Archivio del Tag ‘sanità’
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Big Pharma democratica? Forse non tutto è in sfacelo
Voglio essere breve ma istruttivo. Tempo fa scrissi un articolo dove dimostravo che oggi il pensiero più avanzato sulla tutela del lavoro non sta nelle putrefatte puttane grandi sigle sindacali, ma sta nei cervelli delle aziende di Silicon Valley o addirittura nei cervelli di Goldman Sachs. Il segnale inequivocabile è che il Vero Potere ha due facce. Quella nota, di poco differente da Satana, o da un barracuda sifilitico, o da un pitbull con la rabbia; e un’altra faccia che incredibilmente coesiste con quanto detto prima, cioè intelligenze veramente progressiste, avanzatissime anche nei regni dei… diritti. Yes, è così. Quindi per uno come me, che iniziò il precipizio della sua carriera di affermato reporter nazionale proprio producendo un’inchiesta Rai sul conflitto d’interessi fra medici e giganti del farmaco (Big Pharma), è oggi di sollievo leggere ciò che i dottori Michael Rosenblatt e Sachin Jain hanno pubblicato pochi giorni fa per la Harvard Univesity. Chi sono? Sono due baroni della medicina sia pubblica che privata americana, entrambi ex dirigenti di punta del colosso del farmaco Merck ma anche universitari, quindi profondi conoscitori del… conflitto d’interessi tra profitto di Big Pharma e medici, sia pubblici che privati.Non ripeto qui la loro analisi, ma io conosco molto bene la materia e vi garantisco che questi due baroni hanno non solo ammesso sulle pagine di Harvard ogni singolo angolo dello scandaloso conflitto d’interessi fra Big Pharma, professori universitari ricercatori, primari e medici di famiglia (inclusa l’insidiosa pratica della pubblicazione scientifica per far carriera negli atenei, che non coinvolge soldi ma ‘spintoni’ dai raccomandatori privati), ma hanno anche proposto le basi per una legislazione in materia che abbia senso pratico e morale. Il senso morale è scontato, inutile qui ri-raccontarlo. In molti Stati Usa oggi se un medico (letteralmente) prende un caffè con un informatore farmaceutico, è tenuto a denunciare il fatto a un comitato apposito, se no rischia l’espulsione dall’albo alla denuncia di un passante. Le vie per raggirare ci sono, ovvio, ma questo controllo esiste in Italia? No.Il senso pratico, qui, è essenziale. Oggi il mercato è ovunque, è come l’ossigeno sul pianeta Terra, s’infiltra ovunque. L’utopia di una sanità di puro investimento pubblico è fuffa. Il problema è allora, Michael Rosenblatt e Sachin Jain sostengono, sfruttare l’immenso potenziale di ricerca finanziata dalla Stato (di fatto per 50 anni il vero partoriente di tutta la tecnologia che conosciamo) assieme all’immenso potenziale di ricerca di Big Pharma. Ciò va fatto con regolamentazioni che, dicono i due esperti, «non vadano a strangolare alla cieca i contatti fra Big Pharma e medici, ma che incoraggino più la dichiarazione pubblica di un potenziale conflitto d’interessi nascente, che il conflitto stesso». Tradotto: quando un brillante ricercatore medico pubblico fa una scoperta essenziale per la salute di tutti, più che chiuderlo in una gabbia pubblica dalla quale non potrà mai comunicare con Big Pharma, si deve per prima cosa annunciare che un conflitto d’interessi ne può nascere, e poi sedersi al tavolo di ministero della sanità e Big Pharma e discutere come i privati possono aiutare lo Stato a maturare quella grande scoperta senza sfruttare o corrompere nessuno. Meno che meno sfruttare gli ammalati. E viceversa, la stessa cosa quando Big Pharma scopre una cura salvavita. Al tavolo col ministero… prima di tutto.Che questi concetti escano dagli americani, da due ex pezzi grossissimi della Merck, è un risultato immenso, insperato, dà un senso di micro-speranza, come quando appunto Paolo Barnard è l’unico in Italia ad accorgersi che il welfare del futuro dei salariati è in mano ai cervelli della Artificial Intelligence, non ai fossili della Cgil e soci. Loro, i cervelli A.I. hanno le vere idee e le condividono pubblicamente. Ministro del lavoro, fatti avanti (non tu cazzaro, in It). Bè, come posso concludere questa nota, se non con due cose. Voi che vivete nel web gettate al cesso i webeti della serie “Il mondo è diviso fra la cupola satanica dei Rothschild privati, e i buoni”, guardate dentro il Vero Potere, e ci troverete delle sorprese eccezionali. Secondo… bè, think.(Paolo Barnard, “Forse non tutto è in sfacelo – lasciamo perdere l’It”, dal blog di Barnard dell’11 giugno 2017).Voglio essere breve ma istruttivo. Tempo fa scrissi un articolo dove dimostravo che oggi il pensiero più avanzato sulla tutela del lavoro non sta nelle putrefatte puttane grandi sigle sindacali, ma sta nei cervelli delle aziende di Silicon Valley o addirittura nei cervelli di Goldman Sachs. Il segnale inequivocabile è che il Vero Potere ha due facce. Quella nota, di poco differente da Satana, o da un barracuda sifilitico, o da un pitbull con la rabbia; e un’altra faccia che incredibilmente coesiste con quanto detto prima, cioè intelligenze veramente progressiste, avanzatissime anche nei regni dei… diritti. Yes, è così. Quindi per uno come me, che iniziò il precipizio della sua carriera di affermato reporter nazionale proprio producendo un’inchiesta Rai sul conflitto d’interessi fra medici e giganti del farmaco (Big Pharma), è oggi di sollievo leggere ciò che i dottori Michael Rosenblatt e Sachin Jain hanno pubblicato pochi giorni fa per la Harvard Univesity. Chi sono? Sono due baroni della medicina sia pubblica che privata americana, entrambi ex dirigenti di punta del colosso del farmaco Merck ma anche universitari, quindi profondi conoscitori del… conflitto d’interessi tra profitto di Big Pharma e medici, sia pubblici che privati.
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Nuova sinistra, fai la guerra a questo sistema (o stai a casa)
Il patatrac del sistema elettorale finto tedesco, ah quanti guai in Italia a voler imitare la Germania, allontana la data delle elezioni. Questo forse depotenzierà l’urgenza della proposta di Anna Falcone e Tommaso Montanari, ma permetterà un confronto più rigoroso su di essa, senza l’assalto soverchiante di tutti quelli che “mamma mia, come superiamo il 5%?”. Non basta affermare che una proposta di sinistra unita debba essere nuova perché essa effettivamente lo sia. Dal 2008 queste proposte si susseguono, spesso con le stesse premesse e gli stessi risultati, catastrofici. Le liste della sinistra unita hanno sempre fallito il loro obiettivo elettorale tranne che alle elezioni europee, dove la lista Tsipras ha superato lo sbarramento, salvo poi frantumarsi un minuto dopo il voto, come le precedenti esperienze sconfitte. Quindi il primo elemento di novità della proposta dovrebbe essere quello di non ripetere le esperienze del passato e di porre condizioni e discriminanti affinché il nuovo sia davvero tale. Sinceramente, non trovo chiarezza sufficiente al riguardo nel testo di Falcone e Montanari.Si parte dalla Costituzione, anzi dalla sua anima sociale e antiliberista affermata meravigliosamente dall’articolo 3, e si sostiene che si deve prima di tutto rispondere a quel popolo di sinistra che in nome di quell’anima ha votato No il 4 dicembre. Benissimo, questo però significa esplicitare subito alcune discriminanti. Prima di tutto non possono essere interlocutori di questa proposta coloro che hanno votato Sì, per capirci sono fuori Giuliano Pisapia e Romano Prodi. Il problema si pone però anche verso chi ha votato No, ma prima ha sostenuto il Jobsact, la legge Fornero e soprattutto quella mina a orologeria contro i principi sociali della Costituzione, quale è il nuovo articolo 81 che obbliga al pareggio di bilancio in ottemperanza al mostruoso Fiscal Compact. Durante il governo Monti il Parlamento quasi unanime ha costituzionalizzato quella austerità che giustamente Falcone e Montanari vogliono rovesciare. E se non sono solo buoni propositi, la rottura con l’austerità significa soppressione immediata delle misure che emblematicamente la realizzano. Chi le ha votate naturalmente può ammettere di essersi sbagliato e sostenere un programma che proponga di cancellare quelle misure, ma lo deve fare con rigore e sofferenza e non per furbizia.Jeremy Corbyn ha riconquistato fiducia nel mondo del lavoro, dopo essere stato svillaneggiato dalle sinistre liberali e dai loro mass media, accettando il voto sulla Brexit e proponendo un programma secco di nazionalizzazioni. Questa parola da noi è tabù nei sindacati confederali e anche in buona parte della sinistra più radicale, eppure è proprio sul terreno delle privatizzazioni che si gioca la possibilità di arrestare e veder dilagare ancora le politiche economiche liberiste. Alitalia e Ilva sono i primi banchi di prova, poi seguiranno le Poste, le Ferrovie, Enel ed Eni e naturalmente ciò che resta del sistema bancario. O torna l’intervento pubblico diretto nell’economia, o da noi va tutto in mano alle multinazionali, visto che la grande borghesia italiana non esiste più come classe autonoma dai poteri della globalizzazione. O pubblico, o si svende ciò che resta del paese, questa è l’alternativa reale oggi e che scelta fa al riguardo la sinistra prefigurata da Falcone e Montanari?Lavoro con diritti, scuola pubblica e stato sociale, ambiente, territorio e beni comuni sono dichiaratamente al centro della proposta di nuova sinistra. Anche qui possiamo solo dire giustissimo, ma dobbiamo però aggiungere: che misure concrete si vogliono subito attuare, che leggi si vogliono cancellare, che nuovi atti si vogliono varare? Naturalmente ci sono programmi decennali da individuare, ma il buongiorno si vede dal mattino, per esempio dall’impegno a cancellare tutta la buona scuola e la controriforma della sanità, a quello a fermare tutte le grandi opere, a partire dalla famigerata Tav in valle Susa. Non è solo questo che basta, ma è questo che serve per capire se si vuol fare sul serio. Il bilancio delle spese militari dello Stato italiano è in continua ascesa e Gentiloni si è impegnato quasi a raddoppiarlo per raggiungere quel 2% del Pil posto dagli accordi Nato. Si ribalta questa scelta nel suo opposto con il taglio delle spese ed il ritiro dalle missioni all’estero, o ci si accontenta di partecipare alla sfilata del 2 giugno con la spilla della pace?Anche qui le scelte programmatiche, che Falcone e Montanari pongono giustamente come discriminanti, se sono vere individuano già di che pasta e di quali persone dovrebbe essere composta la nuova sinistra. Che alla fine dovrà misurarsi con la questione di fondo: le politiche del lavoro, dell’ambiente e dello stato sociale, in alternativa alla austerità e alle spese di guerra, sono realizzabili accettando i vincoli Ue e Nato? Noi che abbiamo costituito Eurostop pensiamo di no, che senza la rottura con quelle istituzioni nulla di buono sia possibile per i poveri e gli sfruttati. Noi pensiamo così, ma siamo disposti ad accettare la sfida di chi invece pensa che quelle istituzioni siano positivamente riformabili. Chi crede a questo però deve essere disposto a rompere se poi dovesse verificare che il suo programma posto è posto all’indice proprio da quelle istituzioni. E deve dirlo.Chi ha votato No il 4 dicembre non può dimenticare che tutta la governance europea si era spesa per il Sì. Né può ignorare che la Costituzione del 1948 e i trattati di Maastricht e Lisbona sono formalmente e concretamente incompatibili. Si può non volere la rottura con la Ue nel programma, ma si deve essere disposti a farla se le istituzioni comunitarie quel programma ti impediscono di realizzarlo. Tsipras tra il rispetto del referendum popolare e quello dei diktat della Troika ha scelto il secondo. La sinistra proposta da Falcone e Montanari è disposta a fare la scelta esattamente opposta? Siccome nel testo di Falcone e Montanari non ho trovato risposte chiare a domande per me decisive per capire cosa essi vogliano fare, mi sono permesso alcune di quelle domande di formularle io. Mi permetto di suggerire ai due estensori dell’appello di parlarne esplicitamente nell’assemblea del 18 giugno. Magari si affermi l’opposto di quanto scritto qui, ma per favore si faccia chiarezza. E non si parli d’altro per favore, sappiamo tutti che i nodi sono questi e non si sciolgono coprendoli di grandi valori e buoni propositi.(Giorgio Cremaschi, “Vorrei che Falcone e Montanari facessero chiarezza sulla loro idea di sinistra”, dal blog di Cremaschi sull’“Huffington Post” del 9 giugno 2017).Il patatrac del sistema elettorale finto tedesco, ah quanti guai in Italia a voler imitare la Germania, allontana la data delle elezioni. Questo forse depotenzierà l’urgenza della proposta di Anna Falcone e Tommaso Montanari, ma permetterà un confronto più rigoroso su di essa, senza l’assalto soverchiante di tutti quelli che “mamma mia, come superiamo il 5%?”. Non basta affermare che una proposta di sinistra unita debba essere nuova perché essa effettivamente lo sia. Dal 2008 queste proposte si susseguono, spesso con le stesse premesse e gli stessi risultati, catastrofici. Le liste della sinistra unita hanno sempre fallito il loro obiettivo elettorale tranne che alle elezioni europee, dove la lista Tsipras ha superato lo sbarramento, salvo poi frantumarsi un minuto dopo il voto, come le precedenti esperienze sconfitte. Quindi il primo elemento di novità della proposta dovrebbe essere quello di non ripetere le esperienze del passato e di porre condizioni e discriminanti affinché il nuovo sia davvero tale. Sinceramente, non trovo chiarezza sufficiente al riguardo nel testo di Falcone e Montanari.
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Comandano loro, non Renzi o Beppe. E neppure li capiamo
Il “Senato Mondiale” parla questa lingua, leggete: «Oggi grande occasione per i Buy The Fucking Dip (Btfd), con i Fangs Stocks a caduta libera, salvati proprio all’ultimo in Europa dai Brfd… Aapl bastonati, mentre il S&P 500 Tech Sector gli è andato dietro disastrosamente. Alla fine però neppure i Btfd hanno salvato i Fang. S&P ci dice che la Crescita di nuovo collassa mentre il Valore sta su. In Italia l’anti Eurozona M5S è sprofondato nelle amministrative, rendimenti Btp al ribasso, Mercati ora più tranquilli. Goldman bearish sui Bitcoins, dicono che si attestano fra un massimo di 2.230 e un minimo di 1.915, sanno qualcosa che noi non sappiamo?». Non ci avete capito niente, ma così parla ogni giorno il vostro Padrone, quello che Noam Chomsky già nel 1989 chiamava con immensa saggezza “Il Senato Mondiale”, i Mercati, contro cui non esiste appello. Sono coloro che decidono se tuo figlio finirà la sua vita da individuo o da servo della Tech-gleba in un loop di vita disumano.Ciò che impressiona me, è che se ci pensiamo bene sono almeno 30 anni che i telegiornali all’ora di cena fra maccheroni e cotolette vi fanno sentire questo nome, i Mercati. Dovrebbe esservi entrato in testa come il Mulino Bianco. Poi, Gesù, con la ‘crisi’ del 2008 ve l’hanno pompato in testa ogni secondo per almeno 8 anni quel nome, ma no, ancora gli Italians non sanno che cazzo sia il Mercato, anche se Lui è il Padrone: decide se tuo figlio finirà la sua vita da individuo o da servo della Tech-gleba in un loop di vita disumano. Sappiamo a cosa corrono dietro gli Italians con la bava alla bocca: al pollitalico pollaio, Stato-Mafia, Grillo, Feste dell’Unità, talk shows, le denunce di “Striscia la Notizia”, insomma cacchina di pollo. Altri lettori di altri paesi sono un po’ meno tonni… ma ok.“Buy The Fucking Dip (Btfd)”: sono i mega-investitori che oggi si precipitano a comprare e vendere qualsiasi titolo di Borsa che stia crollando. Scommettono nelle 10 ore o 72 ore in un rialzo, e poi vendono. Non guardano in faccia a un cazzo di nessuno, e hanno più potere di spostare denaro dell’imperatore Adriano nella Roma antica, direi 100.000 volte di più. Non guardano in faccia a nessuno ’sti Btfd, neppure ai Fang. Hey, e dire che oggi sul pianeta Terra più potenti dei Fang chi c’è? Fang sta per i titoli di Facebook, Amazon, Netflix e Google. Gente come Zuckerberg, Bezos o Brin che sta col culo appeso a ’sti Btfd, parola ‘fucking’ di mezzo inclusa. Non so se rendo l’idea… Ma neppure ’sti Btfd poi agiscono in accordo e infatti i Fang hanno finito la sessione sottoterra, povero Zucker…“Aapl bastonati, mentre il S&P 500 Tech Sector gli è andato dietro disastrosamente”: Aapl non è altro che la Apple, mica nulla. Il Senato Mondiale ha decretato che ultimamente gli eredi di Steve Jobs non hanno fatto scintille né con l’auto alla Artificial Intelligence, né col sistema operativo Ios. E allora giù bastonate all’azienda oggi fra le 4 più potenti del mondo. Gli analisti di Standard & Poor’s (S&P) si sono fatti prendere dal panico e tutto il settore High-Tech è stato trascinato nelle Borse dietro al capitombolo di Apple. Alè, e via in fumo abbastanza soldi per sfamare 10 Afriche e occupare tutti i disoccupati europei (anche tuo figlio… tonno che leggi Travaglio).“S&P ci dice che la crescita di nuovo collassa mentre il Valore sta su”. Semplice: i valori economici di speculazioni fatte su aria fritta rimangono comunque a galla. La crescita fatta da cibo, pensioni, sanità, stipendi reali, infrastrutture, case, ecc., continua a scivolare nel bidè. Che è esattamente cioè che il Senato Mondiale vuole.“In Italia l’anti Eurozona M5S è sprofondato nelle amministrative, rendimenti Btp al ribasso, Mercati ora più tranquilli”. Questo è un vero mistero. I mega-investitori sono ancora convinti che Grillo sia anti-euro (hahahahahahhahaha!!!!!!!!!), e io non trovo una spiegazione per ’sta bufala napoletana. Ma rimane significativo che se i 5S sono bastonati, il Senato Mondiale premia i titoli di Stato di Roma chiedendo al governo meno interessi sui Btp e altri titoli, dimostrando che se l’Italia obbedisce al Senato Mondiale, allora ci fanno risparmiare quel gruzzoletto di miliardi in interessi da pagare, se no sono cazzi. Comanda il Mercato cicci, non Renzi o Beppe, lo capite che non comandano Renzi o Beppe, tonni?“Goldman bearish sui Bitcoins, dicono che si attestano fra un massimo di 2.230 e un minimo di 1.915, sanno qualcosa che noi non sappiamo?”. Sanno qualcosa che voi non sapete perché leggete Travaglio e Feltri, e non me. Io e Giancarlo Algieri (prima di me) ve l’avevamo detto che le Blockchain che sostengono le Criptovalute come Bitcoins e Ethereum stavano prendendo il volo. Ora si scopre che mentre noi ci preoccupiamo dell’euro, o del patto franato fra Renzi e Grillo, il Padrone – il Senato Mondiale – ha convinto la più micidiale banca del mondo, Goldman Sachs nientemeno, a entrare nella speculazione sulle Criptovalute, quelle che permetteranno alla National Geospatial Intelligence Agency di spiare ogni singolo cittadino del mondo là dove mette anche i 25 centesimi dei suoi fottuti soldi, cioè: quando, con che abitudini, per chi, da dove a dove, a che ora, con quali tendenze, se è coinvolta la politica, l’attivismo, insomma, il Grande Fratello di George Orwell moltiplicato per un miliardo…Ho detto a sufficienza. La morale della favola: cari Italians, lo so che il 99.9% di voi è bestiame che mai vale la pena salvare, ma quello 0,1% che invece non se lo merita di finire nel tritacarne dei Mercati deve recepire questo messaggio: o impariamo a conoscere il Nemico e ci sporchiamo le mani a farci un culo così per capirne le mosse nei suoi 100 anni avanti a noi, o è meglio uccidersi.(Paolo Barnard, “Market, il Senato Mondiale: vanno studiati, se no dove andate, dove?”, dal blog di Barnard del 13 giugno 2017).Il “Senato Mondiale” parla questa lingua, leggete: «Oggi grande occasione per i Buy The Fucking Dip (Btfd), con i Fangs Stocks a caduta libera, salvati proprio all’ultimo in Europa dai Brfd… Aapl bastonati, mentre il S&P 500 Tech Sector gli è andato dietro disastrosamente. Alla fine però neppure i Btfd hanno salvato i Fang. S&P ci dice che la Crescita di nuovo collassa mentre il Valore sta su. In Italia l’anti Eurozona M5S è sprofondato nelle amministrative, rendimenti Btp al ribasso, Mercati ora più tranquilli. Goldman bearish sui Bitcoins, dicono che si attestano fra un massimo di 2.230 e un minimo di 1.915, sanno qualcosa che noi non sappiamo?». Non ci avete capito niente, ma così parla ogni giorno il vostro Padrone, quello che Noam Chomsky già nel 1989 chiamava con immensa saggezza “Il Senato Mondiale”, i Mercati, contro cui non esiste appello. Sono coloro che decidono se tuo figlio finirà la sua vita da individuo o da servo della Tech-gleba in un loop di vita disumano.
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Presto l’Italia avrà 150.000 centenari: chi penserà a loro?
I dati dell’Istat sui centenari in Italia sono a dir poco sconcertanti: erano meno di mille negli anni Ottanta, oggi sono 17mila, saranno 150mila nel 2050. Non a caso, da molti anni le maggiori organizzazioni internazionali si affannano con scarso successo a richiamare l’attenzione degli Stati sul problema dell’invecchiamento della popolazione e su quello, strettamente connesso al primo, dell’aumento del numero delle persone non autosufficienti. Già nel 2012 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) denunciava 35 milioni di casi di Alzheimer nel mondo, prevedendo che nei soli Stati Uniti questa malattia, verso la metà del secolo, colpirà circa 18 milioni di persone, come gli abitanti dell’Australia. Il rischio di demenze è già di 1 a 8 per gli over 65 e di uno scioccante 1 a 2,5 per gli over 85, con un impatto sempre maggiore con il passare dei decenni. In sintesi, su 18 over 85 4 si ammalano di Alzheimer. I costi sanitari stimati attualmente per controllare le varie forme di demenza esistenti nel mondo sono superiori a 600 miliardi di dollari l’anno e si avvicinano rapidamente ai 900 miliardi destinati alla cura del cancro, con grande preoccupazione del Fondo Monetario Internazionale.Malgrado questa drammatica realtà, solo 8 paesi su 194 hanno un piano nazionale per affrontare il fenomeno delle demenze, benché vivamente raccomandato non solo dall’Oms ma anche dal Parlamento Europeo. In Italia le stime parlano di un milione di casi, di cui 700 mila malati di Alzheimer. E il fenomeno si aggraverà molto e rapidamente, visto che la Ue prevede che nel 2030 gli over 65 (oggi il 19,9% della popolazione) saranno il 26,5%, cioè 14,4 milioni. Eppure, il sistema sanitario nazionale non fa sostanzialmente nulla per affrontare questo problema: una realtà che ciascuno di noi può vedere nei casi di cui ha diretta conoscenza. I malati di Alzheimer sono affidati totalmente alle cure dei familiari, i quali ricorrono al ricovero in una casa di riposo se ne hanno la possibilità economica, ma più spesso devono farsi carico di una assistenza massacrante dal punto di visto economico, fisico e psichico.Il solo paese che ha adottato fin dal 1995 un soluzione organica – e molto onerosa per i datori di lavoro e i lavoratori – è la Germania, che con una legge federale, dunque impegnativa per tutti i lander, ha dato vita ad un “quinto pilastro assicurativo” (oltre a quelli per pensioni, malattie, disoccupazione e infortuni su lavoro): una assicurazione obbligatoria che aggiunge un onere del 2,5%, prelevato sulla busta paga ma addebitato per metà al lavoratore e per metà al datore di lavoro. Questa assicurazione fornisce alle persone che cadono in condizioni di non autosufficienza ogni tipo di assistenza, basata soprattutto (oltre il 50% dei casi) su quella a domicilio, dove la persona non autosufficiente è assistita da medici, infermieri e fisioterapisti. Oggi circa tre milioni di tedeschi fruiscono delle prestazioni della Pflegeversicherung, con un costo che va dai mille ai duemila euro al mese, a seconda della gravità della non autosufficienza, suddivisa in tre livelli, dal più lieve al più grave.L’assicurazione è entrata in vigore il 1 gennaio 1995 mediante l’aggiunta dell’XI libro del Codice sociale ed è gestita da apposite Casse (Pflegekassen), istituite presso le Casse malati, che sono enti autonomi di diritto pubblico. L’assistenza è fornita da società private convenzionate con il Ssn. Questo crea qualche problema perché non sempre le società private sono all’altezza del compito e talvolta non si comportano con piena correttezza.Per sostenere finanziariamente i datori di lavoro nella corresponsione della loro quota è stato abolito un giorno festivo religioso (il giorno della penitenza e della preghiera). Un altro paese che ha dimostrato se non altro la buona volontà è la Francia, il cui governo ha commissionato e tre diverse commissioni lo studio della situazione e della soluzioni possibili per la “reforme de la dépendance”. Da un ampio supplemento di “Le Monde” del marzo 2013 ho appreso i principali risultati degli studi.Da un lato mi hanno colpito i dati sulle conseguenze negative per i caregiver, molto spesso in preda a forme gravi o gravissime di depressione, e in molti casi costretti ad impoverirsi svendendo la nuda proprietà della casa dei genitori per potersi permettere il loro accudimento, costosissimo sia nel caso delle case di risposo sia in quello del ricorso ad una o più badanti. Dall’altro sono interessanti le proposte in positivo per consentire ai malati ed ai “grandi vecchi” di restare nelle loro case con interventi innovativi nel capo della robotica e della domotica, con conseguente creazione di nuove imprese spedalizzate in questi domini e di post di lavoro aggiuntivi. Temo però che in Francia, a causa della crisi economica degli ultimi anni, non si sia passati dai progetti ai fatti, visto che i corrispondenti da Roma di “Le Monde” e del “Nouvel Observateur” non hanno notizia della concreta realizzazione di politiche in questo campo.L’Associazione Luca Coscioni ha organizzato un seminario sul tema in cui si sono confrontati i maggiori esperti italiani, mentre la corrispondente dall’Italia del quotidiano “Die Welt”, Constance Reuscher, ha spiegato il sistema in vigore in Germania. E’ nostra intenzione riassumere in un documento le possibilità di intervento emerse dal nostro seminario e sottoporre delle proposte alle forze politiche, perché in vista delle ormai non lontane elezioni dicano cosa pensano di fare per il gran numero di italiani coinvolti in queste dolorose vicende: quasi tre milioni di persone fra disabili gravi, malati di Alzheimer e “grandi vecchi”. Ed a loro vanno aggiunti almeno tre milioni di “caregiver”, lasciati soli dallo Stato a risolvere i gravosi problemi esistenziali ed economici connessi alla non autosufficienza. Basterebbe, per far fronte a questo problema, recuperare il 20% dei 150 miliardi di evasione fiscale, anche (per i grandi evasori) con il ricorso al carcere: in Italia i detenuti per reati fiscali sono 155, in Germania 5.600, negli Usa 12mila. Chi se la sente di metterlo nel proprio programma politico?(Carlo Troilo, “150mila centenari italiani nel 2050: chi pensa alla loro condizione di vita?”, da “Micromega” del 23 maggio 2017. Troilo è un esponente dell’Associazione Luca Coscioni).I dati dell’Istat sui centenari in Italia sono a dir poco sconcertanti: erano meno di mille negli anni Ottanta, oggi sono 17mila, saranno 150mila nel 2050. Non a caso, da molti anni le maggiori organizzazioni internazionali si affannano con scarso successo a richiamare l’attenzione degli Stati sul problema dell’invecchiamento della popolazione e su quello, strettamente connesso al primo, dell’aumento del numero delle persone non autosufficienti. Già nel 2012 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) denunciava 35 milioni di casi di Alzheimer nel mondo, prevedendo che nei soli Stati Uniti questa malattia, verso la metà del secolo, colpirà circa 18 milioni di persone, come gli abitanti dell’Australia. Il rischio di demenze è già di 1 a 8 per gli over 65 e di uno scioccante 1 a 2,5 per gli over 85, con un impatto sempre maggiore con il passare dei decenni. In sintesi, su 18 over 85 4 si ammalano di Alzheimer. I costi sanitari stimati attualmente per controllare le varie forme di demenza esistenti nel mondo sono superiori a 600 miliardi di dollari l’anno e si avvicinano rapidamente ai 900 miliardi destinati alla cura del cancro, con grande preoccupazione del Fondo Monetario Internazionale.
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Zaia: follia 12 vaccini, il Veneto fa ricorso alla Consulta
Finalmente la politica batte un colpo contro il decreto-mostro dei 12 vaccini obbligatori. Un solo colpo, a dire il vero: silenti tutti gli altri partiti, a parlare è soltanto la Lega Nord. E lo fa attraverso il profilo istituzionale di uno dei suoi esponenti più rispettati, il governatore del Veneto, Luca Zaia: la Regione si mette di traverso e annuncia il ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto della ministra Beatrice Lorenzin, che porterebbe da 4 a 12 le vaccinazioni obbligatorie, sotto pena di pesantissime sanzioni: fino a 7.500 euro di multa per i genitori “renitenti”. «Non lo facciamo perché siamo contro i vaccini», chiarisce il presidente del Veneto, prima Regione a sospendere l’obbligo delle immunizzazioni, già nel 2007. «Io non incontro mamme che mi dicono “no, senza se e senza ma”, ma mamme che sono preoccupate dal numero dei vaccini e dall’impossibilità di scegliere un programma vaccinale», spiega Zaia. «Questo decreto va addirittura oltre l’obbligatorietà, con misure coercitive», aggiunge il governatore veneto. Troppi, 12 vaccini: non è in corso nessuna epidemia che li giustifichi. «Questo decreto ha battuto anche il muro del suono: ed è solo roba solo italiana, in nessun altro paese al mondo esiste niente di simile».Così, anche se la posizione della Regione Veneto non è quella di mettere in discussione il vaccino come pratica sanitaria, secondo Zaia «bisogna sicuramente mettere in discussione alcuni aspetti di questo decreto». Non è dunque bastato che, nella versione controfirmata da Mattarella il 7 giugno, sia stato eliminato il riferimento alla possibilità di sospendere la potestà genitoriale a chi non fa vaccinare i bambini. Riveduto e corretto, il decreto ammette che i bambini possano andare a scuola anche solo con una semplice autocertificazione in cui si dichiara che i vaccini sono stati fatti. A Zaia non basta. Dalla sua, ha dati statistici eloquenti: nonostante in Veneto le vaccinazioni non siano obbligatorie, è comunque vaccinato il 92,6% della popolazione infantile. «Questo dimostra che l’obbligo vaccinale non è direttamente proporzionale alle vaccinazioni», insiste Zaia, ricordando che in ben 15 paesi europei l’obbligo non esiste. «Noi non vogliamo che il ricorso sia visto come una posizione contro i vaccini», precisa. «Siamo gli unici ad avere un’anagrafe digitale sul tema, con dati in tempo reale». Quello che Zaia vuole salvaguardare è la trasparenza delle procedure, a garanzia del rapporto di fiducia tra cittadini e istitizioni: non si possono imporre 12 vaccini senza spiegazioni. Per il Veneto, è semplicemente incostituzionale: lede i diritti delle famiglie.Nel frattempo, annota il “Fatto Quotidiano”, il Tar dell’Emilia-Romagna ha rinviato la decisione sui ricorsi di una trentina di famiglie (e del Codacons) contro le norme regionali che dispongono l’obbligo della vaccinazione per la frequentazione degli asili nido. Il pronunciamento del tribunale amministrativo, secondo quanto riferisce la Regione, slitta al 17 ottobre: fino ad allora non viene sospesa la normativa impugnata. Ad aprile, ricorda il giornale, i giudici avevano rinviato la pratica per ricevere dal ministero della salute la relazione sulla divisione di competenze tra ministero stesso, Aifa, Istituto superiore di sanità e Regioni, in ordine all’assenza in commercio del solo vaccino monodose antidifterico. Ma, spiega la Regione, «dopo la decisione del governo di estendere l’obbligo vaccinale a livello nazionale, i quattro vaccini resi obbligatori dalla legge regionale sono tutti disponibili nella dose unica esavalente, che contiene anche pertosse e haemophilus influenzae di tipo B». Il vaccino esavalente è da anni nel mirino degli antivaccinisti. La Lorenzin ha provato a raddoppiare la dose, arrivando a 12. Roma tace, il Veneto no. La parola ora passa alla Consulta.Finalmente la politica batte un colpo contro il decreto-mostro dei 12 vaccini obbligatori. Un solo colpo, a dire il vero: silenti tutti gli altri partiti, a parlare è soltanto la Lega Nord. E lo fa attraverso il profilo istituzionale di uno dei suoi esponenti più rispettati, il governatore del Veneto, Luca Zaia: la Regione si mette di traverso e annuncia il ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto della ministra Beatrice Lorenzin, che porterebbe da 4 a 12 le vaccinazioni obbligatorie, sotto pena di pesantissime sanzioni: fino a 7.500 euro di multa per i genitori “renitenti”. «Non lo facciamo perché siamo contro i vaccini», chiarisce il presidente del Veneto, prima Regione a sospendere l’obbligo delle immunizzazioni, già nel 2007. «Io non incontro mamme che mi dicono “no, senza se e senza ma”, ma mamme che sono preoccupate dal numero dei vaccini e dall’impossibilità di scegliere un programma vaccinale», spiega Zaia. «Questo decreto va addirittura oltre l’obbligatorietà, con misure coercitive», aggiunge il governatore veneto. Troppi, 12 vaccini: non è in corso nessuna epidemia che li giustifichi. «Questo decreto ha battuto anche il muro del suono: ed è solo roba solo italiana, in nessun altro paese al mondo esiste niente di simile».
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Attali: Isis e leggi speciali, verso il dominio del mercato
Emmanuel Macron ha un progetto: rendere permanente lo “stato d’emergenza” in vigore dalla strage terroristica di Charlie Hebdo. Lo rivela “Le Monde”, anticipando un progetto di legge in arrivo: domicilio coatto, perquisizioni diurne e notturne, chiusura dei luoghi di culto, zone di protezione e di sicurezza, cioè le misure adottate in questi 19 mesi di regime d’eccezione, diverranno “normali”. «Si tratta in sostanza delle misure emblematiche prese durante la guerra d’Algeria del 1955, stato d’eccezione vero», scrive Maurizio Blondet. A giustificarle, ora, è la “guerra il terrorismo”. Secondo Blondet, Macron ha preso l’idea direttamente dal “futurologo principe” Jacques Attali, il suo padrino, mentore e “creatore”, potentissimo supermassone reazionario e mondialista, intimo consigliere di tutti i presidenti socialisti. «Nessun governo, oggi, oserà più rinunciare allo stato d’eccezione», dice Attali in una video-intervista del 2016. «Non se ne uscirà mai più, perché ogni governo che uscisse dallo stato d’emergenza darebbe un segnale di debolezza». Una dinamica inesorabile, irreversibile. Con un anno di anticipo, Attali si disse certo che Macron sarebbe finito all’Eliseo. E dopo di lui, aggiunse, toccherà a una donna. Ma saranno presidenze dimezzate: l’unico vero vincitore sarà il mercato globalizzato.Il punto è che il presidente della repubblica ha molto meno potere di prima, si rammarica Attali: «Anzitutto non c’è più la pena di morte e non c’è più l’Unione Sovietica, quindi le due dimensioni fondamentali della taumaturgia, il diritto di vita e di morte, sono scomparse». Poi c’è l’euro: «Ecco un’altra buona ragione: fa sì che gran parte dell’economia politica sia divenuta europea». Quindi la decentralizzazione: «I grandi investimenti non sono più nello Stato, e la politica delle grandi infrastrutture non gli appartiene più». Avanti con le privatizzazioni: «Non c’è più politica industriale possibile». E’ la globalizzazione: «Il mercato ha ampiamente vinto. Ci sono moltissime cose che si credevano alla portata dello Stato, e non lo sono più». E’ stato “il mercato”, aggiunge Attali, a designare Macron come candidato: avrà solo la parte residua di potere che “il mercato” gli concederà. Cosa che ormai accade alla maggior parte dei politici: «Sì, appunto: non hanno potere reale. A parte la grandezza d’essere eletti dal popolo, non hanno potere reale sulla società». Men che meno in Europa: «Tutti coloro, fra cui io, che hanno avuto il privilegio di tenere la penna per stilare le prime versioni del trattato di Maastricht – scandisce Attali – si sono impegnati a fare in modo che uscire dalla Ue non sia possibile. Abbiamo avuto cura di dimenticare di scrivere l’articolo che permetta l’uscita».In pratica, osserva Blondet, Attali si dice onorato di aver impedito al popolo di auto-determinarsi: solo il mercato decide. Il suo obbiettivo è di ampliarne ulteriormente il potere. Ed ecco il futuro già segnato delle ulteriori vittorie del “mercato”, che «si estenderà a settori dove fino ad oggi non aveva accesso: per esempio la sanità, l’istruzione, la polizia, la giustizia, gli affari esteri». Contemporaneamente, «nella misura in cui non ci sono regole di diritto», il “mercato” «si estenderà a settori oggi considerati illegali, criminali: come la prostituzione, il commercio degli organi, delle armi, il racket». Quindi, aggiunge Attali, «si avrà un mercato che dominerà sempre più, determinando una concentrazione di ricchezze, una diseguaglianza crescente, una priorità data al breve termine e alla tirannia dell’istante e del denaro». Fino ad arrivare, alla fine, «alla commercializzazione della cosa più importante, ossia la vita: la trasformazione dell’essere umano in merce di scambio: lui stesso divenuto un clone e un robot di se stesso». Questa la visione dello stratega supermassonico Attali, esposta quasi con candore agli esterrefatti giornalisti televisivi francesi.Quanto a Internet, «rappresenta una minaccia per quelli che sanno e che decidono, perché dà accesso al sapere non secondo il cururs gerarchico». Nel video, una voce fuori campo prova a riassumere: il web è potenzialmente pericoloso per questo nuovo establishment, che utilizza presidenti e ministri come semplici comparse, incaricate di trasferire ulteriore potere al “mercato”: «Deregolare, impoverire e svuotare i servizi pubblici, aprire tutti i settori alla concorrenza, distruggere le protezioni dei salariati e dei cittadini. Si tratta di consegnare al mercato gli ultimi bastioni ancora tenuti dal popolo». E perché i cittadini tacciano, evitando di ribellarsi, è provvidenziale l’emergenza terroristica con le leggi speciali. «Nessun governo oserà più rinunciare allo stato d’eccezione», infatti. «Per natura – afferma Attali – dobbiamo essere in permanenza nello stato d’eccezione; e il fatto di iscriverlo nelle istituzioni non è altro che esprimere e riconoscere una realtà». Un percorso tracciato, al quale sarà impossibile sfuggire, secondo Attali, che si spinge oltre all’attuale presidente: «So chi è colei che succederà a Macron», dice. E poco dopo, sogghignando, ribadisce: credo di conoscere colei che diventerà presidente dopo di lui.Dunque Attali, «cedendo alla vanità, la sua debolezza», dice di conoscere il nome del successore di Macron: sarà una donna. «Uno sguardo nel futuro lontano», aggiunge Blondet: «Se Macron completa il doppio mandato, se ne parla nel 2022». E Attali vuol far sapere che sarà “colei”, a salire all’Eliseo, secondo i piani invisibili dei poteri forti, quelli che stanno “mercatizzando” ogni forma di vita: «La sola legge del mondo – insiste Attali – sarà quella del mercato, che formerà un iper-impero inafferrabile e planetario dove anche la natura sarà messa a contribuzione». Così, osserva Blondet, si deduce che lo stato d’eccezione permanente, basato su misure repressive liberticide, «diventa necessario perché il “mercato” possa estendersi a settori da cui oggi è escluso, facendone fonte di profitti privati. Non solo sanità e istruzione, ma secondo Attali anche polizia, giustizia, affari esteri». Un incubo, nel quale compare anche il «commercio degli organi» (sottratto al mondo criminale, quindi legalizzato). E «alla fine del percorso, la commercializzazione della cosa più importante, la vita umana». Scrisse Attali: «Andiamo verso un’umanità unisex. Ciò risolverà un problema importante: le nostre capacità cognitive sono limitate dalla dimensione del cervello. Se il bambino nascesse da una matrice artficiale, la dimensione del suo cervello non avrebbe più limiti».E mentre il popolo francese sembra scomparso, consegnando proprio a Macron una schiacciante maggioranza parlamentare, la Francia dovrà vedersela innanzitutto con la riforma del lavoro imposta dal “mercato”, col trasferimento alle imprese di tutto il potere negoziale, a scapito dei lavoratori. Un po’ troppo, persino per i francesi “macronizzati” con la ricetta Attali? Nel caso dovesse svegliarsi l’opposizione, in Parlamento e in piazza, «ecco dunque lo stato d’eccezione reso permanente», dice Blondet. «Ed ecco l’utilità del “terrorismo islamico” che lo rende così inevitabile», grazie all’alibi della sicurezza. Chiosa Blondet: «Un mio cugino è stato addetto del consolato americano a Genova, quando ancora Genova era sede consolare. Il console un giorno buttò lì: “Le Brigate Rosse? Le controlliamo dalla nostra base di Lisbona”. Da quegli anni, molto prima di me, mio cugino è convinto – o meglio sa – che non esistono terroristi, atti terroristici, terrorismo alcuno che non sia gestito e teleguidato da servizi. Senza eccezione. Sono azioni che servono a imprimere nell’opinione pubblica spaventata reazioni, calcolate e previste al millimetro: “Ormai è una scienza esatta”).Emmanuel Macron ha un progetto: rendere permanente lo “stato d’emergenza” in vigore dalla strage terroristica di Charlie Hebdo. Lo rivela “Le Monde”, anticipando un progetto di legge in arrivo: domicilio coatto, perquisizioni diurne e notturne, chiusura dei luoghi di culto, zone di protezione e di sicurezza, cioè le misure adottate in questi 19 mesi di regime d’eccezione, diverranno “normali”. «Si tratta in sostanza delle misure emblematiche prese durante la guerra d’Algeria del 1955, stato d’eccezione vero», scrive Maurizio Blondet. A giustificarle, ora, è la “guerra il terrorismo”. Secondo Blondet, Macron ha preso l’idea direttamente dal “futurologo principe” Jacques Attali, il suo padrino, mentore e “creatore”, potentissimo supermassone reazionario e mondialista, intimo consigliere di tutti i presidenti socialisti. «Nessun governo, oggi, oserà più rinunciare allo stato d’eccezione», dice Attali in una video-intervista del 2016. «Non se ne uscirà mai più, perché ogni governo che uscisse dallo stato d’emergenza darebbe un segnale di debolezza». Una dinamica inesorabile, irreversibile. Con un anno di anticipo, Attali si disse certo che Macron sarebbe finito all’Eliseo. E dopo di lui, aggiunse, toccherà a una donna. Ma saranno presidenze dimezzate: l’unico vero vincitore sarà il mercato globalizzato.
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Dai 5 Stelle nessuna proposta su come rianimare la sanità
I 5 Stelle, cioè il nulla, anche in tema di sanità: non una parola sui vaccini, nonostante il mostruoso decreto Lorenzin con 12 vaccinazioni obbligatorie, e nessuna ricetta in vista per “guarire” la sanità italiana. «Riteniamo che sia fondamentale investire più risorse», scrivono, sul blog di Beppe Grillo, condannando «quello che hanno fatto gli ultimi governi». Chiedono di «investire in aree della politica sanitaria che finora sono state marginali», come «la prevenzione primaria», che serve «a rimuovere le cause note di malattie», anche originate da inquinamento ambientale. Poi c’è il problema risorse umane, medici e infermieri, «che in questi anni sono stati vittime del blocco delle assunzioni proprio come elemento di politica di austerità che ha creato tantissimi disservizi, sacche di precariato, in alcuni casi addirittura sacche clientelari». Meglio invertore la rotta, dicono i pentastellati: «Bisogna investire risorse in questo settore e bisogna anche prepararsi al fatto che molti medici presto andranno in pensione e avremo un fabbisogno di medici specialisti molto alto».Più posti di lavoro, più turn-over. Ma con che soldi? Non è dato saperlo: lungi dall’assumere una posizione netta e chiara sull’euro, da cui dipende in gran parte l’attuale crisi economica, con ovvi riflessi anche sulla sanità pubblica, i 5 Stelle non hanno finora contestato in modo organico l’euro-regime che impone i tagli alla spesa, né hanno mai avanzato proposte su come allentare la stretta di Bruxelles sul bilancio italiano. Preferiscono parlare di una gestione “più virtuosa” dell’immensa spesa farmaceutica, per «liberare risorse che potevano essere investite in altri settori della sanità pubblica, oppure per ridurre i costi a carico dei cittadini». Sempre e solo rimodulazioni delle voci di spesa, all’interno dello stesso budget “inchiodato” dall’Unione Europea: come già per il “reddito di cittadinanza”, che i 5 Stelle finanzierebbero solo con il “taglio degli sprechi”, anche nel caso della sanità non provano neppure a immaginare un bilancio più consistente, liberato dai laccioli del “patto di stabilità” imposto dall’Ue, e si accontentano di chiedere “più informatica” per smaltire le liste d’attesa negli ospedali.Anche per marcare il loro profilo identitario ecologista, i 5 Stelle segnalano l’importanza di una alimentazione sana nella prevenzione del cancro, ricordando che le ultime ricerche internazionali «le cattive abitudini alimentari sono responsabili di circa 3 tumori su 10», mentre per il Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro «tra il 30 e il 40% dei tumori potrebbero essere evitati se solo adottassimo una dieta più sana». Di qui la richiesta di una maggiore educazione alla salute, verso un consumo più consapevole. E da parte dei redattori del documento programmatico – Giulia Grillo, Mirko Busto e Giovanni Endrizzi – non manca un’intemerata contro lo “Stato biscazziere”, che ha incaricato i monopoli di pianificare il gioco azzardo come un’industria di massa che coinvolge ormai 30 milioni di italiani, per poi riconoscere l’azzardopatia come una patologia da curare, salvo imporre ai concessionari non il divieto, ma l’obbligo di pubblicità. «Il boom dell’azzardo – scrivono i tre estensori – è avvenuto per una serie di fattori: la selvaggia liberalizzazione, la crisi economica, che ha spinto molte persone a sfidare la sorte per cercare una soluzione alla perdita di reddito, la massiccia pressione pubblicitaria e l’omissione di basilari controlli sulle ricadute sociali, sanitarie, l’infiltrazione criminale. Il programma del Movimento 5 Stelle vuole cambiare strada». Ma, s’intende, senza disturbare chi comanda davvero.I 5 Stelle, cioè il nulla, anche in tema di sanità: non una parola sui vaccini, nonostante il mostruoso decreto Lorenzin con 12 vaccinazioni obbligatorie, e nessuna ricetta in vista per “guarire” la sanità italiana. «Riteniamo che sia fondamentale investire più risorse», scrivono, sul blog di Beppe Grillo, condannando «quello che hanno fatto gli ultimi governi». Chiedono di «investire in aree della politica sanitaria che finora sono state marginali», come «la prevenzione primaria», che serve «a rimuovere le cause note di malattie», anche originate da inquinamento ambientale. Poi c’è il problema risorse umane, medici e infermieri, «che in questi anni sono stati vittime del blocco delle assunzioni proprio come elemento di politica di austerità che ha creato tantissimi disservizi, sacche di precariato, in alcuni casi addirittura sacche clientelari». Meglio invertire la rotta, dicono i pentastellati: «Bisogna investire risorse in questo settore e bisogna anche prepararsi al fatto che molti medici presto andranno in pensione e avremo un fabbisogno di medici specialisti molto alto».
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E Gentiloni in silenzio vara il Ceta, cavallo di Troia del Ttip
Vi accapigliate sul decreto-mostro della Lorenzin sui 12 vaccini? E intanto Gentiloni, in silenzio, fa approvare il Ceta, cioè il Ttip che rientra dalla finestra, senza nemmeno una conferenza stampa. Il governo ha infatti approvato il disegno di legge per la ratifica l’attuazione dell’accordo commerciale Ue-Canada. Il Ttip includeva anche tra gli Usa, ma si teme che il Ceta euro-canadese ne sia il semplice battistrada. Il cardine è lo stesso: gli Stati non potranno più opporsi al business con iniziative di tutela della salute e del lavoro, sotto pena di sanzioni comminate da un potente tribunale internazionale, privato, al servizio delle multinazionali. Il Ceta è stato firmato lo scorso 30 ottobre a Bruxelles e ratificato dal Parlamento Europeo a febbraio, ora toccherà al Parlamento italiano. Lo ha stabilito il Consiglio dei ministri, riunitosi il 24 maggio «in fretta e furia e senza neanche un minuto di preavviso», scrive Guido Rossi su “L’Intellettuale Dissidente”. «Non è stata convocata neanche l’ombra di una conferenza stampa». Strano, no? «Neanche il più ridicolo e scarso dei media (provare per credere? Fatevi un giro su Google) ha dato questa notizia di epocale importanza». Perché dunque è meglio «farlo passare in sordina», questo accordo potenzialmente epocale voluto dai poteri forti del pianeta?Sulla carta, il trattato promette ovviamente grandi sviluppi del trading euro-canadese, con agevolazioni sul libero scambio delle merci tra le due sponde dell’Atlantico. Ma, gratta gratta, si legge che l’Italia potrebbe beneficiarne in termini di maggiori esportazioni verso il Canada «per circa 7,3 miliardi di dollari canadesi». Appena sette miliardi? «Per avere un’idea – scrive Rossi – l’Imu che noi italiani abbiamo pagato sui nostri immobili, nel solo 2016, è costata 10 miliardi di euro; circa la stessa cifra è stata spesa dal governo Renzi per pagare i famigerati “80 euro”. Il governo Gentiloni ha recentemente “salvato” il sistema bancario creando con estrema facilità un fondo da 20 miliardi di euro». Sicché, «questo accordo, economicamente, non vale la carta su cui è stampato». Ma il punto è un altro, purtroppo: «A fronte di un così ridicolo guadagno – nemmeno sicuro, considerato che si tratta di stime – stiamo per svendere completamente la nostra nazione». Non è un’esagerazione, spiega Rossi: i nostri governanti lasciano capire che il Ceta aprirebbe le porte alla cessione graduale in mani private dei principali servizi strategici, oggi pubblici.E’ vero, Gentiloni e soci – a parole – assicurano che manterremo comunque «il diritto di legiferare nel settore delle politiche pubbliche, salvaguardando i servizi pubblici (approvvigionamento idrico, sanità, servizi sociali, istruzione) e dando la facoltà agli Stati membri di decidere quali servizi desiderano mantenere universali e pubblici e se sovvenzionarli o privatizzarli in futuro». Peccato – obietta Rossi – che la cosa, «oltre a suonare palesemente come una “escusatio non petita”, è oltremodo falsa». E’ vero che il testo del Ceta “riconosce” agli Stati membri il diritto di prendere autonome decisioni su materie come la sanità, «ma in maniera altrettanto precisa descrive il funzionamento del “dispute settlement”, ossia di un arbitrato internazionale cui una “parte” (che può essere uno Stato ma anche un’azienda che opera sul suo territorio) può fare ricorso in caso sia in disaccordo con decisioni prese da altre parti». Tradotto: un’altra nazione – o peggio, una semplice società, spesso multinazionale – può impugnare una decisione di uno Stato anche quando adottata “nel diritto di legiferare nel settore delle politiche pubbliche”, qualora questa vada a “discriminare” il business dell’azienda.Il funzionamento di questo “tribunale privato” fa diretto richiamo al Dss, identico strumento previsto dall’Organizzazione Mondiale del commercio, il Wto. Quest’ultimo, continua Rossi, prevede la selezione di un “panel” di giudici, composto da esperti provenienti solitamente dal mondo della consulenza privata (quello delle multinazionali) o da atenei altrettanto privati. Il “panel” redige un rapporto contenente la propria opinione circa l’esistenza o meno di un’infrazione alle regole del Wto. Non ha la forza legale di una vera e propria sentenza, eppure la procedura di appello ha una durata massima prevista in 90 giorni, e dopo l’approvazione è definitiva. Sintetizzando: il Wto (cui l’Europa e l’Italia hanno aderito da più di vent’anni, nel 1995) ha fini prettamente economici e finanziari; gli Stati, si dice, sono ancora sovrani, eppure i principi che regolano gli scambi internazionali sono al di sopra delle leggi, nazionali e internazionali. E in caso di controversie, le parti (non gli Stati in realtà, quanto le società multinazionali “discriminate”) possono rivolgersi al Wto e chiedere se sia giusto o meno non applicare il suo regolamento. «Il Wto, privato e – sicuramente – imparzialissimo, emette la sentenza, che, per carità, non ha forza legale vera e propria (non essendo un vero tribunale), però è ad ogni modo inappellabile e definitiva. Democraticamente. E quel che è previsto per il Wto vale per il Ceta».Solo gli Stati Uniti, precisa ancora Rossi, sono stati coinvolti dal tribunale del Wto in più di 95 casi contro società private: e di questi processi gli Usa, in qualità di nazione, ne hanno persi 38 e vinti appena 9. Gli altri o sono stati risolti tramite negoziazioni preliminari oppure sono ancora in dibattimento. In circa 20 casi il “panel” non è mai stato nemmeno formato, e la maggior parte dei processi persi riguardava livelli di standard ambientale, misure di sicurezza, tasse e agricoltura. «Lo Stato italiano, al contrario di quanto dice il governo Gentiloni – scrive Rossi – non può decidere autonomamente alcunché, prima di tutto perché fa parte dell’Unione Europea e ha siglato accordi comunitari come il Patto di Stabilità e il Fiscal Compact, oltre a far parte di un’unione monetaria, quindi di partenza non ha alcun potere decisionale in termini di politiche monetarie, fiscali, economiche e sociali». E inoltre, anche se godesse di una simile sovranità, «comunque rischierebbe di trovarsi contro cause miliardarie – private – e di perderle, con tanti saluti al “potere politico”. Ed ecco che la nostra Carta costituzionale si trasforma in carta igienica».Quanto alle “potenzialità” di esportazione, secondo Rossi il relativo successo del nuovo “made in Italy” all’estero dipende solo dalla crisi: si punta all’export «semplicemente perché gli italiani non hanno più una lira: i consumi domestici sono drasticamente calati, grazie a politiche iniziate da Mario Monti che in una celebre intervista ammise di “distruggere la domanda interna”». Così, le imprese (quelle che ancora non hanno chiuso) si sono “arrangiante” puntando ancor più sui mercati forestieri. «Solo pochi giorni fa l’Istat ha registrato nei suoi dati la “morte” della classe media italiana». Nel frattempo, «visto che le merci di qualità come quelle nostrane non ce le possiamo permettere», nei nostri negozi «arrivano tonnellate di merci a basso costo ma di pessima qualità», con controlli «scarsi o addirittura nulli, poiché già siamo in un’unione di libero scambio, l’Unione Europea, che stiamo per estendere al Canada». Inutile sottolineare che simili politiche «danneggiano direttamente le nostre imprese, dunque il lavoro e in generale il benessere del nostro popolo», conclude Rossi. «Tutto questo per – forse – sette miseri miliardi. Neanche i 30 denari di Giuda».Vi accapigliate sul decreto-mostro della Lorenzin sui 12 vaccini? E intanto Gentiloni, in silenzio, fa approvare il Ceta, cioè il Ttip che rientra dalla finestra, senza nemmeno una conferenza stampa. Il governo ha infatti approvato il disegno di legge per la ratifica l’attuazione dell’accordo commerciale Ue-Canada. Il Ttip includeva anche gli Usa, ma si teme che il Ceta euro-canadese ne sia il semplice battistrada. Il cardine è lo stesso: gli Stati non potranno più opporsi al business con iniziative di tutela della salute e del lavoro, sotto pena di sanzioni comminate da un potente tribunale internazionale, privato, al servizio delle multinazionali. Il Ceta è stato firmato lo scorso 30 ottobre a Bruxelles e ratificato dal Parlamento Europeo a febbraio, ora toccherà al Parlamento italiano. Lo ha stabilito il Consiglio dei ministri, riunitosi il 24 maggio «in fretta e furia e senza neanche un minuto di preavviso», scrive Guido Rossi su “L’Intellettuale Dissidente”. «Non è stata convocata neanche l’ombra di una conferenza stampa». Strano, no? «Neanche il più ridicolo e scarso dei media (provare per credere? Fatevi un giro su Google) ha dato questa notizia di epocale importanza». Perché dunque è meglio «farlo passare in sordina», questo accordo potenzialmente epocale voluto dai poteri forti del pianeta?
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Carpeoro e il segreto dei Romita: nel ‘46 vinse la monarchia
Come volevasi dimostrare: Londra torna a essere bersaglio di “fuoco amico”, cioè terrorismo “false flag” targato Isis, a riprova della guerra di potere in corso tra le oligarchie internazionali, che ora usano Theresa May in funzione anti-Merkel. Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, teme che questo “sciame” di attentati-kamikaze possa anche preparare una strage ancora più devastante: «E’ una possibilità, fa parte di un certo schema». L’aveva già detto: la Gran Bretagna è sotto tiro, da quando ha imboccato il divorzio da Bruxelles. Dalla Brexit in poi, nel Regno Unito starebbero emergendo spinte progressiste, anche a livello supermassonico: questo mette in tensione la “sovragestione” a guida Cia, custode occulta dello status quo e preoccupata del possibile nuovo corso di Londra, se dovesse smarcarsi dal “partito della guerra” che ha fabbricato l’Isis. Niente è come sembra, e non da oggi: la stessa Italia repubblicana è stata “fabbricata” con un artificio, una colossale manipolazione come quella del referendum costituzionale del 2 giugno 1946. «E’ vera la “leggenda” che avesse vinto la monarchia», dichiara Carpeoro, che fa un nome: quello del più volte ministro Pierluigi Romita, «sempre eletto in virtù del ruolo di suo padre, Giuseppe Romita, che era guardasigilli all’epoca di quel referedum».In diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro racconta: «Il socialdemocratico Pierluigi Romita, mio grande amico, fece il ministro molte volte e gli sempre venne garantita l’elezione da tutti i partiti». Era il pegno per custodire il “segreto” della storica manipolazione a cui il padre avrebbe presiduto. Pierluigi Romita «è stato un politico inaffondabile: e non aggiungo altro». Ulteriori rivelazioni sulla storia italiana del ‘900 sono in arrivo con il libro che Carpeoro sta per pubblicare sui clamorosi retroscena della caduta di Mussolini: la deposizione del 25 luglio 1943 sarebbe stata in realtà concordata con lo stesso “duce” per propiziare un’uscita meno traumatica dell’Italia dal secondo conflitto mondiale. Ma intervennero elementi (non ancora di pubblico dominio, nella storiografia) che fecero precipitare la situazione: l’invasione dell’Italia da parte delle truppe naziste sarebbe stata provocata da un complotto tra esponenti massonici e diplomazia vaticana, che sabotarono il piano iniziale di auto-siluramento “morbido” del regime fascista, aprendo la strada alla fucilazione di Ciano e alla tragedia dell’occupazione e della guerra civile.Perché il potere del primissimo dopoguerra preferì far vincere la repubblica piuttosto che la monarchia? Intanto perché il sovrano era troppo popolare, afferma Carpeoro: «Umberto II era ritenuto pericoloso, come raccoglitore di consensi, da parte di certi ambienti sia comunisti che democristiani». E poi, soprattutto: «Diventare repubblica è stato uno dei modi per poter trattare diversamente le condizioni di guerra, per De Gasperi, sul tavolo in cui si sono puniti quelli che avevano perso: assumere un assetto democratico ha consentito all’Italia una trattativa diversa, sul tavolo dei perdenti – la Germania ha dovuto pagare con lo smembramento: ci sono stati dei prezzi da pagare». Poi era inevitabile che elementi fascisti venissero traghettati nella nuova repubblica italiana: «Mussolini aveva praticamente creato lo Stato, inteso come struttura burocratica e amministrativa nazionale. Aveva creato l’Inps, l’Inail, l’Iri, la sanità pubblica. Le alte dirigenze non potevano certo essere sostituite traumaticamente: la prima legge repubblicana infatti fu quella della continuità amministrativa, per garantire il funzionamento della macchina statale». Molti, poi cambiarono bandiera: «Montanelli, Malaparte, Giorgio Bocca, Dario Fo erano repubblichini e diventarono di colpo, misteriosamente, partigiani o personalità della sinistra». Era fatale che parte del vecchio milieu confluisse nel nuovo regime. «Non mi meraviglia né mi scandalizza», chiosa Carpeoro, «ma non credo che abbiamo sempre scelto il meglio: potevamo calibrare di più le scelte tra cosa conservare e cosa archiviare».Come volevasi dimostrare: Londra torna a essere bersaglio di “fuoco amico”, cioè terrorismo “false flag” targato Isis, a riprova della guerra di potere in corso tra le oligarchie internazionali, che ora usano Theresa May in funzione anti-Merkel. Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, teme che questo “sciame” di attentati-kamikaze possa anche preparare una strage ancora più devastante: «E’ una possibilità, fa parte di un certo schema». L’aveva già detto: la Gran Bretagna è sotto tiro, da quando ha imboccato il divorzio da Bruxelles. Dalla Brexit in poi, nel Regno Unito starebbero emergendo spinte progressiste, anche a livello supermassonico: questo mette in tensione la “sovragestione” a guida Cia, custode occulta dello status quo e preoccupata del possibile nuovo corso di Londra, se dovesse smarcarsi dal “partito della guerra” che ha fabbricato l’Isis. Niente è come sembra, e non da oggi: la stessa Italia repubblicana è stata “fabbricata” con un artificio, una colossale manipolazione come quella del referendum costituzionale del 2 giugno 1946. «E’ vera la “leggenda” che avesse vinto la monarchia», dichiara Carpeoro, che fa un nome: quello del più volte ministro Pier Luigi Romita, «sempre eletto in virtù del ruolo di suo padre, Giuseppe Romita, che era guardasigilli all’epoca di quel referedum».
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La libertà ai tempi del morbillo, i diktat di un’élite screditata
Cosa c’entra la questione vaccini con la crisi dell’Alitalia? Niente. O forse molto. Dipende dalla capacità di leggere nessi forse nemmeno tanto nascosti. Da ormai due anni è in atto una forsennata campagna di allarmismo terroristico nei confronti dell’opinione pubblica basata sulla necessità di incrementare le vaccinazioni di massa, giudicate in leggera flessione statistica. Non questo o quel vaccino in particolare: ma tutti, sempre, per qualunque problema. Si è partiti con articoli e interviste allarmanti sulle epidemie prossime venture (inesistenti picchi di meningite e pandemie di morbillo), si è continuato con lettere intimidatorie delle Asl a casa dei genitori riluttanti, si arriva al capitolo finale, con una legge in incubazione che vieterà l’ingresso a scuola ai non vaccinati e, quindi, obbligherà di fatto, l’intera popolazione giovanile ad adempiere al diktat. Ok, ma l’Alitalia? Ci arriviamo. Il fatto che molte famiglie abbiano scelto in questi anni di non vaccinare i figli e si ostinino a difendere la loro scelta, nonostante il dispiegamento di questa feroce campagna (senza precedenti), è solo un’altra manifestazione di quella diffusa “sfiducia nelle élite”, che è un dato costante e caratteristico di questa epoca.Una volta, il camice bianco, lo scienziato, il “dottore” (figura archetipale della Conoscenza oscura e salvifica), con il solo carisma della funzione e del titolo di studio, esercitavano un’indiscussa egemonia sul popolino, che ne riconosceva acriticamente l’autorità specialistica. Idem per le altre figure preposte alla direzione della società: il politico-amministratore, il banchiere, il dirigente di polizia, il giudice. Mettere in discussione ruoli e competenze delle élite era possibile solo per ristrettissime minoranze critiche, perché la stragrande maggioranza della popolazione non aveva gli strumenti culturali per dissentire dai “gruppi dirigenti”, dai loro linguaggi specialistici, dalle loro ingiunzioni spesso inspiegabili. Chi stava “in basso” era più o meno rassegnato a delegare ai piani superiori la gestione delle grandi questioni che oggi collochiamo nella dimensione etica e bio-politica. Oggi non è più così. Una larga fetta di popolazione, generalmente i settori un po’ più dinamici e informati, nutre un sospetto e uno scetticismo critico “a priori” sulle competenze e sui moventi di ogni gruppo dirigente. È un fenomeno trasversale e secondo alcuni questa sorda e ostile sfiducia di massa, che corre lungo l’asse verticale “basso-alto” della società, è l’essenza di quello che viene definito “populismo”.Una recente inchiesta statistica lamenta il fatto che molti genitori sono andati in questi anni a cercarsi sul web informazioni sui vaccini, finendo vittime di quelle che, i curatori delle inchieste, definiscono costernati come le “solite bufale”. Senza entrare nel merito di una faccenda medico-scientifica assai complessa, pare un atteggiamento saggio quello di muoversi autonomamente e acquisire informazioni. Perché si dovrebbero delegare acriticamente la salute propria o dei figli ad un medico di base o, peggio, alle burocrazie sanitarie? Perché ci si dovrebbe rassegnare all’idea che sia il presidente della Regione – non di rado mediocrissimo funzionario di partito – a decidere le delicatissime strategie di salute pubblica? Non è forse più saggio esercitare un giudizio critico “a priori” rispetto all’affidarsi (sempre “a priori”) a quella classe medica che ogni tanto – in autorevoli suoi segmenti – viene investita da inchieste giudiziarie (non bufale, ma atti delle Procure) mentre esercita sperimentazioni di massa sui pazienti del Servizio Sanitario pubblico per conto di Big Pharma? È a costoro che si dovrebbe consegnare integralmente il delicato tema politico della salute?Tra l’altro l’impressione è che spesso i medici, massa proletarizzata di lavoratori della sanità pubblica, non facciano che ribadire i contenuti delle circolari ministeriali che gli arrivano sulla scrivania. Non hanno le competenze proprie dell’immunologo o dell’epidemiologo, non adottano nemmeno il protocollo minimo richiesto da qualsiasi somministrazione medica: conoscenza preventiva della storia del paziente e osservazione successiva e prolungata nel tempo degli effetti del farmaco somministrato (tutte pratiche incompatibili con il “vaccinificio industriale”). È in tale quadro che il cittadino cerca autonomamente informazioni dove e come può, essendo sostanzialmente vietato da un clima isterico (decisamente antiscientifico) ogni serio e rigoroso dibattito pubblico in materia. E qui si apre l’altro grande nodo di questi tempi: l’uso del web e la questione di chi gestisce l’infosfera ingovernabile della “pubblica opinione”, che tanto inquieta le élite globali. Esisteva un tempo una verità ufficiale capace di imporsi nel discorso pubblico, a cui tutti gli operatori del settore umilmente concorrevano. Tale monopolio del discorso pubblico (di cosa si parla e come se ne parla) pare ormai decisamente incrinato. Si mettano l’anima in pace scienziati, politicanti e giornalisti. I buoi sono usciti e sempre meno gente aderirà ciecamente al pastone mainstream che viene propinato ogni sera nei telegiornali o nei compunti editoriali antipopulisti.E l’Alitalia? Cosa ha a che fare l’Alitalia con la questione vaccini? Il nesso tra i due contesti – vaccini e vertenze – va cercato sul medesimo terreno minato, quello del consenso e della fiducia nei “dirigenti-specialisti”. Nell’ultimo referendum in cui i lavoratori del gruppo hanno votato in massa contro l’ipotesi di accordo, in ballo c’era proprio un “pacchetto” di misure confezionato ad arte da tutti i “professionisti” della gestione delle crisi, convocati attorno a un tavolo in cui, come in una sceneggiatura, tutti i ruoli erano noti e definiti: gli amministratori del gruppo, gli investitori internazionali, i consulenti delle banche creditrici, i saggi politici intervenuti con sollecitudine per la salvezza della ex compagnia di bandiera, i sindacalisti buoni e responsabili. Oltre alla supposta autorevolezza di queste figure, incombeva anche qui il clima terroristico che era alimentato abilmente dai mezzi di comunicazione: «O votate Sì o domattina siete disoccupati». Un ben curioso esercizio di dialettica democratica. Si è detto ai dipendenti di Alitalia: «Ci dispiace, ragazzi; dobbiamo sforbiciare salari, tutele e occupazione, ma che volete mai, dovete conservare pazienza e fiducia, gli specialisti siamo noi, vorreste forse rivendicare il diritto alla gestione di una compagnia aerea? Dateci il vostro consenso, perché è attraverso quello che vi salveremo».Il no di massa dei lavoratori è stato definitivo e fulminante: un’epidemia di dissenso. Qual è il segno politico di tale pronunciamento? Uno solo: «Non ci fidiamo più. Vogliamo vedere il gioco. Non ci fate più paura. Vediamo di cosa siete capaci». Una sfida lanciata dal basso che ha sparigliato i soliti vecchi giochi, generando un panico confuso tra consiglieri di amministrazione, sottogoverno, sindacalismo di Stato, editorialisti: una manica di cialtroni che alla prova dei fatti, sbugiardati e sfiduciati, mostrano tutta la loro pochezza, l’assenza di strategie e di ogni visione che non sia spolpare, spezzettare e svendere la memoria industriale di questo paese. Torniamo ai vaccini. Se dovesse passare una legge sulle vaccinazioni coatte, che succederà di fronte a migliaia di genitori che rivendicheranno il diritto di decidere, comunque, della salute dei propri figli?Che succederà se sfideranno le autorità scolastiche, portando i loro ragazzi a scuola per adempiere a quello che, almeno fino ad oggi, in Italia, è un obbligo di legge? Finirà che deciderà il Tar del Lazio. Come è “normale” che sia in un paese patetico come questo, in cui ai piani alti della società, mentre si esibisce la protervia modernizzatrice, serpeggia una ottocentesca paura del “popolo” – sempre evocato, omaggiato, blandito, ma sotto sotto temuto per le sue imprevedibili reazioni. Le élite italiane sono oggi così deboli, prive di autorità e di egemonia, che ormai l’azione di governo si esercita solo attraverso il comando amministrativo, la decretazione d’urgenza a cui segue, di solito, l’ammucchiata bi-partisan. Sul piano sociale, questa debolezza si manifesta in tante vertenze sindacali o territoriali: tra i Palazzi del potere e le comunità (critiche o rancorose) spesso c’è solo una sfilza di celerini. Niente altro in mezzo. Nessun potere può reggere a lungo su una base di consenso così fragile: un po’ di truppe in camice bianco (i chierici delle varie corporazioni di regime), un po’ di truppe in divisa blu, e in mezzo uno sparuto drappello in giacca e cravatta che twitta moniti e minacce, isolato e intimorito.Una nota finale sulla questione delle libertà. Il sistema tardo-liberale fa di questa parola la sua fonte di legittimazione e la sua bandiera: si va in Afghanistan a liberare le donne in burqa, si svende il patrimonio pubblico per liberalizzare l’economia, si ridisegna tutto il quadro dei diritti individuali per allargare la libertà della persona. Ma se c’è un opzione o un diritto collettivo che cozza con gli imperativi del mercato (vedi la libertà di scelta terapeutica) la reazione del sistema è feroce come un missile Hellfire che piomba su una festa di matrimonio a Kandahar: la retorica pubblica sulle libertà, viene sostituita dalla riemersione delle vecchie care parole d’ordine della società disciplinare – proibire, censurare, espellere, ingabbiare, controllare. Le retoriche del politicamente corretto, del contrasto al populismo, delle isterie securitarie, si sostituiscono in un battibaleno alle ciance sulla libertà e i diritti. Se hai abbastanza soldi puoi farti fare un figlio con maternità surrogata da una disgraziata in Romania: ma se il pupo si vaccina o no (ciò che attiene alle grandi scelte di salute pubblica e business) questo lo decideranno loro.(Giovanni Iozzoli, “La libertà ai tempi del morbillo”, da “Carmilla Online” del 20 maggio 2017).Cosa c’entra la questione vaccini con la crisi dell’Alitalia? Niente. O forse molto. Dipende dalla capacità di leggere nessi forse nemmeno tanto nascosti. Da ormai due anni è in atto una forsennata campagna di allarmismo terroristico nei confronti dell’opinione pubblica basata sulla necessità di incrementare le vaccinazioni di massa, giudicate in leggera flessione statistica. Non questo o quel vaccino in particolare: ma tutti, sempre, per qualunque problema. Si è partiti con articoli e interviste allarmanti sulle epidemie prossime venture (inesistenti picchi di meningite e pandemie di morbillo), si è continuato con lettere intimidatorie delle Asl a casa dei genitori riluttanti, si arriva al capitolo finale, con una legge in incubazione che vieterà l’ingresso a scuola ai non vaccinati e, quindi, obbligherà di fatto, l’intera popolazione giovanile ad adempiere al diktat. Ok, ma l’Alitalia? Ci arriviamo. Il fatto che molte famiglie abbiano scelto in questi anni di non vaccinare i figli e si ostinino a difendere la loro scelta, nonostante il dispiegamento di questa feroce campagna (senza precedenti), è solo un’altra manifestazione di quella diffusa “sfiducia nelle élite”, che è un dato costante e caratteristico di questa epoca.
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Rovesciare Trump e insediare Mike Pence: il piano procede
Ma cosa sta succedendo negli Usa? Per capirlo bisogna ripercorrere in rapida sequenza i primi 5 mesi della presidenza. Trump inizia come un presidente di rottura, che nel suo discorso inaugurale traccia degli obiettivi e una visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo antitetici rispetto ai suoi predecessori. Come prevedibile, la reazione dell’establishment è durissima: manifestazioni di piazza, giudici che bloccano decisioni presidenziali, l’intelligence che soffia sul fuoco del Russiagate alimentando lo spettro che Mosca abbia interferito nelle elezioni mentre molti repubblicani si schierano con i democratici. Lo Stato Profondo (Deep State) è in rivolta e protagonista di ogni forma di boicottaggio. Dopo appena tre settimane, uno dei suoi consiglieri più, quello alla sicurezza nazionale, Michael Flynn, si dimette per aver nascosto alcune conversazioni con l’ambasciatore russo a Washington. In sé nulla di irrimediabile, anche il team di Hillary ha avuto contatti con l’ambasciata russa. Trump, che non conosce la potenza dell’apparato, commette un errore, si dimostra arrendevole e abbandona Flynn.Il 6 aprile nuovo cedimento: l’altro fedelissimo, Steve Bannon, viene estromesso dal Consiglio nazionale della sicurezza, dove restano solo falchi, tra cui molti neoconservatori. Dopo poche ore Trump rinnega i capisaldi del suo discorso inaugurale e diventa improvvisamente interventista. Bombarda con i missili una base militare in Siria, lancia la “madre di tutte le bombe” in Afghanistan, fa salire alle stelle le tensioni con la Corea del Nord. Intanto, al Pentagono, si affinano i piani di guerra. Trump appare normalizzato, inghiottito dall’establishment. E improvvisamente il Russiagate sparisce dalle prime pagine, perde di intensità e di importanza. Il presidente annuncia la revoca del trattato di libero scambio Nafta ma dopo poche ore si rimangia tutto, a conferma del suo ammansimento. La revoca dell’Obamacare torna d’attualità con il convinto assenso del partito repubblicano. Poi, però, accade qualcosa. Trump ci ripensa o, almeno, dimostra di volersi riprendere qualche spazio, soprattutto diplomatico.Dopo aver incontrato da solo il leader cinese Xi, con cui stabilisce un ottimo rapporto personale, esautora di fatto il Dipartimento di Stato, decidendo da solo la visita dal Papa il 24 maggio e, soprattutto, avviando un dialogo con Mosca; parla al telefono con Putin e riceve alla Casa Bianca il ministro degli esteri russo Lavrov. L’establishment non gradisce e inizia ad agitarsi. Le polemiche interne riaffiorano, i giornali ricominciano a descrivere una Casa Bianca spaccata e caotica. Quando il presidente decide di licenziare il capo dell’Fbi Comey, il Deep State dichiara una nuova guerra, verosimilmente definitiva, al redivivo Trump. Seguendo i dettami illustrati dall’ex consigliere di Obama Kupchan, che invitava ad «adoperare i media e l’opinione pubblica», sulla stampa amica – ovvero “New York Times” e “Washington Post” fioccano indiscrezioni e rivelazioni pesantissime, insinuanti e, come sempre, anonime, ma di fonte sicura: servizi segreti, esponenti dell’amministrazione. Gli altri media amplificano. E l’isteria monta.Qualunque voce o ricostruzione contro Trump viene presentata dai media come sicura e provata, qualunque indizio a sua discolpa viene relativizzato o ignorato. La “Washington Post” annuncia che le informazioni passate a Lavrov durante l’incontro alla Casa Bianca sono segrete e che il presidente ha messo a repentaglio la sicurezza nazionale. Si scopre, tuttavia, che si tratta dell’allarme sulla possibilità che l’Isis compia attentati sugli aerei nascondendo bombe nei laptop, rischio noto da giorni, e lo stesso Putin smentisce di aver ricevuto informazioni segretissime e si dice pronto a dimostrarlo. Ma non basta a riportare la quiete. McCain cita il Watergate, i democratici incalzano, i media attaccano con toni scandalizzati. E ora? Un esponente di lungo corso della politica Usa, insospettabile perché rappresenta la sinistra americana, Dennis Kucinich, legge con molta lucidità la situazione. Ricorda di non aver nulla in comune con Trump ma, in un’intervista a “Fox News”, giudica pretestuosa questa campagna.«Se l’informazione era così sensibile perché è stata passata al “Washington Post”?», si chiede. E ancora: «Qualcosa è fuori controllo. C’è un tentativo di stravolgere la relazione con la Russia. Dobbiamo chiederci: perché l’intelligence sta cercando di sovvertire il presidente degli Stati Uniti con questi leaks? Io sono in disaccordo con Trump su molte questioni, ma su questa no. Ci può essere solo un presidente e qualcuno, nel mondo dei servizi segreti, sta cercando di rovesciare questo presidente al fine di perseguire una linea politica che ci mette in conflitto con la Russia. Il punto è: perché? E chi? Abbiamo bisogno di scoprirlo». Kucinich ha quasi certamente ragione. Qualunque pretesto è utile per perseguire lo scopo finale: ribaltare la volontà popolare, cacciare Trump e mantenere il potere nelle mani dell’establishment, al cui interno si annullano le differenze politiche tra destra e sinistra, e che governa gli Usa dai tempi di Kennedy. Il successore è già pronto: è il vice Mike Pence, che non è mai stato un fedelissimo di Trump. E’ uomo del partito repubblicano. Di lui si fidano.(Marcello Foa, “Obiettivo finale, rovesciare Trump. Preparatevi…”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 17 maggio 2017).Ma cosa sta succedendo negli Usa? Per capirlo bisogna ripercorrere in rapida sequenza i primi 5 mesi della presidenza. Trump inizia come un presidente di rottura, che nel suo discorso inaugurale traccia degli obiettivi e una visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo antitetici rispetto ai suoi predecessori. Come prevedibile, la reazione dell’establishment è durissima: manifestazioni di piazza, giudici che bloccano decisioni presidenziali, l’intelligence che soffia sul fuoco del Russiagate alimentando lo spettro che Mosca abbia interferito nelle elezioni mentre molti repubblicani si schierano con i democratici. Lo Stato Profondo (Deep State) è in rivolta e protagonista di ogni forma di boicottaggio. Dopo appena tre settimane, uno dei suoi consiglieri più, quello alla sicurezza nazionale, Michael Flynn, si dimette per aver nascosto alcune conversazioni con l’ambasciatore russo a Washington. In sé nulla di irrimediabile, anche il team di Hillary ha avuto contatti con l’ambasciata russa. Trump, che non conosce la potenza dell’apparato, commette un errore, si dimostra arrendevole e abbandona Flynn.
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Coi vaccini cresce la mortalità infantile, lo dice la sanità Usa
E’ ufficiale: i vaccini aumentano il tasso di mortalità infantile. Lo afferma l’istituto nazionale di sanità Usa, un’agenzia del dipartimento della salute. «Il dibattito sui vaccini va riaperto: esistono pericoli mortali e ignorati, con prove terrificanti», afferma Paolo Barnard, che ha scovato uno studio governativo del 2011 condotto da due ricercatori, Neil Miller e Gary Goldman, del “National Center for Biotechnology Information”, una costola delle “National Institutes of Healths”. Un allarme clamoroso: da studi statistici emerge che il rapporto tra vaccinazioni e salute è inversamente proporzionale. In altre parole: più sono i vaccini inoculati, più crescono la mortalità infantile e la “Sids”, sindrome del decesso improvviso infantile. Un sasso nello stagno, lo studio – largamente ignorato – di Miller e Goldman, condotto in un paese come gli Usa, che impone la somministrazione di 26 dosi-vaccino (ma lasciando ai genitori libertà di obiezione salvo in due Stati, Mississippi e West Virginia). L’analisi però si estende al resto del mondo. E si scopre che, anche nei paesi più poveri, in Africa e in Asia, la mortalità infantile cresce, anziché diminuire, proprio là dove si iniettano più vaccinazioni.L’analisi della regressione lineare della mortalità infantile media, scrivono i due ricercatori americani, «ha mostrato un’alta correlazione statistica significativa fra l’aumento del numero delle dosi-vaccino e l’aumento dei tassi di mortalità infantile». Già in premessa, gli studiosi raccomandano: «E’ essenziale che si faccia uno “screening” urgente della correlazione fra le dosi-vaccino, la loro tossicità biochimica o sinergistica, e il tasso di mortalità infantile». Secondo Barnard, «lo studio fa a pezzi Bill Gates»: se pensiamo ai bambini del terzo mondo, ci informa che di gran lunga la maggior causa di mortalità infantile non ha nulla a che vedere con le classiche malattie dell’infanzia, ma con la malnutrizione: li ammazza la fame». E qui, aggiunge Barnard, viene una clamorosa smentita al “teorema Bill Gates”, che proclama le vaccinazioni di massa nei paesi poveri come via di salvezza dei bimbi. Nei paesi poveri le vaccinazioni sono diffusissime, anche con tassi superiori al 90%, «eppure hanno lo stesso una “Imr” tragica». Per “Imr” si intende “Infant Mortality Rate”. «Per dare un termine di paragone, la “Imr” degli Usa è 6,2 morti su 1.000 parti; il Gambia obbliga i bambini a 22 dosi di vaccini, ma la “Imr” è di 68,8. La Mongolia somministra lo stesso numero di dosi vaccini, con “Imr” di 39,9».«Questo – scrivono Miller e Goldman – prova che la “Imr” in molto del terzo mondo ha assai più a che fare con la malnutrizione, acqua infetta, e sistemi sanitari carenti. Non l’assenza di vaccini». Peggio ancora: «Abbiamo scoperto che anche nei paesi in via di sviluppo esiste una relazione inversamente proprorzionale fra il numero dei vaccini somministrati e la “Imr”: le nazioni con la peggiore mortalità infantile sono quelle che somministrano ai bambini il maggior numero di vaccini». Lo studio torna all’Occidente ricco: gli hanno visto pochissimi progressi nel tasso di mortalità dall’anno 2000, e le tradizionali cause (complicanze da parto), secondo i due ricercatori «non spiegano questo fenomeno». Miller e Goldman fanno notare che, nel 2009, cinque delle 34 nazioni con il miglior tasso di “Imr” richiedevano solo 12 dosi-vaccino, il numero minore, mentre gli Stati Uniti ne richiedevano 26, il maggior numero al mondo. Tutto ciò, concludono, ci fornisce «la prova di una correlazione positiva: “Imr” e dosi-vaccino tendono a crescere assieme».Bimbi morti e vaccini vanno di pari passo, sottolinea Barnard, riportando un’altra frase-chiave dello studio: «Fra le 34 nazioni ricche analizzate, quelle che richiedono il più alto numero di vaccini, tendono ad avere la peggior “Imr”». Stessa tendenza per il “decesso improvviso infantile”, in gergo “Sids”, cioè “Sudden Infant Death Syndrome”. «Prima dei programmi di vaccinazione – afferma lo studio governativo Usa – la “Sids” era così rara che neppure veniva citata nelle statistiche della “Imr”», la mortalità infantile. E la tempistica è altrettanto allarmante: «Negli Usa le campagne di immunizzazione nazionali iniziarono nel 1960, e per la prima volta nella storia i nostri bambini furono vaccinati contro difterite, pertosse, tetano, polio, morbillo, orecchioni e rosolia. Improvvisamente – continuano Miller e Goldman – nel 1967 la medicina clinica coniò una nuova forma di mortalità infantile, la “Sids”. E dal 1980, la “Sids” è divenuta la maggior causa di mortalità post-neonatale in America». Uno studio citato dai due ricercatori «scoprì che 2/3 degli infanti morti di “Sids” erano stati vaccinati contro difterite-pertosse-tetano appena prima di morire».Secondo altri ricercatori citati, Fine e Chen, «i bambini muoiono di “Sids” a un tasso quasi 8 volte superiore alla norma entro 3 giorni dall’inoculazione contro difterite-pertosse-tetano». Un terzo studio documenta il caso di un infante di tre mesi, morto di “Sids” dopo una inoculazione di 6 vaccini contemporaneamente: «Questo caso ci offre un allarme unico nel capire il possibile ruolo di queste vaccinazioni nel causare morti improvvise in bambini vulnerabili». Infatti, avvertono gli scienziati, «senza studi anatomopatologici su larga scala di questi decessi infantili, alcuni casi chiaramente correlati alle vaccinazioni verranno ignorati». Queste informazioni, sottolinea Barnard, sono «documentazione scientifica ufficiale al più alto livello sanitario tecnologico del mondo, quello degli Usa», il cui governo è anche «il promotore mondiale dei vaccini». E lo studio è del 2011: «Loro sapevano che i vaccini possono uccidere».E’ ufficiale: i vaccini aumentano il tasso di mortalità infantile. Lo afferma l’istituto nazionale di sanità Usa, un’agenzia del dipartimento della salute. «Il dibattito sui vaccini va riaperto: esistono pericoli mortali e ignorati, con prove terrificanti», afferma Paolo Barnard, che ha scovato uno studio governativo del 2011 condotto da due ricercatori, Neil Miller e Gary Goldman, del “National Center for Biotechnology Information”, una costola dei “National Institutes of Healths”. Un allarme clamoroso: da studi statistici emerge che il rapporto tra vaccinazioni e salute è inversamente proporzionale. In altre parole: più sono i vaccini inoculati, più crescono la mortalità infantile e la “Sids”, sindrome del decesso improvviso infantile. Un sasso nello stagno, lo studio – largamente ignorato – di Miller e Goldman, condotto in un paese come gli Usa, che impone la somministrazione di 26 dosi-vaccino (ma lasciando ai genitori libertà di obiezione salvo in due Stati, Mississippi e West Virginia). L’analisi però si estende al resto del mondo. E si scopre che, anche nei paesi più poveri, in Africa e in Asia, la mortalità infantile cresce, anziché diminuire, proprio là dove si iniettano più vaccinazioni.