Archivio del Tag ‘Tap’
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Cremaschi: ma che ci fa Salvini con quel criminale di Blair?
Che ci fa Matteo Salvini a braccetto con Tony Blair, tristissimo esponente della post-sinistra di regime che ha terremotato il pianeta a colpi di privatizzazioni selvagge e guerre devastanti, innescate da “fake news” come le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam? Se lo domanda Giorgio Cremaschi, già leader sindacale nella Fiom e ora esponente di “Potere al Popolo”. «Se il sistema mediatico non fosse quello che è – scrive Cremaschi su “Contropiano” – l’incontro tra Tony Blair e Matteo Salvini sarebbe stato la notizia di apertura su cui discutere e far discutere per giorni. Siccome invece il sistema mediatico deve rispondere agli interessi dei suoi padroni, allora la notizia è stata quasi censurata». Ma come, scrive Cremaschi: il leader della “destra populista”, che ha fatto le sue fortune urlando che la sinistra è contro il popolo e sta coi ricchi, incontra il più importante esponente della sinistra dei ricchi? Non solo: si fa la foto sorridente con lui e, in un post, esprime compiacimento e riconoscimento del comune pragmatismo? Tutto questo non meriterebbe titoli da prima pagina ben più che gli scontati incontri con Orban? «No, se chi guida i mass media ha da un lato interesse a che l’incontro si sia svolto, ma dall’altro che esso non offuschi l’immagine con la quale Salvini ha scalato il potere».L’ex premier britannico Tony Blair non è solo il principale esponente di quella “terza via”, seguendo la quale la sinistra occidentale e italiana «si è suicidata, sull’altare della sudditanza al mercato e al profitto». Oggi l’ex finto-laburista Blair «è un agente, “molto concreto” come ha scritto Salvini, lautamente retribuito da quel sistema finanziario multinazionale che si ostina a voler comandare il mondo, anche se per fortuna con crescenti difficoltà». Peggio ancora: nel saggio “Massoni”, uscito nel 2014, Gioele Magaldi scrive che Blair non è soltanto una pedina dell’élite neoliberale globalista, è anche un supermassone affiliato alla temibile “Hathor Pentalpha”, superloggia creata dai Bush per accelerare in modo violento la globalizzazione del pianeta, ricorrendo anche al terrorismo “false flag” come quello all’origine dell’11 Settembre, basato su manovalanza “islamista” (Al-Qaeda) ma direttamente controllato dal “fratello” Osama Bin Laden, affiliato alla “Hathor” come poi lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi, il brutale leader del sedicente Isis. Sono potentissimi, gli “amici” di Blair, che – proprio per questo – continua indisturbato ad aggirarsi, da padrone, nel mondo che ha contribuito a distruggere.Strano, che lo stesso Blair ora incontri quel “governo gialloverde” di cui i poteri forti europei sembrano avere così paura? Il potere pensa ancora che questo governo durerà poco, diceva qualche settimana fa Gianfranco Carpeoro, saggista ed esponente del Movimento Roosevelt: l’élite non ha ancora fatto nessun serio tentativo per “incorporarlo” nei suoi piani. In compenso, sono arrivate grandi bordate essenzialmente contro Salvini: la superloggia “Three Eyes” si è mossa con successo, sempre secondo Carpeoro, per bloccare la nomina di Marcello Foa a presidente della Rai: il candidato salviniano è stato bocciato da Berlusconi, costretto a rimangiarsi la parola data a Salvini, dopo le sollecitazioni di Antonio Tajani, a sua volta contattato – su consiglio di Giorgio Napolitano – da Jacques Attali, supermassone oligarchico che si considera il “padrino” di Macron, il presidente francese giunto a far definire “vomitevole” la politica di Salvini sui migranti. Come se non bastasse, ad appesantire la situazione ha provveduto la magistratura italiana: Salvini è indagato per sequestro di persona (30 anni di carcere) dopo la vicenda della nave Diciotti. E soprattutto: la Lega è stata condannata, anche senza una sentenza definitiva, a rifondere lo Stato di qualcosa come 49 milioni di euro, che i magistrati ritengono esser stati indebitamente sottratti durante la gestione Bossi.Nonostante ciò, Cremaschi diffida di Salvini: Blair, scrive, lo ha incontrato «prima di tutto in quanto lobbista delle multinazionali che sostengono il Tap, il gasdotto che devasterebbe la Puglia e altre parti del nostro paese». Quella grande opera, aggiunge Cremaschi su “Contropiano”, è stata voluta dal Pd è vero, però «ha il totale consenso della Lega». E i due partiti, Pd e Lega, «sulle questioni economico-sociali sono molto più vicini di quanto facciano credere», sostiene sempre Cremaschi, secondo cui Salvini non avrà avuto difficoltà a ribadire «nell’incontro con il suo nuovo amico britannico» che il famigerato Tap si farà, «alla faccia dei poveri Cinquestelle che in campagna elettorale si erano impegnati contro di esso». E naturalmente, secondo Cremaschi, «da quel consenso sugli affari ne saranno seguiti altri sulla politica e su tutto il resto», visto che «quel mondo funziona così», come dimostra la storia dello stesso Blair. Anni fa, l’ex premier inglese aveva incontrato e “benedetto” Matteo Renzi, ancor prima che arrivasse a Palazzo Chigi. All’epoca, continua Cremaschi, Blair operava soprattutto come consigliere politico della Jp Morgan, cioè «proprio quella banca che nel 2013 produsse quel documento contro le Costituzioni antifasciste europee, che i malevoli dicono abbia ispirato la controriforma costituzionale di Renzi».Da tempo, aggiunge Cremaschi, Tony Blair «lavora come cacciatore di teste politiche per conto dei poteri forti: e questo ruolo non solo gli dà potere e ricchezza, ma lo protegge anche dalla responsabilità di esser stato un criminale di guerra». Come capo del governo britannico, infatti, è stato complice di tutte le più sporche guerre che Usa e Nato hanno scatenato, all’alba del nuovo millennio, dopo il fatale 11 Settembre e la redazione del Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano disegnato dai bellicosi “neocon”. «I milioni di profughi e disperati che soffrono e muoiono sulle coste del Mediterraneo – scrive Cremaschi – devono la loro sciagura anche a Tony Blair». Per le sue guerre e per le menzogne con cui le ha giustificate, l’ex premier britannico «oggi rischia di essere processato in patria e all’estero». Ragiona Cremaschi: «Un incontro tra un criminale lobbista delle multinazionali e un ministro non avviene mai per caso». Viene prima preparato con cura dai rispettivi “sherpa”, e viene realizzato «solo quando entrambi gli interlocutori sono sicuri che l’incontro possa servire a entrambi». E dunque: «Quali sono allora gli interessi comuni di Blair e Salvini?». Per capirlo, sostiene Cremaschi, basta dare uno sguardo alla grande stampa italiana.Da diverse settimane, sul “Corriere della Sera”, gli editoriali si rivolgono direttamente al ministro degli interni: «Nella sostanza, gli chiedono di mettere fine alle doppiezze del governo, in particolare su vincoli europei, grandi opere e privatizzazioni». L’incontro con Blair, conclude Cremaschi, può essere una risposta: «Quale migliore garanzia di continuare con grandi opere e privatizzazioni, che un incontro con il più importante rappresentante politico di esse in Europa? E sui vincoli dell’austerità Ue il leader della Lega, ex “no euro”, è stato diretto ed esplicito: li rispetteremo, ha detto, e lo spread ha subito applaudito». D’altra parte, aggiunge l’esponente di “Potere al Popolo”, in questi mesi il consenso del ministro degli interni non è cresciuto «per pronunciamenti contro banche, finanza, multinazionali», che semmai – con la Flat Tax – vederebbero incrementare il loro vantaggio fiscale. «Il consenso a Salvini è cresciuto non perché abbia aggredito i poteri forti dei ricchi – scrive Cremaschi – ma perché si è mostrato spietato con i più deboli dei poveri senza potere».Come nel passato, osserva il marxista Cremaschi, la grande borghesia liberale «prima disprezza la barbarie dei movimenti di estrema destra, ma poi si accorda con essi quando scopre che tutti i suoi interessi ne verranno garantiti». I conservatori, che insieme ai socialdemocratici hanno sinora guidato l’Ue, secondo Cremaschi «si stanno accordando con le destre xenofobe per conservare il potere». Salvini? «Non é più contro la Ue, perché la Ue non è più contro di lui». Per Cremaschi, «la conservazione delle politiche economiche liberiste può ben accordarsi con politiche autoritarie e violente contro i migranti e contro ogni dissenso sociale». Mai stato indulgente, Cremaschi, con la Lega: «Chi oggi pensa di contrapporre la Ue a Salvini è un illuso o un imbecille – scrive – e dovrebbe passare delle giornate a guardare la foto del leader leghista e di Blair sorridenti e soddisfatti». Conclusione: «Mentre la magistratura sequestra i fondi della vecchia Lega di Bossi, i poteri forti hanno scelto quella nuova di Salvini, che ha promesso loro che continuerà a fare ciò che ha sempre fatto: essere forte coi deboli e debole coi forti». Secondo Cremaschi «c’è solo da sperare che la benedizione di Blair, che poi ha portato Renzi alla rovina, alla fine abbia gli stessi effetti sul ministro degli interni». Nel frattempo, il Pd renziano si gode lo spettacolo dalla finestra: è stato infatti il centrosinistra (non Salvini) a terremotare il paese, al punto da spingerlo a votare in massa per la Lega e i 5 Stelle.Che ci fa Matteo Salvini a braccetto con Tony Blair, tristissimo esponente della post-sinistra di regime che ha terremotato il pianeta a colpi di privatizzazioni selvagge e guerre devastanti, innescate da “fake news” come le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam? Se lo domanda Giorgio Cremaschi, già leader sindacale nella Fiom e ora esponente di “Potere al Popolo”. «Se il sistema mediatico non fosse quello che è – scrive Cremaschi su “Contropiano” – l’incontro tra Tony Blair e Matteo Salvini sarebbe stato la notizia di apertura su cui discutere e far discutere per giorni. Siccome invece il sistema mediatico deve rispondere agli interessi dei suoi padroni, allora la notizia è stata quasi censurata». Ma come, scrive Cremaschi: il leader della “destra populista”, che ha fatto le sue fortune urlando che la sinistra è contro il popolo e sta coi ricchi, incontra il più importante esponente della sinistra dei ricchi? Non solo: si fa la foto sorridente con lui e, in un post, esprime compiacimento e riconoscimento del comune pragmatismo? Tutto questo non meriterebbe titoli da prima pagina ben più che gli scontati incontri con Orban? «No, se chi guida i mass media ha da un lato interesse a che l’incontro si sia svolto, ma dall’altro che esso non offuschi l’immagine con la quale Salvini ha scalato il potere».
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I 5 Stelle: rassegnatevi, la Tav Torino-Lione non si farà più
«Quando studio dossier come quello della Tav Torino-Lione, non posso che provare rabbia e disgusto per come sono stati sprecati i soldi dei cittadini italiani». Le parole di Danilo Toninelli, ministro delle infrastrutture, suonano come campane a morto per il progetto che ha fatto letteralmente impazzire la valle di Susa, scatenando una protesta che si è conquistata un posto importante nell’agenda politica italiana. Sulla scrivania di Giuseppe Conte, scrive la “Stampa”, ora c’è una relazione che il premier ha letto e riletto, «prima di caricarsi anche pubblicamente una decisione che ormai è presa: la Tav non si farà più». Secondo il quotidiano torinese sarebbe scelta quasi obbligata, per il Movimento 5 Stelle, votato in massa dai NoTav. «Erano l’avanguardia territoriale dei grillini contro le grandi opere», scrive Ilario Lombardo, e ora si sentirebbero traditi dalle voci di un possibile ripensamento sulla maxi-opera più controversa d’Europa. Secondo un sondaggio piovuto sul tavolo dei vertici dei 5 Stelle, aggiunge Lombardo sulla “Stampa”, impegni come l’Ilva, la Tav e il Tap potrebbero costare una buona fetta di consenso. «Così, l’alta velocità Torino-Lione verrebbe sacrificata anche per indorare l’ok al Tap, il gasdotto che dovrebbe adagiarsi sulle spiagge pugliesi che è già costato dolenti ferite alla ministra del Sud, la grillina Barbara Lezzi per le forti contestazioni subite».Anche dalla valle di Susa si è alzata la protesta che ha investito Toninelli, appena ha solo accennato alla volontà di «migliorare» la Tav invece di confermare la rinuncia al tunnel. «Luigi Di Maio non può permettersi di liquidare entrambe le promesse elettorali, figlie di campagne identitarie per i grillini», sostiene Lombardo. Il post in cui tre giorni fa Toninelli annunciava un veto su qualsiasi ulteriore firma «ai fini dell’avanzamento dell’opera» è stato un avvertimento e un primo segnale. Rivolto anche all’alleato di governo, la Lega, che invece è stata una grande sostenitrice della Tav. Conte, aggiunge “La Stampa”, sarebbe ormai pronto ad abbracciare il piano di Di Maio e Toninelli, che ha un obiettivo chiaro: «La chiusura della tratta piemontese dell’alta velocità, nascosto dietro a una dichiarazione di intenti più fumosa che parla di “ridiscutere integralmente l’infrastruttura”, esattamente quello che c’è scritto nel contratto di governo, e che per i grillini può essere interpretato anche in maniera radicale». Lo stesso Toninelli, sul “Blog delle Stelle”, non usa però mezzi termini, riguardo al progetto Torino-Lione: «E’ stato enorme lo sperpero di danaro pubblico per favorire i soliti potentati, certe cricche politico-economiche e persino la criminalità organizzata».Impietosa l’analisi del ministro: la parte internazionale della Torino-Lione in teoria dovrebbe costare 9,6 miliardi (il 40% a carico dell’Ue, il 35% a spese Italia e il 25% della Francia), ma già nel 2007 era emerso che il costo vero arriverebbe a 20 miliardi di euro, o addirittura 26 secondo la Corte dei Conti francese, sulla base delle stime del Tesoro di Parigi aggiornate al 2012. Costi folli, per un’opera giudicata inutile: è infatti ormai semi-deserta la linea Torino-Modane che già collega Italia e Francia attraverso la valle di Susa, nonostante il recente ammodernamento del Traforo del Fréjus, costato 400 milioni. Peggio: nel caso della Torino-Lione sarebbero davvero eccessivi gli oneri gravanti sull’Italia, nonostante il nostro paese sia interessato solo da 12,5 chilometri dell’ipotetico traforo internazionale da scavare per 57,5 chilometri sotto il Moncenisio. «Uno degli aspetti più scandalosi sta proprio lì», sottolinea Toninelli: «I nostri governanti del tempo, stiamo parlando dei primissimi anni Duemila, decisero di accollarsi la parte maggiore delle spese per convincere la Francia, che era giustamente riluttante rispetto alla costruzione dell’opera. Anche perché negli ultimi venti anni lo scambio di merci tra Italia e Francia ha avuto una discesa costante». Da neo-ministro, Toninelli accusa: «Mi son trovato a mettere le mani in un verminaio di sprechi, connivenze corruttive, appalti pilotati, varianti in corso d’opera che hanno fatto esplodere i costi negli anni. E’ difficile raddrizzare la barra, ma dobbiamo farlo. Lo dobbiamo ai nostri concittadini e soprattutto alle generazioni future».Scandalosa la gestione dell’alta velocità ferroviaria in Italia: ci costa in media 28 milioni di euro a chilometro contro i 12 milioni della Spagna, i 13 della Germania e i 15 della Francia. Cifra che sale a 33 milioni di euro a chilometro con le linee in via di costruzione. «E’ per questo che abbiamo avviato una seria revisione progettuale su queste infrastrutture», spiega Toninelli: «Non si può più fare a meno di una rigorosa analisi costi-benefici». Rifarsi al “contratto” di governo, scrive il ministro, pensando soprattutto a Salvini, significa «voler ridiscutere integralmente l’infrastruttura, senza preclusioni ideologiche ma senza subire il ricatto che ci piove in testa e che scaturisce dalle scandalose scelte precedenti». Di qui l’intimazione ai tecnocrati: «Nessuno deve azzardarsi a firmare nulla ai fini dell’avanzamento dell’opera, lo considereremmo come un atto ostile: le opere si fanno se servono ai cittadini, non a chi le costruisce». Il progetto Tav Torino-Lione (tuttora solo cartaceo) è nato da un accordo con la Francia ratificato dal Parlamento. Un’intesa che però, secondo Palazzo Chigi e il ministero dei trasporti, può essere stracciato attraverso una legge e un altro voto alle Camere, sempre che la maggioranza regga e la Lega non si sfili.A oltre 15 anni dal tentativo di avvio del primo cantiere a Venaus, letteralmente fermato dalla protesta popolare, i lavori – sul versante italiano – sono ancora limitati alla sola galleria esplorativa di Chiomonte. Secondo i ministri grillini, scrive la “Stampa”, si tratterebbe semplicemente di restituire i fondi all’Europa (800 milioni di euro) senza penali. «I contatti con i francesi sono continui, ma la parte grillina del governo è decisa ad andare avanti anche a costo di scontri diplomatici con Parigi, con conseguente richiesta di risarcimenti». Il “no” definitivo è previsto per il prossimo autunno, tra ottobre e novembre, quando si concluderà l’analisi costi-benefici, inclusi quelli ambientali. «Ma il destino dell’alta velocità piemontese si incrocia anche con la partita delle nomine in corso in queste ore», aggiunge Lombardo sul quotidiano torinese. «Telt, la società responsabile della realizzazione della Torino-Lione, è per il 50% in mano allo Stato francese e per il restante 50% controllata da Ferrovie, i cui vertici sono stati azzerati da Toninelli l’altro ieri». Tra i valsusini prevale la prudenza: riusciranno davvero, i 5 Stelle, a fermare l’inutile ecomostro che ha finora attratto potentissimi interessi economici, politici e finanziari, al punto da apparire impossibile da fermare?«Quando studio dossier come quello della Tav Torino-Lione, non posso che provare rabbia e disgusto per come sono stati sprecati i soldi dei cittadini italiani». Le parole di Danilo Toninelli, ministro delle infrastrutture, suonano come campane a morto per il progetto che ha fatto letteralmente impazzire la valle di Susa, scatenando una protesta che si è conquistata un posto importante nell’agenda politica italiana. Sulla scrivania di Giuseppe Conte, scrive la “Stampa”, ora c’è una relazione che il premier ha letto e riletto, «prima di caricarsi anche pubblicamente una decisione che ormai è presa: la Tav non si farà più». Secondo il quotidiano torinese sarebbe scelta quasi obbligata, per il Movimento 5 Stelle, votato in massa dai NoTav. «Erano l’avanguardia territoriale dei grillini contro le grandi opere», scrive Ilario Lombardo, e ora si sentirebbero traditi dalle voci di un possibile ripensamento sulla maxi-opera più controversa d’Europa. Secondo un sondaggio piovuto sul tavolo dei vertici dei 5 Stelle, aggiunge Lombardo sulla “Stampa”, impegni come l’Ilva, la Tav e il Tap potrebbero costare una buona fetta di consenso. «Così, l’alta velocità Torino-Lione verrebbe sacrificata anche per indorare l’ok al Tap, il gasdotto che dovrebbe adagiarsi sulle spiagge pugliesi che è già costato dolenti ferite alla ministra del Sud, la grillina Barbara Lezzi per le forti contestazioni subite».
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Da Regeni all’Airbus: demolire l’Egitto che si oppone all’Isis
Cade nell’Egeo il volo Parigi-Cairo, ma il primo missile lanciato contro l’Egitto si chiamava Giulio Regeni: «Sprovveduto frequentatore di ambienti dello spionaggio e della provocazione angloamericana, non si è reso conto fino a che punto quegli ambienti ti possono trasformare da amico del giaguaro in utile idiota, utilizzandoti nel primo ruolo e sacrificandoti nel secondo». E così, scrive Fulvio Grimaldi, Regeni è diventato il trampolino da cui far piombare sull’Egitto un uragano di anatemi tale da renderlo definitivamente infrequentabile. «Metrojet russo, Egypt Air, Regeni, più un paesaggio egiziano percosso da folgori e schianti fatti in casa da coloro cui è stato detto che, più sconquassano e massacrano, più li si favorirà a tornare al potere nell’ultimo Stato nazionale arabo (insieme all’Algeria) non frantumato, o ridotto all’obbedienza neocolonialista e neoliberista». Risultato: il turismo che dal 20% delle entrate scende a zero e sprofonda il paese in una catastrofe economico-sociale da cui si calcola potrà sognare di risollevarsi unicamente vendendosi.Con l’abbattimento dell’aereo russo s’è già persa una bella quota di quel 20%, continua Grimaldi sul blog “Mondo Cane”. «Extra bonus, uomo avvisato mezzo salvato, con riferimento a Putin e Al Sisi che al Cairo avevano firmato ampi accordi commerciali, militari e di investimenti». Della “bomba a grappolo Regeni”, «tutti si ostinano a ignorare il torbido romanzo di formazione negli Usa dell’intelligence e l’approdo alla società di spionaggio Oxford Analytica, diretta da tre specialisti del terrorismo su vasta scala: Mc Coll, già capo dei servizi britannici, David Young, ex-galeotto per il complotto Watergate e John Negroponte, sterminatore di civili in Centroamerica e Iraq con i suoi squadroni della morte. Le ricadute dell’ordigno umano sono state un’altra fetta di turismo andata e, soprattutto, un gigantesco business Italia-Eni-Egitto, attorno al più grande giacimento di gas del Mediterraneo, messo a repentaglio, forse definitivamente».Addio gas all’Italia e alla Francia. «Diversamente dall’orrido Tap (Trans Adriatic Pipeline) imposto da Shell, Obama e Renzi, che devasterà le coste del Salento e degraderà la Puglia in hub energetico europeo, ma che parte dall’amerikano e filo-Erdogan Azerbaijan (ultimamente meritevole anche per l’aggressione al filo-russo Nagorno), quel gas egiziano, insieme all’altro arabo dall’Algeria, pure malvisto, ci avrebbe dato un sacco di soddisfazioni energetiche senza deturpare nulla, ma anche senza mano Usa sul rubinetto». Sicché, «dopo aver spento la musica al valzer Egitto-Italia, era arrivato in sala da ballo il castigamatti dell’Africa francofona, il restauratore della mai dimenticata FranceAfrique in Costa d’Avorio, Mali, Niger, Ciad, Rca e giù giù fino al Gabon e oltre. Ma se al clown da circo dell’orrore, Hollande, il diversivo neocolonialista dai disastri nella metropoli poteva essere consentito nella FranceAfrique (dopottutto si muoveva anche nel nome della Nato), il suo precipitarsi in Egitto a concordare con Al Sisi la sostituzione del partner francese a quello italiano costituiva invasione di campo».Intollerabile, l’attivismo francese in Egitto, per gli anglosassoni, «inventori e poi padrini dei Fratelli Musulmani e dei loro apprendisti stregoni Daish». Quanto al Cairo, il problema si chiama Abdel Fatah Al Sisi, il generale che sfrattò Mohamed Morsi su richiesta di 33 milioni di egiziani, dopo la rivoluzione del 2011 che aveva insediato i Fratelli Musulmani. Una rivolta «infiltrata e manipolata dai soliti esperti di “regime change” statunitensi perchè fingesse un superamento della dittatura di Mubaraq attraverso un regime di musulmani “moderati”». Alle presidenziali votò il 35% degli aventi diritto e solo il 17% si espresse per Morsi. «Vibranti furono le congratulazioni di Washington. L’intera amministrazione dello Stato fu occupata dai Fm. Gli assassini del presidente Sadat furono ricevuti da Morsi e messi a capo del Consiglio dei Diritti Umani. L’autore del famoso massacro di Luxor fu nominato governatore di quella provincia. Seguirono gli arresti degli oppositori laici di Mubaraq e i pogrom anticristiani. Tutte le maggiori imprese dello Stato vennero privatizzate e fu annunciata la possibile vendita del Canale di Suez al Qatar, una specie di Vaticano dei Fm, sponsor dell’Isis».Morsi, continua Grimaldi, inviò una delegazione ufficiale dal capo dell’Isis, Al Baghdadi, e ordinò alle forze armate di essere pronte ad attaccare la Siria, cosa che suscitò vivissime reazioni contrarie tra i militari. Morsi rimediò inviando “volontari” a supporto dei jihadisti. Questi e altri provvedimenti innescarono quella che sarebbe stata la più grande manifestazione di massa contro un presidente egiziano. I Fratelli Musulmani reagirono con le armi e per un mese si succedettero scontri sanguinosi. Il Qatar e la Turchia di Erdogan furono i primi a denunciare il “colpo di Stato”. La guerra civile fu evitata grazie alle elezioni, boicottate dagli islamisti, e in cui Al Sisi riportò il 96% dei voti. «Da quel momento inizia la campagna degli attentati terroristici. I media occidentali parlano di arresti e condanne di oppositori. Quasi sempre si tratta di Fm responsabili degli attentati con centinaia di vittime».Chi è Abdel Fatah Al Sisi? A dispetto del terrorismo islamista, con Al Sisi l’Egitto conosce una certa pace sociale: vengono liberati prigionieri politici e ricostruite le chiese copte bruciate. Ma l’economia è a pezzi, l’ostilità dell’Occidente e del Qatar provoca isolamento. «Tanto più che il Cairo si propone come autorevole mediatore nel conflitto libico e come forza effettivamente capace di debellare, con il legittimo governo di Tobruk (che aveva vinto le elezioni ed era aperto ai gheddafiani) e il generale Haftar, i mercenari Isis spediti dalla Turchia, beneaccetti dai Fratelli di Tripoli e dai tagliatori di teste di Misurata e finanziati dal Qatar. Solito pretesto per l’intervento Nato». E non è tutto: «Con l’aiuto della Cina, imperdonabile, l’Egitto raddoppia la capacità del Canale di Suez e quindi le entrare che ne derivano. Dovrebbe essere un segmento cruciale della nuova temutissima Via della Seta e dell’interscambio tra Africa e Cina. Nell’estate del 2015 l’Eni rivela la scoperta dell’enorme giacimento di gas e di altri idrocarburi nell’area marina di Zohr, che permetterebbe al Cairo di ricavarne l’equivalente di 5,5 miliardi di barili di petrolio.Anche per questo, contemporaneamente, dilaga il terrorismo dei Fratelli Musulmani: vengono uccisi il procuratore generale della Repubblica e altri alti funzionari e magistrati. Ne segue un’ondata di arresti che fa gridare in Occidente alla brutale repressione del nuovo Pinochet. Mohammed Hassanein Heikal, il più brillante e cosmopolita giornalista egiziano, già portavoce di Nasser e direttore del primo quotidiano egiziano, “Al Ahram”, sollecita Al Sisi a denunciare la macelleria saudita nello Yemen (e difatti le truppe egiziane verranno ritirate), di sostenere la resistenza del presidente siriano Assad e di cercare un riavvicinamento con l’Iran. «A 87 anni, Heikal, che anni fa avevo intervistato per il “Nouvel Observateur” scoprendovi uno dei più colti e appassionati intellettuali arabi incontrati in mezzo secolo, muore», racconta Grimaldi, «prima che Al Sisi possa portare avanti quel discorso».Nella notte dall’11 al 12 aprile, si viene a sapere che l’Egitto ha ceduto due isolotti nel Mar Rosso all’Arabia Saudita. Nelle stesse ore re Salman è al Cairo e annuncia investimenti per 25 miliardi di dollari. Sulle due isole, Tiran e Sanafir, si dovrebbe posare il grande ponte che, nei progetti sauditi ed egiziani, unirebbe le due coste del Golfo di Aqaba. Intanto gli Usa offrono rinnovate forniture d’armi. «Se non si riesce a far tornare Morsi, meglio provare a non lasciare campo aperto a russi, italiani, francesi, cinesi». La cessione delle isole provoca una serie di manifestazioni di protesta dei nazionalisti egiziani che si chiedono dove Al Sisi stia andando, tra Russia, Cina, Usa, Libia e Arabia Saudita. «La risposta sta nelle condizioni economiche in cui l’Egitto è stato ridotto da una guerra economica, terroristica e mediatica, partita appena il nuovo presidente è arrivato al potere e si è dichiarato ispirato da Nasser. La sua pare la mossa della disperazione prima che la società egiziana precipiti nel baratro e della nazione araba non rimangano che brandelli, spettri alitanti tra le rovine di Aleppo, nella polvere dell’ultima bomba Isis a Baghdad, tra le immagini di Gheddafi sepolte in cassetti segreti di case che non dimenticano».E mentre gli altri megafoni della demonizzazione dell’Egitto e del suo “Pinochet” si stavano acquietando, anche di fronte all’evidenza del carattere “schiumogeno” che le accuse contro gli inquirenti sul caso Regeni stavano rivelando, insieme alla «ambigua identità del giovanotto, rilevata da molta stampa estera», il “Manifesto” «accentuava il suo bombardamento di contumelie, congetture, illazioni, accuse senza fondamento», denuncia Grimaldi. «Personaggi da assegnare alle categorie degli utili idioti o degli amici del giaguaro, a seconda della percezione di ognuno, tra i quali un magistrato disertore e fallito politico come Ingroia, il compare di Sofri Manconi, vari dirittoumanisti di complemento, cantanti, nani e ballerine, invocavano sull’Egitto di Al Sisi i fulmini di Giove, Marte, Saturno, Urano, Diopadre, sanzioni, embargo, interventi Onu, magari, sotto sotto, bombe alla libica. Neanche uno di questa compagnia di giro cripto-Nato che si fosse chiesto cosa cazzo ci facesse Regeni con criminali come Young, Negroponte e McColl», conclude Grimaldi. «Non è solo malafede. E’ complicità con chi usa altri mezzi per distruggere l’Egitto. Complicità, in ogni caso, con chi è comunque peggio di Al Sisi».Cade nell’Egeo il volo Parigi-Cairo, ma il primo missile lanciato contro l’Egitto si chiamava Giulio Regeni: «Sprovveduto frequentatore di ambienti dello spionaggio e della provocazione angloamericana, non si è reso conto fino a che punto quegli ambienti ti possono trasformare da amico del giaguaro in utile idiota, utilizzandoti nel primo ruolo e sacrificandoti nel secondo». E così, scrive Fulvio Grimaldi, Regeni è diventato il trampolino da cui far piombare sull’Egitto un uragano di anatemi tale da renderlo definitivamente infrequentabile. «Metrojet russo, Egypt Air, Regeni, più un paesaggio egiziano percosso da folgori e schianti fatti in casa da coloro cui è stato detto che, più sconquassano e massacrano, più li si favorirà a tornare al potere nell’ultimo Stato nazionale arabo (insieme all’Algeria) non frantumato, o ridotto all’obbedienza neocolonialista e neoliberista». Risultato: il turismo che dal 20% delle entrate scende a zero e sprofonda il paese in una catastrofe economico-sociale da cui si calcola potrà sognare di risollevarsi unicamente vendendosi.
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Io non sono Charlie, che è complice dei nostri veri assassini
Qui solo qualche veloce considerazione. L’attentato ha colpito un bersaglio perfetto per alimentare di magma vulcanico la “guerra al terrorismo”, tirarci dentro milionate di boccaloni destri e sinistri a sostegno di guerre e “misure di sicurezza”, fornire benzina ai piromani dell’universo mediatico e politico globalizzato. Tutto nel nome di quella sacra “libertà di stampa”, simbolo della nostra superiore civiltà, rappresentata da noi da becchini della libertà di stampa come la Botteri, Pigi Battista, Calabresi, Gramellini, Mauro, Scalfari e, nel resto dell’emisfero, da presstituti solo un tantino meno rozzi di questi. Un verminaio ora rimescolato e infoiato da un evento che gli dà la possibilità di coprire la propria abiezione con nuovi spurghi di odio e menzogne. “Charlie Hebdo” è una rivista satirica che ha la sua ragion d’essere nell’islamofobia, cioè nella guerra imperiale al “terrorismo” e contro diversi milioni di cittadini francesi satanizzati perché con nome arabo.Accanita seminatrice di odio antislamico, beceramente razzista, un concentrato di volgarità, vuoi di solleticamenti pruriginosi (Wolinski), vuoi da ufficio propaganda dei macellai di musulmani, al servizio del suprematismo euro-atlantico-sionista e, dunque, vessillo della civiltà occidentale a tutti cara, pure alle banche. Tanto che queste la salvarono dal fallimento e le infilarono economisti di vaglia, come Bernard Maris, pure dirigente nel Consiglio Generale della Banca di Francia. Rientra in questo ordine di cose l’entusiasmo con cui il mattinale ha accolto l’opera del sodale Michel Houellebecq, celebratissimo e ora protettissimo romanziere, il cui capolavoro, “La sottomissione”, è uscito in felice sincronismo con l’attentato. La sottomissione deprecata per tutte le centinaia di pagine è quella dell’Occidente che ha “rinunciato a difendere i suoi valori” e “ha ceduto all’Islam, la più stupida delle religioni”. Non meraviglia che, sul “Il Fatto Quotidiano”, il vignettista Disegni solidarizzi con i colleghi parigini e, in particolare, con il già citato amico e maestro Wolinski.Chissà perché m’è venuto in mente il giorno, al tempo del disfacimento Nato della Jugoslavia, quando collaboravo a una sua rivista, in cui Disegni mi cacciò dal giornale, spiegandomi che non poteva tollerare nel suo giornale uno che stava dalla parte dei serbi. House Organ di sinistra, con altri (“Libération”, “Le Monde”), dei servizi segreti franco-israeliani, è anello fintamente satirico della catena psicoterrorista che ci deve ammanettare tutti e trascinarci convinti alla guerra contro democrazia e resto del mondo. L’attentato parigino, preceduto dagli altri tre grandi episodi della campagna per il Nuovo Ordine Mondiale, Torri Gemelle-Pentagono, metrò di Londra, ferrovia di Madrid (ma noi siamo stati gli antesignani: Piazza Fontana, Italicus, Brescia, Moro, le bombe del mafia-regime), si inserisce alla perfezione nella storia del terrorismo “false flag”. Minimo, o massimo, comune denominatore, un cui prodest che si risolve immancabilmente a vantaggio della vittima conclamata e a esiziale detrimento dei responsabili inventati.L’apocalisse scatenata dal capitalismo terrorista in tutto il mondo, come di prammatica anche stavolta è stata firmata dall’urlo Allah-U-Akbar. Prova inconfutabile di chi siano i mandanti, no? A prima vista, l’operazione rientra nella campagna di destabilizzazione dell’Europa che, attraverso sfascio economico-sociale, conflitti interetnici e misure di “sicurezza”, deve rafforzare la marcia verso Stati di polizia, politicamente ed economicamente assoggettati all’élite sovranazionale, ma controllati da proconsoli e signori incontrastati della vita dei loro sudditi. Si possono individuare due motivazioni specifiche: una punizione USraeliana a Hollande, che non si era peritato di invocare la revoca delle sanzioni al mostro russo, inaccettabile incrinatura del blocco bellico del Nuovo Ordine Mondiale (avviso alla Merkel e ad altri devianti), con effetti a lungo termine di disgregazione sociale e conflitto inter-etnico; oppure un contributo della casta antropofaga francese, in questo caso concordato con i padrini d’oltremare, alla guerra infinita esercitata, fuori, contro le colonie recuperande (Mali, Chad, Rca, Maghreb) e, a casa, contro il cuneo sociale islamico e l’insubordinazione di massa che compromettono le mire dei correligionari dei maestri di Tel Aviv, Hollande, Fabius, Sarkozy, Lagarde.Pensate alle ricadute della carneficina “islamista” di Parigi, ascoltate gli ululati delle mute di sciacalli che per un bel po’ avranno modo di cibarsi di cadaveri della verità. Quante ragioni di più avranno, agli occhi dei decerebrati dai media, i trogloditi nazifascisti e razzisti che si aggirano in sparuti ma vociferanti drappelli per l’Europa, e sono tanto utili a spostare il giudizio di estrema destra, di fascismo, dalla classe dirigente a queste bande di manipolati. Quanto si attenuerà la protesta per le immonde condizioni dei migranti invasori. Quanto ne saranno rafforzati l’impeto e l’impunità degli addetti alla repressione di “corpi estranei”, come dei dissidenti autoctoni: Ilva, Tav, Tap, Trivelle, basi militari, disoccupazione, miseria, Renzi che toglie gli ultimi lacciuoli ai grandi evasori (avete visto che chi guadagna di più potrà evadere di più) e a quelli in cui era stata costretta l’inclinazione a delinquere di Berlusconi. Sempre più degna dei suoi antichi e recenti titolari, si ergerà una civiltà partorita dai roghi e dagli squartamenti di mille Torquemada, dalle crociate da mille anni mai interrotte, dalla guerra infinita, dal dio bliblico, il più sanguinario e protervo della storia.Bonus aggiuntivo, la distrazione di massa occidentale dalla dittatura neoliberista in progress, dal genocidio sociale euro-atlantico e dalle guerre militari ed economiche che portano avanti. La distrazione, da noi, dalle canagliate, una dopo l’altra, che ci infliggono il ciarlatano zannuto e le sue risibili ancelle. Tutto questo si ripete nei secoli della tirannia feudalcapitalista, monotonamente e anche con trasparente pressapochismo, salvaguardato, però, dalle coperture mediatiche. Coperture nelle grandi occasioni condivise con passione sfrenata dal “Manifesto”: mobilitati tutti i furbi e i naives della redazione e del suo cerchio magico per ben 13 articoli fiammanti per 6 pagine, fotone e vignette, in difesa della libertà di stampa offesa. Ce ne fosse uno, tra questi pensosi guru del politically correct, che, sulla scorta di una storia clamorosa di “false flag” padronali, da Pearl Harbour al Golfo del Tonchino, dallo stesso 11 Settembre al piano del Pentagono (Northwoods) di far saltare per aria, sotto etichetta cubana, palazzi governativi negli Usa e abbattere un aereo di studenti statunitensi nel cielo dell’Isola, avesse osato un assolo problematico, dubbioso.Gli autori dell’eccidio, veri professionisti che non avevano nemmeno effettuato un sopralluogo sulla scena. Che bisogno c’era? Servono così, bruti selvaggi, tanto dietro hanno chi professionista lo è davvero. Kalachnikov alla mano e passamontagna sul viso, hanno sbagliato portone e cercato indicazioni da un passante. Sono stati identificati prima ancora che si asciugasse il sangue. Nuovamente esponenti di quella comunità islamica che stoltamente si è tollerata, che deve stare bagnata con la coda tra le gambe. Tre di quei 18mila tagliagole stranieri, perlopiù europei, di cui l’Intelligence e la polizia sapevano tutto e li tenevano fissi d’occhio e di intercettazioni, ma che potevano agevolmente espatriare, addestrarsi nelle basi governate da istruttori Usa-Nato e gestite dai subalterni giordani, turchi, qatarioti, sauditi. Per poi altrettanto agevolmente rientrare, sotto lo sguardo comprensivo dei protettori dello Stato, e dedicarsi al mercenariato imperiale domestico. Di conseguenza, si ammette, sorveglianza zero sui “potenziali terroristi”, pur celebrati dall’ossessiva vulgata del “nemico della porta accanto”.Ora, vista la figuraccia del mancato controllo su uscite verso il Medioriente e rientro, cambiano versione: quelli lì non sono affatto stati in Siria. Invece si sono addestrati sparacchiando qua e là per Parigi, con tanto di istruttori di rango, sempre fuori da sguardi e cimici indiscreti. Figuraccia al cubo. E così, dal momento in cui è iniziata la sparatoria, subito ripresa e telefonata dai giornalisti di “Ch” con telefonino e comunicata dal furgone della polizia sul posto, poi mitragliato, è passata quasi mezz’ora prima dell’arrivo di rinforzi, in una delle metropoli più sorvegliata e tecnologizzata del mondo. Chi fossero i tre, mica s’è saputo grazie al costante controllo su movimenti e discorsi scientificamente condotto dai modernissimi flic tecnologizzati francesi. Figurati, è bastata una carta d’identità abbandonata nella fuga da un attentatore che, comprensibilmente, terminata la sparatoria e in fuga frenetica dalla scena, ha ammazzato il tempo tirando fuori il portafoglio (per vedere se bastava per il taxi?) e frugatoci dentro, estratta la tessera, l’ha posta in bella evidenza sul sedile.Ricorda quell’umoristico passaporto di Mohammed Atta, presunto capofila dei dirottatori dell’11/9, trovato lindo e intonso nel pulviscolo di tre grattacieli disintegrati. Con Atta che dal padre viene rivelato vivo, nella disattenzione assoluta dei gazzettieri. Visto che ovviamente la carta d’identità è stata lasciata a bella posta, quale sarà stato lo scopo? Indicare una testa di legno come autore e coprire quelle vere? Vedremo, nei prossimi giorni, quanto questa operazioni prodest all’Obama in precipitoso calo di consensi (come lo era Bush al tempo delle Torri), a multinazionali, banche, Pentagono e armieri, tutti quelli che devono gestire il trasferimento di ricchezza dalla periferia al centro e dal basso verso l’alto. E poi, scendendo per li rami, a un’Ue di nominati da business e arsenali, in crisi di credibilità e fiducia; a despoti europei reclutati per fare da capro espiatorio pagatore nella guerra alla Russia e al resto del mondo; a produttori di tecnologie per il controllo sociale; alle combine mafiose tra Pd e soci e faccendieri. Allo sparaballe in carenza di aria fritta. Al papa che sollecita gli islamici, solo loro, a farla finita con il terrorismo. Dall’altra parte, vedremo di che prodest ci avvantaggeremo noi, comuni mortali, islamici, cristiani o niente, di che lacrime gronderemo e di che sangue….Concludendo, un esercizio di fantasia. Immaginiamo cosa sarebbe successo, in termini di esecrazione e persecuzione degli antisemiti, se quelle vignette su Allah a culo all’aria e Maometto stupratore bombarolo avessero preso di mira Jahve, Mosé, o un qualsiasi “eterno ebreo” alla Himmler. E immaginiamo anche cosa risponderebbero quelli delle attuali chiassate per la libertà di stampa, nel paese al 69° posto per libertà di stampa, Ordine dei giornalisti e categoria tutta, se gli si chiedesse di manifestare per le centinaia di giornalisti assassinati nei paesi sotto tutela amica, Iraq, Messico, Honduras. Sempre più urgente e credibile, fondata su potenzialità politico-economico-militari letali per la criminalità organizzata che regge un impero in decadenza, diventa la formazione del fronte antagonista avviato da Hugo Chavez e portato avanti con intelligenza e dinamismo da Vladimir Putin: blocco asiatico-latinoamericano di Russia, Cina, Brics, governi e masse insubordinati. Ne consegue l’urgenza di smascherare e spazzare via i contractors della sedicente “Sinistra” che abitano nei sottoscala del menzognificio imperiale e ne ripetono le deformazioni della realtà finalizzate alla criminalizzazione dei diversi non sottomessi: lo “zar” omofobo Putin, “dittatori” vari, i musulmani, “violenti” asociali di varia estrazione, purchè non militari e poliziotti.(Fulvio Grimaldi, “Io non sono Charlie”, dal blog di Grimaldi dell’8 gennaio 2014.Qui solo qualche veloce considerazione. L’attentato ha colpito un bersaglio perfetto per alimentare di magma vulcanico la “guerra al terrorismo”, tirarci dentro milionate di boccaloni destri e sinistri a sostegno di guerre e “misure di sicurezza”, fornire benzina ai piromani dell’universo mediatico e politico globalizzato. Tutto nel nome di quella sacra “libertà di stampa”, simbolo della nostra superiore civiltà, rappresentata da noi da becchini della libertà di stampa come la Botteri, Pigi Battista, Calabresi, Gramellini, Mauro, Scalfari e, nel resto dell’emisfero, da presstituti solo un tantino meno rozzi di questi. Un verminaio ora rimescolato e infoiato da un evento che gli dà la possibilità di coprire la propria abiezione con nuovi spurghi di odio e menzogne. “Charlie Hebdo” è una rivista satirica che ha la sua ragion d’essere nell’islamofobia, cioè nella guerra imperiale al “terrorismo” e contro diversi milioni di cittadini francesi satanizzati perché con nome arabo.