Archivio del Tag ‘Regno Unito’
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Crepi Lampedusa, meglio soldi sporchi da migranti ricchi
Mentre l’Unione Europea chiude le sue porte a migliaia di migranti che naufragano sulle coste siciliane, alcuni dei candidati desiderosi di stabilirsi hanno trovato un comitato d’accoglienza. Non c’è più bisogno di conoscere la lingua del paese di accoglienza, di fare prova di un particolare interesse per la sua storia e la sua cultura… basta avere il portafoglio pieno ed essere pronti ad alleggerirsi di qualche decina di milioni di euro a beneficio di un’azienda o di uno Stato. La Lettonia è stato uno dei primi paesi a vedere una fonte di guadagno potenziale nell’appartenenza all’Unione Europea. Dal 2010, questo piccolo paese sulle rive del Mar Baltico è diventato uno dei porti d’accesso all’Eldorado europeo. Nella capitale Riga, lontano dalle spiagge di Lampedusa e dei suoi “boat-people”, i candidati al permesso di soggiorno sbarcano invece negli uffici lettoni dell’immigrazione con il proprio agente immobiliare e l’interprete. La maggior parte sono russi e cinesi.La conditio sine qua non per ottenere un permesso di soggiorno è possedere un bene immobile sul suolo lettone – d’un valore minimo di 150 mila euro nella capitale, della metà di tale cifra in provincia. Alcuni, meno numerosi, hanno scelto una delle altre opzioni offerte: investire in un’azienda nazionale o piazzare 300 mila euro in una banca lettone. In cambio, un permesso di soggiorno di 5 anni che, in seguito, può diventare definitivo. Immigrati, sì, ma facoltosi. Per il governo questa manna finanziaria deve aiutare a risanare l’economia nazionale, ma anche a sostenere la demografia. In dieci anni, il paese ha perso più del 10% della sua popolazione, in parte a causa di un saldo migratorio negativo. Tra il 2010 e il 2011, data d’inizio d’entrata in funzione del dispositivo, il numero di permessi di soggiorno è raddoppiato. Il primo anno, sono stati consegnati 1.700 certificati di residenza rispondenti ai criteri d’investimento economico. Abbastanza per rilanciare gradualmente l’immigrazione – facoltosa – verso questo paese. Per il poco che la gente ci resta!Agli arrivanti non è imposta nessuna condizione di residenza sul territorio nazionale: in quanto residenti di un paese dell’Unione Europea e dell’area Schengen, sono liberi di spostarsi in Europa. In base a certi criteri, possono anche ottenere un diritto di soggiorno in un altro Stato membro. Basta provare che possiedano le risorse necessarie e un’assicurazione sanitaria, spiega Cecilia Malmström, commissario europeo per gli Affari Interni. La Lettonia non è il solo paese in Europa a proporre i nuovi visti. Quanti altri praticano questo scambio nell’Unione? Due? Cinque? Una quindicina! Ungheria, Portogallo, Malta, Paesi Bassi…da nord a sud, dai più toccati dalla crisi ai più risparmiati. La maggior parte hanno iniziato tale pratica tra il 2010 e il 2014, certi vedendoci un mezzo per attirare nuovi capitali, altri per ridinamizzare un mercato immobiliare duramente colpito dalla crisi, come la Spagna.Le condizioni iniziali variano da un paese all’altro: investimenti finanziari nell’industria, aiuto al riscatto del debito pubblico, acquisizione di un bene immobile… Si tratta soltanto di essere ricchi. La differenza sta negli importi imposti e nel monitoraggio dei nuovi residenti. Nei Paesi Bassi, dove il sistema esiste da ottobre 2013, la soglia imposta è tra le più elevate 1,25 milioni di euro piazzati nell’economia locale per ottenere un visto definitivo. Quasi allo stesso livello della Spagna che, da settembre 2013, chiede due milioni di euro di riscatto del debito pubblico. Per i “più modesti”, la penisola iberica concede anche permessi di soggiorno per un investimento immobiliare di 500 mila euro. Dal canto suo, Cipro propone dal 2012 dei permessi di soggiorno per l’acquisto di un bene per 300.000 euro, ma esige che i candidati abbiano la fedina penale immacolata, per prevenire le cattive sorprese.Dall’Irlanda a Malta: come ci si compra il diritto di vivere in Europa? Verificare chi sono i nuovi arrivanti è una condizione che forse il Portogallo avrebbe dovuto applicare quando ha lanciato il suo dispositivo nel 2012. In questo paese colpito dalla crisi, con l’avallo della Troika (Commissione Europea, Bce e Fmi), il governo portoghese di Pedro Passos Coelho (centro-destra) decide di creare a sua volta un “permesso di soggiorno per attività d’investimento”. Permessi soprannominati nel paese “vistos durados”, visti dorati. I candidati possono scegliere tra un acquisto immobiliare di almeno 500.000 euro, il trasferimento di minimo un milione di euro, o la creazione di 10 impieghi. Dalla sua applicazione, secondo le stime ufficiali il Portogallo avrebbe rilasciato 772 permessi di soggiorno, di cui 612 a cinesi. Tra questi Xiadong Wang, sistematosi dal 2013 a Cascais, sontuosa città alle porte di Lisbona. Nel marzo 2014, il cittadino cinese viene arrestato dalle autorità portoghesi. Come rivelato da un giornale locale, “Diario de Noticias”, l’uomo è ricercato in Cina per frode fiscale. Su di lui pende una pena di 10 anni di prigione. Il suo paese d’origine non l’aveva segnalato.L’elemento scatenante è stato l’inserimento del suo nome della banca dati dell’Interpol, lo scorso gennaio. Per le autorità portoghesi, il suo arresto è la prova che il governo e la polizia di frontiera hanno fatto il loro lavoro. Ma sul sito Internet di “Diario de Noticias”, numerosi internauti insorgono. «Questo governo è incompetente. Svendono il paese, ne fanno una discarica a cielo aperto dove i [truffatori] vengono a lavare il denaro sporco», si legge. Poco dopo, un’altra persona non esita a dire: «Questo governo [e il suo dispositivo] sono la vergogna dei portoghesi». La faccenda è stato uno shock, rilanciando la domanda delle ragioni di questo ricchi migranti. Far traghettare i ricchi? Un affare redditizio. Alcune aziende si sono specializzate nell’accompagnamento dei migranti facoltosi. Un esempio è la società Henley & Partners, come descrive “Le Figaro” in un articolo. Con base a Jersey, un paradiso fiscale, tale società rappresenterebbe il leader mondiale nel settore. Sul suo sito Internet, sono elencate le destinazioni. L’Europa è largamente rappresentata: Austria, Belgio, Croazia, Cipro, e ancora la Svizzera e il Regno Unito. Per ciascun paese, un programma dettagliato di tappe e condizioni da rispettare.Un autentico manuale d’istruzioni, al quale si aggiungono le attrattive proprie ad ogni regione. Natura verdeggiante e calorosa qui, vantaggi fiscali per i residenti là, e le nicchie di cui si può beneficiare. La società non lascia nulla al caso affinché ognuno trovi il suo paradiso. E per agevolare l’arrivo dei nuovi migranti. Perché perdere tempo con le lunghe e complesse procedure di richiesta dei visti quando un permesso di residenza permette di circolare facilmente in tutta l’Unione? In più, la maggior parte di questi paesi tassa poco o per nulla i residenti in possesso di un permesso di soggiorno a lungo periodo. Per gli stranieri dai migliori portafogli, la ditta propone una soluzione ancor più interessante: regalarsi una nazionalità europea. Sul sito ci sono tre destinazioni: l’Austria, Cipro e Malta. Dal 2013, il governo del più piccolo stato dell’Unione Europea, Malta, ha deciso di “vendere” la cittadinanza del suo paese. Ha affidato l’esclusività della gestione delle pratiche alla società Henley & Partners, in cambio di una commissione di 7.500 euro per candidatura.Una cittadinanza europea da vendere ai migliori offerenti: 650.000 euro, è il prezzo fissato lo scorso autunno dal parlamento maltese. Nessuna condizione di residenza sull’isola, basta questo semplice apporto finanziario. Il primo ministro, Joseph Muscat, vede in ciò un modo di attirare nuovi capitali nel paese. Secondo le stime avanzate dal governo, la misura potrebbe interessare dai 200 ai 300 candidati l’anno. Ossia un minimo di 130 milioni di euro di introiti annui per il paese. Ma secondo un sondaggio realizzato dal quotidiano locale “Malta Today”, la maggior parte della popolazione sarebbe contraria al dispositivo. Un parere condiviso da Bruxelles. La decisione ha provocato un vero terremoto all’interno del Parlamento Europeo, sollevando alcune critiche rispetto alla mercificazione della cittadinanza europea. Nelle istanze dell’Unione, alcuni eurodeputati e membri delle commissioni europee hanno immediatamente manifestato la loro ostilità verso la nuova normativa maltese. Tra questi, Vivianne Reding, commissario incaricato della Giustizia. «La cittadinanza non è in vendita», ha dichiarato a Strasburgo nel mese di gennaio. Subito dopo, il Parlamento Europeo adotta una risoluzione, stimando che «un tale regime di vendita pura e semplice della cittadinanza europea compromette la fiducia reciproca su cui poggia l’Unione».Da allora Malta ha accettato di tornare sul dispositivo, in parte: è oramai obbligatorio risiedere sull’isola la maggior parte dell’anno e dimostrare un legame reale con Malta. È inoltre necessario un investimento di 1,15 milioni di euro, di cui 500.000 in acquisti immobiliari, a cui si aggiunge un importo di 25.000 euro per il coniuge o per il figlio minorenne, e 50.000 euro per il figlio dai 18 ai 26 anni. Concessioni che il governo maltese ha accettato nonostante nulla lo obbligasse a farlo. Nell’Unione Europea, la nazionalità di un paese membro permette di accedere automaticamente alla nazionalità europea, ma le condizioni di rilascio fanno parte di prerogative proprie ad ogni Stato. Ciascuno dei 28 governi decide quindi della propria legislazione e delle sue condizioni. Mentre l’immigrazione clandestina è al cuore dei dibattiti per le elezioni europee, i candidati ignorano completamente la mercificazione dei permessi di soggiorno.Clarisse Heusquin, candidata per “Europe Écologie-Les Verts” nella regione Centro-Massiccio Centrale (Francia), ammette di scoprire il dispositivo: «Sono rimasta scioccata, mortificata venendone a conoscenza. Si sta costruendo un’Europa a due velocità. Da un lato, si chiudono le frontiere e dall’altro si accolgono i capitali. Questa Europa-fortezza è indegna». Secondo lei la soluzione passa da un’Europa federale e politiche armonizzate in materia d’immigrazione. Dal canto suo, Pierre Henry, direttore generale dell’Ong “France Terre d’Asile” si rammarica che il dibattito sulle questioni migratorie non sia affrontato nel suo insieme. «Tra quelli che si augurano di uscire da Schengen, quelli che vogliono punire gli Stati che non rispettano alcune regole, quelli che pensano che la nomina di un commissario europeo per l’immigrazione risolverebbe il problema e quelli che si accontentano di criticare senza proporre. In realtà, non c’è un vero dibattito sulla questione migratoria».La vendita della nazionalità è tenuta a debita distanza dalla pubblica piazza, ma si popolarizza tra i governi. La Lituania affina il progetto e dovrebbe essere il prossimo paese a porre le sue condizioni. Il prezzo: 260.000 euro versati a un’azienda lituana e la creazione di cinque posti di lavoro. Il governo non attende altro che il via del Parlamento. E in Francia? L’Esagono non propone le stesse condizioni agevolate dei suoi vicini. Tuttavia, in un documento della Commissione Europea, si precisa che in Francia si possono attribuire dei permessi di residenza per “contributi economici eccezionali” ad azionisti (almeno il 30% del capitale) di grandi società. Le condizioni: creare 50 posti di lavoro sul territorio nazionale o investire almeno 10 milioni di euro. Per ora non è prevista l’applicazione di clausole più vantaggiose o più severe per i ricchi investitori. Nulla di sorprendente, secondo Pierre Henry: «Oggi, in Francia, il governo cerca ad ogni costo di evitare il dibattito sull’immigrazione, come per paura del populismo. Ciò non risolve niente e non è in questo modo che si arrestano le polemiche». Quelle e quelli che non dispongono dei visti “business class” ne pagano caro il prezzo: in 14 anni, 23.000 migranti sono morti alle porte dell’Europa.(Morgane Thimel, “Quando la cittadinanza europea diventa mercanzia”, da “Bastamag” del 21 giugno 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte).Mentre l’Unione Europea chiude le sue porte a migliaia di migranti che naufragano sulle coste siciliane, alcuni dei candidati desiderosi di stabilirsi hanno trovato un comitato d’accoglienza. Non c’è più bisogno di conoscere la lingua del paese di accoglienza, di fare prova di un particolare interesse per la sua storia e la sua cultura… basta avere il portafoglio pieno ed essere pronti ad alleggerirsi di qualche decina di milioni di euro a beneficio di un’azienda o di uno Stato. La Lettonia è stato uno dei primi paesi a vedere una fonte di guadagno potenziale nell’appartenenza all’Unione Europea. Dal 2010, questo piccolo paese sulle rive del Mar Baltico è diventato uno dei porti d’accesso all’Eldorado europeo. Nella capitale Riga, lontano dalle spiagge di Lampedusa e dei suoi “boat-people”, i candidati al permesso di soggiorno sbarcano invece negli uffici lettoni dell’immigrazione con il proprio agente immobiliare e l’interprete. La maggior parte sono russi e cinesi.
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Travaglio: Gelli un dilettante, nella monarchia di Giorgio I
«Chiediamo umilmente scusa a Gelli e ai suoi fratelli per aver demonizzato il loro progetto di Repubblica presidenziale: i piduisti, compreso il povero B. che ci sta ancora provando, erano soltanto dei precursori, tra l’altro piuttosto timidi e minimalisti, della nostra bella Monarchia presidenziale». Così Marco Travaglio commenta l’ultima doppia iniziativa di Napolitano, che il 18 giugno «ha riunito il Consiglio Supremo di Difesa per esautorare ancora una volta il Parlamento, ridurlo a scendiletto del governo Usa e ordinare di non ridurre di un centesimo gli stanziamenti miliardari per acquistare gli inutili anzi dannosi F-35». Non solo, l’uomo del Colle «ha inviato una lettera segreta al fido vicepresidente del Csm Michele Vietti» per bloccare l’azione disciplinare invocata da ben due commissioni parlamentari contro il procuratore di Milano, Bruti Liberati. «Gli F-35 si comprano perché lo dice lui, Bruti si salva perché lo dice lui». Protesta Travaglio: «In una democrazia parlamentare degna di questo nome, fondata sulla divisione dei poteri, i presidenti delle Camere reagirebbero all’istante contro l’ennesima invasione di campo».Allo stesso modo, continua Travagalio, il Csm «accoglierebbe la lettera del presidente come l’interessante parere del primus inter pares, il cui voto vale 1 esattamente come quello degli altri consiglieri». Invece, «tutti si comportano come in una monarchia assoluta, dove il sovrano può tutto». Anche con Renzi, che all’inizio «vantava una certa autonomia» dal Quirinale, ora secondo “Repubblica” «è scoccata una scintilla, una strana alchimia, una singolare emulsione di sintonie e affinità». Aggiunge Travaglio: il bello è che la lettera di Napolitano al Csm «è più misteriosa del terzo segreto di Fatima: la conoscono Lui, Vietti e due giornali amici ammessi agli arcana imperii (“Corriere” e “Repubblica”, che ne anticipano il contenuto ma non il testo)». Bei tempi, prosegue Travaglio, quando i presidenti «parlavano con messaggi alle Camere, comunicati ufficiali, esternazioni pubbliche». Ora invece «piovono pizzini scritti in codice iniziatico e riservati a pochi adepti in grado di decrittarli, al di fuori di ogni controllo democratico, tanto anche gli esclusi dal cerchio magico eseguono senza fiatare».Altri tempi, quando – il 14 novembre ’91 – il presidente Cossiga proibì al vicepresidente del Csm Galloni di mettere all’ordine del giorno del plenum alcune pratiche a lui sgradite e mandò i carabinieri a Palazzo dei Marescialli a far sgombrare l’aula in caso di disobbedienza ai suoi ordini: «Violante avviò le pratiche per l’impeachment, accusandolo di alto tradimento e attentato alla Costituzione, Napolitano ne chiese le dimissioni e l’Anm scese in sciopero contro la grave violazione costituzionale». Oggi invece il mainstream politico e giornalistico tace e acconsente, senza dimenticarsi di bastonare Grillo e il M5S, «trattati come appestati da sempre», ma ancor più da quando hanno annunciato l’accordo tecnico, al Parlamento Europeo, coi nazionalisti inglesi dell’Ukip e con altri esponenti di destra svedesi, francesi e lituani. «Intanto il segretario e premier del Pd Matteo Renzi annuncia tra carnevali di Rio e gridolini di giubilo l’accordo politico-istituzionale, al Parlamento italiano, per la riforma del Senato (e dunque della Costituzione) con Forza Italia, guidata da un frodatore fiscale».Riforma «ideata da un pregiudicato per mafia», Dell’Utri, «recluso nello stesso carcere di Riina». Le manovre per il nuovo Senato sono appoggiate dalla Lega Nord, di cui i media evitano accuratamente di ricordare che è alleata in Europa col Front National di Marine Le Pen, che lo stesso mainstream definisce populista, xenofobo, razzista e fascista. Pesi e misure: «L’anno scorso Adam Kabobo uccise a picconate tre passanti a Milano: il segretario della Lega Nord Matteo Salvini gli augurò di “marcire in prigione”. Martedì Davide Frigatti ha ucciso un passante a coltellate e ne ha feriti altri due a Cinisello Balsamo: Salvini ha educatamente chiesto se non sia “il caso di riaprire delle strutture dove accogliere e curare i malati di mente”. Il fatto che Kabobo sia ghanese e Frigatti padano è puramente casuale», ironizza Travaglio. E che dire di Alfano? «Un mese fa il leader Ndc ha candidato alle europee il governatore dimissionario della Calabria, Giuseppe Scopelliti, condannato in primo grado per abuso d’ufficio, con la decisiva motivazione che “è un presunto innocente” e “noi siamo garantisti”. Lunedì il ministro garantista Alfano ha annunciato via Twitter la cattura dell’“assassino di Yara Gambirasio”, mai condannato in primo grado né imputato, ma solo indagato. Però, non trattandosi di un politico e non militando (che si sappia, almeno) nell’Ncd, è già colpevole prim’ancora del processo».Il 28 marzo 2013 “L’Unità”, organo del Pd, titolò a tutta prima pagina: “Patto Grillo-Berlusconi: fermare il cambiamento”. «La notizia era palesemente falsa – protesta Travaglio – ma non fu mai rettificata dall’house organ allora bersaniano e ora renziano». Neppure quando, il 20 aprile 2013, fu siglato il “patto Pd-Berlusconi” per “fermare il cambiamento” con la rielezione dell’ottantottenne Napolitano, o quando – il 24 aprile 2013 – fu firmato il “patto Pd-Berlusconi” sempre per “fermare il cambiamento” col governo Letta di larghe intese. Nessun soprassalto di sincerità neppure il 19 gennaio 2014, quando al Nazareno fu sottoscritto il “patto Pd-Berlusconi” per “fermare il cambiamento” con l’Italicum (liste bloccate, peggio ancora che col Porcellum) e il Senato delle Autonomie (non più eletto dai cittadini, ma nominato dalla Casta). Silenzio anche nei giorni scorsi «quando una telefonata fra Renzi e il Caimano ha confermato il “patto Pd-Berlusconi” per “fermare il cambiamento”», conclude Travaglio: «Coraggio, compagni dell’ “Unità”, siete ancora in tempo».«Chiediamo umilmente scusa a Gelli e ai suoi fratelli per aver demonizzato il loro progetto di Repubblica presidenziale: i piduisti, compreso il povero B. che ci sta ancora provando, erano soltanto dei precursori, tra l’altro piuttosto timidi e minimalisti, della nostra bella Monarchia presidenziale». Così Marco Travaglio commenta l’ultima doppia iniziativa di Napolitano, che il 18 giugno «ha riunito il Consiglio Supremo di Difesa per esautorare ancora una volta il Parlamento, ridurlo a scendiletto del governo Usa e ordinare di non ridurre di un centesimo gli stanziamenti miliardari per acquistare gli inutili anzi dannosi F-35». Non solo, l’uomo del Colle «ha inviato una lettera segreta al fido vicepresidente del Csm Michele Vietti» per bloccare l’azione disciplinare invocata da ben due commissioni parlamentari contro il procuratore di Milano, Bruti Liberati. «Gli F-35 si comprano perché lo dice lui, Bruti si salva perché lo dice lui». Protesta Travaglio: «In una democrazia parlamentare degna di questo nome, fondata sulla divisione dei poteri, i presidenti delle Camere reagirebbero all’istante contro l’ennesima invasione di campo».
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Pritchard: Europa alla fame, se l’euro dura ancora 5 anni
Il problema centrale all’origine di tutta la crisi della zona euro è il conflitto fondamentale d’interesse e di destino tra i paesi del sud e la Germania su come risolvere l’immenso gap di competitività. Questa questione rimane irrisolta e, secondo me, è semplicemente senza soluzione. I paesi del sud sono costretti ad una permanente svalutazione interna ed hanno bisogno di imporre politiche espansionistiche che rilancino la domanda, ma che costringerebbero la Germania ad uscire dall’euro per un tasso d’inflazione che Berlino non potrebbe accettare. E’ un rebus senza soluzione. La situazione non può essere risolta e prima la zona euro finirà, meglio sarà per tutti. L’alternativa? Sono 15-20 anni di depressione per la periferia imposti dall’attuazione delle regole del Fiscal Compact, che, in una fase di calo demografico e diminuzione della forza lavoro, produrranno scenari drammatici al tessuto economico e sociale di queste nazioni.Questa strategia assurda non aiuterà nessuno. E la domanda che le leadership devono porsi è: quanto può durare questa situazione senza che ci sia una reazione politica? In Francia e in Italia sta prendendo sempre più piede l’idea che, per salvare il resto del progetto europeo, è necessario pensare ad uno smantellamento coordinato dell’euro. E’ su questo punto che la politica deve iniziare a ragionare in modo costruttivo per evitare future reazioni a catena fuori controllo. Al momento non è utile fare previsioni sul futuro della zona euro, e proverei a ribaltare la questione in questo modo: non bisogna più parlare di rischio di rottura, ma il rischio reale e drammatico è che l’euro possa sopravvivere per altri cinque anni, producendo danni inimmaginabili ai paesi del sud dell’Europa. Il “decennio perso” dell’Europa si concluderebbe poi con uno scenario economico mondiale molto diverso da come era iniziato e l’intero continente vivrebbe totalmente ai margini. Il rischio vero è che l’euro sopravviva ancora. Ed è un rischio terribile per il futuro delle nazioni europee.In Italia, ad esempio, la disoccupazione giovanile è al 46% e questo in una fase di espansione globale. Riflettete su questo: a 5 anni dall’inizio della ripresa globale dopo la crisi Lehman Brothers, la disoccupazione giovanile in Italia è al 46%! E’ il tragico risultato delle scelte perseguite all’interno dell’Unione Europea e nella zona euro. Detto in altri termini è l’inevitabile suicidio di scegliere contemporaneamente politiche fiscali e monetarie restrittive. Questo, perlopiù, in una fase in cui le banche hanno ristretto l’accesso al credito all’economia reale per rispettare i nuovi regolamenti e la contrazione dei prestiti ha portato al fallimento di un numero incredibile di piccole imprese in Italia e in tutta l’Europa del sud. Anche nel Regno Unito abbiamo utilizzato misure di austerità fiscale, ma accompagnate da una grande spinta monetaria e lo stesso è accaduto negli Usa. In Europa si è scelto il suicidio economico di intere nazioni.L’economia italiana si è contratta nel primo trimestre dell’anno. E la ripresa, a differenza di quello che avevano annunciato, semplicemente non sta avvenendo. Lo stesso accade in Olanda, in Portogallo e in Spagna. La sola ragione per cui c’è un’apparente crescita in Spagna è il modo in cui viene ora calcolato il Pil. Un’analisi accurata mostra, tuttavia, come anche Madrid non sta crescendo. E tutti i paesi del sud, in ultima analisi, si stanno contraendo, con la Francia che è in stagnazione. Si tratta di una situazione paradossale, se si ragiona in un quadro di ripresa globale ormai consolidata: se a 5 anni dalla crisi Lehman Brothers, e con un contesto internazionale migliorato, l’economia dell’area euro non è ancora al sicuro e ha ancora una situazione di disoccupazione di massa drammatica e duratura, vuol dire che c’è qualcosa di profondo che non funziona.La contrazione del Pil nominale italiano negli ultimi due anni è un fallimento politico di proporzioni storiche e non sarebbe mai dovuto accadere. La riduzione del debito pubblico e privato per i paesi del sud è praticamente impossibile in una situazione di deflazione. Ho intervistato recentemente l’ufficiale del Fmi nelle operazioni della Troika in Irlanda e lui mi ha detto che Italia e Spagna per avere un debito sostenibile nel medio periodo hanno bisogno di un tasso d’inflazione della zona euro al 2% per oltre cinque anni consecutivi. E questo è confermato in una serie di paper del Fmi che hanno sottolineato come la traiettoria del debito sia fuori controllo in un contesto di bassissima inflazione. Se la periferia della zona euro ha “successo” nell’adempiere a quanto prescritto da Bruxelles-Berlino-Francoforte, crea una situazione di svalutazione interna e per riguadagnare competitività con la Germania si abbatte il Pil nominale, rendendo fuori controllo la traiettoria del debito. Se raggiungi quello che Bruxelles ti sta chiedendo, in poche parole, vai in bancarotta. E’ la conseguenza del “successo”.Non so se le autorità monetarie europee si siano mai poste questa domanda: perchè hanno imposto queste politiche ai paesi se il loro successo rende la situazione peggiore di quella precedente? Esiste una ragione credibile a livello economico sul perché la Bce non vuole raggiungere gli obiettivi di politica monetaria e per un periodo così lungo? No, non c’è. Un’inflazione prossima allo zero costa all’Italia il 2,6% del Pil per raggiungere lo stesso obiettivo che potrebbe essere raggiunto se solo la Bce rispettasse gli obiettivi imposti dai trattati. Questa situazione di bassissima inflazione è disastrosa per il futuro economico dell’Italia. Quando Mario Draghi ha lanciato il programma Omt – Outgriht Monetary Transactions – nell’agosto del 2012 è cambiato tutto. L’euro stava per fallire a luglio, con Italia e Spagna che erano in una grande crisi di finanziamento del proprio debito e la moneta unica era molto vicina al collasso. Angela Merkel stava pensando di espellere la Grecia dalla zona euro e solo quando ha accertato che ci sarebbero stati troppi pericoli per il contagio di Italia e Spagna, Berlino ha accettato il piano ideato dal ministero delle finanze tedesco, che si è trasformato poi nel programma Omt.Poche persone hanno compreso bene questa fase storica: non è la Bce, ma la Germania che ha cambiato politica, trasformando l’istituto di Draghi in una prestatore di ultima istanza. Da allora la crisi della zona euro è completamente diversa e non c’è più il rischio che l’euro possa esplodere per un fallimento bancario. Ma bisogna stare attenti perché la Corte Costituzionale tedesca ha stabilito che l’Omt di Draghi rappresenta una violazione dei trattati. Il pericolo sistemico esiste ancora e si può arrivare ad una rottura per ragioni differenti: i paesi del sud vivranno una situazione di depressione economica permanente, che produrrà danni ai settori industriali nevralgici per la vita dei diversi paesi e una situazione politicamente insostenibile nel lungo periodo. Le elezioni di partiti radicali potrebbero quindi forzare il cambiamento e modificare l’intero progetto.In Gran Bretagna, l’Ukip costringerà il partito conservatore di Cameron – che è personalmente pro-Europa rispetto ad un’ala sempre più influente di Tory che la pensa come l’Ukip – a cambiare posizione, perché il messaggio a Bruxelles nelle ultime elezioni è stato chiaro: il popolo britannico non tollera più una perdita di sovranità continua. Quando in Francia a vincere è un partito che, una volta al potere, vuole – come mi ha confermato Marine Le Pen in un’intervista – ordinare al Tesoro francese di attivarsi per il ritorno immediato al franco, la questione rimane centrale nel dibattito. Come reagiranno ora i gollisti e i conservatori moderati a questo messaggio del popolo francese alle elezioni europee e alla distruzione dell’industria storica francese? Se il Fronte Nazionale dovesse vincere le elezioni, la Francia non rispetterà il Fiscal Comapct e questa ridicola legislazione decisa da Bruxelles. Gli altri partiti non possono più ignorarlo.Ci sono due possibili vie: i paesi della periferia comprenderanno che la permanenza nella zona euro richiede un numero di sacrifici non più tollerabili e decideranno di uscirne; oppure, ad esempio insieme all’Olanda che è in una situazione similare, prenderanno possesso in modo coordinato delle istituzioni che controllano la politica economica dell’Ue, imponendo il cambiamento in linea con le loro esigenze. Sarei molto sorpreso se si realizzasse quest’ultima alternativa, dato che questi paesi non hanno certo il coltello da parte del manico e già in passato Hollande ha fallito nel creare un consenso con i paesi mediterranei. Ma anche se dovessero riuscirci, il rischio della zona euro sarebbe poi l’opposto, vale a dire un’uscita della Germania, che non accetterebbe mai politiche inflazionistiche.(Ambrose Evans-Pritchard, dichiarazioni rilasciate ad Alessandro Bianchi per l’intervista “Il vero rischio non è la sua fine, ma che l’euro sopravviva altri cinque anni: le conseguenze sarebbero drammatiche”, pubblicata da “L’Antidiplomatico” il 4 giugno 2014).Il problema centrale all’origine di tutta la crisi della zona euro è il conflitto fondamentale d’interesse e di destino tra i paesi del sud e la Germania su come risolvere l’immenso gap di competitività. Questa questione rimane irrisolta e, secondo me, è semplicemente senza soluzione. I paesi del sud sono costretti ad una permanente svalutazione interna ed hanno bisogno di imporre politiche espansionistiche che rilancino la domanda, ma che costringerebbero la Germania ad uscire dall’euro per un tasso d’inflazione che Berlino non potrebbe accettare. E’ un rebus senza soluzione. La situazione non può essere risolta e prima la zona euro finirà, meglio sarà per tutti. L’alternativa? Sono 15-20 anni di depressione per la periferia imposti dall’attuazione delle regole del Fiscal Compact, che, in una fase di calo demografico e diminuzione della forza lavoro, produrranno scenari drammatici al tessuto economico e sociale di queste nazioni.
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Jp Morgan ringrazia Renzi e gli ingenui elettori italiani
In nessun altro paese europeo il ceto politico soffre di una particolare condizione di debolezza che invece registriamo in Italia, ossia la dipendenza strutturale dalle sorti di una sola persona: Matteo Renzi. «Se Renzi fosse risultato sconfitto alle urne – scrive Claudio Martini – il ceto politico sarebbe rimasto decapitato, diffondendo il caos nelle file della classe politica e minando alle fondamenta il complesso dell’euro». Si era aperta anche in Italia una finestra di opportunità per sbarazzarsi della casta politica, ma quella finestra ora si è bruscamente chiusa: «L’Europa si trovava ad un bivio, il 25 maggio: in Italia avrebbe trovato il proprio rilancio o la propria crisi. Sappiamo come è andata». I primi a festeggiare, manco a dirlo, sono gli analisti dell’ufficio studi della Jp Morgan, quelli secondo cui la nostra Costituzione antifascista che difende il lavoro è da buttare via. Ha vinto il loro uomo: dicono che il trionfo di Matteo renderà l’Italia più forte a livello europeo, e più stabile l’Unione nel suo complesso.«Il Pd di Renzi è stato il soggetto politico più votato in Europa, in termini assoluti», ricorda Martini in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”: il partito già di Veltroni, D’Alema e Bersani ha avuto 11 milioni e centomila suffragi contro i 10 milioni e trecentomila della portaerei di Angela Merkel, la Cdu-Csu. In termini percentuali è stato superato solo dall’ungherese “Fidesz” di Viktor Orbàn (51%), ultra-nazionalista e non certo europeista. In perfetta controtendenza rispetto al resto d’Europa, il Pd stravince pur essendo pro-Bruxelles e trovandosi al governo. «Le forze politiche “sistemiche”, in primo luogo quelle riconducibili alle famiglie del Pse e del Ppe, sono naufragate in molti importanti contesti nazionali», aggiunge Martini. Si ritrovano sotto shock in Grecia, in Francia, nel Regno Unito e in Spagna. Ovunque raccolgono consenso liste anti-euro o almeno euroscettiche.«Apparentemente si è trattato di una generale débacle dei partiti socialisti – e il desolante risultato elettorale del Ps di Hollande sembra eloquente in tal senso». Eppure, a ben vedere, il risultato europeo potrebbe rivelarsi una grande vittoria del programma politico della socialdemocrazia europeista, forte del nuovo asse tra la Spd tedesca e il nuovo Pd renziano. «Entrambi i soggetti avevano e hanno una reciproca convenienza a collaborare: Martin Schulz contava molto sul successo elettorale del Pd per ottenere un buon risultato del Pse all’Europarlamento; a Renzi serviva un alleato a Berlino per assicurarsi che la Germania avrebbe dato il proprio consenso ad un allentamento dei parametri europei. Tutti e due condividevano il medesimo progetto politico: salvare l’euro e l’Unione Europea mediante un progressivo smantellamento dell’austerità sul piano continentale, e proseguire lungo il percorso dell’accentramento di poteri e competenze presso le istituzioni europee (essenzialmente Commissione e Bce). E ora hanno vinto», per la gioia dei super-banchieri mondiali, tifosi delle grandi privatizzazioni.«Già nel corso del 2011-2012 – continua Martini – il ceto politico-tecnocratico italiano, con Draghi e Monti, riuscì nell’impresa di salvare l’Eurozona dalla dissoluzione. Facendo sudare sangue agli italiani, questo ceto riuscì a imporre una propria leadership nello scenario europeo. L’esito delle elezioni del 2013 mandò all’aria molti piani, e per circa un anno l’Italia non ha preso iniziative importanti in ambito Ue». Dopo le elezioni europee, «considerando che Londra ha già un piede fuori dall’Unione (e Hollande li ha entrambi nell’immondezzaio della storia)», c’è già chi parla di nuovo asse Roma-Berlino, mentre Draghi promette una svolta monetaria espansiva e anti-deflazione, suggellata dalla presidenza italiana del “semestre europeo”. Vecchia storia: «Il ceto politico italiano è intimamente convinto di non poter esercitare alcuna influenza, a livello globale, al di fuori del perimetro del progetto europeista. Questa è la grande differenza con gli establishment degli altri paesi dell’Europa Occidentale».In nessun altro paese europeo il ceto politico soffre di una particolare condizione di debolezza che invece registriamo in Italia, ossia la dipendenza strutturale dalle sorti di una sola persona: Matteo Renzi. «Se Renzi fosse risultato sconfitto alle urne – scrive Claudio Martini – il ceto politico sarebbe rimasto decapitato, diffondendo il caos nelle file della classe politica e minando alle fondamenta il complesso dell’euro». Si era aperta anche in Italia una finestra di opportunità per sbarazzarsi della casta politica, ma quella finestra ora si è bruscamente chiusa: «L’Europa si trovava ad un bivio, il 25 maggio: in Italia avrebbe trovato il proprio rilancio o la propria crisi. Sappiamo come è andata». I primi a festeggiare, manco a dirlo, sono gli analisti dell’ufficio studi della Jp Morgan, quelli secondo cui la nostra Costituzione antifascista che difende il lavoro è da buttare via. Ha vinto il loro uomo: dicono che il trionfo di Matteo renderà l’Italia più forte a livello europeo, e più stabile l’Unione nel suo complesso.
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Grillo con Farage, caccia ai voti di destra orfani di Silvio
Grillo scopre Farage. Casaleggio invita i parlamentari a “sorridere di più”, il Movimento 5 Stelle è in ebollizione e sembra spostarsi a destra. Da analista politico, dico: la svolta è sensata. Se aggiungiamo l’evidente smarrimento della destra moderata, fin qui riconosciutasi in Berlusconi, e consideriamo la capacità, oggettiva, di Renzi di occupare il centrosinistra e di sedurrre e al contempo rassicurare anche una parte importante dell’elettorato di centro e forzista, appare evidente che la sola area politica dove oggi ci sia da costruire è il centrodestra. E’ una prateria che molti cercheranno di occupare. Il primo a capirlo è stato Matteo Salvini che, abbracciando la causa “No euro”, ha saputo dare una chiara identità alla Lega, riuscendo a far dimenticare scandali e scandaletti dell’ultima era Bossi. Il Cavaliere stesso appare consapevole di una svolta, ma gli arresti domiciliari e la difficoltà di trovare un vere erede politico, nonché gli screzi tra i colonnelli, ne minano l’efficacia e la capacità prospettica.Ora tocca a Grillo. Come abbiamo più volte osservato su questo blog la differenza fondamentale tra Grillo e Farage è la capacità dell’inglese di essere al contempo rivoluzionario e rassicurante. Audace nelle idee, ma borghese nel modo di porsi. Grillo, invece, ha giocato solo la carta della protesta e, mal consigliato da Casaleggio, ha rifiutato di schierarsi contro l’euro; non ha mai tentato di abbassare i toni, illudendosi che bastasse andare nei talk show per conquistare il consenso dell’Italia piccolo e medio borghese. Dire ora, come fa Casaleggio, che bisogna “sorridere di più”, è giusto ma un po’ ridicolo. Proprio lui, il Roberspierre del web? Non è credibile. E non è un caso che il dialogo improvviso con Farage – giusto e a mio giudizio naturale – venga accolto con sconcerto da una parte del pubblico grillino.Per il M5S la denuncia non basta più, occorre crearsi una nuova identità, una nuova immagine, una nuova coerenza; conquistare voti a destra significa perderli a sinistra. Significa mettersi la giacca e la cravatta, schierarsi con decisione contro l’euro e l’Europa tecnocratica, che invece non dispiace a Casaleggio. Grillo ne è capace? C’è ancora tempo? Chi comanda davvero, lui o l’intelligente ma sfuggente, misterioso Casaleggio? E Berlusconi è capace di rifondare davvero Forza Italia, slegandola progressivamente ma saggiamente dalla sua personalità? E la Lega, che finora si è mossa benissimo, è capace di crescere ulteriormente e di sfondare anche in altre zone d’Italia, magari creando una Lega Centro e una Lega Sud (come rifletteva Antonello Angelini in un colloquio col sottoscritto), di parlare anche a un’Italia diversa da quella dei commercianti, dei piccoli industriali e delle partite Iva del Nord? Sono queste le domande che contano, per non farsi cogliere impreparati quando gli italiani smetteranno di farsi incantare da Matteo l’Affabulatore.Grillo scopre Farage. Casaleggio invita i parlamentari a “sorridere di più”, il Movimento 5 Stelle è in ebollizione e sembra spostarsi a destra. Da analista politico, dico: la svolta è sensata. Se aggiungiamo l’evidente smarrimento della destra moderata, fin qui riconosciutasi in Berlusconi, e consideriamo la capacità, oggettiva, di Renzi di occupare il centrosinistra e di sedurrre e al contempo rassicurare anche una parte importante dell’elettorato di centro e forzista, appare evidente che la sola area politica dove oggi ci sia da costruire è il centrodestra. E’ una prateria che molti cercheranno di occupare. Il primo a capirlo è stato Matteo Salvini che, abbracciando la causa “No euro”, ha saputo dare una chiara identità alla Lega, riuscendo a far dimenticare scandali e scandaletti dell’ultima era Bossi. Il Cavaliere stesso appare consapevole di una svolta, ma gli arresti domiciliari e la difficoltà di trovare un vere erede politico, nonché gli screzi tra i colonnelli, ne minano l’efficacia e la capacità prospettica.
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Macché golpe, da anni i padroni dell’Italia sono stranieri
Per favore, non chiamatelo golpe: ormai tra le macerie dell’Italia una vera Costituzione non c’è più, e da molti anni. Napolitano? Sta solo cercando di «mettere insieme una Costituzione transitoria per gestire questa fase di declino e disgregazione del paese». Tutto più facile, oggi, con un Renzi finalmente legittimato dalle urne: il fiorentino potrà «formalizzare costituzionalmente l’autocrazia, con la collaborazione di un Berlusconi teleguidato mediante le sue disavventure giudiziarie». Renzi il mandato lo ha avuto «da italiani tipici, senza dignità e senza matematica, a cui non importa della svolta autocratica né del fatto che il governo toglie in maggiori tasse e in minori servizi un multiplo della mancia di 80 euro al mese». Sintetizzando, dice Marco Della Luna, da dieci anni è al potere «l’alleanza tra la casta nazionale e la grande finanza apolide (tedesca, francese, statunitense)». Un sodalizio creato «per spartirsi il risparmio, i redditi, i mercati e le aziende di questo paese, e metterlo sotto il governo del capitale bancario».In virtù di questa alleanza, la grande finanza, via Bruxelles e Bce, ha dato alla casta «legittimazione politica e morale nonché sostegno economico», in due momenti: prima – nella fase 1 dell’euro – con credito agevolato e bassi tassi d’interesse, «con cui la casta ha ampliato strutturalmente la spesa pubblica clientelare», e poi – fase 2 dell’euro – usando la Bce per fare incetta di bond italiani allo scopo di «tenere artificiosamente bassi i loro rendimenti, a dispetto dei pessimi indicatori economici», sostenendo così le politiche dei governi Monti, Letta e Renzi, perfette per facilitare l’élite a spese di tutti gli altri. Un collasso finanziario dello Stato (spread) o delle banche (sofferenze) era da evitare, perché avrebbe spinto l’Italia fuori dall’Eurozona e quindi «avrebbe arrestato il processo di spartizione delle risorse dello sfortunato paese». Quello attuato a nostro danno è dunque un piano complesso, che richiede «profonde deroghe, violazioni e alterazioni della prassi e della stessa Carta costituzionale, cioè di una serie di colpi di Stato e di rivoluzioni, giustificati dalle emergenze e dal “ce lo chiede l’Europa”».Le emergenze – fabbricate a tavolino – sono iniziate con la destituzione del governo nel 2011, dopo che Berlusconi (irritando la Germania) aveva chiesto di conteggiare nel rapporto deficit-Pil anche l’economia sommersa e il patrimonio netto dei privati. Come reazione, le grandi banche tedesche – d’intesa con la Bundesbank e col governo – vendettero in massa i bond italiani, facendone esplodere i rendimenti e aprendo la strada, con Napolitano, all’eurocrate Monti, il quale «lanciò un piano di demolizione dell’economia nazionale e di spremitura fiscale degli italiani per assicurare ai banchieri francesi e tedeschi i loro iniqui incassi sui prestiti che in malafede avevano erogato a Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda». Ne seguì un tracollo economico e occupazionale, una costante ascesa del debito pubblico nonché una campagna di svendite al capitale straniero. Tendenze puntualmente continuate con Letta e ora con Renzi, appoggiate dagli acquisti della Bce. «L’artificiosa calma finanziaria creata da questo sostegno consente al governo Renzi di procedere a riforme in senso autoritario e autocratico».Oggi, continua Della Luna, abbiamo un Parlamento di nominati (dai segretari dei partiti), retto da una maggioranza artificiosa e incostituzionale (sistema maggioritario bocciato dalla Consulta), non rappresentativa del popolo. Questo Parlamento dapprima ha rieletto lo stesso capo dello Stato, e ora sta riformando la Costituzione. Tutto arbitrario, dato che il Parlamento è “illegittimo” e le sentenze della Corte Costituzionale sono immediatamente efficaci e persino retroattive, ma ormai la manipolazione è in corso. «Dietro una rassicurante facciata di attivismo, giovanilismo e idealismo, Renzi sta procedendo a una radicale riforma costituzionale ed elettorale, per rendere il Parlamento ancora più maggioritario, ancora meno rappresentativo della volontà popolare». Quelle che Renzi demolisce, con l’aiuto di un Berlusconi sotto ricatto, sono «le garanzie fondamentali della Costituzione». Un uomo solo al comando: il premier potrà nominare un nuovo capo dello Stato ma anche 10 giudici costituzionali su 15, nonché i componenti laici del Csm e le autorità di controllo e garanzia, quelle che dovrebbero essere imparziali per poter controllare il governo. Di fatto, «una dittatura con pretese di costituzionalità, di legalità e di democrazia». Ma è anche «una dittatura da quattro soldi», perché è solo «la dittatura di una buro-partitocrazia ladra su un paese la cui sovranità monetaria, legislativa e fiscale è già stata trasferita ad organismi esterni, non italiani, non democraticamente responsabili, e in ampia parte esenti anche dalla sindacabilità dei tribunali». Il vero potere ormai è altrove: l’autocrate Renzi controllerà solo quel che resta del terminale periferico italiano.Secondo Della Luna, il trasferimento di sovranità è di natura eversiva: l’articolo 1 della Costituzione “fondata sul lavoro” è stato ampianente sostituito dal nuovo fondamento, la finanza. I trattati internazionali cui l’Italia ha aderito? Illegali, perché estorti forzando l’interpretazione dell’articolo 11 della Carta, che consente limitazioni (non cessioni) della sovranità, sul piano di parità (non di subordinazione), in quanto necessarie per la pace e la giustizia tra le nazioni (non, quindi, per scopi finanziari). «Usando lo strumento dei trattati, senza consultare il popolo e senza passare per le procedure di revisione della Costituzione (articolo 138)», la Carta «è stata stravolta nella sua stessa prima parte, nei principi fondamentali, iniziando con quello della sovranità popolare e dell’indipendenza». Un percorso avviato ben prima dell’avvento dell’euro, ovvero nel 1981 con la sostanziale privatizzazione della Banca d’Italia, «tra il plauso generale dei giornalisti, degli economisti e dei politici, equamente divisi tra imbecilli e imbonitori». Risultato: «Adesso l’Italia è uno Stato fondato sul mercato». I “padroni” del paese non siamo più noi, ma neppure i “banditi” della casta: la sovranità italiana appartiene a potenti investitori stranieri.E’ vero, Napolitano ha lanciato Monti e poi Letta prima ancora di far accomodare Renzi, ma perché parlare di golpe? «Sostanzialmente – scrive Della Luna – la Costituzione scritta non era mai stata attuata nelle sue parti determinanti», e inoltre l’Italia «non era mai stata indipendente, bensì occupata militarmente da oltre cento basi militari statunitensi». La nostra repubblica «è nata sottomessa», e ha sempre solo finto di essere indipendente. Inoltre, aggiunge provocatoriamente Della Luna, è sbagliato censurare moralmente la liquidazione dell’Italia e la sua sottomissione a potentati stranieri: «L’Italia era ed è spacciata», vittima di «un processo degenerativo» insanabile, aggravato da partiti «dediti strutturalmente al saccheggio della spesa pubblica». Le inchieste parlano: «Non si tratta di mele marce, ma del sistema, dell’ambiente». Una alternativa non esiste, «perché la maggior parte della popolazione si è adattata e accetta il rapporto clientelare, di complicità, coll’uomo politico. Non è possibile che l’Italia sia amministrata in modo non ladresco: i partiti si reggono sulla spartizione del bottino».Su questo sistema così fragile, una non-moneta come l’euro ha effetti devastanti: i debiti pubblici dei singoli Stati restano separati e attaccabili, anche perché la Bce, a differenza delle banche centrali di Usa, Giappone e Regno Unito, non li garantisce contro il default, né garantisce le banche nazionali. Per questo, il debito pubblico dei paesi dell’Eurozona «paga mediamente tassi di interesse più elevati», anche se ha un miglior rapporto col Pil. «L’Eurosistema, come ogni sistema di blocco dei cambi, è inevitabilmente dannoso e non può essere corretto». Se un paese importa più di quanto esporti, la sua moneta sarà più offerta (per pagare le importazioni) che domandata (per comperare le sue esportazioni), quindi tenderà a svalutarsi; svalutandosi, renderà più convenienti le esportazioni e meno le importazioni. «Questo è il meccanismo naturale, di mercato, di correzione degli squilibri commerciali internazionali». Se invece si blocca il cambio tra le due monete, «la correzione non avviene», e così «il paese che ha costi di produzione superiori continua a importare e a indebitarsi, la sua industria si atrofizza e in parte emigra, i suoi capitali pure, la disoccupazione si impenna e il reddito cade». Al che, lo sfortunato paese non riesce più a sostenere gli oneri del debito e deve svendersi: «Il paese più efficiente, avendo accumulato crediti, compera i pezzi migliori, banche incluse, e assume il dominio anche politico del paese indebitato, detta le regole». Ecco il disegno europeo: «Lo strumento principale è l’euro: una pompa che trasferisce risorse dai paesi euro-deboli e debitori ai paesi euro-forti».Esclusi gli Usa, «che scaricano i costi sul resto del mondo attraverso il dollaro», le unioni monetarie tra aree diverse (dove diverso è il costo per unità di prodotto) non ha mai funzionato, aggiunge Della Luna, perché – per tenere insieme le parti tendenzialmente divergenti – il sistema deve trasferire costantemente reddito dalle aree più produttive a quelle meno produttive. Ma se lo Stato super-tassa le aree forti (taglio degli investimenti, fuga di capitali e aziende) le indebolisce, impedendo loro di continuare sussidiare le aree deboli, che nel frattempo dovrebbero essere corrette nelle loro disfunzionalità (sprechi e mafie, corruzione e parassitismo, clientelismo e immobilismo). In Italia, si è rimediato con l’emigrazione interna attraverso il pubblico impiego quando lo Stato disponeva di risorse finanziarie e monetarie proprie. Viceversa, col blocco dei cambi (prima lo Sme, ora l’euro) il disastro è garantito. Dal 1960 ad oggi, scrive Della Luna, l’Italia ha speso l’equivalente di 300 miliardi di euro per portare il Sud ai livelli del Nord, col risultato di peggiorare le condizioni del Sud e di soffocare (o mettere in fuga) le imprese del Nord, stritolate dalle tasse.«Chi ha voluto l’euro lo ha imposto in perfetta malafede, con dolo». Ci vuole “più Europa”? Magari gli Stati Uniti d’Europa, con un bilancio federale europeo che metta in comune i debiti pubblici, ripiani i deficit e finanzi le aree meno efficienti con investimenti per l’occupazione? Le aree forti questo tipo di soluzione non l’accetteranno mai, conclude Della Luna, né i lombardi per soccorrere i siciliani, né i tedeschi per “salvare” gli italiani. «La soluzione federale tra aree non omogenee produce un livellamento al basso, un degrado civile, un impoverimento globale che porta all’instabilità quando lo Stato centrale non è più in grado di “comprare” il consenso o perlomeno la quiete mediante l’assistenzialismo, e si mette a consumare con le tasse e con le privatizzazioni il risparmio e le risorse». Procede quindi all’esaurimento delle riserve, bruciando con le tasse il risparmio (ricchezza mobiliare e immobiliare), dopo aver prelevato fiscalmente tutto il reddito prelevabile della popolazione governata. «Queste sono le cause strutturali, essenziali, congenite nella sua composizione, che condannano l’Italia alla rovina e che legittimano quindi i suoi commissari liquidatori». La Germania? Si “difende” a modo suo dai paesi del Sud, «li sottomette, li svuota delle loro risorse industriali e finanziarie attraverso i suoi “reichskommissaren”, rinnovando ciò che faceva con i territori occupati durante la Seconda Guerra Mondiale».Per favore, non chiamatelo golpe: ormai tra le macerie dell’Italia una vera Costituzione non c’è più, e da molti anni. Napolitano? Sta solo cercando di «mettere insieme una Costituzione transitoria per gestire questa fase di declino e disgregazione del paese». Tutto più facile, oggi, con un Renzi finalmente legittimato dalle urne: il fiorentino potrà «formalizzare costituzionalmente l’autocrazia, con la collaborazione di un Berlusconi teleguidato mediante le sue disavventure giudiziarie». Renzi il mandato lo ha avuto «da italiani tipici, senza dignità e senza matematica, a cui non importa della svolta autocratica né del fatto che il governo toglie in maggiori tasse e in minori servizi un multiplo della mancia di 80 euro al mese». Sintetizzando, dice Marco Della Luna, da dieci anni è al potere «l’alleanza tra la casta nazionale e la grande finanza apolide (tedesca, francese, statunitense)». Un sodalizio creato «per spartirsi il risparmio, i redditi, i mercati e le aziende di questo paese, e metterlo sotto il governo del capitale bancario».
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Fallujah, la città dove nascono (morti) i bambini-mostro
Le foto scorrono sullo schermo, in un piano alto del Fallujah General Hospital, il policlinico della città irachena rasa al suolo dalle bombe al fosforo bianco, armi di distruzione di massa impiegate dagli Usa nel 2004. Di colpo, scrive Robert Fisk, l’ufficio amministrativo del direttore ospedaliero, Nadhem Shokr Al-Hadidi, si trasforma in una camera degli orrori: «Un neonato con una bocca terribilmente deformata. Un altro con una malformazione del midollo spinale, con materia midollare che fuoriesce dal corpicino. Un neonato con uno spaventoso, enorme occhio da ciclope. Un altro neonato, con solo mezza testa, nato morto come i precedenti, data di nascita 17 giugno 2009». Un’altra foto passa sullo schermo: il piccolo, nato il 6 luglio 2009, è nato con solo «un mozzicone del braccio destro, del tutto privo della gamba sinistra e senza genitali». Orrore quotidiano, fotografie che vanno al di là delle parole: «Come si può anche solo immaginare di descrivere un bambino nato morto, con una sola gamba e la testa che misura quattro volte la taglia del suo corpicino?».«Ho chiesto di poter vedere queste fotografie per assicurarmi che i bambini nati morti, con le loro deformità, fossero reali», premette il grande giornalista inglese, inviato dell’“Independent”, preoccupato che qualche lettore possa pensare a montature a scopo di propaganda anti-Usa. «Ma le fotografie rappresentano una schiacciante, orribile ricompensa a tali dubbi». Un neonato ha braccia deformi. Un altro, nato nel 2010, presenta «una massa grigia su un lato della testa». Un medico spiega che si tratta della “Tetralogia di Fallot”, un difetto del setto interventricolare. Un altro piccolo, nato il 3 maggio 2010, è «una creatura dall’aspetto di una rana». Per il medico, «è come se tutti gli organi addominali cercassero di uscire dal corpo». È troppo, aggiunge Fisk: le fotografie sono eccessivamente crude, incarnano un dolore e una angoscia che ne rende impossibile la visione, perlomeno ai poveri genitori. Immagini che, in poche parole, non possono essere pubblicate.Quel che è veramente vergognoso, aggiunge Fisk, in un servizio ripreso da “Come Don Chisciotte”, è che queste deformità si ripetano senza alcun tipo di monitoraggio o controllo. «Un medico di Fallujah, una ostetrica formatasi in Gran Bretagna, dove ha acquistato a sue spese uno scanner da 79.000 sterline per la rilevazione prenatale delle anomalie congenite destinato alla sua clinica privata – e che è rientrata a Fallujah solo cinque mesi fa – mi dice il suo nome e mi domanda perché il ministero della salute a Baghdad non promuova una approfondita indagine ufficiale sui bambini deformi di Fallujah». E’ andata dal ministro, che le ha promesso che avrebbe creato un comitato. «Sono andata a incontrare il comitato: non hanno fatto nulla, non sono riuscita a ottenere alcun tipo di risposta».I medici di Fallujah si mostrano estremamente onesti e prudenti, aggiunge Fisk: sanno che alcune malformazioni possono essere imputate a problemi genetici ereditari, dovuti a matrimoni tra parenti. Quello che è assolutamente anomalo, però, è la recente esplosione del fenomeno: decisamente allarmante, per la dottoressa Samira Allani, secondo cui la frequenza dei difetti congeniti ha raggiunto «cifre senza precedenti» a partire dal 2010. «Quando i medici cercano di ottenere dei finanziamenti per la ricerca, capita che a volte si rivolgano a organizzazioni che hanno un preciso orientamento politico», spiega Fisk. «Lo studio della dottoressa Allani, ad esempio, ha ricevuto finanziamenti dalla “Kuala Lumpur Foundation to Criminalise War”, fondazione malese per mettere al bando la guerra, un’entità che in maniera appena marginale si oppone all’uso di armi da guerra statunitensi a Fallujah. Anche questo, temo, è parte della tragedia di Fallujah».Per neutralizzare un’infezione fetale basta una semplice trasfusione di sangue, dicono i sanitari, ma questo non aiuta a rispondere alle principali domande: perché l’incremento degli aborti, dei bambini nati morti, delle nascite premature? Il dottor Chris Busby, proveniente dall’università dell’Ulster, ha esaminato circa 5.000 persone a Fallujah, molte delle quali colpite da tumori. «Alcune forti esposizioni ad agenti mutageni sono sicuramente avvenute nel 2004, quando avvennero i bombardamenti», ha dichiarato. Il suo report, redatto in collaborazione con Malak Hamdan ed Entesar Ariabi, afferma che la mortalità infantile a Falluja è pari ad 80 soggetti su ogni 1.000 nati, rispetto ai 19 in Egitto, 17 in Giordania e solo 9,7 in Kuwait. Un altro dei medici di Fallujah dice a Robert Fisk che l’unico contributo ricevuto dal Regno Unito proviene dal dottor Kypros Nicolaides, primario in medicina fetale presso il King’s College Hospital, che attraverso un ente di beneficenza come la Foetal Medicine Foundation ha formato uno dei medici di Fallujah.«L’aspetto da incriminare maggiormente – dichiara a Fisk il medico britannico – è che, durante la guerra, né il governo inglese né quello americano son stati capaci di recarsi da Woolworths, il centro commerciale, ad acquistare dei computer con cui poter documentare le morti in Iraq. Esiste una pubblicazione “Lancet” in cui si stima che il numero dei morti durante la guerra si aggiri intorno ai 600.000. Eppure le potenze occupanti, Usa e Gran Bretagna, non hanno avuto la decenza di dotarsi di un computer del valore di anche solo 500 sterline, in modo da dire “questo corpo è ci è stato portato oggi e questo era il suo nome”». Ora, aggiunge il dottore, «sapete che esiste un paese arabo che ha un numero di malformazioni o tumori maggiore di quello dell’Europa intera». Il medico si dice «sicuro» che queste deformazioni siano in relazione con l’uso di armi da parte dei soldati americani. Ma ora l’Iraq è senza un vero governo, proprio quando servirebbe un accurato studio epidemiologico. «Chiudere gli occhi è molto facile per chiunque – tranne che per qualche professore pazzoide e sensibile come me che, da Londra, cerca di fare qualcosa».Le foto scorrono sullo schermo, in un piano alto del Fallujah General Hospital, il policlinico della città irachena rasa al suolo dalle bombe al fosforo bianco, armi di distruzione di massa impiegate dagli Usa nel 2004. Di colpo, scrive Robert Fisk, l’ufficio amministrativo del direttore ospedaliero, Nadhem Shokr Al-Hadidi, si trasforma in una camera degli orrori: «Un neonato con una bocca terribilmente deformata. Un altro con una malformazione del midollo spinale, con materia midollare che fuoriesce dal corpicino. Un neonato con uno spaventoso, enorme occhio da ciclope. Un altro neonato, con solo mezza testa, nato morto come i precedenti, data di nascita 17 giugno 2009». Un’altra foto passa sullo schermo: il piccolo, nato il 6 luglio 2009, è nato con solo «un mozzicone del braccio destro, del tutto privo della gamba sinistra e senza genitali». Orrore quotidiano, fotografie che vanno al di là delle parole: «Come si può anche solo immaginare di descrivere un bambino nato morto, con una sola gamba e la testa che misura quattro volte la taglia del suo corpicino?».
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La pistola scarica di Grillo, contro Renzi e i boss dell’Ue
«Non sono certo voti di sinistra quelli che hanno spinto il Pd oltre il 40% nel nord-est, un’area dove la sinistra storicamente non ha mai superato il 20%». Massimo Cacciari non ha dubbi: «L’elettorato deluso da Berlusconi e poi dalla Lega ha detto: ok, proviamo anche questa, ma è l’ultima spiaggia». Non è una cambiale in bianco, quella concessa a Renzi: deve fare qualcosa di concreto per risolvere la “questione fiscale” che paralizza le aree più produttive del paese, massacrate dall’iper-tassazione indotta dall’euro. Italia smarrita: ha votato solo il 57% degli aventi diritto, poco più di un italiano su due. L’astensionismo è il primo partito virtuale: fatto di italiani delusi da tutto, anche da Grillo. Forse, soprattutto da Grillo, reduce da una campagna elettorale surreale: la battaglia era per la democrazia boicottata dall’Unione Europea, mentre il leader 5 Stelle ipnotizzato dall’“ebetino” si è prodotto in esternazioni-spettacolo sulla “peste rossa”, sulle auto blu e sulle prevedibili malefatte dei piccoli ladri dell’Expo milanese.I dominus dei mercati non l’hanno nemmeno preso in considerazione, il Movimento 5 Stelle, come possibile pericolo per l’élite finanziaria europea responsabile dell’austerity indotta dalla moneta unica: secondo Paolo Barnard, che cita documenti riservati, a impensierire gli oligarchi che affidano alle larghe intese Merkel-Schulz il dominio delle nostre democrazie in via di rottamazione sono stati lo Ukip di Nigel Farage, che ha fatto man bassa di voti in un paese che detesta l’Unione Europea pur non dovendo subire le forche caudine dell’euro, e soprattutto il Front National di Marine Le Pen, che ha umiliato il regime “socialista” di Hollande sulla base di una tesi chiarissima: visto che l’Eurozona è incompatibile con la democrazia, non c’è altra strada che il ritorno alla sovranità nazionale, pena l’uscita della Francia dall’attuale Ue. Naturalmente i pompieri sono già al lavoro per spegnere l’incendio evocando anche a Parigi il fantasma dello spread, ma sanno che – grazie alla prodigiosa “stabilizzazione” offerta dal Pd di Renzi, la grande speculazione finanziaria non corre pericoli: tutto continuerà come prima, loro ad arricchirsi e noi a sprofondare nella crisi.Dell’imbarazzante Renzi, in tutta la campagna elettorale Beppe Grillo si è limitato a dire che è «il nulla», anziché la stampella fondamentale della Merkel dopo il crollo di Hollande e la sconfitta dei socialisti spagnoli, greci e britannici. Un “nulla” che oggi vale il 40% dei votanti italiani, peraltro. E il 43% che non ha votato? Certo non si è fidato di Grillo né come potenziale leader di governo – non un’idea su come “cambiare le cose”, nemmeno nell’oretta concessa da Bruno Vespa – né come credibile leader anti-euro: il programma del Movimento 5 Stelle infatti si limitava a un “no al Fiscal Compact” e un altrettanto pletorico “referendum sull’euro”, quello che semmai si sarebbe dovuto tenere vent’anni fa. Oggi, chi si candida a governare un paese – tanto più un grande paese come l’Italia – sull’euro dovrebbe avere idee chiarissime, schierarsi per il sì o per il no, fornire spiegazioni esaurienti e proporre soluzioni credibili. «Noi noi siamo contro l’euro», ha detto Casaleggio a Marco Travaglio, alla vigilia del voto. Nemmeno Tsipras è no-euro, del resto, e la Lista Tsipras è stata sostenuta largamente da Sel, che è alleata in tutta Italia col Pd di Renzi. L’Italia è la grande assente di questa decisiva tornata europea, per molti aspetti storica. E quasi metà degli italiani, quelli che hanno disertato le urne, non hanno di fronte soluzioni convincenti per tornare a votare domani.«Non sono certo voti di sinistra quelli che hanno spinto il Pd oltre il 40% nel nord-est, un’area dove la sinistra storicamente non ha mai superato il 20%». Massimo Cacciari non ha dubbi: «L’elettorato deluso da Berlusconi e poi dalla Lega ha detto: ok, proviamo anche questa, ma è l’ultima spiaggia». Non è una cambiale in bianco, quella concessa a Renzi: deve fare qualcosa di concreto per risolvere la “questione fiscale” che paralizza le aree più produttive del paese, massacrate dall’iper-tassazione indotta dall’euro. Italia smarrita: ha votato solo il 57% degli aventi diritto, poco più di un italiano su due. L’astensionismo è il primo partito virtuale: fatto di italiani delusi da tutto, anche da Grillo. Forse, soprattutto da Grillo, reduce da una campagna elettorale surreale: la battaglia era per la democrazia boicottata dall’Unione Europea, mentre il leader 5 Stelle ipnotizzato dall’“ebetino” si è prodotto in esternazioni-spettacolo sulla “peste rossa”, sulle auto blu e sulle prevedibili malefatte dei piccoli ladri dell’Expo milanese.
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Londra, un milione di nuovi poveri in coda per il cibo
La riforma del welfare britannico lascia sul campo un milione di nuovi poveri. E’ il quadro di un’Inghilterra affamata quello dai Trussel Trust, la piu grande banca del cibo del paese. Secondo l’ultimo rapporto dell’organizzazione benefica, piu di 900.000 persone si sono rivolte a loro nell’ultimo anno, facendo registrare un aumento record nell’utenza, pari al 163%. Una situazione inquietante, causata in gran parte dal taglio dei benefit assistenziali e condannata da 600 leader di religioni diverse, che hanno inviato una lettera al governo chiedendo un’azione immediata per risolvere il problema. Nello stesso tempo una coalizione anti-povertà formata da decine di organizzazioni umanitarie, Trussel Trust compresa, afferma che la Gran Bretagna sta violando la legge sui diritti umani, in particolare il diritto delle persone a poter provvedere al proprio nutrimento.Una presa di posizione durissima che riflette il risultato, altrettanto duro, del rapporto del Trussell sull’uso delle sanzioni imposte dal governo al sistema dei benefit, scrive Enrica Orsini sul “Giornale”, in un servizio ripreso da “Vox Populi”. Metà dei nuovi poveri britannici si sono rivolti alle banche del cibo tra il 2013 e il 2014: «L’hanno fatto perchè i loro sostegni assistenziali sono stati cancellati o sono giunti in ritardo». Otto banche caritative su dieci rilevano la stessa situazione. «In totale, 913.138 persone si sono rivolte almeno per tre giorni al Trussell Trust, contro le 346.992 dello scorso anno». Tra le cause più frequenti, oltre alla riforma del welfare, «l’aumento del costo della vita, i salari troppo bassi e la disoccupazione: i nuovi poveri fanno quindi salire a 4.700.000 il numero delle persone che non riescono ad alimentarsi».Cifre definite «scioccanti, nella Gran Bretagna del ventunesimo secolo» da Chris Mould, direttore dell’organizzazione. Ed è solo la vetta dell’iceberg: questi numeri, aggiunge Mould, non includono «chi si rivolge ad altre organizzazioni in città dove non sono presenti le nostre banche del cibo, e non può tener conto di tutti i soggetti che si vergognano troppo per chiedere il nostro aiuto», senza contare «il largo numero di utenti che provano a far fronte al problema semplicemente mangiando di meno e acquistando cibo scadente». Nel rapporto, l’organizzazione sostiene che l’aumento della richiesta è presente in tutte le organizzazioni. Per Rachel Reeves, ministro-ombra laburista per lavoro e pensioni, «le banche del cibo sono divenute il simbolo vergognoso del fallimento del governo di David Cameron nella lotta all’aumento del costo della vita». Serve «un’azione urgente per azzerare un sistema sbagliato, in cui i ritardi e le cancellazioni nell’assegnazione dei benefit hanno portato a questa situazione».La riforma del welfare britannico lascia sul campo un milione di nuovi poveri. E’ il quadro di un’Inghilterra affamata quello dai Trussel Trust, la piu grande banca del cibo del paese. Secondo l’ultimo rapporto dell’organizzazione benefica, piu di 900.000 persone si sono rivolte a loro nell’ultimo anno, facendo registrare un aumento record nell’utenza, pari al 163%. Una situazione inquietante, causata in gran parte dal taglio dei benefit assistenziali e condannata da 600 leader di religioni diverse, che hanno inviato una lettera al governo chiedendo un’azione immediata per risolvere il problema. Nello stesso tempo una coalizione anti-povertà formata da decine di organizzazioni umanitarie, Trussel Trust compresa, afferma che la Gran Bretagna sta violando la legge sui diritti umani, in particolare il diritto delle persone a poter provvedere al proprio nutrimento.
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Salvare la democrazia: la questione morale della Le Pen
L’inaudito plebiscito pro Renzi, largamente inatteso dallo stesso Pd, relega l’Italia in posizione ancora una volta subalterna e defilata rispetto alla grande partita europea che si è ufficialmente aperta con le storiche elezioni del 25 maggio 2014, con gli euroscettici al comando in due paesi leader come la Gran Bretagna e soprattutto la Francia, dove più è evidente la bancarotta storica (politica, etica e culturale) della socialdemocrazia, la forza che più di ogni altra ha tacitamente supportato l’euro-disastro neoliberista, tradendo il proprio elettorato di sinistra. Se oggi il Pd può raccontare che – insieme a Martin Schulz – tenterà di mitigare l’austerity di Bruxelles imposta dalla Deutsche Bank per tramite della Mekel, potrà farlo solo grazie alla radicale protesta elettorale dei paesi più avanzati, la Francia in primis, che ora costringerà la Troika a fare i conti con la pressante richiesta di sovranità democratica di molti popoli europei, dalla Grecia all’Austria.Nelle ultime settimane, la campagna elettorale italiana ha riesumato – facendone oggetto di contesa polemica – la “questione morale” impugnata da Enrico Berlinguer, indimenticato leader di un partito “eretico” e anomalo, popolare e democratico, impegnato a contrastare energicamente la corruzione della classe politica italiana dell’epoca, cioè la partitocrazia anticomunista cui si perdonavano le tangenti purché facesse argine contro il “pericolo rosso”, in piena guerra fredda contro l’Unione Sovietica. Subito dopo la caduta del Muro, quella storica tolleranza verso la malapolitica italiana cessò di colpo, sotto la scure di Mani Pulite che decapitò la vecchia classe dirigente partitocratica proprio mentre quella nuova, elitaria e tecnocratica, stava già brigando per consegnare il paese all’europeismo delle banche, della grande industria e della finanza. Esattamente il tipo di europeismo al quale, il 25 maggio 2014, milioni di europei (e pochissimi italiani) hanno detto di no.Della questione morale di oggi – quella vera – si è sentito parlare moltissimo nel Regno Unito e soprattutto in Francia, dove «il popolo ha parlato», come ha detto Marine Le Pen, e ha messo al teppeto il socialista Hollande, prono ai diktat del regime affaristico euro-atlantico che ha un solo grande obiettivo: radere al suolo la democrazia, lo Stato di diritto dei cittadini, mediante la privatizzazione definitiva della finanza pubblica, delle banche centrali e della moneta, riducendo a zero la capacità di spesa pubblica. In Italia il nome di Berlinguer è stato speso chiacchierando di auto blu e stipendi d’oro, mentre – come ha ricordato Giorgio Cremaschi alla vigilia delle elezioni – proprio Berlinguer si era opposto al monetarismo dello Sme, il bisnonno dell’euro, intuendo che il controllo delle élite sulla moneta avrebbe messo in ginocchio lo Stato e quindi la democrazia popolare. Questa battaglia, vittoriosa e centrale per il nostro futuro, è stata adottata da Marine Le Pen, contestando il sistema di potere della Francia, cioè dello Stato che fu più decisivo per la nascita di questa insostenibile, oligarchica Unione Europea. Gli italiani? Non pervenuti: il derby era tra Renzi e Grillo, gli 80 euro e le auto blu.L’inaudito plebiscito pro Renzi, largamente inatteso dallo stesso Pd, relega l’Italia in posizione ancora una volta subalterna e defilata rispetto alla grande partita europea che si è ufficialmente aperta con le storiche elezioni del 25 maggio 2014, con gli euroscettici al comando in due paesi leader come la Gran Bretagna e soprattutto la Francia, dove più è evidente la bancarotta storica (politica, etica e culturale) della socialdemocrazia, la forza che più di ogni altra ha tacitamente supportato l’euro-disastro neoliberista, tradendo il proprio elettorato di sinistra. Se oggi il Pd può raccontare che – insieme a Martin Schulz – tenterà di mitigare l’austerity di Bruxelles imposta dalla Deutsche Bank per tramite della Merkel, potrà farlo solo grazie alla radicale protesta elettorale dei paesi più avanzati, la Francia in primis, che ora costringerà la Troika a fare i conti con la pressante richiesta di sovranità democratica di molti popoli europei, dalla Grecia all’Austria.
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Plebiscito Renzi, l’Italia impaurita ha un nuovo padrone
L’Anna Karenina di Lev Tolstoj inizia con il ricordare che «tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». L’Europa uscita da queste elezioni continentali è più che mai una realtà estremamente variegata, e probabilmente infelice. Il regime dell’austerity ha colpito in modi diversi i popoli europei, provocando reazioni molto differenziate. Queste reazioni sono state influenzate dalla maggiore o minore velocità della crisi, dalla diversa tenuta dei partiti tradizionali, dalla capacità di rassicurare gli elettori da parte dei partiti nuovi e di rottura, dalla traiettoria dell’azione dei rispettivi governi. In certi importanti paesi (come nel Regno Unito e in Francia) si sono affermati in modo clamoroso come primi partiti delle forze di netta rottura. In altri paesi (come in Germania, in Polonia e in Italia) ha funzionato una sorta di tradizionale “riflesso d’ordine” in favore del governo. Altrove, come in Grecia e in Spagna, si è rafforzato chi sta a sinistra del Pse. Ovunque si coglie una qualche tendenza netta, ma è dovunque peculiare.Anche il risultato italiano è straordinariamente netto: il Pd renziano rafforza la propria funzione: riorganizzare efficacemente il blocco sociale conservatore nel momento in cui crolla l’analoga funzione berlusconiana, tenendosi all’interno una porzione ancora molto elevata del suo elettorato tradizionale proveniente da sinistra. Una sorta di Dc 2.0 che ritorna alle percentuali del Pci nelle regioni rosse, prende il doppio dei voti dell’opposizione a cinque stelle e tenterà di dare l’impronta decisiva alla Terza Repubblica, promettendo un dinamismo riformatore, sempre di richiamo nel paese del Gattopardo. Chi scrive non aveva affatto previsto la portata di questa avanzata. Ma una previsione per il prossimo periodo va fatta lo stesso.Nel momento in cui l’area di centrodestra prosciugata dal Pd ratificherà pienamente la nuova leadership, si troverà anche la quadratura per eleggere un nuovo presidente della Repubblica in luogo dell’esausto Napolitano: un Draghi o un suo simile che benedica un’era di nuove privatizzazioni e di ulteriore precarizzazione del lavoro. Di fronte all’odierno distacco di 20 punti percentuali tra Pd e M5S, l’ancora molto rilevante opposizione del movimento fondato da Grillo dovrà aprirsi a un modello di partecipazione politica diversa e a linguaggi che non potranno più continuare con lo schema attuale. In Europa abbondano gli esempi per un rinnovamento, a partire da Alexis Tsipras. Intanto, ovunque la situazione si muoverà, all’ombra delle nuove ombre di guerra che l’Europa ha riportato nel continente.(Pino Cabras, “Il boom di Renzi riorganizza il blocco conservatore”, da “Megachip” del 26 maggio 2014).L’Anna Karenina di Lev Tolstoj inizia con il ricordare che «tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». L’Europa uscita da queste elezioni continentali è più che mai una realtà estremamente variegata, e probabilmente infelice. Il regime dell’austerity ha colpito in modi diversi i popoli europei, provocando reazioni molto differenziate. Queste reazioni sono state influenzate dalla maggiore o minore velocità della crisi, dalla diversa tenuta dei partiti tradizionali, dalla capacità di rassicurare gli elettori da parte dei partiti nuovi e di rottura, dalla traiettoria dell’azione dei rispettivi governi. In certi importanti paesi (come nel Regno Unito e in Francia) si sono affermati in modo clamoroso come primi partiti delle forze di netta rottura. In altri paesi (come in Germania, in Polonia e in Italia) ha funzionato una sorta di tradizionale “riflesso d’ordine” in favore del governo. Altrove, come in Grecia e in Spagna, si è rafforzato chi sta a sinistra del Pse. Ovunque si coglie una qualche tendenza netta, ma è dovunque peculiare.
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La crisi europea alle urne, voto-contro e astensionismo
Matteo Salvini e Giorgia Meloni, cioè Lega Nord e Fratelli d’Italia: sono i due partiti che puntano le armi con più decisione contro l’euro-regime che ha imposto l’austery, portando l’Italia sull’orlo del collasso. Altri, come la Lista Tsipras, mirano invece a correggere il rigore di Bruxelles, senza mettere in discussione il Trattato di Maastricht, quindi l’euro, sul quale Grillo – accreditato all’estero come forza euroscettica – propone di indire un referendum, limitandosi per ora (come Tispras) a dichiarare guerra al Fiscal Compact. Tra gli opinion leader, il più acuto nel proporre un’analisi organica sulla devastante crisi europea è Paolo Barnard, che denuncia la barbarie del neo-feudalesimo di Bruxelles, storicamente organizzata dalle grandi famiglie dell’élite oligarchica franco-tedesca, ostili alla democrazia e quindi a qualsiasi economia sociale. Soluzioni politiche? Nessuna: Barnard è tra quanti considerano le elezioni europee perfettamente inutili, dato che l’Europarlamento continuerà a non avere nessun potere sul governo dell’Unione.Altri, meno pessimisti, sperano che l’establishment di Bruxelles – espressione della Bundesbank e della Bce – possano prendere buona nota degli avvertimenti che, stando ai sondaggi, il voto del 25 maggio riserverà: non tanto in Germania, quanto soprattutto in Francia e in Gran Bretagna, dove è attesa una forte affermazione di Marine Le Pen e Nigel Farage. Determinante l’eventuale successo dei no-euro in Francia: se non si tornerà alla leva fondamentale per finanziare la democrazia, cioè la sovranità monetaria, la Le Pen minaccia l’uscita della Francia dall’Ue. Insieme a Londra, Parigi sembra destinata a trainare un fronte molto vasto, che passa per l’Olanda e l’Austria: formazioni politiche generalmente definite nazional-populiste, ovviamente “di destra”, si incaricano di rappresentare il dilagante malcontento per una crisi sempre più spietata, mentre il centrosinistra europeo (Spd, socialisti francesi e Pd) restano il più solido puntello del micidiale euro-sistema, che precarizza il lavoro in ossequio al neoliberismo finanziario anglosassone e al mercantilismo tedesco.Nel frattempo, la superpotenza americana imbriglia l’Europa tra le maglie del Ttip, il Trattato Transatlantico che potrebbe metter fine agli ultimi capolsaldi del dritto costituzionale europeo in materia di ambiente, lavoro, sanità e sicurezza alimentare, mentre – dopo aver minacciato la Siria e l’Iran – ora affronta direttamente la Russia sul piano geopolitico militare, puntando soprattutto ad accerchiare la Cina con una inedita proiezione nel Pacifico. Secondo Barnard, solo il nuovo capitalismo di Pechino – fondato sulle immense riserve russe di gas e petrolio a sorreggere lo yuan come futura moneta internazionale – potrebbe innescare un benefico terremoto macro-economico in grado di mandare a monte i piani degli euro-oligarchi, che da trent’anni lavorano per metter fine alla sovranità democratica in Europa e alla nostra economia sociale. Un orizzonte sul quale, evidentemente, è impensabile che possa incidere il risultato elettorale per le europee. Che, almeno per l’Italia, sembra destinato essenzialmente al mercato politico interno, cioè il derby Renzi-Grillo. L’Italia non è mai stata male come adesso, e non c’è più neppure l’alibi del detestato Cavaliere. Quanto peserà il partito del non-voto?Matteo Salvini e Giorgia Meloni, cioè Lega Nord e Fratelli d’Italia: sono i due partiti che puntano le armi con più decisione contro l’euro-regime che ha imposto l’austery, portando l’Italia sull’orlo del collasso. Altri, come la Lista Tsipras, mirano invece a correggere il rigore di Bruxelles, senza mettere in discussione il Trattato di Maastricht, quindi l’euro, sul quale Grillo – accreditato all’estero come forza euroscettica – propone di indire un referendum, limitandosi per ora (come Tispras) a dichiarare guerra al Fiscal Compact. Tra gli opinion leader, il più acuto nel proporre un’analisi organica sulla devastante crisi europea è Paolo Barnard, che denuncia la barbarie del neo-feudalesimo di Bruxelles, storicamente organizzata dalle grandi famiglie dell’élite oligarchica franco-tedesca, ostili alla democrazia e quindi a qualsiasi economia sociale. Soluzioni politiche? Nessuna: Barnard è tra quanti considerano le elezioni europee perfettamente inutili, dato che l’Europarlamento continuerà a non avere nessun potere sul governo dell’Unione.