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, scopri che – sul fronte opposto – il rimedio è peggiore del male. Vedasi il referendum (abortito) sull’Atac, promosso dai radicali: ancora una volta, si è tentato un assalto neoliberista per privatizzare un servizio pubblico, magnificando le immaginarie virtù del privato. «Come se non esistesse l’esempio dell’Atm di Milano, municipalizzata, indicata anche all’estero come modello perfetto di trasporto pubblico efficiente».Questa è l’Italia dell’autunno 2018, sintetizza Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: da un lato il “governo del cambiamento” riesce a cambiare ben poco, e dall’altro gli oppositori (partiti-zombie, media mainstream e vecchio establishment) continuano, in modo piuttosto penoso, a demonizzare Di Maio e in particolare Salvini, presentato come una specie di orco, un vero e proprio mostro di cinismo, a causa della sua politica muscolare nei confronti dell’immigrazione incontrollata. Bei sepolcri imbiancati, i detrattori di Salvini, «di manica larga con i migranti, ma pidocchiosi con gli italiani». Tradotto: «Va benissimo aiutare chi sbarca da paesi disastrosamente poveri, a patto però che non si lasci indietro quella fetta di popolazione italiana che fatica ad arrivare alla fine del mese». L’ideale? «Più soldi per tutti, in una sana prospettiva “rooseveltiana”, cioè post-keynesiana. Ma certo, bisogna espandere il deficit. E la cosa non piace, agli avversari del governo, sempre allineati ai diktat della sedicente Europa».Calcisticamente: il possesso palla è ancora al governo, ma tiri in porta non se ne vedono. E se i gialloverdi non entusiasmano, nella metà capo opposta è buio pesto. Zero idee, nessuna alternativa all’euro-catechismo della crisi. Che fare? Tanto per cominciare, investire con più coraggio su un sistema-paese che ha un disperato bisogno di interventi pubblici strategici, in ogni settore, incluso quello delle infrastrutture. I migranti? «Ottimo il Salvini che accusa l’Ue di scaricare il problema solo sull’Italia, peccato che poi i nostri partner continuino a far finta di niente». E a Salvini si può rimproverare qualcosa? «Certo: la mancanza, finora, di una “pars construens”. Va bene ripetere “aiutiamoli a casa loro”, gli africani, ma poi bisogna cominciare a farlo per davvero. Tanto più che una sorta di Piano Marshall per l’Africa darebbe un ruolo importante, all’Italia, anche in termini di leadership euro-mediterranea». L’immobilismo non aiuta. E anzi fa montare polemiche che poi sfociano anche nel complottismo di chi vede, nell’esodo incoraggiato da Soros, l’attuazione del meticciato forzoso vagheggiato dal massone reazionario Richard Coudenhove-Kalergi, precursore del dominio delle élite poi sfociato in questa Disunione Europea, «concepita come Sacro Romano Impero affidato alla manovalanza neo-feudale dei tecnocrati».Fantasmi a parte, Magaldi si richiama a un sano realismo: «L’accoglienza incontrollata di immigrati può mettere in difficoltà i lavoratori italiani, è ovvio. Quello che non è accettabile – dice – è che non si vogliano trovare soluzioni eque, in un mondo che non è mai stato così ricco». Insiste: «La fiaba della penuria è un’invenzione del neoliberismo: virtualmente, nella storia del pianeta, non c’è mai stata tanta disponibilità di risorse, grazie alle tecnologie di cui disponiamo. Ed è inammissibile – sottolinea il presidente del Movimento Roosevelt – che queste risorse vengano concentrate in poche mani, le stesse che poi ci raccontano la favola della scarsità, che serve per declinare le politiche artificiose dell’austerity». C’è un’intera narrazione, da smantellare. Ed è un lavoro che richiede lucidità, determinazione e una buona dose di fegato, assai più di quello finora dimostrato dal governo gialloverde con il suo “rivoluzionario” deficit al 2,4%, ben al di sotto del già inaccettabile tetto del 3% stabilito da Maastricht esclusivamente sulla base della fandonia neoliberista. Roma caput mundi, comunque, almeno a titolo di esempio negativo: fischiare la Raggi per l’ipotetico reato di falso, anziché per il fallimento politico della sua giunta, è come insultare Salvini per la guerra alle Ong anziché pretendere che il governo, finalmente, mandi a stendere con ben altro piglio il rigore Ue, in nome della sovranità democratica cui l’Italia ha diritto.Diciamola tutta: alla fine, la montagna gialloverde «ha partorito il classico topolino». Dove lo vedete, il sacrosanto taglio delle tasse promesso dalla Lega in campagna elettorale? E qualcuno sa che fine abbia fatto, esattamente, il mitico reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei 5 Stelle per sostenere le fasce sociali più in affanno? Sembra arrivata l’ora del disincanto, per Gioele Magaldi, tenace difensore d’ufficio del governo Conte, pur privato di un uomo come Paolo Savona al dicastero dell’economia. E se si passa per la capitale, si scopre che il disincanto è letteralmente esploso, ma non da oggi: «E’ insensato che si festeggi Virginia Raggi per aver evitato una condanna penale, peraltro solo in primo grado, quando la giunta capitolina non ha mai neppure cominciato a occuparsi seriamente di Roma». La sindachessa pentastellata «ha disatteso tutte le aspettative di chi l’aveva votata, sperando in un cambio radicale nella governance della città». Ma poi, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, scopri che – sul fronte opposto – il rimedio è peggiore del male. Vedasi il referendum (abortito) sull’Atac, promosso dai radicali: ancora una volta, si è tentato un assalto neoliberista per privatizzare un servizio pubblico, magnificando le immaginarie virtù del privato. «Come se non esistesse l’esempio dell’Atm di Milano, municipalizzata, indicata anche all’estero come modello perfetto di trasporto pubblico efficiente».
-
Moncalvo: Agnelli segreti, il potere Usa dietro a Marchionne
Chiedetevi chi mise Sergio Marchionne alla guida della Fiat, e capirete anche perché – alla morte di Gianni Agnelli, nel 2003 – la figlia Margherita fu clamorosamente estromessa dal futuro della famiglia, cioè dal controllo della impalpabile ma potentissima società “Dicembre”, vera e propria cassaforte e cabina di regia dell’Avvocato. E’ la tesi che propone Gigi Moncalvo, autore del dirompente saggio “Agnelli segreti”, misteriosamente sparito dalle librerie ma acquistabile online attraverso il sito dello stesso Moncalvo, giornalista di lungo corso. In un intervento-fiume alla trasmissione web-radio “Forme d’onda”, Moncalvo sintetizza: il potere finanziario globalizzatore si è sostanzialmente “ripreso” la holding torinese, imponendo le sue decisioni (Marchionne, John Elkann) dopo che i nomi più celebri della finanza planetaria – Rothschild, Rockefeller – avevano “soccorso” l’allora giovane Agnelli, erede del complesso industriale torinese che si era immensamente arricchito soprattutto con la guerra fascista. Armi e mezzi, treni e camion, motori: forniture pagate in lingotti d’oro. Poi, i bombardamenti alleati e la ricostruzione degli stabilimenti, con il Piano Marshall. Da allora, “l’amico americano” non mollò più la Fiat. E alla morte del carismatico Avvocato fece emergere in modo evidente le sue scelte: Marchionne e la Chrysler, al culmine di una internazionalizzazione già avanzatissima, con la sede fiscale in Gran Bretagna e il lavoro sostanzialmente portato via dall’Italia.Autore di una minuziosa ricostruzione, basata essenzialmente sulle carte processuali prodotte dalla clamosa “guerra familiare” aperta da Margherita Agnelli per difendersi da quello che lei considera “il golpe del 2003”, Moncalvo ha riempito di voluminosi dossier un intero appartamento. Un lavoro di scavo giornalistico, il suo, magistralmente riproposto – a puntate – anche nelle trasmissioni “Reteconomy”, diffuse su YouTube. Focus: la controversia giudiziaria (non ancora esaurita, ma silenziata dai media) sulla vastissima eredità di Gianni Agnelli, in gran parte costituita da beni collocati all’estero: «Dal testamento emerse un ammontare che si aggirava sui 300 milioni di euro, inferiore a quelli di Pavarotti e Lucio Dalla, mentre oggi la vedova dell’Avvocato, Marella Caracciolo, è accreditata di una fortuna pari ad almeno 20 miliardi di euro, forse in parte custoditi in un bunker super-blindato all’aeroporto di Ginevra». Singolare, rileva Moncalvo, che tanto denaro sia stato parcheggiato all’estero, da un uomo a capo di un’azienda così pesantemente foraggiata dallo Stato italiano: straniera, oggi, anche la domiciliazione fiscale dell’ex Fiat, senza calcolare i conti (personali) nei vari paradisi fiscali del pianeta.Proprio la ricostruzione della reale entità patrimoniale del padre, ricorda Moncalvo, è stata il punto di partenza della clamorosa azione legale condotta da Margherita Agnelli, ex moglie di Alain Elkann e madre di Lapo e John, vistasi improvvisamente isolata: all’apertura del testamento, Margherita Agnelli scoprì che sua madre Marella e suo figlio John si erano accordati con i due plenipotenziari dell’anziano “monarca”, vale a dire Gianluigi Gabetti (amministratore dei beni di famiglia) e Franzo Grande Stevens, divenuto l’avvocato più importante, nella vita di Gianni Agnelli, dopo la perdita dello storico legale Vittorio Chiusano. L’intento di Margherita, spiega Moncalvo, era quello di riunire la famiglia – lei, la madre e il figlio – nella piena condivisione paritetica della “Dicembre”, vero e proprio forziere dell’impero Fiat, pur essendo una “società semplice” (senza neppure l’obbligo di presentare bilanci). Ma nello stesso giorno della lettura testamentaria, continua Moncalvo, Margherita Agnelli ebbe la più amara delle sorprese: sua madre Marella cedette gran parte delle sue quote della “Dicembre” all’allora giovanissimo nipote John, che a quel punto divenne formalmente l’unico vero padrone dei destini della “royal family”, senza però che vi fosse traccia di un’investitura (scritta) da parte del nonno. Come se, appunto, l’operazione fosse stata il frutto di una occhiuta regia esterna, affidata all’abilissima “manovalanza” di Gabetti e Grande Stevens.Il primo a protestare per lo strano ingresso nel board Fiat dell’imberbe John Elkann era stato Edoardo Agnelli, che nella “Dicembre” non aveva mai neppure voluto mettere piede. Poco prima di essere ritrovato senza vita ai piedi di un viadotto dell’autostrada Torino-Savona, il figlio “ribelle” dell’Avvocato confidò al “Manifesto” che trovava inappropriata la nomina del 21enne John nel Cda della Fiat, a pochi giorni dalla morte del cugino “Giovannino” (Giovanni Alberto) Agnelli, figlio di Umberto, lanciatissimo nella carriera aziendale ma stroncato da un tumore a soli 33 anni. John Elkann, ricorda Moncalvo, in fondo deve la sua attuale posizione a una serie terribile di decessi: il nonno Gianni, lo zio Umberto, il cugino Giovannino e, ovviamente, lo stesso Edoardo, sulla cui fine – l’ipotetico volo dal viadotto di Fossano – le prime ombre furono sollevate dal regime iraniano, secondo cui il figlio dell’Avvocato sarebbe stato “suicidato dai sionisti”. Evidente l’allusione (velenosa) ad Alain Elkann, il padre di John, ebreo osservante. Secondo lo studioso italiano Gianfranco Carpeoro, Alain Elkann sarebbe un autorevole esponente nel B’nai B’rith, esclusiva massoneria ebraica strettamente controllata dal Mossad, mentre lo sfortunato Edoardo Agnelli, fratello di Margherita, aveva aderito all’Islam e addirittura al Sufismo. Una celebre foto lo ritrare in preghiera a Teheran, di fronte all’ayatollah Alì Khamenei.Nella visione di Moncalvo (autore non solo di “Agnelli segreti”, ma anche de “I lupi e gli agnelli”) la tragica fine di Edoardo è ben presente, ma il giornalista evita accuratamente qualsiasi tentazione complottistica. Moncalvo preferisce stare ai fatti: e le carte (specie quelle prodotte da Margherita Agnelli) raccontano di una sostanziale svolta, nel management e nella proprietà dell’impero ex-Fiat, che appare imposta da lontano, come se i veri dominus del destino del gruppo non risiederesso più a Torino. Un “trasloco” reso lampante dall’avvento di Marchionne, ma in realtà risalente – nelle intenzioni – a un passato assai meno recente. Ai microfoni di “Forme d’onda”, Moncalvo parla addirittura del primissimo dopoguerra, quando l’allora giovane “vitellone” Gianni Agnelli, rinomato playboy, «viveva in una sfarzosa villa in Costa Azzurra, disertata però dal bel mondo dell’epoca, che non perdonava al rampollo torinese la fortuna del nonno, costruita con le commesse militari del fascismo». Tutto cambiò, dice Moncalvo, quando Gianni Agnelli incontrò «la donna più importante della sua vita: Pamela Churchill Harriman», nuora dello statista britannico. «Da quel momento, la nuova fidanzata gli aprì porte prima impensabili: le grandi banche d’affari americane, i Rothschild, i Rockefeller. Potenze finanziarie, coinvolte nel Piano Marshall che poi avviò la “resurrezione” della Fiat devastata dalle bombe alleate».Del resto, è noto che lo stesso Gianni Agnelli scrisse la prefazione (nell’edizione italiana) dello storico saggio “La crisi della democrazia”, vero e proprio manifesto del pensiero unico neoliberista, commissionato da quella Commissione Trilaterale di cui lo stesso Avvocato era membro, accanto a personaggi come Henry Kissinger e David Rockefeller. Moncalvo invita a far luce sull’insieme, collegando i fili su cui il giornalismo nostrano sorvola regolarmente. Per poi scoprire, magari, che alla morte dell’Avvocato quel super-potere si è semplicemente ripreso il pieno controllo dell’impero torinese, a lungo affidato alla sapiente guida politica del principe degli industriali italiani. Un monarca intoccabile, ricorda Moncalvo: avvicinandosi la tempesta di Tangentopoli, Gianni Agnelli ottenne l’immunità parlamentare da Francesco Cossiga, che lo nominò senatore a vita, mentre l’avvocato Chiusano “blindò” la Fiat dall’insidioso attacco di Mani Pulite, che aveva già portato all’arresto del numero tre del gruppo, Francesco Paolo Mattioli, la mente finanziaria della holding torinese.Riuscirono a fare della Fiat un’eccezione, dice Moncalvo: grazie al magistrale Chiusano, si stabilì che il tribunale competente non sarebbe stato quello dell’area dove erano stati contestati i reati (Milano) ma quello di Torino, sede dell’azienda. «Un po’ come se la Juventus giocasse sempre e solo in casa». E a proposito di Juve: «Mai, con l’Avvocato in vita, si sarebbe potuta contestare legalmente la gestione Moggi, togliendo scudetti alla squadra fino a retrocederla in Serie B». Moncalvo spiega così sua la passione per il giallo-Agnelli: «La dirompente azione legale di Margherita ha permesso di svolgere finalmente un’attività giornalistica, attorno alla famiglia più potente d’Italia, sempre protetta dalla micidiale autocensura degli stessi giornalisti, e non solo». Pensate, aggiunge, che il film-capolavoro “Il silenzio degli innocenti”, con Anthony Hopkins e Jodie Foster, uscì in tutto il mondo con il titolo originale, “The silence of the lambs”, cioè quello del romanzo di Thomas Harris, da cui era tratto. Solo in Italia, «senza alcun riguardo per l’opera di Harris», al “silenzio degli agnelli” si preferì quello, molto meno rischioso, degli “innocenti”.(Sono due i saggi di Moncalvo sulla famiglia Agnelli, stranamente irreperibili in libreria ma comodamente acquistabili sul sito dell’autore. Il primo: Gigi Moncalvo, “Agnelli segreti”, sottotitolo “Peccati, passioni e verità nascoste dell’ultima ‘famiglia reale’ italiana”, 522 pagine, 20 euro. Contenuto: “Processi di cui nessuno parla, testamenti ’segreti’, amori clandestini, morti sospette, eredità contese, prestanome all’estero, evasioni fiscali: a undici anni dalla morte dell’Avvocato, finalmente senza censure la saga familiare più avvincente d’Italia”. Il secondo: Gigi Moncalvo, “I lupi e gli agnelli”, sottotitolo “Ombre e misteri della famiglia più potente d’Italia”, 476 pagine, 20 euro. Contenuto: “Mi hanno rubato i figli per farne degli eredi Agnelli”. Il racconto delle verità, dei retroscena, delle ‘trappole’, dei documenti inediti che hanno fatto da contorno alla guerra dichiarata da Margherita alla sua famiglia. E viceversa…).Chiedetevi chi mise Sergio Marchionne alla guida della Fiat, e capirete anche perché – alla morte di Gianni Agnelli, nel 2003 – la figlia Margherita fu clamorosamente estromessa dal futuro della famiglia, cioè dal controllo della impalpabile ma potentissima società “Dicembre”, vera e propria cassaforte e cabina di regia dell’Avvocato. E’ la tesi che propone Gigi Moncalvo, autore del dirompente saggio “Agnelli segreti”, misteriosamente sparito dalle librerie ma acquistabile online attraverso il sito dello stesso Moncalvo, giornalista di lungo corso. In un intervento-fiume alla trasmissione web-radio “Forme d’onda”, Moncalvo sintetizza: il potere finanziario globalizzatore si è sostanzialmente “ripreso” la holding torinese, imponendo le sue decisioni (Marchionne, John Elkann) dopo che i nomi più celebri della finanza planetaria – Rothschild, Rockefeller – avevano “soccorso” l’allora giovane Agnelli, erede del complesso industriale torinese che si era immensamente arricchito soprattutto con la guerra fascista. Armi e mezzi, treni e camion, motori: forniture pagate in lingotti d’oro. Poi, i bombardamenti alleati e la ricostruzione degli stabilimenti, con il Piano Marshall. Da allora, “l’amico americano” non mollò più la Fiat. E alla morte del carismatico Avvocato fece emergere in modo evidente le sue scelte: Marchionne e la Chrysler, al culmine di una internazionalizzazione già avanzatissima, con la sede fiscale in Gran Bretagna e il lavoro sostanzialmente portato via dall’Italia.
-
Magaldi: New Deal, grande Savona. Ma alzi il deficit al 10%
Ma la sinistra non era quella parte politica che un tempo si batteva per far avere più soldi alle fasce deboli della popolazione? Da che pulpito predicano, oggi, gli smarriti replicanti post-renziani alla Martina, che sparano sul governo gialloverde per il misero 2,4% di deficit inserito nel Def per il 2019? C’è posto per un qualche pensiero politico, nel cervello piatto di costoro? Rischia di ripetersi, Gioele Magaldi, come chiunque provi a demistificare la desolante narrazione del mainstream, di fronte allo strano spettacolo di un governo che ha contro il potere che conta. Non tutto, certo: ma se Jp Morgan non si unisce allo strepito allarmistico dell’establishment euro-italiano (giornali, Quirinale, Bankitalia, Ue e Bce), sostenendo che la manovra gialloverde non è poi da buttare (anche noi stiamo facendo “deficit spending”, conferma Steve Mnuchin, segretario al Tesoro dell’amministrazione Trump) non significa che “l’America” o “la massoneria internazionale finanziaria” giochino nella stessa squadra del governo Conte. Semmai, avverte Magaldi, la sfida – più che mai attuale – è un’altra: spetta a noi, ai cittadini e alla politica, tornare a “mettere in riga” quella finanza neoliberista che ha smesso di servire l’economia facendo solo speculazione a spese di interi paesi, potendo contare in Europa su «potenti supermassoni come Draghi e servizievoli paramassoni come Mattarella».Tutt’altra musica, per fortuna, è stata quella suonata – in Senato – da quel Paolo Savona al quale, per via del veto imposto da Draghi, il presidente della Repubblica ha impedito di rivestire il ruolo di ministro dell’economia. Nonostante ciò, dopo aver lui stesso indicato Giovanni Tria per quel dicastero, Savona (oggi agli affari europei) appare il vero regista della manovra finanziaria gialloverde. Per ben due volte, sottolinea Magaldi (in web-streaming su YouTube con Marco Moiso e poi con Fabio Frabetti di “Border Nights”), Savona ha citato «l’archetipo rooseveltiano del New Deal», nominando sia il presidente americano Franklin Delano Roosevelt che il suo economista di riferimento, il britannico John Maynard Keynes (per inciso, massoni progressisti entrambi). La formula? Espandere la spesa pubblica, a deficit, per creare piena occupazione. Storia: l’America uscì dalla Grande Depressione e divenne la prima superpotenza del pianeta. Un modello tradotto in Europa, successivamente, prima con il Piano Marshall – che cambiò volto al continente, guidandone la resurrezione nel dopoguerra – e poi con il welfare più avanzato al mondo, di fatto “inventato” dal teorico inglese William Beveridge, massone progressista come lo stesso George Marshall.Autore del bestseller “Massoni”, che rivela le trame delle Ur-Lodges neo-aristocratiche che hanno progettato l’attuale globalizzazione, non è per fare il “gioco delle figurine” che Magaldi cita spesso – in modo puntiglioso – l’identità massonica di tanti grandi del Novecento (da Nelson Mandela a Martin Luther King, da Olof Palme a Yitzhak Rabin). Quel che gli preme è denunciare pubblicamente la «ignobile campagna massonofobica strisciante», reiterata oggi dall’inaudita iniziativa di Claudio Fava, che ha imposto ai massoni dell’assemblea regionale siciliana di svelare pubblicamente la loro appartenenza, come se solo gli aderenti alle logge (e non ad altre associazioni) fossero in dovere di rinunciare alla privacy garantita dalla Costituzione. Una volta di più, il presidente del Movimento Roosevelt sottolinea il ruolo avanguardistico svolto dalla massoneria che contribuì ad abbattere l’Ancien Régime “fabbricando” lo Stato democratico e la democrazia fondata sul suffragio universale. Se poi un’altra massoneria (apolide, mercenaria e rinnegata) ha agito in modo reazionario e neo-feudale, il primo a denunciarla, nero su bianco, è stato proprio Magaldi, nel silenzio imbarazzato dei politici italiani – compreso Renzi, «che bussò invano a quella supermassoneria e oggi ripiega su una seconda vita, rassegnandosi al ruolo di conferenziere a gettone».E’ lo stesso Renzi che critica il reddito di cittadinanza dopo aver sparso a pioggia i suoi famosi 80 euro alla vigilia delle elezioni. E’ il Renzi incorreggibile, dice Magaldi, che probabilmente non sarebbe neppure “morto”, al referendum del 2016, se solo avesse inserito – tra i quesiti – anche l’abrogazione del pareggio di bilancio. Un gesto indispensabile, a maggior ragione oggi, nel momento in cui Paolo Savona – da economista e da statista – evoca apertamente il New Deal, cioè il coraggio del “deficit spending” per rimettere in piedi l’economia, tenendo conto che la spesa pubblica fa crescere il Pil, alleggerendo il peso del debito pubblico. Sono i “fondamentali” di Keynes, che nessun Cottarelli è mai riuscito a smentire. Ripartire da quelli, insiste Magaldi, è la via maestra: non solo per restituire dignità all’Italia, anche per estendere la sovranità democratica al resto d’Europa e del mondo, tutelando anche i diritti altrui, onde evitare un replay “sovranista” della Pace di Westfalia del 1648 (che pose fine alla Guerra dei Trent’anni, senza però impegnare minimanente i contraenti a lavorare per il benessere dei sudditi). E in attesa che il Pd esca dal coma, magari riconoscendo come “di sinistra” la politica gialloverde («meglio di niente, il reddito di cittadinanza, per chi non ha ancora un lavoro»), il messaggio per il governo Conte è esplicito: «Perché limitarsi al 2,4% di deficit, quando con più coraggio – per esempio, un 10% di spesa pubblica – l’economia italiana potrebbe volare?».Ma la sinistra non era quella parte politica che un tempo si batteva per far avere più soldi alle fasce deboli della popolazione? Da che pulpito predicano, oggi, gli smarriti replicanti post-renziani alla Martina, che sparano sul governo gialloverde per il misero 2,4% di deficit inserito nel Def per il 2019? C’è posto per un qualche pensiero politico, nel cervello piatto di costoro? Rischia di ripetersi, Gioele Magaldi, come chiunque provi a demistificare la desolante narrazione del mainstream, di fronte allo strano spettacolo di un governo che ha contro il potere che conta. Non tutto, certo: ma se Jp Morgan non si unisce allo strepito allarmistico dell’establishment euro-italiano (giornali, Quirinale, Bankitalia, Ue e Bce), sostenendo che la manovra gialloverde non è poi da buttare (anche noi stiamo facendo “deficit spending”, conferma Steve Mnuchin, segretario al Tesoro dell’amministrazione Trump) non significa che “l’America” o “la massoneria internazionale finanziaria” giochino nella stessa squadra del governo Conte. Semmai, avverte Magaldi, la sfida – più che mai attuale – è un’altra: spetta a noi, ai cittadini e alla politica, tornare a “mettere in riga” quella finanza neoliberista che ha smesso di servire l’economia facendo solo speculazione a spese di interi paesi, potendo contare in Europa su «potenti supermassoni come Draghi e servizievoli paramassoni come Mattarella».
-
Ricordati che devi morire, dice all’Italia il massone Cottarelli
C’era una volta l’Italia. Era un paese pieno di problemi, come tutti gli altri paesi europei. Ma aveva una sua peculiare caratteristica: era un paese relativamente felice – più di altri paesi europei – al punto da stupire il mondo (un’altra volta, come nel Rinascimento, e poi nel Risorgimento) per una sua qualità assolutamente inimitabile: la capacità di “esplodere” e di espandersi in tempi rapidissimi, utilizzando due qualità fondamentali, l’ingegno italico e la capacità di lavoro. Era il dopoguerra, intorno c’erano solo macerie. D’accordo, era intervenuto qualcosa di inatteso: il Piano Marshall. La spinta, per decollare. Ma poi, si sa, c’era – appunto – l’Italia. L’Eni, Enrico Mattei, la Prima Repubblica. Il boom, il miracolo economico. Costruito come? Nel solo modo possibile: con il sacro, strategico, formidabile debito pubblico. Tecnicamente: deficit positivo, per citare il sommo Keynes, il genio inglese che – a suon di debito – tirò fuori l’America dal pantano, permettendole di vincere la Seconda Guerra Mondiale e poi addirittura di stravincere, al punto da rimettere in piedi la democrazia in Europa, sia pure in funzione antisovietica. Tutto bene, o quasi, fino ai primi anni ‘90. Crescita continua: i figli che hanno più opportunità di quante ne abbiano avute i genitori. Poi, l’infarto: la crisi, la fine del benessere.Neoliberismo, morte dello Stato sovrano. Cartellino rosso: ora basta, dovete soffrire. Chi lo dice? Loro, l’élite finanziaria, la Banca Mondiale, il Fondo Moneriario. Un nome? Carlo Cottarelli. E perché mai dovremmo soffrire? Perché sì, è la risposta. Ed è vero: lo conferma il “Corriere della Sera”. Queste sono cose che succedono, oggi, e che irritano moltissimo alcuni italiani. Come Gioele Magaldi, per esempio. Magaldi è un italiano trasparente. E’ anche un massone, è stato il “maestro venerabile” della prestigiosa loggia Monte Sion del Goi, il Grande Oriente d’Italia. Ricorda, a ogni pie’ sospinto, che questo paese è stato “fabbricato” da massoni, nell’Ottocento. Si chiamavano Garibaldi, per dire. E poi altri massoni, nel Novecento, alla fine della Seconda Guerra Mondiale hanno rimesso insieme i cocci di quel che restava del paese dopo il fascismo. Meuccio Ruini, repubblicano, presidente della commissione per la futura Costituzione. E Pietro Calamandrei, comunista, presidente della Costituente. Massoni, che all’epoca significava: fine dei privilegi di casta, suffragio universale, laicità e sovranità elettorale per ogni cittadino, uomini e donne, ricchi e poveri.S’infuria, Magaldi, tutte le volte che qualcuno disconosce il ruolo storico della massoneria nella genesi della Repubblica italiana. Si irrita, quando Di Maio e Salvini firmano il loro “contratto di governo” dove sta scritto che nessun massone potrà mai far parte del governo gialloverde. Minaccia, Magaldi, di fare i nomi degli interessati: è pieno, il governo gialloverde, di massoni importanti. Si spazientisce, Gioele Magadi, se qualcuno – magari della Lega – gli chiede di intercedere, presso la massoneria sovranazionale, per proteggere il governo Conte, così ferocemente avversato dalla supermassoneria reazionaria. Va bene, dice: vedremo. Ma perché, intanto, non dichiaratar apertamente l’appartenenza massonica di ministri e sottosegretari? Parla, Magaldi, di cose che purtroppo sa. Per esempio: Luigi Di Maio, l’attuale capo dei 5 Stelle, prima delle elezioni bussò – inutilmente – alla porte degli stessi circuiti “neo-aristocratici” che avevano messo alla porta Matteo Renzi, un leader teoricamente progressista. Oggi, dice Magaldi, Di Maio è maturato parecchio. Tante cose sono cambiate, in Italia, in pochissimi mesi.Come fa, Magaldi, a esprimersi in questi termini? Semplice: fa parte, lui stesso, del circuito massonico sovranazionale. E’ stato “iniziato” alla superloggia “Thomas Paine”, pietra miliare della massoneria internazionale progressista. Cos’è una superloggia? Una Ur-Lodge, ha spiegato nel suo libro “Massoni” (edito da “Chiarelettere”, venduto in decine di migliaia di copie ma passato sotto silenzio dalla stampa mainstream) è un circolo esclusivo di persone importanti, che concorrono a decidere i destini del mondo senza che i media ne parlino mai. Ne ha parlato lui, infatti: ha messo a disposizione un archivio di 6.000 pagine, ma nessuno si è sognato di chiedergliene conto, e meno che meno di contestarlo o smentirlo. Silenzio assoluto. Ci sono tutti, in quel libro: Licio Gelli e Pinochet, Allende e i Kennedy, Martin Luther King, Kissinger e Bush, Gorbaciov, Draghi e Napolitano. E il mitico Cottarelli?Fa parte del penultimo capitolo della nostra infelicissima storia recente, dice Magaldi a David Gramiccioli, conduttore del seguitissimo programma “Massoneria On Air” su “Colors Radio”. Che dice, l’ex commissario alla spending review del paramassone Enrico Letta? Semplice: che dobbiamo soffrire. Che le promesse del governo gialloverde sono irrealizzabili. Flat Tax, riforma della legge Fornero sulle pensioni, reddito di cittadinanza? Pura follia, dichiara il Cottarelli al “Corriere della Sera”, che lo presenta – si stupisce Magaldi – come un paladino della crescita. Lui, Cottarelli? Tanto per cominciare, sottolinea Magaldi, Cottarelli è un massone. Un massone occulto, non dichiarato. Poi è un massone che appartiene ai circuiti sovranazionali, quelli delle Ur-Lodges. E soprattutto: milita nella destra politico-economica, la Chiesa neoliberista che prescrive al popolo di tirare la cinghia. E’ lo stesso Cottarelli che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, oppose all’ipotesi di governo gialloverde, nel bocciare Paolo Savona al ministero dell’economia. Ma attenzione, ricorda Magaldi: poco prima, era stato lo stesso Di Maio a sventolare il nome di Cottarelli come campione di virtù politica, in campo economico.Oggi, sul “Corriere della Sera”, Cottarelli ripete stancamente la sua luttuosa canzone: non ce la possiamo fare. Sembra non conoscere la storia dell’Italia democratica: è come se parlasse del Burundi, non di un paese del G8. Ricorda il frate medievale che, nel film “Non ci resta che piangere”, ripete a Massimo Troisi il suo illuminante monito: “Ricordati che devi morire”. No, Cottarelli, gli risponde Magaldi: certo, avete cercato di farla morire, l’Italia, ma non ci siete riusciti. Ce l’avete messa tutta: voi, la Merkel, Draghi, Monti, Napolitano, Juncker e tutta la banda. Massoni, dal primo all’ultimo. Massoni opachi, non dichiarati, e in più “neo-aristocratici”, allergici alla democrazia. Ma, per vostra sfortuna, l’Italia non è il Burundi (e detto tra noi, non è ancora morta). Era, e resta, una delle prime dieci economie del pianeta. Come lo è diventata? Non certo tagliando la spesa pubblica, non certo amputando il deficit. Non sa, Carlo Cottarelli, come fu che l’Italia divenne la quinta economia del mondo? Col debito pubblico, ovviamente. Non lo sa, il Cottarelli? No, non è possibile, come è impossibile che non lo sappia il “Corriere della Sera”, che presenta il Cottarelli come una specie di guru venuto da altri mondi, da qualche cartoon della Disney.Se ne rammarica, Gioele Magaldi. Se ne sorprende. Ma avverte: verrà il giorno, molto presto, in cui nessuno potrà più permettersi di dire all’Italia “ricordati che devi morire”. Nonostante le molte manchevolezze, aggiunge, è bene sostenere – oggi – il provvisorio governo gialloverde: almeno pensa alla vita degli italiani, non alla loro morte. A quella ci hanno pensato in tanti, da Berlusconi a Prodi, passando per D’Alema e Amato, Padoa Schioppa, Dini, Ciampi e compagnia piangente. Un coro greco: povera Italia. Ma era solo teatro. Ci siamo cascati? Eccome. La cosa sconcertante, rileva Magaldi, è che ci siano ancora in giro i Cottarelli, riveriti – a reti unificate – come arcangeli dell’apocalisse, anziché spazzati via come mosconi fastidiosi e deprimenti. Questo, infatti, dice l’economista del Fondo Moneriario: dobbiamo soffrire, dobbiamo morire. Non possiamo proprio immaginarcelo, un futuro migliore. Siamo dunque il Ruanda? No, siamo l’Italia. Qualcuno, prima o poi, lo spiegherà a Cottarelli (e al “Corriere della Sera”, se mai ancora esisterà).…..Italia, Europa, felicità, mondo, Rinascimento, Risorgimento, ingegno, lavoro, storia, dopoguerra, macerie, Usa, Piano Marshall, Eni, Enrico Mattei, Prima Repubblica, boom, economia, miracolo economico, sacro, debito pubblico, deficit, deficit positivo, John Maynard Keynes, genio, Gran Bretagna, America, Seconda Guerra Mondiale, democrazia, Europa, Urss, crescita, figli, genitori, crisi, benessere, neoliberismo, morte, Stato, sovranità, sofferenze, élite, oligarchia, finanza, Banca Mondiale, Fmi, Carlo Cottarelli, Corriere della Sera, Gioele Magaldi, massoneria, Monte Sion, Goi, Grande Oriente d’Italia, Ottocento, Giuseppe Garibaldi, Novecento, Seconda Guerra Mondiale, fascismo, Meuccio Ruini, repubblicani, Costituzione, Pietro Calamandrei, comunisti, Costituente, privilegi, casta, suffragio universale, laicità, sovranità, elezioni, cittadini, donne, ricchi, poveri, Luigi Di Maio, M5S, Movimento 5 Stelle, Matteo Salvini, governo gialloverde, Lega, Giuseppe Conte, supermassoneria, reazionari, Luigi Di Maio, elezioni bussò, aristocrazia, neo-feudalesimo, Matteo Renzi, leader, progressisti, superlogge, Thomas Paine, Ur-Lodges, Massoni, bestseller, Chiarelettere, silenzio, stampa, media, mainstream, disinformazione, destino, mondo, globalizzazione, Licio Gelli, Cile, P2, Loggia P2, Augusto Pinochet, golpe, Salvador Allende, Jfk, John Fitzgerald Kennedy, Bob Kennedy, Robert Kennedy, Martin Luther King, Henry Kissinger, George W. Bush, Mikhail Gorbaciov, Mario Draghi, Bce, Quirinale, Giorgio Napolitano, Carlo Cottarelli, David Gramiccioli, Massoneria On Air, Colors Radio, spending review, paramassoneria, Enrico Letta, Flat Tax, Elsa Fornero, legge Fornero, tagli, welfare, pensioni, reddito di cittadinanza, follia, Corriere della Sera, crescita, occulto, destra, politica, economia, Chiesa, dogma, ideologia, teologia, neoliberismo, popolo, Sergio Mattarella, Paolo Savona, virtù, Burundi, G8, medioevo, film, cinema, Non ci resta che piangere, Massimo Troisi, Germania, Angela Merkel, Mario Draghi, Bce, Mario Monti, Giorgio Napolitano, Ue, Unione Europea, Jean-Claude Juncker, democrazia, spesa pubblica, deficit, Walt Disney, cartoon, Berlusconi, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Giuliano Amato, Tommaso Padoa Schioppa, Lamberto Dini, Carlo Azeglio Ciampi,C’era una volta l’Italia. Era un paese pieno di problemi, come tutti gli altri paesi europei. Ma aveva una sua peculiare caratteristica: era un paese relativamente felice – più di altri paesi europei – al punto da stupire il mondo (un’altra volta, come nel Rinascimento, e poi nel Risorgimento) per una sua qualità assolutamente inimitabile: la capacità di “esplodere” e di espandersi in tempi rapidissimi, utilizzando due doti fondamentali, l’ingegno italico e la capacità di lavoro. Era il dopoguerra, intorno c’erano solo macerie. D’accordo, era intervenuto qualcosa di inatteso: il Piano Marshall. La spinta, per decollare. Ma poi, si sa, c’era – appunto – l’Italia. L’Eni, Enrico Mattei, la Prima Repubblica. Il boom, il miracolo economico. Costruito come? Nel solo modo possibile: con il sacro, strategico, formidabile debito pubblico. Tecnicamente: deficit positivo, per citare il sommo Keynes, il genio inglese che – a suon di debito – tirò fuori l’America dal pantano, permettendole di vincere la Seconda Guerra Mondiale e poi addirittura di stravincere, al punto da rimettere in piedi la democrazia in Europa, sia pure in funzione antisovietica. Tutto bene, o quasi, fino ai primi anni ‘90. Crescita continua: i figli che hanno più opportunità di quante ne abbiano avute i genitori. Poi, l’infarto: la crisi, la fine del benessere.
-
Zuesse: Bannon sfida Soros ma non fidatevi, vuole l’Europa
Scrive Eric Zuesse, su “Strategic-culture.org”, che due schieramenti politici – uno guidato da George Soros e l’altro creato dal nuovo arrivato, Steve Bannon – sono entrati in competizione per il controllo politico dell’Europa. Soros ha guidato a lungo i grandi capitalisti liberal americani verso l’egemonia europea, mentre Bannon sta ora organizzando una squadra di miliardari (altrettanto conservatori) per strappare la vittoria ai liberal attraverso la leva del populismo sovranista. Lo scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”, sintetizzando la panoramica geopolitica fornita da Zuesse, scrittore e analista statunitense. Bannon contro Soros? Attenzione: «Nessuno di loro è progressista o populista di sinistra», avverte Zuesse. «L’unico populismo che attualmente ogni capitalista promuove è quello della squadra di Bannon. Comunque – aggiunge Zuesse – entrambe le squadre si demonizzano a vicenda, sia per il controllo del governo degli Stati Uniti che, a livello internazionale, per il controllo del mondo intero, opponendo due diverse visioni del mondo: liberale e conservatrice, o meglio globalista e nazionalista». Entrambi dicono di sostenere la democrazia? Sì, ma magari con le rivoluzioni colorate di Soros (Ucraina, Medio Oriente) o le guerre “democratiche” (Iraq) e i “regime change” (Egitto, Tunisia, Libia, Siria).
-
Progressisti, smettete di votare il fascismo bianco del Pd
Conosco molte persone che votano Pd, +Europa e LeU. Conosco ancora piú persone che questi partiti hanno smesso di votarli. Quello che quasi tutti questi amici hanno in comune è che sono mossi da valori sinceramente progressisti; valori di libertà, giustizia sociale e democrazia. La differenza tra coloro che votano ancora i partiti della sedicente sinistra e coloro che hanno deciso di non votarli, è che questi ultimi si sono resi conto che i partiti della sedicente sinistra non perseguono più, nei fatti, quei valori di cui continuano a pretendere di essere i portavoce. I partiti della sedicente sinistra continuano a sostenere di volere fare l’interesse del popolo ma, al di là della narrativa e dei discorsi, si sono piegati ad una visione dell’economia (quella neoliberista) che è sostanzialmente incompatibile con la democrazia liberale in quanto mette gli interessi di poche corporazioni private davanti all’interesse ed al volere della collettività. La dittatura, nel mondo occidentale, esiste: è la dittatura del capitale finanziario. Il “fascismo bianco” (come lo chiama Tremonti – il fascismo perpetuato tramite debito pubblico, spread, rapporto deficit-Pil, etc…) limita libertà e diritti e sovverte il volere popolare, svuotando le istituzioni di democrazia quanto una qualunque dittatura militare – per quando certamente in modo diverso.Questa Unione Europea è un fulgido esempio di come il Fascismo Bianco – l’Econocrazia – possa mantenere le apparenze di una democrazia liberale nonostante le istituzioni democratiche ne vengano quotidianamente svuotate. L’Europa unita – che doveva essere l’Europa dei Popoli – è un infatti esempio di come le istituzioni democratiche possano essere controllate ed usate per perseguire interessi finanziari particolari piuttosto che il volere ed il benessere della collettivitá; non a caso il Parlamento Europeo è l’unico Parlamento al mondo a non avere il potere legislativo. La condizione politica in cui viviamo si concretizza in un paradosso che è ancora difficile da affrontare e capire per molti: chi si definisce progressista non può che combattere i partiti della sedicente sinistra; chi si dice sinceramente europeista non può non criticare queste istituzioni europee… Per ritornare a lottare per la realizzazione di un modello di società basato su libertà, pari opportunità e giustizia sociale, bisogna combattere una dittatura che usa l’economia, e gli indicatori economici, per svuotare di democrazia sostanziale le democrazie liberali.Noi europei non siamo più abituati alla dittatura e, al momento, i nostri bisogni primari (sicurezza, cibo) ci sono garantiti (il diritto alla salute e quello all’istruzione sono i primi ad essere sotto attacco). Ma c’è chi, essendo abituato alla dittatura, aveva uno sguardo più smaliziato e attento alla sostanza delle cose, e capì benissimo che ruolo aveva il cosiddetto “debito pubblico” (che altri chiamano “ricchezza pubblica”) nel limitare il potere delle democrazie. Sankara, personaggio politico sconosciuto a molti (non era un fulgido liberale, come avrei preferito io, ma piuttosto aveva tendenze marxiste), è morto per difendere il proprio popolo dallo strumento principe di controllo della dittatura bianca: il debito. A coloro che si considerano europeisti, democratici, e liberali, consiglio vivamente di vedere questo video del discorso di Sankara alle Nazioni Unite. Oggi, la strategia del debito che veniva usata per controllare l’Africa, viene usata per controllare le democrazie europee. A tutti coloro che sono animati da sentimenti davvero progressisti, umanitari, libertari e sociali, consiglio davvero di considerare cosa si cela dietro la narrativa che compara il debito pubblico al debito privato.A tutti coloro che continuano a votare la sedicente sinistra consiglio di chiedersi se le persone cui fanno riferimento, esperti di politica da anni, davvero non siano consapevoli di come le attuali (mancate) politiche economiche siano strumentali a guidare una involuzione antidemocratica. Anche nel ‘32, quando Roosevelt vinse le elezioni, il mondo della finanza premeva affinché “il popolo” pensasse al benessere delle generazioni future, evitando politiche di carattere espansivo. Roosevelt vinse le elezioni e, attraverso politiche economiche liberali di carattere fortemente espansivo (la celebre frase «dobbiamo solo avere paura della paura stessa», si riferiva proprio al debito) rilanciò l’economia americana. Quanta confusione c’è tra i sostenitori di +Europa tra liberalismo e neoliberismo… Anche l’Europa che conosciamo e tanto vogliamo difendere – quella liberale, dello stato sociale e delle pari opportunitá – è stata costruita su politiche economiche di carattere espansivo: si chiamava Piano Marshall. Nella storia recente, tutte le “crisi” economiche si sono superate con politiche economiche di carattere espansivo (o invasioni militari), non certo con misure di austerità volte a permettere il drenaggio di capitali e la conservazione del loro valore assoluto.Coloro che oggi sostengono questa Unione Europea, le sue istituzioni e le sue politiche economiche – considerando l’Ue come un fine e non come un mezzo per la difesa e la diffusione di libertà, giustizia sociale e democrazia – non sono europeisti, non sono liberali e non sono progressisti. Sono piuttosto persone manipolate dalla narrativa del mondo della finanza che mette Cbas (cost benefit analysis) davanti al benessere della collettività. Sono la finta intelligentija del fascismo bianco, usata dall’Econocrazia per fare propaganda. Pensando alle molte persone che ancora supportano i partiti della sedicente sinistra, mi domando come mai non riescano più a distinguere la narrativa dai fatti e a capire che sono stati raggirati: su tutti i temi politici sostanziali. È davvero incredibile come gli elettori del Pd e di +Europa, persone spesso di grande sensibilità social-liberale e progressista, siano completamente confuse. Anche quando si parla di immigrazione, oramai queste persone sembrano solo abituate a reagire con il loro grande cuore, senza però ricorrere alla mente e alla strategia.Certo, il cuore ci dice che bisogna aiutare e accogliere chi proviene da territori di guerra (anche se Roosevelt insegna che per aiutate gli altri bisogna prima combattere gli oppressori “interni”: povertà e mancanza di democrazia). Non potrei mai chiudere le porte a coloro che scappano da guerra e morte. Ma non si può aiutare il viandante che chiede copertura dal freddo se questo è l’unico, nel suo villaggio, ad essere riuscito a raggiungerci. Bisogna piuttosto dargli ago e filo e insegnarli a cucire, di modo che questo possa insegnare a cucire coperte a tutto il suo villaggio. Invece di coprire un uomo solo, un fortunato, avremo coperto tutti coloro che avevano freddo, ed avranno deciso di rimboccarsi le maniche. Spesso, i cosiddetti immigrati “economici” (definizione che odio, ma che userò) sono le persone piú avvantaggiate, colte e indignate; sono coloro che piú potrebbero aiutare il loro paese a rialzarsi. Invece di fare loro l’elemosina (con il solito senso di superiorità che caratterizza il “buonismo”) sarebbe meglio considerare quelle persone capaci di guidare una rivoluzione democratica e armarle di danaro, risorse e sponde politiche.Guardo oggi con simpatia e amarezza a coloro che, animati da un sentire progressista, social-liberale e democratico, votano partiti che di progressista non hanno nulla, e che criticano persino il principio della sovranità del popolo – cosí bene espresso nella nostra Costituzione. Guardo con simpatia e amarezza quegli amici che continuano a votare i partiti della sedicente sinistra. In fondo, anche loro come gli “immigrati economici”, preferiscono avere “fede” e chiedere aiuto all’alto (politica, religione) piuttosto che usare il loro senso critico e la loro iniziativa per rimboccarsi le maniche e combattere coloro che li raggirano quotidianamente, sfruttando la loro moralità e “insegnando” loro che bisogna obbedire al debito… Cari amici, usate il vostro senso critico; distinguete la narrativa dai fatti e mettetevi in gioco in prima persona. Decidete di tornare a lottare per democrazia, libertà e giustizia sociale – questo sì, per le generazioni future.(Marco Moiso, “Un pensiero per gli amici di Pd, +Europa e LeU”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 agosto 2018. Già coordinatore nazionale del movimento, Moiso è supervisore MR per il Regno Unito).Conosco molte persone che votano Pd, +Europa e LeU. Conosco ancora piú persone che questi partiti hanno smesso di votarli. Quello che quasi tutti questi amici hanno in comune è che sono mossi da valori sinceramente progressisti; valori di libertà, giustizia sociale e democrazia. La differenza tra coloro che votano ancora i partiti della sedicente sinistra e coloro che hanno deciso di non votarli, è che questi ultimi si sono resi conto che i partiti della sedicente sinistra non perseguono più, nei fatti, quei valori di cui continuano a pretendere di essere i portavoce. I partiti della sedicente sinistra continuano a sostenere di volere fare l’interesse del popolo ma, al di là della narrativa e dei discorsi, si sono piegati ad una visione dell’economia (quella neoliberista) che è sostanzialmente incompatibile con la democrazia liberale in quanto mette gli interessi di poche corporazioni private davanti all’interesse ed al volere della collettività. La dittatura, nel mondo occidentale, esiste: è la dittatura del capitale finanziario. Il “fascismo bianco” (come lo chiama Tremonti – il fascismo perpetuato tramite debito pubblico, spread, rapporto deficit-Pil, etc…) limita libertà e diritti e sovverte il volere popolare, svuotando le istituzioni di democrazia quanto una qualunque dittatura militare – per quando certamente in modo diverso.
-
E con Genova franano 40 anni di saccheggio neoliberista
Mentre i soliti media danno il via al cerimoniale di commenti e manifestazioni di sorpresa o di indignazione per il crollo del Viadotto Polcevera, affermiamo senza mezzi termini che la serie di crolli di infrastrutture degli ultimi anni, cui oggi si aggiunge un tragico e luttuoso disastro, è una naturale conseguenza del loro invecchiamento e della consegna del Bel Paese, ben prima del crac del 2007-2008, anzi da almeno quarant’anni, alla logica dell’austerità, che prevede giocoforza ilsilenziamento degli esperti di progettazione, manutenzione e ammodernamento. Il processo non riguarda soltanto l’Italia, bensì tutta la regione transatlantica, come ricordano i lettori a proposito di ponti e di inondazioni negli Stati Uniti, per esempio. Con il “governo del cambiamento” potrebbe in effetti cessare un trentennio di “inglorioso saccheggio”, l’opposto dei “trenta gloriosi”, come i francesi chiamano la fase storica di ricostruzione postbellica. Potrebbe esservi una svolta, dopo questo lungo periodo successivo al crollo del Muro di Berlino e rispetto a un condizionamento politico frutto dell’orchestrazione di Mani Pulite, ma ancora troppi sembrano stare al gioco di chi cade dalle nuvole, per scoprire che il governo eredita interi ambiti della nostra economica nazionale lasciati al declino.Per non parlare di come l’esecutivo si confronti con l’assenza di settori economici previsti dalla lungimiranza di coloro che, come dicevano, furono ridotti al silenzio, affinché i tecnocrati potessero procedere con il saccheggio del capitale nazionale. Casi emblematici delle due categorie? Maltenute sono le infrastrutture di gestione delle acque e disattesi i piani di sviluppo concepiti con le più ampie vedute urbanistiche. Assenti i sistemi di trasporto avveniristici rimasti tra le pagine di fantascienza o al più delle riviste di divulgazione scientifica: il treno a levitazione magnetica, l’aerotreno, gli hovercraft, gli aerei civili supersonici, le navi a propulsione magnetoidrodinamica, ecc.. In gravissimo affanno il settore della ricerca nello sfruttamento per scopi pacifici dell’energia custodita nei nuclei, in primis tramite la fusione nucleare. Quel che si trova alla “fine del ciclo vitale” non è, tuttavia, soltanto il parco composto delle numerosissime infrastrutture (a tal proposito approviamo il riferimento al Piano Marshall nel recente appello del Cnr alla ricostruzione delle opere obsolete), tra le quali i gioielli ingegneristici o di armonizzazione con il paesaggio costruiti anche in anticipo rispetto alle altre grandi potenze occidentali.I candidati sono stati eletti nel “governo del cambiamento” grazie ad animati discorsi sull’urgenza di intaccare la Legge Fornero, di smontare la Buona Scuola, di rivedere il Jobs Act, ma non avrebbero dovuto trascurare che l’inesorabile legge cronologica del “fine vita” vige anche per le opere immateriali: essa si applica ai cicli di vita della società stessa, quelli durante i quali prosperano le nefaste mezze verità dei sofisti. Sotto sforzi eccessivi non sono soltanto le strutture progettate dagli ingegneri, ma anche la capacità demografica della società stessa, che è stata indotta, con la negazione degli appropriati investimenti, a rinunciare di costruire la propria base di futuro progresso dei livelli di vita (lo trovate un caso che la vita media abbia cominciato lievemente a calare?). Altra cosa sarebbe stata, durante la campagna elettorale, se l’attacco alla Fornero fosse stato esteso a tutte le “riforme pensionistiche” risalendo sino a Lamberto Dini; se il male della scuola non fosse stato additato nella sola “riforma” renziana, ma si fosse aperto un dibattito sull’optimum raggiunto nei cento-cinquantanni di scuola pubblica (che in sé sono stati una lunghissima sperimentazione); se sulla questione del lavoro non si fosse sbandierata un’opposizione limitata al Jobs Act, ma fossero stati presentati in modo organico gli argomenti a favore di una rinascita economica, per incidere coordinatamente su altri fattori (moneta unica, parametri non scientifici di Maastricht, pareggio di bilancio in Costituzione, sovranità nella politica economica delle grandi opere, ecc.) anziché perdurare nella dinamica pluridecennale della depressione dei salari.Crollano, assieme ai ponti veri, i castelli fiabeschi di sabbia del sistema venduto come l’unico rimasto a disposizione, quello del liberismo, che in verità è già una concessione chiamare “sistema economico”. Siamo alla fine di un ciclo narrativo di menzogne al servizio degli avvoltoi finanziarii e in questo momento di transizione occorre tener presente che vi è chi ci consegna colpevolmente un paese in più modi fallato (non sono esclusi gli inetti o coloro che hanno preferito credere alla fiabe) e chi rischia di svilire l’impulso degli elettori, non osando essere di radicale cambiamento, ma accontentandosi di far appello alla memoria corta delle masse, invece che alla memoria a lungo termine degli esperti emarginati per decenni. Stiamo parlando di un’epoca che deve andarsene e della necessità di limitare i dolori del travaglio. Non è vero che abbiamo troppe infrastrutture: la rete ferroviaria è poco più di quella di Cavour, mentre la popolazione è nel frattempo triplicata. Ma anche, non fu mai vero che le pensioni fossero insostenibili, quando Dini vi mise mano.Non fu mai vero che la scuola dovesse trasformarsi in bottega e rafforzare la propria deriva con l’autoritarismo sotto la maschera della “autonomia” attenta alle “esigenze del territorio”. Non fu mai vero che il lavoro umano dovesse essere passato nel tritacarne della depressione dei salari. Se questa dolente epoca deve cedere, dobbiamo riconoscere altresì che non fu mai vero che la sovranità monetaria fu mal gestita dal nostro paese. Furono piuttosto certe morti di rilievo politico (Mattei, Moro, ecc.) ad arrestare la nostra corsa verso il progresso materiale e spirituale. Bisogna avere il coraggio di far maturare appieno e in brevissimo tempo il dibattito più strategico, assai mirato sulla necessità di rivedere quei vincoli che hanno determinato il disastro e continuano a legare le mani a chiunque sia chiamato a servire il paese, e non gli speculatori. Questi non staranno a lungo in attesa prima di sferrare qualche colpo.(Flavio Tabanelli, “Ponti, pensioni e altri assetti alla prova del governo del cambiamento”, da “Scenari Economici” del 15 agosto 2018).Mentre i soliti media danno il via al cerimoniale di commenti e manifestazioni di sorpresa o di indignazione per il crollo del Viadotto Polcevera, affermiamo senza mezzi termini che la serie di crolli di infrastrutture degli ultimi anni, cui oggi si aggiunge un tragico e luttuoso disastro, è una naturale conseguenza del loro invecchiamento e della consegna del Bel Paese, ben prima del crac del 2007-2008, anzi da almeno quarant’anni, alla logica dell’austerità, che prevede giocoforza ilsilenziamento degli esperti di progettazione, manutenzione e ammodernamento. Il processo non riguarda soltanto l’Italia, bensì tutta la regione transatlantica, come ricordano i lettori a proposito di ponti e di inondazioni negli Stati Uniti, per esempio. Con il “governo del cambiamento” potrebbe in effetti cessare un trentennio di “inglorioso saccheggio”, l’opposto dei “trenta gloriosi”, come i francesi chiamano la fase storica di ricostruzione postbellica. Potrebbe esservi una svolta, dopo questo lungo periodo successivo al crollo del Muro di Berlino e rispetto a un condizionamento politico frutto dell’orchestrazione di Mani Pulite, ma ancora troppi sembrano stare al gioco di chi cade dalle nuvole, per scoprire che il governo eredita interi ambiti della nostra economica nazionale lasciati al declino.