Archivio del Tag ‘smarrimento’
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Magaldi: Salvini abbaia ma non morde, proprio come l’Italia
Povera patria, cantava Battiato, ai tempi in cui il radar stava per inquadrare lo sfacelo di Tangentopoli e i rottami delle auto di Falcone e Borsellino, mentre su RaiTre i vari Ghezzi e Guglielmi scavavano tra le macerie civili nella vana speranza di rintracciare qualcosa che potesse somigliare a un umanesimo post-comunista. Nel frattempo – lontano dagli occhi, e dal cuore – l’altra sinistra, quella di potere, si accingeva a svendere segretamente l’Italia, impiccandola al “vincolo esterno” di Maastricht che l’avrebbe ridotta a colonia minore, docile preda dell’asse franco-tedesco. Quasi trent’anni dopo, sostituiti gli attori, il copione ripropone la stessa canzone. Povera patria, e povero Salvini: ridotto a farsi applaudire da un antagonista da salotto come Diego Fusaro per la ridicola crociata contro la cannabis light, dopo aver lisciato il pelo, a Verona, ai cultori dell’archeologia familistica pre-moderna, reazionaria, ottusamente tradizionalista. «Non ne azzecca più una, il leader della Lega». E dove sarebbe la notizia? Perché mai dovrebbero interessarci, le avvisaglie di declino che sfiorano il Capitano? Semplice: perché è stato l’unico, in questi anni, a mettere a fuoco il problema del paese, il vero avversario. Ma il suo attuale smarrimento fotografa alla perfezione la fragilità del sistema-Italia di fronte all’ostacolo – sempre lo stesso – che condanna la penisola alla depressione sociale ed economica.Non si smuove di un millimetro l’impero abusivo di Bruxelles, dominato da lobbisti travestiti da statisti. L’altra notizia è che la situazione sta peggiorando a vista d’occhio. E il governo gialloverde non sa che pesci pigliare, non avendo osato sfidare gli oligarchi tenendo duro almeno sulla richiesta di deficit. Povero Salvini, comunque: tacciato di xenofobia, pur essendo stato l’unico a far eleggere un senatore di origine africana. Lo hanno anche accusato di fascismo per il libro pubblicato dall’editrice vicina a CasaPound, sfrontatamente cacciata dal Salone del Libro di Torino – strano posto, dove si fa la guerra (elettorale) a un’azienda, anziché eventualmente lasciar procedere i magistrati (nel caso, per apologia di fascismo) contro la discutibile sortita verbale, individuale, di uno dei suoi responsabili. E a proposito di Torino: quante volte il Salone dell’Ipocrisia ha ospitato editori e autori dichiaratamente comunisti, quindi teoricamente altrettanto ostili, sulla carta, all’orizzonte culturale e antropologico della democrazia liberale? Ne ha per tutti, Gioele Magaldi, nell’osservare il caos che domina la vigilia delle europee: «Elezioni perfettamente inutili», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt, che annuncia che diserterà le urne. Motivo: impossibile sperare in un voto utile. Tutto resterà come prima, nelle mani del neoliberismo di regime incarnato da Ppe e Pse.Da una parte c’è il mostruoso e grottesco Juncker, che – in spregio di qualsiasi etica e decenza democratica – già annuncia che “i populisti” saranno tenuti lontani dai ruoli-chiave, a prescindere dal risultato della consultazione. All’ombra di Juncker siede l’altrettanto imbarazzante Moscovici, il “signor no” del deficit italiano, in conferenza stampa con l’ectoplasmatico Gentiloni, alter ego dell’impalpabile Zingaretti. A loro va bene così: con l’Italia che “subisce ancora”, come Fantozzi, votata – per una assurda maledizione – a non crescere, a restare sottomessa e depressa, a non guarire mai. Ma chi fronteggia l’impostura? In campo ci sono (rumorosamente) soltanto loro, i cosiddetti sovranisti, cioè la pessima compagnia che si è scelto Matteo Salvini: «I primi a opporsi all’Italia quando chiedeva più deficit sono stati proprio Polonia e Ungheria, gli alleati teorici della Lega», fa notare Magaldi, che nel bestseller “Massoni” ha disegnato la mappa segreta del potere mondialista, interamente massonico, che ha progettato questa globalizzazione senza diritti che stiamo tutti scontando, italiani senza lavoro e giovani senza futuro, aziende sull’orlo del fallimento, professionisti costretti a mendicare pagamenti che non arrivano mai.Sovranismo contro globalismo? Falsa dicotomia, checché ne pensi l’ex ideologo grillino Paolo Becchi: non contano le dimensioni del sistema, le sue frontiere, ma le modalità di gestione – democratiche oppure oligarchiche, progressiste o conservatrici (alzi la mano chi vorrebbe vivere nella Corea del Nord, paese teoricamente ultra-sovranista). E il nostro Salvini? S’è perso per strada, prima ancora di cominciare: «Abbaia, ma non morde», dice Magaldi. In questo, ricorda sinistramente l’altro Matteo, il Renzi che – a parole – sembrava sul punto di resuscitare l’Italia, opponendosi agli abusi della subdola tecnocrazia europea. In un attimo, è passato dal 40% agli scantinati della politica, tra gli ex. Potrebbe succedere anche al condottiero leghista: l’imboscata sleale di Di Maio e Conte – decapitare Armando Siri, per offrire una stampella moralistica ai 5 Stelle in pieno panico pre-elettorale – è già costata un 6% di consensi, alla Lega, almeno stando ai sondaggi. Su Siri, Magaldi è indignato: il sottosegretario doveva restare al suo posto, essendo solo indagato. «Salvini doveva difenderlo a oltranza. E invece cosa ha fatto? Al solito: ha abbaiato, minacciando sfracelli, ma poi ha ingoiato il rospo anche stavolta, incassando una sconfitta bruciante». Un guerriero di latta, il cui consenso si sta mostrando pericolosamente effimero e friabile.«Salvini sa benissimo che è Bruxelles, che dovrebbe mordere, e non i negozi di cannabis terapeutica: queste battaglie tragicomiche le lasci a Fusaro, e spenda meglio il suo tempo. Pensi all’Italia, alla crisi che sta azzannando il paese». Già, la grande crisi che tutti fingono di non vedere. Fino a ieri, se non altro, Salvini la indicava senza ipocrisie: è riuscito a piazzare al Senato un economista keynesiano come Alberto Bagnai. Dopodiché, nebbia in Val Padana. «Oltre ad aver ceduto di fronte al diktat di Bruxelles sul deficit, che avrebbe fatto crescere il Pil riducendo l’incidenza del debito – argomenta Magaldi – il governo gialloverde non ha neppure preso in considerazione la proposta che l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, avanza da anni: creare moneta parallela, non a debito e perfettamente ammessa dal Trattato di Lisbona, per aggirare la scarsità artificiosa di liquidità che affligge l’Eurozona e creare quei posti di lavoro di cui l’Italia ha drammaticamente bisogno».Infrastrutture strategiche, servizi, welfare, sicurezza del territorio. Servono soldi, che però l’élite neo-feudale non vuole che si spendano: la fine della crisi sarebbe anche la fine dell’attuale potere oligarchico, basato sulla precarizzazione del lavoro. Il piano avanza da anni, implacabile: tagliare i viveri allo Stato per costringerlo ad alzare le tasse, comprimere i salari e colpire i consumi. Amputare il welfare significa spremere il paese, spingendolo a erodere i risparmi. Il cielo si chiude: rassegnazione. Meno opportunità, meno diritti. Le elezioni? Non contano: lo dice Juncker, spettrale tecnocrate al quale Fabio Fazio, sulla Rai, stende il tappeto rosso. Se la ride, l’oligarca del Lussemburgo (rinomato paradiso fiscale, per decenni), già sapendo che l’alleanza di piombo tra popolari e socialisti europei ridurrà le elezioni del 26 maggio a una lugubre barzelletta. Ci vuole ben altro, per rovesciare questi cialtroni: un programma rivoluzionario, radicale, che smonti le loro menzogne travestite da scienza economica e vendute al popolo bue come dogma di fede. Salvini, almeno lui, lo sa benissimo. Ed è per questo che è imperdonabile, oggi, il suo ostinarsi ad abbaiare – contro falsi obiettivi – senza mai decidersi a mordere davvero.(Il pensiero di Magaldi è sintetizzato in due interventi su YouTube, l’11 maggio in video-chat con Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, e il 13 maggio con Fabio Frabetti, conduttore di “Border Nights”. Dopo il recente convegno di Londra sul New Deal rooseveltiano di cui avrebbe bisogno l’Europa, i temi esposti da Magaldi – come risolvere la crisi italiana, affrontando finalmente l’oligarchia di Bruxelles – saranno alla base dell’assemblea che il 14 luglio, a Roma, darà vita al “Partito che serve all’Italia”, laboratorio politico che si candida a smascherare le ipocrisie e la mancanza di coraggio della politica italiana di fronte alle reali cause del malessere del paese).Povera patria, cantava Battiato, ai tempi in cui il radar stava per inquadrare lo sfacelo di Tangentopoli e i rottami delle auto di Falcone e Borsellino, mentre su RaiTre i vari Ghezzi e Guglielmi scavavano tra le macerie civili nella vana speranza di rintracciare qualcosa che potesse somigliare a un umanesimo post-comunista. Nel frattempo – lontano dagli occhi, e dal cuore – l’altra sinistra, quella di potere, si accingeva a svendere segretamente l’Italia, impiccandola al “vincolo esterno” di Maastricht che l’avrebbe ridotta a colonia minore, docile preda dell’asse franco-tedesco. Quasi trent’anni dopo, sostituiti gli attori, il copione ripropone la stessa canzone. Povera patria, e povero Salvini: ridotto a farsi applaudire da un antagonista da salotto come Diego Fusaro per la ridicola crociata contro la cannabis light, dopo aver lisciato il pelo, a Verona, ai cultori dell’archeologia familistica pre-moderna, reazionaria, ottusamente tradizionalista. «Non ne azzecca più una, il leader della Lega». E dove sarebbe la notizia? Perché mai dovrebbero interessarci, le avvisaglie di declino che sfiorano il Capitano? Semplice: perché è stato l’unico, in questi anni, a mettere a fuoco il problema del paese, il vero avversario. Ma il suo attuale smarrimento fotografa alla perfezione la fragilità del sistema-Italia di fronte all’ostacolo – sempre lo stesso – che condanna la penisola alla depressione sociale ed economica.
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Benvenuti nel nuovo medioevo della religione scientista
La scienza è fondata sul dubbio. Senza il dubbio, saremmo ancora tutti convinti che il sole giri intorno alla terra. I primi a introdurre il metodo scientifico furono considerati dei matti e perseguitati come eretici, perché mettevano in discussione le “verità consolidate” al tempo vigenti. Furono ridicolizzati, emarginati, perseguitati, condannati e non di rado anche uccisi, nel roboante applauso delle folle. Mille anni più tardi, abbiamo gli “scientisti”: persone di ogni età, estrazione sociale e livello di cultura formale che riducono la scienza ad una religione, una patologica caricatura di se stessa. Condividono e promuovono una fede cieca in qualcosa che definiscono “verità scientifica”, considerano matti e perseguitano come eretici tutti coloro che su di essa avanzano dei dubbi e li mettono in discussione. In questa nuova e triste religione, i medici e gli scienziati che difendono l’ortodossia diventano altrettanti profeti e vescovi, con masse di penitenti che demandano a questi loro nuovi sacerdoti la salvezza dei loro corpi e delle loro anime. Dai pulpiti televisivi i nuovi predicatori annunciano le pestilenze infernali: «L’aviaria vi colpirà, la peste suina cadrà su di voi, il morbillo ucciderà i vostri figli partendo da Disneyland e arrivando fino a Gardaland!».E in coro rispondono le masse: «Difendici dall’epidemia, oh gloriosa Scienza Ufficiale! Dacci oggi le nostre pillole colorate, allontana da noi queste terribili malattie, vaccina i nostri figli appena nati prima che il batterio luciferino entri in loro». Ora come allora, i medici e gli scienziati che pongono dubbi all’ortodossia vengono considerati traditori ed eretici; radiati, emarginati, derisi nel roboante applauso delle folle esattamente come mille anni or sono. Non è un mistero perché la scienza sia stata corrotta fino a trasformarsi in questa triste religione: pochissime persone hanno il coraggio di affrontare la responsabilità di esistere. L’idea che ci sia qualcuno, qualcosa, che dia un ordine all’esistenza è una consolazione enorme, archetipica. I bambini la cercano fisiologicamente nei genitori e, benché crescendo anagraficamente, la maggior parte degli individui non riesce a superare tale condizione. Per questo le religioni accompagnano da sempre la nostra specie, forniscono il surrogato necessario: un genitore celeste, estraneo ad errori e fraintendimenti, che ci rassicuri in massa dal terrore del vuoto.Quando però le religioni sfumano, le credenze si sgretolano, come è avvenuto negli ultimi mille anni, ecco che lo “scientismo” offre nuove sponde cui aggrapparsi. Un nuovo, freddo e rigoroso – ma perlomeno apparentemente solido – ordine esistenziale che plachi il terrore dello smarrimento. Il medioevo ci ha raggiunti di nuovo, sostituendo il saio con un camice da laboratorio, la gogna fisica con quella mediatica, la bibbia con i “dati ufficiali”, le chiese con i media. I nuovi sacerdoti e inquisitori, medici e scienziati “di sistema”, difendono l’ortodossia scientista con la stessa arroganza, la medesima ottusa spietatezza dei loro predecessori, ma con regole e liturgie rinnovate. Le masse di spaventati, furiosi, manovrati, sfruttati e del tutto inconsapevoli fedeli, invece, sono sempre le stesse.(Stefano Re, “Benvenuti nel nostro glorioso neo-medioevo scientista”, dalla pagina Facebook di Re del 29 giugno 2017).La scienza è fondata sul dubbio. Senza il dubbio, saremmo ancora tutti convinti che il sole giri intorno alla terra. I primi a introdurre il metodo scientifico furono considerati dei matti e perseguitati come eretici, perché mettevano in discussione le “verità consolidate” al tempo vigenti. Furono ridicolizzati, emarginati, perseguitati, condannati e non di rado anche uccisi, nel roboante applauso delle folle. Mille anni più tardi, abbiamo gli “scientisti”: persone di ogni età, estrazione sociale e livello di cultura formale che riducono la scienza ad una religione, una patologica caricatura di se stessa. Condividono e promuovono una fede cieca in qualcosa che definiscono “verità scientifica”, considerano matti e perseguitano come eretici tutti coloro che su di essa avanzano dei dubbi e li mettono in discussione. In questa nuova e triste religione, i medici e gli scienziati che difendono l’ortodossia diventano altrettanti profeti e vescovi, con masse di penitenti che demandano a questi loro nuovi sacerdoti la salvezza dei loro corpi e delle loro anime. Dai pulpiti televisivi i nuovi predicatori annunciano le pestilenze infernali: «L’aviaria vi colpirà, la peste suina cadrà su di voi, il morbillo ucciderà i vostri figli partendo da Disneyland e arrivando fino a Gardaland!».
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Dope, squallore tossico: così Pinocchio si trasforma in asino
L’uomo è bravissimo a crearsi l’Inferno. Lo vediamo già nell’intimità del singolo: il suo grado di felicità dipende direttamente dagli influssi che lascia entrare o che lascia crescere nel teatro della mente. Lo percepiamo ancora di più nella collettività: quando stati mentali simili si uniscono vengono create gabbie di concretezza. Il tema “droga” esemplifica appieno quanto stiamo dicendo. Chi l’assume decide consciamente o inconsciamente di scendere nel suo proprio inferno, di perdersi in una degenerazione progressiva. E anche quando confonde l’eccitazione con la lucidità, non fa altro che dileguare il suo senso animico dietro le coltri dell’apparenza, fino a quando la trasformazione asinina non è completa (si torni a leggere Pinocchio). Anche a livello collettivo il teatro-droga genera inferni di cui potremmo tranquillamente fare a meno. Eppure diventano così concreti e pressanti da incidere come uno scalpello nel tessuto di interi popoli, di intere generazioni. E il tutto è un ologramma di cui non ci sarebbe, umanamente, alcuna necessità.“Dope”, Netflix. Un documentario a episodi che andrebbe mostrato nelle scuole: lo squallore del mercato della droga e di chi ne fa uso, la distruzione del tossicodipendente, l’ottusità della polizia, la criminalità del mercato. Il tutto in una guerra che da decenni miete milioni di vittime. Una guerra che potrebbe terminare domani legalizzando e informando. Ma la guerra alla droga è soprattutto teatro, una pantomima che genera i fondi neri indispensabili per i deep state celati dietro i governi ufficiali. L’idea di trasformare in qualcosa di figo l’uso degli stupefacenti è la ciliegina sulla torta che fa leva sulla facile suggestionabilità di ogni essere umano.In “Dope” si sta lontani dalla mitizzazione epica creata da serie come “Breking Bad”, “Narcos” o “The Ozark”. Là non si vedono quasi mai gli effetti, si disquisisce della tenzone, del confronto guerresco tra bande o tra personalità. “Dope” è invece un documentario che mostra i drogati sulle strade, ne mostra l’abbruttimento e la progressiva disumanizzazione. Gli stessi poliziotti ammettono che è una guerra che nessuno potrà vincere. È un gioco che viene tenuto in piedi, c’è chi deve fare la guardia e chi deve fare il ladro, la gente muore, i ruoli vengono interpretati da nuovi attori e tutto procede. Chi tiene al futuro della nostra società dovrebbe fare un unico atto per essere davvero un rivoluzionario: smettere di farsi.(Paolo Mosca, “Dope, lo squallore tossico”, dal blog “Mosquicide”, gennaio 2018).L’uomo è bravissimo a crearsi l’Inferno. Lo vediamo già nell’intimità del singolo: il suo grado di felicità dipende direttamente dagli influssi che lascia entrare o che lascia crescere nel teatro della mente. Lo percepiamo ancora di più nella collettività: quando stati mentali simili si uniscono vengono create gabbie di concretezza. Il tema “droga” esemplifica appieno quanto stiamo dicendo. Chi l’assume decide consciamente o inconsciamente di scendere nel suo proprio inferno, di perdersi in una degenerazione progressiva. E anche quando confonde l’eccitazione con la lucidità, non fa altro che dileguare il suo senso animico dietro le coltri dell’apparenza, fino a quando la trasformazione asinina non è completa (si torni a leggere Pinocchio). Anche a livello collettivo il teatro-droga genera inferni di cui potremmo tranquillamente fare a meno. Eppure diventano così concreti e pressanti da incidere come uno scalpello nel tessuto di interi popoli, di intere generazioni. E il tutto è un ologramma di cui non ci sarebbe, umanamente, alcuna necessità.
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Medusa è il potere: se lo guardi ti pietrifica, succede a tutti
Per poter gestire la cosa pubblica bisogna essere formati, e formati molto bene. Questo gli antichi lo sapevano, ci hanno avvertito, ma è un sapere che ci è stato completamente tolto. Il potere è una delle cose più pericolose da maneggiare. Non si presenta mai come tale, ma indossa sempre dei panni – di prestigio, ambizione, ascendente, reputazione, carisma, decisione. Ha sempre una maschera, e i greci lo sapevano bene: il mito della Medusa lo descrive molto bene. La Medusa era il potere, il nome si riferisce a colei che domina, sovrana, ed è una combinazione tra umano e bestiale tra le più terrifiche. Insieme a Steno e Euriale è una delle tre Gorgoni. Secondo il mito, avevano il potere di pietrificare chiunque avesse incrociato il loro sguardo. E, delle tre, Medusa era l’unica a non essere immortale. Solitamente venivano rappresentate con le ali d’oro, le mani con artigli di bronzo, il volto leonino, zanne da cinghiale, orecchie allargate – gli attributi simbolici di tutte le metafore zoomorfe del potere. E il loro potere mortale era nello sguardo. La Medusa era tutta mostruosa, ma concentrava negli occhi la sua arma fondamentale: fissare la Medusa significava perdersi, trasformarsi in pietra dura, opaca.Cosa voleva dire, il mito? Attenzione: il potere possiede quasi un incantesimo. E quindi, nel momento in cui tu guardi e non sei formato, non sei protetto, perdi te stesso. Perdi la tua capacità di guardare, di avere uno sguardo proprio, di appartenerti. La Medusa è disumana, ed è in grado di disumanizzare chi vi entra in relazione. E infatti chi uccide la Medusa? Perseo, perché è formato e protetto: ha lo scudo di Atena, i calzari alati offerti da Ermes. Perseo è colui che doma le potenze infere, la natura selvaggia del potere. La conoscenza non è altro che scudo e consapevolezza: solo chi è formato può resistere al potere, può andare in un posto di potere e non perdersi, una volta raggiunto il potere. Se non sei formato, puoi essere anche la persona con le migliori intenzioni del mondo, ma verrai pietrificato.Tanto è forte, questo insegnamento, che addirittura a Dante, nel nono canto dell’Inferno, quando incontra le Gorgoni, Virgilio dice di chiudere gli occhi; non sicuro che Dante tenga davvero gli occhi chiusi, gli chiude gli occhi lui stesso, con le mani, perché sa che le Gorgoni sono pericolosissime. Virgilio mette proprio le mani sugli occhi di Dante e gli dice: volgiti indietro e tieni il viso chiuso, perché se la Gorgona si mostrasse e tu la vedessi, nulla potrebbe più tornare come prima, saresti perso per sempre. E subito dopo c’è quel famoso verso, che poi ognuno interpreta un po’ come vuole, dove Dante, appena dopo l’avvertimento di Virgilio, dice: “O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ‘l velame de li versi strani”. Come dire: se un giorno avrai intenzione di ricoprire una carica importante, e quindi andare in un posto di potere a fare determinate cose, potrai essere la persona migliore del mondo e avere le intenzioni migliori del mondo, ma se non sei formato sarà un disastro, per te ma soprattutto per gli altri.Noi oggi questo non lo sappiamo, e quindi puntiamo sui giovani. Brave persone? Bene, ci fa piacere, ma sono anche adeguati? Bisogna essere formati, e bisogna avere esperienza. Siamo abituati a visitare New York sul computer; ma passeggiarci davvero, a piedi, è un’altra cosa. Queste sono tutte saggezze che a noi sono state tolte. Anzi, ci fanno credere il contrario: ci fanno credere che oggi il mondo dev’essere dei giovanissimi, e che a 25 anni sei già vecchio. “Largo ai giovani”, che non sono formati. E pur essendo persone meravigliose, quando arrivano in determinati posti vengono stritolati: si perdono. Questa è una saggezza tramandata ovunque, da Omero in poi, dal IX secolo avanti Cristo. Ma poi a noi hanno iniziato a cambiare il modello di insegnamento, perché noi non dovevamo più formare uomini, ma creare lavoratori.(Solange Manfredi, dichiarazioni rilasciate nel corso della diretta web-radio di “Forme d’Onda” del 4 maggio 2017).Per poter gestire la cosa pubblica bisogna essere formati, e formati molto bene. Questo gli antichi lo sapevano, ci hanno avvertito, ma è un sapere che ci è stato completamente tolto. Il potere è una delle cose più pericolose da maneggiare. Non si presenta mai come tale, ma indossa sempre dei panni – di prestigio, ambizione, ascendente, reputazione, carisma, decisione. Ha sempre una maschera, e i greci lo sapevano bene: il mito della Medusa lo descrive molto bene. La Medusa era il potere, il nome si riferisce a colei che domina, sovrana, ed è una combinazione tra umano e bestiale tra le più terrifiche. Insieme a Steno e Euriale è una delle tre Gorgoni. Secondo il mito, avevano il potere di pietrificare chiunque avesse incrociato il loro sguardo. E, delle tre, Medusa era l’unica a non essere immortale. Solitamente venivano rappresentate con le ali d’oro, le mani con artigli di bronzo, il volto leonino, zanne da cinghiale, orecchie allargate – gli attributi simbolici di tutte le metafore zoomorfe del potere. E il loro potere mortale era nello sguardo. La Medusa era tutta mostruosa, ma concentrava negli occhi la sua arma fondamentale: fissare la Medusa significava perdersi, trasformarsi in pietra dura, opaca.
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Mishra: l’età della rabbia, nell’Occidente senza più futuro
Un’arma letale nel cuore e nella mente di una gioventù cosmopolita smarrita e senza radici, in cerca di un senso alla sua esistenza, mentre scivoliamo verso quella che probabilmente sarà la più lunga tra le guerre mondiali. Ogni tanto ecco che esce un libro che strappa e rapisce lo spirito del tempo, che risplende con un diamante pazzo: “L’età della Rabbia” (The Age of Anger) di Pankaj Mishra, autore del ‘precursore’ “Dalle rovine dell’Impero”, potrebbe anche essere l’ultimo avatar. Considerate questo libro come l’ultima (concettualmente parlando) arma letale nei cuori e nelle menti di una gioventù smarrita cosmopolita alla ricerca di una vera ‘chiamata’, mentre scivoliamo verso la più lunga (“infinita”, direbbe il Pentagono) tra le guerre mondiali, una guerra civile globale (che nel mio libro del 2007 “Globalistan” definivo “guerra liquida”). In sostanza, Mishra (prodotto perfetto dell’Est che incontra l’Ovest) sostiene che è impossibile comprendere il presente se prima non riconosciamo quel malessere nostalgico di fondo che contraddice l’ideale del liberalismo cosmopolita – «la società commerciale cosmopolita di individui razionali egoisti» concettualizzata originariamente dall’Illuminismo di Montesquieu, Adam Smith, Voltaire e Kant.Alla fine il vincitore nella Storia è uno sterile concetto di bonario Illuminismo. Nella norma, avrebbero dovuto prevalere il razionalismo, l’umanesimo, l’universalismo e la democrazia liberale. Ma sarebbe stato «chiaramente troppo sconcertante», scrive Mishra, «riconoscere che la politica totalitaria abbia cristallizzato le correnti ideologiche (razzismo scientifico, razionalismo sciovinista, imperialismo, tecnicismo, politica estetizzata, ingegnerie sociali)» che già scuotevano l’Europa alla fine del 19 ° secolo. Quindi, evocando T.S. Eliot, per poter inquadrare «quel mezzo sguardo all’indietro, sopra la spalla, verso il terrore primivito» che alla fine ha condotto all’Ovest contro il Resto del Mondo, dobbiamo tornare ai precursori. “Distruggi il palazzo di cristallo”. Prendete Pushkin, “Eugene Onegin”, «il primo di molti ‘uomini superflui’ della narrativa russa», con il suo cappello Bolivar, che tiene stretti a sé una statua di Napoleone e un ritratto di Byron, come la Russia, che tenta di recuperare il suo ritardo con l’Occidente, «gioventù senza radici, prodotto di massa con una concezione quasi “byroniana” di libertà, gonfiata ulteriormente dal romanticismo tedesco».I migliori critici dell’Illuminismo dovevano per forza essere tedeschi o russi, in ritardo nella modernità politico-economica. Dostoevsky: la società dominata dalla guerra di tutti contro tutti, dove la maggioranza era condannata a perdere. Due anni prima di pubblicare il sorprendente “Memorie dal Sottosuolo” Dostoevskij, durante il suo viaggio in Europa occidentale, aveva già osservato una società dominata da una guerra di tutti contro tutti, dove la maggior parte era condannata a perdere. A Londra, nel 1862, al Salone Internazionale al Crystal Palace, Dostoevskij ebbe un’illuminazione («E ti arriva un’idea colossale…che il trionfo e la vittoria erano lì. Quasi inizi a temere qualcosa»). Per quanto stupito, Dostoevskij fu molto acuto nell’osservare quanto la civiltà materialista si nutrisse non solo del suo proprio fascino, ma anche della sua potenza militare e marittima.La letteratura russa finì con il cristallizzare il crimine casuale come il paradigma dell’individualità che assapora l’identità e afferma la propria volontà (che poi ritroviamo nel 20° secolo nell’icona beat William Burroughs, il quale sosteneva che sparare a caso sulla folla fosse per lui il massimo del brivido). La pista era aperta: le orde di “mendicanti dissoluti” (Beggars Banquet) potevano iniziare a bombardare il Crystal Palace – anche se, ci ricorda Mishra, «gli intellettuali al Cairo, a Calcutta, a Tokyo e a Shanghai leggevano Jeremy Bentham, Adam Smith, Thomas Paine, Herbert Spencer e John Stuart Mill», per comprendere il segreto in eterna espansione della borghesia capitalistica. E questo dopo che Rousseau, nel 1749, aveva posto la prima pietra della rivolta moderna contro la modernità, ora ridotta in mille schegge, in un deserto di echi contrastanti, mentre ritroviamo il Crystal Palace riflesso in mille ghetti luccicanti in tutto il mondo.“Illuminato: sei morto”. Mishra attribuisce l’idea del suo libro a Nietzsche che commentava l’epica querelle tra l’invidioso plebeo Rousseau e il sereno aristocratico Voltaire – il quale salutò la London Stock Exchange, quando divenne pienamente operativa, come una realizzazione secolare dell’armonia sociale. Ma alla fine fu Nietzsche che si oppose in maniera esemplare, come feroce detrattore sia del capitalismo liberale che del socialismo, rendendo l’allettante promessa di Zarathustra un magnetico Santo Graal agli occhi dei bolscevichi (Lenin, tuttavia, lo detestava), della sinistra di Lu Xun in Cina, dei fascisti, degli anarchici, delle femministe e delle orde di esteti scontenti. Mishra ci ricorda anche come «gli antimperialisti asiatici e i baroni ladroni americani hanno attinto a piene mani da Herbert Spencer, il primo pensatore veramente globale», che dopo aver letto Darwin coniò il mantra della “sopravvivenza del più adatto”. Nietzsche fu l’ultimo cartografo del Risentimento. Max Weber inquadrò profeticamente il mondo moderno come una “gabbia di ferro” da cui può sfuggire solo un leader carismatico. E l’icona anarchica Michail Bakunin, da parte sua, nel 1869 aveva già concettualizzato il “rivoluzionario” come colui che recide «ogni legame con l’ordine sociale e con l’intero mondo civilizzato… Lui è il suo nemico più spietato e continua ad esistere per un unico scopo: distruggerlo».Sfuggendo all’Incubo della Storia del Modernista Supremo James Joyce – dalla gabbia di ferro della modernità, appunto – è scoppiata in modo incontrollato e ben al di fuori dei confini dell’Europa una secessione militante viscerale, «da una civiltà fondata sul progresso graduale controllato da fiduciari liberal-democratici». Ideologie anche radicalmente contrarie sono comunque sorte in simbiosi dal vortice culturale del tardo 19° secolo, dal fondamentalismo islamico al sionismo, dal nazionalismo indù al bolscevismo, dal nazismo al fascismo e al rinnovato imperialismo. Non solo la seconda guerra mondiale, ma anche l’attuale finale di partita è stato brillantemente visualizzato nel 1930 dal tragico Walter Benjamin, quando già metteva in guardia contro l’auto-alienazione del genere umano, finalmente in grado di «provare nella propria distruzione il massimo piacere estetico possibile». Gli jihadisti di oggi in streaming fai-da-te non sono altro che la sua versione pop, mentre l’Isis tenta di proporsi come negazione estrema delle miserie della modernità (neo-liberale).“L’era del Risentimento”. Tessendo flussi coloriti di politica e di impollinazioni incrociate letterarie, Mishra si prende il suo tempo per impostare la scena del Grande Dibattito tra quelle masse del mondo in via di sviluppo – la cui esistenza è stata etichettata dall’Occidente Atlantista («storie di violenza ancora largamente riconosciuta») e dalle élite della modernità liquida (Bauman) che hanno ceduto alla quella selezionata parte del mondo a cui si attribuiscono, dopo l’Illuminismo, le più grandi scoperte e innovazioni scientifiche, filosofiche, artistiche e letterarie. Questo va ben al di là di un semplice dibattito tra Est e Ovest. Non riusciremo a comprendere l’attuale guerra civile globale, questo «mix intenso di invidia e senso di umiliazione ed impotenza» post-modernista, e post-verità, se non tentiamo di «smantellare l’architettura concettuale e intellettuale dell’Occidente vincitore nella storia», che deriva dalla storia ipertrionfalista dei successi americani. Anche al culmine della guerra fredda, il teologo statunitense Reinhold Niebuhr si beffava dei «tiepidi fanatici della civiltà occidentale» e della loro fede cieca nel fatto che ogni società è destinata ad evolversi come hanno fatto, a volte, una manciata di paesi occidentali. E questo – ironia! – mentre il culto liberale internazionalista del progresso scimmiottava platealmente il sogno marxista della rivoluzione internazionale.(Pepe Escobar, “L’erà della rabbia”, da “Asia Times” del 4 febbraio 2017, tradotto da “Skoncertata63” per “Come Don Chisciotte”).Un’arma letale nel cuore e nella mente di una gioventù cosmopolita smarrita e senza radici, in cerca di un senso alla sua esistenza, mentre scivoliamo verso quella che probabilmente sarà la più lunga tra le guerre mondiali. Ogni tanto ecco che esce un libro che strappa e rapisce lo spirito del tempo, che risplende con un diamante pazzo: “L’età della Rabbia” (The Age of Anger) di Pankaj Mishra, autore del ‘precursore’ “Dalle rovine dell’Impero”, potrebbe anche essere l’ultimo avatar. Considerate questo libro come l’ultima (concettualmente parlando) arma letale nei cuori e nelle menti di una gioventù smarrita cosmopolita alla ricerca di una vera ‘chiamata’, mentre scivoliamo verso la più lunga (“infinita”, direbbe il Pentagono) tra le guerre mondiali, una guerra civile globale (che nel mio libro del 2007 “Globalistan” definivo “guerra liquida”). In sostanza, Mishra (prodotto perfetto dell’Est che incontra l’Ovest) sostiene che è impossibile comprendere il presente se prima non riconosciamo quel malessere nostalgico di fondo che contraddice l’ideale del liberalismo cosmopolita – «la società commerciale cosmopolita di individui razionali egoisti» concettualizzata originariamente dall’Illuminismo di Montesquieu, Adam Smith, Voltaire e Kant.
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Carotenuto: i Maghi Neri non ci domineranno per sempre
Fa più rumore un albero che cade, lo sappiamo: l’immensa foresta cresce in silenzio. Oggi però di alberi ne cadono a migliaia, tutti i giorni. E’ un fragore spaventoso, che provoca smarrimento. Il che non è casuale: più che il legname, infatti, al taglialegna interessa proprio la paura che il crollo provoca. Guerre, disperazione, crisi economiche accuratamente progettate. Ma l’indotto globalizzato della strage quotidiana, il “core business del male”, non è nemmeno il lucro: l’obiettivo numero uno è lo scoraggiamento di massa, planetario. La resa dell’umanità. I trilioni di dollari contano, eccome – sono la lussuosa paga dei grandi mercenari, gli strumenti della “piramide oscura”. Al cui vertice però siedono tenebrosi “sacerdoti”, i Maghi Neri, il cui vero “fatturato” non è misurabile in denaro, ma in dolore. La loro missione: sabotare le connessioni vitali, amorevoli, tra persone e popoli. Da questa prospettiva, decisamente inconsueta, Fausto Carotenuto fotografa, a modo suo, il senso della grande deriva mondiale che stiamo vivendo, di cui spesso stentiamo a cogliere il significato. Ma non lasciamoci spaventare, aggiunge: se il frastuono è in aumento, se gli “architetti del buio” stanno “esagerando”, è perché cominciando ad avere paura del nostro risveglio.Fausto Carotenuto non è un guru della new age. E conosce bene le dinamiche del quadro geopolitico: per anni, è stato analista strategico dei servizi segreti italiani. Da tempo, ha intrapreso nuove esperienze, confluite nel network “Coscienze in Rete”. E ha scritto libri come “Il mistero della situazione internazionale”, che provano a tradurre anche la politica in termini spirituali: una dimensione inconfessabile, impresentabile a livello mainstream (sarebbe spernacchiata come grottesca surperstizione). Ma in realtà – sostiene l’autore – è l’unica prospettiva capace di spiegare fino in fondo l’attitudine dei “dominus”, la loro incrollabile e misteriosa vocazione al peggio. Carotenuto ricorre alle categorie simboliche dell’invisibile, evocando i due principi-cardine a cui si ispirerebbe la “piramide nera”: da un lato “Lucifero”, il demone della realtà illusoria, presentata come rifugio dorato, dove la coscienza “si addormenta” e smette di evolversi; e dall’altro “Arimane”, «il padrone della scena materiale», la cui missione consisterebbe nel «convincerci che non abbiamo spirito, che siamo solo animali evoluti», e quindi «fa di tutto per meccanizzarci, per legarci a vite prive di amore, abbacinate dal denaro, dai piaceri fisici, dal potere sugli altri».Queste due potenze, scrive Carotenuto, sono il vertice di una piramide – reale, concreta – fatta di uomini in carne e ossa. Sono i sommi sacerdoti e loro discepoli, che coordinano le “fratellanze oscure” e le organizzazioni trasversali, utilizzando schiere di mercenari puntualmente reclutati e profumatamente pagati per fare il “lavoro sporco”, senza averne neppure la piena consapevolezza. Ogni anello di questa catena infernale, sostiene l’autore, interpreta innanzitutto il ruolo del carnefice, per poi scoprirsi vittima a sua volta: le vite degli esponenti del massimo potere, a prima vista comode, sono in realtà tormentate da continue lotte: tutti i grandi boss sono avvelenati dalla paura di essere scalzati e privati degli smisurati privilegi conquistati con ogni mezzo. In altre parole: nessuno è davvero felice, lassù. Al punto che, sempre più spesso, si registrano autentiche ribellioni: eredi designati, rampolli di grandi famiglie ed ex “macellai” di lungo corso (dell’economia, della finanza, delle multinazionali) all’improvviso “vedono” la disperazione del sistema e la respingono, non essendo più disposti a restare complici della “piramide oscura”.Anche per questo, secondo Carotenuto, sta aumentando l’intensità della violenza a cui siamo sottoposti, fra disastri economici, guerre e terrorismo: l’élite “nera” teme di perdere la sua presa. E il suo declino, pronostica l’autore, potrebbe essere più rapido di quanto non s’immagini. Ma non sarà una passeggiata: il potere “nero” è un osso durissimo. A comiciare da loro, quelli che Carotenuto chiama Maghi Neri, cioè personalità votate al male: «Hanno ricevuto enormi fortune, grandissimi poteri». Magia, vera e propria: «Lunghi e ripetuti rituali, contro-iniziazioni», che nel corso della storia hanno reso questi individui «particolarmente acuti, di un’intelligenza fredda e metallica, priva di cuore». Godono del potere immenso che esercitano sull’umanità – che disprezzano, insieme al bene e alla libertà. Coadiuvati dai loro discepoli, continua Carotenuto, i Maghi Neri istruiscono le “fratellanze oscure”, ovvero «ristrette organizzazioni», non note ai più, che «praticano ritualità oscure», di tipo occultistico, «con l’uso intensivo di medium». Oltre ai mezzi ordinari, materiali, «dalla manipolazione agli omicidi» le “fratellanze oscure” «praticano attivamente la magia nera», nella quale hanno evidentemente la massima fiducia. Nella formazione degli adepti «viene spenta ulteriormente la forza dell’amore e vengono accentuate particolari doti, dell’intelligenza e dell’obbedienza».Spesso si tratta di giovani, «lanciati in carriere fulminanti», per arrivare a volte a diventare «consiglieri più o meno occulti di qualche eminente personalità», fino ad essere «investiti in prima persona nei grandissimi incarichi». Secondo Carotenuto, «il lavoro rituale fatto su di loro lascia spesso tracce esteriori visibili negli occhi, che acquistano una apparenza strana, priva di calore o vitrea». Occhi «dotati di una luce inquietante, o spenti». Non è una pagina della saga di Harry Potter. Ricorda da vicino certi film, come “L’avvocato del diavolo”, con Al Pacino e Keanu Reeves. Ma quella di Carotenuto non è fiction: anche se parla apertamente di magia (nera), la modalità narrativa è quella della saggistica. Le “fratellanze oscure”? Esistono, eccome. E funzionano proprio così, sostiene l’autore. «Si tratta probabilmente di qualche decina di organizzazioni segrete, presenti e attive ovunque nelle strutture del potere laico e di quello religioso». Sono queste organizzazioni che «predispongono e dirigono gli uomini che portano avanti in modo piuttosto consapevole le più forti operazioni di condizionamento dell’umanità: le contro-ispirazioni, gli attacchi alla natura umana, le guerre, il terrorismo».Tutto il resto è a valle, assicura l’ex analista geopolitico dell’intelligence: dalla Trilaterale al Council on Foreign Relations, dal Bilderberg all’Aspen Istitute, dal Club di Roma ai Rotschild, fino alla Goldman Sachs e alla super-massoneria deviata. La recente letteratura complottista punta il dito contro i gesuiti e l’Opus Dei, i Fratelli Musulmani, il B’nai B’rith israeliano? «Queste organizzazioni, misteriose ma note, sono sono al quinto livello della scala del potere oscuro», cioè «abbastanza in basso», vale a dire: «Meri esecutori, ben compensati per i loro servigi, con soldi e potere. Ma non sono loro a elaborare le grandi strategie del male». Restano agli ordini dei «livelli superiori», cioè «alcune centinaia di famiglie e organizzazioni». Gli uomini delle “fratellanze oscure” «ricevono spesso incarichi dirigenziali importanti nei principali settori del potere economico, politico, militare, religioso, culturale, scientifico, mediatico e malavitoso». Esecutori speciali, che «rispondono fedelmente agli uomini delle cerchie ristrette», da cui ricevono istruzioni, che applicano alla lettera, senza mai discuterle, per non perdere le posizioni acquisite.Quello degli esecutori disseminati nelle “fratellanze oscure”, sempre secondo Carotenuto, è un vero e proprio esercito: «Sono molte migliaia, in tutte le organizzazioni mondiali di potere, in tutti i settori. Capi e dirigenti importanti delle organizzazioni multinazionali fondamentali», dall’Onu al Fmi, dalla Banca Mondiale al Wto fino all’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Inlcusi «la maggior parte dei capi religiosi e dei capi di Stato e di governo». Leader di partito e capi delle multinazionali, vertici bancari e finanziari, senza contare l’impero dei mass media, la maggior parte dei servizi segreti e delle forze armate. Farebbero parte del sistema anche i maggiori responsabili dei principali gruppi religiosi, nonché i boss dei cartelli criminali mafiosi. «Vicino a loro c’è sempre almeno un emissario della cerchia ristretta, della “fratellanza”, da cui dipende il loro gruppo». E’ un uomo «al quale non si può dire di no, mai: nemmeno il presidente degli Stati Uniti può dire di no a un certo assistente o collaboratore, mai». A volte, aggiunge Carotenuto, il politico non capisce neppure perché gli viene ordinato di fare certe cose, in apparenza senza senso; ma obbedisce sempre, puntualmente premiato con «ricche porzioni di potere materiale».Più a valle ancora, nella serie di gironi danteschi rappresentati da Carotenuto, ci sono i semplici “mercenari” reclutati per singole missioni. E quindi – ultimo anello della catena – ci siamo noi, il resto dell’umanità: «Se non ci fossimo noi, coi nostri attuali comportamenti, a fare da base a ognuna di quelle piramidi, non esisterebbero neppure». L’autore le chiama “forme-impero”, “piramidi del male”. Tutti noi, inconsapevolmente, ne facciamo parte. Come? Lasciando che la nostra coscienza continui a dormire: «Tutti gli spazi della nostra vita non occupati dalla nostra coscienza, dalle nostre azioni e dai nostri pensieri vigili, in direzione del bene, della crescita della coscienza nostra e degli altri intorno a noi, sono il campo di manovra delle forze oscure. Ogni mancanza di amore e di coscienza, da parte nostra, è un mattone delle piramidi del male, che approfittano immediatamente delle nostre omissioni, delle nostre assenze, dei nostri egoismi». Basta poco: fidarsi di quello che il potere racconta, lasciarsi gestire, delegare ai “poteri oscuri” l’orientamento della nostra vita, delle nostre scelte anche politiche, del nostro lavoro, del nostro tempo. «Il loro potere deriva dal sangue che ci succhiano, che sono le nostre energie economiche, fisiche, vitali e psichiche. Ma siamo sempre noi a porgere il collo, inconsciamente, a queste vere e proprie “piramidi di vampiri”».Carotenuto le chiama anche “forze dell’ostacolo”: in apparenza soltanto negative, “demoniache”, ma in realtà – per quanto abominevoli – anch’esse funzionali, in ultima analisi, alla “strategia del risveglio” con cui, silenziosamente, l’umanità sarebbe alle prese. Solo lo stato di crisi, infatti, mobilita le risorse interiori, altrimenti dormienti. Il male, in funzione del bene: una visione filosofica tipicamente orientale, in Occidente abbracciata per lo più dalle correnti minoritarie, esoteriche, come il templarismo (San Bernardo che non uccide il diavolo, ma lo doma tenendolo al guinzaglio, incatenato). Il libro di Carotenuto sorvola sui nomi, preferendo uno sguardo prospettico e teorico. Non denuncia direttamente singoli “colpevoli”, ma descrive il meccanismo che li produce – e lo fa ricorrendo a una visione “animica”, di tipo spiritualistico, insistendo nella convinzione che (al di là dell’apparenza) proprio la dimensione spirituale sia quella dotata di maggiore concretezza, come il super-potere della “piramide” ben sa, assicura l’autore.Quelli a cui manca questa consapevolezza, invece, siamo proprio noi: non abbiamo ancora compreso l’immenso potenziale, anche pratico, di una forza non convenzionale chiamata “amore”, capace di prodigiosi contagi benefici – quelli che la “piramide oscura” teme così tanto, al punto da traumatizzarci anche col terrore diffuso, per spezzare le “reti invisibili, amorevoli”, destinate infine a vincere. E’ infatti questo il messaggio dell’autore: la “foresta” sarà anche silenziosa, ma ultimamente sta crescendo a ritmi inimmaginabili. Milioni di individui, dice Carotenuto, attraverso la condivisione di conoscenze ed esperienze solidali stanno espandendo in profondità la loro coscienza, verso un’evoluzione impensabile dell’umanità, senza più odio. Si avvicina la fine delle “forme-impero”, come Roma (il contario di Amor) trasformatasi in un altro impero, con l’alibi di una religione storicamente manipolata, modellata per riprodurre all’infinito lo schema del dominio, quello dei Maghi Neri? Carotenuto ci crede: il male è scatenato, nel mondo, e questo provoca ondate di angoscia e di egoismo. Ma le “armate bianche” – così le chiama – sono entrate in azione, e spingeranno ognuno di noi a sottrarsi al potere delle “piramidi oscure”, cambiando il modo di pensare la propria vita e cominciando ad amare il prossimo. Questo farà crollare l’architettura dell’inferno che ci tiene prigionieri della paura.(Il libro: Fausto Carotenuto, “Il mistero della situazione internazionale. Come portare la spiritualità in politica”, Uno Editori, 247 pagine, euro 16,90).Fa più rumore un albero che cade, lo sappiamo: l’immensa foresta cresce in silenzio. Oggi però di alberi ne cadono a migliaia, tutti i giorni. E’ un fragore spaventoso, che provoca smarrimento. Il che non è casuale: più che il legname, infatti, al taglialegna interessa proprio la paura che il crollo provoca. Guerre, disperazione, crisi economiche accuratamente progettate. Ma l’indotto globalizzato della strage quotidiana, il “core business del male”, non è nemmeno il lucro: l’obiettivo numero uno è lo scoraggiamento di massa, planetario. La resa dell’umanità. I trilioni di dollari contano, eccome – sono la lussuosa paga dei grandi mercenari, gli strumenti della “piramide oscura”. Al cui vertice però siedono tenebrosi “sacerdoti”, i Maghi Neri, il cui vero “fatturato” non è misurabile in denaro, ma in dolore. La loro missione: sabotare le connessioni vitali, amorevoli, tra persone e popoli. Da questa prospettiva, decisamente inconsueta, Fausto Carotenuto fotografa, a modo suo, il senso della grande deriva mondiale che stiamo vivendo, di cui spesso stentiamo a cogliere il significato. Ma non lasciamoci spaventare, aggiunge: se il frastuono è in aumento, se gli “architetti del buio” stanno “esagerando”, è perché cominciando ad avere paura del nostro risveglio.
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Benito Renzi, il Partito della Nazione e il bivacco di manipoli
“Il futuro è solo l’inizio” è l’inquietante slogan della Leopolda che esprime bene la pulsione di coloro che guidano il governo ad infrangere le barriere del presente per catapultare l’Italia in una nuova dimensione dove tutto è cambiato: le istituzioni, la società, lo Stato. E’ stato annunciato un “cambiamento violento”, un rovesciamento totale degli equilibri di potere, di assetti consolidati, di tradizioni politiche, che consentirà – secondo la narrazione dominante – di far ripartire l’Italia, di recuperare efficienza e funzionalità al sistema paese, schiacciando le resistenze corporative di sindacati, ceti professionali e corpi intermedi. In realtà i criteri che guidano i processi di riforme costituzionali ed elettorali corrispondono ad esigenze politiche, che si sono riaffacciate in varie occasioni nella vita delle nostre istituzioni; non sono delle novità, bensì delle costanti che riaffiorano nei momenti di gravi crisi economiche e di smarrimento morale. Quando ci viene annunziato un salto nel futuro, non possiamo guardare al futuro ignorando il passato da cui proveniamo. E non dobbiamo ignorare gli insegnamenti che abbiamo tratto dal passato.Fatte le dovute proporzioni, ci sono molte somiglianze fra la situazione attuale e le esperienze istituzionali che abbiamo vissuto in un passato non troppo lontano. Anche in quell’epoca il nostro paese era attanagliato da una grave crisi economica e da un ancor più grave smarrimento morale, dovuto alle inenarrabili sofferenze e alle mutilazioni che la guerra aveva provocato nel corpo sociale. C’era una diffusa insoddisfazione che si esprimeva con scioperi, manifestazioni e violenti conflitti fra opposte fazioni politiche. In questo contesto un leader politico ottenne la nomina a presidente del Consiglio, con una procedura extraparlamentare (che si svolse attraverso una sorta di primarie del manganello), promettendo un rinnovamento totale che avrebbe pacificato ogni conflitto e consolidato l’unità e la forza della nazione italiana. Questo giovane leader politico, che – come il nostro presidente – all’epoca non aveva ancora compiuto 40 anni, propugnava il mito della velocità e della giovinezza e si mostrava estremamente deciso a portare avanti il suo programma, incurante delle resistenze che provenivano da ogni dove, tanto che il suo motto preferito era: “me ne frego”.Tuttavia il Parlamento non era ancora un bivacco di manipoli, per ottenerne la fiducia il giovane presidente del Consiglio fu costretto a imbarcare nella maggioranza una serie di partiti e partitini, alcuni dei quali recalcitranti rispetto alla riforme che il Capo politico voleva attuare. Addirittura il principale dei suoi alleati in Parlamento, il Partito Popolare, fece un congresso a Torino, dove il suo segretario, pur non rinnegando l’alleanza, delegittimò il movimento del presidente del Consiglio, qualificando come “pagane” le sue teorie. Allora emerse un problema istituzionale: come poteva il presidente del Consiglio realizzare le profonde trasformazioni di cui l’Italia aveva bisogno se i suoi stessi alleati recalcitravano? Sorse quindi l’esigenza per il decisore politico di liberarsi dei ricatti di partiti e partitini. Quale fu la risposta? Cambiare la legge elettorale per cambiare la natura del Parlamento e renderlo docile ai comandi del Capo politico. Il dibattito che si svolse in occasione dell’approvazione della legge Acerbo è attuale ancora oggi, data la notevole somiglianza di quella riforma con le riforme elettorali attualmente in discussione.Giovanni Amendola osservò che la riforma elettorale cambiava la natura del Parlamento perché attribuiva al governo la facoltà di nominarsi la sua maggioranza. E così avvenne! Grazie al premio di maggioranza assegnato ad una sola lista, il Partito della Nazione guidato dal giovane presidente, pagando il modesto prezzo di imbarcare nel listone qualche fuoriuscito dei partiti alleati, ottenne una schiacciante maggioranza formata da uomini di fiducia “nominati” dal Capo politico. La nuova legge elettorale ottenne l’effetto voluto, consentì al Capo politico di sbarazzarsi del ricatto di partiti e partitini e determinò l’avvento di un partito unico al governo che, per vicende successive, si impose come unico partito. Tuttavia la legge Acerbo, alla prova dei fatti, presentava un grave difetto, non riuscì ad escludere dal Parlamento quelle forze dell’opposizione che più davano fastidio al Capo politico. Il povero presidente del Consiglio dell’epoca fu costretto ad affidarsi ad una banda di bravi per togliere di mezzo Matteotti, i cui discorsi in Parlamento venivano ripresi dai giornali e contraddicevano il mito dell’unità della nazione italiana, screditando il movimento.Non fu un’operazione politicamente indolore perché si misero di mezzo i giudici.La magistratura, che aveva quasi sempre chiuso un occhio di fronte alle operazioni delle camicie nere, quella volta non lo chiuse; forse perché le indagini furono affidate ad un giudice istruttore che si chiamava Occhiuto, il quale scopri immediatamente autori materiali e mandanti, inchiodandoli con prove schiaccianti, prima che il processo gli venisse tolto per avere una gestione più accomodante. In realtà la responsabilità politica di questo evento tragico non fu del presidente del Consiglio, ma del suo vice. Se Acerbo avesse adottato la soglia di sbarramento all’8%, prevista dal Patto del Nazareno, né Matteotti, né Gramsci sarebbero mai entrati in Parlamento. Attraverso gli opportuni accorgimenti la legge elettorale avrebbe potuto consentire al capo del governo dell’epoca (e può consentire ai governanti attuali) di sbarazzarsi dell’opposizione più fastidiosa senza la necessità di ricorrere ad atti di violenza. Oggi, attraverso i progetti di riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali, si sono aperte le porte di un grande cambiamento. A questo punto sorge spontanea la domanda: questo grande cambiamento ci indica la strada del futuro, oppure apre le porte al passato che ritorna?(Domenico Gallo, “Il futuro è solo il passato che ritorna?”, da “Micromega” del 31 ottobre 2014).“Il futuro è solo l’inizio” è l’inquietante slogan della Leopolda che esprime bene la pulsione di coloro che guidano il governo ad infrangere le barriere del presente per catapultare l’Italia in una nuova dimensione dove tutto è cambiato: le istituzioni, la società, lo Stato. E’ stato annunciato un “cambiamento violento”, un rovesciamento totale degli equilibri di potere, di assetti consolidati, di tradizioni politiche, che consentirà – secondo la narrazione dominante – di far ripartire l’Italia, di recuperare efficienza e funzionalità al sistema paese, schiacciando le resistenze corporative di sindacati, ceti professionali e corpi intermedi. In realtà i criteri che guidano i processi di riforme costituzionali ed elettorali corrispondono ad esigenze politiche, che si sono riaffacciate in varie occasioni nella vita delle nostre istituzioni; non sono delle novità, bensì delle costanti che riaffiorano nei momenti di gravi crisi economiche e di smarrimento morale. Quando ci viene annunziato un salto nel futuro, non possiamo guardare al futuro ignorando il passato da cui proveniamo. E non dobbiamo ignorare gli insegnamenti che abbiamo tratto dal passato.
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Grillo con Farage, caccia ai voti di destra orfani di Silvio
Grillo scopre Farage. Casaleggio invita i parlamentari a “sorridere di più”, il Movimento 5 Stelle è in ebollizione e sembra spostarsi a destra. Da analista politico, dico: la svolta è sensata. Se aggiungiamo l’evidente smarrimento della destra moderata, fin qui riconosciutasi in Berlusconi, e consideriamo la capacità, oggettiva, di Renzi di occupare il centrosinistra e di sedurrre e al contempo rassicurare anche una parte importante dell’elettorato di centro e forzista, appare evidente che la sola area politica dove oggi ci sia da costruire è il centrodestra. E’ una prateria che molti cercheranno di occupare. Il primo a capirlo è stato Matteo Salvini che, abbracciando la causa “No euro”, ha saputo dare una chiara identità alla Lega, riuscendo a far dimenticare scandali e scandaletti dell’ultima era Bossi. Il Cavaliere stesso appare consapevole di una svolta, ma gli arresti domiciliari e la difficoltà di trovare un vere erede politico, nonché gli screzi tra i colonnelli, ne minano l’efficacia e la capacità prospettica.Ora tocca a Grillo. Come abbiamo più volte osservato su questo blog la differenza fondamentale tra Grillo e Farage è la capacità dell’inglese di essere al contempo rivoluzionario e rassicurante. Audace nelle idee, ma borghese nel modo di porsi. Grillo, invece, ha giocato solo la carta della protesta e, mal consigliato da Casaleggio, ha rifiutato di schierarsi contro l’euro; non ha mai tentato di abbassare i toni, illudendosi che bastasse andare nei talk show per conquistare il consenso dell’Italia piccolo e medio borghese. Dire ora, come fa Casaleggio, che bisogna “sorridere di più”, è giusto ma un po’ ridicolo. Proprio lui, il Roberspierre del web? Non è credibile. E non è un caso che il dialogo improvviso con Farage – giusto e a mio giudizio naturale – venga accolto con sconcerto da una parte del pubblico grillino.Per il M5S la denuncia non basta più, occorre crearsi una nuova identità, una nuova immagine, una nuova coerenza; conquistare voti a destra significa perderli a sinistra. Significa mettersi la giacca e la cravatta, schierarsi con decisione contro l’euro e l’Europa tecnocratica, che invece non dispiace a Casaleggio. Grillo ne è capace? C’è ancora tempo? Chi comanda davvero, lui o l’intelligente ma sfuggente, misterioso Casaleggio? E Berlusconi è capace di rifondare davvero Forza Italia, slegandola progressivamente ma saggiamente dalla sua personalità? E la Lega, che finora si è mossa benissimo, è capace di crescere ulteriormente e di sfondare anche in altre zone d’Italia, magari creando una Lega Centro e una Lega Sud (come rifletteva Antonello Angelini in un colloquio col sottoscritto), di parlare anche a un’Italia diversa da quella dei commercianti, dei piccoli industriali e delle partite Iva del Nord? Sono queste le domande che contano, per non farsi cogliere impreparati quando gli italiani smetteranno di farsi incantare da Matteo l’Affabulatore.Grillo scopre Farage. Casaleggio invita i parlamentari a “sorridere di più”, il Movimento 5 Stelle è in ebollizione e sembra spostarsi a destra. Da analista politico, dico: la svolta è sensata. Se aggiungiamo l’evidente smarrimento della destra moderata, fin qui riconosciutasi in Berlusconi, e consideriamo la capacità, oggettiva, di Renzi di occupare il centrosinistra e di sedurrre e al contempo rassicurare anche una parte importante dell’elettorato di centro e forzista, appare evidente che la sola area politica dove oggi ci sia da costruire è il centrodestra. E’ una prateria che molti cercheranno di occupare. Il primo a capirlo è stato Matteo Salvini che, abbracciando la causa “No euro”, ha saputo dare una chiara identità alla Lega, riuscendo a far dimenticare scandali e scandaletti dell’ultima era Bossi. Il Cavaliere stesso appare consapevole di una svolta, ma gli arresti domiciliari e la difficoltà di trovare un vere erede politico, nonché gli screzi tra i colonnelli, ne minano l’efficacia e la capacità prospettica.
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Michele Serra: la sinistra si è arresa alla paura del futuro
Se è presuntuoso pensare che “senza sinistra non c’è futuro”, è però vero il contrario: senza un’idea di futuro, la sinistra muore. Radiografia impietosa, firmata da Michele Serra: la sinistra dà l’impressione di aver «trascurato apposta i suoi doveri e i suoi compiti, pur sapendo bene quali fossero, per viltà o per opportunismo». O peggio, la sua funzione storica si è esaurita «non per calcolo ma per inettitudine, per totale smarrimento». E dire che, dalla Rivoluzione Francese in poi, la sinistra è sempre stata «quella vasta area della politica e del pensiero che pretende di organizzare il cambiamento della società, prima interpretandolo e poi orientandolo: progettare il cambiamento è la sua stessa funzione, la sua ragione d’essere». L’impegno: migliorare quello che Marx chiamava “lo stato delle cose presente”, verso una società più giusta. «Si deve lavorare per cambiarlo. Si deve studiare come cambiarlo (in meglio, si intende) e attraverso quali leve, quali mezzi. Il mondo deve migliorare e la storia deve andare avanti».
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Finiguerra: quasi quasi mi iscrivo al Pd (della valle di Susa)
Così, i sindaci valsusini del Partito democratico, per l’elezione della nuova Comunità montana, si sono rifiutati di stringere un accordo con i sindaci del Popolo della Libertà, come richiesto e promosso dai vertici piemontesi e non solo del Pd. Al contrario hanno cercato e trovato un’intesa con i sindaci No-Tav. Un’intesa che potrebbe riuscire a far saltare il progetto Tav, da anni contestato dall’intera val di Susa. Sergio Chiamparino, leader maximo piemontese del Pd, e Mercedes Bresso, governatrice della Regione Sabauda, sono su tutte le furie. Rilasciano dichiarazioni al vetriolo nei confronti dei dissidenti. Arrivano addirittura ad invocare l’intervento del governo. Per decreto!!!