Archivio del Tag ‘stipendi’
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Francia: più debito, per aiutare le imprese che assumono
Imprenditori e dipendenti italiani, ma quanta sfiga avete? Veramente piange il cuore per voi, e non sto scherzando. Non c’è da scherzare in ‘sta tragedia. A parte il fatto che avete a rappresentarvi dei fenomeni come Peotta, Squinzi o Camusso e Rinaldini assortiti (nei corridoi della Bce continuano a chiedersi: «Ma con leader così, chi mai aveva bisogno di Monti per suicidare l’Italia?»). Lasciamo perdere. La cosa straziante è che mentre qui da noi i tromboni delle Austerità tengono la scena insistendo che i tagli alla spesa pubblica sono La Via Unta dal Signore per il risanamento del Paese in recessione (tradotto: il campo in siccità si salva drenandogli anche la rugiada del mattino, mica mai irrigarlo!), in Francia il governo del signor Hollande, proprio quell’Hollande del «bravo Monti!», fa il contrario. E cosa fa? Be’, apre i rubinetti di Stato sul campo delle aziende francesi a secco, e le irriga con 20 miliardi di euro di ossigeno.
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L’Europa sostenga il Bio, l’unica agricoltura che ha futuro
Mentre il Piemonte disastrato dai tagli ciechi mette in liquidazione il Crab, lo sportello per l’agricoltura biologica che da un decennio indirizza un comparto che vale mezzo milione di euro all’anno – inutili gli appelli piovuti sui maggiori partner del centro, cioè la Provincia di Torino governata dal centrosinistra – gli operatori europei chiedono una riforma “verde” della politica agricola, per fronteggiare la grande crisi «dirottando i finanziamenti dalle produzioni intensive ad alto impatto ambientale alle piccole aziende agricole multifunzionali», cioè quelle che praticano con successo «modelli di produzione e di consumo sostenibili», nel rispetto dei consumatori nonché delle biodiversità, delle risorse naturali e del paesaggio. È la richiesta rivolta al governo Monti, al Parlamento europeo e alle Regioni da 13 associazioni che riuniscono ambientalisti, mondo scientifico, agricoltori biologici e biodinamici.
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Hedges: morte alla scuola, vogliono solo docili esecutori
Una nazione che distrugge il proprio sistema educativo, degrada la sua informazione pubblica, sbudella le proprie librerie pubbliche e trasforma le proprie frequenze in veicoli di svago ripetitivo a buon mercato, diventa cieca, sorda e muta. Apprezza i punteggi nei test più del pensiero critico e dell’istruzione. Celebra l’addestramento meccanico al lavoro e la singola, amorale abilità nel far soldi. Sforna prodotti umani rachitici, privi della capacità e del vocabolario per contrastare gli assiomi e le strutture dello Stato e delle imprese. Li incanala in un sistema castale di gestori di droni e di sistemi. Trasforma uno Stato democratico in un sistema feudale di padroni e servi delle imprese. Parola di Chris Hedges, scrittore americano e reporter internazionale premiato con il Pulitzer, nonché editorialista del “New York Times”.
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Chi teme i giovani insegna loro a servire, non a pensare
Più che a pensare, ci insegnano a obbedire. Eppure, «se una cultura perde la capacità di pensiero ed espressione, se realmente mette a tacere le voci dissidenti, se si rinchiude in quello che Sigmund Freud chiamava “ricordi di copertura”, un miscuglio rassicurante di fatti e finzione, allora quella cultura muore», sostiene Chris Hedges. Una cultura senza più pensiero finisce per capitolare, perché «si arrende il suo meccanismo interno di blocco delle auto-illusioni», e quindi questa non-cultura «dichiara guerra alla bellezza e alla verità, abolisce il sacro, trasforma l’educazione in un corso di formazione professionale. Ci rende ciechi: e questo è ciò che è avvenuto». Siamo sicuri, si domanda Debora Billi, che sia un investimento sano «continuare a prendere per il culo chi vuol fare il violinista, lo scrittore, lo storico, il regista?». Domanda che sorge obbligatoria, dopo l’ultima «disgustosa uscita» di Elsa Fornero, ovvero la nostra “Maria Antonietta”, «che invita i giovani a non essere choosy e a mangiarsi le brioches».
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L’Angola, ex colonia, ora si compra il Portogallo in mutande
Ricordo – di nuovo – un vecchio racconto di fantascienza, uno dei tanti: si chiamava “L’inverno senza fine”, di John Christopher, lo stesso autore di “Morte dell’Erba”. Roba catastrofista. Nel racconto, una nuova glaciazione ricopriva l’emisfero boreale e gli europei, ridotti alla fame, emigravano in massa in Africa nelle ex-colonie, dove finivano a fare le domestiche e i camerieri. La fantascienza catastrofica prima o poi trova sempre il modo di avverarsi, ed ecco che un po’ la stessa cosa sta succedendo tra l’europeo Portogallo e l’arretratissima Angola. Secondo l’osservatorio per le migrazioni, sono già 100 mila i giovani portoghesi che hanno fatto le valigie, sono fuggiti dal loro Paese che affonda e si sono diretti a cercare lavoro in Africa nella ex-colonia.
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Tringali: a chi conviene l’euro, la nostra grande rovina
Debito pubblico, Berlusconi e la casta, la corruzione, la mafia? Aggravanti, ma non certo la causa della crisi, nonostante le chiacchiere di chi ripete che non saremmo “capaci di stare al pari con gli altri paesi dell’Europa migliori di noi”. Ormai, sostiene Fabrizio Tringali, anche l’opinione pubblica l’ha capito: l’origine della crisi, italiana ed europea, sta tutta nell’adozione della moneta unica, l’euro, che «ha unito economie molto diverse tra di loro». Così quelle più forti, Germania in primis, hanno finito per schiacciare quelle più deboli. Verità palese, ancorché negata, anche se «le criticità dell’unione monetaria europea erano assolutamente note già trent’anni fa». Nessun mistero: se la crisi finanziaria americana esplosa nel 2007-2008 era stata ben poco prevista, quella dell’euro era invece chiaramente segnalata sui radar degli economisti. In Italia, già durante il regno di Giulio Andreotti.
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La casta ruba le briciole: è Bruxelles a portarci via tutto
Cinquanta, sessanta miliardi di euro all’anno – la maxi-tangente imposta dall’Europa – contro le briciole dei costi della politica: partiti, Camera e Senato, Regioni e Province, Comuni italiani. Messe assieme, queste voci scompaiono: sono circa un cinquantesimo, appena il 2-3% del super-bottino dell’Unione Europea, sotto forma di Fiscal Compact, pareggio di bilancio, spending review e Mes. Il fondo salva-Stati in realtà è un forziere affonda-Stati: «I soldi sottratti alle grinfie dei Fiorito sono già destinati: e non certo a noi, ovvero allo Stato», scrive Debora Billi: «Finiranno nell’infinito calderone degli interessi sul debito, quelli con cui ci stanno strappando la pelle di dosso». Il blog “Byoblu” ha pubblicato uno sconvolgente grafico che mostra l’entità della vera “rapina” in corso. «Faccio un appello agli storici del 2100», dice Claudio Messora: «Venite a mettere un fiore sulla mia tomba».
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Armi di distruzione di massa, l’oscuro business italiano
Mezzo milione di morti all’anno, una vittima al minuto. E’ il record delle armi “civili”, pistole e fucili, di cui l’Italia è leader. Sono queste le vere “armi di distruzione di massa”, secondo Kofi Annan: produttrice leader, l’industria italiana ne è il secondo esportatore mondiale. Nel 2011 abbiamo esportato armamenti per tre miliardi di euro, spiega Francesco Vignarca, coordinatore di “Rete Disarmo” e redattore di “Altra Economia”: «Ogni anno è un business che non cala, che coinvolge centinaia di aziende e che poi va a ricadere anche sulle banche, che finanziano e incassano i soldi per questi armamenti, senza controllo, con soldi di finanziamenti pubblici che arrivano addirittura dal ministero per lo Sviluppo economico». Il bombardamento sulla Libia? «E’ stato il più pesante che la nostra aeronautica abbia fatto dalla Seconda Guerra Mondiale». E il giorno in cui scattò l’offensiva contro Gheddafi, l’allora ministro Ignazio La Russa era in Medio Oriente, a una fiera internazionale di armamenti.
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Grecia fuori controllo, ora manifestano anche gli agenti
Di quel che sta accadendo in Grecia non ne parla praticamente nessuno. Se qualche cenno si fa delle manifestazioni in Spagna e Portogallo, la Grecia viene ignorata o al massimo si menziona l’ennesimo “sciopero”. Invece, la situazione per le strade di Atene e delle altre città greche sta degenerando, come racconta tra gli altri l’“Independent”. Sentite che storie: «La polizia ha sparato granate immobilizzanti e gas lacrimogeni, quando decine di migliaia di manifestanti hanno invaso le strade di Atene per lo sciopero nazionale contro le nuove misure di austerity che dovranno tagliare salari, pensioni e sanità per l’ennesima volta. Dozzine di giovani, con i volti nascosti da caschi e bandane, hanno tirato bottiglie molotov e pietre alla polizia che ha risposto al fuoco nel tentativo di disperdere la folla infuriata intorno al Parlamento. Si pensa che oltre 50 mila persone abbiano partecipato alla manifestazione solo ad Atene».
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Nobel-scandalo all’Europa che ci ha dichiarato guerra
Dare il premio Nobel per la pace all’Unione europea è un po’ come dare il premio Oscar per la miglior interpretazione a un carciofo bollito. Di tante assurdità cui la giuria di Oslo ci aveva abituato nel tempo, questa è la più incredibile: sono mesi che diciamo che l’Europa non esiste e che i guai che ci sommergono sono provocati proprio da un continente burocratico e cavilloso, che strapaga i suoi dirigenti per occuparsi delle curvature delle banane, mentre lascia i cittadini a morire di fame. E mai come in questi mesi l’inefficienza disastrosa di Bruxelles ha minacciato la pace nel continente, portando la gente in strada da Atene a Madrid, esasperando gli animi, provocando incidenti e scontri.
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Ricchissimi e senza regole, i banchieri non pagano la crisi
Sono quattro anni che si valuta di introdurre un tetto agli stipendi dei banchieri ma fino a oggi non si è fatto nulla. Ed è molto probabile che le cose non cambieranno. L’ultima proposta in ordine di tempo è arrivata dal report Liikanen, la proposta per una regolamentazione del settore bancario europeo elaborata dal membro finlandese della Bce, Erkki Liikanen, su mandato della Commissione Europea. La bozza di riforma, presentata pochi giorni fa a Bruxelles, suggerisce, fra le altre cose, di pagare i bonus ai banchieri almeno in parte in azioni e obbligazioni della banca stessa, di modo che, in caso di fallimento di quest’ultima, i manager non percepiscano la parte variabile della loro retribuzione.
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La rabbia dei giovani senza futuro, traditi dalla politica
Non hanno solo protestato contro i tagli ad una scuola stretta tra le mirabolanti promesse tecnologiche e i soffitti che crollano, tra premi per i più bravi e riduzione delle risorse necessarie perché i meritevoli possano davvero provare di esserlo, nonostante disuguali condizioni di partenza. Hanno dichiarato la loro sfiducia a tutta la classe dirigente, agli adulti che hanno il potere di prendere le decisioni cruciali per il loro destino: governo, partiti politici, sindacati, imprenditori. Derubricare questa protesta come manifestazione adolescenziale senza una vera maturità politica, sarebbe grave e forse pericoloso. Dopo essersi sentiti definire da tutti una generazione perduta, questi ragazzi stanno provando a dire che non vogliono fare le vittime sacrificali degli errori altrui.