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Cabras: l’Era dell’Aquarius e l’ipocrisia dei Buonisti Mannari
È già evidente come la vicenda dell’Aquarius, la nave attrezzata con 629 migranti soccorsi in mare e in attesa di un approdo certo, rappresenti il primo episodio di una nuova importante fase politica in materia di gestione dei flussi migratori. Il caso Aquarius sta spingendo tutti a posizionarsi e a dipingere lo scenario con toni molto forti, accuse durissime, appelli perentori su fronti opposti. Per parte mia so che dietro al caso Aquarius ci sono sì quelle 629 vite in viaggio e in ansia, ma c’è anche una questione enorme, complessa, di fronte alla quale non ci sono soluzioni semplici. Non si mettono le brache al mondo, neanche in questa materia. Però si possono costruire punti di riferimento molto laici e ridurre i decibel delle grida, guardando avanti e calcolando il tempo che abbiamo per fare qualcosa. Partiamo ad esempio dalla cosa più urgente, la vita delle persone coinvolte in questo specifico caso. Se ne parla con i toni del pericolo imminente, come se si trattasse di una carretta del mare pronta a rovesciarsi dopo un Sos, mentre invece si tratta di un mezzo sicuro, con viveri e medicinali, in costante contatto con le autorità e con gli operatori sanitari per urgenti rifornimenti. Non è sicuramente un posto invidiabile dove trascorrere l’esistenza, ma non è peggiore di un centro di prima accoglienza sulla terraferma.Quel che è in atto è “solo” un braccio di ferro politico sulla destinazione di questo segmento del viaggio. Come ogni questione politica, la decisione è da ritenersi un argomento controverso, ma quel che è certo è che non sussiste una minaccia diretta e grave all’esistenza delle persone che stanno dentro l’Aquarius. Chi definisce la decisione del governo (che nega l’approdo in porti italiani della nave proveniente dalle acque libiche) come un’operazione spietata di gente “senza cuore”, e invita nel frattempo a guardare in faccia “gli occhi dei bambini”, punta a un importante lato emotivo che tuttavia è fuorviante se si considera che non è affatto in questione il loro salvataggio, bensì la forma che assumerà la loro accoglienza e le decisioni su chi abbia diritto a restare. Le forze politiche che hanno composto la maggioranza parlamentare e firmato il “Contratto di governo” condividono questi elementi essenziali in materia di migrazioni: il sistema di accoglienza deve essere autenticamente europeo, non nazionale; chi richiede asilo deve farlo direttamente dai paesi di provenienza o transito e chi ne ha diritto, direttamente da lì, deve essere già ripartito obbligatoriamente presso i 27 Stati membri dell’Unione europea e quindi integrato negli stessi.Un problema gigantesco come le migrazioni contemporanee, in particolare nelle sue forme irregolari e illegali, non deve essere gestito solo dalla Repubblica Italiana intanto che gli altri membri della Ue blindano da decenni le frontiere e i porti, inclusi quelli retti da governi sedicenti “progressisti”. Veltroni in questi giorni ha paventato un ritorno agli anni trenta, ma ha dimenticato cosa faceva il suo governo negli anni novanta. Proprio mentre dal centrosinistra si urla alla disumanità del caso Aquarius, possiamo compulsare pagine ancora non sbiadite delle azioni di governo di quella parte, come il blocco navale anti immigrazione deciso dal governo Prodi, con “disposizioni rigide sul respingimento” in mare degli albanesi. Nell’album di famiglia della sinistra italiana c’è un’iniziativa molto più drastica di quel che accade oggi. Certo, non lo ricorda il solito Roberto Saviano, quando intima al ministro dei trasporti di aprire i porti e twitta: «#umanitàperta #apriteiporti #Aquarius». È lo stesso Saviano che non fa una piega su come Israele gestisce le questioni di #umanitàaperta alle sue frontiere e su come bombarda i porticcioli dei pescatori palestinesi. Omissioni umanitarie.In questo quadro mi colpisce un’osservazione del giornalista Sebastiano Caputo, che chiama in causa una delle critiche rivolte alla chiusura dei porti, ossia il fatto che si concentri sui soggetti più deboli. Dice Caputo che chiudere i porti «è un atto politico, non razzista, che mira a fermare questa orrenda tratta di esseri umani. Ora però aspettiamo da Matteo Salvini, e dai suoi colleghi al governo, un gesto altrettanto forte quando i vertici della Nato ci chiederanno di utilizzare le nostre basi militari per bombardare paesi sovrani e appoggiare guerre “umanitarie” che alimentano quella stessa orrenda tratta di essere umani. Forti coi forti, senza doppi standard». Le risposte sono scritte nel futuro, e dovranno contrastare le pressioni di quelle stesse parti politiche che oggi ci accusano di razzismo ma si sono schierate con tutte le guerre imperialistiche che hanno devastato Africa e Asia negli ultimi venticinque anni. Non mi è congeniale la postura mediatica di Salvini su questa materia, troppo attenta al possibile risvolto elettorale, come d’altro canto, sul fronte opposto, lo è quella del sindaco di Napoli De Magistris. Tuttavia le cose vanno viste nell’insieme, senza pregiudizi, e senza sconti per i signori delle pagliuzze e delle travi.Faccio un esempio che sconcerterà qualche lettore. Ricordo di aver assistito a un dibattito in Tv del 2011, quando si stava per fare la guerra alla Libia. Sino a quel giorno Salvini lo conoscevo solo di viso, non lo avevo mai seguito in un confronto. Praticamente vinse a mani basse su esponenti della sinistra che si spendevano per la guerra a Gheddafi, ai quali diceva in sostanza: “Ma vi rendete conto che, devastando questo paese, oltre a fare decine di migliaia di morti, causerete una catastrofe migratoria dai costi umani esagerati?”. E concluse con “Povera sinistra, come si è ridotta, povera sinistra”. Mi colpì moltissimo perché aveva ragionato e concluso con lucidità prevedendo gli esiti di quel disastro criminale, al quale la sinistra si consegnò totalmente, in parte complicemente e in parte stupidamente. Ricordo l’odio sparso dagli organi di informazione vicini alla sinistra: una totale demonizzazione di Gheddafi, una campagna isterica e guerrafondaia, un delirio che accompagnava le stragi, lo sterminio dei dirigenti dello Stato libico, la distruzione dei potabilizzatori e delle infrastrutture, e infine l’espulsione di due milioni di africani che lavoravano in Libia. Non mi piace il frasario del Salvini di oggi, lo ribadisco, ma la sinistra è ancora incapace di un’autocritica sulle sue grandi colpe storiche di anni recenti, non imputabili a Salvini.Le classi dirigenti francesi e britanniche negli ultimi sette anni hanno scatenato guerre che oltre ai lutti e oltre alla distruzione di interi Stati con cui noi avevamo relazioni convenienti, hanno provocato un drastico peggioramento nella gestione dei flussi migratori, e ora dicono che gestirli non è affar loro ma solo affar nostro. Non siamo di fronte a casuale o banale egoismo. Stanno invece ridisegnando la gerarchia europea, trasformando il fianco sud dell’Europa in un mondo troppo debole per farsi valere, troppo ripiegato sui suoi problemi per esigere che più a nord si paghi il prezzo delle spietate politiche di potenza. Le classi dirigenti di Parigi e Londra hanno scelto cosa voler fare dell’Italia: il paraurti per le tragedie della globalizzazione; così come a Francoforte, Bruxelles e Berlino avevano deciso cosa fare della Grecia: il laboratorio dove sperimentare la futura ‘mezzogiornificazione’ di mezza Europa. È l’autodemolizione del sogno europeo in vista di un ordine che toglie già, ancora una volta, il velo che nascondeva ciò che non è mai venuto meno: i soliti brutali rapporti di forza guidati dalle grandi capitali dei grandi capitali. In questa particolare congiuntura è giusto richiamare l’Europa ai suoi doveri, in tempi rapidi. L’estate è lunga.(Pino Cabras, “L’era dell’Aquarius”, dal blog “Vietato Parlare” dell’11 giugno 2018. L’intervento è ripreso dalla pagina Facebook di Cabras, neo-deputato 5 Stelle).È già evidente come la vicenda dell’Aquarius, la nave attrezzata con 629 migranti soccorsi in mare e in attesa di un approdo certo, rappresenti il primo episodio di una nuova importante fase politica in materia di gestione dei flussi migratori. Il caso Aquarius sta spingendo tutti a posizionarsi e a dipingere lo scenario con toni molto forti, accuse durissime, appelli perentori su fronti opposti. Per parte mia so che dietro al caso Aquarius ci sono sì quelle 629 vite in viaggio e in ansia, ma c’è anche una questione enorme, complessa, di fronte alla quale non ci sono soluzioni semplici. Non si mettono le brache al mondo, neanche in questa materia. Però si possono costruire punti di riferimento molto laici e ridurre i decibel delle grida, guardando avanti e calcolando il tempo che abbiamo per fare qualcosa. Partiamo ad esempio dalla cosa più urgente, la vita delle persone coinvolte in questo specifico caso. Se ne parla con i toni del pericolo imminente, come se si trattasse di una carretta del mare pronta a rovesciarsi dopo un Sos, mentre invece si tratta di un mezzo sicuro, con viveri e medicinali, in costante contatto con le autorità e con gli operatori sanitari per urgenti rifornimenti. Non è sicuramente un posto invidiabile dove trascorrere l’esistenza, ma non è peggiore di un centro di prima accoglienza sulla terraferma.
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Scie in aumento, Mini: la guerra climatica ormai è realtà
La frequenza delle scie nei nostri cieli (scie di varie forme, dimensioni e colori) si è intensificata. Molti ormai le chiamano “scie chimiche”, ma l’ufficialità continua a negare la loro esistenza. Militari dell’aeronautica e grande stampa, servizi meteo, scienziati e ministri ripetono che si tratta di un fenomeno “normale”, giustificato dal traffico aereo intensificato. Non la pensa così il generale Fabio Mini, già a capo della missione Nato in Kosovo. Per l’alto ufficiale, il fenomeno è anomalo: durante la guerra in Kosovo – ricorda Mini – la manipolazione delle nubi aveva un’importanza strategica ed è stata attuata. «Si possono creare o dissolvere artificialmente e rappresentano uno strumento di guerra», riassume il sito “Ereticamente”, riportando recenti interviste rilasciare dal generale. «Si usano sostanze chimiche (sodio, bario, alluminio, polimeri) che vengono impiegate per le deviazioni delle onde elettromagnetiche». Fabio Mini esorta i cittadini a pretendere la verifica, l’ammissione da parte delle autorità, facendo pressioni per ottenere accertamenti e informazioni ufficiali rilasciate da autorità competenti e di responsabilità: sanità e difesa, aeronautica, ministero dell’agricoltura e della ricerca scientifica. Obiettivo: verificare l’esistenza di prove dettagliate e inconfutabili.«Riguardo alla questione della geoingegneria – avverte Dane Wigington sul sito “NoGeoingegneria” – le porte di tutti i rappresentanti del governo e di tutte le agenzie governative sono state sbarrate. I responsabili delle operazioni di irrorazione proteggono questi programmi negli ultimi decenni. Le agenzie governative che si occupano di qualità dell’aria e dell’acqua sono state strutturate in modo tale da mascherare la montagna di composti tossici originati dai programmi di modificazione climatica e meteorologica». Come Mini, anche Wigington esorta a «fornire dati credibili e inattaccabili per poi metterli nelle mani di autorità competenti e spingerle ad occuparsene attivamente». La lista di possibili interlocutori è infinita, aggiunge “Ereticamente”: «Si passa da chi si occupa di questioni ambientali, cibo biologico, malati di Alzheimer, autismo e Adhd a settori quali l’allevamento, la forestale, il giornalismo». In una recente intervista con Enzo Pennetta, lo stesso Mini ricorda che ormai «la guerra è diventata un illecito del diritto internazionale e non è più la prosecuzione della politica, ma la sua negazione, il suo fallimento».Una caratteristica delle guerre moderne, aggiunge Mini, è anche la perdita di consapevolezza sulla verità: e in questo, la tecnologia sa fare miracoli. «Se tali armi sono state veramente impiegate, si tratta di una violazione del diritto internazionale e dei diritti umani delle vittime». Secondo il professor Pennetta, il cinema americano prepara lo spettatore ad “abituarsi” alla guerra climatica, attraverso immagini più o meno subliminali, dal 1959. Oggi, il “Weather Channel” allarma sui disastri naturali milioni di spettatori su schermi flat e smartphone, come “previsto” (saputo in anticipo?) dalla propaganda militare di Disney nel 1959 con il film “Eyes in Outer Space”, prodotto in collaborazione col Pentagono. «Il film usa musica e animazioni per speculare sull’uso della tecnologia dei satelliti militari lanciati nello spazio, insieme ad una rete di difesa coordinata ed a certi strumenti per modificare il clima. Il controllo del clima, la guerra che minaccia l’ambiente, appunto. Quel film ritrae un ordine futuristico di satelliti e armi spaziali che fanno parte di un sistema di totale controllo climatico militare indirizzato dal presidente Kennedy. E’ stato previsto che satelliti in grado di tracciare il clima avrebbero permesso alle forze militari statunitensi di predire i modelli climatici per progettare attacchi coordinati contro fenomeni naturali nefasti anticipandoli di mesi».Il mondo attuale, che “copre” certi progetti di geoingegneria, armi chimiche, elettromagnetiche e spaziali – conclude “Eticamente”, citando Pennetta – è stato anticipato dal film di Walt Disney in stretta collaborazione con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Ci dà una prospettiva storica di come la propaganda statale venga usata per condizionare una deviazione culturale programmata in supporto all’uso della tecnologia militare come le armi usate contro il mondo naturale». Inutile stupirsi se le “scie chimiche” non trovano cittadinanza sui media, se non per il facile sarcasmo delle cosiddette “bufale”. «Siamo in piena guerra dell’informazione da cui, di riflesso, scaturiscono tutte le altre guerre», sintetizza “Ereticamente”. «Una guerra a colpi di mezze verità, bufale, bufale su verità, verità su bufale con tutti i vari incroci ed intrecci che ne derivano». Secondo il blog, «il diavolo si diverte da sempre a mischiare le carte in tavola con grandi verità condite da grandi porcate e grandi menzogne che, tra le righe, nascondono verità». Del gioco fa parte anche il fantastico “algoritmo anti-bufale” messo a punto da Google, «che in sostanza ci dice: le bufale le decido io, tutto il resto è la verità».In questo clima di guerra all’ultimo scoop e bombardamento mediatico propagandista, spunta un tema che sta a cuore a tutti, di cui ci si preoccupa o di cui si ride: «Le scie chimiche, il clima impazzito, la guerra climatica o ambientale innaffiata ogni giorno dalla guerra della disinformazione». Aggiunge “Ereticamente”: «Le scie chimiche associate al clima impazzito ed a fenomeni di manipolazione di disastri naturali come terremoti, tsunami, cataclismi e siccità non sono più materia di ‘bufale’». Una vera e propria guerra ambientale è già in atto, afferma il generale Mini: «E’ guerra climatica, clima modificato con agenti chimici». Il protocollo ha un nome evocativo: “Owning the Wheather”, possedere il clima. Dal 2007, il generale affronta la delicata questione delle armi di nuova generazione, destinate a provocare disastri solo apparentemente naturali. «Ha osservato che le scie chimiche che segnano i nostri cieli non sono affatto “di condensa”, chiarendo ogni dubbio in merito». Mini spiega che c’è qualcosa di più della classica disinformazione dei media: in ambito militare esiste una pratica chiamata “denial of service”, «in base alla quale non solo occorre negare l’evidenza, la verità e la realtà, ma bisogna negare anche l’informazione». E sottolinea: «Negare l’informazione è già, di per sé, un atto di guerra».Tradotto: «Le persone e interi paesi non devono essere informati», A volte, questa regola «porta a vere catastrofi, come nel caso dello tsunami in Indonesia», riassume “Ereticamente”, citando Mini: «Si poteva avvertire quella gente, ma si sono verificate interruzioni nella trasmissione delle informazioni per via di anelli mal funzionanti o volutamente non funzionanti che hanno impedito la comunicazione». Si torna al punto di partenza: la guerra dell’informazione a tutti i livelli. La nuova arma di distruzione di massa? E’ la “bomba climatica”: «Si sta lavorando a quest’arma di distruzione in segreto, per ottenere vantaggi inimmaginabili su scala mondiale», dichiara il generale. «Alluvioni, terremoti, tsunami, siccità, cataclismi». Uno scenario orwelliano, purtroppo non fantapolitico. «E’ il risultato reale di certe progettazioni in materia di tecnologie militari che la gente non può e non deve conoscere», scrive “Ereticamente”. In campo militare non esiste una moralità che impedisca di varcare un certo limite. «Ciò che si può fare si fa», ammette il generale: per ottenere un vantaggio, si usano tecnologie «senza fare test sufficienti», pur di sperimentarne gli effetti direttamente sul campo.La capacità di condizionare l’ambiente sarebbe ormai una realtà, in ambito militare: potrebbe provocare tornado, terremoti, tsunami, uragani. «Si controlla il clima, lo spazio atmosferico, e si conducono operazioni belliche in sicurezza. S’irrorano le nubi con ioduro d’argento, polimeri e altre sostanze chimiche per spostarle o dissolverle», scrive “Ereticamente”. Il generale Mini racconta del “Progetto Seal” avviato con fondi americani e inglesi nel 1946 per indurre piccoli tsunami. Lo scienziato che conduceva gli esperimenti in Australia, Thomas Leech, si spaventò e bloccò il lavoro, ma sicuramente quegli esperimenti furono ripresi e perfezionati in seguito. Con un articolo pubblicato dalla rivista di geopolitica “Limes”, Mini ha divulgato il progetto dell’aeronautica militare statunitense risalente al 1995. Scie chimiche? Un reporter come Gianni Lannes sostiene che l’Italia si oppose a certi sorvoli già ai tempi di Pertini, per poi autorizzarli a partire dal 2001, in piena era Bush. In Sicilia la popolazione si è opposta alle maxi-antenne dell’installazione strategica Muos di Niscemi, collegata al sistema Haarp per il controllo militare mediante onde radio che “rimbalzerebbero” sulla ionosfera, utilizzando un “microfilm” in sospensione – diffuso dalle scie degli aerei? Tante ipotesi, ma nessuno ha ancora spiegato ufficialmente che cosa sono, quelle scie bianche che da meno di vent’anni “infestano” i nostri cieli.La frequenza delle scie nei nostri cieli (scie di varie forme, dimensioni e colori) si è intensificata. Molti ormai le chiamano “scie chimiche”, ma l’ufficialità continua a negare la loro esistenza. Militari dell’aeronautica e grande stampa, servizi meteo, scienziati e ministri ripetono che si tratta di un fenomeno “normale”, giustificato dal traffico aereo intensificato. Non la pensa così il generale Fabio Mini, già a capo della missione Nato in Kosovo. Per l’alto ufficiale, il fenomeno è anomalo: durante la guerra in Kosovo – ricorda Mini – la manipolazione delle nubi aveva un’importanza strategica ed è stata attuata. «Si possono creare o dissolvere artificialmente e rappresentano uno strumento di guerra», riassume il sito “Ereticamente”, riportando recenti interviste rilasciare dal generale. «Si usano sostanze chimiche (sodio, bario, alluminio, polimeri) che vengono impiegate per le deviazioni delle onde elettromagnetiche». Fabio Mini esorta i cittadini a pretendere la verifica, l’ammissione da parte delle autorità, facendo pressioni per ottenere accertamenti e informazioni ufficiali rilasciate da autorità competenti e di responsabilità: sanità e difesa, aeronautica, ministero dell’agricoltura e della ricerca scientifica. Obiettivo: verificare l’esistenza di prove dettagliate e inconfutabili.
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Palazzo Chigi: faremo il Tav Torino-Lione, anche se è inutile
Recita il vecchio adagio: “Sbagliare è umano, perseverare è diabolico”. Mai fu più attuale come nella vicenda della Tav e dello scempio della Val di Susa. Oggi – nonostante sia stato ripetutamente dimostrato da vari studi autorevoli di economisti dei trasporti già dal 2005 – si scopre che il traffico è dieci volte inferiore alle aspettative, il che rende il progetto non solo dannoso per l’ambiente ma anche inutile ed antieconomico. Sostiene, infatti, l’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione presso la presidenza del Consiglio dei Ministri: «Non c’è dubbio che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione europea, siano state smentite dai fatti, soprattutto per effetto della grave crisi economica… Lo scenario attuale è, quindi, molto diverso da quello in cui sono state prese a suo tempo le decisioni». E ancora: «La domanda che i decisori devono farsi è: “Al punto in cui siamo arrivati, avendo realizzato ciò che già abbiamo fatto, ha senso continuare come previsto allora? Oppure c’è qualcosa da cambiare? O, addirittura, è meglio interrompere e rimettere tutto com’era prima?”».Dopo anni di scontri, dopo la militarizzazione della Val di Susa, dopo le proteste degli abitanti e della società civile, represse con la violenza sulla base della giustificazione del “bene pubblico” oggi si deve riconoscere che tutto quello che gli oppositori della Tav avevano affermato è vero e che l’opera è uno stupro territoriale inutile e costoso. Bene, allora lasceranno perdere, chiederanno scusa e rimetteranno tutto a posto, no? In fondo, sbagliare è umano. Se così avvenisse capiremmo che, in fondo, sono umani coloro che guidano le sorti di questo paese. Ma così non è. Questi signori affermano, al contrario, di voler proseguire nel progetto e ciò senza fornire alcun nuovo elemento che confermi la fattibilità economica del progetto, nonostante ancora per svariati decenni non si registrerà alcun vincolo di capacità sulla rete stradale, sola condizione che potrebbe in qualche modo giustificare l’opera. Perseverare è diabolico.È diabolico, perché viene a smascherare i due veri obiettivi di questo stupro ambientale: in primo luogo creare una ferita aperta – senza menzionare la dispersione di amianto data dagli scavi – in una delle zone più energicamente potenti del nostro paese, la linea sacra di San Michele. E, in secondo luogo, dimostrare che il potere può ormai prevaricare tutto e tutti anche senza giustificazioni valide; può arrestare, picchiare, processare, denigrare chiunque si opponga anche ad un progetto riconosciuto inutile e dannoso dagli stessi individui che l’hanno portato avanti. E questa mi sembra la perfetta metafora di quanto sta accadendo nel mondo ed in particolare nel Belpaese, ormai area-test – basti pensare ai vaccini – della nuova feroce dittatura democratica (un ossimoro solo apparente) del pensiero unico. Dunque mettetevi l’anima in pace, ribelli No-Tav: l’opera si farà anche se inutile per il traffico delle merci, anche se costosa per i contribuenti, anche se dannosa per gli abitanti e per l’ambiente. Ma forse un elemento positivo c’è in questa mostruosa, perversa vicenda: almeno ora il re è davvero nudo. Ricordiamocene, il 4 marzo.(Piero Cammerinesi, “Perseverare è diabolico”, dal blog “Libero Pensare” del 26 febbraio 2018).Recita il vecchio adagio: “Sbagliare è umano, perseverare è diabolico”. Mai fu più attuale come nella vicenda della Tav e dello scempio della Val di Susa. Oggi – nonostante sia stato ripetutamente dimostrato da vari studi autorevoli di economisti dei trasporti già dal 2005 – si scopre che il traffico è dieci volte inferiore alle aspettative, il che rende il progetto non solo dannoso per l’ambiente ma anche inutile ed antieconomico. Sostiene, infatti, l’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione presso la presidenza del Consiglio dei Ministri: «Non c’è dubbio che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione europea, siano state smentite dai fatti, soprattutto per effetto della grave crisi economica… Lo scenario attuale è, quindi, molto diverso da quello in cui sono state prese a suo tempo le decisioni». E ancora: «La domanda che i decisori devono farsi è: “Al punto in cui siamo arrivati, avendo realizzato ciò che già abbiamo fatto, ha senso continuare come previsto allora? Oppure c’è qualcosa da cambiare? O, addirittura, è meglio interrompere e rimettere tutto com’era prima?”».
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Onu: italiani in via di estinzione, nel 2050 saremo 40 milioni
Arrivano ogni anno e sono come un bollettino di guerra. Sono i rapporti dell’Istat sulla popolazione: mai così basso il numero delle nascite. Nel 2016 l’Italia è “dimagrita” di 134.000 persone: come avessimo perso una città delle dimensioni di Salerno. La fecondità è scesa a 1,34 figli per donna: nessun paese al mondo fa meno figli dell’Italia. Secondo lo storico francese Pierre Chaunu, nei paesi europei la disaffezione a procreare ha conseguenze simili alla peste nera che sterminò un terzo della popolazione del continente. A differenza dell’epidemia del medioevo che riempiva i cimiteri, scrive Giulio Meotti sul “Foglio”, l’epidemia di sterilità volontaria svuota i reparti di maternità. Persino per l’Onu, gli italiani sono un gruppo etnico in via di estinzione: nel nostro paese, il rapporto fra nascite e decessi è negativo dal 1990 (per inciso, l’epoca in cui il paese – con il collasso della Prima Repubblica – ha imboccato la via delle privatizzazioni, dell’euro e dell’Unione Europea). I dati per l’Italia – meno di 60 millioni di persone, inclusi però gli immigrati – per le Nazioni Unite sono ancora più terribili se consideriamo il rapporto fra nascite e decessi: indicatore che ha appena raggiunto il valore peggiore di sempre. Dieci anni fa, su “Le Monde”, il sociologo Henri Mendras scrisse che, di questo passo, la popolazione dello Stivale si sarebbe ridotta da 60 a 40 milioni nel 2050.«Nessun popolo può sopportare un evento così traumatico e l’equilibrio generale dell’Europa ne sarebbe scosso», scriveva Mendras. «L’Italia del nord, oggi così opulenta, ha il più basso tasso di fecondità in Europa: in media, meno di un bambino per donna». Le grandi città italiane “resistono” soltanto grazie all’immigrazione, continua Meotti nella sua analisi sul “Foglio” pubblicata nel 2017. «Prendiamo Venezia: 2.102 nuovi nati nell’ultimo anno, a fronte di 2.878 morti. Nel giro di quindici anni, a Bologna nasceranno il 10% di bambini in meno, il 20% in provincia. Gli anziani tra 65 e 79 anni cresceranno del 15%. Senza immigrazione, l’Emilia Romagna in vent’anni perderebbe 871.000. Si passerebbe dai quattro milioni e 454.000 residenti emiliano-romagnoli del 2016 a tre milioni e 583.000. Una contrazione del 20%». E’ un trend nazionale. Crollano le nascite a Milano: 17.681 nel 2006, 13.682 nel 2014, 12.688 nel 2015 e poco oltre le diecimila nel 2016. Genova è diventata la “città più vecchia d’Europa”. In Val d’Aosta, dal 2008 al 2015 la natalità è diminuita del 24%, il dato peggiore in Italia. «Nel ricchissimo Veneto le nascite sono calate del 20%». Sta “dimagrendo” la Toscana, meno 5,8%. Per Mendras, siamo di fronte a «una rivoluzione ideologica che rischia di mettere in pericolo la civiltà italiana».Una rivoluzione “culturale”: «Nascerà un nuovo tipo di famiglia: senza fratelli, zii, cugini». Un’Italia composta per due terzi da anziani e con pochissimi bambini. E’ esplicito l’economista americano Nicholas Eberstadt: «Ci sarete ancora domani? Un popolo può scomparire». Perché accade questo? Per soldi: «Una delle ragioni è che i figli sono bellissimi, ma non sono economicamente convenienti», afferma Eberstadt. «E in una società che premia ciò che è conveniente, non è una buona idea costruire una nuova famiglia». Se ieri non avere figli era una tragedia, oggi è anche uno stile di vita: si è più “liberi”. Secondo Eberstadt, continua il “Foglio”, «in una società grigia il welfare diventerà insostenibile: dovrete aumentare l’età pensionabile a 72, 73, 74 anni». Continundo su questa strada, «non penso che la società italiana sopravvivrà così come è oggi», aggiunge Eberstadt: «E’ possibile che l’Italia sarà osservata dal resto del mondo come un esperimento, per capire come una società sopravvive a questo terremoto. Sarete una cavia per il resto del genere umano». Sarà un’Italia di centenari, sostiene il noto demografo James Vaupel, già a capo dell’Istituto tedesco Max Planck: «La maggior parte delle persone vive oggi in Italia sarà probabilmente ancora viva nel 2050». La popolazione dell’Italia? «Potrebbe essere di 10 milioni alla fine del XXI secolo, un quinto della popolazione oggi».«Non conosco nessuna società pre-moderna che ha smesso di avere figli», dichiara al “Foglio” lo storico Bruce Thornton, studioso di antichità alla California State University e autore di “Decline and fall of Europe”. «Si vede questo fenomeno tra le élite, per esempio nella Roma tardo-repubblicana, con Augusto che ha cercato di incoraggiare gli aristocratici romani ad avere più figli. Prima dell’età moderna, la gente ha visto i bambini come risorsa più importante di ogni cultura. Solo i moderni possono essere così stupidi da ignorare questa saggezza». Entrerà in crisi la democrazia, in una simile spirale di invecchiamento e sterilità. «La democrazia sarà in pericolo», afferma Thornton, perché welfare sanitario, assistenza e pensioni dipendono dai lavoratori più giovani che pagano le tasse. «Cosa succede quando una maggioranza di vecchi voterà per averne sempre di più, a scapito dei giovani ormai ridotti al lumicino?». Troviamo difficile sacrificarci per le generazioni successive, dice Thornton: «Per questo abortiamo così tanti bambini. Per questo non distribuiamo più la ricchezza dai ricchi ai poveri, ma dai non nati ai vivi». Un paese di vecchi, geopoliticamente irrilevante e vulnerabile. In Francia, gli immigrati islamici – con alto tasso di natalità – sono il 10% della popolazione francese: avranno «il potere politico per iniziare a cambiare la cultura del paese ospitante».Per Thornton, «vedremo grandi investimenti per aumentare la lunghezza della vita, con la produzione ad esempio di reni e cornee artificiali». Esisteranno ancora le pensioni? «Lavorerete di più, come vediamo in America dal 2008. Ma chi pagherà le pensioni? Qui sorgeranno i conflitti». Che cultura produrremo? «Già oggi non ne produciamo più. Ci sarà molta cultura popolare per intrattenere gli anziani». E la religione? «Se n’è andata dall’Occidente: quando i baby boomers saranno vecchi, l’edonismo avrà vinto completamente». Dice il celebre psichiatra inglese Anthony Daniels: «La situazione in Italia mi sembra senza precedenti», simile a quelle di Spagna, Germania e Giappone. «Questa Italia prevalentemente di anziani avrà difficoltà a difendersi dalle popolazioni più giovani. I capelli saranno grigi, ma le persone saranno molto più vigorose di quelle di una volta. Ci saranno adolescenti geriatrici o una geriatria di adolescenti. La gente cercherà un qualche tipo di trascendenza, la troverà nella cosiddetta ‘spiritualità’, paganesimo, culto della natura, il potere curativo dei cristalli, candele, carillon tibetani. La piramide della popolazione tradizionale sarà invertita, gli anziani dovranno lavorare fino a tardi nella vita e saranno assistiti da robot importati dal Giappone».In questo quadro, la Chiesa romana latita. Dovrebbe usare la crisi demografica per una rinascita. Lo sostiene George Weigel, saggista cattolico. «Una nazione che non si riproduce versa in una crisi morale e culturale», dice Weigel al “Foglio”. «La Chiesa dovrebbe prestare attenzione a questo, ma significherebbe rimuovere la polvere dalla propria mentalità museale». Pochi prelati oggi parlano della catastrofe demografica. «Penso che in Occidente abbiamo un desiderio di morte», dice Rod Dreher, giornalista conservatore americano: «Abbiamo scelto il comfort sulla vita». Ratzinger ha detto che ci troviamo di fronte a una crisi spirituale: una grande crisi di civiltà, peggiore di qualsiasi altra dalla caduta di Roma. «Ratzinger è un profeta», sostiene Weigel. «Siamo diretti verso giorni molto bui. I musulmani che arrivano in Europa oggi credono in qualcosa. Troppi di noi occidentali non credono in niente, non nel Dio della Bibbia, ma neanche in se stessi». Per l’americano David Goldman, editore di “Asia Times”, «il declino della popolazione è l’elefante nel salotto del mondo. E’ una questione di aritmetica, sappiamo che la vita sociale della maggior parte dei paesi sviluppati si romperà entro due generazioni. Due italiani su tre e tre giapponesi su quattro saranno anziani nel 2050».Se gli attuali tassi di fertilità continuano, dice Goldman, il numero di tedeschi scenderà del 98% nel corso dei prossimi due secoli. «Nessun sistema pensionistico e sanitario è in grado di supportare tale piramide rovesciata della popolazione». Aritmetica, appunto: «Il tasso di natalità di tutto il mondo sviluppato è ben al di sotto del tasso di sostituzione, e una parte significativa di essa ha superato il punto di non ritorno demografico». La teoria geopolitica convenzionale, dominata da fattori materiali quali il territorio, le risorse naturali e la tecnologia, «non affronta il problema di come i popoli si comporteranno sotto questa minaccia esistenziale, in cui la questione cruciale è la volontà o mancanza di volontà di un popolo che abita un determinato territorio di sfornare una nuova generazione». Il declino demografico, inesorabile, nel XXI secolo «porterà a violenti sconvolgimenti nell’ordine del mondo». E l’Italia? «E’ sulla buona strada, secondo le Nazioni Unite: il numero di donne in età fertile si ridurrà di due terzi nel corso di questo secolo, e diminuirà di circa la metà dal mezzo secolo in poi», Ciò implica «una riduzione della popolazione paragonabile al declino di Roma nel Quinto e Settimo secolo». La causa immediata? E’ la crisi economica, dice Goldman. «L’Italia sarà simile a una casa di riposo, con il 45% popolazione sopra i sessant’anni». Conseguenza: «Il ruolo internazionale dell’Italia si ridurrà con la sua economia».Mentre l’economia continuerà a contrarsi, conclude Goldman, il rapporto deficit-Pil aumenterà. «L’Italia richiederà acquirenti stranieri per le sue attività, il che significa prima di tutto la Cina. L’Italia, insomma, si trasformerà in un parco a tema». Se il Giappone sarà abitato da filippine e indonesiane «pagate da una oligarchia di vecchi», agli italiani resterà il turismo per i cinesi: Roma, Firenze e Venezia. Secondo Goldman, il suicidio demografico italiano ha a che fare anche con il declino della religione. «I più bassi tassi di fertilità si incontrano tra le nazioni dell’Europa orientale, dove l’ateismo è stato l’ideologia ufficiale per generazioni». Al contrario, «Israele avrà più giovani dell’Italia o della Spagna. Un secolo e mezzo dopo l’Olocausto, lo Stato ebraico avrà più uomini in età militare e sarà in grado di mettere in campo un esercito di terra più grande di quello della Germania. Quando la fede scompare, la fertilità svanisce». La spirale di morte in gran parte del mondo industriale, aggiunge Goldman, ha costretto i demografi a pensare anche in termini di fede. «Decine di nuovi studi documentano il legame tra fede religiosa e fertilità. La religione ha cessato di svolgere un ruolo significativo nella società italiana. La metà dei seminaristi di Roma sono africani. Non c’è un Papa italiano da quarant’anni. Ci sarà sempre un nucleo di cattolici in Italia, ma la religione non è ora e non sarà un fattore significativo».Eppure, osserva Meotti, in Italia nessuno parla di suicidio demografico. «Due guerre mondiali – dice ancora Goldman – hanno mostrato agli europei che la loro cultura era deperibile e, per certi versi, costruita su illusioni di superiorità nazionale, e quando queste illusioni sono state chiamate in causa, gli europei hanno visto che non c’era alcuna ragione di sacrificare i piaceri per la cultura». Ancora: «Gli individui intrappolati in una cultura di morte vivono in un crepuscolo del mondo. Abbracciano la morte attraverso l’infertilità, la concupiscenza e la guerra». I membri di una cultura “malata” «cessano di avere figli, si stordiscono con l’alcool e la droga, diventano scoraggiati e spesso la fanno finita con se stessi». Una buona parte del mondo sembra aver perso il gusto per la vita, sostiene Goldman. «La fertilità è scesa finora in alcune parti del mondo industriale in maniera tale che lingue come ucraino ed estone saranno in pericolo in un secolo, e l’italiano nel giro di due». Le culture di oggi «stanno morendo di apatia, non per le spade dei nemici». E l’apatia europea «è il rovescio della medaglia dell’estremismo islamico». Potrà la geriatria italiana essere democratica? «Certamente», conclude Goldman. «Potrete votare democraticamente per chiedere all’ultima persona di spengere la luce».Arrivano ogni anno e sono come un bollettino di guerra. Sono i rapporti dell’Istat sulla popolazione: mai così basso il numero delle nascite. Nel 2016 l’Italia è “dimagrita” di 134.000 persone: come avessimo perso una città delle dimensioni di Salerno. La fecondità è scesa a 1,34 figli per donna: nessun paese al mondo fa meno figli dell’Italia. Secondo lo storico francese Pierre Chaunu, nei paesi europei la disaffezione a procreare ha conseguenze simili alla peste nera che sterminò un terzo della popolazione del continente. A differenza dell’epidemia del medioevo che riempiva i cimiteri, scrive Giulio Meotti sul “Foglio”, l’epidemia di sterilità volontaria svuota i reparti di maternità. Persino per l’Onu, gli italiani sono un gruppo etnico in via di estinzione: nel nostro paese, il rapporto fra nascite e decessi è negativo dal 1990 (per inciso, l’epoca in cui il paese – con il collasso della Prima Repubblica – ha imboccato la via delle privatizzazioni, dell’euro e dell’Unione Europea). I dati per l’Italia – meno di 60 millioni di persone, inclusi però gli immigrati – per le Nazioni Unite sono ancora più terribili se consideriamo il rapporto fra nascite e decessi: indicatore che ha appena raggiunto il valore peggiore di sempre. Dieci anni fa, su “Le Monde”, il sociologo Henri Mendras scrisse che, di questo passo, la popolazione dello Stivale si sarebbe ridotta da 60 a 40 milioni nel 2050.
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‘Figlio mio, drogato vincerai’. Carpeoro: siamo oltre l’umano
«Piacere di conoscervi, spero che indoviniate il mio nome. Ma ciò che vi lascia perplessi è la natura del mio gioco». Così Mick Jagger allude alla “comprensione per il diavolo”, cioè la parte meno presentabile di noi stessi. «Guardate San Bernardo, nell’affresco dell’abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano: non uccide il demonio ma si limita a domarlo, a tenerlo al guinzaglio», fa notare Gianfranco Carpeoro nel recente convegno romano “Ultime notizie dal futuro”. La celebre “Sympathy for the devil”? Consapevolezza della nostra parte oscura. Comprensibile? Non sempre: Carpeoro si arrende, «di fronte a genitori che consigliano ai figli minorenni di drogarsi, per vincere gare di ciclismo». Emerge dalle intercettazioni dell’indagine di Lucca sul doping imposto ai ciclisti in erba della Altopack-Eppela: 6 arresti e 17 indagati, dopo la morte di Linas Rumsas, giovane promessa di origine lituana. «Sono genitori, capite? E non è il caso isolato di un pazzo. Sono tanti, papà e mamme. Che ai loro ragazzi, spesso perplessi di fronte ai farmaci loro proposti, dicono: ma no, dai, ti devi fidare dell’allenatore. Devi prendere quella roba, se vuoi vincere, se vuoi comprarti il macchinone. Genitori che premono sui figli perché si droghino: è qualcosa che va oltre l’umano. O almeno, oltre la mia capacità di comprensione. C’è qualcosa di terribile, nell’aria».Con queste parole, Carpeoro – saggista e romanziere, avvocato di lungo corso (vero nome, Pecoraro) – si confida con Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube. La notizia: i genitori dei baby-ciclisti di Lucca che raccomandano ai figli, ragazzini di 13-14 anni, di assumere le sostanze dopanti prescritte dalla squadra: epo, ormoni per la crescita e antidolorifici a base di oppiacei, tutti farmaci vietati dalla normativa sul doping. L’ipotesi di reato: associazione a delinquere, con lo scopo di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. «Ma l’aspetto di gran lunga più sconcertante – riflette Carpeoro – è l’atteggiamento dei genitori: come siamo arrivati a una società in cui oggi il mafioso seppellisce rifiuti tossici nel prato dove gioca suo figlio?». Stupisce meno, se così si può dire, il dilagare del doping nel ciclismo: «Nessun altro sport richiede altrettanta fatica agli atleti. Niente a che vedere con il calcio. Nel tennis, una partita di quattro ore rappresenta l’eccezione, mentre nel ciclismo la super-fatica è la regola: il ciclista mette il suo corpo alla frusta anche per 6 ore, e magari – nei grandi tour – anche per venti giorni di fila». Ovvio che i ciclisti siano le cavie perfette, per sperimentare sostanze dopanti: «Meglio ancora nel ciclismo dilettantistico, lontano dai riflettori dei media».E’ un grande business, inquietante e oscuro, ha spiegato Carpeoro dopo la morte di Michele Scarponi, già vincitore del Giro d’Italia. «Avevo previsto che ci sarebbero stati fatti continui e molto clamorosi sul ciclismo», ricorda Carpeoro. «E ancora ce ne saranno, ancor più clamorosi: ci sarà il botto, perché il fenomeno è ormai diffuso a livello di massa». Le giovani cavie rischiano la pelle, sperimentando sostanze continuamente create in laboratorio: «Il numero di nuove droghe, ogni anno, è il doppio di quello dei nuovi farmaci». Movente? «Testare sostanze perfomanti, destinate a militari e soprattutto terroristi». Mandanti? «Ambienti supermassonici e servizi segreti, con l’inevitabile complicità di case farmaceutiche: il fenomeno ha una dimensione industriale». Vittime: i ciclisti, innanzitutto. La follia? «I genitori: non riesco a capire il loro comportamento», ammette Carpeoro. «E’ qualcosa che sfugge alle mie capacità razionali: come siamo potuti arrivare fino a questo punto?». Sembra un’escaltion in termini di civiltà, qualcosa di abominevole. E’ vero, la storia umana è comunque costellata di atrocità: «Ma noi conosciamo uno spicchio molto piccolo del nostro passato: cosa sono, qualche migliaio di anni, rispetto a milioni di anni?».Persino l’omicidio è meno inspiegabile, come fenomeno, «rispetto al caso di un padre che dice al figlio: devi drogarti, per vincere e fare soldi». La barbarie dell’omicidio fa meno paura, perlomeno a Carpeoro: «L’uccisione non è sempre un percorso», spiega. «A volte è un moto, è un attimo, un momento di follia, un cortocircuito. A volte è un accidente, favorito da determinate circostanze». Invece, «un genitore che alza il telefono e dice al figlio “se vuoi vincere ti devi drogare” non è la stessa cosa». C’è una premeditazione cinica, ottusa e cieca. «Uccidere, anche in maniera bestiale, fa parte comunque di questo ordine di cose: noi viviamo in un mondo dove si uccide, anche barbaramente». Altra cosa è chiedere al proprio figlio di “uccidersi”, a rate, per acquisire un successo temporaneo, premiato con denaro. «Come fai a pensare una cosa del genere? Non arrivo a capire cosa possa muovere determinate condotte», ammette Carpeoro. «C’è qualcosa che mi sfugge, in questo: forse perché è al di fuori dall’umano?». Il fatto «non è spiegabile con ragionamenti elementari, distinguendo il buono e il cattivo: oltre un certo livello c’è qualcosa che non fa parte, evidentemente, delle mie potenzialità».E’ come se intervenissero logiche diverse, aggiunge Carpeoro. «Intendo: logiche che stanno al di fuori fuori dalla nostra dimensione, e che operano certi distorcimenti all’interno della nostra dimensione, per motivi che magari io non posso capire». “Entità” provenienti da altre dimensioni? «Sicuramente non sono dentro la nostra; poi, di quali altre dimensioni siano non lo so». Simbologo, esoterista e severo giudice della deriva magica dell’occultismo, di fronte ai genitori che “tradiscono” i figli si ferma, non riesce farsene una ragione: «Dobbiamo pensarci a fondo, su come si possa arrivare a tanto. E’ qualcosa che io non posso inglobare in una definizione: anche perché il nostro linguaggio l’abbiamo creato in base a questo mondo, non ad altri». “Pleased to meet you”, dice il diavolo dei Rolling Stones: è stato un piacere conoscervi, e spero che abbiate indovinato il mio nome. Nel caso dei baby-ciclisti, è come se il demonio dell’affesco di Chiaravalle fosse sfuggito al guinzaglio di San Bernardo. Ma a “traviare” i giovanissimi atleti non è un’insidia esterna alla loro vita: la tragedia si svolge in famiglia. Perché? «Non riesco a capirlo», dice Carpeoro. Inquieto, come il pubblico a cui si rivolge il diavolo di Mick Jagger? «Ciò che vi lascia perplessi – ripete il ritornello – è la natura del mio gioco».«Piacere di conoscervi, spero che indoviniate il mio nome. Ma ciò che vi lascia perplessi è la natura del mio gioco». Così Mick Jagger allude alla “comprensione per il diavolo”, cioè la parte meno presentabile (e meno accettabile) di noi stessi. «Guardate San Bernardo, nell’affresco dell’abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano: non uccide il demonio ma si limita a domarlo, a tenerlo al guinzaglio», fa notare Gianfranco Carpeoro nel recente convegno romano “Ultime notizie dal futuro”. La celebre “Sympathy for the devil”? Consapevolezza della nostra parte oscura. Comprensibile? Non sempre: forse si annida anche «in altre dimensioni, diverse da questa». Carpeoro si arrende, «di fronte a genitori che consigliano ai figli minorenni di drogarsi, per vincere gare di ciclismo». Emerge dalle intercettazioni dell’indagine di Lucca sul doping imposto ai ciclisti in erba della Altopack-Eppela: 6 arresti e 17 indagati, dopo la morte di Linas Rumsas, giovane promessa di origine lituana. «Sono genitori, capite? E non è il caso isolato di un pazzo. Sono in tanti, papà e mamme. Che ai loro ragazzi, spesso perplessi di fronte ai farmaci loro proposti, dicono: ma no, dai, ti devi fidare dell’allenatore. Devi prendere quella roba, se vuoi vincere, se vuoi comprarti il macchinone. Genitori che premono sui figli perché si droghino: è qualcosa che va oltre l’umano. O almeno, oltre la mia capacità di comprensione. C’è qualcosa di terribile, nell’aria».
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I fotografi: sono un falso le immagini dell’uomo sulla Luna
«Se le avessero chieste a me, quelle immagini da studio le avrei fatte molto meglio», cioè con le ombre “giuste”, simulando bene l’effetto del sole. Parola di Oliviero Toscani. Il film del presunto allunaggio? La madre di tutte le fake news: «Un falso al 200%». A dirlo è un altro principe della fotografia mondiale, Peter Lindbergh, il numero uno nel campo della moda, “inventore” delle top-model degli anni ‘90, da Cindy Crawford a Naomi Campbell. La domanda: da dove arrivano quelle luci (artificiali) che rischiarano gli astronauti? Proiettori, spot da cinema, pannelli riflettenti: attrezzature di cui l’equipaggio di Apollo 11 non disponeva. L’esame dei fotografi è la prova regina del test condotto da Massimo Mazzucco, autore del documentario “American Moon”. Oltre tre ore di film, che inchiodano lo spettatore di fronte a una verità incontrovertibile: a prescindere dal fatto che ci siamo stati o meno, sulla Luna, le immagini dell’allunaggio – trasmesse dalla Nasa in mondovisione nel 1969 – sono un falso, palese e grossolano. I sospetti crescono ulteriormente, scoprendo che l’ente aerospaziale ha dichiarato di aver “smarrito” i film originali di un evento che, se fosse reale, sarebbe una pietra miliare nella storia dell’umanità. Per non parlare degli astronauti: anziché essere celebrati a vita come eroi, hanno trascorso il resto dei loro giorni a nascondersi.
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Indagine-choc: fibre di plastica nell’acqua del rubinetto
Quanta plastica beviamo? Molte ricerche ormai mostrano la presenza di fibre plastiche, praticamente ovunque: negli oceani, nelle acque dolci, nel suolo e nell’aria. E oggi uno studio americano prova l’esistenza di una contaminazione da plastica persino nell’acqua corrente domestica, spiegano Dan Morrison e Chris Tyree in un report su “Repubblica”. «Dai rubinetti di casa di tutto il mondo, da New York a Nuova Delhi, sgorgano fibre di plastica microscopiche», secondo una ricerca originale di “Orb Media”, un sito di informazione no-profit di Washington. Insieme ai ricercatori dell’università statale di New York e dell’università del Minnesota, “Orb Media” ha testato 159 campioni di acqua potabile di città grandi e piccole nei cinque continenti. L’83% dei campioni contiene microscopiche fibre di plastica: compresa l’acqua che esce dai rubinetti del Congresso degli Stati Uniti. E se la plastica è nell’acqua di rubinetto, probabilmente sarà presente anche nei cibi preparati con l’acqua, come pane, pasta, zuppe e latte artificiale. «È una notizia che dovrebbe scuoterci», dice Muhammad Yunus, Premio Nobel per la Pace 2006. «Sapevamo che questa plastica tornava da noi attraverso la catena alimentare. Ora scopriamo che torna da noi attraverso l’acqua potabile. Abbiamo una via d’uscita?».Yunus, il fondatore della banca di microcredito Grameen Bank, progetta di lanciare un’iniziativa contro lo spreco di plastica nei prossimi mesi. Ricerche sempre più numerose, aggiungono Morrison e Tyree, dimostrano la presenza di microscopiche fibre di plastica negli oceani, nelle acque dolci, nel suolo e nell’aria: «Questo studio è il primo a provare l’esistenza di una contaminazione da plastica nell’acqua corrente di tutto il mondo». Attenzione: «Gli scienziati non sanno in che modo le fibre di plastica arrivino nell’acqua di rubinetto, o quali possano essere le implicazioni per la salute. Qualcuno sospetta che possano venire dai vestiti sintetici, come gli indumenti sportivi, o dai tessuti usati per tappeti e tappezzeria. Il timore è che queste fibre possano veicolare sostanze chimiche tossiche, come una sorta di navetta che trasporta sostanze pericolose dall’acqua dolce al corpo umano». Negli studi su animali, «era diventato chiaro molto presto che la plastica avrebbe rilasciato queste sostanze chimiche, e che le condizioni dell’apparato digerente avrebbero facilitato un rilascio piuttosto rapido», racconta Richard Thompson, direttore della ricerca all’università di Plymouth, Gran Bretagna.Dalle osservazioni sulla fauna selvatica e l’impatto che sta avendo questa cosa abbiamo dati a sufficienza per essere preoccupati, aggiunge Sherri Mason, una delle pioniere della ricerca sulla microplastica, che ha supervisionato lo studio della “Orb Media”: «Se sta avendo un impatto sulla fauna selvatica, come possiamo pensare che non avrà un impatto su di noi?». La contaminazione, scrive “Repubblica”, sfida le barriere geografiche e di reddito: il numero di fibre trovate nel campione di acqua di rubinetto prelevato nei bagni del Trump Grill, il ristorante della Trump Tower a New York, è uguale a quello dei campioni prelevati a Quito, la capitale dell’Ecuador. “Orb Media” ha rilevato fibre di plastica persino nell’acqua in bottiglia, e nelle case in cui si usano filtri per l’osmosi inversa. Le autorità sono spiazzate: gli Usa non hanno nemmeno inserito le particelle di plastica nella lista delle possibili sostanze contaminanti rintracciabili nell’acqua di rubinetto. Dei 33 campioni d’acqua prelevati in varie città degli Stati Uniti, il 94% è risultato positivo alla presenza di fibre di plastica. E’ la stessa media dei campioni raccolti a Beirut, Libano. Fra le altre città monitorate figurano Delhi (India, 82%), Kampala (Uganda, 81%), Giacarta (Indonesia, 76%), nonché Quito (Ecuador, 75%) e varie città europee (72%).La ricerca, precisa “Repubblica”, è stata progettata dal dipartimento di geologia e scienza ambientale dell’università statale di New York, e i test sono stati eseguiti dalla ricercatrice Mary Kosuth, della scuola di salute pubblica dell’università del Minnesota. «E’ la prima indagine a livello globale sull’inquinamento da plastica nell’acqua di rubinetto», afferma la Kosuth. I risultati rappresentano «un primo sguardo sulle conseguenze dell’uso e dello smaltimento della plastica». I campioni sono stati raccolti da scienziati, giornalisti e volontari addestrati, seguendo i protocolli stabiliti. «Questa ricerca si limita a scalfire la superficie, ma ha l’aria di essere una questione molto seria», ammette Hussan Hawwa, amministratore delegato della società di consulenze ambientali Difaf, che si è occupata della raccolta dei campioni in Libano. «La ricerca sulle conseguenze per la salute umana è appena agli inizi», dice Lincoln Fok, studioso dell’ambiente presso l’Education University di Hong Kong. In ogni caso, la ricerca «solleva più interrogativi di quelli che risolve», secondo Albert Appleton, già commissario alle acque del Comune di New York. «C’è un bioaccumulo? Influisce sulla formazione delle cellule? È un vettore per la trasmissione di agenti patogeni nocivi? Se si scompone, che cosa produce?».Il mondo, riassume “Repubblica”, sforna ogni anno 300 milioni di tonnellate di plastica. Oltre il 40% di questa massa «viene usato una volta soltanto, a volte per meno di un minuto, e poi buttato via». Ma la plastica «rimane nell’ambiente per secoli». Secondo un recente studio, dagli anni ‘50 a oggi sono stati prodotti in tutto il mondo oltre 8,3 miliardi di tonnellate di plastica. Sono migliaia di miliardi le scorie plastiche disseminate sulla superficie dell’oceano: fibre di plastica sono state ritrovate «dentro i pesci venduti nei mercati, nel Sudest asiatico, nell’Africa orientale e in California». E la plastica dal rubinetto di casa? «È una cosa brutta: si sentono così tante cose sul cancro», ha detto Mercedes Noroña, 61 anni, dopo essere stata informata che un campione di acqua prelevato dal suo rubinetto di casa, a Quito, conteneva fibre di plastica. «Forse esagero, ma ho paura delle cose che ci beviamo con l’acqua». Non è sola, nella sua inquietudine: un recente sondaggio Gallup svela che il 63% degli americani è «fortemente preoccupato» per l’inquinamento dell’acqua potabile.Tra le fonti inquinanti, aggiungono Dan Morrison e Chris Tyree, c’è anche l’abbigliamento: gli indumenti sintetici emettono fino a 700.0006 fibre a lavaggio, ma gli impianti di depurazione delle acque ne intercettano solo la metà (il resto finisce nei corsi d’acqua, per un totale di 29 tonnellate di microfibre di plastica al giorno, secondo l’università di Plymouth). E poi l’aria: uno studio del 2015 calcolava che a Parigi, ogni anno, si depositano sulla superficie fra le 3 e le 10 tonnellate di fibre sintetiche. Laghi e fiumi possono essere contaminati da deposizioni atmosferiche cumulative, afferma Johnny Gasperi, professore dell’università di Parigi-Est Créteil: «Nelle ricadute atmosferiche è presente un’enorme quantità di fibre». Questo, osserva “Repubblica”, potrebbe spiegare perché si trovano fibre di plastica anche in sorgenti idriche sperdute, in tutto il mondo. Ma la “Orb” ha trovato fibre di plastica anche in acque di rubinetto provenienti da falde sotterranee. Tante le incognite: quanto è grande il pericolo se le fibre di plastica assorbono “perturbatori endocrini” che alterano i nostri sistemi ormonali? «Non abbiamo mai veramente preso in considerazione questo rischio prima», ammette Tamara Galloway, ecotossicologa all’università di Exeter.Le città stanno appena cominciando a fare i conti con l’inquinamento da fibre di plastica e con il ruolo che giocano in tutto questo le lavatrici di casa, continua il report su “Repubblica”. Rallentare il processo di trattamento delle acque reflue consentirebbe di intercettare una maggior quantità di fibre di plastica, dice Kartik Chandran, ingegnere ambientale della Columbia University. Ma potrebbe anche accrescere i costi. «I grandi marchi dell’abbigliamento dicono che stanno lavorando per migliorare i loro tessuti sintetici in modo da ridurre l’inquinamento da fibre. E sta venendo fuori tutta una serie di filtri, di prodotti da inserire nel cestello della lavatrice durante il lavaggio e di altri prodotti per ridurre le emissioni di fibre durante i lavaggi. Test indipendenti mostreranno quale di questi metodi è più efficace». Sherri Mason, la prima ricercatrice a scoprire la forte presenza di inquinamento da microplastica nella regione americana dei Grandi Laghi, si dice «sconvolta» dai risultati dei test sull’acqua potabile: «La gente mi chiedeva sempre: “Ma queste cose ci sono anche nell’acqua che beviamo?”. Io rispondevo sempre che non lo sapevo». Ora invece, purtroppo, lo sa.Quanta plastica beviamo? Molte ricerche ormai mostrano la presenza di fibre plastiche, praticamente ovunque: negli oceani, nelle acque dolci, nel suolo e nell’aria. E oggi uno studio americano prova l’esistenza di una contaminazione da plastica persino nell’acqua corrente domestica, spiegano Dan Morrison e Chris Tyree in un report su “Repubblica”. «Dai rubinetti di casa di tutto il mondo, da New York a Nuova Delhi, sgorgano fibre di plastica microscopiche», secondo una ricerca originale di “Orb Media”, un sito di informazione no-profit di Washington. Insieme ai ricercatori dell’università statale di New York e dell’università del Minnesota, “Orb Media” ha testato 159 campioni di acqua potabile di città grandi e piccole nei cinque continenti. L’83% dei campioni contiene microscopiche fibre di plastica: compresa l’acqua che esce dai rubinetti del Congresso degli Stati Uniti. E se la plastica è nell’acqua di rubinetto, probabilmente sarà presente anche nei cibi preparati con l’acqua, come pane, pasta, zuppe e latte artificiale. «È una notizia che dovrebbe scuoterci», dice Muhammad Yunus, Premio Nobel per la Pace 2006. «Sapevamo che questa plastica tornava da noi attraverso la catena alimentare. Ora scopriamo che torna da noi attraverso l’acqua potabile. Abbiamo una via d’uscita?».
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Vaiolo e antrace, il Pentagono fabbrica bio-armi in Ucraina
Sono sorti su territorio ucraino tredici laboratori militari americani dediti allo studio e alla produzione di agenti infettivi, vaiolo, antrace, botulino e non si sa cos’altro. Sulla base di un accordo bilaterale firmato nel 2012, la giunta di Kiev, attraverso il ministero della sanità, ha dato questa concessione al Pentagono. Perché i laboratori sono finanziati direttamente dal Pentagono ed occupano solo personale statunitense. La giunta ucraina s’è impegnata a “non interferire” con quel che si fa là dentro. Gli impianti sorgono: ben quattro a Kiev, tre a Lvov, gli altri a Odessa, Vinnitsia, Uzgorod, Kherson, Ternopil. Certo non è un caso se la scorsa primavera l’Ucraina ha conosciuto una stranissima fiammata di botulismo, malattia rara, non spiegabile (se non dall’aver mangiato carne in scatola infetta). Una epidemia che, come si può immaginare, il sistema sanitario ucraino, devastato e corrotto, non è stata in grado di dominare. Gli ospedali non hanno il siero antibotulinico, e non lo hanno dal 2014, da quando Kiev non ha rinnovato la convenzione per produrlo con Mosca. Decine di ucraini sono morti, molti più di quanti ammetta il governo. Migliaia, secondo alcune fonti. Naturalmente il governo ha attribuito la fiammata alla carne in scatola avariata.Nel settembre 2016 una infezione intestinale ignota s’è propagata fulmineamente nella città di Izmail. In 24 ore, oltre 400 bambini (apparentemente i più vulnerabili all’infezione) sono stati ricoverati. La fonte della malattia non è mai stata identificata. Nel 2014, è stata la volta della “peste suina africana”, rarissima se non inesistente alle latitudini ucraine, che ha cominciato a decimare i maiali. Nel 2015, oltre centomila suini hanno dovuto essere abbattuti per tentare di contenere l’epidemia; il virus può sopravvivere nel terreno anche otto mesi. E’ evidente l’utilità di un simile virus come arma biologica: può devastare l’agroeconomia di intere popolazioni. Si è registrata anche un’epidemia di influenza porcina (Hin1) per la quale Kiev ha dovuto acquistare i vaccini da società americane, al costo di 40 milioni di dollari. Mosca e Teheran hanno levato un allarme (inascoltato) sul fatto che simili laboratori siano stati allestiti dagli Usa non solo in Ucraina, ma in Georgia, Kazakhstan, Uzbekistan, Azerbaigian, Armenia. Sono “stoccaggi di agenti patogeni particolarmente pericolosi” fatti a fin di bene, per trovare una cura, dice il Pentagono. «Che non è una associazione di beneficenza», ricorda Igor Nikulin, un esperto che è stato membro della commissione Onu sulle armi biologiche e chimiche in Iraq e Libia.Anche i famosi animalisti ecologisti amanti dell’orso e del lupo dovrebbero protestare. Le armi biologiche uccidono, oltre i non-combattenti, anche “i raccolti, gli animali, infettano l’acqua, il terreno, l’aria”. Secondo gli esperti militari russi e iraniani, la distribuzione dei laboratori bio-militari attraverso il continente eurasiatico permette al Pentagono di raccogliere informazioni sui microrganismi patogeni locali, ciò che è vitale per la creazione di armi biologiche selettive ed altamente efficaci contro russi, iraniani, cinesi. Il motivo per cui il Pentagono ha piazzato tanti laboratori in Ucraina (e presso grandi vie di comunicazione o porti, all’evidente scopo di una rapida evacuazione se le cose andassero male) è che con ciò può aggirare la Convenzione di Ginevra del 1972, che vieta la sperimentazione e lo sviluppo, la produzione e l’immagazzinamento di armi biologiche e chimiche – che il Senato Usa ha ratificato nel 1973.(Maurizio Blondet, estratto dal post “Usa, fabbriche di bio-armi in Ucraina”, dal blog di Blondet del 26 agosto 2017).Sono sorti su territorio ucraino tredici laboratori militari americani dediti allo studio e alla produzione di agenti infettivi, vaiolo, antrace, botulino e non si sa cos’altro. Sulla base di un accordo bilaterale firmato nel 2012, la giunta di Kiev, attraverso il ministero della sanità, ha dato questa concessione al Pentagono. Perché i laboratori sono finanziati direttamente dal Pentagono ed occupano solo personale statunitense. La giunta ucraina s’è impegnata a “non interferire” con quel che si fa là dentro. Gli impianti sorgono: ben quattro a Kiev, tre a Lvov, gli altri a Odessa, Vinnitsia, Uzgorod, Kherson, Ternopil. Certo non è un caso se la scorsa primavera l’Ucraina ha conosciuto una stranissima fiammata di botulismo, malattia rara, non spiegabile (se non dall’aver mangiato carne in scatola infetta). Una epidemia che, come si può immaginare, il sistema sanitario ucraino, devastato e corrotto, non è stata in grado di dominare. Gli ospedali non hanno il siero antibotulinico, e non lo hanno dal 2014, da quando Kiev non ha rinnovato la convenzione per produrlo con Mosca. Decine di ucraini sono morti, molti più di quanti ammetta il governo. Migliaia, secondo alcune fonti. Naturalmente il governo ha attribuito la fiammata alla carne in scatola avariata.
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Carpeoro: ciclisti morti, dal doping le droghe per i terroristi
Oggi ciclisti, domani terroristi. Sono loro, i kamikaze, gli “utilizzatori finali” delle nuove droghe che vengono fatte testare agli sportivi. Se si rifiutano, come Marco Pantani, vengono eliminati: in modo che a nessuno venga più in mente di disobbedire. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, all’indomani dell’improvvisa morte, per incidente stradale, dell’ennesimo campione, Michele Scarponi, vincitore del Giro d’Italia nel 2011. «Lo sport è l’oppio dei popoli, come la religione», premette Carpeoro. Ma oltre a essere «un’arma di distrazione massa», lo sport è anche un immenso laboratorio di sperimentazione, «per valutare l’effetto delle nuove droghe», destinate all’ambito militare e in particolare alla manovalanza terroristica. «Per questo», aggiunge Carpeoro, «il doping suscita enormi interessi, da parte dei servizi segreti. E coinvolge sicuramente anche le case farmaceutiche: negli ultimi vent’anni, il numero di nuove droghe ha superato quello dei nuovi medicinali. E’ evidente che dietro al doping operano grandi strutture industriali». Carpeoro punta il dito contro l’Astana, la squadra di Scarponi, che porta il nome della capitale del Kazakhstan, metropoli asiatica nota per l’affascinante urbanistica “esoterica”. «Quella è un’area massonica, dominata da un paio di Ur-Lodges come la “Three Eyes”». Massoneria, intelligence e Big Pharma? «Certo: il doping è una “specialità” del potere. Parte dallo sport e arriva fino al terrorismo».Mentre sui giornali si piange la scomparsa dello sfortunato Scarponi, Carpeoro – in un collegamento YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nighs” – si sofferma sull’Astana, la società kazaka «sempre nell’occhio del ciclone, continuamente nei guai per doping». Clamoroso il caso dell’americano Lance Armstrong, quello dello spagnolo Alberto Contador e, più ancora, quello del direttore della squadra, l’ex ciclista Aleksandr Vinokurov, squalificato ripetutamente sempre per uso di sostanze dopanti. L’Astana, che porta il nome della città «che è frutto di un imponente progetto massonico», in ambito sportivo «fa investimenti che nessun’altra struttura mondiale fa». Investimenti e stranezze: «Solo quest’anno il primo capitano, Fabio Aru, si è fatto male in circostanze dubbie. Il suo posto è stato preso da Michele Scarponi. che è morto in un incidente d’auto, travolto da un furgone». Cosa c’è dietro questo spasmodico interesse per la ricerca di prestazioni “strabilianti”? «Il potere, senza ombra di dubbio». Per anni, continua Carpeoro, il ciclismo è stato dominato da Lance Armstrong, statunitense, che poi arrivò a indossare anche la maglia dell’Astana: «Tutti avevano il sospetto che si dopasse, ma si è saputo che si dopava davvero solo dopo il suo ritiro. Armstrong era il grande rivale di Pantani, solo che Pantani l’hanno messo in croce, e lui no. Poi lo scandalo Armstrong alla fine è scoppiato. Gli hanno tolto i titoli, d’accordo, ma solo dopo l’addio alle corse: intanto la sua strada l’aveva fatta».Il potere, continua Carpeoro, ha bisogno di personaggi come Armstrong perché sono «la copertura di tutta una serie di altre attività». In altre parole, «riempi le pagine sportive di quello che vuoi, degli eroi che ti scegli. E intanto li usi come copertura di una ricerca nell’ambito del doping, stupefacenti e droghe: ricerca che poi interessa fortemente soprattutto i servizi segreti, perché puoi “allevare” terroristi solo se li droghi bene». Insiste Carpeoro: «C’è una ricerca, nell’ambito del doping, che viene fatta tramite lo sport. Nel ciclismo si favorisce la diffusione di nuove droghe allo scopo di testarle». Si tratta di un mondo irrimediabilmente inquinato: «La gente non lo sa, ma i ciclisti vengono drogati dall’età di 16-17 anni, quando gareggiano nelle corse quasi dilettantistiche. Molti ragazzi si sono ritirati dal ciclismo a 15-16 anni perché si sono trovati davanti la siringa, o l’autotrasfusione». Realtà imbarazzanti, di cui non si parla: «Non emergono nel calcio perché non ci sono i controlli. Nelle partite internazionali, di coppa, le squadre straniere corrono più di quelle italiane, perché negli altri paesi i controlli antidoping non ci sono. Il calcio, rispetto al doping, è ancora più coinvolto, rispetto al ciclismo. Da noi ci sono i controlli: quanto affidabili? Non lo so».In Italia, lo scandalo doping ogni tanto esplode nel ciclismo. La vittima più illustre? Il campione più amato, Marco Pantani. «Il problema è che Pantani si rifiutò di stare al gioco», sostiene Carpeoro. Prima la qualifica-farsa, poi le voci sul ruolo della camorra, e infine lo strano “suicidio”, con il sospetto di una macabra messinscena. Carpeoro non ha dubbi: «Pantani è stato fatto fuori con la pena del contrappasso: non si era voluto prestare a tutto quello che girava attorno al doping, e così la droga è stata utilizzata per farlo fuori. E’ una cosa così chiara, di una nitidezza spaventosa. Pantani non si drogava, aveva rifiutato anche l’Epo, al tempo in cui l’eritropoietina non era ancora proibita. Per uccidere Pantani – spiega Carpeoro – occorreva usare la droga, perché bisognava che il messaggio fosse forte e chiaro, a tutti gli altri ciclisti che avessero osato anch’essi rifiutare di doparsi». Guai a chi non si sottopone all’auto-trasfusione, alle iniezioni: è troppo importante, per “loro”, la sperimentazione offerta dallo sport, sulla pelle dei campioni. “Loro” chi? «Sempre gli stessi. In altre parole, il potere, di cui emerge la natura paramassonica e anche terroristica, dietro a sigle come Al-Qaeda e Isis».La tesi: nessuno, se non è super-drogato, si trasforma in soldato-kamikaze, capace di eseguire docilmente ordini mostruosi. Ecco a cosa servirebbe, tra le altre cose, la super-ricerca farmaceutica che, sottotraccia, affiora ogni tanto nel mondo dello sport, alla voce doping. Ma il vertice della filiera è a monte, molto lontano dai campi di calcio o dai circuiti ciclistici. «Quando tu devi fare del terrorismo, come ha fatto Bush, fai una Ur-Lodge nella quale metti dentro Bin Laden, Al-Baghdadi», sottolinea Carpero, secondo cui – come rivelato da Gioele Magaldi nel libro “Massoni” – sia il leader di Al-Qaeda che quello dell’Isis sono stati affiliati alla superloggia “Hathor Pentalpha” fondata da Bush padre, mettendo insieme anche personaggi come Blair, Erdogan e Sarkozy, tutti funzionali a piani di guerra puntualmente innescati dal terrorismo “fatto in casa”. «E’ una forte operazione internazionale», ribadisce Carpeoro, nella quale è coinvolto anche lo sport, tramite il doping, dato che i campioni fanno da cavia per testare le nuove sostanze stupefacenti prodotte in laboratori. Farmaceutici? «Ovvio: come si può pensare che in una ricerca così vasta e sistematica non siano presenti anche le case farmaceutiche? Magari, il loro coinvolgimento è un “obolo”, da pagare per la loro impunità su altri versanti».Oggi i ciclisti, domani i terroristi. Sono loro, i kamikaze, gli “utilizzatori finali” delle nuove droghe che vengono fatte testare agli sportivi. Se si rifiutano, come Marco Pantani, vengono eliminati: in modo che a nessuno venga più in mente di disobbedire. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, all’indomani dell’improvvisa morte, per incidente stradale, dell’ennesimo campione, Michele Scarponi, vincitore del Giro d’Italia nel 2011. «Lo sport è l’oppio dei popoli, come la religione», premette Carpeoro. Ma oltre a essere «un’arma di distrazione massa», lo sport è anche un immenso laboratorio di sperimentazione, «per valutare l’effetto delle nuove droghe», destinate all’ambito militare e in particolare alla manovalanza terroristica. «Per questo», aggiunge Carpeoro, «il doping suscita enormi interessi, da parte dei servizi segreti. E coinvolge sicuramente anche le case farmaceutiche: negli ultimi vent’anni, il numero di nuove droghe ha superato quello dei nuovi medicinali. E’ evidente che dietro al doping operano grandi strutture industriali». Carpeoro punta il dito contro l’Astana, la squadra di Scarponi, che porta il nome della capitale del Kazakhstan, città asiatica nota per l’affascinante urbanistica “esoterica”. «Quella è un’area massonica, dominata da un paio di Ur-Lodges come la “Three Eyes”». Massoneria, intelligence e Big Pharma? «Certo: il doping è una “specialità” del potere. Parte dallo sport e arriva fino al terrorismo».
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L’Ue imbroglia: ok al glifosato della Monsanto, cancerogeno
L’Unione Europea aiuterà la Monsanto ad avvelenarci per altri 15 anni con un micidiale diserbante come il glifosato. E’ un rischio concreto, denunciato da “Sustainable Pulse”, network di scienziati e attivisti impegnati sul fronte dell’agricoltura sostenibile e contro gli Ogm, dopo la recente decisione dell’agenzia europea per le sostanze chimiche di non considerare il controverso diserbante come un probabile cancerogeno. Tutto ciò, rileva “Voci dall’Estero”, nonostante diversi studi indipendenti – esaminati anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – abbiano suggerito che si dovrebbe considerarlo tale, quantomeno in via precauzionale. «La Ue ha chiaramente calpestato la propria prassi per la sicurezza alimentare». In più, anche se «la cosa ovviamente non ci sorprende», per “Voci dall’Estero” c’è anche «il sospetto di conflitto di interessi nella commissione incaricata della valutazione», che potrebbe «spianare la strada a un rinnovo di 15 anni dell’autorizzazione».Seguendo quanto già fatto dall’Efsa, l’autorità europea per la sicurezza alimentare – scrive “Sustainable Pulse” – anche l’Echa, l’agenzia per la chimica, «ha respinto l’evidenza scientifica che mostrava che il controverso diserbante chiamato glifosato potrebbe essere cancerogeno». Si tratta di uno dei diserbanti più diffusi al mondo, che la Iarc (l’agenzia per la ricerca sul cancro, una costola dell’Oms) aveva già classificato come “probabile” causa di tumori. Per arrivare alla sua conclusione, Bruxelles «ha rifiutato lampanti prove scientifiche raccolte in laboratorio sugli animali, ha ignorato gli avvertimenti lanciati da oltre 90 ricercatori indipendenti e si è basata su studi non pubblicati commissionati dagli stessi produttori di glifosato». La denuncia è firmata Greenpeace, la cui direttrice dell’unità europea per la politica alimentare, Franziska Achterberg, protesta: «L’agenzia si è spinta molto in là nel momento in cui ha rifiutato tutte le prove che il glifosato potrebbe causare il cancro: le ha nascoste come la polvere sotto il tappeto».«I dati a disposizione – aggiunge la Achterberg – superano di gran lunga il limite legale necessario perché la Ue sia tenuta a bandire l’uso del glifosato, eppure l’agenzia ha preferito guardare dall’altra parte». Se pretende di rispettare le risultanze scientifiche, l’Unione Europea «non può distorcere l’evidenza dei fatti». E attenzione: «Se la Ue non opera come sarebbe tenuta a fare, le persone e l’ambiente continueranno a essere le cavie da laboratorio dell’industria chimica». Come per la valutazione dell’autorità europea per la sicurezza alimentare, anche il parere dell’agenzia per le sostanze chimiche si è basata su un dossier iniziale preparato dal Bfr, l’istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi, che però – a detta di Ong e scienziati indipendenti – contraddice l’evidenza scientifica, sottolinea “Sustainable Pulse”. E dire che l’Echa è responsabile della classificazione Ue sulla pericolosità della chimica: ogni sostanza va classificata come “presumibilmente” cancerogena quando almeno due studi indipendenti dimostrano che causa un aumento dell’incidenza del cancro in una stessa specie. La Iarc (Oms) ha provato la proliferazione di tumori in due studi sui topi sottoposti al glifosato, ma l’Ue li ha ignorati.L’agenzia europea, aggiunge “Sustainable Pulse”, ha inoltre respinto altri indizi di una possibile cancerogenicità del glifosato negli esseri umani, nonché le prove sulla presenza, nel glifosato, di due caratteristiche associate alle sostanze cancerogene, tutte cose documentate dalla Iarc. «Secondo le leggi Ue sui pesticidi, le sostanze classificate come “presumibilmente” cancerogene non possono essere utilizzate, a meno che il rischio per l’uomo non sia “trascurabile”». Le organizzazioni ambientaliste e per la salute sollevano preoccupazioni per possibili conflitti d’interessi all’interno della commissione responsabile della valutazione del glifosato, e criticano la scelta dell’agenzia stessa di basarsi su studi non pubblicati condotti dalle stesse industrie chimiche. A febbraio, associazioni e cittadini hanno lanciato un appello alla Commissione Europea affinché proibisca l’uso del glifosato e riformi il processo Ue di approvazione dei pesticidi, stabilendo obiettivi vincolanti per la loro riduzione. Quasi mezzo milione di persone hanno già firmato la petizione.L’Unione Europea aiuterà la Monsanto ad avvelenarci per altri 15 anni con un micidiale diserbante come il glifosato. E’ un rischio concreto, denunciato da “Sustainable Pulse”, network di scienziati e attivisti impegnati sul fronte dell’agricoltura sostenibile e contro gli Ogm, dopo la recente decisione dell’agenzia europea per le sostanze chimiche di non considerare il controverso diserbante come un probabile cancerogeno. Tutto ciò, rileva “Voci dall’Estero”, nonostante diversi studi indipendenti – esaminati anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – abbiano suggerito che si dovrebbe considerarlo tale, quantomeno in via precauzionale. «La Ue ha chiaramente calpestato la propria prassi per la sicurezza alimentare». In più, anche se «la cosa ovviamente non ci sorprende», per “Voci dall’Estero” c’è anche «il sospetto di conflitto di interessi nella commissione incaricata della valutazione», che potrebbe «spianare la strada a un rinnovo di 15 anni dell’autorizzazione».
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Psicosi meningite? Follia: l’Italia è il paese con meno casi
Si definisce “a bassa incidenza” un paese che ha, in un anno, meno di 2 casi di meningite meningococcica ogni centomila abitanti. Nel 2015 nel nostro paese sono stati segnalati 196 casi di malattia invasiva da meningococco con un’incidenza pari a 0,32 casi su 100.000 persone (dati “Epicentro”). «L’Italia si conferma quindi tra i paesi a più bassa incidenza di meningite meningococcica in Europa», afferma il dottor Tancredi Ascani: «Negli altri paesi europei, con incidenze ben maggiori delle nostre, non c’è nessuna emergenza meningite». Lo conferma il sito “Epicentro”. Da noi, l’incidenza della meningite è inferiore alla media europea: ogni anno vengono segnalati circa 200 casi, pari a 3 casi ogni milione di abitanti (nel resto d’Europa, invece, ogni milione di persone abbiamo ben 14 casi. «E’ da sempre stato così», afferma il medico, «con lievi oscillazioni che però non sembrano seguire le vaccinazioni anti-meningite: da notare infatti che i casi di meningite meningococcica risultano numericamente simili tra il 1998 (epoca pre-vaccinale) e il 2013. Solo dal 2009-2010 il vaccino è offerto gratuitamente a tutti i nuovi nati e solo dal 2012 è stato inserito nel Piano Nazionale Vaccinazioni».Addirittura, «proprio dal 2012 si nota un nuovo aumento di casi da sierogruppo C che risultano superiori ai casi della fine degli anni ‘90», scrive il dottor Ascani sul blog “Luogo Comune”. Da notare che «negli anni 2003-2005 abbiamo avuto molti più casi di meningite da meningococco rispetto a quest’anno ma, non andando di moda conteggiare e mettere in prima pagina ogni caso con titoli allarmanti, nessuna psicosi di massa da meningite si è verificata». Come spiega Carlo Signorelli, presidente uscente della Società italiana di igiene, la meningite «può essere determinata da diversi agenti batterici e virali», e ha comunque «una bassa contagiosità», ovvero: «Solo una piccola parte di chi viene a contatto con l’infetto o il portatore si ammala a sua volta, e quindi l’allarmismo delle ultime settimane non è giustificato dal punto di vista sanitario». Infatti, si definisce “epidemia” (di meningite) solo un’incidenza “superiore ai 100 casi ogni 100 mila” in un anno. Noi invece siamo intorno allo 0,3%. E quindi, secondo il dottor Ascani, «chiunque vada a dire in giro che vi è una qualche epidemia di meningite in Italia sta facendo una gravissima disinformazione e procurato allarme».In Toscana, continua il medico, negli anni 2015-2016 è stato riportato un lieve aumento di casi, portando l’incidenza a 0,83 casi su 100.000 nel 2015 e ancor meno nel 2016. «Siamo sempre quindi ad un’incidenza bassa, sempre ben al di sotto dei 2 casi per 100 mila abitanti che caratterizzano i paesi a bassa incidenza di meningite». Se in Toscana si è registrato il triplo dei casi a partire dal 2015, sostiene l’immonologa Chiara Azzari, è solo per via del tipo di test molecolare introdotto. «E questo nessuno lo specifica nei nostri media, tutti presi a far solo allarmismo e a spingere al vaccino come se fossimo in piena epidemia di meningite e come se il vaccino fosse innocuo come bere un bicchier d’acqua», afferma il dottor Ascani. Le linee guida internazionali, del resto, parlano chiaro: secondo l’American Academy of Pediatrics, «la vaccinazione di routine nei bambini in buona salute dai 2 mesi ai 10 anni non è raccomandata, in assenza di un incrementato e persistente rischio di malattia meningococcica». E la stessa Oms raccomanda la vaccinazione su larga scala solo nei paesi con tassi endemici alti, cioè almeno 10 casi su 100.000 abitanti.Chi sono i pazienti più colpiti? «L’incidenza maggiore del virus si è registrata nella fascia di età tra i 20 e i 29 anni», dice Stefania Saccardi, assessore regionale alla sanità in Toscana, mentre «l’età media delle persone decedute è invece di 52 anni». Ma il vaccino è efficace? «I dati parlano da soli», scrive il dottor Ascani. «Nel 2016 in Toscana ci son stati 29 casi, 13 erano vaccinati, il 45% quindi. La vaccinazione può offrire una protezione individuale, può ridurre il rischio di contrarre la malattia, ma non funziona per tutti e l’efficacia pare essere di breve durata». In pratica, il vaccino «ha mostrato un’efficacia nei bambini del 97% entro un anno dalla vaccinazione, che diminuisce già al 68 % dopo 1 anno». Un recente studio rivela che solo il 25% dei bambini vaccinati in età compresa tra i 2 mesi e i 6 anni aveva anticorpi protettivi dopo 6 anni dall’inoculazione». Insomma: protezioni solo relativamente efficaci, e di breve durata, secondo svariate ricerche mediche internazionali citate dal dottor Ascani.Si definisce “a bassa incidenza” un paese che ha, in un anno, meno di 2 casi di meningite meningococcica ogni centomila abitanti. Nel 2015 nel nostro paese sono stati segnalati 196 casi di malattia invasiva da meningococco con un’incidenza pari a 0,32 casi su 100.000 persone (dati “Epicentro”). «L’Italia si conferma quindi tra i paesi a più bassa incidenza di meningite meningococcica in Europa», afferma il dottor Tancredi Ascani: «Negli altri paesi europei, con incidenze ben maggiori delle nostre, non c’è nessuna emergenza meningite». Lo conferma il sito “Epicentro”. Da noi, l’incidenza della meningite è inferiore alla media europea: ogni anno vengono segnalati circa 200 casi, pari a 3 casi ogni milione di abitanti (nel resto d’Europa, invece, ogni milione di persone abbiamo ben 14 casi. «E’ da sempre stato così», afferma il medico, «con lievi oscillazioni che però non sembrano seguire le vaccinazioni anti-meningite: da notare infatti che i casi di meningite meningococcica risultano numericamente simili tra il 1998 (epoca pre-vaccinale) e il 2013. Solo dal 2009-2010 il vaccino è offerto gratuitamente a tutti i nuovi nati e solo dal 2012 è stato inserito nel Piano Nazionale Vaccinazioni».
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Bosnia: energia misteriosa da quelle piramidi antichissime
Le piramidi scoperte in Bosnia, molto più grandi di quelle dell’Egitto, sono vecchie 29.000 anni ed emanano un’energia potente, misteriosa e benefica. Il team di scienziati che da anni conduce una serie di studi interdisciplinari è particolarmente interessato allo studio «dell’enigmatica energia cosmica che sembra emergere dal sito archeologico in Bosnia». Scopo dello studio è «capire la grande conoscenza in possesso della cultura antica che ha lasciato alle sue spalle queste incredibili opere». I numeri del complesso bosniaco sono impressionanti: la Piramide del Sole misura 220 metri di altezza, un terzo più alta della Grande Piramide di Giza. E il labirinto sotterraneo ha rivelato un blocco di ceramiche di 8 tonnellate. Gli strumenti, poi, hanno rivelato «un raggio energetico, di natura elettromagnetica», ampio 4,5 metri e con una frequenza di 28 kHz che parte dalla cima della Piramide del Sole. Sempre dalla cima della piramide «sembra esserci un fascio di ultrasuoni con un raggio di 10 metri e una frequenza di 28-33 kHz». Inoltre, le quattro piramidi bosniache risultano allineate ai quattro punti cardinali e orientate tutte verso la stella polare.«Anche se nel corso degli anni sono state scoperte migliaia di piramidi su tutto il pianeta, nessuna di esse ha la qualità costruttiva e l’antichità di quelle bosniache», spiega il loro scopritore, Sam Osmanagich, antropologo dell’American University bosniaca e “foreign member” della Russian Academy of Natural Sciences. «Gli studi condotti dall’equipe interdisciplinare mostrano che le piramidi bosniache sono molto più antiche e molto più grandi di quelle conosciute. Se, come qualcuno ipotizza, le piramidi sono delle grosse centrali capaci di produrre energia, la comprensione della tecnologia che è alla base del loro funzionamento potrebbe liberare l’umanità della dipendenza dai combustibili fossili e inaugurare una nuova era di prosperità e armonia con la natura». In più, pare che i test confermino alcuni effetti benefici sulla salute umana, «prospettando che la decifrazione della tecnologia delle piramidi bosniache potrebbe avere ricadute benefiche anche sulla cura delle malattie dell’uomo».La datazione dei monumenti balcanici, intanto, è confermata dall’esame al radiocarbonio effettuato sullo strato di argilla adiacente alla Piramide del Sole. La valle bosniaca delle Piramidi, ricorda il newsmagazine “Il Navigatore Curioso”, è un complesso di 4 antiche piramidi situato nel fertile bacino del fiume Visoko, a circa 40 chilometri a nordovest di Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina. Scoperto nel 2005, il sito è al suo ottavo anno di scavo. I ricercatori hanno individuato quattro strutture monumentali: la Piramide del Sole, la Piramide della Luna, la Piramide del Drago e la Piramide dell’Amore. L’intero sito è stato associato ad un più ampio Tempio della Madre Terra, parte di un complesso di tunnel sotterranei che copre circa 6 chilometri quadrati. «I popoli antichi che hanno realizzato queste piramidi conoscevano i segreti della frequenza e dell’energia della Terra», spiega il dottor Osmanagich. «Hanno usato queste risorse naturali per sviluppare tecniche di costruzione su scale che non abbiamo mai visto prima sulla Terra».Naturalmente, aggiunge il “Navigatore Curioso”, da quando è stato scoperto nel 2005, il complesso bosniaco delle piramidi è stato oggetto di interesse scientifico da parte di numerosi ricercatori che si sono avvicendati nel corso degli anni. «Tutti i resoconti pubblicati rendono impossibile negare l’autenticità di questa scoperta, che potrebbe costringere a riscrivere la storia dell’umanità». Tra le cause di maggiore interesse da parte degli studiosi ci sono «alcuni enigmatici fenomeni energetici che ancora non si riescono a comprendere» e che secondo Osmanagich, prima o poi, verranno analizzati scientificamente. Secondo quanto riporta Deborah West sul “New Era Times”, uno studio comparato condotto da cinque istituti separati confermerebbe in maniera pressoché definitiva l’origine artificiale della controverse Piramidi Bosniache, mettendo a tacere i dubbi e le voci scettiche che in questi anni si sono rincorse incessantemente. Secondo le analisi condotte da alcuni team indipendenti, il materiale di costruzione della Piramide del Sole contiene calcestruzzo di alta qualità. Tra gli istituti coinvolti nelle analisi risulta anche il Politecnico di Torino, con il suo laboratorio di analisi chimica e di rifrattometria, dove sono stati eseguiti una serie di test su alcune delle pietre arenarie e dei blocchi di conglomerato prelevati direttamente dalla piramide bosniaca, dimostrando che i campioni risultano composti da un materiale inerte molto simile a quello che si trovava nell’antico calcestruzzo utilizzato dai romani.I risultati del Politecnico sono confermati dalle analisi compiute sugli stessi campioni presso l’Università di Zenica, in Bosnia-Erzegovina. Un’ulteriore conferma arriva dal professor Joseph Davidovits, un celebre egittologo francese, che ha eseguito alcuni test sui campioni prelevati nel sito della piramide. «Posso affermare che la struttura chimica del conglomerato utilizzato è molto antica», scrive Davidovits. Secondo le sue analisi, il conglomerato risulta essere un cemento composto da calcio e potassio: non c’è dubbio che si tratti di materiale molto datato. Ulteriori prove sull’uso del calcestruzzo per la costruzione delle piramidi arriva dal professor Micheal Barsoum, della Drexel University, e dal professor Gilles Hug, dell’Aerospace Research Agency francese, i quali hanno ottenuto la prova scientifica che i materiali che compongono le enigmatiche colline bosniache sono di origine artificiale, tutte costruite con la tecnica a blocchi di calcare intagliati, evidentemente conosciuta dall’umanità già in epoca remotissima. Notizie che smontano la teoria “manipolativa”, secondo cui le piramidi bosniache non sarebbero paragonabili a quelle dell’antico Egitto o a quelle Maya, quanto piuttosto colline naturali “rimodellate” da un’azione artificiale.Le piramidi scoperte in Bosnia, molto più grandi di quelle dell’Egitto, sono vecchie 29.000 anni ed emanano un’energia potente, misteriosa e benefica. Il team di scienziati che da anni conduce una serie di studi interdisciplinari è particolarmente interessato allo studio «dell’enigmatica energia cosmica che sembra emergere dal sito archeologico in Bosnia». Scopo dello studio è «capire la grande conoscenza in possesso della cultura antica che ha lasciato alle sue spalle queste incredibili opere». I numeri del complesso bosniaco sono impressionanti: la Piramide del Sole misura 220 metri di altezza, un terzo più alta della Grande Piramide di Giza. E il labirinto sotterraneo ha rivelato un blocco di ceramiche di 8 tonnellate. Gli strumenti, poi, hanno rivelato «un raggio energetico, di natura elettromagnetica», ampio 4,5 metri e con una frequenza di 28 kHz che parte dalla cima della Piramide del Sole. Sempre dalla cima della piramide «sembra esserci un fascio di ultrasuoni con un raggio di 10 metri e una frequenza di 28-33 kHz». Inoltre, le quattro piramidi bosniache risultano allineate ai quattro punti cardinali e orientate tutte verso la stella polare.