Archivio del Tag ‘Sergio Chiamparino’
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Val Susa, Italia: Pd e Pdl insieme, per conquistare Avigliana
A prima vista, sembra una qualsiasi campagna elettorale locale, di rango comunale. Non lo è, se è vero che scomoda nientemeno che Nichi Vendola, accanto all’altro leader nazionale impegnato nella contesa, Beppe Grillo. Due pesi massimi, in difesa di una cittadina di nemmeno quindicimila abitanti? Ebbene sì: perché il Comune in questione è Avigliana, dinamico capoluogo produttivo della valle di Susa “ribelle”, a metà strada fra Torino e le Alpi. Vent’anni fa, quando l’epopea No-Tav era alle primissime battute, ancora lontana dall’attuale dimensione popolare, Avigliana punì il “partito trasversale degli affari” premiando una lista di outsider, dal nome inequivocabile: Piazza Pulita. Da allora, la “dinastia” della trasparenza ha sfornato sindaci-contro. Ultimo esponente Carla Mattioli, nel 2005 in prima linea sulle barricate della storica rivolta pacifica che costrinse il governo a sospendere il progetto Torino-Lione, rivelando all’Italia la profetica “resistenza” della valle di Susa, avamposto della Grande Crisi.
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La Fiat crolla: smentiti i maggiordomi di Marchionne
Mentre le cronache ormai descrivono il crollo verticale delle vendite Fiat, «con le redazioni che cadono sorpresissime dal pero», Pino Cabras si diverte a mettere in fila due articoli del 2010, scritti a ridosso del referendum di Pomigliano, «quando Otelma Marchionne ci regalava la previsione sbruffona di fare 6 milioni di auto l’anno, se solo i sindacati si fossero tolti dal suo scroto manageriale». Il primo servizio, del “Corriere della Sera”, descrive le posizioni del Pd; il secondo è un editoriale di Giulietto Chiesa. «Potrete apprezzare quanto le posizioni del Pd avessero i piedi saldamente appoggiati sulle nuvole – scrive Cabras su “Megachip” – e quanto invece l’articolo di Chiesa sia confermato alla virgola col passare degli anni». Due anni dopo, mentre la Fiat affonda, il Pd “suicida” la Costituzione votando il pareggio di bilancio, e «tiene il sacco a Otelma Monti quando vaneggia di numeri futuri come il tasso di crescita del 2020».
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No al dialogo: la guerra contro la valle di Susa continua
Niente dialogo, la “guerra” continua: anche il presidente della Repubblica rifiuta di parlare con i rappresentanti istituzionali della valle di Susa assediata dai reparti antisommossa spediti dal governo Monti a imporre, manu militari, la Torino-Lione, cioè l’opera pubblica più costosa, più dannosa e più inutile della storia nazionale, secondo l’opinione di milioni di italiani, suffragata dai migliori tecnici delle nostre università. Giorgio Napolitano rifiuta l’incontro coi sindaci valsusini il 6 marzo a Torino, così come aveva rifiutato di rispondere all’appello di 150 docenti universitari di tutta Italia per chiedere un ripensamento sul progetto. Nel vuoto anche l’ultima lettera aperta rivolta a Monti, firmata da 360 professori e tecnici, e persino l’appello al dialogo invocato da don Luigi Ciotti, che chiede invano al governo di trovare il coraggio di discutere finalmente un’opera così fortemente contrastata.
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No-Tav, Travaglio: Bersani e il silenzio dei tecnici cialtroni
Il Tav Torino-Lione nasce ventuno anni fa, quand’era appena caduto il Muro di Berlino, al governo c’erano Andreotti e Cirino Pomicino e alle Ferrovie Lorenzo Necci. Poi, guardacaso, Tangentopoli li ha spazzati via tutti. Un’altra era geologica, quando i politici erano in preda a una supersonica “invidia del pene” e come modello di sviluppo inseguivano ancora la Muraglia Cinese e la Piramide di Cheope. Poi sappiamo che cosa ci han lasciato di grosso, in eredità: il debito pubblico. Il primo studio di fattibilità commissionato dalla Regione Piemonte 21 anni fa stimava che i passeggeri fra Italia e Francia sarebbero aumentati da un milione e mezzo a 7 milioni e 700.000 in dieci anni. Invece adesso sono 700.000: un decimo del previsto. Infatti il vecchio treno diretto Torino-Lione è stato soppresso da un pezzo.
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Pogrom contro i Rom: se anche a Torino saltano i nervi
«La crisi nella quale sprofonderemo sarà così grande, così grave e così improvvisa da farci perdere ogni sicurezza: a quel punto, quando il nostro standard di vita sarà a rischio, avrà buon gioco il primo infame che si alzerà a gridare che è tutta colpa degli immigrati, dei musulmani, dei Rom». Profezia di Giulietto Chiesa, applaudita recentemente in un’affollata assemblea No-Tav in valle di Susa. Rom? E’ toccato proprio a loro, il 10 dicembre, a Torino: il loro campo assaltato e incendiato dopo la denuncia di uno stupro, poi rivelatasi completamente inventata. «Il pogrom di Torino contro un campo nomadi – dice Gad Lerner – ci ricorda che la barbarie è sempre lì dietro l’angolo». Semmai la notizia è un’altra: stavolta, a cedere, è una città come Torino, una vera “capitale dell’accoglienza”.
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Passera: sì alla Tav, senza uno straccio di spiegazione
Sono vent’anni che la valle di Susa formula inutilmente la stessa domanda: per favore, volete spiegarci a cosa serve la Torino-Lione? Appena insediatosi al governo, il super-banchiere Corrado Passera risponde a modo suo, cioè come tutti gli altri ministri che l’hanno preceduto: la linea Tav si deve fare, punto e basta. L’Italia – persino quella di oggi, con l’acqua alla gola – non ha tempo per rispondere a trascurabili domande del tipo: perché mai gettare al vento 20 miliardi di euro per un’opera inutile? E così, al posto della risposta tanto attesa, ai valsusini viene ancora una volta riservato il solito trattamento: repressione, militarizzazione del territorio e spietata criminalizzazione del movimento popolare No-Tav.
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Aria velenosa, Torino fuorilegge: è la peggiore città d’Italia
«Per favore, non spegnete Torino»: era la richiesta che, in piena campagna elettorale, i Subsonica rivolgevano al futuro sindaco, Piero Fassino, invitato a non oscurare il “popolo della notte” che negli ultimi 10-15 anni ha trasformato le serate dell’ex città più grigia d’Italia. Ma i record sotto la Mole non sono finiti: Torino è anche la metropoli più indebitata, con oltre 5.700 euro di debito pro capite, contro i neppure 4.000 di Milano, stando ai dati diffusi già nel 2009 da “Civicum” insieme al Politecnico milanese. E ora, archiviati i fasti – ma non gli oneri – delle Olimpiadi Invernali 2006, ecco che Torino si scopre anche la città meno ecologica, la più inquinata, quella dall’aria più irrespirabile.
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Macché crescita, le grandi opere gonfiano solo il debito
Un’incidenza determinante sull’aumento dei debiti pubblici hanno avuto i costi delle cosiddette grandi opere, deliberate con sempre maggiore frequenza dalle amministrazioni statali centrali e periferiche non per rispondere a reali necessità, ma con la motivazione esplicita di rilanciare l’economia e creare occupazione. Le grandi opere modificano in modo irreversibile superfici di territorio sempre più vaste, ricoprendole di spesse incrostazioni di materiali inorganici. Possono essere realizzate soltanto da grandi aziende e suggellano la loro alleanza strategica col potere politico che le delibera. Un’alleanza che accomuna tutte le varianti della destra e della sinistra e ha attenuato, fino a renderle irrilevanti, le differenze culturali e di prospettiva politica che le hanno divise nell’ottocento e nel novecento.
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Difendersi dalla tempesta: la lezione della valle di Susa
Da Maurizio Tropeano della “Stampa” a Marco Imarisio del “Corriere della Sera”, sono stati molti i giornalisti italiani che, in questi mesi, hanno battuto i ripidi sentieri di Chiomonte e respirato lacrimogeni, insieme ai No-Tav, cercando di raccontare quello che vedevano – la protesta popolare, la repressione – sforzandosi di decifrare cause e ragioni, senza enfatizzare l’inevitabile contabilità dell’ordine pubblico, tra lanci di pietre e manifestanti feriti da proiettili fumogeni sparati anche ad altezza uomo. “Isolare i violenti”, è stato il mantra recitato dai politici che contano, nelle agitate settimane di luglio: come se il seme della violenza fosse un’erba cattiva che cresce spontanea. «La violenza è inevitabile, se la politica “dialoga” solo coi manganelli», risponde a distanza lo scrittore Erri De Luca.
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Comunità Montana nella zona rossa, sfida alla Torino-Lione
Una riunione speciale della giunta della Comunità Montana, nel cuore della “zona rossa” protetta dalla polizia schierata per sigillare l’area di Chiomonte destinata all’avvio della Torino-Lione. «Non ci sembra molto regolare la procedura con cui l’area è stata occupata, e inoltre chiederemo il risarcimento per i danni subiti dai viticoltori dei vini Valsusa Doc, che non possono operare liberamente nei vigneti», annuncia il presidente Sandro Plano, che il 9 agosto terrà un “consiglio di guerra”, in rappresentanza dei sindaci, al di là delle recinzioni. E’ l’ennesima prova della resistenza civile della valle di Susa, dopo la clamorosa protesta solitaria di Turi Vaccaro, pacifista rimasto per tre giorni e due notti in cima a un albero e poi convinto a scendere soltanto da don Luigi Ciotti, accorso per risolvere la situazione.
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Torino No-Tav: le fiaccole fan più paura dei black bloc
Trentamila per i No-Tav, ma solo seimila per la questura. Oppure, a scelta, almeno diecimila per i quotidiani. O ancora: ventimila per la Fiom, che di conteggi ai cortei se ne intende. RaiTre si limita a parlare di “migliaia” di manifestanti, mentre il sito ufficiale No-Tav parla di 25.000 persone. Tantissime, comunque: troppe, in ogni caso, per chi le teme. E a ragione: l’8 luglio, Torino è stata letteralmente invasa. Non solo dai valsusini in lotta per difendere coi denti il proprio diritto al futuro, ma anche da migliaia di torinesi, per niente convinti dalle chiacchiere dell’establishment sulla sempre più fantomatica Torino-Lione; come osserva “La Stampa”, almeno metà del “popolo delle primarie” non se la sente di schierarsi contro la valle di Susa.
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Tav, basta menzogne: anche i francesi sono fermi
«La valle di Susa non è un luogo di montanari retrogradi ma è probabilmente uno dei più avanzati laboratori sociali d’Europa». Lo afferma il climatologo Luca Mercalli, volto televisivo accanto a Fazio e da sempre attivista No-Tav. Mercalli parla come «cittadino frustrato dalla sequenza di menzogne» in circolazione e «dal fallimento della politica» che, Pd in testa, spaccia miserabili frottole quotidiane e cede il passo ai lacrimogeni, dopo aver dichiarato che i 70.000 in corteo a Chiomonte il 3 luglio erano appena «settemila o addirittura tremila», per non parlare dei fantomatici “black bloc” stranieri a cui la polizia darebbe la caccia ma che a Chiomonte nessuno ha visto.