Archivio del Tag ‘prelievo forzoso’
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Crisi banche venete, la Germania vuol mangiarsi il Nord-Est
«In caso di una crisi non risolta delle due banche venete che si sono recentemente trovate a navigare in cattive acque, gli effetti non sarebbero molto inferiori a quelli generati dal default della Grecia». Queste le parole che Fabrizio Viola, ad della Banca Popolare di Vicenza, ha rilasciato al “Corriere della Sera” il 2 giugno e poi riportate anche da “Business Insider Italia”. Se consideriamo, infatti, che Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno concesso prestiti “buoni” (ovvero al netto di sofferenze e incagli) per circa 30 miliardi di euro concentrati in gran parte nel nord-est Italia, cioè il territorio più importante per l’economia nazionale, è facile intuire quale sia lo sconquasso che si verrebbe a creare tramite la procedura del bail-in, che impone il rientro forzoso degli impegni a tutela dei depositi. Il debito è il motore dell’economia e intervenire in questo modo sarebbe come togliere ossigeno a tutti quegli imprenditori che fanno affidamento sui prestiti ricevuti dalle due banche; da qui, si innescherebbe la chiusura di un numero importantissimo di piccole e medie aziende, ovvero quelle che caratterizzano il tessuto industriale del nord-est ma anche italiano (le piccolissime, piccole e medie imprese costituiscono circa il 95% del tessuto indistriale italiano).La lente di ingrandimento, secondo opinioni del settore, è stata posta volutamente sulle banche operanti in questo territorio sotto la spinta della Germania; le aziende tedesche hanno un forte interscambio con quelle operanti nel nord-est Italia e potrebbero sostituirsi ad esse o comprarle a basso prezzo in caso di fallimento. Chiudere il motore dell’economia italiana significherebbe per la Germania avere il controllo del mercato e rafforzare sempre più la propria posizione di leader in tutta Europa. Il processo sarebbe quello di usare la medesima strategia usata con la Grecia, ovvero sollecitare da una parte tramite le autorità europee dei piani di risanamento improntati su manovre “lacrime e sangue” e, dall’altro, acquisire le aziende in totale crisi per una manciata di euro (l’aeroporto di Atene è stato acquisito dalla tedesca AviAllance per 600 milioni, così come altri 14 aeroporti, per lo più turistici, erano stati acquisiti in precedenza sempre dai tedeschi per un totale di 1,2 miliardi).Il fondato sospetto prende forma studiando a ritroso le strategie messe in pratiche dalla Germania: prima ha salvato le proprie banche impiegando più di 200 miliardi tenendo impegnata l’Italia a recuperare lo spread (2011/2012), poi ha creato la procedura del bail-il (2015) che vincola l’intervento pubblico ad ultima spiaggia facendo ricorrere gli istituti bancari a salvarsi con i soldi dei correntisti, infine sta cercando di accelerare la chiusura dei due istituti bancari tramite le pressioni fatte in sede europea da Jens Weidmann (presidente della Bundesbank e candidato alla successione di Mario Draghi al vertice della Bce nell’autunno del 2018) visto il rischio di elezioni anticipate, che sotto l’effetto dell’onda populista potrebbe mettere i bastoni tra le ruote al progetto tedesco tramite un cambio di governo italiano.I tedeschi non intendono l’Europa come un processo di progressiva integrazione tra economie tra loro diverse sotto un’ottica di socializzazione, avendone invece una concezione egemonica espressa tramite le misure di austerity fiscale che finora non ha fornito esempi di successo tra gli Stati dell’Unione Europea, se non a favore della Germania stessa. Tutto questo, insieme al colpevole ritardo con cui le autorità italiane hanno compreso il fine del bail-in, potrebbe mettere in serio rischio l’economia italiana dando il definitivo via libera alla Germania per il controllo dell’Europa.(Francesco Puppato, “Dietro il dissesto delle banche venete spunta l’ombra della Germania”, da “Wall Street Italia” dell’11 giugno 2017).«In caso di una crisi non risolta delle due banche venete che si sono recentemente trovate a navigare in cattive acque, gli effetti non sarebbero molto inferiori a quelli generati dal default della Grecia». Queste le parole che Fabrizio Viola, ad della Banca Popolare di Vicenza, ha rilasciato al “Corriere della Sera” il 2 giugno e poi riportate anche da “Business Insider Italia”. Se consideriamo, infatti, che Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno concesso prestiti “buoni” (ovvero al netto di sofferenze e incagli) per circa 30 miliardi di euro concentrati in gran parte nel nord-est Italia, cioè il territorio più importante per l’economia nazionale, è facile intuire quale sia lo sconquasso che si verrebbe a creare tramite la procedura del bail-in, che impone il rientro forzoso degli impegni a tutela dei depositi. Il debito è il motore dell’economia e intervenire in questo modo sarebbe come togliere ossigeno a tutti quegli imprenditori che fanno affidamento sui prestiti ricevuti dalle due banche; da qui, si innescherebbe la chiusura di un numero importantissimo di piccole e medie aziende, ovvero quelle che caratterizzano il tessuto industriale del nord-est ma anche italiano (le piccolissime, piccole e medie imprese costituiscono circa il 95% del tessuto industriale italiano).
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Attacco alle banche, per commissariare l’Italia entro il 2017
La Germania tenta il colpo grosso: commissariare l’Italia entro il 2017. Come? Imponendo alle banche di disporre di capitali aggiuntivi (che non possiedono) per poter garantire i titoli di Stato, cioè la linfa del bilancio. Dall’europarlamento di Bruxelles, Marco Zanni denuncia una grave minaccia di cui nessuno ha ancora parlato: il tentativo di commissariamento di Roma entro il 2017 da parte della Germania, nascosto in un emendamento all’articolo 507 del Regolamento sui requisiti patrimoniali delle banche. «È necessario diffondere il più possibile questa nuova minaccia, ancora una volta nascosta nelle pieghe di una incomprensibile burocrazia nata specificamente per mascherare ai cittadini le tecniche di controllo delle democrazie del sud Europa», afferma Claudio Messora su “ByoBlu”. «Di fatto è un tentativo che denunciammo già dal 2014 – dice Zanni – da quando ho iniziato ad occuparmi di regolazione bancaria a livello europeo e di tutto quel pacchetto regolamentare che noi in Italia – purtroppo a nostro discapito – abbiamo imparato a conoscere bene e che cade sotto il nome di “Unione Bancaria” o “Banking Union”». Unione Bancaria, ovvero quell’insieme di regole, per le banche dell’Eurozona, che si basa principalmente su tre pilastri: supervisione unica, “risoluzione del rischio” e assicurazione sui depositi.La supervisione unica delle grandi banche all’interno dell’Eurozona è affidata al “Single Supervisory Mechanism”, cioè «quel braccio della Bce che deve supervisionare la corretta applicazione delle regole e la corretta patrimonializzazione delle banche». Famigerato, poi il “Meccanismo di Risoluzione Unico”, «di cui fa parte la famosa regola del bail-in», di ci hanno fatto le spese i correntisti delle banche di Arezzo, Ferrara, Chieti. Manca ancora il “terzo pilastro”, cioè «un’assicurazione comune sui depositi di tutte le banche che cadono sotto questo cappello». Cosa sta accadendo dal 2014, da quando questo sistema sta entrando in vigore? «Queste regole sono state plasmate per distruggere il sistema bancario italiano e spingere il nostro paese a dover richiedere aiuto a istituzioni europee che – purtroppo – abbiamo imparato a conoscere bene», afferma Zanni. L’europarlamentare denuncia l’Omt della Bce: l’Outright Monetary Transactions è «la traduzione pratica di quel “whatever it takes” detto fin dal 2012 da Mario Draghi, cioè il fatto che la Bce farà di tutto per salvare l’euro». In più, incombe la richiesta di ricorrere all’“aiuto” del Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità, già denunciato (anche da Messora) «per la sua struttura criminale», che oggi «diventa una possibilità concreta per “mettere in sicurezza” il sistema bancario».«Quest’attacco all’Italia – continua Zanni – è partito attraverso questo insieme di regole che si chiama “Unione Bancaria”. E poche settimane fa è stato fatto un passettino in avanti per affossare ancora di più il sistema bancario italiano, per attaccare i titoli del nostro debito pubblico e costringere inevitabilmente il governo italiano a intraprendere due strade, che portano entrambe inevitabilmente al commissariamento da parte della Troika». Secondo Zanni, ci aspettano «l’attacco, la speculazione sul debito pubblico e quindi la richiesta di Omt, con conseguente arrivo della Troika», o in alternativa «il collasso inevitabile del sistema bancario italiano, con la richiesta di ricapitalizzazione del sistema tramite il Mes, quindi le condizionalità annesse e infine l’arrivo della Troika». Allarme rosso, per l’europarlamentare ex grillino: «Questo è quello che sta succedendo oggi all’interno delle istituzioni europee, nel più totale silenzio dei nostri media». Stampa e televisione «di questo non parlano, preferiscono disquisire di una fasulla diatriba tra Roma e Bruxelles sullo 0,2% del Pil, su questa manovra correttiva da 3-4 miliardi di euro. Qui invece sono in gioco decine di miliardi di euro».La Germania tenta il colpo grosso: commissariare l’Italia entro il 2017. Come? Imponendo alle banche di disporre di capitali aggiuntivi (che non possiedono) per poter garantire i titoli di Stato, cioè la linfa del bilancio. Dall’europarlamento di Bruxelles, Marco Zanni denuncia una grave minaccia di cui nessuno ha ancora parlato: il tentativo di commissariamento di Roma entro il 2017 da parte della Germania, nascosto in un emendamento all’articolo 507 del Regolamento sui requisiti patrimoniali delle banche. «È necessario diffondere il più possibile questa nuova minaccia, ancora una volta nascosta nelle pieghe di una incomprensibile burocrazia nata specificamente per mascherare ai cittadini le tecniche di controllo delle democrazie del sud Europa», afferma Claudio Messora su “ByoBlu”. «Di fatto è un tentativo che denunciammo già dal 2014 – dice Zanni – da quando ho iniziato ad occuparmi di regolazione bancaria a livello europeo e di tutto quel pacchetto regolamentare che noi in Italia – purtroppo a nostro discapito – abbiamo imparato a conoscere bene e che cade sotto il nome di “Unione Bancaria” o “Banking Union”». Unione Bancaria, ovvero quell’insieme di regole, per le banche dell’Eurozona, che si basa principalmente su tre pilastri: supervisione unica, “risoluzione del rischio” e assicurazione sui depositi.
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Galloni: referendum inutile, se il padrone resta Bruxelles
Il lato oscuro di una grande vittoria? Questo: «Molti di quelli che hanno fatto votare No e cadere Renzi sono responsabili del disastro nel quale si trovano le istituzioni e la società italiane. Quindi: usciremo dagli inganni e dagli errori di un trentacinquennio da incubo o dovremo comunque continuare a sottostare ai diktat esterni?». Se lo domanda l’economista keynesiano Nino Galloni, presidente del movimento “Ali” (Alternativa per l’Italia), che all’indomani del voto referendario rivolge un appello «a Beppe Grillo, al Movimento 5 Stelle ed a quanti vogliono ripristinare sovranità popolare in un clima di collaborazione tra tutti i paesi». L’idea: «Elaboriamo un programma di difesa nazionale e di sviluppo responsabile che sappia indicare a tutti un percorso alternativo e di fuoriuscita da una situazione socialmente, economicamente, finanziariamente ed eticamente sempre più insostenibile», prima che i grandi manovratori del fronte del No – pari, per responsabilità – a quelli del fronte del Sì – possano riproporre le stesse formule (sudditanza all’Ue) che hanno condotto il paese al disastro socio-economico.La inaspettata partecipazione e l’atteso No, interpretato come un’espressione di forte protesta, «testimoniano di un popolo assai consapevole e che non ha votato solo di pancia contro il governo renziano o di cuore a difesa della Costituzione, ma anche di testa per impedire una deriva che avrebbe peggiorato le condizioni sociali, economiche, politiche del paese», scrive Galloni su “Scenari Economici”. La controprova? «Sta nelle tre regioni dove il Sì ha prevalso: Toscana, Emilia Romagna, Trentino; le regioni dove si vive meglio e dove ha prevalso, quindi, quell’opportunismo pessimistico che ha consentito di accettare 35 anni di peggioramenti nel timore di perdere quello che si aveva». Finalmente il Centro-Sud «ha invece rialzato la testa», mentre le altre regioni del Nord – cioè «quelle che hanno vissuto, in questi decenni, la perdita del primato industriale» – hanno «segnato la vera sconfitta della controriforma boschiana». Contraccolpi devastanti? «Lo spread non si alzerà se la Bce continuerà a fare il suo normale lavoro; viceversa se tradisse, allora dovremo scendere in piazza qualora non ci fosse sufficiente consapevolezza in questo Parlamento, per ottenere soluzioni di difesa delle nostre istituzioni, ben diversamente da quanto accadde in Grecia (a causa della impreparazione a fronteggiare la situazione)».Ma, se al dunque, i cosiddetti “mercati” e la Bce attenueranno (come pare) le conseguenze del voto, nonostante l’evidente conflitto con questa Europa e la grande finanza, per Galloni rimane aperto un interrogativo di più largo respiro. Da una parte, «l’attuale assetto europeo ha sospeso il giudizio sull’Italia dando a intendere che, in caso di vittoria del Sì, ci sarebbe stata una mano leggera»; dall’altra, Renzi «aveva inaugurato una stagione almeno apparentemente nuova, per le scelte più importanti: flessibilità per le spese di accoglimento dei migranti, sforamento dei parametri per terremoti e altre emergenze, resistenza al “bail in” in nome del prevalere del problema titoli tossici sull’andamento delle cosiddette sofferenze bancarie». L’ultimo Renzi, dunque, «aveva cominciato a muoversi controcorrente e a dire cose interessanti, ma l’appoggio alla controriforma lo ha travolto». Ora, il punto è: impedire che, ancora una volta, si soffochi una corretta lettura dello scenario: l’Italia non può riallinearsi ai diktat Ue, deve invece imporre un cambio radicale di politica, rivendicando spazi vitali di sovranità. Viceversa, dalla crisi non si uscirà. E il referendum non sarà servito a niente.Il lato oscuro di una grande vittoria? Questo: «Molti di quelli che hanno fatto votare No e cadere Renzi sono responsabili del disastro nel quale si trovano le istituzioni e la società italiane. Quindi: usciremo dagli inganni e dagli errori di un trentacinquennio da incubo o dovremo comunque continuare a sottostare ai diktat esterni?». Se lo domanda l’economista keynesiano Nino Galloni, presidente del movimento “Ali” (Alternativa per l’Italia), che all’indomani del voto referendario rivolge un appello «a Beppe Grillo, al Movimento 5 Stelle ed a quanti vogliono ripristinare sovranità popolare in un clima di collaborazione tra tutti i paesi». L’idea: «Elaboriamo un programma di difesa nazionale e di sviluppo responsabile che sappia indicare a tutti un percorso alternativo e di fuoriuscita da una situazione socialmente, economicamente, finanziariamente ed eticamente sempre più insostenibile», prima che i grandi manovratori del fronte del No – pari, per responsabilità – a quelli del fronte del Sì – possano riproporre le stesse formule (sudditanza all’Ue) che hanno condotto il paese al disastro socio-economico.
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Padroni stranieri per l’Italia, un paese creato per obbedire
L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze, quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro. L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini (del resto, lo Stato unitario italiano nasce per interesse e intervento di Londra e Parigi).Ahi serva Italia! I rari tentativi di ribellione e di difesa di interessi nazionali sono stati repressi con ogni mezzo, compreso l’omicidio (vedi il caso di Enrico Mattei) e il downrating (vedi il caso Berlusconi). Questa condizione millenaria di asservimento allo straniero, in particolare il fatto che i governanti italiani rispondono a interessi stranieri piuttosto che a interessi nazionali (tolti quelli forti, cioè la Chiesa e le mafie), impedisce il nascere di una coscienza nazionale, di una visione politica di lungo termine e di una classe politica con adeguata competenza: avendo la funzione di trasferire risorse dagli italiani a potentati stranieri, la classe dirigente italiana necessariamente è composta di ladri professionali con mentalità di ladri e compari tra loro. Infatti è connotata, complessivamente, da incapacità, nepotismo, corruzione, abuso, servilismo. Il suo orizzonte operativo è di breve o brevissimo termine. Non si cura di programmare. Vive e ruba alla giornata. Ogni governo fantoccio è un governo di ladri.La popolazione percepisce queste caratteristiche del potere, e si adegua, ricorrendo all’arrangiarsi, al clientelismo, all’evasione fiscale, etc. Da qui derivano il basso senso civico e la sfiducia verso le leggi e la loro abituale trasgressione, da parte delle istituzioni prima ancora che dei cittadini. Il pesce puzza dalla testa. La decadenza di un siffatto sistema-paese è geneticamente predeterminata. Gli esempi di scelte eseguite da governi e presidenti italiani su ordine straniero e contro gli interessi nazionali sono abbondanti e macroscopici. Ne citerò alcuni che mi paiono particolarmente significativi:- L’adesione a tre successivi sistemi di blocco dei tassi di cambio, di cui l’ultimo si chiama “euro”, tutti molto dannosi per l’Italia e molto vantaggiosi per i paesi del Nord Europa; i primi due sono già saltati dopo aver cagionato disastri. Tutti ci hanno inflitto deindustrializzazione e indebitamento, apportando per contro sviluppo e attivo commerciale ai paesi forti. Tutti hanno aumentato il divario rispetto a questi paesi, sotto la promessa di ridurlo.- L’accettazione di scelte europee in materie monetarie, bancarie e fiscali che consentono ai paesi forti di violare le regole a cui invece deve sottostare l’Italia – vedi il sistema bancario tedesco, cui è concesso di usare leve multiple di quelle italiane e di ricevere aiuti di Stato – congiuntamente al fatto che all’economia italiana viene negato l’uso di strumenti finanziari che invece sono disponibili ai paesi forti dell’Ue, i quali quindi possono fare shopping e concorrenza sleale nei confronti dell’Italia, lo si sente!- La partecipazione alla guerra contro la Libia, imposta via Quirinale a Berlusconi poco dopo la conclusione di un trattato di pace vantaggioso per l’Italia, e voluta nell’interesse di Regno Unito e Francia, a danno dall’Italia, che, per effetto della guerra, ha perso quote di risorse petrolifere a favore di quei due paesi, e inoltre si ritrova l’Isis a soli 80 km e un flusso disastroso di migranti.- L’imposizione, sempre via Quirinale, come premier di Monti, che ha irrimediabilmente spezzato le gambe all’economia nazionale soprattutto dove competitiva con quella tedesca, e ha trasferito decine di miliardi spremuti dagli italiani mediante tasse folli per assicurare a banchieri tedeschi e francesi i profitti delle loro speculazioni criminali in Spagna e Grecia.- La demenziale adozione del principio di pareggio di bilancio in periodo di recessione, che automaticamente determina la rarefazione monetaria (perché per realizzare un avanzo primario il governo estrae dal paese più soldi di quanti ne reimmetta, svuotandolo di liquidità), quindi insolvenze, licenziamenti, morie aziendali e avvitamento recessivo.- La irragionevole adozione del bail-in, cioè del principio che, se una banca va male (di solito perché i suoi gestori hanno mangiato), anziché farla salvare dalla banca centrale a costo zero e punire i colpevoli, le perdite si scaricheranno su azionisti, obbligazionisti e risparmiatori – principio che mina alla base la fiducia nelle banche stesse e le rende tutte più deboli, perché adesso chi vuole investire nel capitale azionario di una banca o nelle sue obbligazioni sa che rischia di più, e richiederà tassi più alti.Queste cose non sono novità dell’Europa Unita, ma la prosecuzione del trattamento già riservato all’Italia a Versailles nel 1919. Alla conferenza di Versailles, che definiva i nuovi assetti alla fine della Prima Guerra Mondiale spartendo tra i vincitori territori e colonie dei vinti, il premier francese Georges Clemenceau, soffrendo di prostatite e vedendo il premier italiano, Vittorio Emanuele Orlando, piangere spesso e a dirotto, disse: «Ah, magari potessi urinare così copiosamente come Orlando piange!». Perché Orlando piangeva tanto? Perché il governo italiano, nel 1915, aveva deciso di partecipare alla guerra, che sarebbe costata un alto prezzo di morti, feriti e spese, allo scopo, sancito dal Trattato di Londra del medesimo anno, di far salire di grado l’Italia, di farla equiparare alle nazioni di prima classe; ma, al contrario, l’Italia fu trattata male da Usa, Gran Bretagna e Francia in termini di dazi per le sue esportazioni, e fu esclusa dalla spartizione delle colonie tedesche e dei territori tolti all’Impero Ottomano, cioè fu esclusa da importanti fonti di materie prime nonché sbocchi per la sua sovrappopolazione, e rimase una paese di seconda classe.Anzi, divenne un paese di terza classe, perché gli Usa, usciti dalla Grande Guerra come grandi creditori dell’Europa, in quel dopoguerra assunsero l’egemonia mondiale, spingendo nella seconda classe le vecchie potenze europee, e in terza il Belapaese. La Seconda Guerra Mondiale, col successivo piano Marshall e con l’europeismo, ha radicalizzato questa scomoda posizione di sub-subalternità di questo paese, che deve piegarsi agli interessi di due livelli di paesi padroni, e restare militarmente occupato dagli Usa anche dopo la fine della minaccia “comunista”. All’interno dell’Italia, ancora più sottomessi e sfruttati sono Veneti e Lombardi, che devono cedere buona parte del loro reddito per sostenere il meridione e Roma. Emigrare è quindi la scelta razionale più adatta per chi può farlo.Ps: l’Italia attuale non è una colonia: non ne ha le caratteristiche giuridiche e funzionali perché nessuna potenza straniera si assume la responsabilità di governarla direttamente né manda coloni. Essa è bensì oggetto di imperialismo, che impone governi fantocci e politiche di suo vantaggio, mantenendola inefficiente come sistema-paese. Per funzionare, un paese strutturalmente inefficiente come l’Italia (Meridione inguaribilmente arretrato, mentalità parassitaria, burocrazia e partitocrazia marce, livello scientifico e culturale basso, popolazione vecchia) avrebbe bisogno di quello che aveva prima dell’Euro e prima del 1981, ossia di molta liquidità e molti investimenti pubblici a basso costo: è come un motore vecchio che brucia molto olio: bisogna rabboccarlo continuamente, altrimenti grippa.(Marco Della Luna, “Italia, subalternità e corruzione”, dal blog di Della Luna del 20 febbraio 2016).L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze, quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro. L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini (del resto, lo Stato unitario italiano nasce per interesse e intervento di Londra e Parigi).
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Game over, l’orrida Europa non digerisce il pessimo Renzi
Prosegue imperterrita la “danza degli schiaffoni” fra Renzi e l’Unione Europea. In prima linea ci sono i popolari, ma il silenzio sprezzante dei socialisti pesa ancora di più. Quel povero diavolo di Pittella (per sua sfortuna capogruppo socialista a Strasburgo) cerca di sostenere il suo signore e padrone italiano, giungendo a minacciare la crisi dell’accordo popolari-socialisti che regge la Commissione, mentre i suoi compagni di gruppo francesi, tedeschi e olandesi lo guardano come lo scemo del villaggio con l’aria di pensare “Ma che stai dicendo?”. Da dove nasce questa inedita replica della Cavalleria Rusticana? I punti veri di dissenso sono due: l’applicazione del bail-in e la riduzione delle tasse. Renzi ha bisogno di margini di flessibilità molto più ampi (e usa l’emergenza rifugiati) perché vuol fare un taglio di tasse prima delle elezioni. Sul primo punto, Renzi, che non aveva mosso paglia contro la formazione della direttiva sul bail-in e neppure sulla sua immediata applicazione dal 1° gennaio 2016, aveva pensato di cavarsela con qualche furbata all’italiana (tipo il “salvabanche”), ma gli “europei” non glielo permettono, dando della direttiva l’interpretazione più restrittiva possibile (e ci vuol, poco perché la lettera è già più che sufficiente a bloccare il giullare).E questa rigidezza dipende dal fatto che i nostri valenti alleati tedeschi e francesi hanno già forchette in pugno e tovagliolo al collo per banchettare suo beni italiani. Sul secondo punto, Renzi ha bisogno di fare qualcosa sul fisco per non arrivare alle elezioni con un bilancio fatto solo di promesse mancate. Magari, poi le tasse le raddoppierebbe un minuto dopo la vittoria elettorale. Ma anche qui gli europei non mollano: “Niente tagli fiscali, devi pagare gli interessi sul debito e non puoi fare altro disavanzo”. Ma perché tanta indisponibilità, mentre all’Inghilterra è stato concesso tutto o quasi? I soci di maggioranza della Ue non vogliono perdere Londra che (sbagliando) ritengono un punto di forza dell’alleanza, mentre non hanno alcuna particolare propensione a tenersi Roma che (ricordiamolo sempre) è il terzo debito pubblico mondiale. Se a minacciare un referendum sull’uscita dalla Ue fosse il governo italiano, a fare la campagna elettorale a favore dell’uscita, giungerebbe in Italia Juncker.In secondo luogo, proprio perché all’Uk è stato concesso tutto, poi non si può dare niente all’Italia, pena un assalto alla diligenza di tutti gli altri. L’Italia non è la Grecia, è uno dei 4 principali contraenti il patto e, dal punto di vista di Strasburgo ed Amburgo, sta dando un pessimo esempio agli altri. Se non si dà una lezione all’Italia, poi verranno la Spagna, il Portogallo, l’Estonia, Cipro, magari di nuovo la Grecia. In breve la Ue sarebbe solo una marmellata, mentre qui gli “alleati” intendono ribadire che nella Ue c’è chi comanda (la Germania), chi è capo in seconda (la Francia), chi ha diritto a privilegi (l’Inghilterra) e tutti gli altri che devono obbedire. Questo ordine interno non deve essere turbato per nessuna ragione e Renzi deve piantarla. Questo è il modo di vedere dei nostri ineffabili alleati. Beninteso: l’Italia se lo merita. Non si può mandare in giro per il mondo rappresentanti impresentabili come Berlusconi e Renzi, proni come Monti o Letta o deboli come Prodi e pretendere che gli altri ti prendano sul serio. O vigliamo parlare dei ministri degli esteri che abbiamo espresso?Lo scontro fra Renzi e la Commissione Europea è uno scontro fra un branco di squali feroci ed uno squalo scemo, impossibile fare il tifo per nessuno dei due. D’altro canto, ho l’impressione che l’elenco dei nemici di Renzi sia già molto lungo e cresce di giorno in giorno: la magistratura, le grandi banche italiane, ora la Farnesina, la tecnocrazia europea, il Consiglio di Stato, infine buona parte del mondo ecclesiale inviperito per la legge sulle unioni civili… E molto è dovuto all’arroganza personale dell’uomo, splendido esempio del “fiorentino spirito bizzarro” andato a male. Forse sono troppo ottimista ma ho l’impressione che, per Renzi, il cronometro della Ue abbia già iniziato a scorrere verso l’ora zero.(Aldo Giannuli, “Perché l’Europa non digerisce Renzi”, dal blog di Giannuli del 10 febbraio 2016).Prosegue imperterrita la “danza degli schiaffoni” fra Renzi e l’Unione Europea. In prima linea ci sono i popolari, ma il silenzio sprezzante dei socialisti pesa ancora di più. Quel povero diavolo di Pittella (per sua sfortuna capogruppo socialista a Strasburgo) cerca di sostenere il suo signore e padrone italiano, giungendo a minacciare la crisi dell’accordo popolari-socialisti che regge la Commissione, mentre i suoi compagni di gruppo francesi, tedeschi e olandesi lo guardano come lo scemo del villaggio con l’aria di pensare “Ma che stai dicendo?”. Da dove nasce questa inedita replica della Cavalleria Rusticana? I punti veri di dissenso sono due: l’applicazione del bail-in e la riduzione delle tasse. Renzi ha bisogno di margini di flessibilità molto più ampi (e usa l’emergenza rifugiati) perché vuol fare un taglio di tasse prima delle elezioni. Sul primo punto, Renzi, che non aveva mosso paglia contro la formazione della direttiva sul bail-in e neppure sulla sua immediata applicazione dal 1° gennaio 2016, aveva pensato di cavarsela con qualche furbata all’italiana (tipo il “salvabanche”), ma gli “europei” non glielo permettono, dando della direttiva l’interpretazione più restrittiva possibile (e ci vuol, poco perché la lettera è già più che sufficiente a bloccare il giullare).
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Goldman Sachs offre risparmi al riparo dal prelievo forzoso
Ho appena fatto in tempo a scriverlo la settimana scorsa che prontamente è arrivato (con intera pagina pubblicitaria sulla “Repubblica” e sul “Corriere”) il rilancio dell’offerta della Goldman Sachs che offre obbligazioni decennali in dollari Usa a queste condizioni: cedola fissa al 6% per i primi due anni; cedola variabile Usd 3 mesi, con valore minimo 1,25% p.a. e massimo 6% p.a. dal terzo anno alla fine della scadenza (al lordo degli eventuali oneri fiscali). Provo a tradurre in soldoni (mi pare il caso di dirlo) per i non addetti: c’è un signore che offre titoli obbligazionari (dunque cui non si applicano le regole del bail-in, anche qualora l’emissione avvenisse da parte della emittente europea e non dalla casa madre) il cui rendimento netto si aggirerebbe intorno al 4% e in una moneta che si sta apprezzando sull’euro, per cui, alla fine, il rendimento potrebbe essere anche superiore. Lasciamo perdere le altre clausole pure interessanti, per non essere dispersivi e andiamo al sodo, magari con un esempio. L’avvocato Sempronio ha un capitale pari a 200.000 euro attualmente investito in parte in voci diverse presso una banca italiana che, sì e no, gli dà il 3% netto ma che, soprattutto, lo espone al rischio di un prelievo forzoso dal suo conto in caso di bisogno, sulla base delle norme stabilite dal bail-in.Ha come alternative: a- investire il titoli di Stato ad un rendimento non superiore al 2% netto con qualche eccezione per gli ultra-ventennali e con una tendenza (almeno per ora) al ribasso, e in una moneta la cui tendenza attuale e prevedibile è al deprezzamento; b- investire nell’offerta della Goldman al 4% netto per un decennale, in una moneta tendenzialmente in apprezzamento. Voi cosa fareste? Se ci fosse Massimo Catalano di “Quelli della Notte” direbbe: «E’ molto meglio prendere più soldi e con meno rischi ed una moneta che sale di valore, che prendere meno, con più rischi ed in una moneta calante». Vi pare? E, dunque, mi pare normale che una bella fetta dei clienti con conti oltre i 100.000 euro andrà alla ricerca di occasioni di investimento sottratte al rischio bail-in e, scartati i titoli di Stato per la loro scarsa appetibilità, si dirigerà verso l’offerta Goldman. Non ci vuole molto a capire che banche italiane e ministero del Tesoro si troveranno nelle condizioni di dover, prima o poi, alzare i rispettivi interessi. Il che non gioverà alla contabilità delle une e dell’altro.Il bail-in, allo stato attuale, si applica ai conti superiori ai 100.000 euro; ma, quando i conti di quell’entità si saranno assottigliati sin quasi a scomparire, sarà giocoforza o entrare in una spirale di debito sempre più difficile da gestire oppure, man mano, abbassare il livello al di sopra del quale si applica il “diritto di prelievo”, contando sul fatto che i piccoli risparmiatori hanno meno propensione alla mobilità. Il denaro costerà di più e, di riflesso, le banche non potranno offrire altro che mutui sempre più costosi a privati e imprese. Quanto allo Stato, ovviamente un rialzo degli interessi si tradurrà in un aumento della pressione fiscale (come se ce ne fosse bisogno), ed il risultato finale per cittadini ed imprese sarà: mutui più costosi e tasse più alte. Perfetto, il massimo della linea Pd: “la via italiana al fallimento”. Ho l’impressione che, già dai prossimi mesi, le tendenze di mercato saranno sempre peggiori. Allegria!(Aldo Giannuli, “Banche, bail-in e offerte americane”, dal blog di Giannuli del 26 gennaio 2016).Ho appena fatto in tempo a scriverlo la settimana scorsa che prontamente è arrivato (con intera pagina pubblicitaria sulla “Repubblica” e sul “Corriere”) il rilancio dell’offerta della Goldman Sachs che offre obbligazioni decennali in dollari Usa a queste condizioni: cedola fissa al 6% per i primi due anni; cedola variabile Usd 3 mesi, con valore minimo 1,25% p.a. e massimo 6% p.a. dal terzo anno alla fine della scadenza (al lordo degli eventuali oneri fiscali). Provo a tradurre in soldoni (mi pare il caso di dirlo) per i non addetti: c’è un signore che offre titoli obbligazionari (dunque cui non si applicano le regole del bail-in, anche qualora l’emissione avvenisse da parte della emittente europea e non dalla casa madre) il cui rendimento netto si aggirerebbe intorno al 4% e in una moneta che si sta apprezzando sull’euro, per cui, alla fine, il rendimento potrebbe essere anche superiore. Lasciamo perdere le altre clausole pure interessanti, per non essere dispersivi e andiamo al sodo, magari con un esempio. L’avvocato Sempronio ha un capitale pari a 200.000 euro attualmente investito in parte in voci diverse presso una banca italiana che, sì e no, gli dà il 3% netto ma che, soprattutto, lo espone al rischio di un prelievo forzoso dal suo conto in caso di bisogno, sulla base delle norme stabilite dal bail-in.
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Rassegnarci a perdere tutto: è lo scopo della crisi infinita
La lunga crisi economica, e non solo economica ma anche sociale, costituzionale, morale, culturale, sta letteralmente rieducando i popoli: questa è la riforma delle riforme. Insegna loro una lezione importante e penetrante. L’uomo impara ad interiorizzare una diversa e molto più modesta e docile concezione di se stesso, dei suoi diritti fondamentali, delle sue prospettive esistenziali. Taglia pretese e aspettative. Accetta ciò che viene. Si rassegna. La crisi prevedibilmente verrà portata avanti, con gli strumenti di destabilizzazione descritti nei miei precedenti articoli (“Comunitarismo e Realismo”, “Questa non è una Crisi Economica”), finché questa lezione non sarà stata assimilata e finché la precedente maniera di considerare il mondo, la società, i diritti dell’uomo, non sarà stata dimenticata o perlomeno “sovrascritta” da una nuova coscienza, imperniata sugli elementi seguenti. Il rating delle agenzie finanziarie e le variabili “necessità” del mercato sono la fonte normativa suprema, superiore ai principi costituzionali e prevalgono su di essi; lo Stato di diritto e garanzia è finito. Conseguentemente, i diritti di partecipazione democratica e di rappresentanza del cittadino sono condizionati e comprimibili.Le scelte di politica economica, del lavoro, dei rapporti internazionali discendono da fattori di mercato superiori alla volontà popolare e sono dettate ai popoli dall’alto, da organismi tecnocratici sovranazionali, che non sono responsabili degli effetti di tali scelte e possono mantenerle in vigore quali che siano i loro effetti, mentre esse non sono rifiutabili dai popoli e dai loro rappresentanti. Se così non fosse, si metterebbe in pericolo il Pil, il rating, lo spread. In effetti, gli Stati sono politicamente impotenti e subalterni, essendo indebitati in una moneta che non controllano più essi, ma un cartello bancario, da cui essi dipendono per rifinanziarsi. Il cittadino è essenzialmente passivo: subisce senza poter reagire, interloquire, negoziare, le tasse, le tariffe, i prezzi imposti dallo Stato, dei monopolisti dei servizi, dell’energia, di molti beni essenziali. Subisce senza poter reagire il tracciamento di tutte le sue azioni, spostamenti, incassi, spese, consumi.Lo Stato, la pubblica amministrazione, le imprese private monopolistiche che operano in concessione, lo governano e agiscono su di lui da lontano, con mezzi telematici, senza che egli possa interagire con tali soggetti. Come lavoratore, deve accettare una strutturale mancanza di garanzie e pianificabilità, di stabilità dei rapporti e dei redditi, di continuità occupazionale, di prospettiva di carriera e persino di una pensione sufficiente a vivere.Come consumatore, deve accettare i prezzi e le tariffe fissate da monopoli multinazionali o da monopoli locali ammanicati con la casta politica. Deve accettare senza discutere che lo Stato, pur potendo investire e rilanciare l’economia e l’occupazione, scelga piuttosto di lasciare milioni e milioni di persone senza lavoro e nella miseria, nonché senza servizi pubblici decenti, per rispettare i parametri astratti e senza alcuna utilità verificabile, o addirittura dannosi. Deve accettare che i suoi risparmi, sia in valori finanziari che in beni immobili, siano posti in line e gli vengano gradualmente sottratti con le tasse, le bolle, i bail-in, e che non gli rendano più niente, e che i rendimenti siano solo per i grandissimi capitali, quelli di coloro che comandano la società, e che si muovono in circuiti finanziari off shore dove non si pagano le tasse.In fatto di ordine pubblico, deve accettare che la sicurezza sia garantita in misura limitata e in modo pressoché occasionale, che molti delitti e traffici criminali si svolgano in modo tollerato, che molti malfattori non vengono perseguiti o vengano subito rilasciati. Deve rinunciare ad essere tranquillo e padrone sul suo territorio. Deve rinunciare ad avere un territorio suo proprio. Deve inoltre abituarsi a non considerarsi portatore di diritti inalienabili e propri di cittadino, in quanto vede gli immigrati anche clandestini preferiti a lui nei servizi sanitari, nell’edilizia popolare, nell’assistenza pubblica in generale, e protetti quando commettono abitualmente reati. Deve capire che è lo Stato, dall’alto e insindacabilmente, a dare e togliere diritti, a stabilire chi ha diritti, chi non ne ha, chi ne ha di più, chi ne ha di meno. Deve accettare come giusti, normali, inevitabili nonché benefici, i flussi di immigrazione massicci che stravolgono la composizione etnica e culturale del suo ambiente sociale.Deve accettare la fine delle comunità e delle formazioni intermedie, perché tutti gli umani, indistintamente, sono resi per legge e per prassi amministrativa omogenei, equivalenti, monadi solitarie e senza volto davanti allo schermo, al fisco, agli strumenti di monitoraggio e, se necessario, ai droni. Deve accettare la fine delle identità e dei ruoli naturali: fine della famiglia naturale in favore di quella Fai Da Te, fine della differenziazione tra i sessi in favore della scambiabilità del gender, fine della nazione come comunità storica etico culturale in favore del villaggio globale omogeneizzato, fine delle democrazie parlamentari nazionali sovrane in favore di un senato mondialista, bancario e massonico. Deve imparare che il suo ruolo è la passività obbediente, che non ci sono alternative; e a rifiutare come populista, infantile, fascista, comunista, retrivo qualsiasi pensiero strutturalmente critico verso questo nuovo ordine di cose.(Marco Della Luna, “Pedagogia della crisi continua”, dal blog di Della Luna del 26 maggio 2015).La lunga crisi economica, e non solo economica ma anche sociale, costituzionale, morale, culturale, sta letteralmente rieducando i popoli: questa è la riforma delle riforme. Insegna loro una lezione importante e penetrante. L’uomo impara ad interiorizzare una diversa e molto più modesta e docile concezione di se stesso, dei suoi diritti fondamentali, delle sue prospettive esistenziali. Taglia pretese e aspettative. Accetta ciò che viene. Si rassegna. La crisi prevedibilmente verrà portata avanti, con gli strumenti di destabilizzazione descritti nei miei precedenti articoli (“Comunitarismo e Realismo”, “Questa non è una Crisi Economica”), finché questa lezione non sarà stata assimilata e finché la precedente maniera di considerare il mondo, la società, i diritti dell’uomo, non sarà stata dimenticata o perlomeno “sovrascritta” da una nuova coscienza, imperniata sugli elementi seguenti. Il rating delle agenzie finanziarie e le variabili “necessità” del mercato sono la fonte normativa suprema, superiore ai principi costituzionali e prevalgono su di essi; lo Stato di diritto e garanzia è finito. Conseguentemente, i diritti di partecipazione democratica e di rappresentanza del cittadino sono condizionati e comprimibili.
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Podemos e la resa di Draghi, sta iniziando la fine dell’Ue?
Nella settimana scorsa ci sono state quattro notizie che hanno rivelato quanto sia profonda la crisi della Ue: la dichiarazione di Draghi “l’Euro non è più scontato”; la vittoria di “Podemos” in Spagna; la vittoria dei nazionalisti in Polonia; l’altalena del default greco. Iniziamo dalla prima: Draghi dice che se la tendenza a divaricare dei paesi dell’Eurozona dovesse proseguire, l’euro non sarebbe più sostenibile, non solo economicamente, ma anche politicamente e socialmente. Ma no!? Ma non mi dire! Chi lo avrebbe mai detto?! Insomma, l’euro è una architettura che non può resistere ancora a lungo alle tendenze divaricanti dell’Europa, e si approssima il momento dei conti. Ovviamente la ricetta di Draghi è la più scontata: armonizzare con le riforme la struttura sociale dei paesi dell’Unione, dove per riforme si intende essenzialmente il taglio delle pensioni, il peggioramento delle prestazioni sociali (sanità, istruzione) e la fine tendenziale della loro gratuità o del loro prezzo politico. Però… mai che si parli di armonizzare le norme fiscali …chissà perché?!Ovviamente la notizia non è quel che dice Draghi, che a questo punto è una banalità, ma che a dirlo sia lui, il gran sacerdote dell’euro. Significa che anche ai piani alti del Palazzo si iniziano a sentire gli scricchiolii della costruzione e si inizia ad ammettere che tutto possa crollare. In effetti le due notizie di Spagna e Polonia dicono proprio questo: che, se il fine dell’euro era la convergenza delle economie europee, l’operazione è fallita ed iniziano ad esserci i contraccolpi politici. Si badi che i due risultati contemporanei di Madrid e di Varsavia non delineano affatto una tendenza omogenea: hanno in comune il malessere nei confronti di questa costruzione tecnocratica e antipopolare che è la Ue, ma poi prendono strade a loro volta divaricanti, in base alla diversa posizione economico finanziaria del paese. L’ordine neoliberista, di cui la velleitaria costruzione europea è espressione nel nostro continente, si è imposto come unico assetto legittimo dei poteri, si è espresso nella dittatura del pensiero unico, ma questo ha finito per precludere la strada ad ogni ricambio interno: è la dittatura dell’esistente, che non immagina altro ordine possibile diverso da sé.Ma questo provoca a sua volta una regressione del pensiero politico che impedisce ogni ricambio di élite. Resta la protesta, ma questo non vuol dire che sia pronta una ipotesi di ricambio. Vedremo se “Podemos” saprà esprimere una progettualità più matura e capace di porsi come alternativa di sistema (ce lo auguriamo, ma abbiamo diversi dubbi). Sin qui, M5S e movimenti similari minori non sono andati molto al di là della protesta e non hanno fatto molti passi avanti sul piano del progetto. Anche Syriza, alla prova del governo, non sta fornendo una prestazione smagliante e sta, man mano, mostrando tutti i limiti della sua impostazione moderata. Questo ci porta al nodo del debito greco. Dopo molti giorni di annuncio della impossibilità di pagare la rata del debito con il Fmi, che aveva iniziato a far ballare le borse europee, di colpo sembra che, anche questa volta, Atene abbia trovato i soldi per magia e pagherà. Il che, di nuovo, fa sorgere molti dubbi sull’origine di questo denaro: hanno rotto un nuovo salvadanaio? O c’è la mano discreta di qualcuno che opera con criteri politici ed è in attesa di qualcosa? (mi piacerebbe sapere che ne pensa Lamberto Aliberti…).Quello che è difficile da credere è che ce la possano fare tassando i prelievi bancomat, a meno di non trattenere percentuali altissime di essi: se fosse stato così semplice, perché mai non farlo subito? Ma, lasciando da parte l’origine di questi capitali freschi, notiamo che questo è il modo scientifico di diventare “a Dio spiacenti ed ai nemici sui”. La finanza internazionale avrebbe ragione di non prendere più sul serio i “penultimatum” ateniesi che dicono sempre che è l’ultima volta che si paga e poi pagano regolarmente. Però facendo ogni volta una manfrina che manda in tensione le borse. Insomma: “Se i soldi per pagare li hai, paga e non fare storie”. Dal loro punto di vista, i signori della finanza non hanno tutti i torti. E, quindi, la prossima volta nessuno prenderà sul serio l’annuncio di mancato pagamento. Tsipras somiglia molto a Renzi: soffre di annuncite. Però il governo di Syriza diventa spiacente anche al suo popolo, perché a parole promette di metter fine all’austerità, poi fa un po’ di storie, ma alla fine paga, varando nuove misure di auterity. Cosa è il prelievo sui bancomat se non una nuova tassa indiretta? Magari non basterà neppure a pagare la rata in scadenza e dietro c’è altro, ma i cittadini percepiscono un nuovo taglio del loro reddito, per cui iniziano a pensare che, un po’ alla volta, Tsipras farà come chi lo ha proceduto ed accentuerà la linea dei “sacrifici”. Ma soprattutto: per quanto si può andare avanti con questi espedienti?Di rate in scadenza, pesanti quanto o più di questa, ce ne sono ancora e non poche. E la soluzione non può che essere o accettare in toto la linea di Berlino o dichiarare default una volta per tutte, apprestandosi ad uscire dall’euro. E la linea berlinese non prevede alcuna “happy end”: spremerà la Grecia sino all’ultima goccia di sangue, comprerà a prezzi di svendita ogni asset pubblico e poi butterà via la Grecia come un limone spremuto. Notiamo che della timida apertura tedesca di pagare, pur se sotto altro nome, i danni di guerra, già non si parla più. Per cui, rimandare il momento finale produce solo una emorragia di ricchezze della Grecia per poi ritrovarsi in condizioni ancora peggiori alla fine del gioco. L’altra strada è quella di dichiarare default (certamente non una misura indolore, ma meno dolorosa dell’altra e con qualche prospettiva di ripresa) e porre il problema di una uscita concordata dall’euro. E su questa strada arriveranno anche altri. La Ue e l’euro non hanno un futuro. Forse lo ha Berlino (e non è neppure sicuro che riesca) ma da sola o con pochi e scelti amici.(Aldo Giannuli, “Sta iniziando la fine della Ue?”, dal blog di Giannuli del 25 maggio 2015).Nella settimana scorsa ci sono state quattro notizie che hanno rivelato quanto sia profonda la crisi della Ue: la dichiarazione di Draghi “l’Euro non è più scontato”; la vittoria di “Podemos” in Spagna; la vittoria dei nazionalisti in Polonia; l’altalena del default greco. Iniziamo dalla prima: Draghi dice che se la tendenza a divaricare dei paesi dell’Eurozona dovesse proseguire, l’euro non sarebbe più sostenibile, non solo economicamente, ma anche politicamente e socialmente. Ma no!? Ma non mi dire! Chi lo avrebbe mai detto?! Insomma, l’euro è una architettura che non può resistere ancora a lungo alle tendenze divaricanti dell’Europa, e si approssima il momento dei conti. Ovviamente la ricetta di Draghi è la più scontata: armonizzare con le riforme la struttura sociale dei paesi dell’Unione, dove per riforme si intende essenzialmente il taglio delle pensioni, il peggioramento delle prestazioni sociali (sanità, istruzione) e la fine tendenziale della loro gratuità o del loro prezzo politico. Però… mai che si parli di armonizzare le norme fiscali …chissà perché?!
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Piano segreto Ue, prelievo forzoso dai nostri conti correnti
Un’euro-rapina sui conti correnti? Potrebbe accadere, e i poveri risparmiatori subirebbero una mazzata con pochi precedenti (tra i quali il prelievo forzoso notturno del 1992 effettuato dal governo Amato). E, soprattutto, è quello che teme il focoso europarlamentare leghista, Gianluca Buonanno, che ha presentato un’interrogazione scritta alla Commissione Ue e alla Bce per chiedere di confermare «l’esistenza di un piano di misure adottato nel luglio 2014» secondo il quale, come già sperimentato a Cipro, «sarebbe prevista l’imposizione di misure d’urgenza che consentirebbero il congelamento dei conti correnti bancari dei cittadini e delle imprese europee e il prelievo forzato delle somme ritenute necessarie a fronteggiare l’esposizione debitoria». Ma la domanda che pone Buonanno è anche un’altra: «La Bce ritiene che il rischio di default sia concreto a tal punto da permettere l’adozione di un tale piano?». La risposta non è semplice: anche se le crisi si presentano sempre in forme diverse, l’opera di prevenzione (anche se l’Ue ha raggiunto soglie maniaco-depressive) può rappresentare un aiuto.Tuttavia, quando si ascoltano le parole del capo economista di Standard & Poor’s, Jean-Michel Six, lo shock è fortissimo: «La ripresa economica ha perso molto slancio e, avvicinandoci al 2015, nell’Eurozona sono aumentati i rischi di una terza recessione dopo il 2009 e il 2011», ha detto. I quesiti aumentano. Perché il presidente della Bce, Mario Draghi, e soprattutto le istituzioni italiane – pubbliche e private – in questi mesi hanno messo l’accento sulla creazione di una bad bank, cioè di un ente che si faccia carico dei crediti deteriorati degli istituti (in Italia hanno superato i 180 miliardi) per ripulire i bilanci e consentire una migliore sopravvivenza del sistema? Perché la principale banca italiana, Intesa Sanpaolo, ha scaricato dal portafoglio 17 miliardi di Btp? Qui rispondere è più facile: hanno ripreso valore e ha guadagnato, la Bce li penalizza e, se la recessione proseguisse, meglio stare leggeri. Perché allora Buonanno lancia questo allarme?«Mi è stato detto da fonti interne alla Commissione che esiste un documento nel quale si specifica che il prelievo sui conti correnti potrebbe arrivare al 10% delle giacenze», racconta, sostenendo che «in ogni caso la Bce e la Commissione devono smentire se si tratta di una notizia falsa oppure confermarla». Vale la pena di raccontare la storia per intero. Sin dall’anno scorso in sede comunitaria è stato approvato un piano d’azione per la “risoluzione ordinata delle crisi bancarie”, contestuale alla nascita dell’Unione Bancaria. I pilastri sono due. Il primo è il “Single supervisory mechanism” (Ssm), ossia la vigilanza unificata della Bce sulle più importanti banche europee. È stato istituito un organismo, sono state scritte delle regole sui requisiti minimi di solidità patrimoniale e sono stati condotti gli stess-test che in Italia hanno bocciato Monte dei Paschi e Banca Carige.Il secondo pilastro è il “Single resolution mechanism” (Srm), ossia il dispositivo per i salvataggi in caso di crisi. La trattativa è stata complicatissima e si è conclusa solo nell’Ecofin di Lussemburgo dello scorso giugno. Come al solito ha vinto la Germania. È, infatti, passato il principio-guida del bail-in , cioè il salvataggio delle banche con mezzi propri. Se le cose vanno male, come accaduto a Cipro, pagano prima gli azionisti (con aumenti di capitale mostruosi) e poi gli obbligazionisti (con una rinegoziazione del debito). Se la situazione non migliorasse, sarebbero i correntisti con depositi oltre i 100.000 euro a rimetterci. È prevista, inoltre, l’istituzione di un fondo unico finanziato dagli Stati membri (che raggiungerà la dotazione di 55 miliardi nel 2024) per tamponare le eventuali carenze di liquidità. È chiaro che i prestiti del fondo andranno comunque restituiti dalle banche con le modalità sopra descritte. I piccoli risparmiatori che volessero chiudere i conti prima che la propria banca fallisca potrebbero dover aspettare almeno 15 giorni fino al 2018. E, comunque, i derivati non si toccano!(Gian Maria De Francesco, “Piano segreto dell’Europa, saccheggiare i nostri risparmi”, da “Il Giornale” del 14 novembre 2014).Un’euro-rapina sui conti correnti? Potrebbe accadere, e i poveri risparmiatori subirebbero una mazzata con pochi precedenti (tra i quali il prelievo forzoso notturno del 1992 effettuato dal governo Amato). E, soprattutto, è quello che teme il focoso europarlamentare leghista, Gianluca Buonanno, che ha presentato un’interrogazione scritta alla Commissione Ue e alla Bce per chiedere di confermare «l’esistenza di un piano di misure adottato nel luglio 2014» secondo il quale, come già sperimentato a Cipro, «sarebbe prevista l’imposizione di misure d’urgenza che consentirebbero il congelamento dei conti correnti bancari dei cittadini e delle imprese europee e il prelievo forzato delle somme ritenute necessarie a fronteggiare l’esposizione debitoria». Ma la domanda che pone Buonanno è anche un’altra: «La Bce ritiene che il rischio di default sia concreto a tal punto da permettere l’adozione di un tale piano?». La risposta non è semplice: anche se le crisi si presentano sempre in forme diverse, l’opera di prevenzione (anche se l’Ue ha raggiunto soglie maniaco-depressive) può rappresentare un aiuto.
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Sciopero sociale, liberare lo Stato dalla mafia neoliberista
I dati economici per l’Italia e le proiezioni degli organi specializzati non lasciano dubbi: la recessione continuerà, le riforme di Renzi faranno cilecca, la situazione a breve si farà pericolosa. Gli interessi costituiti, la casta europeista e austerofila, si attrezzano per fronteggiare una possibile situazione prerivoluzionaria mediante una riforma del Parlamento e della legge elettorale che metta tutto nelle mani dei segretari di pochi grandi partiti politici, e in particolare si consolida l’asse neoliberista Renzi-Berlusconi. Andiamo infatti verso uno scenario di fallimento delle promesse renziane, di forte peggioramento economico, di dirompenti tensioni sociali, con un Parlamento ultra-maggioritario neoliberista che assicurerà, sì, la maggioranza a un governo fedele al modello economico in via di costruzione, ma che non rappresenterà la popolazione, anzi sarà in palese contrapposizione agli interessi di questa, e dovrà ricorrere alla repressione, legittimandola con i numeri in aula e con l’appoggio dell’“Europa”, e alla bisogna perfezionandola con l’arrivo della Trojka e dell’Eurogendfor.L’etica finanziaria del rigore e della virtuosità, incarnata dall’Ue, è un’etica per i creditori renditieri, per gli usurai, per i produttori monopolisti di moneta e credito. Storicamente, l’inflazione del primo del secondo dopoguerra, assieme alle politiche di spesa pubblica a sostegno della crescita economica, alla forte crescita dei redditi nazionali e all’effetto redistributivo di questa combinazione, è ciò che aveva sostanzialmente ridotto i loro privilegi economici. Essi ora si prendono la rivincita imponendo un modello che antepone a tutto la salvaguardia delle rendite anzi la loro rivincita, attraverso l’imposizione di condizioni opposte a quelle del secondo dopoguerra, cioè stagnazione, spostamento di ampie quote dei redditi dal lavoro alle rendite, concentrazione dei redditi e dei capitali nelle mani di cerchie sempre più ristrette, crescita della quota della spesa pubblica che i paesi subalterni, come l’Italia, devono destinare al pagamento degli interessi sul loro debito pubblico.La popolazione generale viene posta dai mass media e dalle istituzioni in condizione di conoscere solo la vulgata economica sottesa a questo modello economico e di dimenticare, in quanto ai meno giovani, e di non apprendere, in quanto ai meno vecchi, che è possibile, è esistito e ha funzionato un modello economico diverso, in cui il denaro veniva prodotto e speso per assicurare occupazione e sviluppo, in cui le banche centrali assicuravano l’acquisto dei titoli pubblici a un tasso sostenibile escludendo la possibilità di default, e che in questo modello i disavanzi interni ed esteri nonché i debiti pubblici erano molto più sostenibili di quanto lo sono ora nel sistema della virtuosità per usurai, sicché i governi e i parlamenti avevano la capacità di elaborare e decidere politiche economiche e sociali anziché farsele dettare dai mercati. E le persone avevano la possibilità di fare programmi di vita – cosa che in fondo è lo scopo non solo dell’economia ma della stessa esistenza dello Stato.La popolazione generale italiana, se tiene la testa dentro alla “realtà” che le è permesso conoscere, cioè dentro il predetto modello di economia virtuosa per usurari e renditieri marca Maastricht, può davvero pensare che il rimedio alle sofferenze che sta vivendo consista nel rinegoziare i parametri per spuntare qualche punto percentuale di flessibilità, di spesa a deficit in più, come promettono vari statisti-contaballe, oppure l’immissione di qualche centinaia di miliardi da parte della Bce che, come in passato, finirebbero alle banche per chiudere i loro buchi sommersi o per gonfiare nuove bolle speculativa, come sempre avvenuto durante questa “crisi”. L’unico rimedio effettivo sarebbe la sostituzione di quel modello con altri, che ho descritto anche in questo blog.Un’opposizione sociale vera e realistica dovrebbe puntare apertamente a questo rovesciamento di modello, non a negoziati per ottenere qualche concessione. che per forza di cose sarebbe presto revocata. E dovrebbe lottare con la coscienza che i tagli di salari, occupazione, garanzie, servizi sono stati intenzionalmente introdotti dalle istituzioni nazionali e sovranazionali come strumento per garantire e rafforzare le posizioni di una classe di renditieri finanziari, di monopolisti del credito; e che quindi si tratta di fare, con i mezzi necessari, se disponibili, una lotta di classe diretta a rovesciare un ordinamento economico-giuridico e a riprendersi i poteri pubblici, governativi, istituzionali, togliendoli a un preciso avversario di classe, per darli alla generalità dei cittadini. È probabile che la rottura dell’equilibrio, dell’omeostasi di questo attuale sistema, sia alle porte, determinata dalla continua contrazione del reddito nazionale, che rende insostenibile il servizio dei debiti pubblici e privati, quindi tende a far saltare il sistema bancario.Se a questo punto i poteri forti decidono di mettere le mani nei conti correnti della gente e confiscare il risparmio per puntellare le banche e i conti pubblici, questa può essere la scintilla che coalizza le forze euro-scettiche e trasforma gli “scioperi sociali” della Fiom (novembre 2014), e in cui già si nota il ritorno di una coscienza e di una rabbia di classe, in un’attuazione di reale sovranità popolare di contro alla irreale rappresentanza di un Parlamento di nominati e ultramaggioritario. Anche perché tale opzione di bail-in a carico dei risparmiatori farebbe capire a molti che il sistema di governance globale creato intorno al Fmi, alla Fed, alla Bce, al Mes, alla Banca dei Regolamenti internazionali, alla Commissione, ha proprio la funzione di scaricare su lavoratori, pensionati, risparmiatori, cittadini, i danni causati dalle attività di azzardo e dalle truffe finanziarie di quella stessa classe internazionale che dirige le predette istituzioni sovranazionali. Un simile rovesciamento dal basso del modello socioeconomico non è possibile su scala nazionale, bensì solo su scala almeno continentale. Ed è improbabile che parta dagli italiani, che sono storicamente incapaci di simili imprese.(Marco Della Luna, “Sciopero sociale e rovesciamento del modello neoliberista”, dal blog di Della Luna del 16 novembre 2014).I dati economici per l’Italia e le proiezioni degli organi specializzati non lasciano dubbi: la recessione continuerà, le riforme di Renzi faranno cilecca, la situazione a breve si farà pericolosa. Gli interessi costituiti, la casta europeista e austerofila, si attrezzano per fronteggiare una possibile situazione prerivoluzionaria mediante una riforma del Parlamento e della legge elettorale che metta tutto nelle mani dei segretari di pochi grandi partiti politici, e in particolare si consolida l’asse neoliberista Renzi-Berlusconi. Andiamo infatti verso uno scenario di fallimento delle promesse renziane, di forte peggioramento economico, di dirompenti tensioni sociali, con un Parlamento ultra-maggioritario neoliberista che assicurerà, sì, la maggioranza a un governo fedele al modello economico in via di costruzione, ma che non rappresenterà la popolazione, anzi sarà in palese contrapposizione agli interessi di questa, e dovrà ricorrere alla repressione, legittimandola con i numeri in aula e con l’appoggio dell’“Europa”, e alla bisogna perfezionandola con l’arrivo della Trojka e dell’Eurogendfor.
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Se arriva la Troika: prepariamoci alla fine dell’Italia
C’è gente in Italia che si augura che arrivi. La Troika, s’intende, ovvero la struttura mista Commissione Ue, Bce e Fondo Monetario Internazionale che, in cambio di prestiti, impone ai governi la sua ricetta politica. Eugenio Scalfari l’ha persino scritto in una delle sue omelie domenicali. Matteo Renzi, ogni volta che gli capita, dice che non succederà, eppure un certo umore circola in giro: le banche d’affari invitano a non comprare italiano, il Pil cala, “Moody’s” vede nero, Mario Draghi chiede “cessioni di sovranità”. Non siamo ancora all’estate 2011, quando la Troika s’affacciò per la prima volta da noi, ma anche allora le cose precipitarono assai in fretta: ad aprile lo spread era 122 punti, più basso di adesso, ad agosto 400, a novembre 552 e i rendimenti sui Btp decennali oltre il 7%. Al tempo arrivò Mario Monti, stavolta il commissariamento sarebbe completo.Non è che la Troika si presenti così e suoni al palazzo del governo: arriva su invito, a seguito di eventi che sono quasi sempre identici. Funziona così. Il paese X, per qualche motivo, comincia ad avere difficoltà a finanziarsi sul mercato: gli investitori chiedono interessi troppo alti. È qui, quando il paese X teme di non poter pagare stipendi e pensioni, che arriva la Troika proponendo un bel prestito e sostenendo che il problema è il debito pubblico. Per avere i soldi, però, bisogna firmare un bel “Memorandum”, una lista assai nutrita di cose da fare. La ricetta è sempre la stessa per tutti i paesi: tagli di spesa pubblica, stipendi e pensioni; licenziamenti nel settore statale; aumenti di tasse; privatizzazioni e liberalizzazioni selvagge (servizi pubblici in primis); riforme del mercato del lavoro (libertà di licenziare). Al termine della “cura” – aiutata da cospicue pressioni sull’opinione pubblica – il paziente è più malato di prima, il welfare e i beni pubblici un ricordo.In sostanza, e per paradosso, l’arrivo della Troika europea coincide con la distruzione del modello sociale europeo. Non solo: i debiti pubblici – causa di ogni male – aumentano in maniera esponenziale. Non c’è da sorprendersi: il fine non è comprimere il debito dello Stato, ma quello estero, bloccando le importazioni attraverso un taglio dei redditi disponibili. È in questo modo che i creditori (spesso banche del Nord) rientrano dei soldi prestati negli anni di vacche grasse. In principio fu la Grecia: un debutto, e neanche troppo felice. Ad aprile 2010 il debito pubblico greco è ormai classificato “spazzatura” dalle agenzie di rating: la Germania aveva nel frattempo fatto sapere che i debiti dei singoli paesi dell’Eurozona non sono garantiti dalla Bce. È a quel punto che arriva la Troika con la sua borsa: promette un prestito da 110 miliardi, poi divenuti oltre 300 negli anni. Piccola notazione: i soldi non sono gratis – e nemmeno prestati all’1% come la Bce fece coi mille miliardi dati alle banche – ma concessi al ragguardevole interesse del 5,5%. In cambio, la Troika ha preteso tagli strutturali per 30 miliardi di euro a regime. Per capirci: il Pil greco ammonta a 180 miliardi, quindi è come se all’Italia chiedessero una manovra da 250 miliardi.Atene procede a rilento, ma comunque ha già licenziato 8.500 statali e altri 6.500 seguiranno entro quest’anno (alla fine saranno 30.000 su 750.000 totali). La tv pubblica è stata chiusa dalla sera alla mattina, la rete degli ambulatori specialistici pure; scuola, università e ospedali sono stati falcidiati. L’ultimo Memorandum, questa primavera, ha imposto alla Grecia di vendersi pure le spiagge (110 per la precisione) e un piano di privatizzazioni capillari da qui al 2020. La Troika, peraltro, non si occupa solo di spesa pubblica, ma di ogni aspetto della vita economica: pretende, per dire, che la Grecia cambi le leggi su come si pastorizza il latte (a vantaggio delle multinazionali). I risultati, però, non sono brillanti: quest’anno se n’è accorto persino l’Europarlamento. Il reddito disponibile delle famiglie dal 2009 è diminuito del 40%, gli stipendi del 34%, servizi e benefit sociali del 26%. La disoccupazione era al 9% cinque anni fa e ora supera il 27%, il Pil s’è ridotto di un quarto. Pure i conti pubblici, ovviamente, non migliorano: il rapporto deficit-Pil nel 2013 era al 12,7%, il debito pubblico al 175% (dal 129% del 2009).Il secondo paese a essere curato dalla Troika è stato l’Irlanda, messa nei guai a fine 2010 dal fallimento del suo sistema bancario e costretta a chiedere un prestito di 78 miliardi di euro. La struttura economica dell’Irlanda (un sistema basato sul esportazioni, tassazione irrisoria e poco welfare) sembrava fatta apposta per applicare i diktat dei Memorandum, eppure “l’allievo modello” non se la passa così bene come si vorrebbe far credere: dopo una sostanziosa sforbiciata dei salari e manovre per il 19% del Pil, il debito pubblico – che nel 2008 era solo al 44% del Pil – oggi sfora il 125%. E ancora: la crescita degli ultimi due anni è stata solo dello 0,2% nonostante la spinta di un deficit che l’anno scorso s’è attestato al 7,6%. Il valore degli immobili è il 57% in meno rispetto a cinque anni fa, il debito delle famiglie il 200% del reddito. La disoccupazione nel 2013 è passata dal 14,5 al 12,6%, ma il calo è dovuto in larga parte all’emigrazione (lo stesso discorso vale per Spagna, Portogallo e Grecia).Il Consiglio d’Europa, infine, ha denunciato che l’Irlanda non offre garanzie minime per malattia, disoccupazione, sopravvivenza, infortuni sul lavoro e benefici di invalidità. Sarà per questo che – a dicembre 2013 – quando Fmi, Bce e Ue hanno proposto all’Irlanda un nuovo prestito – il governo di Dublino ha risposto subito: “No, grazie”. In realtà, i funzionari della Troika continueranno a fare ispezioni biennali fino al 2031. Sei anni in meno di quel che toccano al Portogallo, uscito anche lui formalmente dall’ombrello della Troika nel dicembre scorso. Il panorama è lo stesso degli esempi precedenti: dopo tre anni di “cura” 1,9 milioni di persone (il 18% circa della popolazione) vivono sotto la soglia di povertà e i conti pubblici sono un disastro. Una vicenda simbolica: il governo di Lisbona, per realizzare le richieste dei Memorandum, voleva vendersi 85 quadri di Joan Mirò all’asta (ma un giudice, per ora, ha bloccato tutto). Va citato, infine, almeno il caso di Cipro, dove per la prima volta è stato applicato il principio, ora comunitario, che i fallimenti bancari li pagano anche i correntisti. Esagera, Bruno Amoroso, del centro studi Federico Caffè, quando li chiama “i sicari dell’economia”?(Marco Palombi, “Ecco come la triade Bce-Fmi-Ue potrebbe commissariare l’Italia e cosa ci sarebbe da aspettarsi”, da “Il Fatto Quotidiano” del 13 agosto 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”).C’è gente in Italia che si augura che arrivi. La Troika, s’intende, ovvero la struttura mista Commissione Ue, Bce e Fondo Monetario Internazionale che, in cambio di prestiti, impone ai governi la sua ricetta politica. Eugenio Scalfari l’ha persino scritto in una delle sue omelie domenicali. Matteo Renzi, ogni volta che gli capita, dice che non succederà, eppure un certo umore circola in giro: le banche d’affari invitano a non comprare italiano, il Pil cala, “Moody’s” vede nero, Mario Draghi chiede “cessioni di sovranità”. Non siamo ancora all’estate 2011, quando la Troika s’affacciò per la prima volta da noi, ma anche allora le cose precipitarono assai in fretta: ad aprile lo spread era 122 punti, più basso di adesso, ad agosto 400, a novembre 552 e i rendimenti sui Btp decennali oltre il 7%. Al tempo arrivò Mario Monti, stavolta il commissariamento sarebbe completo.
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Eutanasia dell’Italia, aspettando l’inferno della Troika
Verrà la Troika e avrà i miei occhi, sembra dire Eugenio Scalfari, che forse trascura l’ultima tragica battuta del “Tamburo di latta”, memorabile film sulla Germania nazista: eravamo un popolo di ingenui, credevamo fosse Babbo Natale e invece quello che bussava alla porta era l’Uomo del Gas. La Troika, peggio dell’orco delle fiabe nere: il braccio armato dell’élite tecno-finanziaria che sta scassinando gli Stati europei riducendoli in miseria e portandogli via tutto. Più che fantascienza, un film dell’orrore. Tutto avviene nella quasi-indifferenza generale. Le televisioni, 24 ore su 24, propongono l’anonimo volto del carneade Renzi, la sua predicazione imbarazzante a cui – questa la notizia – ha creduto, forse per disperazione, il 40% dei votanti alle ultime europee. Lo stellone italiano, Babbo Natale. Ma a bussare alla porta, avverte Ferruccio De Bortoli, sarà proprio lui, l’Uomo del Gas. L’avrebbe confidato ad amici, hanno scritto. Manovra lacrime e sangue in autunno, con prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani. Poi, comunque, arriverà la falce della Troika: l’Italia sarà commissariata come la Grecia.Un incubo, annacquato ogni giorno da polemiche minute – la distriba sugli 80 euro, le schermaglie parlamentari – mentre il paese affonda ogni giorno di più. E il peggio è che affonda senza neppure l’onore di una diagnosi con dignità politica, con piena cittadinanza in Parlamento. L’Italia, dicono ormai tutti gli analisti economici indipendenti, sta morendo per un motivo elementare: qualcuno, tra Berlino e Bruxelles, ha deciso di assassinarla. L’arma letale si chiama euro, il killer che la impugna si chiama Troika. Ogni possibile restrizione di bilancio – il pareggio obbligatorio, il tetto del 3%, il Fiscal Compact, la mannaia sulla spesa pubblica vitale – è direttamente riconducibile all’euro. Altre spiegazioni non reggono, eppure c’è ancora chi si attarda in chiacchiere su mafia e corruzione, evasione fiscale e auto blu. Se anche suonassero le sirene antiaeree, nessuno le sentirebbe. Non una sola formazione politica è stata capace di organizzare un fronte culturale, una mobilitazione trasversale, nonostante l’emergere ormai dilagante – non nel mainstream, però, ma solo nelle catacombe del web e nelle assemblee porta a porta – di voci autorevoli di esperti, economisti, ex ministri, intellettuali ed ex dirigenti dello Stato, tutti a dire che l’Eurozona è semplicemente demenziale, criminale, insostenibile. E non è stato un incidente, ma un disegno.Scalfari addirittura la invoca, la Troika, confermando – involontariamente – l’allarme lanciato da De Bortoli, che ha già concordato l’abbandono della direzione del “Corriere della Sera”. Renzi, dal canto suo, sembra in gara col Mostro: taglia il Senato, amputa la democrazia elettorale, predispone la più colossale privatizzazione della storia italiana. Forse, semplicemente, tenta di convincere il Mostro a tenersi lontano dall’Italia: se saranno gli italiani a suicidarsi da soli, forse sarà meno doloroso. Siamo a questo? Letture critiche si intrecciano un po’ ovunque, sui blog. L’ok al mostruoso Juncker? Un boccone alla belva Merkel, per tenerla buona. La battaglia europea per la Mogherini, ben relazionata con Kerry? Un messaggio: confidiamo nella protezione americana contro gli abusi disumani dell’asse franco-tedesco. Realpolitik compensativa: silenzio sulla macelleria di Gaza e su quella in Ucraina progettata da Obama, e avanti tutta con l’adesione al Ttip, il Trattato Transatlantico, negoziato in segreto, che potrebbe segnare la fine del made in Italy. «Renzi è la rovina dell’Italia», avrebbe detto De Bortoli. Senza spiegare, peraltro, chi ne sarebbe la salvezza.Verrà la Troika e avrà i miei occhi, sembra dire Eugenio Scalfari, che forse trascura l’ultima tragica battuta del “Tamburo di latta”, memorabile pellicola sulla Germania nazista: eravamo un popolo di ingenui, credevamo fosse Babbo Natale e invece quello che bussava alla porta era l’Uomo del Gas. La Troika, peggio dell’orco delle fiabe nere: il braccio armato dell’élite tecno-finanziaria che sta scassinando gli Stati europei riducendoli in miseria e portandogli via tutto. Più che fantascienza, un film dell’orrore. Tutto avviene nella quasi-indifferenza generale. Le televisioni, 24 ore su 24, propongono l’anonimo volto del carneade Renzi, la sua predicazione imbarazzante a cui – questa la notizia – ha creduto, forse per disperazione, il 40% dei votanti alle ultime europee. Lo stellone italiano, Babbo Natale. Ma a bussare alla porta, avverte Ferruccio De Bortoli, sarà proprio lui, l’Uomo del Gas. L’avrebbe confidato ad amici, hanno scritto. Manovra lacrime e sangue in autunno, con prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani. Poi, comunque, arriverà la falce della Troika: l’Italia sarà commissariata come la Grecia.