Archivio del Tag ‘Regina d’Inghilterra’
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Si scrive Brexit, ma si legge Commonwealth. E addio Merkel
Con la Brexit c’è una parte d’Inghilterra che si vuole riposizionare geopoliticamente, privilegiando i rapporti commerciali con l’area del Pacifico, l’India, l’Australia e il Canada, e al tempo stesso vuole liberarsi dei lacci e lacciuoli dell’Unione Europea. E’ un processo non facile e lungo, come stiamo vedendo, scrive Massimo Bordin su “Micidial”: «L’economia è un fatto commerciale e monetario, ma nel caso inglese quello monetario è secondario, avendo Londra sempre conservato la sterlina come moneta nazionale». Detto diversamente, l’Inghilterra ha voluto (e sta cercando di) uscire dall’Unione Europea «perché Bruxelles lega i paesi membri attraverso un sistema doganale che avvantaggia alcuni paesi a scapito di tutti gli altri, sfasandone le bilance commerciali». In Italia, ad esempio, «molti media da anni difendono il mercato comune, sottolineando i tanti vantaggi che la fine delle barriere doganali avrebbe portato al paese». Per Bordin, questa visione «è miope e in malafede», perchè proprio quando negli anni ‘90 l’Unione si stava burocratizzando al suo interno, «il resto del mondo procedeva a instaurare nuovi rapporti commerciali, rendendo obsoleto il modello tedesco».Quello di Berlino, aggiunge Bordin, è un modello che porta vantaggi solo alla Germania, all’Austria e ai paesi del Benelux, penalizzando il resto d’Europa. «L’Inghilterra se n’è accorta per prima e ha pensato bene di andarsene, anche e soprattutto perchè ha fondato nei secoli scorsi il Commonwealth». Per chi non lo sapesse, ci sono 53 paesi che oggi appartengono allo storico network a guida britannica. «Tutti insieme fanno 2,2 miliardi di popolazione, sparsi in tutti i continenti del mondo, e in 16 di questi 53 paesi la Regina d’Inghilterra è anche il capo di Stato». Il termine Commonwealth può sembrare curioso, ma non è altro che un concetto della lingua inglese coniato da Oliver Cromwell durante la prima Rivoluzione Inglese. «La frase originale da cui esso deriva è “common wealth” o “the common weal”, e viene dal vecchio significato di “wealth”, che è “benessere”». Il termine, aggiunge Bordin, è stato poi utilizzato per identificare il Commonwealth delle Nazioni, un’organizzazione che unisce Stati che in passato erano parte dell’Impero Britannico (ammesso che abbia mai cessato di esistere).Sotto un profilo meramente logico, conclude Bordin, per gli inglesi è più intelligente commerciare col resto del mondo alle loro regole, piuttosto che con mezzo miliardo di europei con le regole tedesche. «Il motivo dei mancati accordi subiti dalla May sta tutto in questo fatto». Al contrario, i media e i documenti ufficiali «puntano a spiegarci la Brexit e le sue difficoltà sulla scorta di confini irlandesi, proroghe, divisioni parlamentari». Ma è tutta aria fritta, sostiene Bordin, secondo cui le vere difficoltà della Brexit «stanno nella posta in gioco, che è il commercio internazionale e le sue regole». O meglio: «L’impossibilità per gli inglesi di negoziare tariffe agevolate con i paesi extraeuropei». Ecco perchè il cosiddetto “no deal” «dovrebbe spaventare molto più Berlino che Londra». Per l’eventuale uscita senza accordo sono tutti in fibrillazione, ma secondo Bordin nel Regno Unito non accadrà proprio nulla. «E sarà persino divertente vedere come, dopo l’uscita “hard” della perfida Albione, tutti faranno finta di non aver mai evocato l’apocalisse».Con la Brexit c’è una parte d’Inghilterra che si vuole riposizionare geopoliticamente, privilegiando i rapporti commerciali con l’area del Pacifico, l’India, l’Australia e il Canada, e al tempo stesso vuole liberarsi dei lacci e lacciuoli dell’Unione Europea. E’ un processo non facile e lungo, come stiamo vedendo, scrive Massimo Bordin su “Micidial”: «L’economia è un fatto commerciale e monetario, ma nel caso inglese quello monetario è secondario, avendo Londra sempre conservato la sterlina come moneta nazionale». Detto diversamente, l’Inghilterra ha voluto (e sta cercando di) uscire dall’Unione Europea «perché Bruxelles lega i paesi membri attraverso un sistema doganale che avvantaggia alcuni paesi a scapito di tutti gli altri, sfasandone le bilance commerciali». In Italia, ad esempio, «molti media da anni difendono il mercato comune, sottolineando i tanti vantaggi che la fine delle barriere doganali avrebbe portato al paese». Per Bordin, questa visione «è miope e in malafede», perché proprio quando negli anni ‘90 l’Unione si stava burocratizzando al suo interno, «il resto del mondo procedeva a instaurare nuovi rapporti commerciali, rendendo obsoleto il modello tedesco».
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Barnard: senza scorta Saviano muore (solo come besteller)
La vita di Roberto Saviano è sacra come ogni vita, ma è la saga della sua scorta che è profana. Fate questi due esercizi: 1) Aprite su Google tutte le foto che trovate di Saviano e scorta. Guardatele bene e pensate in quante di esse vi era la piena possibilità che un killer della malavita, un professionista del tiro, lo potesse uccidere a 15-20 metri per poi saltare sul retro di una moto e scomparire. Oppure: che un cecchino potesse fare un lavoro alla Jfk e avere tutto il tempo per dileguarsi (la malavita sa sempre dove sta la vittima, le soffiate sono la regola e i depistaggi anche più sofisticati, alla lunga, non hanno mai salvato nessuno, basta leggere la storia dei grandi attentati in Medioriente dove fior di servizi segreti, anche Usa, hanno fallito). 2) Leggete l’Abc del lavoro delle scorte armate in ogni paese, da quella della Regina d’Inghilterra a quella dei capi di Stato, fino a gente come Saviano. E’ specificato con estrema chiarezza che la scorta non ha alcun mezzo diretto per evitare un assassinio quando il protetto si trovi nelle tante occasioni di esposizione alla strada pubblica. Il lavoro delle scorte in questi casi può essere solo preventivo, con una complessa serie di tecniche e misure che sono solo palliativi di efficacia molto limitata, proprio perché il cosiddetto fattore “sniper” (cecchino) non può essere direttamente contrastato in alcun modo, se non sigillando interi quartieri e sterilizzandoli con immense perquisizioni metro per metro, casa per casa. Questo non accade nel caso delle uscite di Saviano.Pensateci bene un attimo, poi continuate: i due punti sopra ci dicono che se la malavita non ha ancora ucciso Roberto Saviano è perché non ha nessuna intenzione di farlo. Non ci serve neppure ricordare le scorte di Falcone e Borsellino, serve invece ricordarsi che quando organizzazioni come le mafie internazionali decidono di ucciderti, accade, punto. Purtroppo davvero non esiste nulla di fisico che le possa fermare, meno che meno due o tre agenti che fra l’altro, come si evince inequivocabilmente dalle foto di Saviano, sono costretti a esporsi col target in decine di situazioni pubbliche persino affollate. Non è un qualche veleno che me lo fa dire, è l’evidenza sopra esposta che impone di affermare che la scorta per Saviano serve a fargli vendere libri, non a salvargli la vita. E non sto affatto “insultando” la sua presunta perdita di libertà. Sciocchezze, Saviano non è Julian Assange che sta davvero morendo nelle “catene” dell’eroe in condizioni agghiacciati; il nostro Roberto è un super-privilegiato con una libertà di esprimersi, di muoversi, e di godere di gratificazioni un milione di volte superiore a quella di qualsiasi cittadino libero.Le mafie non l’hanno ancora colpito per due ragioni evidenti, sopra a probabilmente altre. Prima, è fin ridicolo sostenere che le indagini dello scrittore – che per misteriosi motivi spiegabili solo dalla fisica quantistica, senza quasi potersi muovere da casa otterrebbe esclusive mondiali sulle cosche per cui sarebbe più in pericolo di vita di molti inquirenti – siano più letali di quelle di decine di eroici giornalisti, magistrati minori e forze dell’ordine anonimi del Sud Italia, o colombiani, venezuelani, pakistani, russi, ceceni, che nessuno conosce e che come scorta hanno solo il cane, se ne hanno uno. Questo è assurdo. Dunque perché ucciderlo e creare un putiferio? Falcone e Borsellino erano un’altra cosa, siamo tristemente seri. Secondo: l’opera di Saviano ha manifestamente offerto una dignità finora sconosciuta alla malavita, quella della celebrità mediatica come mai prima in Italia (CamorraNetflix, è ben il caso di dire oggi). In questo modo la “Saviano Inc.” ha fatto – e lo affermo senza prove documentali che sarebbero impossibili, ma con la prova dei flussi umani che sempre piovono ovunque vi sia celebrità, anche della peggior specie – ha fatto, dicevo, di certo fluire inaspettate adesioni di giovanissimi alle cosche.Esse sono oggi divenute, grazie proprio a Saviano e all’impressionante industria mediatica che lo circonda, parte del crimine “Vippismo hollywoodiano”, molto, ma molto più attraenti di prima per giovanissimi senza arte né parte. Solo lo stolto uccide la gallina dalle uova d’oro. E vi è uno storico, quanto autorevole, antecedente di quanto affermo. Il colossale apparato mediatico del film “Il Padrino” di Francis Ford Coppola attizzò l’ego della mafia di New York al punto che il super-boss Joe Colombo volle una fetta della torta in notorietà, e senza motivi di lucro collaborò col produttore Al Ruddy. E infatti è noto che dopo l’eccezionale successo di pubblico del film, per la prima volta fra i mafiosi di Little Italy comparvero atteggiamenti letteralmente copiati dal set, come i baci guancia-guancia o i giuramenti di fedeltà in stile papale all’anello del Padrino. Effetto Vip, appunto.E per chi sostiene che l’epica “saviana” ha contribuito a puntare i riflettori sulle mafie, ricordo che riflettori di Coppola, o di Scarface, o di Goodfellas, non hanno affatto contribuito a nulla, se non appunto il contrario. Ben altro funziona, come ho scritto in passato. Queste sono alcune osservazioni ragionate per stare al di sopra della “caciara” salviniana e piddina sulla questione, ma che hanno però un valore sostanziale in questa drammatica domanda: quante scorte sono elargite in Italia a insulsi personaggi benedetti dal Vippismo mentre altri eroi sconosciuti sono condannati a una vita di snervante paura? E tornando all’essenza di cosa davvero una scorta può prevenire, cioè un’infinita serie di angherie non letali contro la vittima ma di fatto distruttive, sono proprio questi abbandonati eroi che ne avrebbero più bisogno.(Paolo Barnard, “Senza la scorta Saviano muore… come bestseller”, dal blog di Barnard del 25 giugno 2018).La vita di Roberto Saviano è sacra come ogni vita, ma è la saga della sua scorta che è profana. Fate questi due esercizi: 1) Aprite su Google tutte le foto che trovate di Saviano e scorta. Guardatele bene e pensate in quante di esse vi era la piena possibilità che un killer della malavita, un professionista del tiro, lo potesse uccidere a 15-20 metri per poi saltare sul retro di una moto e scomparire. Oppure: che un cecchino potesse fare un lavoro alla Jfk e avere tutto il tempo per dileguarsi (la malavita sa sempre dove sta la vittima, le soffiate sono la regola e i depistaggi anche più sofisticati, alla lunga, non hanno mai salvato nessuno, basta leggere la storia dei grandi attentati in Medioriente dove fior di servizi segreti, anche Usa, hanno fallito). 2) Leggete l’Abc del lavoro delle scorte armate in ogni paese, da quella della Regina d’Inghilterra a quella dei capi di Stato, fino a gente come Saviano. E’ specificato con estrema chiarezza che la scorta non ha alcun mezzo diretto per evitare un assassinio quando il protetto si trovi nelle tante occasioni di esposizione alla strada pubblica. Il lavoro delle scorte in questi casi può essere solo preventivo, con una complessa serie di tecniche e misure che sono solo palliativi di efficacia molto limitata, proprio perché il cosiddetto fattore “sniper” (cecchino) non può essere direttamente contrastato in alcun modo, se non sigillando interi quartieri e sterilizzandoli con immense perquisizioni metro per metro, casa per casa. Questo non accade nel caso delle uscite di Saviano.