Archivio del Tag ‘reazionari’
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Smith: verso la legge marziale in Inghilterra, usando l’Isis
«Temo che il Regno Unito finirà sotto legge marziale entro un anno: a meno che la gente non faccia qualcosa adesso, cadranno in un regime totalitario». Lo sostiene un analista indipendente come Brandon Smith, secondo cui «a lungo termine, aiuteranno solo quei globalisti che il movimento Brexit in particolare ha cercato di combattere: lo faranno calpestando l’immagine del nazionalismo e della sovranità usando la filosofia della sicurezza fornita dal governo», in modo da rendere il globalismo «piacevole e tollerabile». Questo, secondo Smith, il possibile esito degli attentati targati Isis che stanno martellando la Gran Bretagna, tutti messi a segno grazie ad anomale distrazioni delle forze di sicurezza e – dopo l’iniziale emozione – archiviati in fretta. «La ripetizione di tali attacchi sta assuefacendo il pubblico, quello europeo in particolare: non è raro ora che gli attacchi vengano dimenticati in una settimana». La grande paura tra gli europei “liberali”, scrive Smith, è un ritorno al fervore nazionalista, che loro credono abbia generato l’ascesa del Terzo Reich: ignorano «il coinvolgimento dell’élite “corporate” e bancaria nel finanziamento e nella fornitura di tecnologia vitale ai nazisti prima e durante la Seconda Guerra Mondiale».Questa manipolazione sui veri retroscena del nazismo ha reso l’Europa vulnerabile, permettendo ai globalisti di portare a forza milioni di immigrati musulmani in Ue, attraverso politiche di frontiera aperta, senza adeguate procedure di verifica. E nessuno ha fiatato, temendo di essere tacciato di “fascismo”, scrive Smith in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. «La più grande minaccia non è solo il condizionamento della popolazione ad accettare l’invasione culturale, bensì ciò che inevitabilmente accadrà tra poco: l’apatia di una nazione sulla scia della prossima legge marziale». In risposta agli attentati-kamikaze dell’Isis, Theresa May ha dichiarato di “averne abbastanza”, e ha chiesto una revisione della strategia antiterroristica: la polizia di Londra è stata invitata ad adattarsi alle nuove condizioni, pattugliando le strade fortemente armata e usando elicotteri di sorveglianza con l’aiuto di unità speciali. «Dovremmo fare ancor di più per limitare la libertà e i movimenti dei sospetti terroristi». Noto teorema: meno libertà, più sicurezza. E cioè: esattamente quello che vorrebbe l’Isis, se fosse un soggetto autonomo, anziché una semplice pedina della strategia della tensione.Lo spiegamento di oltre 5.000 soldati britannici in posizioni strategiche, aggiunge Smith, fa parte di un piano del 2015 chiamato “Operation Temperer”: prevede la diffusione di truppe in risposta a “forti minacce terroristiche”. «In sostanza, è un programma di legge marziale che agisce in modo incrementale, piuttosto che apertamente. Una volta implementata, “Temperer” sarà difficile da invertire. Come i capi militari britannici hanno avvisato quando l’operazione è stata esposta pubblicamente, le truppe non verrebbero messe a riposo fino a che la minaccia terroristica non verrà “ridotta”, lasciando la definizione del “livello di minaccia” aperta ad un’interpretazione piuttosto ampia». L’operazione “Temperer” è oggi in pieno svolgimento, dato che i servizi di polizia richiedono aiuto militare. E’ già legge marziale? «Non proprio, ma ci va molto vicino», dice Smith. «Questo è il modo in cui la tirannia viene comunemente implementata; non tutta in una volta, ma un mattoncino alla volta». La May ha introdotto queste misure dopo l’attentato di Manchester, senza però riuscire a impedire l’ultimo attacco a Londra. Elezioni ed equivoco Brexit: al posto dello slancio sovranista subentra un esperimento ultraliberista, reazionario e securitario?«E’ tutto parte del piano», scrive Smith, secondo cui «stiamo forse assistendo alla più grande “psy-op” di quarta generazione nella storia». Ovvero: «I globalisti hanno deliberatamente modificato le condizioni: le nazioni, quelle europee in particolare, o verranno travolte da un’ideologia straniera, senza essere protette dai propri governi, o dovranno rispondere con difficili contromisure. Vale a dire, gli europei dovranno fare una falsa scelta tra il multiculturalismo o vivere sotto legge marziale». La Brexit e Trump sono stati “concessi”. Ma, «nonostante le illusioni di alcuni nel movimento libertario, il “Deep State” è perfettamente posizionato per approfittare di entrambi gli eventi. Non si sono opposti affatto. Perché? Perché vogliono distruggere il nazionalismo, pensano a lungo termine. E il Regno Unito sembra essere in prima fila». Gli attacchi terroristici stanno aumentando, la soluzione che presenteranno sarà «ancor più esercito, non meno», fino alla legge marziale permanente: «Il governo potrebbe non definirla apertamente così, ma è quello che sarà». Avverte Smith: «Guardate le scelte concesse al popolo britannico: accettare il multiculturalismo senza domande o avere una Stato di polizia sacrificando la libertà personale».«Temo che il Regno Unito finirà sotto legge marziale entro un anno: a meno che la gente non faccia qualcosa adesso, cadranno in un regime totalitario». Lo sostiene un analista indipendente come Brandon Smith, secondo cui «a lungo termine, aiuteranno solo quei globalisti che il movimento Brexit in particolare ha cercato di combattere: lo faranno calpestando l’immagine del nazionalismo e della sovranità usando la filosofia della sicurezza fornita dal governo», in modo da rendere il globalismo «piacevole e tollerabile». Questo, secondo Smith, il possibile esito degli attentati targati Isis che stanno martellando la Gran Bretagna, tutti messi a segno grazie ad anomale distrazioni delle forze di sicurezza e – dopo l’iniziale emozione – archiviati in fretta. «La ripetizione di tali attacchi sta assuefacendo il pubblico, quello europeo in particolare: non è raro ora che gli attacchi vengano dimenticati in una settimana». La grande paura tra gli europei “liberali”, scrive Smith, è un ritorno al fervore nazionalista, che loro credono abbia generato l’ascesa del Terzo Reich: ignorano «il coinvolgimento dell’élite “corporate” e bancaria nel finanziamento e nella fornitura di tecnologia vitale ai nazisti prima e durante la Seconda Guerra Mondiale».
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Summa Symbolica: finalmente svelato il segreto dei simboli
«Vi siete mai chiesti perché l’acqua delle nostre fontane esce così spesso dalla bocca di un leone?». Il re della savana non è certo un animale acquatico. Eppure è associato, da sempre, alla sorgente d’acqua. Per quale motivo? E’ vero, non ce lo siamo domandato. «Infatti, non siamo più abituati al “pensiero simbolico”, cioè il pensiero contenuto nei simboli, che ci spinge a chiederci sempre il perché delle cose, che in prima battuta non capiamo». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo con alle spalle trent’anni di appassionati studi. Tutto si aspettava, l’autore, tranne che vedere la sua ultima fatica, “Summa Symbolica”, schizzare in alto nelle classifiche librarie online: è il primo trattato divulgativo interamente dedicato a svelare il grande “segreto” dei codici simbolici che, in fondo, affollano la nostra vita quotidiana, con i loro “perché” a cui non facciamo caso. Il leone e l’acqua? «Qual è la città più acquatica d’Italia?». Venezia, ovviamente. «E qual è il simbolo araldico di Venezia? Il leone alato di San Marco, l’evangelista rappresentato appunto dal leone». Da Venezia al Nilo: «Gli egizi scolpirono teste di leone sulle chiuse in pietra che regimavano le acque del fiume durante la piena, quando nel cielo dell’Egitto campeggiava la costellazione del Leone». Il che rimanda a un archetipo ancestrale: il Diluvio. Simboli, che hanno viaggiato in incognito fino a noi, per raccontarci – a modo loro – la parte nascosta della nostra storia, la meta-storia dell’umanità.Autore di romanzi ermetico-esoterici come “Il volo del Pellicano”, “Labirinti” e (di prossima pubblicazione) “Il Re cristiano”, Carpeoro – al secolo Gianfranco Pecoraro, avvocato e già pubblicitario, saggista, musicologo, direttore di riviste – nel 2016 ha pubblicato per “Revoluzioni” il dirompente saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che svela il contesto simbolico destinato a “firmare” i peggiori attentati che hanno recentemente insanguinato l’Europa, dietro il paravento di sigle come l’Isis. Attentati che, per l’autore, sono opera della “sovragestione” dell’Occidente, un vertice occulto che mette insieme settori dell’élite politico-economica e apparati di intelligence al servizio dell’oligarchia reazionaria. Retroterra comune: il codice simbolico adottato dalla massoneria, «ormai quasi interamente infiltrata e corrotta dal potere, il cui linguaggio è quello del “pensiero magico”, cioè l’opposto del “pensiero simbolico”». Traduzione: «Il potere ha organizzato una sorta di deriva “magica” della conoscenza, in tutti i campi, introducendo il dogma». Tema sul quale Carpeoro ha spesso insistito, in seminari e conferenze, nonché nelle video-chat “Carpeoro Racconta”, su YouTube, la domenica mattina con Fabio Frabetti della trasmissione web-radio “Border Nights”.Pensiero magico e pensiero simbolico, dicotomia decisiva per il nostro destino: «Se ci piace una ragazza, andiamo dal “mago” a chiedere come potrebbe accorgersi di noi, anziché chiedere – innanzitutto a noi stessi – perché mai quella ragazza dovrebbe innamorarsi di noi». Così per tutto: «Se siamo malati ricorriamo al medico, ma finchè siamo sani preferiamo la cartomante». Per Carpeoro, il “pensiero magico” – funzionale al potere – ha scalzato il “pensiero simbolico”, condizionando negativamente l’evoluzione dell’umanità: «Finiamo per essere tutti prigionieri di “cerchi magici”, nei quali non valgono le regole della vita, della realtà, ma quelle del “mago” di turno: fattucchiera, pubblicitario, leader politico, economista». Tutti sapienti manipolatori. Il loro obiettivo: «Farci fare, a nostra insaputa, quello che vogliono loro». Capeoro cita il suo antico maestro, l’intellettuale triestino Francesco Saba Sardi, autore del saggio “Dominio” che ripercorre l’origine della civiltà. «Tutto nacque con la comparsa dell’agricoltura. I nomadi scoprirono l’importanza del possesso della terra. Servivano improvvisamente nuove figure: contadini e soldati. Fu lì che nacque il potere, in forma di dominio. E nacque grazie all’invenzione della religione: è stato il “magus”, preteso “ponte” tra l’umano e il divino, a utilizzare la sua superiore conoscenza per indurre gli altri a lavorare e combattere al posto suo. Potere, religione, guerra. Era l’inizio del Neolitico, e da allora quello schema non è cambiato, governa il mondo tuttora».Al “pensiero magico”, Carpeoro contrappone il “pensiero simbolico”: «Non ti spinge a imparare “come” fare una cosa, ma ti costringe innanzitutto a chiederti se farla, e perché». Risultato: la libertà dell’individuo, la sua crescente consapevolezza, l’espansione autonoma della coscienza. E’ il risultato di quella che Carpeoro, per spiegare il meccanismo simbolico, chiama “l’intelligenza del dado”: «Di ogni faccia riconosciamo immediatamente il valore numerico, senza dover contare i puntini: e questo dipende dalla loro precisa disposizione». Simbolo, dal greco “symballo”, unire: mettere insieme, in un’unica rappresentazione, aspetti lontani tra loro. Tutto, a monte, nasce dall’archetipo, cioè dall’insieme di eventi – materiali e immateriali – che sono «depositati nella memoria ancestrale dell’universo», a cui abbiamo accesso «soltanto in un modo, nei sogni del sonno profondo: quello che non sappiamo ricordare, perché non disponiamo del codice linguistico per tradurli». Così, nell’ètà classica, «l’umanità ha tradotto gli archetipi in due modi: nel mito, che è la narrazione dell’archetipo, e nel simbolo, che ne è la rappresentazione». E il simbolo, secondo il francese René Guénon, ha una caratteristica fondamendale: funziona, ci fa pensare, perché rappresenta sempre qualcosa di più grande.Il simbolo è come uno specchio, per dirla con Ermete Trismegisto: «Tutto ciò che è in alto è come ciò che è in basso, tutto ciò che è in basso è come ciò che è in alto». E questo, aggiunge il sommo esoterista, «per realizzare il miracolo di una cosa sola, da cui derivano tutte le cose, grazie a un’operazione sempre uguale a se stessa». L’editoria ha sfornato bellissimi volumi che catalogano i simboli, o si occupano specificamente di qualcuno di essi. Ma nessuno, finora, aveva mai presentato uno studio unitario sulla simbologia, «materia a cui di regola non è riconosciuta dignità propria». Spesso, afferma in una nota l’editore di “Summa Symbolica”, L’Età dell’Acquario, la simbologia viene affrontata solo in affiancamento ad altre discipline: semiologia, filosofia, letteratura, storia dell’arte. Lo studio di Carpeoro (di cui è uscito per ora solo il primo volume, 221 pagine) affronta invece la materia in modo finalmente organico e sistematico: la prima parte, da qualche giorno in libreria, svela le origini antiche del linguaggio simbolico e le sue dinamiche generali, verificate e catalogate con approccio scientifico: la sua essenza, i singoli simboli e gli schemi simbolici complessi, il rapporto con il mito e gli archetipi, le leggi che lo regolano, la presenza del simbolo nelle leggende, nelle fiabe, nei sogni.«Dopo aver studiato il mondo dei simboli fin dal 1981 – racconta Carpeoro – nel 199 ho maturato la decisione di raccogliere tutti i miei appunti in un’opera organica. L’ho terminata nel 2003, ma è stata più volte aggiornata nel corso degli anni, assumendo dimensioni tanto imponenti da rendere necessaria una sua suddivisione in più parti». In confidenza: «Non speravo che quest’opera avrebbe mai trovato un editore, né tantomeno che un libro simile potesse suscitare tanto interesse, tra i lettori». La prima parte – oggetto del volume appena uscito – ha un taglio esclusivamente metodologico, proviene da uno studio del 1994 che si intitolava “Il Metodo Carpeoro” e costituisce «il primo tentativo di individuare le regole e le leggi del mondo dei simboli in modo totalmente originale e autonomo rispetto ad altre discipline». L’auspicio dell’autore? E’ che «sia riconosciuto, agli studi simbolici e tradizionali, quel carattere di scientificità fino a oggi loro negato».La chiave della missione? I simboli, il potere, li conosce benissimo. E ovviamente li usa a nostro danno, in modo “magico”. Conoscerli a nostra volta significa innanzitutto imparare a difendersi dagli abusi della manipolazione quotidiana. Fino a scoprire che il mondo dei simboli racchiude in sé qualcosa di meraviglioso, che ci riguarda direttamente: è un racconto, per immagini, della nostra vera storia, che attinge all’universo della “memoria ancestrale” della specie. E’ un sistema profondamente analogico che può contenere vere e proprie rivelazioni: ci lascia intuire come siamo fatti, da dove veniamo, chi siamo davvero – e cosa potremmo diventare, se imparassimo a espandere la nostra coscienza. «Accanto alla dimensione fisica esiste una dimensione metafisica», sottolinea Carpeoro. «Analogamente, accanto alla storia esiste anche una meta-storia: è la storia del pensiero non ufficiale, che ha spesso viaggiato sottotraccia, giungendo fino a noi, utilizzando proprio il linguaggio cifrato dei simboli». Funziona, eccome: magari non capiamo perché l’acqua fuoriesca dalla bocca del leone, ma quelle fontane ci sono familiari, ci piacciono. Le troviamo bellissime, anche se non sappiamo perché.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Summa Symbolica. Istituzioni di studi simbolici e tradizionali, vol.1”, L’Età dell’Acquario, collana Biblioteca dei simboli, 221 pagine, 24 euro).«Vi siete mai chiesti perché l’acqua delle nostre fontane esce così spesso dalla bocca di un leone?». Il re della savana non è certo un animale acquatico. Eppure è associato, da sempre, alla sorgente d’acqua. Per quale motivo? E’ vero, non ce lo siamo domandato. «Infatti, non siamo più abituati al “pensiero simbolico”, cioè il pensiero contenuto nei simboli, che ci spinge a chiederci sempre il perché delle cose, che in prima battuta non capiamo». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo con alle spalle trent’anni di appassionati studi. Tutto si aspettava, l’autore, tranne che vedere la sua ultima fatica, “Summa Symbolica”, schizzare in alto nelle classifiche librarie online: è il primo trattato divulgativo interamente dedicato a svelare il grande “segreto” dei codici simbolici che, in fondo, affollano la nostra vita quotidiana, con i loro “perché” a cui non facciamo caso. Il leone e l’acqua? «Qual è la città più acquatica d’Italia?». Venezia, ovviamente. «E qual è il simbolo araldico di Venezia? Il leone alato di San Marco, l’evangelista rappresentato appunto dal leone». Da Venezia al Nilo: «Gli egizi scolpirono teste di leone sulle chiuse in pietra che regimavano le acque del fiume durante la piena, quando nel cielo dell’Egitto campeggiava la costellazione del Leone». Il che rimanda a un archetipo ancestrale: il Diluvio. Simboli, che hanno viaggiato in incognito fino a noi, per raccontarci – a modo loro – la parte nascosta della nostra storia, la meta-storia dell’umanità.
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Magaldi: perfettamente inutile votare Renzi, Silvio o Grillo
Renzi ancora frenato, Berlusconi che oggi sembra redivivo grazie a Salvini, e i 5 Stelle che non sfondano da nessuna parte. Una triparizione perfetta e assolutamente inutile, fotografata anche dall’esito dei ballottaggi, ultima tappa delle elezioni amministrative. Se c’è qualcuno che è davvero nei guai è l’Italia: nessuno dei tre schieramenti rappresenta una vera soluzione alla crisi. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, associazione meta-partitica sorta per indurre, in modo trasversale, una sorta di “risveglio” sovranista della politica italiana, in letargo dall’avvento della cosiddetta Seconda Repubblica, con la “resa” sostanziale alla politica di rigore imposta da Bruxelles, avallata da centrodestra e centrosinistra, e non contrastata – in modo netto – neppure dal movimento di Grillo, che non ha ancora messo in campo soluzioni sul fronte cruciale dell’economia. In altre parole: il paese è costretto a rassegnarsi al non-voto, o a scegliere il meno peggio, senza che nessuno dei contraenti abbia lanciato una sola proposta seria su come uscire dal declino.All’indomani dell’ultima tornata elettorale, ai microfoni di “Colors Radio” Magaldi ribadisce la sua posizione: l’attuale offerta politica italiana sembra fatta apposta per scoraggiare gli elettori, dal momento che nessun partito è in grado di proporre la svolta di cui il paese avrebbe disperato bisogno. Renzi? «Si è limitato ad abbaiare contro Bruxelles, salvo poi bussare (inutilmente) alla porta di organismi come il Council on Foreign Relations, sperando di essere accolto nei circoli esclusivi della massoneria internazionale reazionaria, cioè quella che ha progettato la mala-globalizzazione e il finto europeismo fondato sull’austerity». Berlusconi? «E’ stato un pessimo politico, non ha attuato le riforme che tutti si aspettavano. Oggi, a ottant’anni, gli converrebbe fare un passo indietro e limitarsi al ruolo di “padre nobile” del centrodestra», area nella quale si segnala quantomeno «la vitalità di Salvini e della Meloni, gli unici a rivolgere qualche critica alla gestione dell’Ue». Quanto ai 5 Stelle, nebbia: «Ancora non ci hanno fatto sapere come governerebbero».Magaldi, che torna a spendere per Roma il nome di un economista progressista come Nino Galloni, pensa al “partito che non c’è”, che potrebbe chiamarsi Pdp, Partito Democratico Progressista, e fungerebbe da aggregatore (anche confederale) di forze sociali che non si riconoscono nell’attuale scenario, men che meno nel gruppo dalemiano di Bersani, «l’uomo che trasformò il Parlamento in una caserma per far votare la legge Fornero e il pareggio di bilancio in Costituzione, voluto dal governo Monti, espressione della peggiore tecnocrazia europea, supermassonica e reazionaria». Che fare? Primo: non rassegnarsi a questa desolazione: la vuota retorica di Renzi e quella di Berlusconi, cui fa da sfondo il velleitarismo inconcludente dei 5 Stelle, che propogono il reddito di cittadinanza finanziato solo “tagliando gli sprechi”, senza cioè mettere in discussione la drammatica riduzione degli investimenti pubblici imposta da Bruxelles.«Nessuno osa chiamare le cose con il loro nome e affrontare il problema alla radice. E così agli italiani oggi non rimane che l’opposizione solo apparente tra centrodestra e centrosinistra: due formazioni che negli ultimi vent’anni – malgovernando e mal-privatizzando – hanno fatto le stesse scelte, sprofondando l’Italia nella crisi». Quello che serve, insiste Magaldi, è un vero e proprio piano-B. «Punto primo: andare a Bruxelles a dire che l’Italia straccia tutti i trattati europei, a meno che non vengano interamente rivisti, da cima a fondo». Obiettivo: «Porre le condizioni per una finanza pubblica espansiva, che torni a produrre posti di lavoro. Alle attuali condizioni è semplicemente impossibile. Bisogna quindi avere il coraggio di dire all’Unione Europea che l’Italia non ci sta più, se non si cambia tutto. Nessun partito lo dice? Questo è il problema, oggi. Votare Renzi, Berlusconi o Grillo è perfettamente inutile: il paese ha bisogno di risposte, di soluzioni vere».Renzi ancora frenato, Berlusconi che oggi sembra redivivo grazie a Salvini, e i 5 Stelle che non sfondano da nessuna parte. Una triparizione perfetta e assolutamente inutile, fotografata anche dall’esito dei ballottaggi, ultima tappa delle elezioni amministrative. Se c’è qualcuno che è davvero nei guai è l’Italia: nessuno dei tre schieramenti rappresenta una vera soluzione alla crisi. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, associazione meta-partitica sorta per indurre, in modo trasversale, una sorta di “risveglio” sovranista della politica italiana, in letargo dall’avvento della cosiddetta Seconda Repubblica, con la “resa” sostanziale alla politica di rigore imposta da Bruxelles, avallata da centrodestra e centrosinistra, e non contrastata – in modo netto – neppure dal movimento di Grillo, che non ha ancora messo in campo soluzioni sul fronte cruciale dell’economia. In altre parole: il paese è costretto a rassegnarsi al non-voto, o a scegliere il meno peggio, senza che nessuno dei contraenti abbia lanciato una sola proposta seria su come uscire dal declino.
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Terrorismo, il bugiardo copione della morte. Fino a quando?
Qualcuno crede ancora che sia stato Osama Bin Laden, cioè il socio storico della famiglia Bush, poi agente speciale della Cia in Afghanistan, a far radere al suolo le Torri Gemelle, il giorno in cui – per la prima e unica volta nella storia degli Stati Uniti – l’aviazione era stata interamente impegnata in una decina di esercitazioni concomitanti, dall’Alaska alla West Cost, lasciando solo 4 aerei a guardia del cielo di New York e Washington? E qualcuno crede ancora che lo stesso Bin Laden sia stato davvero ucciso il 2 maggio 2011 ad Abbottabad in Pakistan, su ordine di Obama, dai Navy Seals poi tragicamente a loro volta uccisi (tutti) da un razzo dei Talebani all’aeroporto di Kabul? Qualcuno, davvero, crede che il fantomatico Abu Bakr Al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione iracheno di Camp Bucca e poi fotografato in Siria in amena compagnia del senatore John McCain, non c’entri nulla con le reti di intelligence occidentale che hanno organizzato a tavolino la “guerra infinita” fabbricando, allo scopo, prima Al-Qaeda e poi lo Stato Islamico?Mentre si prolunga il silenzio assordante dei media mainstream, che ignorano deliberamente le ormai migliaia di fonti – da Wikileaks in giù – che raccontano tutta un’altra storia, come quella dell’ambasciatore americano a Bengasi saltato in aria con tutte le sue carte dopo che il network di Assange aveva scoperto il traffico di ami chimiche dalla Libia verso la Siria (da cui l’emailgate di Hillary Cinton, con 1.400 messaggi precipitosamente cancellati), ammonta a ormai molti milioni di persone la platea internazionale degli “webeti” che vogliono sapere, informarsi, scoprire perché agli europei oggi tocca morire per strada, al bar, in metropolitana, al concerto, allo stadio. Voci eminenti hanno squarciato un velo di omissioni, falsità e depistaggi. Giornalisti, premi Pulitzer, ex ministri americani, ex militari d’alto rango, massoni, analisti, specialisti dell’intelligence. Raccontano tutti la stessa storia: un’élite impazzita ha il terrore di perdere il potere assoluto conquistato negli ultimi trent’anni, da quando – afflosciatasi la minaccia sovietica – il “partito della guerra”, il business degli armamenti, aveva assoluta necessità di “inventare” un altro nemico, necessario a giustificare il boom inesauribile della spesa militare, e così ha “fabbricato” la minaccia islamista.Lo ammette l’anziano Zbigniew Brzezisnki nelle sue memorie: fu lui a reclutare Bin Laden, fu lì che tutto cominciò. Il seguito è stato solo una tragica farsa, sanguinosissima: l’11 Settembre, le “armi di distruzione di massa” di Saddam, l’esercito barbarico del Califfo, le armi chimiche di Assad e quelle di Gheddafi, l’atomica dell’Iran. Ora siamo ai kamikaze, veri o presunti, ma comunque non sopravviventi: immancabilmente “già segnalati dall’intelligence”, regolarmente “sfuggiti al controllo”, prontamente individuati e riempiti di piombo. Terrorizzare un paese come la Francia, strategico per l’oligarchia finanziaria Ue, secondo alcuni osservatori è una misura preventiva: le leggi speciali frenano la protesta per le misure di rigore sociale in arrivo, e concorrono all’elezione in carrozza di un soggetto come Macron, creatura in vitro della supermassoneria reazionaria incarnata dall’onnipresente Jacques Attali, l’uomo che derise la “plebaglia europea”, illusasi che l’euro fosse stato creato per la sua felicità. Fino a quando durerà, questa recita, che attualmente insanguina il Regno Unito colpevole di aver scelto la Brexit? Se è vero che i signori del terrore hanno paura di perdere il regno, come sostiene qualcuno, c’è ragione di temere un maxi-attentato, stile 11 Settembre. A meno che, a monte, non accada qualcosa, e l’élite “nera” sia sconfitta. Ma non c’è caso che gli “webeti” vengano a saperlo da giornali e televisioni. Siamo nel 2017, e la verità non è mai stata così incerta e rischiosa, avara e tristemente clandestina.Qualcuno crede ancora che sia stato Osama Bin Laden, cioè il socio storico della famiglia Bush, poi agente speciale della Cia in Afghanistan, a far radere al suolo le Torri Gemelle, il giorno in cui – per la prima e unica volta nella storia degli Stati Uniti – l’aviazione era stata interamente impegnata in una decina di esercitazioni concomitanti, dall’Alaska alla West Cost, lasciando solo 4 aerei a guardia del cielo di New York e Washington? E qualcuno crede ancora che lo stesso Bin Laden sia stato davvero ucciso il 2 maggio 2011 ad Abbottabad in Pakistan, su ordine di Obama, dai Navy Seals poi tragicamente a loro volta uccisi (tutti) da un razzo dei Talebani all’aeroporto di Kabul? Qualcuno, davvero, crede che il fantomatico Abu Bakr Al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione iracheno di Camp Bucca e poi fotografato in Siria in amena compagnia del senatore John McCain, non c’entri nulla con le reti di intelligence occidentale che hanno organizzato a tavolino la “guerra infinita” fabbricando, allo scopo, prima Al-Qaeda e poi lo Stato Islamico?
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Attali: Isis e leggi speciali, verso il dominio del mercato
Emmanuel Macron ha un progetto: rendere permanente lo “stato d’emergenza” in vigore dalla strage terroristica di Charlie Hebdo. Lo rivela “Le Monde”, anticipando un progetto di legge in arrivo: domicilio coatto, perquisizioni diurne e notturne, chiusura dei luoghi di culto, zone di protezione e di sicurezza, cioè le misure adottate in questi 19 mesi di regime d’eccezione, diverranno “normali”. «Si tratta in sostanza delle misure emblematiche prese durante la guerra d’Algeria del 1955, stato d’eccezione vero», scrive Maurizio Blondet. A giustificarle, ora, è la “guerra il terrorismo”. Secondo Blondet, Macron ha preso l’idea direttamente dal “futurologo principe” Jacques Attali, il suo padrino, mentore e “creatore”, potentissimo supermassone reazionario e mondialista, intimo consigliere di tutti i presidenti socialisti. «Nessun governo, oggi, oserà più rinunciare allo stato d’eccezione», dice Attali in una video-intervista del 2016. «Non se ne uscirà mai più, perché ogni governo che uscisse dallo stato d’emergenza darebbe un segnale di debolezza». Una dinamica inesorabile, irreversibile. Con un anno di anticipo, Attali si disse certo che Macron sarebbe finito all’Eliseo. E dopo di lui, aggiunse, toccherà a una donna. Ma saranno presidenze dimezzate: l’unico vero vincitore sarà il mercato globalizzato.Il punto è che il presidente della repubblica ha molto meno potere di prima, si rammarica Attali: «Anzitutto non c’è più la pena di morte e non c’è più l’Unione Sovietica, quindi le due dimensioni fondamentali della taumaturgia, il diritto di vita e di morte, sono scomparse». Poi c’è l’euro: «Ecco un’altra buona ragione: fa sì che gran parte dell’economia politica sia divenuta europea». Quindi la decentralizzazione: «I grandi investimenti non sono più nello Stato, e la politica delle grandi infrastrutture non gli appartiene più». Avanti con le privatizzazioni: «Non c’è più politica industriale possibile». E’ la globalizzazione: «Il mercato ha ampiamente vinto. Ci sono moltissime cose che si credevano alla portata dello Stato, e non lo sono più». E’ stato “il mercato”, aggiunge Attali, a designare Macron come candidato: avrà solo la parte residua di potere che “il mercato” gli concederà. Cosa che ormai accade alla maggior parte dei politici: «Sì, appunto: non hanno potere reale. A parte la grandezza d’essere eletti dal popolo, non hanno potere reale sulla società». Men che meno in Europa: «Tutti coloro, fra cui io, che hanno avuto il privilegio di tenere la penna per stilare le prime versioni del trattato di Maastricht – scandisce Attali – si sono impegnati a fare in modo che uscire dalla Ue non sia possibile. Abbiamo avuto cura di dimenticare di scrivere l’articolo che permetta l’uscita».In pratica, osserva Blondet, Attali si dice onorato di aver impedito al popolo di auto-determinarsi: solo il mercato decide. Il suo obbiettivo è di ampliarne ulteriormente il potere. Ed ecco il futuro già segnato delle ulteriori vittorie del “mercato”, che «si estenderà a settori dove fino ad oggi non aveva accesso: per esempio la sanità, l’istruzione, la polizia, la giustizia, gli affari esteri». Contemporaneamente, «nella misura in cui non ci sono regole di diritto», il “mercato” «si estenderà a settori oggi considerati illegali, criminali: come la prostituzione, il commercio degli organi, delle armi, il racket». Quindi, aggiunge Attali, «si avrà un mercato che dominerà sempre più, determinando una concentrazione di ricchezze, una diseguaglianza crescente, una priorità data al breve termine e alla tirannia dell’istante e del denaro». Fino ad arrivare, alla fine, «alla commercializzazione della cosa più importante, ossia la vita: la trasformazione dell’essere umano in merce di scambio: lui stesso divenuto un clone e un robot di se stesso». Questa la visione dello stratega supermassonico Attali, esposta quasi con candore agli esterrefatti giornalisti televisivi francesi.Quanto a Internet, «rappresenta una minaccia per quelli che sanno e che decidono, perché dà accesso al sapere non secondo il cururs gerarchico». Nel video, una voce fuori campo prova a riassumere: il web è potenzialmente pericoloso per questo nuovo establishment, che utilizza presidenti e ministri come semplici comparse, incaricate di trasferire ulteriore potere al “mercato”: «Deregolare, impoverire e svuotare i servizi pubblici, aprire tutti i settori alla concorrenza, distruggere le protezioni dei salariati e dei cittadini. Si tratta di consegnare al mercato gli ultimi bastioni ancora tenuti dal popolo». E perché i cittadini tacciano, evitando di ribellarsi, è provvidenziale l’emergenza terroristica con le leggi speciali. «Nessun governo oserà più rinunciare allo stato d’eccezione», infatti. «Per natura – afferma Attali – dobbiamo essere in permanenza nello stato d’eccezione; e il fatto di iscriverlo nelle istituzioni non è altro che esprimere e riconoscere una realtà». Un percorso tracciato, al quale sarà impossibile sfuggire, secondo Attali, che si spinge oltre all’attuale presidente: «So chi è colei che succederà a Macron», dice. E poco dopo, sogghignando, ribadisce: credo di conoscere colei che diventerà presidente dopo di lui.Dunque Attali, «cedendo alla vanità, la sua debolezza», dice di conoscere il nome del successore di Macron: sarà una donna. «Uno sguardo nel futuro lontano», aggiunge Blondet: «Se Macron completa il doppio mandato, se ne parla nel 2022». E Attali vuol far sapere che sarà “colei”, a salire all’Eliseo, secondo i piani invisibili dei poteri forti, quelli che stanno “mercatizzando” ogni forma di vita: «La sola legge del mondo – insiste Attali – sarà quella del mercato, che formerà un iper-impero inafferrabile e planetario dove anche la natura sarà messa a contribuzione». Così, osserva Blondet, si deduce che lo stato d’eccezione permanente, basato su misure repressive liberticide, «diventa necessario perché il “mercato” possa estendersi a settori da cui oggi è escluso, facendone fonte di profitti privati. Non solo sanità e istruzione, ma secondo Attali anche polizia, giustizia, affari esteri». Un incubo, nel quale compare anche il «commercio degli organi» (sottratto al mondo criminale, quindi legalizzato). E «alla fine del percorso, la commercializzazione della cosa più importante, la vita umana». Scrisse Attali: «Andiamo verso un’umanità unisex. Ciò risolverà un problema importante: le nostre capacità cognitive sono limitate dalla dimensione del cervello. Se il bambino nascesse da una matrice artficiale, la dimensione del suo cervello non avrebbe più limiti».E mentre il popolo francese sembra scomparso, consegnando proprio a Macron una schiacciante maggioranza parlamentare, la Francia dovrà vedersela innanzitutto con la riforma del lavoro imposta dal “mercato”, col trasferimento alle imprese di tutto il potere negoziale, a scapito dei lavoratori. Un po’ troppo, persino per i francesi “macronizzati” con la ricetta Attali? Nel caso dovesse svegliarsi l’opposizione, in Parlamento e in piazza, «ecco dunque lo stato d’eccezione reso permanente», dice Blondet. «Ed ecco l’utilità del “terrorismo islamico” che lo rende così inevitabile», grazie all’alibi della sicurezza. Chiosa Blondet: «Un mio cugino è stato addetto del consolato americano a Genova, quando ancora Genova era sede consolare. Il console un giorno buttò lì: “Le Brigate Rosse? Le controlliamo dalla nostra base di Lisbona”. Da quegli anni, molto prima di me, mio cugino è convinto – o meglio sa – che non esistono terroristi, atti terroristici, terrorismo alcuno che non sia gestito e teleguidato da servizi. Senza eccezione. Sono azioni che servono a imprimere nell’opinione pubblica spaventata reazioni, calcolate e previste al millimetro: “Ormai è una scienza esatta”).Emmanuel Macron ha un progetto: rendere permanente lo “stato d’emergenza” in vigore dalla strage terroristica di Charlie Hebdo. Lo rivela “Le Monde”, anticipando un progetto di legge in arrivo: domicilio coatto, perquisizioni diurne e notturne, chiusura dei luoghi di culto, zone di protezione e di sicurezza, cioè le misure adottate in questi 19 mesi di regime d’eccezione, diverranno “normali”. «Si tratta in sostanza delle misure emblematiche prese durante la guerra d’Algeria del 1955, stato d’eccezione vero», scrive Maurizio Blondet. A giustificarle, ora, è la “guerra il terrorismo”. Secondo Blondet, Macron ha preso l’idea direttamente dal “futurologo principe” Jacques Attali, il suo padrino, mentore e “creatore”, potentissimo supermassone reazionario e mondialista, intimo consigliere di tutti i presidenti socialisti. «Nessun governo, oggi, oserà più rinunciare allo stato d’eccezione», dice Attali in una video-intervista del 2016. «Non se ne uscirà mai più, perché ogni governo che uscisse dallo stato d’emergenza darebbe un segnale di debolezza». Una dinamica inesorabile, irreversibile. Con un anno di anticipo, Attali si disse certo che Macron sarebbe finito all’Eliseo. E dopo di lui, aggiunse, toccherà a una donna. Ma saranno presidenze dimezzate: l’unico vero vincitore sarà il mercato globalizzato.
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Il partito che non c’è: quello che direbbe tutta la verità
«Io non sono contro il capitalismo, voglio solo tagliargli un po’ le unghie». Lo disse Olof Palme, grande leader socialdemocratico europeo, assassinato nel 1986 a Stoccolma mentre era premier della civilissima Svezia, dove aveva imposto l’ingresso diretto dello Stato nell’economia per salvare industrie traballanti, assegnando addirittura ai lavoratori una quota azionaria. «Chi ha ucciso Palme voleva “uccidere” il socialismo in Europa: il leader svedese andava abbattuto per poter poi mettere in piedi un obbrobrio come l’attuale Eurozona», sostiene Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che collega l’omicidio Palme (tuttora senza colpevoli) a un telegramma con il quale Licio Gelli annunciò l’imminente “caduta” della “palma svedese” al parlamentare statunitense Philip Guarino, allora braccio destro del politologo supermassone Michael Ledeen, onnipresente nella politica italiana, tanto che – sempre secondo Carpeoro – affiancò «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». Carpeoro aderisce al Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi, già maestro venerabile di una loggia romana del Grande Oriente d’Italia e poi Gran Maestro del Grande Oriente Democratico. Magaldi – sceso in campo a colpi di denunce contro gli abusi di certa massoneria internazionale neoaristocratica e in difesa e promozione della secolare tradizione progressista della libera muratoria – oggi invoca la nascita del “partito che non c’è”.«Chiedetevi come mai ci ritroviamo a domandarci, ogni volta, dov’è finita la politica seria, e perché è scomparsa», ripeteva anni fa Paolo Barnard, ricostruendo – nel saggio “Il più grande crimine” – la genesi dell’Eurozona in chiave economico-finanziaria ma soprattutto criminologica. L’accusa: una élite feudale pre-moderna e pre-democratica, travolta per due secoli dai progressivi successi della democrazia industriale, si sta semplicemente riprendendo tutto: in Europa ha rifondato una sorta di Sacro Romano Impero dove comandano politici non-eletti, a loro volta manovrati da una oligarchia finanziaria che ha imposto una moneta “privatizzata”, l’euro, con l’unico scopo di impoverire le popolazioni, trasferendo ricchezza dal basso verso l’alto. I politici che potevano opporsi sono stati eliminati (come Olof Palme) o più semplicemente “comprati”, cooptati, perché tradissero il loro mandato, il loro elettorato, i loro sindacati di riferimento. Applicarono alla lettera lo storico memorandum di Lewis Powell, adottato dalla Commissione Trilaterale per abbattere la sinistra sociale dei diritti, usando come clava il dogma del neoliberismo: il welfare deve finire, il potere deve tornare in mani neo-feudali come quelle che pilotano l’ordoliberismo germanico.Nel suo libro uscito nel 2014, “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Magaldi (che cita spesso Barnard) completa il quadro: i “campioni” dell’attuale élite, dalla Merkel a Draghi, sono tutti supermassoni affiliati a 36 Ur-Lodges internazionali. «Non sono veri massoni», precisa Carpeoro, «visto che hanno tradito i principi progressisti della massoneria». Magaldi preferisce chiamarli contro-iniziati. Ma ricorda che proprio alla libera muratoria si devono le istituzioni-cardine della modernità: democrazia, elezioni, Stato laico, suffragio universale. Il dono della Rivoluzione Francese, ispirata proprio da massoni. «Solo che poi siamo arrivati a Monti, a Napolitano. Anche Renzi ha bussato a quei circoli, ma non gli hanno aperto. In alternativa ci sarebbero i 5 Stelle, ma non hanno ancora spiegato cosa farebbero, una volta al governo». Sicché, torna in campo la suggestione del “partito che non c’è”, ma sarebbe tanto utile se ci fosse. Un partito che, ad esempio, avesse come frontman un economista di primissimo piano come Nino Galloni, allievo del professor Federico Caffè (come lo stesso Draghi, che però si laureò con una tesi sull’insostenibilità di una moneta unica europea). Galloni ha le idee chiarissime: sbattere la porta in faccia all’Ue, se non accetta di rivedere tutti i trattati-capestro, da Maastricht in poi. Un sogno? Certo, per ora sì: è il sogno del “partito che non c’è”.Negli anni ‘80, quando Olof Palme era ancora vivo, una corrente (non populista) scosse l’Europa: quella del movimento ambientalista, che poi crebbe velocemente “grazie” al disastro nucleare di Chernobyl. Nemmeno i Verdi della prima ora intendevano abbattere il capitalismo, ma solo “tagliargli le unghie”, precisamente quelle più “velenose”, in nome della salute di cittadini e lavoratori. Fu una piccola rivoluzione, anche culturale: prima di degradarsi, il movimento costrinse i paesi europei a dotarsi di legislazioni più “verdi”, più attente alla tutela dell’ambiente. Ma a prendere il sopravvento, in Italia, fu il ciclone Tangentopoli, che solo oggi – dopo oltre vent’anni – si vede cosa ha prodotto: da quella colossale “distrazione di massa” venne fuori il nuovo conio dell’Unione Europea, quella che ha ridotto la Grecia a paese del terzo mondo e ha privato l’Italia del 25% della sua produzione industriale, facendo ricomparire ovunque lo spettro della povertà. E i ruggenti 5 Stelle? Molti si sono stupiti del loro silenzio tombale sul decreto-monstre della ministra Lorenzin sui 12 vaccini obbligatori. Non Carpeoro: «L’unica speranza sta nella base dei 5 Stelle, che è fatta di persone pulite. Vedremo se avranno la forza di prevalere sugli attuali vertici, che sono collusi con il potere».Chiedetevi perché non ci sono più i politici di una volta, insiste Barnard. «Un minuto dopo l’istituzione dell’euro – aggiunge Carpeoro – lo stesso Craxi “profetizzò” che sarebbe stato l’inizio della fine, per l’Italia. Con lui, se lo potevano sognare di fare quel tasso di cambio, rispetto alla lira». Galloni, all’epoca, era in trincea: era stato chiamato nientemeno che da Giulio Andreotti, per tentare di limitare i danni attraverso una “guerra” da condurre al coperto, nel palazzo. «Telefonò l’allora cancelliere Kohl – ricorda – per chiedere che fossi rimosso: lottavo, per cercare di impedire la deindustrializzazione dell’Italia». Ma il piano era partito, inesorabilmente, ed era potentissimo. Banche, grande industria, think-tanks, lobby euro-atlantiche, élite franco-tedesche con frotte di politici, tecnocrati ed economisti di complemento. Morti e feriti, alla distanza: rigore, austerity, Monti e Napolitano, la Fornero. Barnard accusa anche D’Alema, uomo-record nelle privatizzazioni, come il suo alleato Romano Prodi, advisor della Goldman Sachs, e personaggi del calibro di Tommaso Padoa Schioppa e dello stesso Carlo Azeglio Ciampi, l’uomo che chiuse il “bancomat” statale di Bankitalia prima ancora dell’avvento dell’euro, costringendo il paese a dipendere, di colpo, dal credito della finanza privata internazionale, trasformando il debito pubblico in un dramma.Gioele Magaldi segnala che, dal fronte progressista di quella stessa élite neo-massonica, provengono anche segnali di risveglio. Carpeoro “legge” l’inquietudine dell’élite “terrorista” che ora colpisce Londra e Manchester, temendo che il Regno Unito post-Brexit possa smarcarsi dal vertice neocon ultraliberista. Ma se qualcuno ha palpitato per le elezioni francesi, sognando una vittoria “sovranista” di Marine Le Pen, si è dovuto arrendere all’evidenza del supermassone Macron, protetto dal supermassone reazionario Jacques Attali (storico sodale di D’Alema, secondo Barnard). Quanto all’Italia, «rido per non piangere», chiosa Magaldi, tra gli inchini di Gentiloni ai potenti del G7: «I nostri partiti cianciano di legge elettorale “alla tedesca” per ingessare in eterno il sistema con un bell’abbraccio tra Renzi e Berlusconi, che pare piaccia anche a Grillo, dato che porrebbe di fronte alla comoda prospettiva di una nuova stagione di opposizione da “duro e puro”».Tutto ciò, senza una sola parola – da parte di nessuno – su come uscire dalla trappola di questa Ue. Servirebbe, appunto, il “partito che non c’è”. Quelli che ci sono, infatti, servono solo a lasciare l’Italia in letargo, in mezzo alle sue “irrisolvibili” tragedie economiche, che il mainstream si guarda bene dall’approfondire: Barnard (cofondatore di “Report”) è trattato come un appestato, e il libro di Magaldi (decine di migliaia di copie vendute) non ha avuto sinora spazi in tv. Il mainstream preferisce registrare gli slogan di Salvini, fotografare l’anziano Silvio che allatta agnellini, filmare l’ectoplasma di Renzi che si riprende l’ectoplasma del Pd. Il mainstream riesce a stare ancora ad ascoltare persino la controfigura di Bersani che straparla di sinistra dimenticando l’altro Bersani, quello vero, che militarizzò il Parlamento per far votare il pareggio di bilancio imposto dall’élite per tramite dei suoi commissari, Monti e Napolitano. Forse, il “partito che non c’è” è quello degli italiani, che ancora stazionano davanti al televisore godendosi questo spettacolo, mentre altrove i veri capi – gli unici – decidono, ancora e sempre, sulla testa di tutti.«Io non sono contro il capitalismo, voglio solo tagliargli un po’ le unghie». Lo disse Olof Palme, grande leader socialdemocratico europeo, assassinato nel 1986 a Stoccolma mentre era premier della civilissima Svezia, dove aveva imposto l’ingresso diretto dello Stato nell’economia per salvare industrie traballanti, assegnando addirittura ai lavoratori una quota azionaria. «Chi ha ucciso Palme voleva “uccidere” il socialismo in Europa: il leader svedese andava abbattuto per poter poi mettere in piedi un obbrobrio come l’attuale Eurozona», sostiene Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che collega l’omicidio Palme (tuttora senza colpevoli) a un telegramma con il quale Licio Gelli annunciò l’imminente “caduta” della “palma svedese” al parlamentare statunitense Philip Guarino, allora braccio destro del politologo supermassone Michael Ledeen, onnipresente nella politica italiana, tanto che – sempre secondo Carpeoro – affiancò «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». Carpeoro aderisce al Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi, già maestro venerabile di una loggia romana del Grande Oriente d’Italia e poi Gran Maestro del Grande Oriente Democratico. Magaldi – sceso in campo a colpi di denunce contro gli abusi di certa massoneria internazionale neoaristocratica e in difesa e promozione della secolare tradizione progressista della libera muratoria – oggi invoca la nascita del “partito che non c’è”.
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Un Macron italiano: i poteri forti vogliono sostituire Renzi
Girano voci, riprese da giornali come il “Foglio”, su chi potrebbe essere il Macron italiano in un prossimo futuro. I nomi più gettonati sono tre: lo scontatissimo Mario Draghi, il ministro dell’interno Marco Minniti e l’editore Urbano Cairo. «Dire Macron – sottolinea Aldo Giannuli – significa dire una cosa: un nuovo partito “liquido” (anzi gassoso) che si presenti come “né di destra né di sinistra”, ma “della nazione”, raccolto intorno ad un personaggio con simpatie trasversali e che si presenti in rottura delle tradizioni politiche precedenti». Di solito, aggiunge il politologo dell’ateneo milanese, «questi discorsi preparano un partito di destra», sostanzialmente «tutto interno al sistema neoliberista», non nuovo ma «solo ben truccato». Ma chi potrebbe interpretare questo ruolo? E con quali probabilità di successo? Soprattutto: che impatto ha già, sul sistema, il semplice fatto che se ne parli? Per Giannuli, in pole position è saldamente il supremo tecnocrate della Bce, che Gioele Magaldi (nel libro “Massoni”, del 2014) presenta come autorevole leader della supermassoneria internazionale reazionaria, espressione dell’élite neo-feudale che, con l’ideologia del rigore, ha azzerato gli storici diritti sociali conquistati negli anni ‘70.Minniti? «Sembra solo una boutade», scrive Giannuli nel suo blog. «Anche se Macron non era esattamente vergine di impegno politico, essendo stato più volte ministro, Minniti è una vecchia stella del varietà che calca le scene da un quarto di secolo: a spacciarlo per nuovo non riuscirebbe nemmeno Paolo Rossi in preda al brandy». E poi il ministro dell’interno «non ha nemmeno “le phisique du role”: dote essenziale di questi nuovi politici è di essere giovani e bellocci». La vera novità sarebbe invece Cairo, che non è giovanissimo ma «ha un esercito mediatico dietro le spalle, una immagine di successo». Inoltre «non si è mai compromesso né a destra né a sinistra (o meglio: né con Berlusconi né con Renzi) e potrebbe andar bene per tutte le stagioni». Ma sia Draghi che Cairo, aggiunge Giannuli, non è detto che ci stiano: il primo potrebbe puntare verso il Fmi o altro incarico finanziario di livello mondiale, il secondo «potrebbe avere la tentazione di essere un nuovo Murdoch e consolidare a livello europeo il suo ruolo di grande tycoon: e fare il presidente del Consiglio in Italia, con i tempi che arrivano, non è che sia una prospettiva così eccitante».Possibilità di successo della manovra? «Intanto dobbiamo vedere quanto dura la popolarità del Macron originale, cosa della quale è lecito dubitare», continua Giannuli. «Ma poi, sono anni che dura questa infatuazione esterofila degli italiani che di volta in volta hanno cercato il Blair italiano, il Sarkozy italiano, lo Zapatero italiano, persino lo Tsipras italiano (e qualcuno ci ha addirittura intestato la sua lista elettorale), ma la cosa non ha mai prodotto particolari risultati, proprio per il carattere artificiale ed effimero del tentativo». Copione che non cambierà nemmeno stavolta: probabilmente sforneranno «un prodotto vendibile fra gli elettori italioti», la platea del “Partito della Nazione” già ventilato da Renzi. Piuttosto, Giannuli si concentra sul motivo di queste voci insistenti: può significare che «i poteri forti e le centrali di sistema non si fidino più di Renzi e diano per spacciato Berlusconi che, con i suoi 80 suonati, non ha più prospettive neanche di medio periodo». Si cerca «qualcosa di apparentemente nuovo, che rompa anche con l’ombra delle tradizionali famiglie politiche», considerando che «i partiti della Seconda Repubblica furono pallide imitazioni di quelli della Prima».La vera novità, ragiona Giannuli, «è la liquidazione dei partiti come forme di partecipazione organizzata stabilmente sul territorio, sostituiti dal ruolo di personalità apparentemente carismatiche». Ma oggi nessuno degli aspiranti a questo ruolo sarebbe pronto per le prossime elezioni, per cui «la prossima legislatura sarà solo un intermezzo per permettere la costituzione dei nuovi soggetti e sgombrare il terreno da quelli attuali». Tutto questo, conclude Giannuli, «ha come suo avversario dichiarato il M5S (il “populismo” italiano)». Ma la manovra di riassetto dei poteri forti «probabilmente si avventerà prima di tutto sulla Lega, la cui presenza è di forte disturbo ad una operazione del genere». In altre parole, queste «sono le doglie del parto della Terza Repubblica». E nessuno (a parte Salvini con i suoi slogan) si prenota per l’unica vera battaglia utile: affrontare di petto la distorsione dell’assetto Ue, con Bruxelles che impone agli Stati i suoi diktat, suggeriti dall’élite finanziaria. Lo stesso Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, sta pensando a un nuovo soggetto politico, il Partito Democratico Progressista, guidato da un economista come Nino Galloni. «La prima cosa da fare? Eliminare il pareggio di bilancio dalla Costituzione, andare a Bruxelles e dire, a muso duro: o riscriviamo i trattati europei, o l’Italia abbandona l’Ue».Girano voci, riprese da giornali come il “Foglio”, su chi potrebbe essere il Macron italiano in un prossimo futuro. I nomi più gettonati sono tre: lo scontatissimo Mario Draghi, il ministro dell’interno Marco Minniti e l’editore Urbano Cairo. «Dire Macron – sottolinea Aldo Giannuli – significa dire una cosa: un nuovo partito “liquido” (anzi gassoso) che si presenti come “né di destra né di sinistra”, ma “della nazione”, raccolto intorno ad un personaggio con simpatie trasversali e che si presenti in rottura delle tradizioni politiche precedenti». Di solito, aggiunge il politologo dell’ateneo milanese, «questi discorsi preparano un partito di destra», sostanzialmente «tutto interno al sistema neoliberista», non nuovo ma «solo ben truccato». Ma chi potrebbe interpretare questo ruolo? E con quali probabilità di successo? Soprattutto: che impatto ha già, sul sistema, il semplice fatto che se ne parli? Per Giannuli, in pole position è saldamente il supremo tecnocrate della Bce, che Gioele Magaldi (nel libro “Massoni”, del 2014) presenta come autorevole leader della supermassoneria internazionale reazionaria, espressione dell’élite neo-feudale che, con l’ideologia del rigore, ha azzerato gli storici diritti sociali conquistati negli anni ‘70.
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“Londra colpita perché vuole smarcarsi dal peggior potere”
Inghilterra nel mirino, e non a caso: dopo lo strappo della Brexit, Londra ha scelto di non stare più dalla parte dell’élite maggiormente reazionaria, neoliberista sul piano economico e neo-feudale a livello politico, ben rappresentata da creazioni-mostro come l’attuale Unione Europea. “Logico”, sotto questo profilo, che la Gran Bretagna sia finita sotto attacco: prima l’attentato-kamikaze di Londra e ora quello di Manchester, la cui “firma” (non certo islamica ma esoterico-massonica) sta proprio nella sua data, 22 maggio. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, scrittore e simbologo, autore del libro “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016. «I mandanti di questo neoterrorismo artificiale sono sempre gli stessi, con modalità operative che ormai si ripetono in modo regolare»: una manovalanza di matrice jihadista in realtà “coltivata” da settori dei servizi segreti, per eseguire attentati puntualmente “firmati”, in codice, come per dire: sì, siamo stati noi. «Io la chiamo sovragestione», precisa Carpeoro, alludendo a un vertice mondiale occulto, composto da superlogge reazionarie e poteri finanziari. «Stanno cercando di fabbricare una nuova classe dirigente planetaria, ma evidentemente l’Inghilterra non si è ancora allineata: per questo viene colpita».Secondo Carpeoro, in diretta streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, c’è da aspettarsi clamorose sorprese, dal Regno Unito che si è sganciato da Bruxelles: «L’Inghilterra, che è la patria storica della massoneria (che vi ha piena cittadinanza istituzionale), sta vivendo uno scontro sempre più acceso nell’establishment, dove – anche a livello massonico – emergono spinte di carattere progressista e addirittura socialista». In più, aggiunge Carpeoro, si accumulano le tensioni in vista delle elezioni per rafforzare il divorzio da Bruxelles, senza contare le pulsioni separatiste come quella della Scozia. In altre parole, l’Inghilterra è in pieno fermento e non è ancora chiaro come si ridislocherà sul piano geopolitico: è questo, insiste Carpeoro, a inquietare gli strateghi occulti della “sovragestione”, gli stessi che hanno “fabbricato” l’Isis e vorrebbero puntare tutto sul business della guerra, dopo aver trasformato il Medio Oriente in un inferno senza vie d’uscita. Londra vorrebbe smarcarsi? Gli attentati-kamikaze sono un avvertimento, «rivolto nel caso di Manchester soprattutto ai giovani, cioè al futuro della nazione: un monito esplicito ai suoi governanti».Il problema, aggiunge Carpeoro, è che non ci sono vere soluzioni in vista: «Lo scontro in Europa è tra chi vorrebbe mantenere l’impresentabile l’Ue così com’è, in perenne crisi, e chi invece vorrebbe smantellare l’Unione per tornare agli Stati nazionali. Non è ancora in campo un credibile progetto di riforma politica, sociale ed economica dell’Europa». Forse qualcosa si sta muovendo, in questo senso, proprio in Inghilterra: rimarrà nella storia lo choc per la separazione dall’oligarchia di Bruxelles. Nebbia fitta invece in Italia, paese che infatti è stato finora risparmiato dal terrorismo finto-islamico. E questo per varie ragioni, spiega sempre Carpeoro: «I nostri servizi segreti hanno disposto una rete di protezione efficiente, tale da rendere complicata l’attuazione di attentati in Italia, paese che – peraltro – grazie alla leadership politica del passato, ha sviluppato rapporti non conflittuali con il mondo arabo». Ma vale anche la geopolitica recente: «L’Italia non si è ancora impegnata, in modo diretto, militare, nelle aree dell’Isis». Forse però l’ultima ragione è la più importante: «A livello internazionale, l’Italia conta zero», sottolinea Carpeoro, che aggiunge: «Al posto di Gentiloni, ripetutamente umiliato al G7 di Taormina, io avrei sciolto il vertice e rimandato a casa Trump, la Merkel e Theresa May».Quanto alla “cabala” del numero 22, nessun mistero: lo stesso giorno (marzo 2016) i soliti “terroristi islamici” colpirono Bruxelles sia nella metropolitana che all’aeroporto, «secondo un preciso schema simbolico, “come in cielo, così in terra”, ben noto al mondo esoterico». Il cosiddetto “codice segreto” legato al numero 22, aggiunge Carpeoro, discende dall’archeologia dei Sumeri e dalla successione dei loro re. «Un sistema numerico da cui poi il mondo iniziatico ha tratto un codice per costruire, scrivere, dipingere, fare musica». Anche quella di Manchester – 22 maggio, ore 22 – è dunque una “firma” estremamente precisa, rivolta a chi può “leggerla” nel modo corretto. A partire dalla stessa Theresa May, che infatti avverte: «Ci aspettiamo altri attentati». Come dire: gli attentatori – i loro mandanti occulti – non credano di averci intimidito. «Dall’Inghilterra mi aspetto di tutto», conferma Carpeoro: «Quel paese sta cambiando i suoi assetti e non ha ancora deciso con chi schierarsi, nel grande gioco mondiale del potere, di cui questo neoterrorismo non è che uno degli strumenti, il più feroce».Inghilterra nel mirino, e non a caso: dopo lo strappo della Brexit, Londra ha scelto di non stare più dalla parte dell’élite maggiormente reazionaria, neoliberista sul piano economico e neo-feudale a livello politico, ben rappresentata da creazioni-mostro come l’attuale Unione Europea. “Logico”, sotto questo profilo, che la Gran Bretagna sia finita sotto attacco: prima l’attentato-kamikaze di Londra e ora quello di Manchester, la cui “firma” (non certo islamica ma esoterico-massonica) sta proprio nella sua data, 22 maggio. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, scrittore e simbologo, autore del libro “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016. «I mandanti di questo neoterrorismo artificiale sono sempre gli stessi, con modalità operative che ormai si ripetono in modo regolare»: una manovalanza di matrice jihadista in realtà “coltivata” da settori dei servizi segreti, per eseguire attentati puntualmente “firmati”, in codice, come per dire: sì, siamo stati noi. «Io la chiamo sovragestione», precisa Carpeoro, alludendo a un vertice mondiale occulto, composto da superlogge reazionarie e poteri finanziari. «Stanno cercando di fabbricare una nuova classe dirigente planetaria, ma evidentemente l’Inghilterra non si è ancora allineata: per questo viene colpita».
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Massoneria? Un mistero solo per le facce di bronzo della Tv
La massoneria è un potere forte, anzi fortissimo: peccato che sui giornali e nei talkshow televisivi si preferisca il pettegolezzo sulla piccola massoneria nostrana, ignorando deliberatamente l’unica fonte che, in Italia, ha messo nero su bianco nomi e cognomi della supermassoneria internazionale, quella che conta. Supermassoneria conservatrice, alla quale appartiene lo stesso neopresidente francese Emmanuel Macron: e alla medesima porta «hanno ripetutamente bussato sia Matteo Renzi che l’ex direttore del “Corriere”, Ferruccio De Bortoli, lo stesso che ora (nel libro “Poteri forti”) polemizza con Renzi evocando l’ombra della massoneria toscana su Maria Elena Boschi e Banca Etruria». Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), dalle pagine web di “Affari Italiani” si rivolge direttamente «ai vari Lilli Gruber, Giovanni Floris, Luca Telese, Corrado Formigli, Enrico Mentana, Gianluigi Paragone, Bruno Vespa». Giornalisti e frontman che, «con rara faccia di bronzo, in questi anni hanno parlato di qualsiasi tematica attinente da vicino o da lontano la massoneria e il potere, ma si sono scientificamente cimentati nella censura e nella rimozione del libro “Massoni”, nonostante la grande diffusione del volume in Italia e all’estero».La polemica tra De Bortoli, Boschi e Renzi su Banca Etruria «è una vicenda piena di ipocrisia, doppi e tripli sensi, surrealtà e vecchi rancori», afferma Magaldi. La Boschi? «Ha fatto bene a interessarsi del possibile salvataggio di Banca Etruria, essendo una parlamentare del territorio dove la banca operava». Semmai, «ha fatto male a negare di averlo fatto: una brutta abitudine, quella di negare l’evidenza, che l’accomuna spesso allo stesso Renzi». Quanto alla telefonata tra i due Renzi, padre e figlio, intercettata dagli inquirenti e poi pubblicata dal “Fatto Quotidiano”, per Magaldi si tratta di «una pantomima», nella quale il figlio tratta il padre, Tiziano, «apparentemente in modo rude e con tono inquisitorio». Secondo Magaldi «si tratta di un’operazione preventiva, per poter un giorno utilizzare questa scenetta quale dimostrazione dell’assoluta estraneità di Matteo ai maneggi e alle relazioni “pericolose” del padre». Peccato, però, che il sistema di potere di cui Renzi junior ha beneficiato nella prima parte della sua ascesa, aggiunge Magaldi, si sia fondato «anche su tutta una serie di rapporti con personaggi toscani (alcuni massoni e altri no) collegati agli interessi imprenditoriali ed economici di Renzi senior, all’interno di un più complessivo groviglio di legami tra politica, istituzioni e cenacoli privati alla ricerca di profitti, tra Firenze e territori contigui».Massoneria e banche? Senz’altro: si tratta di un rapporto «storicamente evidente». Vale anche per Banca Etruria, «benemerita banca dedita al credito popolare», fondata da massoni e a lungo «ottimamente gestita dal “fratello” massone Elio Faralli», prima che subentrassero quelli che Stefano Bisi, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, chiama “bischeri”, massoni e non. «Ma in tutta questa vicenda – insiste Magaldi su “Affari Italiani” – il personaggio più in malafede appare proprio Ferruccio De Bortoli». Un giornalista che, sempre secondo Magaldi, «durante tutta la sua carriera ha sempre cercato di essere ammesso ai salotti più esclusivi dell’aristocrazia massonica euro-atlantica». Solo che «non c’è mai riuscito», come del resto lo stesso Renzi, «da anni aspirante apprendista massone presso superlogge sovranazionali, visto che le amicizie massoniche di medio-basso calibro del padre Tiziano potevano essere buone per arrivare a governare la Provincia e il Comune di Firenze, ma non erano e non sono certo sufficienti a puntellare e a consolidare la traiettoria nazionale e internazionale delle ambizioni renziane».Sia De Bortoli che Renzi, aggiunge Magaldi, hanno spesso sfiorato l’accesso al “salotto buono”: «In tempi diversi, tra diverse Ur-Lodges presso cui hanno “bussato” (mediante intermediari), si sono trovati entrambi a un soffio dall’essere accolti dalla superloggia moderata “Atlantis-Aletheia”», una “officina” internazionale di cui fa peraltro fa parte «il massone Emmanuel Macron, neoeletto presidente francese». Incongruenza tutta italiana: «Trovo davvero ipocrita che De Bortoli si metta a cianciare in stile genericamente antimassonico di rapporti tra “massoneria e banche”, riguardo alla vicenda Etruria, ma si sia sempre guardato bene (al pari di quasi tutto il sistema giornalistico italiano) dall’evocare la questione della responsabilità che hanno avuto massoni neoaristocratici come Mario Draghi e Anna Maria Tarantola (all’epoca ai vertici di Bankitalia) nella pessima gestione del Monte dei Paschi di Siena, con riferimento sia all’acquisizione di Banca Antonveneta che ad altre non meno scabrose questioni». Non solo: «Trovo gravissimo – aggiunge Magaldi – che in contesti come la trasmissione “Otto e Mezzo” condotta da Lilli Gruber, così come in altri talk-show televisivi italiani, venga data occasione a De Bortoli e ad altri di pontificare genericamente di legami tra massoneria e banche, massoneria e affari, massoneria e poteri opachi o poteri forti, senza che nessuno si sia mai preso la briga di citare e discutere le precise informazioni e le puntualissime narrazioni (con nomi, cognomi, sigle, date e circostanze) degli intrecci tra la “libera muratoria” e il potere contenute nel libro “Massoni. Società a responsabilità illimitata”», edito già a fine 2014.Lilli Gruber – ed altri suoi colleghi del piccolo schermo – invitano “cani e porci”, «inesperti di questioni latomistiche o carichi di veleni antimassonici per qualche mancata affiliazione», a parlare di massoneria e potere in televisione, presentando «miriadi di libri privi di reale interesse per la pubblica opinione», ma al tempo stesso «evitano come la peste», anzi «censurano da anni» le straordinarie rivelazioni del libro “Massoni”, appena sbarcato anche in Spagna e Sud America, e di cui sta per uscire il sequel, significativamente intitolato “Globalizzazione e massoneria”. Perché dunque rifiutarsi di far approdare nel mainstream una precisa lettura del legame tra massoneria e potere, in primis in ambito finanziario? Forse perché quegli stessi media mainstream, «da qualche decennio, e non solo i Italia, sono in buona parte caduti nelle mani di ambigui segmenti massonici “contro-iniziatici”, traditori dei valori progressisti di libertà, uguaglianza e fratellanza che contraddistinguono da secoli l’autentica “libera muratoria”». Meglio allora evitare che il pubblico televisivo condivida “la scoperta delle Ur-Lodges”, cioè le 36 superlogge mondiali che rappresentano il “back office” del vero potere. Inclusa la “Atlantis Aletheia”, quella di Macron: la superloggia che, secondo Magaldi, si sarebbe rifiutata finora di accogliere i “bussanti” De Bortoli e Renzi.La massoneria è un potere forte, anzi fortissimo: peccato che sui giornali e nei talkshow televisivi si preferisca il pettegolezzo sulla piccola massoneria nostrana, ignorando deliberatamente l’unica fonte che, in Italia, ha messo nero su bianco nomi e cognomi della supermassoneria internazionale, quella che conta. Supermassoneria conservatrice, alla quale appartiene lo stesso neopresidente francese Emmanuel Macron: e alla medesima porta «hanno ripetutamente bussato sia Matteo Renzi che l’ex direttore del “Corriere”, Ferruccio De Bortoli, lo stesso che ora (nel libro “Poteri forti”) polemizza con Renzi evocando l’ombra della massoneria toscana su Maria Elena Boschi e Banca Etruria». Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), dalle pagine web di “Affari Italiani” si rivolge direttamente «ai vari Lilli Gruber, Giovanni Floris, Luca Telese, Corrado Formigli, Enrico Mentana, Gianluigi Paragone, Bruno Vespa». Giornalisti e frontman che, «con rara faccia di bronzo, in questi anni hanno parlato di qualsiasi tematica attinente da vicino o da lontano la massoneria e il potere, ma si sono scientificamente cimentati nella censura e nella rimozione del libro “Massoni”, nonostante la grande diffusione del volume in Italia e all’estero».
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Attali: bavaglio al web. Parguez: francesi, ora siete nei guai
«C’erano due opzioni, nel ballottaggio francese per l’Eliseo: estrema destra, contro estrema destra». A formulare l’amara battuta è l’economista francese Alain Parguez, già consigliere di Mitterrand. Fu lui a denuciare il ruolo-ombra, nella storica presidenza socialista, del supermassone reazionario Jacques Attali, il mentore di Macron, l’uomo a cui è attribuita la frase più sinistra, riguardo alla natura del regime oligarchico Ue: «Ma cosa crede, la plebaglia europea, che l’euro l’abbiamo fatto per la loro felicità?». Dopo l’esperienza con Mitterrand, Attali ha lavorato con Sarkozy per poi lanciare il giovane Macron. «Ora avrebbe voluto essere parte del progetto di Macron, ma per quanto ne so è in disgrazia, nonostante le foto che girano», dichiara Parguez a Ivan Invernizzi di “Rete Mmt”. Nessun dubbio sulle prossime mosse di Macron: «Calcherà la mano con l’austerità ancor più di quanto non sia già stato fatto, distruggendo ciò che rimane di Stato sociale». Sul suo sito, lo stesso Attali – a caldo – descrive «l’immensità della gioia» provata per l’elezione del pupillo Macron, che ora ha davanti una sfida enorme: risollevare la Francia dalla crisi. Come? Tanto per cominciare, mettendo il bavaglio al web.I social media, scrive Attali, sono il luogo della violenza scatenata. «E anche se questa violenza è anonima, dice una verità: quando sei debole, devi gridare e persino insultare, in modo da poter essere ascoltato». Tuttavia, aggiunge, «sarà senza dubbio necessario completare i meccanismi esistenti, per far sì che scompaiano più in fretta tutte le menzogne e le diffamazioni che le reti sociali trasmettono così spesso». Un bel repulisti del web, ovviamente «nel pieno rispetto della democrazia». Dice sul serio, Attali: «Ogni parola deve essere pesata», puntando il dito contro certi contenuti e contro «coloro che possono, in mala fede, caricarli». Questa è la prima – e unica – ricetta che l’oligarca Attali si sente di raccomandare a Macron, dopo aver ammesso che «il paese è in uno stato terribile», visto che «c’è una grande privazione sociale e la meritocrazia è rotta». Vasta sofferenza, «al di là delle statistiche sulla disoccupazione e sulla povertà: molte persone percepiscono ansia di fronte a una simile povertà, anche se non lo sperimentano», e vedono compromesso l’avvenire dei propri figli. Il paese, riconosce Attali, «è profondamente diviso tra coloro che credono di poter avere un futuro migliore e coloro che pensano che solo il ritorno al passato possa salvare la nostra identità». La Francia è divisa, «tra coloro che credono che la ricchezza sia scandalosa e chi pensa che sia scandalosa la povertà».Jacques Attali, finanziere e banchiere internazionale, ci tiene a fotografare il suo protetto Macron, già attivo nel ramo francese della banca Rothschild, come personaggio presentabile, benché ricchissimo: «Non dobbiamo considerare il successo come sospetto e il risultato come malsano». Poi, piange un po’: «La consapevolezza etica del paese non esiste più. Tutti i principi che ci hanno tenuti insieme sono stati messi in discussione. I partiti politici che esistono da 100 anni sono crollati». Lacrime di coccodrillo: se è venuto giù un sistema, demolito dalle fondamenta, lo si deve all’edificazione oligarchica dell’Ue e dell’Eurozona, di cui proprio Attali è stato uno dei massimi architetti. E’ in corso una catastrofe, certo. E questo, chiosa l’anziano Alain Parguez, «mi auguro porterà le persone a radicalizzarsi politicamente». Ma non c’è da contarci troppo: sono tutti scoraggiati, ammette, e non c’è nessuno capace di mobilitare energie sul piano intellettuale. Parguez sostiene che, a questo, si è arrivati anche con il provvidenziale terrorismo a orologeria, targato Isis, utile a seminare il panico e indurre scelte elettorali considerate rassicuranti. Il terrorismo che la colpito la Francia è una provocazione, «è l’incendio del Reichstag». Solo che le pecorelle sono corse dalla parte sbagliata, verso il lupo che le sbranerà: più rigore per tutti, e – come suggerisce Attali – meno proteste sul web.«C’erano due opzioni, nel ballottaggio francese per l’Eliseo: estrema destra, contro estrema destra». A formulare l’amara battuta è l’economista francese Alain Parguez, già consigliere di Mitterrand. Fu lui a denuciare il ruolo-ombra, nella storica presidenza socialista, del supermassone reazionario Jacques Attali, il mentore di Macron, l’uomo a cui è attribuita la frase più sinistra, riguardo alla natura del regime oligarchico Ue: «Ma cosa crede, la plebaglia europea, che l’euro l’abbiamo fatto per la loro felicità?». Dopo l’esperienza con Mitterrand, Attali ha lavorato con Sarkozy per poi lanciare il giovane Macron. «Ora avrebbe voluto essere parte del progetto di Macron, ma per quanto ne so è in disgrazia, nonostante le foto che girano», dichiara Parguez a Ivan Invernizzi di “Rete Mmt”. Nessun dubbio sulle prossime mosse di Macron: «Calcherà la mano con l’austerità ancor più di quanto non sia già stato fatto, distruggendo ciò che rimane di Stato sociale». Sul suo sito, lo stesso Attali – a caldo – descrive «l’immensità della gioia» provata per l’elezione del pupillo Macron, che ora ha davanti una sfida enorme: risollevare la Francia dalla crisi. Come? Tanto per cominciare, mettendo il bavaglio al web.
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Magaldi: il supermassone Macron è un bambino nato morto
«Se avesse vinto Marine Le Pen, forse il ripensamento sull’Europa sarebbe stato più rapido. Così invece, per scuotersi, bisognerà soffrire la continuazione della stagnazione, per la Francia e per l’Europa. Vale quello che dissi tanti anni fa per Berlusconi: lasciatelo governare, e si capirà che è un cattivo statista». Gioele Magaldi non ha dubbi: Emmanuel Macron riuscirà nella “missione impossibile” di far rimpiangere addirittura Hollande, passato alla storia come il meno stimato di tutti i presidenti francesi: «Macron è il prodotto “surgelato”, preconfezionato e perfetto per non cambiare nulla, cioè per riproporre quella stessa subalternità politica, istituzionale e sostanziale nell’adesione a un certo paradigma economico che hanno avuto Sarkozy e Hollande». Lo strano entusiasmo manifestato anche dal mainstream italiano per il neo-inquilino dell’Eliseo, paragonato a Renzi all’insegna del “nuovo”? Ma no: «Renzi e Macron sono vecchi: sono personaggi vecchi, anche se appaiono giovani grazie ai loro modi pieni di ritmo». E attenzione, non hanno un gran futuro davanti: «Così come Renzi non inganna più nessuno – la sua vittoria nel Pd è un po’ il canto del cigno – così Macron è un bambino nato morto, politicamente».All’indomani del voto francese, in collegamento con David Gramiccioli di “Colors Radio”, si esprime senza mezzi termini il massone progressista Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata”. Emmanuel Macron, insiste Magaldi, rappresenta «la perfetta continuità rispetto a quello che è stato il mediocre Hollande», ma forse il successore «ha capacità anche minori di Hollande, che era un oscuro burocrate di partito ma almeno aveva una sua “praticaccia”: Macron invece non ha altrettanta esprienza». Già banchiere Rothschild, ha fatto il consulente e poi il ministro proprio di Hollande. In più è il pupillo del supermassone reazionario Jacques Attali. Non a caso, aggiunge Magaldi, lo stesso Macron vanta precise ascendenze massoniche, «nella Ur-Lodge “Fraternitè Verte” dove lo ha portato lo stesso Hollande, e nell’ambigua superloggia “Atlantis Aletheia”, dove hanno convissuto moderati, sedicenti progressisti e reali conservatori; un circuito che fu importante, a suo tempo, nel traghettare la dittatura dei colonnelli in Grecia verso il ritorno alla democrazia».Il suo mentore Attali? «Un raffinato massone, un intellettuale di spessore», ma che purtroppo «operando sul versante del sedicente centro-sinistra ha compartecipato alla costruzione di quest’Europa matrigna, tecnocratica e oligarchica». Un’operazioni cosmetica, quella che ha portato Macron all’Eliseo. E, nonostante i lodevoli sforzi per rendere più laica la sua piattaforma, Marine Le Pen non poteva vincere: «Con un’avversaria così, impossibilitata a diventare maggioritaria, vincerà sempre l’altro, il candidato della continuità con questa gestione pessima dell’Europa». Magaldi poi sorride, di fronte a «tutta questa empatia sbandierata da Gentiloni e Renzi per Macron», e spiega: «Sarebbe come esultare se in Germania vincesse Schulz sulla Merkel – due che sono come i ladri di Pisa, litigano di giorno ma poi, la notte, vanno a rubare insieme». Stessi programmi, identico paradigma per l’Europa. «Macron riprodurrà quello stile renziano, fatto di velleitari distinguo rispetto all’austerity, apparenti “abbaiamenti” per chiedere lo 0,1% in più di spesa pubblica. E Macron non avrà nemmeno bisogno di abbaiare molto, perché alla Francia è stato sempre concesso tutto: in questa gestione dell’Europa, alla Francia la mancia è sempre stata assicurata, senza che nemmeno la chiedesse».Completamente da bocciare, quindi, ogni investimento di credito nei confronti di Macron. Se non altro, «il nuovo quinquennio servirà a smascherare definitivamente tutti questi impostori, che prendono sul serio l’idea renziana-macroniana dei piccoli aggiustamenti, riverniciata di gioventù e ottimismo, come se i piccoli aggiustamenti bastassero davvero a correggere il percorso europeo». Per Magaldi, in questa Europa, «il dramma è che al vertice di governi e istituzioni ci sono solo dei pesci lessi, che stanno lì e amministrano un copione scritto da altri, e lo fanno in modo grigio». Che fare? «Più che indignarsi, c’è da rimboccarsi le maniche e costruire coalizioni realmente progressiste, sia in Francia che in Italia che altrove, uscendo da questa ormai insopportabile narrazione “destra, centro, sinistra” che ha perso di senso, mentre ha sempre più senso la divaricazione tra chi vuole conservare l’attuale paradigma politico-economico e chi vuole progredire su un’altra via».Di una cosa, Magaldi è assolutamente certo: Renzi e Macron «vengono entrambi da una tarda interpretazione della cosiddetta “terza via” enunciata a suo tempo da Anthony Giddens», il sociologo che ispirò Bill Clinton e Tony Blair negli anni ‘90. Ovvero: «L’idea che la sinistra – laburista, democratica, post-socialista – nel nuovo millennio non dovesse proporre paradigmi alternativi a quello del neoliberismo ormai imperante, da Thathcher e Reagan in poi, con tutto il lavorio supermassonico di corredo». Quella sinistra doveva azzerare i diritti, e l’ha fatto: rigore nei bilanci pubblici, svalutazione della sfera pubblica, deregulation senza contrappesi. «Alla sinistra spettava il ruolo di dare una spruzzata di benevolenza sociale e di solidarietà più sbandierata che praticata. Quindi: smantellamento sistematico del welfare system, e una serie di iniziative economico-finanziarie non troppo dissimili da quelle predicate, con più asprezza, dai teorici fanatici del neoliberismo». Questa è stata la “terza via”. «E chi oggi in Italia contesta Renzi da posizioni di “sedicente sinistra”? Massimo D’Alema, che da presidente del Consiglio è stato uno degli interpreti “all’amatriciana” di quella strada. Così è stato Bersani, che oggi si presenta come contestatore. E così è Renzi, a distanza di vent’anni».«Se avesse vinto Marine Le Pen, forse il ripensamento sull’Europa sarebbe stato più rapido. Così invece, per scuotersi, bisognerà soffrire la continuazione della stagnazione, per la Francia e per l’Europa. Vale quello che dissi tanti anni fa per Berlusconi: lasciatelo governare, e si capirà che è un cattivo statista». Gioele Magaldi non ha dubbi: Emmanuel Macron riuscirà nella “missione impossibile” di far rimpiangere addirittura Hollande, passato alla storia come il meno stimato di tutti i presidenti francesi: «Macron è il prodotto “surgelato”, preconfezionato e perfetto per non cambiare nulla, cioè per riproporre quella stessa subalternità politica, istituzionale e sostanziale nell’adesione a un certo paradigma economico che hanno avuto Sarkozy e Hollande». Lo strano entusiasmo manifestato anche dal mainstream italiano per il neo-inquilino dell’Eliseo, paragonato a Renzi all’insegna del “nuovo”? Ma no: «Renzi e Macron sono vecchi: sono personaggi vecchi, anche se appaiono giovani grazie ai loro modi pieni di ritmo». E attenzione, non hanno un gran futuro davanti: «Così come Renzi non inganna più nessuno – la sua vittoria nel Pd è un po’ il canto del cigno – così Macron è un bambino nato morto, politicamente».
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Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi. E nacque la Francia
«Tuez-les tous, Dieu reconnaîtra les siens»: intanto uccideteli tutti, sarà poi Dio a riconoscere i suoi, distinguendo i fedeli dagli eretici. Frase terribile, attribuita all’abate cistercense Arnaud Amary, legato pontificio, nel 1209 di fronte alle mura della città rivierasca di Béziers, ferocemente assediata e annientata, con lo sterminio dell’intera popolazione, nel corso della prima e unica grande crociata in terra europea, quella contro gli Albigesi. L’inaudito massacro di Béziers, “colpevole” di tollerare la presenza di 200 càtari, smuove la geopolitica medievale europea: a fianco della Linguadoca assediata scende in campo la potente armata spagnola del re d’Aragona: Pietro II è un campione della cristianità, ma non può sopportare la “desmesura” della ferocia dei crociati. Lo scontro avviene a Muret, alle porte di Tolosa, nel 1213: lo schieramento occitanico-catalano è soverchiante, almeno il doppio dell’esercito papale, ma viene sconfitto. Quei cavalieri “combattevano come in un torneo”, cioè lealmente, scrive la “Canso”, il poema della crociata albigese. I difensori dei càtari credevano in un ideale cavalleresco intraducibile, dall’occitano: il Paratge. Onestà, coraggio, capacità di sacrificarsi per il debole. Da quel massacro nacque la Francia. E, scrive Simone Veil, morì l’ultima reincarnazione europea della Grecia di Pericle, il culto della bellezza, della tolleranza (la libertà di religione). La democrazia ateniese.La disfatta di Muret fu l’inizio della fine per l’orgogliosa e libera contea di Tolosa, dove vivevano musulmani nei loro villaggi, le finanze della contea erano gestite dagli ebrei sefarditi fuggiti dall’Andausia, e i càtari potevano liberamente disputare di religione, in chiesa, accanto al clero cattolico. A scatenare il terrore non fu solo la pericolosità dell’eresia dualista incarnata dal catarismo balcanico introdotto in Linguadoca attraverso la Lombardia: un cristianesimo “alternativo” che riteneva il mondo materiale opera del Dio Straniero, il “principio del male”, paragonabile al Demiurgo degli gnostici e, prima ancora, ad Ahriman, l’antagonista della divinità celeste di Zoroastro. L’adesione al catarismo comportava la rinuncia alla proprietà privata e il divieto assoluto di giurare – decisamente eversivo in un sistema, come quello feudale, interamente basato sull’istituto del giuramento, per legittimare ogni forma di potere terreno, che si pretendeva investito dall’alto. La notizia sconvolgente, per il Vaticano, non era solo il dilagare dei “buoni cristiani”: Roma cominciò a tremare, al punto da scatenare la guerra, quando vide che ad aderire al catarismo non era solo la plebe, ma anche l’aristocrazia occitanica, la classe dirigente nobiliare di quella che, allora, era una delle regioni più evolute d’Europa, sul piano economico, sociale e culturale: fioriva la civiltà letteraria dei trovatori, in prospere cittadine dove il governo aristocratico era condiviso da “consoli” regolarmente eletti.Nel 1213, osserva la Veil nel libro-capolavoro “I Càtari e la civiltà mediterranea”, gli Stati feudali di Tolosa e Barcellona, accomunati persino dalla lingua (occitano e catalano sono lingue “gemelle”), rappresentavano una parte considerevole d’Europa: se avessero vinto, sostiene l’autrice, avremmo visto nascere un’altra Europa, con meno guerre e senza nessun Hitler, fondata su valori diversi dal “culto della forza” incarnato dai crociati, eredi dell’Impero Romano. Per veder risorgere la libertà di culto, sempre in Francia, c’è voluto mezzo millennio: il secolo dei Lumi, la presa della Bastiglia. Quindi la rivoluzione industriale e l’evoluzione continua della società, fino al socialismo. Oggi, sostengono svariati critici, siamo tornati – con l’Unione Europea – a un sistema neo-feudale. Il nuovo presidente francese Macron, già banchiere Rothschild ed ex ministro dell’incolore Hollande, prono ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, è una “creatura” di Jacques Attali, storico esponente della supermassoneria internazionale reazionaria. In molti hanno guardato alle elezioni francesi del 2017 come a un passaggio cruciale, storico: la possibilità di ribaltare il paradigma del rigore imposto dall’élite o, viceversa, la riaffermazione dell’ancient régime: non più militare ma elettorale, benché sospinta dalla paura, dopo anni di strategia della tensione affidata a un opaco terrorismo domestico, al servizio della logica perversa del dominio.«Tuez-les tous, Dieu reconnaîtra les siens»: intanto uccideteli tutti, sarà poi Dio a riconoscere i suoi, distinguendo i fedeli dagli eretici. Frase terribile, attribuita all’abate cistercense Arnaud Amaury, legato pontificio, nel 1209 di fronte alle mura della città rivierasca di Béziers, ferocemente assediata e annientata, con lo sterminio dell’intera popolazione, nel corso della prima e unica grande crociata in terra europea, quella contro gli Albigesi. L’inaudito massacro di Béziers, “colpevole” di tollerare la presenza di 200 càtari, smuove la geopolitica medievale europea: a fianco della Linguadoca assediata scende in campo la potente armata spagnola del re d’Aragona: Pietro II è un campione della cristianità, ma non può sopportare la “desmesura” della ferocia dei crociati. Lo scontro avviene a Muret, alle porte di Tolosa, nel 1213: lo schieramento occitanico-catalano è soverchiante, almeno il doppio dell’esercito papale, ma viene sconfitto. Quei cavalieri “combattevano come in un torneo”, cioè lealmente, scrive la “Canso”, il poema della crociata albigese. I difensori dei càtari credevano in un ideale cavalleresco intraducibile, dall’occitano: il Paratge. Onestà, coraggio, capacità di sacrificarsi per il debole. Da quel massacro nacque la Francia. E, scrive Simone Veil, morì l’ultima reincarnazione europea della Grecia di Pericle, il culto della bellezza, della tolleranza (la libertà di religione). La democrazia ateniese.