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Lockdown in Costituzione: il prezzo per uscire dal Covid
Pronti per il lockdown climatico, dopo quello sanitario? Tira brutta aria, dalle parti della Costituzione: la strana modifica dell’articolo 9 (attuata quasi sotto silenzio) mette il governo nelle condizioni di imporre le peggiori restrizioni, senza che il cittadino abbia più nemmeno la protezione del paracadute costituzionale. Che significa? L’establishment teme di dover pagare un prezzo per i recenti abusi di potere, e quindi prova a renderli conformi alla Carta? No, la situazione è peggiore: secondo Matt Martini, si stanno ponendo le premesse per rendere “eterna” la dominazione sperimentata negli ultimi due anni. Dal canto suo, Nicola Bizzi offre una precisa spiegazione politica: la manomissione della Costituzione può esser stata pretesa dai poteri dominanti (Davos, Bruxelles) in cambio della concessione – finalmente – degli allentamenti sul Covid, visto anche che la narrazione pandemica si è fatta ormai insostenibile. E quindi: liberi tutti – riguardo al virus – ma a patto che, prima ancora, l’Italia si predisponga a subire altre, eventuali costrizioni: magari quelle raccomandate dall’élite che utilizza, come spaventapasseri, la piccola Greta Thunberg.«Trovo pericolosa la riforma dell’articolo 9 della Costituzione, con l’introduzione del riferimento alla tutela dell’ambiente, insieme a quello che viene definito “l’interesse delle future generazioni”», premette Martini, nella trasmissione “Nexus Reloaded” con Tom Bosco e lo stesso Bizzi. «A prima vista può sembrare un fatto positivo, ma in realtà la tutela dell’ambiente è uno dei cardini pseudo-ecologisti e malthusiani del pensiero del Club di Roma, che poi ha originato il Forum di Davos, causa di tutti i nostri mali». In sostanza si introducono nuovi obiettivi, all’interno del sistema giuridico italiano: e questo permetterà di giustificare i lockdown e tutte le restrizioni che venissero introdotte. «Se prima avevamo lo strumento giuridico per far decadere tutto, in questo modo avranno il dispositivo potenziale per far decadere (anche retroattivamente) l’annullamento e la condanna di tutte le malaugurate norme introdotte da Conte e poi confermate da Draghi».Aggiunge Martini: in un altro passaggio dell’articolo che è stato appena riformato, senza che il Parlamento battesse ciglio, si prevede che l’iniziativa economica individuale debba essere compatibile con l’utilità ambientale e la difesa della salute. «In questo modo, quindi, c’è la giustificazione del fatto che, domani, io possa chiudere la tua attività produttiva per ragioni di ordine ambientale o sanitario». Dunque: «Si sono messi in cassaforte i presupposti giuridici per agire in maniera autoritaria contro la libertà economica individuale, quindi anche contro la libertà d’impresa». Per Matteo Martini, co-autore del saggio “Operazione Corona”, è un assegno in bianco: che il governo potrà compilare con quello che vuole. «Chi lo stabilisce, infatti, qual è il citato “interesse delle generazioni future”? Il diritto alla salute, lo abbiamo già visto, è stato considerato prioritario rispetto a tutti gli altri (alla libertà personale, al diritto al lavoro)». Di fatto, «si agisce d’arbitrio, nel modificare la giurisprudenza: e se domani stabiliscono che “l’interesse delle future generazioni” è prioritario, rispetto a tutti gli altri diritti, compreso il diritto alla vita?».Insiste l’analista: «In nuce, vedo l’introduzione di un principio insidioso: sono tutte spallate verso una deriva molto pericolosa. Questo è un ulteriore chiodo nella bara dell’Italia». Martini è molto pessimista, sul futuro della situazione italiana: «Anche quando dovesse finire tutta questa pagliacciata del Covid (che prima o poi finirà), e anche se la situazione economica dovesse temporaneamente riprendersi, noi a questo punto abbiamo sulla testa una spada di Damocle». E cioè: «Ulteriori lockdown e ulteriori restrizioni, per qualsiasi eventuale futura emergenza, visto che qui ormai lavorano contro di noi in termini di “shock economy”». L’orizzonte resta buio, a quanto pare: «Questa è una situazione molto pericolosa, adesso inserita addirittura in Costituzione. A mio avviso, per l’Italia la situazione è veramente preoccupante: parlo del futuro, dei prossimi 5-10 anni». Lo stesso Martini ammette di esser stato colto in contropiede: «Purtroppo non mi aspettavo una situazione di questo tipo: ci ha sorpreso tutti».Ancora più drastico Nicola Bizzi, che di “Operazione Corona” è l’editore. «Questo è un attentato alla democrazia e alla Costituzione», scandisce. E spiega: probabilmente è il frutto di un tacito patto. Uno scambio: vi concediamo di uscire dall’incubo narrativo Covid, ma voi vi lasciate legare le mani anche per il futuro. Il blitz sulla Costituzione, secondo Bizzi, sarebbe stato anticipato: in realtà, era in programma più avanti. «Lo hanno anticipato ora, appena dopo la riconferma di Mattarella, sfumata la possibilità che al Quirinale salisse Draghi: in quel caso, la riforma dell’articolo 9 sarebbe probabilmente slittata dopo l’estate, o forse addirittura a fine legislatura». E perché a Draghi è stato negato il Colle? «A parte il fatto che era “bruciato” a livello internazionale, agli occhi di vari potentati economici e finanziari, in realtà è stato “impallinato” peché la politica italiana ha iniziato il fuggi-fuggi, il “si salvi chi può”», sostiene Bizzi, che spiega: «Se finora il sistema ha favorito l’affondamento dell’Italia dal punto di vista umano, demografico, economico e sociale, provocando una vera e propria devastazione, i politici ora pensano: “Se il sistema affonda troppo, poi affondiamo anche noi. Se cade il sistema, l’ordine costituito, magari ci aspettano sotto casa con i forconi”».Hanno davvero paura che cada il sistema, insiste Bizzi: per questo la politica italiana si è blindata. «Nel suo discorso di insediamento, Mattarella ha pronunciato 18 volte la parola “dignità”: si riferiva alla dignità della politica, della partitocrazia. Come a dire: il sistema-Italia ha pur sempre una sua dignità; quindi non è giusto che affondi, deve salvare se stesso. E allora hanno deciso di intraprendere una linea di de-escalation». Per ora, Mario Draghi resta al governo, ma secondo Bizzi si dimetterà entro marzo: «Approderà a qualche organismo internazione (Banca Mondiale, Fmi) perché non vede l’ora di allontarsi da qui». A sostituirlo, probabilmente, «sarà sempre un governo farlocco (un governo tecnico, non elettorale) che porterà avanti la de-escalation, visto che ormai siamo arrivati ai “tempi supplementari”, riguardo alla narriva Covid». Ed ecco il punto: «Questa riforma costituzionale l’hanno voluta e attuata proprio ora, perché è stata una sorta di “conditio sine qua non”, da parte dei poteri di Davos e della Commissione Europea, come a dire: intanto attuate questa riforma, poi potrete fare tutta la de-escalation che vorrete».E’ uno scambio, dice Bizzi: chiudere la storia-Covid, ma in compenso tenere aperta la porta per nuove emergenze. «Diamo un’occhiata in casa altrui: a parte la Gran Bretagna, che è fuori dall’Ue e quindi fa quello che crede, nei limiti del possibile, osserviamo quei paesi che hanno preceduto l’Italia negli allentamenti delle restrizioni, mettendo fine alla farsa pandemica». Danimarca e Norvegia, Olanda, Spagna, nazioni dell’Est Europa: cosa hanno patteggiato, con Bruxelles, in cambio di queste riaperture? «Molto probabilmente hanno accettato la prossima adozione di misure “green”: e se vedremo che avranno intenzione, anche loro, di effettuare riforme costituzionali vincolanti, dal punto di vista pseudo-ambientalista, nel segno della “decarbonizzazione” – quindi, misure malthusiane a lunga scadenza – sarà la conferma che questo è stato uno scambio, un patto. Perché questi non mollano, vogliono andare avanti a oltranza: chiusa la narrazione Covid, voglio aprire la narrazione climatico-ambientale».Attenzione: «La nuova narrazione – continua Bizzi – adesso la vogliono aprire ufficialmente, visto che finora è stata aperta solo a parole: cioè con dichiarazioni e proclami, inclusa la recente farsa del gas (che in realtà non è mai mancato) e quella dei blackout (che finora non sono avvenuti, e ormai l’inverno è quasi alle spalle)». L’élite vorrebbe comunque portare avanti l’Agenda 2030, secondo altre direttive, visto che l’Operazione Corona ormai è finita. Certo – aggiunge Bizzi – l’Italia sarà uno degli ultimi paesi, a chiuderla, «perché ci mangiano sopra in troppi: è il classico mangia-mangia all’italiana, e non è facile smantellarlo rapidamente». Afferma l’editore di “Aurora Boreale”: «Ci sono resistenze, da parte della politica: ci mangiano i sindaci, i governatori delle Regioni e i personaggi attorno alla politica, che vivono di appalti e subappalti, razzie, favori e clientelismi». Domenico Arcuri? «Era solo la vetta dell’iceberg: c’è un sistema che sta mangiando, ancora, sulla farsa pandemica. E vorrebbe continuare a mangiare».Pronti per il lockdown climatico, dopo quello sanitario? Tira brutta aria, dalle parti della Costituzione: la strana modifica dell’articolo 9 (attuata quasi sotto silenzio) mette il governo nelle condizioni di imporre le peggiori restrizioni, senza che il cittadino abbia più nemmeno la protezione del paracadute costituzionale. Che significa? L’establishment teme di dover pagare un prezzo per i recenti abusi di potere, e quindi prova a renderli conformi alla Carta? No, la situazione è peggiore: secondo Matt Martini, si stanno ponendo le premesse per rendere “eterna” la dominazione sperimentata negli ultimi due anni. Dal canto suo, Nicola Bizzi offre una precisa spiegazione politica: la manomissione della Costituzione può esser stata pretesa dai poteri dominanti (Davos, Bruxelles) in cambio della concessione – finalmente – degli allentamenti sul Covid, visto anche che la narrazione pandemica si è fatta ormai insostenibile. E quindi: liberi tutti – riguardo al virus – ma a patto che, prima ancora, l’Italia si predisponga a subire altre, eventuali costrizioni: magari quelle raccomandate dall’élite che utilizza, come spaventapasseri, la piccola Greta Thunberg.
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Il report russo inchioda Conte: sul Covid, errori fatali
«Medici mandati al massacro. Molti (e ripetuti) errori. Ritardi nelle chiusure che hanno amplificato i contagi, e quindi i morti», scrive Felice Manti, sul “Giornale”, citando il rapporto dei militari russi intervenuti in Italia nella primavera 2020. Ancora: «Misure restrittive applicate altrove eppure ignorate dal premier Giuseppe Conte», nonché «errori decisivi sul tracciamento, tranne che in Veneto», sintetizza Manti. E poi: iniziative politiche che hanno sminuito la gravità della pandemia, «monitorata ma non impedita». È questa la sintesi di uno spietato report di 11 pagine scritto in russo e inglese dai due scienziati a capo della task force arrivata da Mosca insieme a 104 militari che hanno lavorato a Bergamo dal 22 marzo al 9 aprile 2020, fianco a fianco con i nostri medici, in un’operazione di intelligence che avrebbe consentito alla Russia di realizzare di corsa il vaccino Sputnik, (poi bloccato dall’Ema, dov’è ancora in corso di valutazione) dando a Vladimir Putin «un grosso margine di conoscenza sulla pandemia».Un “favore”, sottolinea Manti, su cui potrebbe indagare anche il Copasir, «visto che sulla natura dell’intesa ci sono molti dubbi». Eppure, «nonostante lo spirito amichevole della collaborazione», dai medici russi arriva un capo di accusa senza sconti, «che potrebbe anche finire dentro il fascicolo per epidemia colposa aperto a Bergamo dalla Procura dopo la denuncia del team di legali guidati da Consuelo Locati, in difesa della memoria delle oltre 500 vittime di Covid nella Bergamasca, e aggravare la già fragile posizione dell’esecutivo, del ministro Roberto Speranza e dei vertici del ministero della sanità per il mancato piano pandemico, e dei politici locali e nazionali che si sono apertamente spesi per rimandare le misure restrittive». Altro che “Dalla Russia con amore”, che era il nome della missione: il report di Natalia Pshenichnaya e Aleksandr Semenov (pubblicato su “iimun.ru”) dovrebbe essere “Dalla Russia con disprezzo”, scrive Manti. In realtà si intitola “Il Covid in Italia, una lezione da imparare”. «Pshenichnaya e Semenov – scrove il “Giornale” – fanno a pezzi la gestione della pandemia messa in piedi dal governo Pd-M5S», guidato da Conte.«Nonostante informazioni ampiamente tempestive di una imminente pandemia – si legge nell’abstract – il sistema sanitario non era preparato al drammatico aumento di pazienti con malattie respiratorie nella prima ondata: nonostante il proclama del premier alle Camere il 31 gennaio 2020 (”siamo pronti”), le misure di contenimento dell’infezione non erano pienamente implementate, e hanno anche portato a un contagio del personale medico e infermieristico». Ancora: «La parte fragile della popolazione non è stata assistita in tempo a causa della mancanza di posti letto e di personale ben addestrato». Anzi: l’aver affiancato ai medici in ospedale quelli in pensione, «con precedenti morbilità», di fatto «ha messo a rischio le loro vite». Non basta: «Nella seconda ondata ci sono stati ritardi e sottovalutazioni, che hanno innescato una curva dei contagi crescente» per colpa di «misure restrittive decise in ritardo». Nel report si punta il dito soprattutto su politici e sindaci di primo piano, che hanno «promosso incontri pubblici e strette di mano per enfatizzare che l’economia non doveva fermarsi per colpa del virus». Un comportamento «altamente rischioso» e «dai tristi esiti», scrivono i due medici russi. Per Manti, «un epitaffio in cirillico per Conte, Speranza e governo giallorosso».«Medici mandati al massacro. Molti (e ripetuti) errori. Ritardi nelle chiusure che hanno amplificato i contagi, e quindi i morti», scrive Felice Manti, sul “Giornale“, citando il rapporto dei militari russi intervenuti in Italia nella primavera 2020. Ancora: «Misure restrittive applicate altrove eppure ignorate dal premier Giuseppe Conte», nonché «errori decisivi sul tracciamento, tranne che in Veneto», sintetizza Manti. E poi: iniziative politiche che hanno sminuito la gravità della pandemia, «monitorata ma non impedita». È questa la sintesi di uno spietato report di 11 pagine scritto in russo e inglese dai due scienziati a capo della task force arrivata da Mosca insieme a 104 militari che hanno lavorato a Bergamo dal 22 marzo al 9 aprile 2020, fianco a fianco con i nostri medici, in un’operazione di intelligence che avrebbe consentito alla Russia di realizzare di corsa il vaccino Sputnik, (poi bloccato dall’Ema, dov’è ancora in corso di valutazione) dando a Vladimir Putin «un grosso margine di conoscenza sulla pandemia».
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Mafia, finanza e slot machines: l’ultimo scandalo italiano
«Moralmente, non riesco più a esercitare questa professione. Sono stanco di essere considerato come un delinquente. Quello che mi pesa di più è che la gente ha ragione. Sono un dipendente dello Stato, costretto a queste regole ignobili. E se voglio continuare a fare questo lavoro, sono obbligato a essere il braccio armato di uno Stato criminale». L’uomo che parla – con viso coperto e voce travisata – è un noleggiatore di slot machines. Apre una video-denuncia realizzata da Claudio Testa, imprenditore del settore, che squarcia il velo sull’ultimo scandalo italiano, quello delle macchinette da gioco presenti nei bar e nelle tabacchierie: la guerra sporca contro la “ludopatia”, che ha portato alla chiusura delle sale gioco (sprangate a partire dal lockdown 2020) nasconde un disegno imbarazzante. Far crollare il settore privato legato ai “dispositivi da intrattenimento” (150.000 operatori coinvolti, oltre 100 miliardi di fatturato e 5 miliardi di tasse) avvantaggia intanto la criminalità organizzata. E soprattutto: spiana la strada alla grande finanza internazionale, pronta a fare un sol boccone dell’intero comparto.E’ la cronaca a parlare, coi numeri. Gamma Bidco, società controllata da fondi gestiti da Apollo Management IX – scrive “Finanza Report” – ha annunciato che Gamenet Group, controllata al 100% dalla società, ha concluso l’acquisizione del 100% della partecipazione detenuta da International Game Technology in Lottomatica Scommesse e Lottomatica Videolot Rete, tra gli operatori leader nel mercato italiano dell’online, delle scommesse sportive e delle “gaming machines”. «Con circa 1,6 miliardi di ricavi e 22 miliardi di raccolta nel 2019, la nuova Lottomatica diventa il primo player nel mercato regolamentato italiano del gioco». Attraverso Lottomatica, dunque, i finanziatori di Apollo (uno dei maggiori fondi d’investimento del pianeta) ereditano una base di clienti online di circa 800.000 giocatori, più una rete in franchising di 3.000 punti-scommesse. E questo, oltre a 1.400 sale giochi, 13.600 tabaccherie e bar, nonché 120 sale da gioco di proprietà. Dall’altra parte della strada, invece, il settore dei piccoli imprenditori sta morendo: strangolato da regole statali folli, che oltretutto depredano gli stessi giocatori, unici al mondo a essere spennati così tanto.«Sopra la gente lo Stato campa, sotto lo Stato la gente crepa», premette Claudio Testa, parafrasando un vecchio adagio popolare. Serve a lanciare un appello, “Io non apro”, che fa il verso a quello dei ristoratori oppressi dalle restrizioni-Covid. «Sono stato tra i promotori di “Io Apro”», chiarisce Testa, che spiega: «Un ristoratore poteva forzare la legge e tenere aperto nonostante i divieti, invece una sala gioco non può: per funzionare, deve avere i terminati collegati al sistema, che è statale. E quindi dico ai noleggiatori: non riaprite. Se non entra più un euro, in quelle macchinette, lo Stato sarà costretto a rinegoziare tutte le clausole, vergognose, che hanno portato il settore sull’orlo del collasso». Nel video, Claudio Testa propone immagini eloquenti, come quelle delle manifestazioni svoltesi a Roma e Milano lo scorso 12 febbraio, con 10.000 persone nelle piazze per chiedere di “liberare il gioco legale”. E’ lo stesso Nicola Porro a chiarire: «Aver bloccato il gioco legale non solo ha tolto 5 miliardi di introiti alle casse dello Stato, ma ha reso molto più forte il gioco illegale, gestito dalla mafia che campa sul gioco d’azzardo».Lo sottolinea anche Federico Cafiero de Rao, procuratore nazionale antimafia: «Giocare attraverso percorsi illegali significa sovvenzionare la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta», oltretutto derubando i giocatori: «In caso di vincita non si ha certezza di avere il risultato sperato». Sul tema insistono anche “Le Iene”, su Italia1: «Mentre le sale da gioco restano chiuse e 150.000 lavoratori fanno la fame, quelle illegali prosperano e la criminalità ringrazia». Ma se è così facile lucrare sul gioco illegale – sottolinea Claudio Testa – è perché, in Italia, le regole del “gioco lecito” sono semplicemente indecenti. Lo spiega benissimo “Achille”, l’operatore mascherato: «Ogni giocatore sa benissimo che, con gli apparecchi da intrattenimento, non si vince: difatti è un luogo comune definirli “macchinette mangiasoldi”». Attenzione: il problema è italiano. «Queste macchinette dovevano far divertire i giocatori, ma in Italia non l’hanno mai fatto. Gli apparecchi presenti in bar, tabaccherie, circoli e sale da gioco – identificati nell’articolo 110, comma 6, del Tulps (il Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza) nacquero a condizione che restituissero una percentuale di vincita, a favore degli utilizzatori, non inferiore al 75% del “giocato”. Nel resto mondo, invece, la percentuale oscilla tra l’84 e il 96%».Capito? Siamo partiti con uno svantaggio che penalizzava i giocatori italiani, fino al 21% di differenziale. La quota-vincita doveva essere attorno al 90%, e invece era stata bloccata al 75%. Ma peggio: «Ora il gioco non paga oltre il 65%». E a chi va quel 35% non pagato al giocatore, ricavato abbassando le percentuali di vincita? «Non certo alla filiera del “gioco lecito”», assicura Testa. «E chi ha fatto le spese di questa scelta scellerata? Sempre e solo il povero giocatore». Il caso italiano è famigerato, nel mondo: per i produttori mondiali di questi apparecchi, spiega “Achille”, un margine di remunerazione delle vincite inferiore all’84% riduce o elimina definitivamente il carattere di intrattenimento (da un apparecchio che, invece, nasce proprio per intrattenere). E quando il “gioco lecito” non è più intrattenimento, diventa gioco d’azzardo. «E’ il governo», protesta in una piazza romana Antonia Campanella, «ad aver fatto sì che l’intrattenimento si trasformasse in gioco d’azzardo». Come? «Aumentando sempre di più i prelievi, la tassazione».«Siamo tassati sul “giocato”, siamo tassati sulle vincite: se un cliente vince deve lasciare il 20% allo Stato. E la beffa – aggiunge Antonia – è che il governo ha aumentato due volte la tassazione quando gli esercizi erano chiusi per il lockdown e le altre restrizioni introdotte con il Covid». Un sospetto fondato: «Probabilente questo gioco piace così tanto, al governo, che lo vuole prendere tutto per sé». Conferma, sempre a “Le Iene”, un rappresentante del Consorzio Noleggiatori Italiani: «Il 70-80% dell’introito degli apparecchi va nelle tasche dello Stato: lo stesso “reddito di cittadinanza”, in parte, è stato finanziato proprio dall’aumento della tassazione sui nostri apparecchi». Si domanda Claudio Testa: «Il legislatore era forse inconsapevole, fin dall’inizio, di imporre parametri ben diversi da quelli stabiliti nel resto del mondo?». Lo stesso “Achille”, il noleggiatore, gli ha confidato che i produttori mondiali di slot machines si sono rifiutati di tarare al 75% le vincite per le macchinette destinate all’Italia: «Sarebbe come chiedere alla Fiat di fabbricare auto senza i freni. Infatti in Italia non esistono produttori di slot, ma solo assemblatori».Poche voci, nel mondo della politica, sembrano pronte a pronuciarsi con franchezza su questa situazione: «Il governo vi disistima, ha un pregiudizio etico verso di voi», dice Andrea Ruggeri (Forza Italia) rivolto agli operatori scesi in piazza a Roma. Riassume la stessa Antonia Campanella: «Hanno fatto il Decreto Dignità e ci hanno calunniato in tutti i modi, come se fossimo il male assoluto». Il noleggiatore, l’esercente e l’operatore di sala – assicura Claudio Testa – vorrebbero un altro rapporto, con il giocatore. «Siamo stanchi di amministrare questo settore in questo modo», protesta “Achille”. «Gli apparecchi di intrattenimento sono diventati lo strumento di un disegno criminoso, che va a discapito (e non a tutela) dei giocatori». Ci rimettono anche gli operatori, aggiunge Testa, che illumina un altro dei lati oscuri di questa storia: quello creditizio. «Le banche – racconta – stanno stranamente chiudendo i conti correnti delle aziende che operano nel “gaming”. Ma così, le aziende non possono più versare il Preu (Prelievo Erariale Unico, oggi pari al 24% del giocato): e se all’erario non si versa il Preu, si incorre nel reato di peculato contro lo Stato». Come non chiamarla persecuzione?Uno degli stratagemmi perversi (ipocriti) utilizzati in questa “guerra sporca” contro le slot machines è la recente crociata contro la ludopatia, cioè la dipendenza dal gioco. «La dipendenza – sintetizza la psichiatra Sarah Viola – è la sostituzione della relazione con l’altro con un oggetto. Qualsiasi oggetto: alcol, droghe, sesso, shopping, device elettronici, gioco». Protesta Claudio Testa: «Se vogliamo davvero contrastare la ludopatia, perché non combattiamo tutti gli altri giochi, tipo “gratta e vinci” e Superenalotto? E a proposito: perché non indaghiamo anche sulle percentuali di vincita dei “gratta e vinci”? Forse non lo sapete, ma oggi sono intorno al 35%». La beffa è dimostrata, sostiene Claudio: «Comprando un blocco di “gratta e vinci” da 500 euro, un tempo si vincevano 400-420 euro. Oggi, acquistando lo stesso blocco da 500 euro, il “gratta e vinci” restituisce mediamente 120-130 euro. E non è ludopatia anche quella del “gratta e vinci”?». Ancora: «Perché combattere la ludopatia ma non le altre dipendenze come l’alcol, il fumo, lo shopping compulsivo, i device elettronici?».Ricapitolando: anche invocando la guerra contro la ludopatia, lo Stato picchia duro proprio sulle slot machines, dopo il massacro sociale dei lockdown e proprio adesso un colosso finanziario come Apollo si getta su Lottomatica, o meglio su un settore che sembra ormai decotto, alla frutta. Perché spendere un miliardo per comprarsi tutto il settore Vlt e Slot di Lottomatica? «Questi potentissimi investitori hanno “capito” che gestire direttamente un business da 103 miliardi di euro, che rende il 35%, potrebbe risultare un buon affare: piatto ricco, mi ci ficco». Piatto ancora più ricco se, per inciso, venissero eliminati gli attuali intermediari: cioè l’intera filiera italiana del settore (esercenti, noleggiatori, operatori di sala). Domanda: a questo serve lo sforzo attuale di portarli verso la chiusura? «Per raggiungere questo obiettivo, i fondi d’investimento potrebbero chiedere l’appoggio di presidenti di Regione e politici vari, anche sindaci, che magari alla fine “spunterebbero” qualcosa per questa loro collaborazione: vi pare inverosimile?».«E come potrebbero partecipare, alla demolizione della filiera, questi amministratori pubblici?» Semplice, secondo Testa: «Inventandosi la “lotta alla ludopatia”, naturalmente solo quella indotta delle slot machines, presentata come problema sanitario e dunque di competenza delle amministrazioni regionali e locali». La psichiatra sembra confortare questa ipotesi: «A far scattare la dipendenza è proprio l’assenza dell’oggetto del desiderio, la sua disponibilità non immediata», dice Sarah Viola. «Più allontani il soggetto dall’oggetto da cui dipende, più il desiderio aumenta. Più frapponi ostacoli tra il soggetto e l’oggetto della sua dipendenza, più il desiderio cresce. E’ chiaro, dunque, che proibire non fa altro che aumentare la dipendenza». Sarà anche per questo che, in posti come il Lazio – si domanda Claudio Testa – si sono inventati il Distanziometro? «Entro il 30 agosto 2021, tutti gli esercizi con “slot” dislocati nel raggio di 500 metri da “luoghi sensibili” (chiese, scuole, case di cura) dovranno chiudere». Da un’indagine Eurispes apprendiamo che, in pratica, «significa costringere alla chiusura il 97,8% degli esercizi con apparecchi da intrattenimento».Protesta Claudio Testa, esasperato: «Che senso ha, dopo 14 mesi di chiusura, riaprire (forse) a giugno, per poi chiudere definitivamente ad agosto?». Vero, si parla di una eventuale proroga di 12 mesi: «Ma varrebbe come l’ultima sigaretta concessa al condannato a morte: l’effimero piacere che però non annulla il fatale esito finale». E inoltre: «Che senso ha chiudere il Lazio quando puoi andare a giocare in Umbria, in Toscana, in Abruzzo, in Campania? Vogliamo incentivare il turismo ludico?». La verità è che gli operatori del settore «sono considerati una nullità: neppure inseriti nella road map delle riaperture». E dunque «perché continuare a uccidere l’economia di intere famiglie, per conto di una organizzazione – foss’anche lo Stato – che umilia e ignora questi lavoratori?». E non dimentichiamolo: «Chi ha deciso di trasformare il divertimento in gioco d’azzardo, abbassando le percentuali di vincita? Il legislatore, il Monopolio di Stato, i politici. Non certo il concessionario, il noleggiatore, l’esercente, l’operatore di sala».Le conseguenze della stretta sulle slot machines sono scontate e drammatiche: «Se le sale slot legali rimangono chiuse, poi restano aperte quelle in cui le macchinette non sono collegate al sistema di controllo dei Monopoli di Stato. E quindi, se il software è modificato e i giocatori perdono più del dovuto, non se ne accorgono e vengono letteralmente spennati. Certo, sull’apparecchio c’è il marchio “Gioco Legale e Responsabile”: ma la macchinetta è scollegata». A proposito, si domanda Claudio Testa: quanto è “responsabile” abbassare i parametri di vincita, al punto da trasformare un apparecchio di intrattenimento in uno strumento da gioco d’azzardo? Poi ovviamente «i gestori illegali eludono le tasse, staccando le loro macchine dalla rete dei Monopoli». Ma come valutarli, se concedessero maggiori possibilità di vincita? Sarebbero meno scorretti dello Stato? E’ evidente che si rasenta la follia, in una situazione in cui giocatori e operatori sono «vessati, discriminati, offesi, umiliati, depredati e istigati a compiere una reazione compulsiva». Con il più i rischi sociali legati alla situazione attuale: «Con la crisi, e quindi le difficoltà economiche per tante famiglie, il gioco d’azzardo aumenta sempre».Come uscirne? Facendo sciopero, propone il promotore di “Io non apro”: i noleggiatori avrebbero il potere di interrompere la catena. Claudio Testa chiede una trattativa per rinegoziare tutto: da cesinare i parametri e le regolamentazioni imposte a un settore colpito da limitazioni al limite del persecutorio, tramite leggi nazionali, regionali e norme a volte solo comunali, mirate a colpire solo e sempre una parte della filiera, quella delle slot machines. «Se i noleggiatori incrociassero le braccia, tutto il business passerebbe nelle mani della criminalità organizzata: a quel punto, se lo Stato non intervenisse, avremmo la prova del fatto che è connivente». Insiste Testa: «Noleggiatori ed esercenti non vogliono più che i giocatori si rovinino, per colpa di queste logiche imposte dal sistema. Vogliono più vincite per i giocatori, quindi più divertimento, più denaro giocato, più consumazioni per i bar. E meno dipendenza, quindi meno costi sanitari per lo Stato, meno drammi familiari, minor interesse nel settore da parte della criminalità e di quegli investitori speculativi, inclusi gli amministratori locali che vorebbero entrare a far parte anche loro del grande business del “gioco lecito”».Nel video, pubblicato su YouTube e anche sul canale Telegram @ioNONaproGiocoLecito, Claudio Testa pretende il risarcimento totale dei danni finora subiti con le chiusure: «Non vogliamo i “ristori”, che sono elemosine, ma veri e propri indennizzi, secondo la regola assicurativa del “danno emergente e lucro cessante”. E dato che il profitto è cessato per colpa di decisioni del governo, ora è il governo a dover risarcire interamente i danni che ha procurato». Un appello: «Cari noleggiatori: interrompere la vostra attività dimostrerà la vostra ferma intenzione di mettere fine a questa “azione a delinquere” per conto del sistema. E se poi lo Stato subentrerà con forme di gestione diretta, allora si capirà chi è il vero “criminale”». Per dirla con lo slogan di “Io non apro”: “Gioco lecito, game over”. Ovvero: «Stop alla criminalità, alla ludopatia, alla discriminazione, e sì all’intrattenimento». Claudio Testa fa sul serio: «Da questo momento il Re è nudo», dice. «La dea bendata, stavolta, vuole aprire gli occhi».«Moralmente, non riesco più a esercitare questa professione. Sono stanco di essere considerato come un delinquente. Quello che mi pesa di più è che la gente ha ragione. Sono un dipendente dello Stato, costretto a queste regole ignobili. E se voglio continuare a fare questo lavoro, sono obbligato a essere il braccio armato di uno Stato criminale». L’uomo che parla – con viso coperto e voce travisata – è un noleggiatore di slot machines. Apre una video-denuncia realizzata da Claudio Testa, imprenditore del settore, che squarcia il velo sull’ultimo scandalo italiano, quello delle macchinette da gioco presenti nei bar e nelle tabacchierie: la guerra sporca contro la “ludopatia”, che ha portato alla chiusura delle sale gioco (sprangate a partire dal lockdown 2020) nasconde un disegno imbarazzante. Far crollare il settore privato legato ai “dispositivi da intrattenimento” (150.000 operatori coinvolti, oltre 100 miliardi di fatturato e 5 miliardi di tasse) avvantaggia intanto la criminalità organizzata. E soprattutto: spiana la strada alla grande finanza internazionale, pronta a fare un sol boccone dell’intero comparto.
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Niente mascherina, Tso a scuola: onore ad Armando Siri
Cosa c’è nel cuore nero di certi eventi, che sconfinano nell’indecente e nell’indicibile? In quale notte sta cadendo, questo paese? Perché mai far precipitare nel dramma – nel sequestro di persona, nella reclusione psichiatrica – la semplice protesta civile di uno studente diciottenne contro l’imposizione della mascherina in classe? Ha dell’incredibile l’incidente occorso a Fano, la scorsa settimana: è finito in mezzo a degenti psichiatrici adulti, per 5 giorni, un ragazzino che quella mattina era uscito di casa per andare a scuola e, una volta in classe, si era legato al banco (con la catena della bicicletta) per resistere all’obbligo di coprirsi il volto con la “museruola”. Nessuno sembra averlo trattato da cittadino italiano, né da studente da educare. Tutti contro di lui: insegnanti e direttrice scolastica, forza pubblica (vigili urbani), sindaco di Fano, psichiatri dell’Asl. Unico difensore, accorso sul posto: il senatore Armando Siri, della Lega, che ora promette di scuotere il Parlamento interrogando ministri, per capire se siamo ancora in Italia oppure no, se siamo ancora in uno Stato di diritto o se la democrazia è venuta meno.Siri è riuscito a incontrare il ragazzino prigioniero del reclusorio sanitario: il suo intervento ha provocato il rilascio anticipato dell’ostaggio. Dice il senatore: ho potuto parlare per oltre un’ora con un giovane normale, minuto e timido, educato, non certo instabile mentalmente, sostenuto dalla solidarietà dei suoi compagni di scuola. In classe non aveva affatto dato in escandescenze: si era limitato a una protesta lucida e ferma, contro quella che riteneva un’imposizione intollerabile. Era già successo, e il ragazzo era stato allontanato dalla scuola. Seguiva le lezioni a distanza, attraverso la Dad, ma non veniva interrogato. Per questo – ha spiegato a Siri – aveva deciso di tornare in classe: per farsi finalmente interrogare (ma senza mascherina). Di fronte all’ennesima imposizione, si è allora incatenato. A quel punto, poteva essere allontanato nuovamente dalla scuola: e invece è stato strappato via con la forza, secondo la procedura del Tso, per essere rinchiuso nel reparto psichiatrico dell’ospedale cittadino: come se rappresentasse davvero un pericolo, per gli altri e soprattutto per se stesso.Intervistato da “ByoBlu”, lo psichiatra Alessandro Meluzzi promette battaglia: assisterà la famiglia del ragazzo, in sede legale, contestando da cima a fondo l’applicazione del Tso e anche le eventuali irregolarità nell’esecuzione del brutale provvedimento, ancora più indigesto nei confronti di un giovanissimo studente, che la scuola avrebbe avuto il dovere di ascoltare e proteggere, anziché punirlo in modo tanto spietato. Meluzzi ruggisce: chi avesse commesso questo abuso (almeno stando ai giornali, in attesa che la magistratura chiarisca completamente la vicenda) dovrà pagare in modo esemplare: la scuola, il sindaco e il personale sanitario. Non è ammissibile, sottolinea il medico, che la violenza del Tso venga utilizzata a scopo intimidatorio contro chiunque osi contestare una imposizione politica, perché in questo caso piomberemmo nella psichiatria di regime che – dalla Germania nazista all’Urss comunista – ha liquidato il dissenso ricorrendo a medici rinnegati, per classificare come pazzi gli oppositori scomodi. Il dramma è che l’episodio non è accaduto nella Cambogia di Pol Pot, ma in Italia, nella primavera 2021.Dove stiamo arrivando, di questo passo? Se lo domanda Armando Siri, che ha invitato il ragazzino a non mettersi più in pericolo, senza però rinunciare mai a testimoniare le proprie idee, perché di questo vive (o dovrebbe vivere) una democrazia. A proposito: dove sono i tanti cantori “da balcone”, che nel 2020 intonavano Bella Ciao mentre erano reclusi dal lockdown? Dov’è l’Anpi, dove sono i tanti che amano parlare a nome dei partigiani, cioè degli eroi che si batterono contro una dittatura fortunatamente morta e sepolta, anche grazie a loro, esattamente 76 anni fa? Non hanno niente da dire, oggi, se viene privato della libertà uno studente delle medie superiori che, nella scuola che avrebbe dovuto tutelare la sua incolumità fisica e psichica, ha osato protestare pacificamente contro una imposizione che ritiene insopportabile? Dov’è il tatuato Fedez, già autore di testi omofobi e ora campione della propaganda a favore del Ddl Zan utilizzando la Rai e la platea sindacale del Primo Maggio? Va tutto bene, se un ragazzino viene incartato come un salame – a scuola – e trascinato in manicomio perché non sopporta l’inutile, patetica e dannosa mascherina, imposta dal regime sanitario che da oltre un anno ha ipnotizzato il mondo?Viene da piangere, se si pensa a film come “L’attimo fuggente”, di Peter Weir, con il professor Keating (Robin Williams) che incoraggia, lui per primo, la ribellione dei ragazzi. Dove sono, oggi, gli intellettuali di sinistra che si emozionarono per quella pellicola, e per l’album “The Wall” dei Pink Floyd, in cui si celebra l’abbattimento del muro dell’omertà che protegge l’abuso di potere? In fondo a quali redazioni stanno acquattati, in silenzio, mentre gli infermieri trascinano via un diciottenne inerme in una scuola di Fano? A maggior ragione: onore al senatore Armando Siri, leghista, direttore dell’unica scuola politica di partito ancora esistente in Italia, quella della Lega. Già sottosegretario nel governo gialloverde, Siri fu fulminato da un avviso di garanzia e costretto a dimettersi (per una vicenda poi finita in nulla) un minuto dopo aver annunciato il varo del suo progetto di riduzione del carico fiscale, l’unico che fosse mai stato elaborato negli ultimi vent’anni. E’ grazie a lui – che accorre a Fano, per stare vicino al giovanissimo prigioniero – se possiamo avere ancora l’impressione di essere ancora in Italia, in una democrazia ammaccata quanto si vuole, ma dove ancora funzionano le regole dello Stato di diritto, e dunque la tutela della libertà personale come valore costituzionale.(Giorgio Cattaneo, 12 maggio 2021. Su “ByoBlu” la vicenda di Fano è ricostruita con i contributi di Alessandro Meluzzi, del senatore Armando Siri e dell’avvocato Massimiliano Musso, legale e fratello di Dario Musso, anche lui sottoposto a Tso lo scorso anno, in Sicilia, per aver osato criticare la gestione dell’emergenza. Nel servizio c’è anche l’audio della telefonata con cui l’avvocato Musso è riuscito a raggiungere e confortare il giovane studente, mentre era recluso nel reparto psichiatrico di Fano).Cosa c’è nel cuore nero di certi eventi, che sconfinano nell’indecente e nell’indicibile? In quale notte sta cadendo, questo paese? Perché mai far precipitare nel dramma – nel sequestro di persona, nella reclusione psichiatrica – la semplice protesta civile di uno studente diciottenne contro l’imposizione della mascherina in classe? Ha dell’incredibile l’incidente occorso a Fano, la scorsa settimana: è finito in mezzo a degenti psichiatrici adulti, per 5 giorni, un ragazzino che quella mattina era uscito di casa per andare a scuola e, una volta in classe, si era legato al banco (con la catena della bicicletta) per resistere all’obbligo di coprirsi il volto con la “museruola”. Nessuno sembra averlo trattato da cittadino italiano, né da studente da educare. Tutti contro di lui: insegnanti e direttrice scolastica, forza pubblica (vigili urbani), sindaco di Fano, psichiatri dell’Asl. Unico difensore, accorso sul posto: il senatore Armando Siri, della Lega, che ora promette di scuotere il Parlamento interrogando ministri, per capire se siamo ancora in Italia oppure no, se siamo ancora in uno Stato di diritto o se la democrazia è venuta meno.
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Operazione Corona: i golpisti vorrebbero farla franca
Un colpo di Stato mondiale, progettato contro una vittima in particolare: la nostra società occidentale. Doveva scattare nel 2022, ma la crisi bancaria dei Repo ne ha accelerato i tempi. Ora il golpe è fallito, ma ha lasciato macerie: ha disastrato la democrazia e rottamato l’economia, proprio come volevano i golpisti, ingigantendo la paura e trasformando i cittadini in docilissime pecore, private delle libertà più elementari in nome di un pericolo virtuale, manipolato da cima a fondo. Ormai è cominciata una grande retromarcia, segretamente pattuita, ma a caro prezzo: non si può smontare da un giorno all’altro un “giocattolo” come quello, che ha distribuito miliardi e sta ancora arricchendo intere filiere di beneficiari, migliaia di persone. E il fardello più inquietante è quello rappresentato dai vaccini “genici” in circolazione: aleggia il vecchio incubo del depopolamento, predicato da una certa élite. Una cosa è certa: l’establishment del lockdown spera di passarla liscia, evitando una nuova Norimberga che metta in chiaro i crimini commessi. E il governo Draghi servirebbe proprio a questo: a far uscire l’Italia dall’emergenza, incanalandola però nei binari del Grande Reset in corso. E soprattutto: assolvendo la politica che ha eseguito gli ordini golpisti.In altre parole, anche il finale dovrà avere il sapore della farsa: avremo “sconfitto il virus” – si dirà – grazie ai sacrifici imposti con i lockdown, e poi soprattutto grazie alla vaccinazione di massa (imposta col ricatto, nonostante la Costituzione vieti di disporre Tso sulla base di farmaci ancora sperimentali). Tra tante voci eretiche, quella di Nicola Bizzi – storico e fondatore delle Edizioni Aurora Boreale – spicca per la precisione delle denunce solitarie, il tempismo delle previsioni e la lucidità delle analisi. Il saggio “Operazione Corona”, che oggi è il libro più censurato d’Italia, parla di un “colpo di Stato globale”: un golpe «finalizzato innanzitutto a un Grande Reset economico, finanziario e sociale, e in secondo luogo anche a una drastica riduzione delle libertà civili e democratiche, su scala planetaria». Secondo alcuni indizi doveva essere attuato solo nel 2022, ma a bruciare i tempi – nel settembre 2019 – sarebbe stata la crisi dei Repo, le compensazioni interbancarie tra banche centrali: non c’era più denaro per garantire i prestiti, e l’unica soluzione consisteva nell’arresto improvviso dell’economia, trovando un espediente adatto (il provvidenziale virus mediatico).Lo spiega l’economista Andrea Cecchi nei capitoli economici di “Operazione Corona”: la cosiddetta pandemia è stata una crisi pianificata, visto che il mondo si era trovato sull’orlo di un vero e proprio collasso economico, all’insaputa dell’opinione pubblica. «Certi “padroni del vapore” se la sono vista brutta: rischiavano che il loro giocattolo finanziario si inceppasse», dice Bizzi, in un recente video su YouTube. «Forum di Davos, Fmi e vari altri poteri sovranazionali hanno quindi dovuto anticipare questa operazione, architettando il presunto rilascio di un virus e creando una situazione senza precedenti». Quando mai s’è visto, nella storia delle epidemie, che si isolino le persone sane? «Logiche economiche: la vera funzione dei lockdown è stata quella di bloccare l’economia paralizzando la domanda, la richiesta di credito e la circolazione del denaro, così da demolire l’economia a tappe preordinate». Una vera e propria “demolizione controllata”, come quella delle Torri Gemelle. «Per fare tutto questo si sono serviti della Cina, che ha avuto il suo tornaconto (è stato l’unico paese col Pil in crescita, nel 2020) ma in realtà non è la principale colpevole».Facile, usare la Cina: «Serviva un paese totalitario, per inaugurare la logica del lockdown: e solo la Cina poteva farlo, perché il regime cinese esercita un controllo mostruoso sulla popolazione». All’inizio, dice Bizzi, si era pensato al Brasile: ipotesi subito scartata, però, per l’opposizione del presidente Bolsonaro e per la stessa indole della popolazione brasiliana, assai meno docile di quella cinese. Ma attenzione: la Cina ha chiuso completamente solo l’Hubei, la regione di Wuhan, senza fermare il resto del paese. Certo, ha collaborato perfettamente alla farsa del terrorismo psicologico: «In televisione ha mostrato persone che cadevano come morte, per strada, o in preda a convulsioni. E ancora: migliaia di persone ammassate su letti da campo allestiti in palazzetti dello sport, tutti con convulsioni simultanee: cose che poi non abbiamo mai visto, in Occidente – neanche in Italia, paese che è stato il vero epicentro di tutta questa macchinazione. Quelli cinesi erano chiaramente personaggi che recitavano un copione del terrore molto ben studiato, attraverso una Oms completamente controllata da Pechino».Chi ha buona memoria, aggiunge Bizzi, ricorderà uno spettacolo molto simile: quello della cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi di Londra nel 2012. «Incredibilmente, tutto quello che poi è successo oggi era stato raffigurato, in maniera coreografica (incluso Boris Johnson, su un letto d’ospedale) in quell’inquietante rappresentazione». Finalmente, nel 2020 lo schema è stato applicato: al mondo è stata imposta «questa idea folle e criminale di lockdown, termine che in inglese significa “carcere duro”». Colpo di Stato globale, pianificato nei minimi dettagli. «E i governi, specie quelli occidentali, hanno applicato alla lettera un “pacchetto” preconfezionato, imposto a esecutivi che sapevano molto bene, con largo anticipo, cosa sarebbe accaduto». Già nel giugno scorso, Bizzi era stato il primo a portare allo scoperto il caso della Bielorussia, passato sotto silenzio. «La Bielorussia è l’unico paese europeo a essersi rifiutato di applicare qualunque misura di contenimento: non ha attuato lockdown né chiusure, e non ha mai minimamente toccato le libertà dei cittadini. E chiaramente è stata demonizzata».In una seduta del governo, il presidente Lukashenko – ricordando ai suoi ministri di aver appena respinto una lauta proposta dell’Oms (92 milioni di dollari) per fare un lockdown “come in Italia”, ha spiegato che l’offerta era stata decuplicata dal Fmi: 900 milioni, per introdurre restrizioni “all’italiana”. «Prove alla mano – aggiunge Bizzi – ho poi dimostrato che i vertici italiani (i servizi segreti, il governo e le più alte cariche dello Stato) erano stati informati già dal mese di agosto del 2019 che sarebbe stato necessario applicare un lockdown, nel nostro paese». Sei mesi di anticipo, quindi, sulla cronologia ufficiale degli eventi? Bizzi invita a osservare certi dettagli: «Sono state potenziate in modo incredibile le forze dell’ordine, incluse le polizie municipali: aumenti di organico, mezzi, camionette, aerei, elicotteri, droni, attrezzature elettroniche. Un’operazione del genere non la fai in due settimane, servono mesi di preparazione». Ovvia deduzione: era tutto preordinario, dall’autunno 2019. E anche il nostro governo, come gli altri dell’Europa occidentale, «ha ricevuto finanziamenti a pioggia, presumibilmente da parte di organizzazioni come il Fmi, per poter garantire la tenuta di un futuro lockdown».Di questo, si sono preoccupati: di come attuare il “carcere duro”. «E non certo di potenziare la sanità e gli ospedali, o di assicurare una prevenzione sanitaria (che nel caso di una pandemia sarebbe dovuta essere la cosa più logica)». Nicola Bizzi li definisce «branco di assassini». Scandisce: «A questi signori non è mai importato niente, della salute degli italiani». Aggiunge: «Non sappiamo cosa si sia effettivamente scatenato. Ma sappiamo che questo virus, o presunto tale – come ha ben documentato Matteo Martini, in “Operazione Corona” – non è stato mai isolato». Seriamente? «Certo: e questo sta venendo fuori, perché il governo giapponese ha fatto un’interrogazione internazionale: ha dimostrato che il virus non è stato mai isolato. Soprattutto, il Giappone ha sfidato tutti i governi (soprattutto quelli dell’Occidente) a dimostrarne l’isolamento: e nessuno ha risposto». Sostanzialmente, quindi, «non c’è nessuna prova che il virus sia mai stato isolato: hanno solo fatto infiniti “sequenziamenti”, la cui utilità è tutta da spiegare. E in compenso, hanno attuato la frode della Pcr: dico frode, perché sappiamo che quello dei tamponi non è un metodo diagnostico riconosciuto. Un’operazione, peraltro, dal costo esorbitante: in un anno, per i tamponi, in Italia abbiamo speso un ammontare equivalente a 10 leggi finanziarie».Per Bizzi, però, il cuore della questione-lockdown non è il business degli approfittatori. A monte, si tratta di una decisione imposta dal super-potere mondiale che controlla le banche centrali. E a valle, una mera questione di ordini da eseguire. «A differenza di alcuni paesi del Nord Europa e dell’Est Europa, che hanno dimostrato molta più autonomia e libertà, i governi dell’Europa occidentale (Italia e Germania, Francia, Spagna) sono totalmente eterodiretti. Non hanno autonomia decisionale: tutte le decisioni importanti non vengono prese nelle sedi istituzionali (governo, Parlamento) ma nell’alveo di organizzazioni sovranazionali». Quali? «Spesso si parla del Bilderberg e della Trilaterale, ma anche queste sono organizzazioni di potere intermedie, che hanno il compito di ratificare, imponendole ai governi, decisioni che sono prese ancora più in alto». Ecco perché Bizzi ricorre a termini impegnativi: «Questo è un piano diabolico, lasciatemelo dire: mira alla distruzione completa dei diritti democratici dei cittadini e del modello stesso di democrazia occidentale».Sono stati abili, i golpisti: hanno operato con la programmazione neurolinguistica, e tutte le mosse dei governi sono state calcolate. «Dalla durata stessa dei lockdown fino ai messaggi lanciati dai media, è stata tutta un’operazione calcolata a tavolino in modo che attecchisse sulle masse, proprio secondo le tecniche della Pnl». Gli architetti della crisi che ha travolto il pianeta hanno unito molteplici interessi: «Per esempio quelli del Forum di Davos, per avviare questa “quarta rivoluzione industriale” fondata sul mito di una falsa “green economy” che in realtà vuole portare al transumanesimo, all’abolizione del contante, alla distruzione dei più basilari diritti degli esseri umani». Come reagire, dunque? «Il dovere principale di chi ha un minimo di raziocinio, e quindi ormai ha capito con che cosa abbiamo a che fare, è quello di resistere con ogni mezzo, cercando di fare corretta informazione: non dobbiamo permettere che questo piano vada avanti, dobbiamo gettare più sabbia possibile nei suoi ingranaggi». Non è facile: gli italiani – dice Bizzi – ci sono cascati: hanno creduto alla storia che è stata loro raccontata.«I nostri connazionali hanno dimostrato una grande incoscienza, e hanno accettato con estrema leggerezza le misure liberticide varate dai governi Conte e Draghi. L’illusione – portata anche dalla televisione – che i governi stessero togliendo la libertà ai cittadini per ragioni sanitarie, emergenziali, ha davvero attecchito, e ha fatto sì che molte persone si adeguassero». Questo, fatalmente, acquisce il senso di isolamento di chi, come Bizzi, alla versione ufficiale non ha mai creduto. «Io sapevo da tempo dove si sarebbe andati a parare, e quando sono arrivate le prime notizie dalla Cina mi sono detto: ecco, ci siamo. Per un mese intero, a febbraio 2020, nessuno ha spiegato che il governo Conte aveva introdotto lo stato d’emergenza già il 31 gennaio: volevano il maggior numero possibile di morti, volevano scatenare il panico e alimentare il terrore». Unica presenza anomala, nell’Italia di quei primi mesi: la Russia. «Non scordiamoci la missione della brigata di militari russi accorsi in Lombardia, specializzati in guerra batteriologica: per la prima volta nella storia, mezzi militari della Russia in un paese Nato. Erano venuti per capire come mai il problema fosse partito proprio dall’Italia».Una missione rimasta in sordina, quella dei russi. «Hanno trovato molte cose, anche se poi le evidenze sono state secretate. Pare sia stato qualcosa di batteriologico, a esser stato rilasciato sul nostro territorio. Non ne ho le prove: se questo fosse vero, però, farebbe emergere complicità criminali inaudite». Ora, però, siamo di fronte a svolte impreviste: ci stiamo forse avvicinando a un capovolgimento della situazione. «Ho ragione di essere ottimista», perché gli esecutori nazionali del piano «hanno semplicemente aggirato la Costituzione, che non è mai stata né sospesa né archiviata, né modificata: gli articoli della Costituzione sono perfettamente in vigore, così come le leggi antiterrorismo – che fra l’altro vietano di circolare a volto coperto (è reato penale)». Inutile spaventarsi: «Non hanno valore le multe comminate da certi emuli della Gestapo, che magari indossano l’uniforme della polizia municipale e sembrano in preda a un delirio di onnipotenza».Bizzi ricorda le scene a cui abbiamo assistito, nel 2020: persino donne anziane malmenate, gettate a terra solo perché non indossavano la mascherina. «Alcuni sindaci erano arrivati a imporre nei supermercati una spesa minima di 50 euro, con vecchi in coda che magari non avevano 10 euro in tasca. Cosa hanno subito, queste persone, grazie a certi amministratori locali? Qui nessuno è esente da colpe». Per Bizzi la verità sta venendo a galla molto in fretta: «E non dobbiamo permettere che certi personaggi la passino liscia. Tutti – dalle più alte cariche dello Stato, fino ai più piccoli amministratori locali – sono stati complici di questo grande inganno, di questa colossale macchinazione, che ha portato a un’indebita, incostituzionale repressione delle libertà. Misure come il coprifuoco: vogliamo scherzare? Neanche nel ‘44 venivano applicate in questo modo». Ma attenzione: «Non bisogna avere timore delle uniformi: polizia e carabinieri hanno giurato, sulla Costituzione, e si trovano a gestire una situazione che non sopportano più».«Io sono in contatto con sindacati delle forze dell’ordine, che da mesi esprimono tutto il loro dissenso: si stanno rifiutando di sanzionare i cittadini, stanno cominciando a ribellarsi anche loro», assicura Bizzi. In più, ci sono forti segnali di un capovolgimento internazionale della situazione: questo ci fa ben sperare. Essendo stata risolta la crisi dei Repo già nell’autunno 2020, «è venuto meno il motore economico di questo colpo di Stato globale: non c’è più una ragione economica per disporre nuovi lockdown allo scopo di fermare l’economia, che infatti si sta riprendendo». Bizzi segnala che è in corso di attuazione anche il Quantum Financial System, che scardinerà completamente gli attuali parametri economici globali (sulla possibilità di emissione monetaria illimitata). Non siamo mai stati completamente soli: la Russia di Putin, quella che aveva inviato i suoi specialisti in Italia, si è smarcata per prima: dimostrando quanto fosse artificiosa, l’intera operazione-paura. «Mosca ha applicato un lockdown solo inziale e molto blando, poi due mesi fa ha rimosso le ultime restrizioni. E ha fatto una mossa molto intelligente: è la stata la prima a lanciare il suo vaccino».Lo Sputnik – dice Bizzi – non è un vaccino mRna: è solo una sorta di antinfluenzale rafforzato, in Russia proposto unicamente su base volontaria. «Da noi invece si tenta di imporre – con la persuiasione, il ricatto e la minaccia – una vaccinazione sperimentale mRna. Agghiacciante: milioni di italiani si sono messi in coda come tanti lemming, pronti a lanciarsi nel precipizio. Si stanno suicidando, e non se ne rendono conto: hanno subito un vero e proprio lavaggio del cervello». Ma anche la geografia mondiale del fronte-vaccini suggerisce he questa operazione stia finendo: «Due terzi dei governi mondiali si sono di fatto smarcati, rifiutando i vaccini mRna (Pfizer, Moderna). Non solo: inaugurando le terapie domiciliari, hanno abbattuto la narrazione dell’ospedalizzazione. Hanno dimostrato che è una montatura: semplicemente assumendo determinati farmaci si evita il ricovero. Una soluzione che in Italia viene ostacolata con ogni mezzo: Speranza è ricorso al Consiglio di Stato. Hanno il terrore che venga messa in crisi la narrazione delle terapie intensive intasate».Già a febbraio, a Bizzi era stato riferito che «sarebbe stato raggiunto un accordo, nell’ambito di una trattativa internazionale fra certe organizzazioni di potere». In pratica, ai golpisti del Covid avrebbero detto: «L’operazione è fallita, è stato raggiunto appena il 20% degli obiettivi prefissati. La verità sta venendo a galla, rischiate una nuova Norimberga. Quindi vi diamo una “timeline”: se dal 12 aprile iniziate una de-escalation per chiudere questa operazione con le buone, vi permettiamo di uscirne puliti». Vale a dire: se i governi si atterranno a questa direttiva, cominceranno a dire che i contagi stanno calando. E se ne vanteranno: «Abbiamo sconfitto il terribile virus grazie ai vostri sacrifici», sarà il refrain. «E cercheranno di uscirne a testa alta. Perché il loro obiettivo è proprio quello: scongiurare una nuova Norimberga. E quindi: evitare che vengano alla luce tutte le responsabilità, a ogni livello, dal Quirinale all’ultimo Comune. Facile attaccare Conte: è indifendibile, ha firmato i provvedimenti più spregevoli. Ma tutti si dimenticano che qualcuno, al di sopra di lui, certe cose le ha autorizzate».Questi signori, quindi, secondo Bizzi «puntano a salvaguardare il sistema», cioè «a impedire che per loro finisca molto male, dal punto di vista giuridico (anche penale)». Erano dunque programmate, le riaperture: graduali, per tenere in piedi la credibilità retroattiva della farsa. «Un mese dopo la segnalazione che avevo ricevuto – racconta sempre Bizzi – Boris Johnson ha annunciato che la Gran Bretagna avrebbe riaperto proprio il 12 aprile, in concomitanza con altre riaperture europee, come quella della Spagna (anche più dura dell’Italia, nella repressione). Ebbene: da un mese la Spagna ha riaperto locali, palestre e piscine, autorizzando anche concerti con migliaia di persone. Sono riaperture chiaramente pianificate: non è che possono dire, da un giorno all’altro, “abbiamo scherzato, vi abbiamo presi in giro”. Non possono riaprire tutto di colpo: perderebbero la faccia, e dovrebbero rinunciare improvvisamente a interessi economici che sono mostruosi». Un oceano di soldi: «Qualcuno è stato appena messo da parte, ma non c’è solo Arcuri: in tanti stanno ancora guadagnando, da questa operazione».Nicola Bizzi parla di «servigi da pagare a migliaia di persone, negli apparati statali: e questa cosa non la si può interrompere da un giorno all’altro». Aggiunge: «La mia impressione – confermata da alcune informative che ricevo – è che ci sia stato un motivo preciso dietro al licenziamento di Conte, con la necessità poi di mettere in piedi questo governo, che peraltro non mi piace per niente». Mario Draghi? «Come ben sappiamo, ha più scheletri nell’armadio di Nosferatu: conosciamo il suo passato e le sue malefatte». Per Bizzi il governo Draghi resta pericoloso: «Un esecitivo che conferma Speranza alla sanità e inserisce al proprio interno personaggi come Colao è tutt’altro che raccomandabile». Per contro, la sua funzione sarebbe quella di «portare l’Italia a una de-escalation, a una uscita graduale da questa operazione, a tappe pianificate (ma in modo da lasciare indenne la politica, facendola uscire a testa alta». Torneremo a respirare, dunque, ma i “collaborazionisti” la faranno franca. «E questo non è accettabile: dobbiamo esigere che ci vengano restituite le libertà che la Costituzione ci garantisce».Se l’Operazione Corona è scattata per motivi finanziari – dice ancira Bizzi – sicuramente è stata sfruttata dai pericolosi fanatici che coltivano apertamente precisi piani mondiali per il depopolamento. Ci sono personaggi come il francese Jacques Attali (mentore di Macron), o come lo stesso Bill Gates, che da trent’anni ci dicono in faccia che siamo in troppi, sulla Terra, e che occorre ridurre forzatamente (con le buone o con le cattive) la popolazione globale, che sta sfuggendo al loro controllo finanziario e politico. «Non è vero che siamo in troppi, per le risorse terrestri. E’ vero invece che le risorse sono mal distribuite: l’1-2% detiene il 90% della ricchezza, non vuole perderne il controllo e la vuole incrementare ulteriormente». Le lezione da trarre? I golpe esistono, ma non sempre vanno in porto come previsto. «Questa operazione era partita con “pacchetti precofenzionati” a cui tutti avrebbero dovuto adeguarsi, e invece molti paesi se ne sono smarcati fin da subito: l’Africa, per esempio, non ha aderito al piano. I paesi dell’Africa nera e del Nordafrica non volevano veder distrutta la loro economia, e soprattutto non volevano partecipare a un piano genocida: perché è qui il vero nodo della questione».Già negli anni ‘80, Jacques Attali scriveva: nel futuro prossimo – visto che non possiamo più ridurre la popolazione coi campi di concentramento e le esecuzioni sommarie – sarà necessario ridurla con altri sistemi: anche con certe terapie iniettabili, che la gente stessa sarà spinta a richiedere. «E infatti ci siamo arrivati», secondo Bizzi, che segnala un sito americano molto inquietante, “Deagel.com”, che si occupa di armamenti. Nel 2017 aveva presentato strane proiezioni statistiche demografiche, immaginando – Stato per Stato – la popolazione mondiale nel 2025. Il sito dichiarò di essersi basato su fonti di intelligence (senza citare quali) e su dati di organizzazioni internazionali (probabilmente la Fao, il Fmi, l’Oms). Un quadro allarmante, che vedeva tutto l’Occidente depopolato. Un’Italia ridotta a 40 milioni di abitanti, una altrettanto drastica riduzione prevista per Francia e Spagna, e una Germania con una popolazione destinata a crollare (da 80 a 28 milioni). Analoga previsione per gli Usa: appena 90 milioni di abitanti, contro gli attuali 320. Stessa sorte per il Canada, mentre il fenomeno non avrebbe investito gli altri paesi del mondo, sostanzialmente stabili.«So che le stime sono andate correggendosi, col tempo, ma la tendenza resta: a essere colpite – secondo “Deagel” – sarebbero solo l’Europa occidentale e il Nord America, più l’Australia e la Nuova Zelanda: cioè quei paesi che hanno adottato le misure più restrittive, applicando alla lettera i dettami di questo colpo di Stato globale, incluse le vaccinazioni forzose (i vaccini mRna)». C’è un nesso, tra queste previsioni e quello che sta realmente avvenendo o che avverrà? Nel 2017 qualcuno già “sapeva” che in Occidente sarebbe stata introdotta una vaccinazione mRna, e che questa – magari – sarebbe stata tale da produrre un simile depopolamento? «Diciamo c’è di che riflettere», dice Bizzi. «La mia opinione – sostiene – è che questa sia una “guerra” contro l’umanità occidentale, contro la nostra civiltà». Guardiamoci attorno: «I paesi africani, asiatici ed est-europei hanno respinto al mittente le richieste dell’Oms. Il vero fulcro di questa operazione sono L’Europa e il Nord America». E’ un fatto: «Stiamo vivendo un’epoca di censura, di medioevo orwelliano», conclude Bizzi. «Io non possiedo tutte le risposte, però mi sto adoperando affinché le verità vengano alla luce».(Il libro: “Operazione Corona, colpo di Stato globale”, Edizioni Aurora Boreale, 588 pagine, euro 22,80. Bizzi ne è co-autore, editore e curatore insieme a Matteo Martini, chimico farmaceutico, che esamina gli aspetti scientifici e virologici dell’affare-coronavirus, dimostrando la premeditazione dell’esplosione pandemica. Un medico come il dottor Stefano Scoglio, già candidato al Nobel, approfondisce invece gli aspetti clinici della sindrome Covid. Il biologo David Suraci, a sua volta, affronta il tema vaccini, denunciando i pericoli della vaccinazione mRna. All’economista Andrea Cecchi e al giornalista Luca La Bella, analista finanziario, il compito di illuminare i retroscena bancari che sarebbero all’origine della crisi, mentre l’avvocato Marco Della Luna, già autore di “Oligarchia per popoli superflui”, approfondisce gli aspetti giuridici introdotti con le restrizioni. Gli psicologi Alfonso Guizzardi e Alessandro Gambugiati, infine, analizzano le tecniche di manipolazione adottate e i danni psicologici inferti alla popolazione, soprattutto agli anziani e ai bambini. In vetta alle classifiche, “Operazione Corona” è stato realizzato a tempo di record per offrire una panoramica completa ed esaustiva sulla considetta pandemia, illuminandone le principali zone d’ombra).Un colpo di Stato mondiale, progettato contro una vittima in particolare: la nostra società occidentale. Doveva scattare nel 2022, ma la crisi bancaria dei Repo ne ha accelerato i tempi. Ora il golpe è fallito, ma ha lasciato macerie: ha disastrato la democrazia e rottamato l’economia, proprio come volevano i golpisti, ingigantendo la paura e trasformando i cittadini in docilissime pecore, private delle libertà più elementari in nome di un pericolo virtuale, manipolato da cima a fondo. Ormai è cominciata una grande retromarcia, segretamente pattuita, ma a caro prezzo: non si può smontare da un giorno all’altro un “giocattolo” come quello, che ha distribuito miliardi e sta ancora arricchendo intere filiere di beneficiari, migliaia di persone. E il fardello più inquietante è quello rappresentato dai vaccini “genici” in circolazione: aleggia il vecchio incubo del depopolamento, predicato da una certa élite. Una cosa è certa: l’establishment del lockdown spera di passarla liscia, evitando una nuova Norimberga che metta in chiaro i crimini commessi. E il governo Draghi servirebbe proprio a questo: a far uscire l’Italia dall’emergenza, incanalandola però nei binari del Grande Reset in corso. E soprattutto: assolvendo la politica che ha eseguito gli ordini golpisti.
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Amnesty condanna l’arresto della NoTav Dana Lauriola
L’attivista e portavoce del movimento No Tav Dana Lauriola è stata arrestata all’alba dello scorso 17 settembre presso il suo domicilio a Bussoleno, in Valsusa, dove risiede dal 2019.Attualmente si trova nel carcere “Le Vallette” di Torino per scontare una pena detentiva di due anni, a seguito di una condanna definitiva per “violenza privata” e “interruzione aggravata di servizio di pubblica necessità” per un’azione dimostrativa pacifica realizzata il 3 marzo 2012 sull’autostrada Torino-Bardonecchia, all’altezza del casello di Avigliana, alla quale parteciparono circa 300 attivisti del movimento No Tav, in protesta contro la costruzione della linea ferroviaria di alta velocità. Nel corso dell’azione, durata in tutto circa 20 minuti, una decina attivisti bloccarono l’accesso con il nastro adesivo ad alcuni tornelli del casello, consentendo il passaggio alle automobili senza pagare il pedaggio, mentre altri attivisti del movimento esponevano striscioni e bandiere. Contemporaneamente, Dana Lauriola usava il megafono per spiegare le ragioni della manifestazione ai passanti e indirizzare le macchine in transito.«Esprimere il proprio dissenso pacificamente non può essere punito con il carcere. L’arresto di Dana è emblematico del clima di criminalizzazione del diritto alla libertà d’espressione e di manifestazione non violenta, garantiti dalla Costituzione e da diversi meccanismi internazionali», ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. «È urgente che le autorità riconsiderino la richiesta di misure alternative alla detenzione e liberino immediatamente Dana Lauriola, arrestata ingiustamente per aver esercitato il suo diritto alla libera espressione e a manifestare pacificamente», ha concluso Noury. In parallelo al suo attivismo di lunga data con il movimento, Dana Lauriola, 38 anni, è impegnata da vari anni in attività sociali ed opera attualmente come coordinatrice del reinserimento sociale nella Residenza Marsigli di Torino, gestita dalla cooperativa Aeris, che accoglie persone senza fissa dimora in convenzione con il Comune di Torino.Nel giugno del 2019, sette anni dopo i fatti contestati, la Cassazione aveva confermato la durissima pena di due anni di carcere, per reati la cui pena minima prevista dal Codice penale sono 15 giorni. Nel novembre 2019 la difesa aveva presentato istanza per l’affidamento in prova, una delle misure alternative al carcere previste, da svolgere con la cooperativa Aeris, nel cui ambito Dana Lauriola già svolgeva la sua attività lavorativa di tipo socioeducativo dal 2015. Tale misura è solitamente accordata per reati lievi di questa natura e in assenza di una valutazione sulla pericolosità sociale. Infatti, sebbene Dana Lauriola avesse altri carichi pendenti a suo carico, tutti sono legati ad azioni dimostrative non violente e nessuno è stato confermato in via definitiva. Secondo l’avvocato Claudio Novaro, la relazione degli stessi servizi sociali ministeriali incaricati consigliava al Tribunale di sorveglianza di accogliere la richiesta di affidamento in prova, che avrebbe garantito a Dana Lauriola a la possibilità di continuare il suo lavoro nel reinserimento sociale dei senza fissa dimora.Ciò nonostante, in maniera inaspettata, lo scorso 14 settembre 2020 il Tribunale di sorveglianza di Torino ha rifiutato tutte le misure di custodia alternative e dato quindi il via libera all’arresto dell’attivista. L’assurdità dell’arresto si legge anche tra le righe delle motivazioni del Tribunale che spiegano il rifiuto delle misure alternative. Da un lato il Tribunale infatti riconosce che Dana Lauriola svolgeva la sua attività lavorativa, era “normoinserita” e non rappresentava alcuna pericolosità sociale. Dall’altro invece sostiene la necessità dell’arresto per il mancato “pentimento” in riferimento al suo attivismo e menziona la sua scelta di risiedere a Bussoleno, luogo che la esporrebbe, secondo il documento legale, al «concreto rischio di frequentazione dei soggetti coinvolti in tale ideologia (No Tav)» e dove «potrebbe proseguire la propria attività di proselitismo e di militanza ideologica».Le azioni organizzate dal movimento No Tav nel mese di marzo 2012 si iscrivono in una più ampia mobilitazione della Valsusa che aveva per oggetto la contestazione degli espropri di alcune terre da parte delle forze dell’ordine per proseguire con la costruzione della linea di alta velocità Torino-Lione. Mobilitazione che aveva coinvolto anche 23 sindaci della valle, tra cui quello di Bussoleno. Il 27 febbraio 2012, l’attivista Luca Abbà, proprietario di uno dei terreni oggetto dell’esproprio, si era arrampicato su un traliccio dell’alta tensione in segno di protesta. A seguito della pressione di alcuni agenti per farlo scendere, era stato folgorato da una scarica elettrica ed era caduto da un’altezza di dieci metri, rimanendo in coma per alcuni giorni. Da questo episodio si erano accese mobilitazioni di protesta nella Valsusa e anche in altre città italiane, tra le quali si inserisce anche la breve azione non violenta al casello autostradale di Avigliana del 3 marzo 2012.Oltre a Dana Lauriola, altre undici persone erano state denunciate a seguito dell’azione dimostrativa, poi tutte condannate a pene definitive che vanno da uno a due anni. Tra queste c’è la professoressa Nicoletta Dosio, di 74 anni, arrestata nel dicembre 2019 e che oggi sta scontando la fine della sua condanna di un anno ai domiciliari. Le udienze del Tribunale di sorveglianza sulle misure alternative per le restanti dieci persone si svolgeranno proprio nelle prossime settimane. L’unico danno materiale dell’azione di protesta alla società autostradale che ha la concessione per il tratto Torino-Bardonecchia, la Sitaf Spa, è stato quantificato a 777 euro, importo rimborsato da Dana e altri coimputati prima dell’ultima udienza a suo carico.(”Amnesty International condanna l’arresto dell’attivista No Tav Dana Lauriola”, dal sito di Amnesty International del 22 settembre 2020).L’attivista e portavoce del movimento No Tav Dana Lauriola è stata arrestata all’alba dello scorso 17 settembre presso il suo domicilio a Bussoleno, in Valsusa, dove risiede dal 2019. Attualmente si trova nel carcere “Le Vallette” di Torino per scontare una pena detentiva di due anni, a seguito di una condanna definitiva per “violenza privata” e “interruzione aggravata di servizio di pubblica necessità” per un’azione dimostrativa pacifica realizzata il 3 marzo 2012 sull’autostrada Torino-Bardonecchia, all’altezza del casello di Avigliana, alla quale parteciparono circa 300 attivisti del movimento No Tav, in protesta contro la costruzione della linea ferroviaria di alta velocità. Nel corso dell’azione, durata in tutto circa 20 minuti, una decina attivisti bloccarono l’accesso con il nastro adesivo ad alcuni tornelli del casello, consentendo il passaggio alle automobili senza pagare il pedaggio, mentre altri attivisti del movimento esponevano striscioni e bandiere. Contemporaneamente, Dana Lauriola usava il megafono per spiegare le ragioni della manifestazione ai passanti e indirizzare le macchine in transito.
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Recovery-Conte: tutti prigionieri, via il cash e 5G dal cielo
«Abbiamo trovato e analizzato il documento che contiene le linee-guida del governo su come utilizzare i soldi del Recovery Fund», annuncia Massimo Mazzucco, su “Contro Tv“. Scopriamo così che i nostri stessi soldi verranno, fra le altre cose, utilizzati per «facilitare la transizione verso una cashless community» (cioè: abolizione del contante), e soprattutto per «potenziare i sistemi di video-sorveglianza sui cittadini». Non solo: i soldi in arrivo dall’Ue sarebbero impiegati per «mettere in orbita una costellazione di satelliti 5G» (senza alcuna garanzia per la nostra salute, aggiunge Mazzucco). Si va verso un regime di polizia sanitaria permanente: il Recovery verrebbe usato per «realizzare la schedatura sanitaria dei cittadini». L’esecutivo dell’ex “avvocato del popolo” intendere «studiare differenti stili di vita delle persone», e ovviamente «impostare politiche di prevenzione, quando la gente dovesse decidere di non seguirli». Il governo Conte propone inoltre di «potenziare il contrasto alle “fake news”» (ovvero, secondo Mazzucco, «regalare altri soldi ai delatori di regime»). E c’è anche un miliardo di euro per il Vaticano: «Noi abbiamo le scuole che crollano, però diamo un miliardo alla Chiesa per rimettere a posto le sue strutture».
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Magaldi: cari grillini (e Travaglio), votate No ai poteri forti
Alla vigilia del voto del 20-21 settembre, accorato appello di Gioele Magaldi nei confronti dei pentastellati: tornate in voi, ai tempi in cui vi battevate per la democrazia diretta. «Io sono per indire sistematici referendum propositivi e senza quorum, cioè forme di democrazia diretta che integrino in modo efficace la democrazia rappresentativa», premette il presidente del Movimento Roosevelt: «Se credete ancora nei valori di partecipazione in base ai quali nacque il Movimento 5 Stelle – dice Magaldi, rivolgendosi ai grillini – votate No al taglio dei parlamentari, che restringe ulteriormente gli spazi di democrazia, come espressamente richiesto dall’élite neoliberista che ha messo in crisi il pianeta». Stupore, da parte di Magaldi, per la presa di posizione di Marco Travaglio, giornalista di cui pure ha stima: «Come può scrivere che a volere il No siano i “poteri forti”, quando è vero esattamente il contrario? La Loggia P2 di Licio Gelli, che era il terminale italiano dei veri poteri forti, nel suo Piano di Rinascita Democratica metteva al primo posto proprio il taglio dei parlamentari».«La penalizzazione del Parlamento è stata ripetutamente pretesa, anche di recente, dal grande potere finanziario», ricorda Magaldi, evocando il documento con cui una grande banca come la Jp Morgan “consigliò” il taglio dei parlamentari. «Ai grillini – dice Magaldi – resta il merito storico di aver smascherato la fittizia contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra, due schieramenti che di fatto eseguivano le direttive della medesima élite: e allora perché adesso, votando Sì, ci tengono così tanto a fare un piacere a quella stessa élite, che vede nel Parlamento una minaccia e un ostacolo ai suoi piani?». Analogo discorso quello rivolto a Travaglio: «Come fa oggi a sostenere il contrario della verità, dopo aver così bene smascherato, negli ultimi anni, le ipocrisie del centrodestra e quelle del centrosinistra, senza fare sconti a nessuno?». Per Magaldi, la realtà è lampante: «Dopo le privatizzazioni selvagge, le infami restrizioni imposte dall’austerity e la mortificazione degli enti locali, il taglio del Parlamento – che distanzia ulteriormente gli eletti dai cittadini – è l’ultimo anello di una catena di eventi drammatici, promossi dai nemici della democrazia».Per Magaldi, è irrisorio il vantaggio economico che si otterrebbe con la riduzione dei seggi (si risparmierebbe l’equivalente di un caffè all’anno), mentre è clamoroso il depistaggio dell’elettorato. «Per quanto “rubino”, i cattivi politici restano degli straccivendoli. Chi preme per il Sì, ha idea di quanto ci costino i manager, spesso in televisione, che poi chiedono aiuto allo Stato per salvare le banche e le aziende che hanno portato alla bancarotta?». Seriamente: «Avete idea – insiste Magaldi – di quanto ci sia costato, in termini di miliardi, il divorzio tra Tesoro e Bankitalia? O la stessa manipolazione dello spread, operata dai soliti noti? E’ tristemente ridicolo che si scateni il risentimento popolare verso i parlamentari, ed è molto deludente – aggiunge sempre il presidente “rooseveltiano” – che a questo gioco si siano prestati persino Matteo Salvini e Giorgia Meloni». Dice ancora Magaldi: «So benissimo che Salvini non è favorevole al Sì, esattamente come i leghisti Borghi, Bagnai e Giorgetti, che si sono apertamente pronunciati per il No».Se non troverà il modo di rimediare a questo gravissimo errore, lo avverte Magaldi, anche il leader della Lega ne farà le spese, «esattamente come tutti gli italiani che, dopo aver votato Sì, scopriranno amaramente di essersi sbagliati: perché saranno loro le prime vittime di un’operazione che, tagliando la politica, mira a tagliare la democrazia». Sull’esito del voto, Magaldi è pessimista: «Ho in frigo lo Champagne per brindare alla vittoria del No, ma prevedo che il Sì abbia più numeri, a causa della martellante disinformazione operata dai media e dai partiti. In ogni caso – conclude il presidente del Movimento Roosevelt – una eventuale, sciagurata vittoria del Sì aprirà gli occhi a tutti, dimostrando quanto si sarà caduti in basso. Sarà il punto di partenza per mobilitare finalmente le energie necessarie a compiere quella rivoluzione democratica di cui proprio l’Italia sarà protagonista: una battaglia durissima, per il futuro del nostro paese ma anche dell’Europa e del mondo, contro l’oligarchia della globalizzazione neoliberista che oggi vuole tagliare anche il Parlamento, dopo averci tolto molte libertà e il diritto a un futuro sereno e dignitoso».(Affermazioni che Gioele Magaldi ha reso il 19 settembre 2020 nella trasmissione “Pane al Pane”, di MrTv, in web-streaming su YouTube, condotta da Roberto Hechich. Nell’ambito della diretta, Magaldi ha ricordato l’impegno del Movimento Roosevelt a favore del progressista Massimo Della Siega, candidato sindaco a Varmo, Udine, e di Marco Bonini, candidato sindaco a Zagarolo, alle porte di Roma; già assessore nella precedente amministrazione dominata dal Pd, Bonini è ora alla guida di un cartello appoggiato anche da Lega e Fratelli d’Italia, «in polemica con il conservatorismo che può frenare l’azione sia del centrodestra che del centrosinistra»).Alla vigilia del voto del 20-21 settembre, accorato appello di Gioele Magaldi nei confronti dei pentastellati: tornate in voi, ai tempi in cui vi battevate per la democrazia diretta. «Io sono per indire sistematici referendum propositivi e senza quorum, cioè forme di democrazia diretta che integrino in modo efficace la democrazia rappresentativa», premette il presidente del Movimento Roosevelt: «Se credete ancora nei valori di partecipazione in base ai quali nacque il Movimento 5 Stelle – dice Magaldi, rivolgendosi ai grillini – votate No al taglio dei parlamentari, che restringe ulteriormente gli spazi di democrazia, come espressamente richiesto dall’élite neoliberista che ha messo in crisi il pianeta». Stupore, da parte di Magaldi, per la presa di posizione di Marco Travaglio, giornalista di cui pure ha stima: «Come può scrivere che a volere il No siano i “poteri forti”, quando è vero esattamente il contrario? La Loggia P2 di Licio Gelli, che era il terminale italiano dei veri poteri forti, nel suo Piano di Rinascita Democratica metteva al primo posto proprio il taglio dei parlamentari».
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Socialismo liberale, rooseveltiani al voto: Zagarolo e Varmo
«Il Movimento Roosevelt appoggia Marco Bonini come candidato sindaco di Zagarolo, grosso Comune alle porte di Roma, perché crede nella necessità di cambiare orizzonte». E’ esplicito, l’endorsement di Gioele Magaldi nei confronti di Bonini, già assessore nella precedente amministrazione dominata dal Pd e ora candidato con il supporto di svariati partiti del fronte opposto, tra cui Lega e Fratelli d’Italia. «Io non ragiono in termini di etichette facili e di superficie», chiarisce Magaldi, che archivia volentieri le categorie destra-sinistra e la contrapposizione solo fittizia tra i due schieramenti, protagonisti entrambi – nella Seconda Repubblica – del progressivo pensionamento della democrazia sostanziale. «Quello che oggi distingue un politico, semmai, è la sua vicinanza (o lontananza) rispetto all’unica ideologia subdolamente imperante, quella del neoliberismo che ha privatizzato e malamente globalizzato il pianeta». Una ideologia sommaria e totalizzante, «che oggi ci propone un orrore come il taglio dei parlamentari, insignificante sul piano del risparmio economico ma tragicamente simbolico: voler ridurre ulteriormente la rappresentanza democratica vuol dire continuare a penalizzare i cittadini, allontanando ulteriormente gli elettori e rendendo gli eletti sempre più irraggiungibili, fedeli solo ai leader di partito».«Seguiremo con grande attenzione le elezioni comunali di Zagarolo», annuncia il presidente del Movimento Roosevelt, che in tutt’altra parte d’Italia (a Varmo, Udine) schiera direttamente un suo dirigente, Massimo Della Siega, candidato sindaco in una coalizione squisitamente civica. «Non è davvero più questione di etichette, sigle e schieramenti», conferma Della Siega: «Qui si tratta di riscrivere le regole del buon governo locale, dialogando con tutti e cercando di “fare rete”, su territori resi sempre più periferici». L’impegno nei Comuni, sottolinea Magaldi, nella deprecata Prima Repubblica era – giustamente – il primo passo, per elaborare quell’esperienza che, col tempo, avrebbe forgiato dirigenti politici capaci, e non improvvisati come quelli di oggi. «Intanto – riassume Pierluigi Winkler, uno dei vicepresidenti del Movimento Roosevelt – è necessario tornare ai valori del socialismo liberale che abbiamo appena sentito risuonare nelle parole pronunciate a Berlino da Robert Kennedy Junior, che ci hanno scaldato il cuore: ogni vera soluzione, per l’umanità, non può prescindere dalla libera partecipazione democratica».Socialismo liberale? «Un ossimoro, per un guru del neoliberismo come Friedrich von Hajek – dice Magaldi – che finse di non aver letto Carlo Rosselli». Quei valori sono perfettamente coniugabili: e devono tornare a esserlo, oggi più che mai, dice Winkler, «anche se il socialismo maggioritario che si affermò in Occidente non era democratico ma comunista, cioè a vocazione oligarchica». Questa distorsione, per Magaldi, spiega la delusione che la sinistra ha riservato a tanti suoi elettori: mentre i socialisti liberali come Craxi (al netto dei loro errori) furono liquidati dal nascente regime neoliberista, furono gli eredi della tradizione comunista a mettersi a disposizione degli oligarchi che, negli anni Novanta, privatizzarono l’Italia e cominciarono a ridurre gli spazi di democrazia, puntando solo sui diritti civili in cambio della svendita dei diritti sociali. Passo dopo passo, abbiamo ristretto ogni spazio civico, fino ad arrivare alla brutale riduzione del Parlamento. Magaldi parla di una «bruttissima pseudo-riforma della Costituzione», che ora rischia di essere confermata dal referendum del 20-21 settembre.«Credo che, alla fine, gli italiani saranno condizionati dalla pessima pedagogia antipolitica, antidemocratica e demagogica di questi anni: moltissimi italiani non hanno nemmeno capito perché votare Sì piuttosto che No», dice il presidente “rooseveltiano”, mettendo a fuoco il problema: «Non c’è più una formazione civica adeguata, né tantomeno l’hanno fatta i mezzi di informazione, in questi mesi». Per questo, Magaldi teme che vincerà il Sì confermativo. «Ma stiano tutti tranquilli», avverte: «Appena possibile rimedieremo a questo eventuale scempio della Costituzione, se dovesse esserci. Tuttavia – aggiunge lo stesso Magaldi – anche se il pessimismo della ragione mi induce a ritenere che prevarranno i Sì, io andrò comunque a votare No».Evidente, in ogni caso, la fibrillazione del governo: Pd e 5 Stelle temono per l’esito delle regionali, e non sono neppure sicurissimi che gli italiani voteranno Sì al referendum. Intanto, Magaldi annuncia che il Movimento Roosevelt presenterà il suo “ultimatum” al governo Conte: un pacchetto di proposte per alleviare immediatamente le sofferenze economiche provocate dal lockdown. «Sarà anche calendarizzato l’esordio della Milizia Rooseveltiana», formazione che scenderà in piazza nel caso in cui l’esecutivo non dovesse rispondere, in modo adeguato, alle proposte avanzate. «Finora, l’ultimatum a Conte non è stato ancora presentato, a causa della fluidità della situazione, molto complicata ma anche molto feconda». Proprio in nome di un orizzonte nuovo, che sappia declinare il socialismo liberale nel terzo millennio, il Movimento Roosevelt sosterrà Massimo Della Siega a Varmo e Marco Bonini a Zagarolo, in questo caso nel segno della discontinuità: Bonini ritiene salutare un’alternanza, portando l’ex opposizione al governo di un Comune rimasto per vent’anni nelle mani del centrosinistra. Magaldi crede al lavoro nei Comuni, così come quello nelle Regioni, dove i “rooseveltiani” stanno sostenendo alcuni candidati. «Anche dai territori, grazie a uomini come Bonini e Della Siega – chiosa Magaldi – potrà crescere in modo laico e trasversale quella consapevolezza politica necessaria a sconfiggere la “teologia” neoliberista dell’austerity, per tornare a politiche autenticamente progressiste».«Il Movimento Roosevelt appoggia Marco Bonini come candidato sindaco di Zagarolo, grosso Comune alle porte di Roma, perché crede nella necessità di cambiare orizzonte». E’ esplicito, l’endorsement di Gioele Magaldi nei confronti di Bonini, già assessore nella precedente amministrazione dominata dal Pd e ora candidato con il supporto di svariati partiti del fronte opposto, tra cui Lega e Fratelli d’Italia. «Io non ragiono in termini di etichette facili e di superficie», chiarisce Magaldi, che archivia volentieri le categorie destra-sinistra e la contrapposizione solo fittizia tra i due schieramenti, protagonisti entrambi – nella Seconda Repubblica – del progressivo pensionamento della democrazia sostanziale. «Quello che oggi distingue un politico, semmai, è la sua vicinanza (o lontananza) rispetto all’unica ideologia subdolamente imperante, quella del neoliberismo che ha privatizzato e malamente globalizzato il pianeta». Una ideologia sommaria e totalizzante, «che oggi ci propone un orrore come il taglio dei parlamentari, insignificante sul piano del risparmio economico ma tragicamente simbolico: voler ridurre ulteriormente la rappresentanza democratica vuol dire continuare a penalizzare i cittadini, allontanando ulteriormente gli elettori e rendendo gli eletti sempre più irraggiungibili, fedeli solo ai leader di partito».
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Della Siega: il coraggio di ripartire dall’Italia dei Comuni
«La notizia peggiore forse è questa: molte famiglie, qui in paese, quest’anno non avranno i soldi per iscrivere i figli all’università. E questo significa una sola cosa: tagliare il futuro, e dire addio a quel che resta dell’ascensore sociale». Il paese in questione è Varmo, nella piana friulana a meno di venti chilometri dal mare, sulla riva sinistra del Tagliamento, a metà strada tra Udine e Pordenone. Un borgo duramente colpito dal terremoto del 1976 e poi rifiorito, come molti altri, grazie alla proverbiale, silenziosa tenacia dei friulani. E’ di poche parole anche l’uomo che potrebbe diventarne il sindaco: Massimo Della Siega, 56 anni, odontoiatra e medico ospedaliero (in prima linea – durante il lockdown – tra i malati di Covid). Un evento rovinoso, destinato a cambiare la storia. Ma non per sempre: «Pur mantenendo la doverosa prudenza che la situazione impone – dice il medico – oggi abbiamo il dovere di osservare la realtà attuale: clinicamente il virus non è più la minaccia di qualche mese fa. Quindi è ora di rimboccarci le maniche e ricominciare a vivere, senza più stare ad ascoltare chi vorrebbe prolungare all’infinito il clima di emergenza e di paura, che poi è quello che ha prodotto il disastro economico che ora l’Italia intera dovrà affrontare».Massimo Della Siega è stato invitato a candidarsi, come sindaco, da due gruppi civici, “ViviAmo Varmo” e “Varmo comunità”. Nelle elezioni comunali, specie nei paesi con pochi abitanti (appena 2700, in questo caso), gli schemi classici – centrodestra contro centrosinistra – lasciano il tempo che trovano. Specie se poi a dover «fare sintesi» è un personaggio come il dottor Della Siega, per vocazione abituato all’ascolto e al dialogo: prima le idee, purché buone, a prescindere dalla fonte da cui provengono. «Sarà un fatto di carattere», dice, in web-streaming su YouTube: a vincere è il pragmatismo del medico, dell’approccio scientifico. «Poi, certo, nel mio modo di essere influisce anche la mia esperienza del Movimento Roosevelt, che è laico e trasversale, oltre le appartenenze, pur nell’ispirazione liberal-socialista». Lo conferma – in video-chat con Massimo su “MrTv” – il conterraneo Roberto Hechich, altro dirigente “rooseveltiano”, che riassume: «Qui si tratta di rianimare la politica italiana, parlando a tutti i partiti – nessuno escluso – per aiutarli a ritrovare la sovranità di fondo della democrazia sostanziale, confiscata attraverso i pericolosi equivoci di un’Europa mai nata. Lo si è visto anche adesso, con il Covid: aiuti scarsi, tardivi e gravati da pesanti condizionalità».Beninteso: il caso di Varmo resta un’esperienza civica, profondamente comunale, in cui a essere “rooseveltiana” è la storia (personale) del candidato sindaco, ben attento a concentrarsi sul paese con un programma di buon senso. Esempio: «In cassa ci sono un sacco di soldi che dovevano essere spesi per opere pubbliche, ma sono rimasti bloccati: amministrare non è mai facile, tra mille lacci e laccioli, ma forse è giunta l’ora di abbandonare le titubanze, perché la situazione oggi lo richiede». Oppure: «Il territorio è frazionato, e le periferie si sentono trascurate: noi istituiremo una Consulta permanente delle borgate, in modo che tutti possano segnalare puntualmente le loro necessità». La capacità di ascolto resta la prima virtù: del medico, e a maggior ragione del politico. E le prime note che al candidato tocca ascoltare, anche a Varmo, oggi sono dolenti: «Tutti sanno che la vera emergenza è quella economica: la drammatica eredità del Covid. Molte attività non riusciranno a riprendersi, molte famiglie faticheranno a vivere». Sarà proprio questa la prima linea nella quale si impegnerà il Comune: «Abbiamo risorse limitate, ma le useremo per dare ossigeno a chi non ce la fa: è una priorità assoluta».A Massimo Della Siega ha fatto piacere ascoltare il sermone di Mario Draghi al Meeting di Rimini, con la netta distinzione tra “debito buono” e “debito cattivo”. «L’ho sempre pensato anch’io, nel mio piccolo: non bisogna aver paura di fare deficit per sostenere iniziative destinate a creare lavoro, e al tempo stesso occorre evitare gli sprechi, cioè le spese improduttive». La comunità di Varmo è la prima a saperlo: gente abituata a utilizzare in modo oculato gli investimenti. L’industria è di taglio artigianale: chimica, tessile, alimentare, legno, profumi, lavorazione dei metalli. Solida agricoltura: foraggi, cereali e zootecnia. Le campagne – le Grave Fiuliane – producono fantastici vini, grazie ai terreni di origine alluvionale: nei millenni, il Tagliamento ha trascinato a valle i ciottoli dolomitici delle Alpi Carniche, arricchendo il suolo di mineralità marina che poi, nei calici, si traduce in profumi ed eccellenza vinicola. Non è che l’ennesima pagina del riscatto nazionale, di cui proprio il vino è diventato un ambasciatore importante, anche in termini di export.La parola d’ordine, oggi, è proprio questa: risollevarsi. «E’ un impegno, la partecipazione civica, che dovrebbe coinvolgere moltissimi italiani», dice Gioele Magaldi, che del Movimento Roosevelt è il fondatore: «L’esempio di Massimo Della Siega testimonia benissimo la capacità di interpretare il presente: oggi più che mai, è necessario scendere in campo in prima persona». Il Comune, peraltro, rappresenta una dimensione ideale: gli eletti sono direttamente controllabili, in piena trasparenza, dagli elettori che li hanno democraticamente scelti. Non è poco, in un mondo in cui il potere è diventato lontanissimo e post-democratico, quasi invisibile, affidato a vertici pressoché irraggiungibili (nazionali, europei, planetari). Candidarsi a casa propria, innanzitutto, significa accettare una scommessa: dimostrare che è possibilissimo, malgrado tutto, fare qualcosa di buono, e lo si può fare partendo proprio dal paese in cui si vive. “Dal particulare all’universale”, era un motto del grande Rinascimento italiano. Oggi lo si potrebbe tradurre con un altro termine: “glocal”. «Pensare globalmente, e agire localmente», sintetizzava Alex Langer, ideologo dei primissimi Verdi italiani.«L’importante è restare connessi, uniti, ascoltando le ragioni di tutti», dice Massimo Della Siega, pensando a Varmo e al Medio Friuli nel quale il paese è collocato: se i Comuni scontano i tempi di vacche magre accelerati dal Patto di Stabilità e dalla continua diminuzione di risorse statali, è giunto il momento di fare rete. «Nel nostro caso, l’idea è quella di aprire canali di comunicazione coi paesi vicini, per mettere in piedi servizi migliori». In altre parole, l’unione fa la forza. «La crisi economica indotta dall’emergenza Covid avrà conseguenze pesantissime: chi ancora non se ne fosse accorto, lo scoprirà nei prossimi mesi». La prima arma è la consapevolezza: essere lucidi, saper valutare la situazione. Serve a mettere in campo una strategia vincente per uscire dal tunnel. Quasi mezzo secolo fa, a schiantare il Friuli fu il sisma. Oggi, un terremoto di altro genere – ancora peggiore – sta frustando l’Italia, tutta quanta. I friulani non si lasciarono abbattere, allora. E non hanno l’aria di volersi arrendere nemmeno stavolta. E chissà che anche Varmo, nel suo piccolo, non possa fare storia.Il Varmo, piccolo affluente del Tagliamento, dà il titolo all’omonima novella di Ippolito Nievo: gli intrecci dell’umanità minuta (fine Ottocento) vivono di vita propria, grazie alla magia del paesaggio a cui ciascuno sente di appartenere. Sempre a Varmo sono ambientati due romanzi, “La casa a nord-est” e “La stazione di Varmo”, di Sergio Maldini, amico del giovane Pasolini e poi di Dino Buzzati. Il terzo romanzo potrebbe scriverlo, delibera su delibera, lo stesso Massimo Della Siega, rubando un po’ di tempo ai suoi pazienti all’ospedale. L’impegno degli italiani – oggi, in piena Era del Covid – ha un sapore inevitabilmente diverso: il paese intero è finito in terapia intensiva insieme alla sua economia, e la politica non sta certo meglio. Proprio il Comune resta la prima trincea, immediata, in cui è possibile incidere: non contro qualcuno, ma per ottenere qualcosa che faccia bene a tutti. E’ il dono più prezioso, in fondo: la consapevolezza di essere una comunità pienamente democratica, dove nessuno deve restare indietro. Le regole generali sono da riscrivere? Certo, ma occorre tempo. In municipio, invece, l’impresa è a portata di mano: si può cominciare da subito. Basta guardarsi negli occhi, per capire – insieme – da dove ripartire.(Giorgio Cattaneo, 5 settembre 2020).«La notizia peggiore forse è questa: molte famiglie, qui in paese, quest’anno non avranno i soldi per iscrivere i figli all’università. E questo significa una sola cosa: tagliare il futuro, e dire addio a quel che resta dell’ascensore sociale». Il paese in questione è Varmo, nella piana friulana a meno di venti chilometri dal mare, sulla riva sinistra del Tagliamento, a metà strada tra Udine e Pordenone. Un borgo duramente colpito dal terremoto del 1976 e poi rifiorito, come molti altri, grazie alla proverbiale, silenziosa tenacia dei friulani. E’ di poche parole anche l’uomo che potrebbe diventarne il sindaco: Massimo Della Siega, 56 anni, odontoiatra e medico ospedaliero (in prima linea – durante il lockdown – tra i malati di Covid). Un evento rovinoso, destinato a cambiare la storia. Ma non per sempre: «Pur mantenendo la doverosa prudenza che la situazione impone – dice il medico – oggi abbiamo il dovere di osservare la realtà attuale: clinicamente il virus non è più la minaccia di qualche mese fa. Quindi è ora di rimboccarci le maniche e ricominciare a vivere, senza più stare ad ascoltare chi vorrebbe prolungare all’infinito il clima di emergenza e di paura, che poi è quello che ha prodotto il disastro economico che ora l’Italia intera dovrà affrontare».
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Colao e Conte, guerra a 600 sindaci: vietato opporsi al 5G
«Ci sono le prove: pistola fumante, mandante ed esecutore. Un governo che toglie poteri ai sindaci per assecondare le aziende, fa l’interesse della lobby e non certo dei cittadini». Maurizio Martucci commenta così la decisione del governo Conte di “disarmare” i sindaci italiani: non potranno più opporsi all’installazione delle antenne 5G. Il wireless di quinta generazione (bloccato in paesi come la Svizzera e la Slovenia) resta controverso: molti scienziati temono che possa incidere in modo pericoloso sulle cellule umane, e chiedono almeno tre anni di test per poter sciogliere gli interrogativi più preoccupanti. A quanto pare, invece, il governo italiano ha fretta: «Colao ordina, Conte esegue», sintetizza Martucci su “Oasi Sana”. «In fondo, cos’altro potevamo aspettarci da una task force in smart working londinese pensata (apparentemente) per gestire l’emergenza pubblica del Covid-19, finita invece per appagare i target del business privato delle multinazionali?». Sotto accusa il decreto “Semplificazioni”, che include 40 grandi opere. «Tra queste, come ordinato dal top manager del wireless Vittorio Colao, un’accelerazione sul 5G nella mannaia censoria per tappare la bocca ai sindaci dei quasi 600 Comuni d’Italia». Sindaci che invocano il principio di precauzione. E dunque: divieto di installazione delle nuove antenne e moratoria sul 5G.Il dossier, ricorda Martucci, è stato contestato da 20.000 cittadini scesi in piazza in 50 città italiane nella giornata di mobilitazione indetta dall’Alleanza Italiana Stop 5G. «Il problema di Colao-Conte sono diventati i sindaci che difendono la salute pubblica contro i pericoli dell’irradiazione di quinta generazione», insiste Martucci. Il nuovo decreto prevede infatti una sorta di deregolamentazione per l’installazione di nuove stazioni radio, impedendo ai Comuni di adottare regolamenti specifici. La normativa, riassume “Oasi Sana”, riformula la legge quadro del 2001 sulla protezione dalle esposizioni ai campi elettromagnetici. E soprattutto «ostacola i sindaci, ai quali si vuol impedire di emanare ordinanze “Stop 5G”». Il governo naturalmente parla del «completo dispiegamento del piano strategico nazionale della banda ultra-larga», inlcusa quindi «la piena diffusione della tecnologia 5G». Oggi la normativa in vigore lascia che siano i Comuni a normare i termini per il rilascio dei permessi. L’implementazione delle nuove reti, si legge nel decreto, «può essere agevolata dalla riduzione di tali termini massimi di durata del procedimento di rilascio delle autorizzazioni».L’emendamento proposto, afferma il documento governativo, intende quindi «superare le criticità attuali». Come? «Attraverso la semplificazione (riduzione dei termini, unitamente alla loro certezza) dei procedimenti per l’ottenimento delle autorizzazioni». E i Comuni? «Possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici». Ma non potrebbero più opporsi all’installazione delle antenne: il governo parla infatti di «esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio». Esclusa anche la possibilità di «incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato». Duro il commento del dottor Agostino Di Ciaula, medico e presidente del comitato scientifico di Isde Italia, “Medici per l’ambiente”: «Si tratta di un obbligo di esposizione al rischio, imposto per legge». Spiega: «Numerosi sindaci sono consapevoli dei rischi legati al 5G e stanno utilizzando i pochi strumenti che la legge mette loro a disposizione per tutelare al meglio la salute pubblica».Questi 600 primi cittadini italiani, aggiunge Di Ciaula, «stanno dimostrando di essere gli unici a sentire la responsabilità del ruolo istituzionale che rivestono, e questo atteggiamento è un chiaro fastidio per la lobby della radiotelefonia». Fino a ieri, Di Ciaula considerava il “piano Colao” come una proposta «iperliberista e pericolosa per la democrazia e per i diritti costituzionali». Oggi invece si scopre che il governo Conte, sulla scorta di quel piano, «intende amputare traumaticamente le già scarse possibilità di intervento dei sindaci». La bozza del decreto accenna alla modificazione dell’attuale disciplina che prevede che i Comuni possano minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici? «Sono pronto a scommettere che il passo successivo sarà l’imposizione dell’aumento degli attuali limiti di legge», afferma Di Ciaula. «Uno schiaffo, per chi crede ancora che le scelte politiche debbano essere prese guardando all’interesse pubblico, ponendo in cima alla lista delle priorità la tutela della democrazia e della salute. Una dimostrazione di arroganza del potere che dovrebbe suscitare indignazione nella maggior parte degli italiani».«Ci sono le prove: pistola fumante, mandante ed esecutore. Un governo che toglie poteri ai sindaci per assecondare le aziende, fa l’interesse della lobby e non certo dei cittadini». Maurizio Martucci commenta così la decisione del governo Conte di “disarmare” i sindaci italiani: non potranno più opporsi all’installazione delle antenne 5G. Il wireless di quinta generazione (bloccato in paesi come la Svizzera e la Slovenia) resta controverso: molti scienziati temono che possa incidere in modo pericoloso sulle cellule umane, e chiedono almeno tre anni di test per poter sciogliere gli interrogativi più preoccupanti. A quanto pare, invece, il governo italiano ha fretta: «Colao ordina, Conte esegue», sintetizza Martucci su “Oasi Sana“. «In fondo, cos’altro potevamo aspettarci da una task force in smart working londinese pensata (apparentemente) per gestire l’emergenza pubblica del Covid-19, finita invece per appagare i target del business privato delle multinazionali?». Sotto accusa il decreto “Semplificazioni”, che include 40 grandi opere. «Tra queste, come ordinato dal top manager del wireless Vittorio Colao, un’accelerazione sul 5G nella mannaia censoria per tappare la bocca ai sindaci dei quasi 600 Comuni d’Italia». Sindaci che invocano il principio di precauzione. E dunque: divieto di installazione delle nuove antenne e moratoria sul 5G.
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Il sindaco di Lione: fermiamo la Tav, non serve a nessuno
Funziona così: qualcuno dimostra che la linea Tav Torino-Lione è completamente inutile, ma i poteri decisionali se ne infischiano. Sono più di vent’anni che va avanti in questo modo, la storia edificante dell’alta velocità italo-francese: una vera lezione, per chi crede ancora nella democrazia. Una vicenda surreale, che ricorda quella del mitico Ponte sullo Stretto: la grande opera più folle della storia. La differenza, sulle Alpi, la fanno i pochissimi chilometri di gallerie accessorie finora scavate, ben lungi dall’aver aperto il cantiere del traforo vero e proprio. Domanda: si può ancora fermare una maxi-opera come quella, che nascerebbe obsoleta per entrare in funzione solo nel 2050? «Non solo si può: si deve». L’ultimo a dirlo – dopo la Corte dei Conti Europea – è il neo-sindaco “verde” di Lione, Grégory Doucet, appena eletto primo cittadino della terza città di Francia. Testualmente: «Non bisogna insistere su un progetto sbagliato. È la scelta peggiore». La pensa così anche la grillina Chiara Appendino, sindaco di Torino: quella ferrovia-doppione non servirebbe a nessuno, visto che Torino è già ben collegata con Lione attraverso la linea internazionale Torino-Modane che unisce il Piemonte alla Savoia percorrendo la valle di Susa. I binari valicano le Alpi al Traforo del Fréjus, di recente ammodernato (400 milioni di euro) per consentire anche il transito di treni che trasportano Tir e grandi container “navali” della massima pezzatura.Nell’intervista alla “Stampa” pubblicata il 1° luglio, Doucet si schiera con la collega torinese: «Fra le nostre due città esiste già un’infrastruttura ferroviaria, che è sufficiente, ed è su quella che dovremmo investire». Aggiunge il sindaco lionese: «La Francia ha iniettato troppi pochi fondi sul trasporto merci su rotaia a livello nazionale. E ora vogliono farci credere che con la Tav rilanceremo l’attività. Ma è assurdo». Secondo Doucet, «se valorizzata, la linea già esistente è sufficiente per i treni che vi devono circolare». Riassumendo: «Ecco, investiamo prima lì e nel resto della Francia». La Torino-Lione? No, grazie: «Bisogna fermare la Tav». Il sindaco francese rivendica così il diritto di esprimere la sua opinione, «visto che – dice – sono alla guida della mia città». Ma c’è un particolare determinante: saranno solo i governi di Parigi e Roma, insieme alle istituzioni europee, a decidere davvero sul futuro della linea Tav più controversa della storia. La sua inutilità è ormai leggendaria: lo confermano centinaia di pagine, studi tecnici autorevolissimi sollecitati dal movimento NoTav nel corso degli anni, consultando i migliori “trasportisti” italiani ed europei. Altro aspetto del problema, di segno opposto: la protesta dei NoTav ha assunto toni esasperati, tali da spiazzare l’opinione pubblica. Recenti video immessi sui social mostrano militanti che “assediano” poliziotti sorpresi a Susa in una pizzeria, definendoli “truppe di occupazione” e intimando loro di “lasciare la valle”.Tutto questo – a cominciare dai violenti scontri del 3 luglio 2011, poi replicati da forti tensioni l’anno seguente – aiuta sicuramente i fautori del progetto a non parlare più dell’infrastruttura, ma solo dei problemi di ordine pubblico (spesso deformati e ingigantiti dai media). Il guaio è che i problemi di fondo restano, tali e quali. Nel 2005, con una rivolta popolare nonviolenta guidata dai sindaci in fascia tricolore, la popolazione della valle di Susa riuscì a scongiurare l’apertura del primo cantiere, a Venaus. Da allora, i proponenti non ha mai risposto alle domande dei NoTav, preferendo demonizzare il movimento. Nessuno ha ancora mai spiegato, in modo chiaro, le ragioni per cui un’opera così costosa – decine di miliardi – dovrebbe essere realizzata, visto che esiste già un collegamento ferroviario Torino-Lione. Se poi si pensa ai guai dell’Italia alle prese con il Covid (e con la drammatica mancanza di fondi per risollevare l’economia), è ovvio che l’inutile Torino-Lione dovrebbe essere l’ultimo dei pensieri, dalle parti di Palazzo Chigi. Ora ci si mette anche il sindaco di Lione, a remare contro? E’ un duro colpo, ma non è il primo. Finora, il “partito” del Tav non ha mai voluto sentir ragioni: come un disco rotto, da vent’anni ripete che quell’infrastruttura va fatta, punto e basta.Si tratta di una storia in cui abbondano anche gli aspetti comici. In origine (anni Ottanta, addirittura), la linea era stata pensata per i passeggeri. Ma l’avvento dei voli low-cost l’ha resa completamente superflua. La stessa Unione Europea ha cancellato le tratte strategiche: la Torino-Lione doveva far parte del “corridoio 5″ destinato a unire Kiev a Lisbona. Una direttrice rimasta fantasma: boicottata dal Portogallo, ridimensionata dalla Spagna, avversata da Slovenia e Ungheria. Cancellata la lavagna, la Torino-Lione è ricomparsa (in piccolo) come segmento della nuova rete europea Ten-T, pensata per le merci, sostenuta però con poca convinzione da Bruxelles e lasciata quasi senza fondi. Italia e Francia, vincolate da un antico impegno reciproco, hanno finora stanziato un bel po’ di denari per avviare, se non altro, gli scavi preliminari e le opere accessorie. Il tunnel – 57 chilometri – è ancora interamente da scavare. I sindaci di Torino e Lione, le due città “capolinea”, non lo vogliono? Pazienza: non sarà il loro “niet”, si presume, a fermare quella spaventosa, inutile emorragia di miliardi: dal Pd a Forza Italia, dalla Lega a Fratelli d’Italia, tutto il Parlamento italiano marcia amorevolmente unito (come sempre, sulle cose che contano) sulla via di Lione. E se sono miliardi buttati, chi se ne importa: il grande affare coinvolge cordate influenti, bancarie e non solo, che non è prudente scontentare.Funziona così: qualcuno dimostra che la linea Tav Torino-Lione è completamente inutile, ma i poteri decisionali se ne infischiano. Sono più di vent’anni che va avanti in questo modo, la storia edificante dell’alta velocità italo-francese: una vera lezione, per chi crede ancora nella democrazia. Una vicenda surreale, che ricorda quella del mitico Ponte sullo Stretto: la grande opera più folle della storia. La differenza, sulle Alpi, la fanno i pochissimi chilometri di gallerie accessorie finora scavate, ben lungi dall’aver aperto il cantiere del traforo vero e proprio. Domanda: si può ancora fermare una maxi-opera come quella, che nascerebbe obsoleta per entrare in funzione solo nel 2050? «Non solo si può: si deve». L’ultimo a dirlo – dopo la Corte dei Conti Europea – è il neo-sindaco “verde” di Lione, Grégory Doucet, appena eletto primo cittadino della terza città di Francia. Testualmente: «Non bisogna insistere su un progetto sbagliato. È la scelta peggiore». La pensa così anche la grillina Chiara Appendino, sindaco di Torino: quella ferrovia-doppione non servirebbe a nessuno, visto che Torino è già ben collegata con Lione attraverso la linea internazionale Torino-Modane che unisce il Piemonte alla Savoia percorrendo la valle di Susa. I binari valicano le Alpi al Traforo del Fréjus, di recente ammodernato (400 milioni di euro) per consentire anche il transito di treni che trasportano Tir e grandi container “navali” della massima pezzatura.