Archivio del Tag ‘stupro’
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Grillo illuso e beffato, passato col Pd per salvare il figlio?
La politica italiana appesa alle gesta erotiche, forse lecite e forse no, del giovane Ciro Grillo? Il possibile “stupro di gruppo” in Costa Smeralda, nell’estate 2019, ha davvero cambiato l’agenda parlamentare e governativa del paese? «Ora Beppe Grillo dovrebbe fare un altro video, stavolta per dirci tutta la verità sulla ipotetica trattativa dietro all’indagine per il presunto stupro imputato al figlio Ciro: qualcuno gli aveva forse promesso che il ragazzo se la sarebbe cavata con poco, se lui avesse mollato Salvini per dar vita al governo Conte-bis con il Pd?». Ai microfoni di “Forme d’Onda”, con Rudy Seery e Stefania Nicoletti, è il giornalista Gigi Moncalvo a riprendere l’interrogativo formulato a caldo da Paolo Becchi nel libro “Ladri di democrazia”, ovvero “La crisi di governo più pazza del mondo” (Historica Edizioni). Ovvero: c’è un nesso, tra la disavventura giudiziaria del figlio di Grillo – tuttora, solo indiziato – e lo stupefacente “ribaltone” dei 5 Stelle, che lasciarono la Lega per allearsi con l’odiato Pd, subito dopo gli eventi sardi finiti sotto la lente dei magistrati?Nel video che ha fatto discutere l’Italia – dice Moncalvo – è come se Grillo, attaccando gli inquirenti, in realtà se la prendesse soprattutto con chi, forse, gli aveva indebitamente promesso “un occhio di riguardo” nei confronti del figlio, se il leader dei 5 Stelle avesse accettato di far cadere il governo gialloverde. Non solo: «E’ stata notevole la durata delle indagini: nel frattempo, Grillo ha accettato anche di “ingoiare il rospo” del governo Draghi, e persino di allearsi, quindi, con lo “psico-nano” Berlusconi». La sua di oggi, dice Moncalvo, sembra la rabbia di chi si scaglia contro chi non è stato ai patti. Qualcuno gli ha forse fatto promesse “impossibili”, per poi – appunto – disattenderle? Se questa ipotesi fosse sensata, benché aberrante (ma siamo pur sempre nell’Italia del “sistema-Palamara”, che l’ex capo dell’Anm ha illustrato nel libro di Alessandro Sallusti), Moncalvo si interroga: è possibile che dell’ipotetica “mediazione” si fossero occupati esponenti politici al massimo livello, come l’allora ministro della giustizia (il grillino Bonafede) e magari qualche dirigente del Pd, vicino alla magistratura?E’ solo un’ipotesi, chiarisce Moncalvo: però almeno spiegherebbe la “schizofrenia” politica dei 5 Stelle e il vibrante risentimento dello stesso Grillo. Poi, comunque, chiosa il giornalista, in ogni caso la Procura di Tempio Pausania ha tirato dritto per la sua strada, arrivando a formalizzare la chiusura delle indagini: e l’agitazione di Grillo pare confermare l’imminente rinvio a giudizio dell’irrequieto Ciro, insieme ai suoi tre coetanei coinvolti nella “notte brava” per la quale sono stati denunciati da una ragazza, la loro presunta vittima. «Dobbiamo comunque essere grati a Grillo per una cosa», aggiunge Moncalvo: «Ha finalmente sbugiardato e disinnescato quel quacquaracquà di “Giuseppi” Conte, un leader di cartone che è stato mandato al macello». Per Moncalvo, l’ex premier «non conta niente, non serve a niente, non riuscirà mai a fare il leader del Movimento 5 Stelle, e con le sue parole democristiane in cui dà un colpo al cerchio (”capisco il dramma del padre”) e uno alla botte (”Grillo ha sbagliato, nel dire che ha ragazza ha aspettato otto giorni, prima di denunciare”) ha dimostrato di essere lì solo per i suoi fatti personali, per cercare di stringere un’alleanza – personale, sottolineo – con il Pd».La politica italiana appesa alle gesta erotiche, forse lecite e forse no, del giovane Ciro Grillo? Il possibile “stupro di gruppo” in Costa Smeralda, nell’estate 2019, ha davvero cambiato l’agenda parlamentare e governativa del paese? «Ora Beppe Grillo dovrebbe fare un altro video, stavolta per dirci tutta la verità sulla ipotetica trattativa dietro all’indagine per il presunto stupro imputato al figlio Ciro: qualcuno gli aveva forse promesso che il ragazzo se la sarebbe cavata con poco, se lui avesse mollato Salvini per dar vita al governo Conte-bis con il Pd?». Ai microfoni di “Forme d’Onda“, con Rudy Seery e Stefania Nicoletti, è il giornalista Gigi Moncalvo a riprendere l’interrogativo formulato a caldo da Paolo Becchi nel libro “Ladri di democrazia”, ovvero “La crisi di governo più pazza del mondo” (Historica Edizioni). Ovvero: c’è un nesso, tra la disavventura giudiziaria del figlio di Grillo – tuttora, solo indiziato – e lo stupefacente “ribaltone” dei 5 Stelle, che lasciarono la Lega per allearsi con l’odiato Pd, subito dopo gli eventi sardi finiti sotto la lente dei magistrati?
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Sgarbi: Grillo, padre disperato e leader politico finito
Ti vedo e ti rivedo, Grillo. E mi fai pena, certamente, come padre: e ti capisco. E credo che mai tu abbia fatto un errore più grave, in nome del padre che sei, rispetto al politico che non sei mai stato. Perché le conseguenze, oggi, sono veramente gravi: per tuo figlio, e per te. Per l’eccesso d’amore e per quello che tu hai creato, anche se da molto tempo ne eri disamorato. Per l’intero anno in cui io ho combattuto per dire le cose che forse tu condividevi, rispetto al coronavirus, non hai dato nessuna indicazione agli uomini del tuo partito. Sei invece arrivato, di volta in volta, per propiziare la nascita del governo Conte-2 e poi il governo Draghi, dicendo che Draghi “è un grillino”. Tutte cose di grandissima confusione mentale, ma ancora dentro una logica che è quella di chi deve trattare, prendendo la guida del movimento che lui ha inventato. Oggi – paradosso dei paradossi – i tuoi ti cacciano.
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Fiat, vaccini, 5G e Tav: la politica italiana non se ne occupa
Il non-governo giallorosso non ha speranze di galleggiare ancora a lungo nell’acqua alta dove nuota lo squaletto Renzi, ma sulla spiaggia opposta non è che splenda il sole: attorno all’ombrellone di Salvini si attarda nonno Silvio, scortato dalla Meloni, senza che il pubblico percepisca la possibilità di un’epocale alternativa al lento e inesorabile sfacelo di cui l’Italia è vittima, in ossequio alla nuova legge di un mondo senza più politica. Tralasciando il pietoso equivoco 5 Stelle, che puzzava d’imbroglio fin dall’inizio (spettacolare manipolazione degli elettori, col pieno concorso dei militanti di base disposti ad avallare qualsiasi diktat), l’impotenza generale di fronte alla desolazione di Venezia o la resa di Taranto ai furbetti globali dell’acciaio non fanno che dimostrare una volta di più l’assenza di idee, dopo l’eutanasia delle ideologie, che siano capaci di generare qualcosa che assomigli a uno straccio di governance del sistema. E intanto continua a piovere sul bagnato: basta dare un’occhiata agli slogan archeologici – Dio, patria e famiglia – con cui il sedicente outsider Diego Fusaro, filosofo mediatico e grillo parlante corteggiato dalle televisioni, tenta di raccontare la sua rivoluzionaria prospettiva politica ottocentesca, o forse medievale, o forse adatta solo a menare il can per l’aia, ridicolizzando volutamente l’idea stessa che possa esistere, un giorno, un’opposizione sistemica.Nel vecchio film, quello finito con le nozze mostruose tra Di Maio e il fratello di Montalbano, o meglio tra l’esodato Renzi e l’ex guastatore Grillo insidiato politicamente dall’indagine sul figlio per presunto stupro, a tener banco era stato un totem come il progetto cimiteriale del Tav Torino-Lione, infrastruttura con cantieri mai davvero decollati (forse al 5%) e comunque destinata a trasformarsi in una spettacolare, costosissima cattedrale nel deserto. L’argomento, che – come tanti altri, poi abbandonati – era servito ai 5 Stelle solo per fare il pieno di voti, è stato usato per la rissa finale con Salvini, per poi essere archiviato nel silenzio generale. La notizia, sfuggita ai radar, è che l’Italia spenderà comunque miliardi per una linea ferroviaria virtualmente superveloce ma destinata a trasportare pochissime merci necessariamente lente. Una ferrovia-doppione, completamente inutile benché rischiosa e devastante per l’ambiente, che ci si ostina ad approntare lungo una direttrice commerciale desolatamente abbandonata, lontanissimo dalle rotte mercantili. Un favoloso binario morto, buono solo per il business dei costruttori (pochissimi posti di lavoro, temporanei), e imposto a una popolazione che ha inutilmente dimostrato, in ogni sede, la sciagurata natura di un ecomostro che indurrà migliaia di italiani a prendere in considerazione l’idea di scappare, lasciando le proprie case.La non-politica del Belpaese, europeista o sovranista non importa, ha evitato accuratamente di affrontare ogni altro tema vitale per le famiglie, dall’obbligo vaccinale imposto (stile Corea del Nord) senza emergenze sanitarie e senza spiegazioni, e il misteriosissimo avvento del wireless 5G, che avanza in semi-clandestinità abbattendo alberi secolari nelle piazze delle città. Logico che i media, a reti unificate, ignorino il convegno organizzato in Parlamento dai sindaci e dai comitati di cittadini giustamente allarmati per l’introduzione, senza precauzioni, di una tecnologia invasiva di cui non si conosce ancora l’impatto sull’organismo. Quanto ai vaccini polivalenti, che secondo la Regione Puglia hanno causato problemi di salute a 4 bambini su 10, sul tema cala semplicemente il sipario, anche se – per la prima volta nella storia – qualcosa come 130.000 bimbi, nel 2019, non hanno potuto accedere né ai nidi né alle scuole dell’infanzia. In compenso, i riflettori abbagliano l’epica sfida per le regionali in Emilia Romagna, dove la Lega potrebbe strappare al Pd la storica roccaforte, un tempo “rossa”. Accipicchia, questa sì che è una notizia: non come l’insignificante sorte della Fiat, che gli Agnelli-Elkann hanno ceduto ai francesi, nel silenzio generale dei media e dei politici italiani di ogni parrocchia.(Giorgio Cattaneo, Libreidee, 23 novembre 2019).Il non-governo giallorosso non ha speranze di galleggiare ancora a lungo nell’acqua alta dove nuota lo squaletto Renzi, ma sulla spiaggia opposta non è che splenda il sole: attorno all’ombrellone di Salvini si attarda nonno Silvio, scortato dalla Meloni, senza che il pubblico percepisca la possibilità di un’epocale alternativa al lento e inesorabile sfacelo di cui l’Italia è vittima, in ossequio alla nuova legge di un mondo senza più politica. Tralasciando il pietoso equivoco 5 Stelle, che puzzava d’imbroglio fin dall’inizio (spettacolare manipolazione degli elettori, col pieno concorso dei militanti di base disposti ad avallare qualsiasi diktat), l’impotenza generale di fronte alla desolazione di Venezia o la resa di Taranto ai furbetti globali dell’acciaio non fanno che dimostrare una volta di più l’assenza di idee, dopo l’eutanasia delle ideologie, che siano capaci di generare qualcosa che assomigli a uno straccio di governance del sistema. E intanto continua a piovere sul bagnato: basta dare un’occhiata agli slogan archeologici – Dio, patria e famiglia – con cui il sedicente outsider Diego Fusaro, filosofo mediatico e grillo parlante corteggiato dalle televisioni, tenta di raccontare la sua rivoluzionaria prospettiva politica ottocentesca, o forse medievale, o forse adatta solo a menare il can per l’aia, ridicolizzando volutamente l’idea stessa che possa esistere, un giorno, un’opposizione sistemica.
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Pino Aprile: truccati gli archivi, nascosto il genocidio del Sud
Come nasce la storiografia italiana? Nasce con un atto del 1830 da un piccolo, ristrettissimo gruppetto – parliamo di 2-3 famiglie: nessuno di loro aveva mai scritto o insegnato storia. Persone di buona cultura, normalmente di ambiente cattolico molto tradizionalista, alla De Maistre; individui nobili, possidenti terrieri, di strettissima osservanza sabauda. Le regole sono: vanno distrutti tutti i documenti che gettano ombre sulla dinastia. Quelli che non vengono distrutti devono essere classificati e collocati in un archivio segreto, inviolabile. Un’altra parte deve finire in archivi controllati da loro. Quella mostrata dev’essere una piccola parte. Saranno gli archivisti a scegliere a chi far vedere i documenti, controllando (in corso d’opera) come li usano. E chi poi scriverà di quei documenti dovrà prima sottoporre ai controllori l’elaborato, in modo che si decida se potrà essere pubblicato oppure no. Tutto questo è documentato dall’Istituto Studi Storici del Risorgimento (la massima autorità, il professor Umberto Levra, già docente all’università di Torino e presidente dell’associazione dei docenti di storia risorgimentale). Viene documentato come il Re in persona, per “aggiustare” la storia, strappasse documenti e lettere dei suoi familiari.
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Vox Italia: Dio, patria e famiglia. Chi ha paura di Fusaro?
Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate: oscurati da Facebook già in partenza, tanto per cominciare. E se si prova a varcare la soglia del sito ufficiale, voxitalia.net, è Google a trasformarsi in Cerbero: sito pericoloso, potrebbero scipparvi la carta di credito e i dati sensibili. Aiuto! Non insperate mai veder lo cielo, specie se vi chiamate Vox Italia. Come mai tanta paura, per il neonato movimento ispirato e guidato dal giovane filosofo torinese Diego Fusaro? Basta fare un giretto sul web per farsene un’idea. Le reazioni vanno dalla minimizzazione all’irrisione, fino alla diffamazione. Cos’è Vox Italia? Un movimento, si legge, che nasce per dar voce all’interesse nazionale. Slogan: “Pensare e agire altrimenti”, e muoversi “obstinate contra”, scrive Fusaro. «In direzione ostinata e contraria», avrebbe detto Fabrizio De Andrè, in un’Italia dove ancora esistevano menti come quella di Fabrizio De Andrè. «Il movimento – chiarisce Fusaro – unisce valori di destra e idee di sinistra». Più precisamente: «Valori dimenticati dalla destra e idee abbandonate dalla sinistra». Vox Italia si smarca dal «coro virtuoso del politicamente corretto», definito «superstruttura santificante i rapporti di forza del globalismo finanziario a beneficio degli apolidi signori del big business sradicato e sradicante».
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Grillo decisivo: dalla “rivoluzione” alla palude giallorossa
Vuoi vedere che c’è un nesso tra il voltafaccia di Grillo, improvvisamente innamoratosi del “partito di Bibbiano e della Boschi”, e le indagini su suo figlio Ciro, indiziato per stupro, emerse solo dopo l’accordo per il Conte-bis anche se i fatti risalirebbero a luglio? L’ipotesi è maliziosamente ventilata su “Micidial” da Massimo Bordin, vicino all’elettorato dei 5 Stelle: chi votò Di Maio nel 2018 lo fece «perché contrario alla politica del governo precedente, guidato da un partito – il Pd – a torto o a ragione considerato la quintessenza del “sistema”». Come accettare che ora il M5S vada a braccetto con Renzi? Voltagabbana, d’accordo: ma non è che li hanno minacciati? Suona perlomeno sospetto, sostiene Bordin, il perfetto sicronismo tra le rotture simmetriche di Salvini e Grillo per staccare la spina al governo gialloverde. Alla richiesta di Salvini (elezioni anticipate), Grillo ha risposto a stretto giro di posta, sdoganando improvvisamente il Pd. Ma a parte le dietrologie di Bordin, dichiaratamente sopra le righe («questo pezzo è ironico e vietato ai cretini: dunque non leggetelo, se non avete senso dell’umorismo») c’è chi pensa che il M5S non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un semplice contenitore di dissenso, per dirottare la rabbia popolare verso esiti innocui. Solo gatekeeping per elettori ingenui? Non la pensa così Gioele Magaldi: senza i 5 Stelle, dice, la politica italiana sarebbe ancora congelata nel vecchio freezer.Eminente dietrologo, autore del saggio “Massoni” in cui smaschera i maggiori protagonisti della politica italiana rivelandone l’identità supermassonica (l’affiliazione alle superlogge internazionali), Magaldi inforca gli occhiali della politologia per rivendicare giustizia per i 5 Stelle: solo la “discesa in campo” di Grillo – sostiene, in video-chat su YouTube – ha reso fluido il panorama politico italiano, prima ingessato nel finto scontro tra centrodestra e centrosinistra. Due forze che hanno paralizzato per decenni qualsiasi riforma progressista, sottoponendo entrambe il paese alla ricetta imposta dal neoliberismo imperante, somministrato agli europei (sotto forma di austerity) attraverso la tecnocrazia di Bruxelles. Taglio dei deficit, aumento delle tasse, privatizzazioni e precarizzazione del lavoro. Vero obiettivo, fissato dall’élite neo-oligarchica della massoneria reazionaria: impedire allo Stato di continuare a produrre benessere diffuso. Il sociologo Luciano Gallino la chiamò “lotta di classe alla rovescia”, sintetizzando: è stata un’operazione storica, che ha drenato risorse dal basso verso l’alto, grazie alla finanziarizzazione globalizzata dell’economia che ha impoverito la classe media, erodendo i risparmi e costringendo i giovani alla disoccupazione o alla precarietà di lavoretti iper-flessibili e sottopagati. Risultato automatico: il boom dei grillini e ora della Lega.E’ stato proprio Grillo, ricorda Magaldi, a terremotare la palude italiana: senza di lui, staremmo ancora a parlare (in modo sempre più surreale) di destra e sinistra. Terminologie sepolte dalla storia e dall’attualità, oggi tornate in voga in modo abusivo: il nuovo ministro dell’economia Roberto Gualtieri, in quota alla componente teoricamente “di sinistra” del governo “giallorosso”, in realtà «viene dai bassi ranghi della cucina neoliberista e neoaristocratica europea», vale a dire «la destra economica più reazionaria». Non a caso, Gualtieri fu addirittura «applaudito da Christine Lagarde», la lady di ferro del Fmi che mise in ginocchio il popolo greco, costringenolo alla fame. Per contro, tra le fila della Lega spiccano gli unici economisti virtualmente “di sinistra” sulla scena politica, come i keynesiani Alberto Bagnai (Senato) e Antonio Maria Rinaldi (Parlamento Europeo). Meglio rottamarla, la dicotomia destra-sinistra, se serve solo a imbrogliare le carte. E il primo a farlo – ricorda sempre Magaldi – fu proprio Beppe Grillo, dieci anni fa, con il movimento creato insieme a Gianroberto Casaleggio. Lo stesso Magaldi, peraltro, non ha mai fatto sconti ai grillini, colpevoli di troppe confusionarie incongruenze e qualche imperdonabile ipocrisia. Per esempio, quella sulla massoneria: demonizzata in pubblico ma frequentata sottobanco.«Era massone, Gianroberto Casaleggio», dice Magaldi: «E fu lui stesso a dirmi che non intendeva rivelarlo». Il figlio, Davide, lo ha smentito a mezzo stampa: «Mio padre non è mai stato massone». Casaleggio junior, però, si è sottratto all’invito di Magaldi: «Partecipi con me a un incontro pubblico: gli spiegherò quando e come suo padre fu iniziato massone, e perché non voleva che si sapesse». Da Casaleggio a Di Maio, il passo è breve: «In modo ipocrita e anche incostituzionale, i 5 Stelle hanno vietato ufficialmente ai massoni l’accesso al Movimento e all’area gialloverde, pur sapendo che il primo governo Conte era imbottito di massoni, da Tria a Moavero, per non parlare dei sottosegretari». Primo: discriminare qualcuno per la sua appartenenza è contrario alla Costituzione. Secondo: era massone Meuccio Ruini, coordinatore della Costituente. «Niente di strano: se l’Italia fosse meno ipocrita, ammetterebbe che la stessa democrazia – libertà, diritti, suffragio universale – è una conquista storica della massoneria». Ma a parte i grembiulini, a sconcertare è stato il vuoto politico dei 5 Stelle. Ai tanti proclami non è mai seguito quasi nulla. In un solo anno, i grillini al governo hanno disatteso tutte le loro promesse: elettori traditi sull’obbligo vaccinale, sul Muos e gli F-35, sulle trivelle in Adriatico, sull’Ilva di Taranto, sul gasdotto Tap, e infine anche sul Tav Torino-Lione. Politica alternativa? Non pervenuta. Mai una parola chiara sul paradigma economico da adottare. Un caso?A proposito di gatekeeping: già nel 2016, Grillo tentò in modo tragicomico di traslocare il gruppo europarlamentare, lasciando l’Ukip populista di Farage per gli ultra-euristi dell’Alde. E questo, dopo aver agitato lo spettro di un referendum sull’euro. Almeno a parole, la Lega lo ha affrontato davvero, il problema-Bruxelles (i grillini, mai). Era stato Salvini, infatti, a candidare all’economia Paolo Savona: già ministro con Ciampi – e non a caso temuto da Draghi e Juncker – Savona avrebbe avuto l’autorevolezza necessaria a rinegoziare condizioni favorevoli all’Italia. Azzoppato sul nascere, il governo gialloverde si è ridotto alla misera elemosina del “reddito di cittadinanza” trasformato in un’amara beffa, mentre solo la Lega (con le pensioni facilitate da Quota 100) ha messo mano, davvero, all’economia delle famiglie. La Flat Tax? Sabotata con le dimissioni forzate del suo ideatore, Armando Siri, e poi insabbiata da Tria e da Conte insieme all’altro escamotage leghista per aggirare l’euro-rigore, cioè l’introduzione di moneta parallela (“minibiot”, crediti fiscali scambiabili). Dai grillini, nessuna vera battaglia. Ma peggio: i 5 Stelle hanno gatto harariki facendo eleggere la tedesca Ursula von der Leyen, candidata della Merkel, alla Commissione Europea: un ceffone plateale, rifilato a Salvini (e agli italiani).Checché ne pensi Bordin, che evoca il possibile giallo politico sul figlio di Grillo, non stupisce più di tanto il voltafaccia del Beppe nazionale, che ora ha costretto Di Maio a ingoiare Renzi e accettare Conte come nuovo “leader di fatto”, perfetto supplente per la smarrita scolaresca grillina, terrorizzata all’idea di perdere la poltrona in caso di elezioni anticipate. Nemmeno Salvini, peraltro, sarebbe sufficiente a cambiare le regole del gioco. A differenza della maggioranza degli osservatori, Magaldi sostiene comunque che il leader della Lega abbia scelto accuratamente di rompere, consapevole del fatto che, viceversa, sarebbe finito in trappola: la nuova finanziaria lo avrebbe costretto a deludere gli elettori, grazie all’azione frenante esercitata da Conte su ordine dei poteri eurocratici anche attraverso i consueti terminali italiani, dal Quirinale a Bankitalia. Ci si sono messi anche i giornali, che hanno gonfiato la barzelletta del Russiagate, polpetta avvelenata cucinata da servizi segreti (di quelli italiani la delega è rimasta a Conte, non al ministro dell’interno). Ma neppure i magistrati hanno scherzato: quelli siciliani hanno accusato Salvini di “sequestro di persona” per aver impedito lo sbarco di migranti (che in realtà erano liberi di andarsene altrove). E quelli di Genova hanno condannato la Lega a versare 49 milioni di euro allo Stato: il conto esorbitante di un ammanco presunto, solo teorico, calcolato in base ai rimborsi elettorali pluriennali, e non legato alla cifra contestata a Bossi (inferiore al milione di euro) quando Salvini era solo consigliere comunale a Milano. Messaggio chiarissimo: tagliare i fondi a un partito, impedendogli materialmente di fare politica, significa privare gli elettori di precisi diritti democratici. Evidente il fine: sbarazzarsi di Salvini, con ogni mezzo. Magari il più classico: la congiura di palazzo all’italiana, attingendo all’endemico trasformismo parlamentare, alla faccia degli elettori.Attenzione: Salvini non ha subito gli eventi. Secondo Magaldi, al contario, li ha calcolati con precisione e tempismo. Se ha tardato tanto a staccare la spina (Giorgetti premeva per la rottura già alle europee) è stato per lasciare pochissimo tempo all’inciucio, di fronte allo spettro dell’aumento dell’Iva nel caso saltasse la finanziaria: se avessero voluto davvero evitare le elezioni, o almeno un super-rimpasto (cacciando Conte e Tria) i “traditori” avrebbero dovuto ribaltare la loro posizione dalla sera alla mattina, di fronte agli italiani – come infatti è avvenuto. Risultato: lo sconcio è visibile dalla Luna. E questo pone Salvini (non vittima, ma regista dell’operazione) in una posizione privilegiata: potrà demolire ogni giorno gli eroi del Conte-bis, preparandosi all’incasso. Non senza prima “aver studiato”, aggiunge Magaldi: Salvini sa benissimo che la sua Lega – già profondamente migliorata, rispetto al Carroccio nordista di Bossi – non è ancora adeguata alla guida del paese. Per molti aspetti è assai meglio della concorrenza, ma non basta: occorre crescere ancora in senso keynesiano, per sfidare la Disunione Europea – non con l’arma spuntata del sovranismo, opportunistico e miope, ma chiedendo a Bruxelles una Costituzione democratica capace di restituire vera sovranità ai cittadini europei.Senza riscrivere i trattati non si va da nessuna parte: il Conte di turno non potrà che replicare gli inchini di Letta, Renzi e Gentiloni, sperando solo nelle briciole (come quelle che ora probabilmente saranno elargite, assolutamente insufficienti a rilanciare l’economia italiana). Primo passo: chiedere di stralciare dal bilancio le misure salva-Italia. E cioè: taglio del cuneo fiscale per le aziende, abbattimento delle tasse per tutti, investimenti produttivi e rigenerazione delle infrastrutture strategiche. Temi su cui insiste il Movimento Roosevelt presieduto da Magaldi, tra i padri del cantiere politico del “Partito che serve all’Italia”. Obiettivo: rianimare la prospettiva progressista, resuscitando la democrazia sostanziale. «Non serve creare l’ennesimo partitino autoreferenziale», chiarisce Magaldi: occorre un partito di massa, capace di cavalcare «le praterie che si sono aperte». Alle europee un elettore su tre ha votato Lega, ma quasi metà degli aventi diritto ha disertato le urne: italiani nauseati dal Pd, delusi dai 5 Stelle, non convinti da Salvini. Magaldi appare fiducioso: presto o tardi, sembra dire, la verità risulterà evidente anche ai più sprovveduti. E chi ancora dorme sarà svegliato dalle “meraviglie” del Conte-bis, condannato in partenza a obbedire ai diktat di chi ha messo l’Italia nei guai. Con buona pace dei grillini, che hanno sconcertato il loro elettorato. Oggi risalirebbero nei sondaggi manistream? Strano: alle ultime regionali sono letteralmente scomparsi. E ora il voto in Umbria e in Emilia dirà cosa resta, davvero, del grande bluff pentastellato.08:37 11/09/2019Vuoi vedere che c’è un nesso tra il voltafaccia di Grillo, improvvisamente innamoratosi del “partito di Bibbiano e della Boschi”, e le indagini su suo figlio Ciro, indiziato per stupro, emerse solo dopo l’accordo per il Conte-bis anche se i fatti risalirebbero a luglio? L’ipotesi è maliziosamente ventilata su “Micidial” da Massimo Bordin, vicino all’elettorato dei 5 Stelle: chi votò Di Maio nel 2018 lo fece «perché contrario alla politica del governo precedente, guidato da un partito – il Pd – a torto o a ragione considerato la quintessenza del “sistema”». Come accettare che ora il M5S vada a braccetto con Renzi? Voltagabbana, d’accordo: ma non è che li hanno minacciati? Suona perlomeno sospetto, sostiene Bordin, il perfetto sicronismo tra le rotture simmetriche di Salvini e Grillo per staccare la spina al governo gialloverde. Alla richiesta di Salvini (elezioni anticipate), Grillo ha risposto a stretto giro di posta, sdoganando improvvisamente il Pd. Ma a parte le dietrologie di Bordin, dichiaratamente sopra le righe («questo pezzo è ironico e vietato ai cretini: dunque non leggetelo, se non avete senso dell’umorismo») c’è chi pensa che il M5S non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un semplice contenitore di dissenso, per dirottare la rabbia popolare verso esiti innocui. Solo gatekeeping per elettori ingenui? Non la pensa così Gioele Magaldi: senza i 5 Stelle, dice, la politica italiana sarebbe ancora congelata nel vecchio freezer.
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Boat People: quando l’Italia andò a salvarli in capo mondo
Premessa importante: questa è Storia, non opinioni. Ho raccontato e raccolto testimonianze di fatti accaduti quarant’anni fa di cui oggi ricorre l’anniversario. Chiunque desideri fare parallelismi o “interpretarlo” lo fa di sua iniziativa, non mia. 30 aprile 1975: Saigon cade, e assieme a lei tutto il Vietnam del Sud. I comunisti si scatenano in un vortice di vendette verso militari e civili, instaurando un regime totalitario. Al loro arrivo un milione di persone viene prelevato per essere “rieducato”; sono sacerdoti, bonzi, religiosi, politici regionali, intellettuali, artisti, scrittori, studenti. A ogni angolo di strada spuntano “tribunali del popolo” in cui gli accusati non hanno diritto alla difesa, e a cui seguono esecuzioni sommarie. A migliaia vengono tolte case, beni, proprietà e vengono gettati nelle paludi, dette “Nuove Zone Economiche”, dove avrebbero dovuto creare fattorie e coltivazioni dal nulla. In realtà, li mandano a morire di fame. L’intero Vietnam del Sud diventa un grande gulag, dove accadono orrori simili a quelli della Kolyma di Stalin. Nel 1979, la popolazione cerca di scappare. Non possono farlo via terra, perché i paesi confinanti li respingono; l’unica opzione per intere famiglie consiste nel prendere barconi improvvisati e gettarsi in mare, lontano dai fucili e dai “tribunali del popolo”.Le immagini di questi disperati fanno il giro del mondo e dividono l’opinione pubblica mondiale, ancora divisa per ideologie pre-muro di Berlino. Il comunismo non può essere contestato né fare errori, sono «menzogne raccontate dai media che ingigantiscono la faccenda per strumentalizzarla». Mentre l’Occidente blatera, i rifugiati sui barconi scoprono di non poter sbarcare da nessuna parte. Vengono ribattezzati “boat people”, disperati con a disposizione due cucchiai d’acqua e due di riso secco al giorno che raccolgono l’acqua piovana coi teli di plastica e sono in balia di tempeste e crudeltà. Il governo della Malesia li rimorchia a terra per spennarli di tutti i loro averi, poi li rimette sulle barche dicendogli che stanno arrivando degli aiuti e li rimorchia in alto mare, dove taglia le funi e li abbandona a morire. A volte le tempeste tropicali li affondano, altre volte pescatori armati saltano a bordo e uccidono e stuprano finché sono stanchi, poi li abbandonano lì. A bordo c’è così tanta puzza da far svenire, e la fame è tale che ci sono episodi di cannibalismo. Navi occidentali si affiancano e gettano qualcosa da mangiare per fotografarli, poi se ne vanno.Intanto, l’Italia è un mondo diverso. Sono anni difficilissimi tra inflazione alle stelle, bombe e attentati, ma il neonato benessere è ancora troppo recente per far dimenticare agli italiani il loro passato di povertà, ruralità ed emigrazione. Quando le immagini dei boat people vengono rese pubbliche da Tiziano Terzani il 15 giugno 1979, invece di aggiungersi al dibattito globale di opinionisti e intellettuali impegnati a decidere se salvare dei profughi di un regime comunista sia un messaggio capitalista o no, Pertini capisce che ogni minuto conta, chiama Andreotti e dà ordine di recuperarli e portarli in Italia. Andreotti è presidente del Consiglio, ma è stato prima ministro della difesa. Quella che riceve è una richiesta folle, perché l’Italia non ha mai fatto missioni simili né per obiettivo né per distanza. Ora però il ministro della difesa è Ruffini, e dice che in teoria è fattibile. Insieme scelgono come braccio destro Giuseppe Zamberletti, uno che aveva già dimostrato un’estrema capacità organizzativa in situazioni di crisi, e si mettono a studiare il da farsi. Non sanno quanti sono, né in che zona precisa; sono fotografie sfocate in mezzo al nulla.Se il primo problema è il dove, subito dopo vengono tempo e lingua. Il mondo del 1979 non parla inglese, figurarsi il vietnamita. Anche gli interpreti scarseggiano e non c’è tempo di trovarli, però c’è la Chiesa. Andreotti domanda al Vaticano se ha a immediata disposizione preti vietnamiti e gli arrivano padre Domenico Vu-Van-Thien e padre Filippo Tran-Van-Hoai. Per un terzo interprete, i carabinieri piombano all’università di Trieste, scorrono i registri e reclutano sul posto uno studente, Domenico Nguyen-Hun-Phuoc. A quel punto, Ruffini può alzare il telefono. L’incrociatore Vittorio Veneto dell’ottavo gruppo navale è alla fonda a Tolone, in Francia, dopo aver finito la stagione. L’equipaggio di 500 uomini non vede l’ora di sbarcare per abbracciare le proprie famiglie, quando nelle mani del comandante Franco Mariotti arriva un cablogramma urgentissimo dall’ammiraglio di Divisione Sergio Agostinelli, a bordo dell’Andrea Doria. Ordina di tenere a bordo solo il personale addetto alle armi, poi di riadattare l’assetto della nave e salpare alla volta di La Spezia per riunirsi all’Andrea Doria per una missione di recupero. Quando capiscono di cosa si tratta, gli equipaggi si esaltano.Mariotti lascia a terra 350 uomini, che invece chiedono di restare a bordo per aiutare. Predispone 300 posti letto per donne e bambini su letti a castello nell’hangar a poppa, e 120 posti per gli uomini a prua. L’alloggio sottufficiali diventa un’estensione dell’infermeria, e sotto il ponte di volo viene adibita la zona d’aria. Servono almeno dieci bagni in più, ma ce la fa. Impiega cinque giorni a cambiare l’assetto, e solo al quarto giorno, prima di partire, ordina agli uomini di scendere a salutare le famiglie. Arrivano a La Spezia il 4 luglio, dove vengono caricati e istruiti medici, infermieri, interpreti, medicinali e vestiti. Il giorno dopo salpano alle 10 diretti verso il sud di Creta, dove si riuniscono con la nave logistica Stromboli, comandata dall’ammiraglio Sergio Agostinelli; in totale ci sono 450 posti letto sulla Vittorio Veneto, 270 sulla Doria e 112 sulla Stromboli. È un viaggio orrendo, nella stagione peggiore. Oltre al caldo mostruoso del Mar Rosso, i monsoni dell’Oceano Indiano portano il vento a forza 7. Onde lunghe e gigantesche che mettono a dura prova i 73.000 cavalli vapore degli incrociatori.Dopo 10 giorni di navigazione ininterrotta, il 18 luglio ormeggiano a Singapore e caricano le provviste supplementari, così da dare il tempo all’intelligence di fare “ricognizione informativa” e di improntare un piano. In quattro giorni parlano con l’ambasciatore della Malesia, con l’addetto della marina militare inglese, i portavoce di World Vision International e definiscono le zone da pattugliare. Le direttrici di fuga sono cinque: due verso Thailandia e Hong Kong, di scarso interesse perché passano per acque territoriali. Le altre tre sono di preminente interesse, cioè dall’estremo sud del Vietnam verso la Thailandia (costa occidentale del Golfo del Siam), verso Malesia e isole Anambas dell’Indonesia. Le ultime due sono le più probabili perché sono vicine alla piattaforma petrolifera della Esso, che per chi mastica poco il mare è l’unico polo di attrazione. Alle 10 del 25 luglio salpano alla volta del Mar Cinese Meridionale e Golfo del Siam. Durante la notte, va e viene un eco-radar. Il giorno dopo il mare è a forza 4 (esempio), e il ponte viene spazzato da raffiche di vento e acqua. Alle 8.15, con un coraggio notevole, l’Agusta Bell 212 si alza in volo per investigare le coordinate e localizza la prima barca alla deriva. È un catorcio di 25 metri carico fino all’inverosimile che sta colando a picco davanti alla piattaforma della Esso.L’Andrea Doria dà l’avanti tutta e arriva a prenderli alle 9.20, carica su un gommone interprete, medici, scorta e glielo manda incontro in mezzo alla burrasca che monta, raccomandandosi di rispettare norme di prevenzione e contagio. Il gommone si affianca e gli interpreti recitano un testo che hanno imparato a memoria. «Le navi vicine a voi sono della Marina Militare Italiana e sono venute per aiutarvi. Se volete potete imbarcarvi sulle navi italiane come rifugiati politici ed essere trasportati in Italia. Attenzione, le navi ci porteranno in Italia, ma non possono portarvi in altre nazioni e non possono rimorchiare le vostre barche. Se non volete imbarcarvi sulle navi italiane potete ricevere subito cibo, acqua e assistenza medica. Dite cosa volete e di cosa avete bisogno». Un’onda allontana il gommone, e una donna vietnamita, convinta che gli italiani li stiano abbandonando come tutti, gli lancia il proprio figlio a bordo. I marinai erano italiani del 1979, un mondo in cui non esistevano i social e queste scene non erano già state raccontate. A quella vista, impazziscono. Tutte le procedure per evitare contagi vengono infrante, e dallo scafo tirano fuori 66 uomini, 39 donne e 23 bambini.Teodoro Porcelli, all’epoca marinaio di vent’anni, è sul barcarizzo di dritta quando riconsegna il figlio alla madre. Lei per tutta risposta gli accarezza i capelli e si mette a piangere, poi portano insieme il bambino dal dottore. Sono i primi di tanti altri che arriveranno nei giorni successivi. A bordo degli incrociatori, gli uomini sgobbano come animali. Infermerie, lavanderie, forni e cucine lavorano senza sosta, coi panettieri che danno il turno e i cuochi che devono allestire 1000 pasti al giorno, di cui una doppia razione per i macchinisti che sono ridotti a pelle e ossa per a far andare le quattro caldaie Ansaldo-Foster Wheeler contro le onde, il tutto con temperature tropicali e navi tutt’altro che adatte. Medici e marinai devono stare attenti a 125 bambini che una volta nutriti corrono dovunque, ma ovviamente prediligono il ponte di volo. Il 31 luglio a bordo dell’Andrea Doria nasce un bambino che la madre battezza col nome di Andrea. Pasquale Marsicano lo avvolge con un vestitino di seta che doveva regalare a sua figlia. I vietnamiti più in salute vogliono essere d’aiuto e fare qualcosa, così vengono messi a fare i lavori del mozzo secondo il vecchio e famosissimo proverbio della Marina: “Pennello e pittura, carriera sicura”.Il 1° agosto a bordo delle navi non c’è più spazio fisico; hanno navigato per 2.640 miglia, esplorato 250.000 kmq di oceano e salvato 907 anime. L’ammiraglio dà ordine di tornare a casa, e il 21 agosto 1979 gli incrociatori entrano in bacino San Marco. Ad accoglierli c’è un oceano di gente, oltre a chi ha pianificato l’operazione fin dall’inizio: Andreotti, Ruffini, Zamberletti e Cossiga, che in seguito alla crisi di governo ha sostituito Andreotti. A bordo ci sono malattie anche tropicali e uomini malmessi, così a qualcuno viene in mente che Venezia, riguardo a importazioni di merci e uomini, qualcosina ne sa. Così, proprio come faceva la Serenissima novecento anni prima, i vietnamiti vengono messi in quarantena nel Lazzaretto vecchio e in quello nuovo. Quelli che non ci stanno vengono spediti in Friuli. Sono entrati così in simbiosi con l’equipaggio che a parte pianti, abbracci, baci e giuramenti, alcuni si rifiutano di scendere dalla nave chiedendo se possono arruolarsi.Alla fine ci sarà uno scambio di dichiarazioni tra vietnamiti ed equipaggio: «Ammiraglio, comandante, ufficiali, sottufficiali e marinai; grazie per averci salvati! Grazie a tutti coloro che con spirito cristiano si sono sacrificati per noi notte e giorno. Voi italiani avete un cuore molto buono; nessuno ci ha mai trattato così bene. Eravamo morti e per la vostra bontà siamo tornati a vivere. Questa mattina quando dal ponte di volo guardavamo le coste italiane una dolce brezza ci ha accarezzato il viso in segno di saluto e riempito di gioia il nostro cuore. Siete diversi dagli altri popoli; per voi esiste un prossimo che soffre e per questa causa vi siete sacrificati. Grazie». L’ammiraglio risponde da parac… da italiano: «Noi siamo dei militari; ci è stata affidata una missione e abbiamo cercato di eseguirla nel modo migliore. Siamo felici d’aver salvato voi e così tanti bambini e di portarvi nel nostro paese. L’Italia è una bella terra anche se gli italiani, a volte, hanno uno spirito irrequieto. Marco Polo andò con pochi uomini alla scoperta dell’Asia; voi venite in tanti nel nostro piccolo mondo. Sappiate conservare la libertà che avete ricevuto». Vengono creati campi d’accoglienza a Chioggia, Cesenatico e Asolo. Il popolo italiano si mobilita in massa; vengono raccolti 26.500.000 di lire tramite raccolta di abiti usati e altrettanto arriva tramite donazioni private.Arrivano offerte di lavoro e di abitazione, una famiglia si offre di costruire una casa alle famiglie, una ditta si offre di arredarla. Una scolaresca raccoglie i soldi per comprare un motorino e una macchina da cucire, i dipendenti della Banca Antoniana si tassano lo stipendio fino all’agosto del 1980, versando ogni mese i loro risparmi nel conto corrente della Caritas. I commercianti padovani inviano generi alimentari, molti ospitano i rifugiati nelle loro case ad Arsego, San Giorgio delle Pertiche, Fratte e Zugliano. Ruffini, ricordando la storia, dirà: «Potevo considerarmi soddisfatto della mia intera esperienza politica per il solo fatto di aver potuto contribuire alla salvezza di quei fratelli asiatici». I vietnamiti si integrano alla perfezione, diventano italiani o disperdendosi per l’Italia arrivando oggi alla terza generazione. Parecchi marinai prenderanno la medaglia di bronzo. Quarant’anni dopo, i marinai e i profughi hanno aperto un gruppo Facebook per ritrovarsi. State attenti ad aprirlo se avete la lacrima facile. «A tutti i marinai della “Stromboli”, noi vietnamiti vi siamo molto riconoscenti. Se non ci foste venuti in aiuto, noi ora non saremmo probabilmente vivi. Vi pensiamo spesso, ora che siamo qui al sicuro e ricordiamo quanto buoni e gentili siete stati con noi. Il vostro ricordo rimarrà sempre nel nostro cuore e anche se non ci vediamo più, noi vi penseremo che con affetto, riconoscenza e nostalgia. Grazie ancora!».(Nicolò Zuliani, “Quando negli anni ’80 la marina militare italiana riuscì a fare l’impossibile”, da “Termometro Politico” del 3 agosto 2019. Le foto presentate a corredo dell’articolo sono di Roberto Vivaldi).Premessa importante: questa è Storia, non opinioni. Ho raccontato e raccolto testimonianze di fatti accaduti quarant’anni fa di cui oggi ricorre l’anniversario. Chiunque desideri fare parallelismi o “interpretarlo” lo fa di sua iniziativa, non mia. 30 aprile 1975: Saigon cade, e assieme a lei tutto il Vietnam del Sud. I comunisti si scatenano in un vortice di vendette verso militari e civili, instaurando un regime totalitario. Al loro arrivo un milione di persone viene prelevato per essere “rieducato”; sono sacerdoti, bonzi, religiosi, politici regionali, intellettuali, artisti, scrittori, studenti. A ogni angolo di strada spuntano “tribunali del popolo” in cui gli accusati non hanno diritto alla difesa, e a cui seguono esecuzioni sommarie. A migliaia vengono tolte case, beni, proprietà e vengono gettati nelle paludi, dette “Nuove Zone Economiche”, dove avrebbero dovuto creare fattorie e coltivazioni dal nulla. In realtà, li mandano a morire di fame. L’intero Vietnam del Sud diventa un grande gulag, dove accadono orrori simili a quelli della Kolyma di Stalin. Nel 1979, la popolazione cerca di scappare. Non possono farlo via terra, perché i paesi confinanti li respingono; l’unica opzione per intere famiglie consiste nel prendere barconi improvvisati e gettarsi in mare, lontano dai fucili e dai “tribunali del popolo”.
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Pedofilia al governo? La morte di Epstein fa comodo a tanti
Una morte stranissima e soprattutto provvidenziale, quella di Jeffrey Epstein, arrestato il 6 luglio con l’accusa di sfruttamento della prostituzione su minori e violenza carnale su oltre 30 ragazze minorenni, almeno dal 2002 al 20045, nella sua residenza di New York e nella sua tenuta in Florida. Già dieci anni fa era stato condannato per gli stessi reati, ma ora a tremare erano i pezzi da novanta dell’establishment, americano e non solo: da Trump a Clinton, dall’ex premier israeliano Ehud Barak al principe Andrea d’Inghilterra. Strana morte, scrive Zara Muradyan su “Sputnik News”, in una nota tradotta da “Come Don Chisciotte”: l’improvvisa fine di Epstein arriva poche settimane dopo «le affermazioni secondo cui il finanziere americano il 23 luglio era stato trovato ferito e inconscio sul pavimento della sua cella a Manhattan», nel Metropolitan Correctional Center. All’epoca, diversi media avevano suggerito che avrebbe potuto tentare il suicidio. Eppure, «la dinamica degli eventi non è stata chiarita». Epstein era stato trovato privo di sensi e «con segni sul collo che, apparentemente, sembravano autoinflitti». Da allora, «era stato messo sotto sorveglianza speciale anti-suicidio». Risultato: si sarebbe suicidato lo stesso, il 10 agosto. Una storia che puzza da lontano: Wayne Madsen, già dirigente della Nsa, accusa esplicitamente il Mossad israeliano.
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Ieri Borrelli e Craxi, oggi paga Salvini: farà posto a Draghi?
Fu Christine Lagarde a organizzare la caduta di Dominique Strauss-Kahn, travolto dallo scandalo per uno stupro (mai avvenuto): Strauss-Kahn ha fatto la fine di ogni vero socialista, liquidato per via giudiziaria. La Lagarde voleva semplicemente prendergli il posto, alla guida del Fmi: spero che mi quereli, la signora, perché posso dimostrare quello che dico. Ora guiderà la Bce, con l’incarico di “normalizzare” ulteriormente l’Europa. Lavorerà in tandem con la tedesca Ursula von der Leyen, una nazistella che fino a ieri faceva la yes-girl della Merkel. E’ stata messa a capo della Commissione Europea con il contributo determinante dei grillini, che non sanno che sarà proprio lei a decretare la loro morte. E questo conferma che c’è qualcosa di strano, dietro alla gestione dei 5 Stelle, che ora contestano a Salvini il caso delle presunte promesse di finanziamento da Mosca. L’avevo anticipato settimane fa, che contro Salvini si sarebbe scatenata una grossa tempesta giudiziaria. Rinaldi e Borghi gridano al golpe, denunciando le manovre per un governo tecnico presieduto da Draghi, con Pd e 5 Stelle, e Conte commissario europeo? Avevo previsto in anticipo anche il piano per un governo Draghi – che ora va avanti, visto che Draghi ha rifiutato di prendere il posto della Lagarde al Fmi. L’innesco è sempre la magistratura, oggi per eliminare Savini? Giustizia a orologeria? Ne sapeva qualcosa Francesco Saverio Borrelli, appena scomparso.Borrelli è una figura che si è prestata a una manovra non legittima, nel modo in cui è stata condotta, benché l’indagine fosse di per sé legittima. E’ stata una trappola, in cui Craxi è caduto: si era fidato di personaggi che lo attorniavano, da Paolo Pillitteri al magistrato Livia Pomodoro, che lo avevano rassicurato sulla linearità di Borrelli, che poi invece non c’è stata. D’altro canto, lo stesso Borrelli era stato nominato alla guida della Procura di Milano con una manovra simil-Palamara: corsi e ricorsi storici. Quel periodo ha fatto danni che tuttora perdurano, sia nell’ambito della giustizia che in quelli della società e della politica. E se c’è gente che ancora oggi queste cose non le vede, e quando sente parlare di Craxi e di Mani Pulite gli salta il sangue agli occhi, aspettiamo: perché poi magari in un bel tritacarne giudiziario ci capitano pure queste persone, così mi sapranno dire cosa significa e come si sta. In Italia è diminuita, la corruzione, dopo Tangentopoli? Per certi aspetti, Tangentopoli non c’entra niente con la corruzione, intesa come fenomeno sociale. Tangentopoli si rivolse innanzitutto nella direzione del finanziamento illecito dei partiti, nel cui alveo era rifiorita la corruzione: perché quando tu consenti qualcosa di illecito, dall’illecito derivano altri illeciti. Se non fai una normativa di trasparenza, sul finanziamento dei partiti, prima o poi dal finanziamento illecito si passa al vendersi l’appalto (che è cosa diversa).Un conto è il finanziamento illecito: qualcuno ti dà dei fondi, che poi non risultano a bilancio. Altra cosa è il fatto che tu ti sei venduto un appalto per averli, quei fondi. In Italia c’era un sistema di spartizione, per arrivare al finanziamento: se l’erano inventato i partiti più piccoli, per cercare di bilanciare i finanziamenti illeciti provenienti dall’estero, e precisamente dall’America (diretti alla Dc) e dalla Russia (destinati al Pci). Era un finanziamento necessariamente illecito: con che voce mettere a bilancio soldi che venivano dagli Usa e dall’Urss? Questo ha provocato il fatto che i partiti non sono stati trasparenti nei bilanci. E non essendo trasparenti nei bilanci, ne sono discese una serie di cose: era una situazione a catena. Poi, ovviamente, nei partiti, quelli più corrotti facevano carriera: perché al partito portavano finanziamenti che, magari, quelli meno corrotti non riuscivano a portare. In altre parole, il problema era sistemico. Nel momento in cui si doveva dare un giro di vite, dopo l’amnistia dell’89, i partiti hanno rifiutato il “dimagrimento”: erano così grossi, da non saper ridurre le strutture – ormai elefantiache – di cui si erano dotati.Peraltro, l’avvento della televisione commerciale aveva resto costosa la pubblicità elettorale, che prima – con le varie Tribune Politiche – era gratuita. Questo ha provocato un aumento dei costi della politica. E non essendoci più i soldi dell’America e della Russia, quei costi hanno gravato sul sistema degli appalti, anche da parte dei partiti maggiori, e quindi il sistema è esploso. Per questo dico che l’inchiesta Tangentopoli era inevitabile. Quello che era evitabile è che venisse strumentalmemte diretta solo contro Craxi e contro i democristiani. E invece, con la copertura di Borrelli – che pure, comunista non era – il Pci è stato completamente graziato. Il motivo? I comunisti (come s’è visto anche dalle ultime vicende) si erano infiltrati in modo talmente capillare, nella magistratura – istituzionalmente, oserei dire – per cui, tramite personaggi come D’Ambrosio e Caselli, il dialogo era continuo. Perdura anche oggi, questa coltre pseudo-comunista? Sembra evidente, se si pensa all’incrocio tra Palamara, Pd e Csm. Aveva ragione Berlusconi, quando parlava di toghe rosse? Non diceva una bugia. Ma siccome in Italia il più pulito ha la rogna, questa cosa Berlusconi la diceva mescolata a talmente tante bugie, da non essere credibile. Devi poterle dire, certe cose: Berlusconi invece è sempe sceso a patti, sottobanco, con tutti i poteri di cui aveva denunciato l’illegittimità. L’ha fatto per tutelare i suoi interessi, il suo patrimonio, e non c’è nemmeno riuscito fino in fondo – però ci ha provato, certo.Sbagliato considerare la corruzione una piaga italiana? Niente affatto: l’Italia ce l’ha nel Dna, la corruzione. Da noi, se hai bisogno di un certificato non vai al Comune: cerchi un amico, specialmente nel Meridione. E questo deriva da un’atavica assenza di senso dello Stato, e dall’assenza dello Stato stesso. Sicché, non funzionando le cose, le gente si arrangia. Se si arrangia un povero diavolo qualsiasi di un paesino del Sud, poi chi può ci piglia gusto, e magari cerca anche di farci dei soldi. La gente, insomma, si accorge che lo Stato non funziona. Quelli più semplici si limitano a fare in modo che funzioni per loro, ricorrendo a vie traverse. Poi ci sono quelli che dicono: ma visto che il sistema non funziona, perché non ci guadagno sopra? Bisogna ristabilire il senso dello Stato, e quindi innanzitutto la presenza dello Stato: a quel punto sarà facile distinguere gli onesti dai disonesti, mentre ora non lo è. E’ come il mondo degli evasori fiscali: ci sarà pure una percentuale di contribuenti che proprio non ce la fanno, a pagare quelle tasse, ma sono mescolati con delinquenti che le tasse non le pagano perché non le vogliono pagare. Come fai a distinguerli? Devi rendere diverso il sistema fiscale, se vuoi che la differenza risulti evidente. A quel punto diventa facile fare un’agevolazione solo per chi non ce la fa. Invece oggi le agevolazioni si chiamano condoni, e favoriscono pure gli evasori veri, quelli che i soldi per pagare le tasse li avevano, ma se li sono messi via.Ora siamo all’attesissima lapidazione giudiziaria di Salvini? Tanto per cominciare, nell’Eni – che è stata privatizzata – lo Stato ha ormai solo una “golden share”. Tecnicamente, l’Eni non è più una società pubblica. Quindi come si giustifica l’ipotetico reato di corruzione? Senza contare che, a quel tavolo, dell’Eni non c’era seduto nessuno. A Mosca non è stata nemmeno nominata, l’Eni. A quel tavolo semmai c’era qualcuno che rappresentava la Gazprom, che però è russa: quindi dove li stanno ravvisando, i reati? Certo, si sta gonfiando il caso lo stesso: perché l’Italia è fatta così. Ci sono una serie di giornali, di media, che sono sempre pronti a montare meccanismi mediatico-giudiziari. Lo specialista direi che è Marco Travaglio. Ma ci sono altri fior di specialisti, come Peter Gomez, che fanno un giornalismo molto simile alla macelleria. Sono macellai del giornalismo, e quindi vendono coratelle: smembrano manzi e vendono frattaglie, quinto quarto, mezzene. Questo modo di fare, che ha anche delle regie, comporta il fatto che, se una cosa si profila anche solo lontanamente utile per un piano che serva a incastrare qualcuno, il caso viene montato: sottacendo le cose che non fanno comodo e sottolineando gli aspetti che invece fanno comodo per quel progetto.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming su YouTube “Carpeoro Racconta” dei 21 luglio 2019).Fu Christine Lagarde a organizzare la caduta di Dominique Strauss-Kahn, travolto dallo scandalo per uno stupro (mai avvenuto): Strauss-Kahn ha fatto la fine di ogni vero socialista, liquidato per via giudiziaria. La Lagarde voleva semplicemente prendergli il posto, alla guida del Fmi: spero che mi quereli, la signora, perché posso dimostrare quello che dico. Ora guiderà la Bce, con l’incarico di “normalizzare” ulteriormente l’Europa. Lavorerà in tandem con la tedesca Ursula von der Leyen, una nazistella che fino a ieri faceva la yes-girl della Merkel. E’ stata messa a capo della Commissione Europea con il contributo determinante dei grillini, che non sanno che sarà proprio lei a decretare la loro morte. E questo conferma che c’è qualcosa di strano, dietro alla gestione dei 5 Stelle, che ora contestano a Salvini il caso delle presunte promesse di finanziamento da Mosca. L’avevo anticipato settimane fa, che contro Salvini si sarebbe scatenata una grossa tempesta giudiziaria. Rinaldi e Borghi gridano al golpe, denunciando le manovre per un governo tecnico presieduto da Draghi, con Pd e 5 Stelle, e Conte commissario europeo? Avevo previsto in anticipo anche il piano per un governo Draghi – che ora va avanti, visto che Draghi ha rifiutato di prendere il posto della Lagarde al Fmi. L’innesco è sempre la magistratura, oggi per eliminare Savini? Giustizia a orologeria? Ne sapeva qualcosa Francesco Saverio Borrelli, appena scomparso.
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Vendetta: ora Assange potrà morire, estradato negli Usa
«Viviamo in un mondo capovolto: chi lavora per la libertà di parola e il libero giornalismo finisce in galera, chi si macchia di crimini di guerra resta a piede libero». Così lo sceneggiatore Paolo Mosca commenta, su Facebook, l’arresto a Londra di Julian Assange. Uno dei principali motivi per cui Assange è stato arrestato, scrive Mosca, dirigente del Movimento Roosevelt, è il video conosciuto come “Collateral murder”: elicotteri americani uccidono civili iracheni, a Baghdad, sparando nel mucchio. Nessuno di quegli assassini è stato condannato, aggiunge Mosca. In galera ci è finito solo Bradley Manning (oggi Chelsea Manning), cioè l’allora militare Usa che aveva poi inviato il video a Wikileaks, sottolinea Gianluca Ferrara sul “Fatto Quotidiano”, secondo cui «Assange andrebbe premiato, non arrestato». Se ora il governo italiano lo abbandonerà al suo destino, afferma il grillino Alessandro Di Battista, «non ci sarà differenza con gli scendiletto Usa che ci hanno governato negli ultimi trent’anni». Il solo a mobilitarsi per Assange, negli ultimi mesi, era stato Paolo Barnard, protagonista di un lunghissimo sit-it sotto le finestre del “prigioniero”, a Londra, durante le festività natalizie. Unica ammissione ottenuta da Barnard, quella di un giornalista del “Guardian”, Damien Gayle: «Sono stato in ansia a “twittarti”, ma dovevo farlo», gli scrisse Gayle, «perché la libertà di dissenso dovrebbe essere l’anima stessa del mio giornale. Spero non mi licenzino».Barnard era solo quanto Assange, davanti all’ambasciata ecuadoriana che da 7 anni ospitava il fondatore di Wikileaks, fermato con accuse pretestuose (ipotetico tentativo di stupro, in Svezia). Dapprima trattato come rifugiato politico dall’Ecuador di Rafael Correa, ultimamente era stato ridotto a ostaggio, nella sede diplomatica londinese del paese centramericano, nel frattempo “normalizzato” dal neo-presidente Lenin Moreno, riallineatosi agli Usa che ora pretendono l’estradizione di Assange. Su “Pandora Tv”, Giulietto Chiesa ha buon gioco nel ricordare che il “ribaltamento del mondo” cui allude Paolo Mosca si specchia ormai anche tra i “whistleblower”: un tempo erano i dissidenti dell’Urss a scappare in Occidente, mentre oggi l’eroe Edward Snowden vive a Mosca, protetto da Putin, dopo aver sollevato lo scandalo mondiale dello spionaggio di massa gestito dalla Nsa, mentre Assange finisce in carcere per aver messo in mostra la brutalità “imperiale” del potere militare americano e in particolare la spregiudicatezza criminale di Hillary Clinton. Pino Cabras, deputato pentastellato, sottolinea il coraggio del giornalista australiano: «Attraverso la sua azione ha svelato le condotte illegali o minacciose di organi istituzionali e potentissime lobby».Di fatto, Wikileaks «ha consentito alla democrazia contemporanea di superare i limiti e le chiusure del giornalismo tradizionale nonché le timidezze dei parlamenti nel correggere i comportamenti opachi di vari governi». Citando una presa di posizione dei 5 Stelle alla Camera, Cabras ricorda che Assange ha dato coraggio alla pratica del “whistleblowing” e dell’obiezione di coscienza fino a farla riconoscere nelle leggi e nei codici etici a tutti i livelli. «Come Movimento 5 Stelle – dicono i parlamentari grillini – abbiamo sentito sin dall’inizio dell’avventura di Wikileaks un interesse per una pratica che valorizzava il controllo dal basso e la democratizzazione dell’informazione nell’ambito di una rivoluzione tecnologica con un grande potenziale di liberazione per individui e popoli. Per questo motivo – aggiungono – riteniamo che debbano essere fatti tutti i possibili passi affinché a Julian Assange sia riconosciuto il valore e il rango politico del suo attivismo, da sempre minacciato con ogni mezzo, che sia salvaguardata la sua incolumità e che non ci siano forzature politiche nelle procedure a cui sarà sottoposto».La figura di Assange, ricorda Alfonso Bianchi sulla “Stampa”, è diventata sempre più quella di un perseguitato per la libertà di espressione. E in tanti, da semplici cittadini a personalità pubbliche, gli hanno espresso solidarietà al punto da candidarlo al Nobel per la Pace. Nel frattempo le accuse contro di lui in Svezia sono cominciate a cadere, prima nel 2015 quella per molestie sessuali e poi due anni dopo anche quella per stupro. Ma su Assange continuava a restare in vigore la richiesta d’arresto britannica per il fatto che si era rifiutato di consegnarsi spontaneamente. Assange ha sempre temuto di essere estradato negli Usa, dove ora Donald Trump lo accusa di aver pubblicato documenti riservati del governo, mettendo a rischio la sicurezza nazionale. Dopo il cambio di governo in Ecuador, la vita di Assange a Londra era diventata quella di un detenuto: fine dei contatti con l’esterno. Gli era stato anche interrotto il collegamento a Internet, con l’accusa di aver violato «un impegno scritto fatto al governo alla fine del 2017 di non rilasciare messaggi che avrebbero potuto interferire con altri Stati». A ottobre, ricorda sempre Bianchi sulla “Stampa”, il suo avvocato, Baltasar Garzon (cioè l’ex magistrato spagnolo anti-corruzione, già impegnato contro il dittatore cileno Pinochet) ha fatto causa al governo di Quito accusandolo di violare i «diritti e le libertà fondamentali» dell’uomo.Da allora le cose hanno continuato a precipitare fino all’ultimo colpo di scena: il ritiro dell’asilo politico, l’arresto e la conferma della richiesta di estradizione da parte degli Usa. «L’arresto di Julian Assange era prevedibile perché oramai tutte le voci fuori dal coro, tutti i personaggi che sfidano il pensiero unico sono inaccettabili e vanno eliminati», scrive Gianluca Ferrara sul “Fatto”. «A mio avviso – aggiunge – la “colpa” di Assange e della sua Wikileaks è quella di aver svelato quei poteri che proliferano dietro le quinte della politica estera e che puniscono chi si permette di rendere note le loro gesta. La “colpa” di Assange è quella di aver palesato ciò che si cela dietro la maschera che i mass media costruiscono». Ferrara rievoca la mattanza filmata da “Collateral murder” e resa pubblica il 12 luglio del 2007, con i due elicotteri Apache che sparano sui civili a Baghdad, accanendosi anche sui feriti, compresi i bambini. Tra le vittime della carneficina anche due cronisti della “Reuters”, Namir Noor Eldeen e Saeed Chmagh. Dall’elicottero, vedendo i corpi dilaniati, i militari statunitensi commentarono: «Guarda quei bastardi morti!».Come Manning e Snowden, dice Ferrara, uomini come Assange «ufficialmente possono aver violato delle leggi, ma hanno permesso di svelare nefandezze inquietanti». Assange andrebbe premiato, ribadisce Ferrara, «per il coraggio di aver denunciato quel Deep State, quel complesso di lobby che si celano dietro la facciata di Stati apparentemente democratici». Ora, Julian Assange – ospitato dall’ambascia dell’Ecuador dal 19 giugno 2012 – rischia il carcere duro e forse persino la vita, se venisse estradato negli Usa. Ci ha rivelato verità indicibili, rendendoci più consapevoli e quindi più liberi. Ma ora Julian Assange può crepare, scriveva a gennaio Paolo Barnard, senza che nessuno muova un dito per salvarlo: giornali, attivisti, intellettuali, politici, governi. Si è immolato per tutti, Assange, con le esplosive rivelazioni affidate a Wikilekas. Sperava di suscitare un’ondata di protesta capace di scuotere il potere. E immaginava che l’indignazione lo avrebbe protetto dalla vendetta dell’establishment. Ma si sbagliava: dopo essere stato costretto a «morire giorno per giorno», trattato come un ospite sempre più sgradito, ora è finito in manette senza che nessuno sia riuscito a salvarlo, esattamente come previsto da Barnard.«Viviamo in un mondo capovolto: chi lavora per la libertà di parola e il libero giornalismo finisce in galera, chi si macchia di crimini di guerra resta a piede libero». Così lo sceneggiatore Paolo Mosca commenta, su Facebook, l’arresto a Londra di Julian Assange. Uno dei principali motivi per cui Assange è stato arrestato, scrive Mosca, dirigente del Movimento Roosevelt, è il video conosciuto come “Collateral murder”: elicotteri americani uccidono civili iracheni, a Baghdad, sparando nel mucchio. Nessuno di quegli assassini è stato condannato, aggiunge Mosca. In galera ci è finito solo Bradley Manning (oggi Chelsea Manning), cioè l’allora militare Usa che aveva poi inviato il video a Wikileaks, sottolinea Gianluca Ferrara sul “Fatto Quotidiano”, secondo cui «Assange andrebbe premiato, non arrestato». Se ora il governo italiano lo abbandonerà al suo destino, afferma il grillino Alessandro Di Battista, «non ci sarà differenza con gli scendiletto Usa che ci hanno governato negli ultimi trent’anni». Il solo a mobilitarsi per Assange, negli ultimi mesi, era stato Paolo Barnard, protagonista di un lunghissimo sit-it sotto le finestre del “prigioniero”, a Londra, durante le festività natalizie. Unica ammissione ottenuta da Barnard, quella di un giornalista del “Guardian”, Damien Gayle: «Sono stato in ansia a “twittarti”, ma dovevo farlo», gli scrisse Gayle, «perché la libertà di dissenso dovrebbe essere l’anima stessa del mio giornale. Spero non mi licenzino».
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Pietà per Michael Jackson, viveva come se fosse già morto
A dieci anni dalla morte di Michael Jackson, un film in uscita mette a soqquadro la memoria della pop star e getta lunghe ombre di pedofilia sulla sua controversa figura. Due ex-adolescenti lo accusano di abusi sessuali e il mondo nuovamente si divide tra i suoi perduranti fan e i suoi detrattori, i suoi famigliari e i suoi accusatori, mentre fioccano denunce e querele. Non entrerò nel merito della questione, ma mi soffermerò sul mito di questo cantante. Quando morì, nel 2009, Michael Jackson era già morto da tempo immemorabile e passava la sua vita di cadavere ad amministrare la sua sontuosa decomposizione, il suo mito e le sue apparizioni. Mandava videoclip dall’aldilà, a volte canzoni, spargeva aneddoti e immagini sconcertanti, in una danza scatenata, musicale e farmaceutica, sanitaria e giudiziaria, intorno alla sua bara. Studiava da morto da parecchi anni, annunciava tumori e paralisi, simulava morti e resurrezioni, e dissimulava le malattie troppo banali come la vitiligine, esibiva mutazioni raccapriccianti e malattie genetiche esclusive, come si addice agli dei; ma la sua divinità non sprigionava l’aura dell’immortalità, era una morte prolungata per ripararsi dalla vita, le sue offese e le sue invadenze.Non era mai capitato ma ci fu un mercato nero per procurarsi a caro prezzo un invito ai suoi funerali; e mai espressione come mercato nero fu più azzeccata per indicare un traffico di soldi illeciti intorno al funerale di un nero pentito. Funerali rinviati per gestire la gigantesca dimensione del cordoglio, a più di dieci giorni dalla morte. Fu un’icona e un prototipo di chi si rivolge alla tecnica e ai farmaci per manipolare la vita e risolvere i problemi che un tempo affidava alla religione, alla filosofia e al mito. Non esprimo giudizi morali di condanna per la sua vita né giudizi musicali di celebrazione davanti al suo corpo irriconoscibile, al suo naso ridotto ad una presa elettrica, alle sue labbra simili alla fessura di un bancomat, a un viso sfigurato che perde quel che Lévinas riteneva essere l’inalterabile specificità di una persona: il volto. Non aveva volto, Jackson. Quel che gli era rimasto addosso era una specie di mascherina estetico-funeraria, un incrocio tra il visage dall’estetista e la cera mortuaria da obitorio. Non voglio soffermarmi sulle accuse di pedofilia che lo hanno accompagnato anche in vita e tantomeno abbracciare gli alibi dei suoi fan che ebbe un’infanzia difficile e da ricco finanziò opere benefiche in favore dell’infanzia.Sbianchettandosi in quel modo orrendo tradì la sua identità e quella di tutti i neri della terra. Offese la negritudine. Quel suo essere un Ogm umano, geneticamente modificato per sfuggire alla sua identità, quel suo razzismo biologico, masochista, contro la sua origine, suscita un’infinita, irredimibile pietà. Quel suo stuprarsi la vita, resettare l’origine e la memoria, rivelava pena e strazio di vivere. E la sua immensa ricchezza, la sua straordinaria fama, non alleviavano quella pena, semmai la ingigantivano, la facevano più clamorosa e cosmica, fino a renderlo il testimonial planetario della condizione umana che volta le spalle al cielo e alla terra, cioè alla vita e all’immortalità, per vivere una gloriosa parodia di morte prolungata, uno spettacolo di agonia anestetizzata. Alla sua morte pensarono di asportargli il cervello per capire di che era morto. Ma al di là del referto medico, chi studia l’animo umano in rapporto alla vita e al suo svanire già lo sa. Jackson è morto di rifiuto della condizione umana e terrena, rifiuto della realtà, del mondo, orrore della vita e dei suoi limiti, ricusazione del fato.È martire della società postumana, transgenica e transumana, che si illude di sopravvivere alla vita rinunciando a viverla, che si sottrae agli urti, all’invecchiamento e alla realtà per preservarsi pura e incontaminata in una surreale esistenza asettica che coincide con un’eutanasia. Fuori dall’età che avanza, fuori dal mondo. Terrore di contatti con gli umani. Odori umani troppo umani, schifo per le cose e per i cibi, cordone sanitario per ripararsi dalla vita e da quella rude e primitiva verità che è la natura. Figli nati senza incontro carnale, senza eros; della vita resta solo un’icona incorporea. E per sottrarsi alle passioni umane, analgesici e anoressia. Jackson era la proiezione su maxischermo di una condizione mentale diffusa tra chi vuol modificare la sua vita e allontanarsi dalla natura, dalla finitudine, dal declino: tatuaggi e chirurgie, pillole e lifting, alcol e droga, diete e radicali modifiche del proprio look, perché si soffre la propria identità, voglia di autocrearsi e di sottrarsi al carcere del proprio corpo. Antiche eresie, religioni gnostiche degenerate, paradisi artificiali che somigliano all’inferno. La cura di sé sfocia nell’imbalsamazione già da vivo.Il suo simulacro è quella cassa a ossigeno scelta per la toilette funeraria. E la sua location più appropriata era quella sua villa che si chiamava non a caso Neverland e che, non a caso, non riescono a vendere. La terra che non c’è per una vita che non c’era. Neverlife. Il simbolo più efferato di questa condizione postumana è il suo stomaco: era vuoto di cibi e pieno di pillole e sostanze contro il dolore, contro la depressione, contro l’ansia, contro i contagi. Nel suo stomaco si raccoglieva come un’urna il male occidentale, i suoi fantasmi, la sua paura di invecchiare, di morire, di soffrire, di contagiarsi, di finire in solitudine e di restare incarcerati nei limiti della condizione umana. Un rifiuto del destino, un odio del fato, che è stato fatale. Neverlife è l’epitaffio più sensato per titolare la compilation della sua vita. Ha speso la vita a organizzare il suo funerale. Non infierite ora a dieci anni dalla morte riesumando la sua vera o presunta pedofilia. Abbiate pietà di quell’uomo che si inflisse già da morto la pena di una vita sontuosa in fuga da se stesso, dal mondo, dagli umani.(Marcello Veneziani, “Michael Jackson, il nero pentito”, da “La Verità” del 17 marzo 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).A dieci anni dalla morte di Michael Jackson, un film in uscita mette a soqquadro la memoria della pop star e getta lunghe ombre di pedofilia sulla sua controversa figura. Due ex-adolescenti lo accusano di abusi sessuali e il mondo nuovamente si divide tra i suoi perduranti fan e i suoi detrattori, i suoi famigliari e i suoi accusatori, mentre fioccano denunce e querele. Non entrerò nel merito della questione, ma mi soffermerò sul mito di questo cantante. Quando morì, nel 2009, Michael Jackson era già morto da tempo immemorabile e passava la sua vita di cadavere ad amministrare la sua sontuosa decomposizione, il suo mito e le sue apparizioni. Mandava videoclip dall’aldilà, a volte canzoni, spargeva aneddoti e immagini sconcertanti, in una danza scatenata, musicale e farmaceutica, sanitaria e giudiziaria, intorno alla sua bara. Studiava da morto da parecchi anni, annunciava tumori e paralisi, simulava morti e resurrezioni, e dissimulava le malattie troppo banali come la vitiligine, esibiva mutazioni raccapriccianti e malattie genetiche esclusive, come si addice agli dei; ma la sua divinità non sprigionava l’aura dell’immortalità, era una morte prolungata per ripararsi dalla vita, le sue offese e le sue invadenze.
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Viareggio, strage-vergogna: Moretti premiato dopo il rogo
Difficilmente mi occupo di questioni legate alla giustizia, ma quando si tratta della strage di Viareggio non posso tacere, essendo io nativo e abitante di quelle terre, e data la atrocità oggettiva di quanto accadde in quell’inferno esploso proprio nel centro cittadino. L’esplosione del convoglio avvenne sotto il sovrappasso che unisce via Ponchielli e Burlamacchi, percorso che fino a quel momento era legato ai ricordi delle moltissime persone che come me lo utilizzavano per recarsi ai rioni notturni di Carnevale. Toccato da tanto dolore e drammaticità scrissi anche una poesia quasi per sprigionare tutta l’emozione, il coinvolgimento, l’angoscia, l’incredulità: 31 morti carbonizzati, 11 dei quali “disciolti” all’istante, 2 infarti e 25 feriti, alcuni dei quali con lesioni gravissime). L’11 febbraio 2019 sono stati chiesti 15 anni e 6 mesi dalla Procura generale di Firenze (appello) per Mauro Moretti: la strage risale al 29 giugno 2009 quando egli era amministratore delegato di Fs e Rfi. Puntualmente gli organi della giustizia e del potere, perché Moretti di potere ne ha da vendere, mostrano una prevedibile resistenza, rispettivamente, a giudicare ed esser giudicati, soprattutto quando il soggetto in questione può disporre dei migliori avvocati e di enormi agganci politici. Presto saranno passati ben 10 anni.Non so se noi italiani ce ne rendiamo conto e se ci sta bene, ma i media italiani, chiacchieroni, a seconda dei propri interessi sono i più disinvolti nell’enfatizzare questioni pretestuose e inconsistenti, magari parlandone per mesi, sostanzialmente ignorando quelle notizie come QUESTA, che meriterebbero adeguato risalto. Segnalo solo alcune posizioni assunte dal Moretti: ha fatto carriera nella Cgil tra gli anni ’80 e gli anni ‘90 arrivando ai vertici del sindacato, dal 2006 al 2014 è stato Ad di Ferrovie dello Stato su nomina dell’ex ministro Pd Tommaso Padoa Schioppa (quello che definiva i giovani disoccupati “bamboccioni”) e dal 2014 al 2017 è stato “promosso” come direttore generale e Ad di Finmeccanica-Leonardo a 1,7 milioni di “salario”: il doppio, più o meno, rispetto ai tempi di Fs quando, nel 2012, si lamentava praticamente di guadagnare troppo poco, cioè quasi 900 mila euro all’anno, più i “premi”. Tutte “cosine” avvenute dopo la strage…Tra le varie posizioni assunte, anche ruoli internazionali come quello di presidente della Community of European Railway and Infrastructure Companies, sindaco di Mompeo per due mandati, presidente della Fondazione Ferrovie dello Stato, presidente dell’Associazione Europea delle Industrie per l’Aereospazio e la Difesa, membro del consiglio direttivo degli amici dell’Accademia dei Lincei. Per dire come funzionavano le cose all’epoca (nei meandri dello Stato profondo italiano ancora oggi) il 31 maggio 2010 Moretti fu nominato, dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, cavaliere del lavoro. Una vergogna e una beffa, 11 mesi dopo la strage. Bene ha fatto il M5S (tramite Gianluca Ferrara, senatore di Viareggio da me criticato per altre questioni ma in questo caso molto opportuno) a farsi “ricevere” (dovremmo dire che si “sale” da lui?) dal presidente emerito (emerito…) per avere risposte. Risposte che, se si legge l’articolo linkato, hanno il sapore delle lacrime di coccodrillo (mi si perdoni il tono emotivo e meno “professionale” del solito), con un retrogusto di scaricabarile; sono certo che esse si trasformerebbero in tutt’altro, in sordità e arroganza, qualora il presidente ringiovanisse 20 anni e si ritrovasse al Colle.Presidente Napolitano che, ricordo bene, quando militavo nel M5S (2012-2017), “c’era da stare attenti” a chiamare in causa anche “solo” per chiedergli (inutilmente) di incontrare i familiari delle vittime, perché c’era il rischio di essere accusati da parte delle altre forze politiche di “strumentalizzare” la strage. Ebbene, una parte di italiani ricorda, io ricordo, e adesso che non faccio politica (ma anche all’epoca non mi tiravo indietro ed elaborai anche il testo di una mozione in merito) posso esprimere tutto il mio disprezzo, non solo contro questo pannolone mantenuto dallo Stato, ma anche verso quei politici locali che, anziché percorrere una strada di accusa, seguendo un impulso naturale umano, facevano un compromesso tra ciò che “si dovrebbe” e ciò che “non si poteva” (per non ledere la propria ambizione di poltrona) magari perché della stessa “ditta” della prima carica dello Stato.Perfino l’ex presidente del Consiglio Letta si macchiò di una grave colpa, non permettendo allo Stato di costituirsi parte civile. Ancora oggi, quando qualcuno descrive Napolitano per quello che è, viene sottoposto alla fanfara starnazzante di fango mediatico, al fuoco incrociato degli organi di “informazione” di destra e sinistra, come avvenuto per Di Battista recentemente. Gli italiani evidentemente dimenticano troppo in fretta, perfino cosa è stato Napolitano – e non mi riferisco alla carica che rivestiva…basta un po’ di alone, la consueta bolla mediatica di pensiero dominante e l’indottrinamento orwelliano porta a stigmatizzare (stigma = base del pregiudizio e della vergogna) chi si distingue solo perché dice la verità. Eppure qualcosa sta cambiando, molti tabù stanno emergendo dalla loro intoccabilità. Concludo con una richiesta al presidente Mattarella: vada in televisione e chieda la revoca di tutti i titoli di cavalierato a tal Moretti; e chieda una iniziativa di legge che determini, per i condannati in via definitiva per reati gravissimi quali strage, associazione mafiosa e stupro, un tetto massimo di pensione pari al minimo nazionale (780 euro).(Marco Giannini, “Viareggio, la strage della vergogna: almeno, si infligga a Moretti la pensione minima”, da “Libreidee” del 24 febbraio 2019).Difficilmente mi occupo di questioni legate alla giustizia, ma quando si tratta della strage di Viareggio non posso tacere, essendo io nativo e abitante di quelle terre, e data la atrocità oggettiva di quanto accadde in quell’inferno esploso proprio nel centro cittadino. L’esplosione del convoglio avvenne sotto il sovrappasso che unisce via Ponchielli e Burlamacchi, percorso che fino a quel momento era legato ai ricordi delle moltissime persone che come me lo utilizzavano per recarsi ai rioni notturni di Carnevale. Toccato da tanto dolore e drammaticità scrissi anche una poesia quasi per sprigionare tutta l’emozione, il coinvolgimento, l’angoscia, l’incredulità: 31 morti carbonizzati, 11 dei quali “disciolti” all’istante, 2 infarti e 25 feriti, alcuni dei quali con lesioni gravissime). L’11 febbraio 2019 sono stati chiesti 15 anni e 6 mesi dalla Procura generale di Firenze (appello) per Mauro Moretti: la strage risale al 29 giugno 2009 quando egli era amministratore delegato di Fs e Rfi. Puntualmente gli organi della giustizia e del potere, perché Moretti di potere ne ha da vendere, mostrano una prevedibile resistenza, rispettivamente, a giudicare ed esser giudicati, soprattutto quando il soggetto in questione può disporre dei migliori avvocati e di enormi agganci politici. Presto saranno passati ben 10 anni.