Archivio del Tag ‘Sessantotto’
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Futuro sostenibile: lavoro, terra e denaro non sono merci
Lavoro, terra e denaro: tre cose che, se diventano “merce”, decretano la fine del sistema sociale ed economico. Difatti, eccoci qua: globalizzazione, delocalizzazione delle produzioni, precarizzazione del lavoro, diseguaglianze crescenti, finanziarizzazione del comando capitalistico. Debito, pubblico e privato, come strumento di imbrigliamento della società, della politica e del lavoro. E poi guerre, crisi e insicurezza come condizione umana permanente. Fino a quarant’anni fa i meccanismi portanti dell’accumulazione del capitale erano stati il mito dello sviluppo economico e la crescita di salari, consumi e welfare: una sintesi di fordismo e politiche keynesiane governata con la continua espansione della spesa pubblica e l’intervento dello Stato nell’economia. Non era un mondo perfetto, come provvide a ricordare la grande contestazione del ’68. E oggi? Stiamo ancora peggio. E siamo alla vigilia di un nuovo, clamoroso cambio di paradigma: sarà valido soltanto ciò che potrà essere sostenibile.
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Grillini di tutta Europa unitevi: obiettivo, elezioni 2014
«Non possiamo pensare di aver fatto tutto questo e rimanere qui, a Roma. Dobbiamo andare oltre, e l’obiettivo è Strasburgo, anno 2014, Parlamento Europeo: perché c’è una necessità simile a quella italiana e perché, se troviamo sponda in Europa, il cambiamento sarà epocale». Velleitario o visionario? Il vero obiettivo di Grillo, l’Europa, è diventato molto concreto, da quando la discussione sui “Meetup” ha abbattuto confini e lingue. Una rivoluzione? «Una specie di Sessantotto, che abbia come collante la Rete». Obiettivo, i paesi dell’Est – Slovacchia, Bulgaria, Romania – nonché Spagna, Portogallo e Grecia. «Questo intendo quando dico che abbiamo appena iniziato». I temi: ambiente, economia, decrescita. I gruppi a cui guarda, osservano Emiliano Liuzzi e Ferruccio Sansa, spaziano dagli “Indignados” iberici ai “verdi” tedeschi. Porte chiuse alla sinistra tipo “Syriza” e alla destra populista, da “Alba Dorata” al Front National francese. Meglio, come in Italia, «quei milioni di cittadini legati da battaglie comuni più che da ideologie e appartenenze».
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La rabbia dei giovani senza futuro, traditi dalla politica
Non hanno solo protestato contro i tagli ad una scuola stretta tra le mirabolanti promesse tecnologiche e i soffitti che crollano, tra premi per i più bravi e riduzione delle risorse necessarie perché i meritevoli possano davvero provare di esserlo, nonostante disuguali condizioni di partenza. Hanno dichiarato la loro sfiducia a tutta la classe dirigente, agli adulti che hanno il potere di prendere le decisioni cruciali per il loro destino: governo, partiti politici, sindacati, imprenditori. Derubricare questa protesta come manifestazione adolescenziale senza una vera maturità politica, sarebbe grave e forse pericoloso. Dopo essersi sentiti definire da tutti una generazione perduta, questi ragazzi stanno provando a dire che non vogliono fare le vittime sacrificali degli errori altrui.
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Ciellini e coop rosse, l’alleanza trasversale degli affari
Chi ricorda più queste parole? «Se vuole rifondarsi, la sinistra deve partire dal retroterra di Cl. La vera sinistra non nasce dal bolscevismo, ma dalle cooperative bianche dell’800, il partito socialista arriva dopo, il partito comunista dopo ancora. E i movimenti del Sessantotto sono tutti morti, solo l’ideale lanciato da Cl negli anni Settanta è rimasto vivo, perché è quello più vicino alla base popolare, è lo stesso ideale che è alla base delle cooperative, un dare per educare». A parlare così è Pierluigi Bersani. È l’agosto del 2003, quando l’attuale segretario del Pd è responsabile economico dei Ds e viene accolto con scrosci d’applausi dal popolo di Cl al Meeting di Rimini.
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Harvey: città ribelli e sindacati, una rivoluzione ci salverà
Quando parlo del diritto di ripensare la città più vicina a come la vorremmo, e a cosa invece abbiamo visto qui a New York City negli ultimi 20-30 anni, si tratta di come la vorrebbero i ricchi. Negli anni ’70 pesava molto la famiglia Rockefeller, per esempio. Oggi c’è gente come Bloomberg, che sostanzialmente trasforma la città nel modo che più si adatta a sé e ai propri affari. Ma la gran massa della popolazione praticamente non conta nulla. In città c’è quasi un milione di persone che tenta di farcela con diecimila dollari l’anno. E che influenza hanno sul modo in cui si trasforma la città? Nessuna. Penso a quel milione di persone con meno di diecimila dollari l’anno, che dovrebbero pesare almeno tanto quanto l’1% che sta al vertice.
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Zizek: se il vero potere ride delle nostre innocue proteste
Giù la maschera: il vero nemico ha un nome antico, e si fa beffe delle leggi e dei nostri Stati democratici, sempre più deboli e “infiltrati” dal super-potere. E’ normale: la sovranità nazionale è limitata dai confini geografici, mentre il capitale è mobilissimo, sfuggente e, all’occorrenza, micidiale. Proprio quello che sta accadendo in paesi come Italia rivela l’autentica natura del dominio mondiale: i cittadini non contano più niente e sono ridotti all’impotenza dal “governo dei banchieri”. Man mano che la trama del film horror si è delineata, è scattata la protesta popolare, dalla “primavera araba” fino al cuore dell’impero, Wall Street. Ma non basta: serve un vero programma radicale, dice il filosofo Slavoj Zizek, che cita la risposta di Lacan ai giovani del ’68 francese: «Ciò a cui aspirate come rivoluzionari è un nuovo padrone. Ne otterrete uno».
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Addio Giorgio Bocca, l’ultimo partigiano della verità
«Io sono l’ultimo», grida il ribelle di Auschwitz. Ha già al collo la corda del boia nazista, e le sue parole dilagano nel deserto raggelato del terrore sulla Appelplatz, davanti ai prigionieri schierati per lo spettacolo, con la testa china e piena di vergogna per il coraggio solitario e irraggiungibile di quell’oscuro individuo senza nome che aveva osato sfidare la legge infernale del lager. E’ una delle pagine memorabili del diario universale di Primo Levi dal campo di sterminio. “Sì, questo era un uomo”, scrisse Giorgio Bocca in un altrettanto memorabile articolo di fondo, su “Repubblica”, per prendere commiato dal grande scrittore torinese: stesso nitore spietato, stessa fermezza. Una lucidità titanica, più forte dell’emozione, coltivata giorno per giorno da una sorta di religione laica, in nome di un umanesimo irriducibile.
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Preve: intellettuali e rinnegati di sinistra, feccia di venduti
Domenica 4 dicembre, gli italiani hanno assistito in diretta televisiva «alla somatizzazione della crisi capitalistica» sotto forma di pianto: quello di Elsa Fornero, membro della giunta tecnocratica di Mario Monti. Lacrime di coccodrillo? Senz’altro, se sgorgano nel momento supremo in cui il “governo tecnico” spiega quanto e come abbatterà la sua scure sul totem sociale delle pensioni. Eppure, il filosofo Costanzo Preve valuta positivamente lo sfogo della neo-ministra: «Monti e Draghi, serpenti british senz’anima, non lo avrebbero fatto mai». Insomma, «forse non tutto è ancora perduto», dice Preve, «se il complesso di colpa si intrufola nel gruppo sociale più osceno della storia umana». Lacrime o meno, il pericolo sono proprio loro: gli intellettuali che, per il pensatore comunitarista, hanno “tradito il popolo” nel modo più subdolo.
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Diritti perduti: la mia generazione ha fallito
Gli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza contraddistinti da un costante, affettuoso ma implacabile, conflitto con mio padre. Reo di socialdemocrazia. E non mi bastava, anzi perfino mi annoiava un po’, che avesse fatto il partigiano per liberare l’Italia dalla dittatura fascista. Semplicemente incarnava tutto ciò che consideravo borghese. Lavoro, famiglia, responsabilità, educazione. Seduti a tavola, pranzo a casa come usava allora, esplodevano i conflitti. Soddisfacenti perché lui non si sottraeva con sufficienza alla discussione.
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Ribelle senza rivoluzione: Holden e la paura del futuro
Il tipo, il catcher, è davvero insopportabile. È tutto quello che pensi dopo che hai passato con lui una settimana inutile. Sta lì, parla, girovaga, va a puttane ma poi si pente, gira per New York in cerca di non si sa che cosa, incontra vecchi professori, prende per i fondelli lo psicologo, cerca di liberarsi della sorella che ha già pronta la valigia e ti racconta una vagonata di storie di cui, sinceramente, non sai che fartene. La cosa che più ti manda in bestia è che ha sempre diciassette anni. E tutti continuano a chiamarlo il giovane Holden.
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Bukowski: il potere non è la cura, rovesciarlo non serve
«La maggior parte degli scrittori scriveva delle esperienze delle classi medio-alte. Avevo bisogno di leggere qualcosa che mi facesse sopravvivere alle mie giornate, alla strada, qualcosa a cui appigliarmi. Avevo bisogno di ubriacarmi di parole…». Così intendeva la letteratura quell’americano dal cuore europeo di Charles Bukowski. E così scriveva. Pagine e pagine come antidoto alla disperazione quotidiana, finché non era ubriaco da non poterne più, e sempre, accanto alla macchina da scrivere, una confezione di birra da sei e un posacenere stracolmo. Una sinfonia di Mozart in sottofondo, possibilmente.
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SettantaOttanta, a 30 anni da Moro e Basaglia
“1978, Anno Dieci dell’Era Sessantotto: Basaglia libera i pazienti (e i dottori), l’Italia precipita nel buco nero del sequestro Moro, nelle strade il piombo degli scontri armati ma anche le piume degli Indiani Metropolitani; l’ondata rivoluzionaria è ancora in piena, eppure di lì a poco i ragazzi lasceranno le assemblee per andare a fare l’aperitivo”.