Archivio del Tag ‘Thomas Sankara’
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Magaldi: niente è come sembra, e in troppi stanno barando
Viviamo strani giorni, cantava Battiato. Prendi l’Italia: in soli cinque anni ha voltato le spalle al conducator Renzi, trionfatore alle europee con il 40%, per dare una chance all’alieno governo gialloverde. Ma non doveva regnare in eterno, il Fanfarone di Rignano? Com’è possibile che si sia letteralmente estinto, consegnando il paese (provvisoriamente) agli apprendisti stregoni grillini e ai vetero-leghisti già forcaioli, abilmente riciclati da Salvini? Esecutivo bifronte, in tutti i sensi: diviso ormai sul 90% del programma, e incagliato su troppi nodi difficili da sbrogliare. Tanto peggio per i 5 Stelle, i più esposti al vento contrario: facile alzare la voce coi migranti, grazie a una politica low-cost, tutta immagine e quasi senza stanziamenti. Più complicato esaudire il sogno costoso del reddito di cittadinanza sbandierato da Di Maio. Tutti colpevoli, in ogni caso. Il loro peccato? Uno: non aver osato assolvere al compito ricevuto dagli elettori, e cioè riscattare l’Italia liberandola dalla tagliola di un’Ue finita in mano a un potentissimo clan di oligopolisti prezzolati. Lo afferma Gioele Magaldi, il primo a cantare fuori dal coro neo-sovranista di fronte al cedimento del governo Conte sul deficit 2019. Il presidente del Movimento Roosevelt è stato anche il primo (oltre che l’unico) a smascherare il teatrino dell’austerity: dietro il rigore – ha spiegato nel saggio “Massoni” – c’è assenzialmente un club di supermassoni reazionari. Ecco perché, anziché sparare a casaccio contro “l’Europa”, sarebbe più utile fare nomi e cognomi.Lo stesso dicasi per l’altro tasto dolente, assai caro a tanta parte del popolo del web: l’odiato imperialismo yankee, il Deep State che trasforma la superpotenza egemone in uno strumento di violenza e guerra, sfruttamento e oppressione (tema in auge praticamente sempre, ora rinverdito dalle vistose pressioni Usa sul Venezuela di Maduro). A costo di ripetersi, Magaldi insiste: sono stato proprio io – dice, in web streaming su YouTube – a spiegare, più precisamente di altri, quale America ha fatto del male agli americani e al resto del mondo. Brutto spettacolo: le trame golpiste della superloggia “Three Eyes”, il neoliberismo a mano armata, i neocon. Ma erano americani anche i Roosevelt e i Kennedy, così come Martin Luther King. E se tutte le potenze mondiali hanno sempre e solo perseguito la logica mercantile del dominio, almeno – dice Magaldi, convinto atlantista – gli Stati Uniti restano la prima democrazia del mondo e la prima repubblica a essersi dotata di un governo parlamentare elettivo, sulla scorta di una Costituzione che proclamò l’estrema eresia del “diritto alla felicità”, per tutti, in un mondo allora retto soltanto da imperi e monarchie, senza diritti e senza suffragio universale. Questo ovviamente non assolve l’America dai suoi peccati, ma almeno – sottolinea Magaldi – dovrebbe imporre il sano esercizio dei distinguo: buoni e cattivi non sono mai la stessa cosa, anche se coabitano sotto la stessa bandiera.Viviamo strani giorni, inutile negarlo: i 5 Stelle sprofondano alle regionali in Abruzzo facendo impallidire il 40% incassato un anno fa dagli abruzzesi alle politiche, ma lo stesso Salvini – pensando a Renzi – farebbe meglio a non dormire sugli allori. E se il voto è diventato così volatile, ragiona Magaldi, è perché gli italiani sono veramente stufi di essere presi in giro: l’allora padrone del Pd aveva solo finto di sfidare Bruxelles, e i gialloverdi sembrano scivolare lungo la stessa china. Non avendo osato tener duro sul deficit per alimentare la crescita, saranno costretti – vista l’inevitabile flessione del Pil – a procedere con sanguinosi tagli lineari. Strani giorni, appunto: mentre diventano sempre più evanescenti le categorie del Novecento, destra e sinistra, visti soprattutto gli imbarazzanti portavoce del centrodestra e del centrosinistra, stenta ancora ad affermarsi una visione del presente più realistica, capace cioè di fotografare il vero scontro: da una parte l’apolide oligarchia del denaro, dall’altra i difensori della sovranità democratica (che non è né di destra né di sinistra, ma è stata confiscata dai poteri privatizzatori col servile contributo di entrambi gli schieramenti, che per tutta la Seconda Repubblica hanno solo e sempre fatto finta di combattersi, per poi eseguire i dettami neoliberali della medesima élite transnazionale).Strani giorni, questi, in cui Di Maio – in preda al panico pre-elettorale da sondaggi – organizza fuori tempo massimo uno sgangherato gemellaggio con frange dei Gilet Gialli, ottenendo uno scontro diplomatico con la Francia, in rivolta contro il supermassone Macron. Più che azzoppato, il ducetto dell’Eliseo: praticamente impresentabile, eppure capace di siglare il tragicomico Trattato di Aquisgrana con Angela Merkel, con la quale poi Giuseppe Conte si intrattiene amabilmente al bar, sparlando dei suoi “azionisti” politici, i 5 Stelle. Tanto teatro, e pochissima sostanza commestibile. Non è sul tavolo – su nessun tavolo – il cambio di paradigma, keynesiano, per il quale Gioele Magaldi si batte. In queste sabbie mobili, il Movimento Roosevelt annuncia inziative di sapore strategico nei prossimi mesi. A Londra il primo appuntamento, il 30 marzo: un’agenda da aggiornare con Nino Galloni, Guido Grossi, Ilaria Bifarini, Antonio Maria Rinaldi e altri cervelli dell’economia democratica, per chiarire che – obbedendo a questa Ue – non si va da nessuna parte.Poi in Sicilia è in arrivo un forum sui migranti, per ribadire che il Mediterraneo e l’Africa si possono (e si devono) abbracciare, con una visione strategica di partnership, nel segno del rispetto per la sovranità del terzo mondo. Una battaglia costata la vita a Thomas Sankara, cui il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano, il 3 maggio. L’evento milanese vuol recuperare la memoria di Sankara ma anche di Carlo Rosselli, alfiere italiano del socialismo liberale «assassinato dai fascisti ma detestato anche dai comunisti». Due icone, per il fronte progressista universale che si richiama ai diritti dell’uomo, esattamente come lo svedese Olof Palme, altro massone progressista, ucciso a Stoccolma dai sicari dell’oligarchia euro-atlantica che progettava questa globalizzazione e questa Unione Europea. Globalizzazione che poi ha realizzato, sottolinea Magaldi, con il pieno contributo di supermassoni neo-aristocratici mediorientali, asiatici, cinesi e russi.Ecco perché è così difficile, oggi, “nazionalizzare” una geopolitica ormai interamente “privatizzata” da opachi comitati d’affari, che – all’occorrenza – si dedicano anche al terrorismo, alle “rivoluzioni colorate”, ai maxi-attentati come quello dell’11 Settembre per poi incassare i dividendi della “guerra infinita” (Iraq e Afghanistan, Libia e Siria), fino all’estrema propaggine dell’orrore, incarnata dall’Isis del supermassone Al-Baghdadi. Ci stanno sanguinosamente prendendo in giro? Esatto, ribadisce Magaldi. E la via d’uscita, insiste, è una sola: si chiama democrazia. Un’Ue non-democratica non può continuare a tiranneggiare il governo italiano, che sarà pieno di difetti ma è stato votato dai cittadini. E se Lega e 5 Stelle fingono di dormire, Magaldi scommette sul cantiere del “Partito che serve all’Italia”: un modo per dire che, prima o poi, il velo dovrà cadere. Obiettivo: smascherare il vero avversario e consentire allo Stato di tornare a spendere per i cittadini, mettendo fine allo scandalo silenzioso dell’avanzo primario, con gli italiani che – da troppi anni – versano allo Stato più denaro, sotto forma di tasse, di quanto il governo non ne spenda per loro.Viviamo strani giorni, cantava Battiato. Prendi l’Italia: in soli cinque anni ha voltato le spalle al conducator Renzi, trionfatore alle europee con il 40%, per dare una chance all’alieno governo gialloverde. Ma non doveva regnare in eterno, il Fanfarone di Rignano? Com’è possibile che si sia letteralmente estinto, consegnando il paese (provvisoriamente) agli apprendisti stregoni grillini e ai vetero-leghisti già forcaioli, abilmente riciclati da Salvini? Esecutivo bifronte, in tutti i sensi: diviso ormai sul 90% del programma, e incagliato su troppi nodi difficili da sbrogliare. Tanto peggio per i 5 Stelle, i più esposti al vento contrario: facile alzare la voce coi migranti, grazie a una politica low-cost, tutta immagine e quasi senza stanziamenti. Più complicato esaudire il sogno costoso del reddito di cittadinanza sbandierato da Di Maio. Tutti colpevoli, in ogni caso. Il loro peccato? Uno: non aver osato assolvere al compito ricevuto dagli elettori, e cioè riscattare l’Italia liberandola dalla tagliola di un’Ue finita in mano a un potentissimo clan di oligopolisti prezzolati. Lo afferma Gioele Magaldi, il primo a cantare fuori dal coro neo-sovranista di fronte al cedimento del governo Conte sul deficit 2019. Il presidente del Movimento Roosevelt è stato anche il primo (oltre che l’unico) a smascherare il teatrino dell’austerity: dietro il rigore – ha spiegato nel saggio “Massoni” – c’è essenzialmente un club di supermassoni reazionari. Ecco perché, anziché sparare a casaccio contro “l’Europa”, sarebbe più utile fare nomi e cognomi.
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Aiutare l’Africa nel solo modo possibile: andandocene via
«Il debito è la nuova forma di colonialismo. I vecchi colonizzatori si sono trasformati in tecnici dell’aiuto umanitario, ma sarebbe meglio chiamarli tecnici dell’assassinio. Sono stati loro a proporci i canali di finanziamento, i finanziatori, dicendoci che erano le cose giuste da fare per far decollare lo sviluppo del nostro paese, la crescita del nostro popolo e il suo benessere… Hanno fatto in modo che l’Africa, il suo sviluppo e la sua crescita obbediscano a delle norme, a degli interessi che le sono totalmente estranee. Hanno fatto in modo che ciascuno di noi sia, oggi e domani, uno schiavo finanziario». Questo discorso fu tenuto nel 1987 da Thomas Sankara all’“assemblea dei paesi non allineati”, Oua. Fu assassinato due mesi dopo. Debbo la conoscenza di questo straordinario discorso, ampiamente dimenticato, a un mio giovane amico, Matteo Carta, che lo aveva ripreso da un servizio di Silvestro Montanaro per il programma di Rai3 “C’era una volta” andato in onda alle undici di sera il 18 gennaio 2013. E questa fu anche l’ultima puntata di quel programma. Thomas Sankara arrivò al potere con un colpo di Stato che rovesciò la pseudo e corrottissima democrazia.Nei quattro anni del suo governo fece parecchie cose positive per il Burkina: si impegnò molto per eliminare la povertà attraverso il taglio degli sprechi statali e la soppressione dei privilegi delle classi agiate, finanziò un ampio sistema di riforme sociali incentrato sulla costruzione di scuole, ospedali e case per la popolazione estremamente povera, fece un’importante lotta alla desertificazione con il piantamento di milioni di alberi nel Sahel, cercò di svincolare il paese dalle importazioni forzate. Inoltre si rifiutò di pagare i debiti coloniali. Ma non fu questo rifiuto a perderlo, Francia e Inghilterra sapevano benissimo che quei debiti non potevano essere pagati. A perderlo fu il contenuto sociale della sua opera che i paesi occidentali non potevano tollerare. Tanto è vero che nel controcolpo di Stato che portò all’assassinio di Sankara, all’età di 38 anni come il Che, furono coinvolti oltre a Francia e Inghilterra anche gli Stati Uniti che ‘coloniali’ in senso stretto non erano stati.Sankara doveva quindi morire. Non approfittò mai del suo potere. Alla sua morte gli unici beni in suo possesso erano un piccolo conto in banca di circa 150 dollari, una chitarra e la casa in cui era cresciuto. Questo discorso di Sankara è più importante di quello che Gheddafi avrebbe tenuto all’Onu nel settembre del 2009 e che gli sarebbe costato a sua volta la pelle. Gheddafi, in un linguaggio assolutamente laico, come laico era quello di Sankara, si limitò, in buona sostanza, a denunciare le sperequazioni istituzionali e legislative fra i paesi del Primo e del cosiddetto ‘Terzo Mondo’ (questa immonda e razzista definizione ha un’origine abbastanza recente, fu coniata dall’economista Alfred Sauvy nel 1952 – Poca terra – nel 2000). Sankara, a differenza di Gheddafi, centra l’autentico nocciolo della questione: le devastazioni economiche, sociali, ambientali provocate dall’introduzione in Africa Nera, spesso con il pretesto di aiutarla, del nostro modello di sviluppo. Ecco perché bisogna stare molto attenti quando, con parole pietistiche, si parla di “aiuti all’Africa”. Non per nulla parecchi anni fa durante un summit del G7 i sette paesi più poveri del mondo, con alla testa l’africano Benin (Sankara era già stato ucciso) organizzarono un controsummit al grido di “Per favore non aiutateci più!” (mi pareva una notizia ma si guadagnò solo un trafiletto su “Repubblica”).Per questo tutti i discorsi che girano intorno al “aiutiamoli a casa loro”, che non appartengono solo a Salvini, sono pelosi. Noi questi paesi con la nostra presenza, anche qualora, raramente, sia in buonafede, non li aiutiamo affatto. Li aiutiamo a strangolarsi meglio, a nostro uso e consumo. Il solo modo per aiutare l’Africa Nera è che noi ci togliamo dai piedi. E dai piedi devono levarsi anche quelle Onlus come l’Africa Milele per cui lavora, o lavorava, Silvia Romano, attualmente prigioniera nelle boscaglie del Kenya, formate da pericolosi ‘dilettanti allo sbaraglio’. Pericolosi perché – e almeno questo dovrebbe far rizzare le orecchie al nostro governo – sono facili obbiettivi di ogni sorta di banditi o di islamisti radicali a cui poi lo Stato italiano, per ottenerne la liberazione, deve pagare cospicui riscatti. E’ stato il caso, vergognoso, delle “due Simone” e dell’inviata dilettante del Manifesto Giuliana Sgrena la cui liberazione costò, oltre al denaro che abbiamo sborsato, la vita a Nicola Calipari. In quest’ultimo caso il soldato americano Lozano, del tutto legittimamente perché avevamo fatto le cose di soppiatto senza avvertire la filiera militare statunitense, a un check-point sparò alla macchina che si avvicinava e uccise uno dei nostri migliori agenti segreti.(Massimo Fini, “Aiutiamo l’Africa andandocene via” dal “Fatto Quotidiano” del 29 novembre 2018; articolo ripreso sul blog di Fini).«Il debito è la nuova forma di colonialismo. I vecchi colonizzatori si sono trasformati in tecnici dell’aiuto umanitario, ma sarebbe meglio chiamarli tecnici dell’assassinio. Sono stati loro a proporci i canali di finanziamento, i finanziatori, dicendoci che erano le cose giuste da fare per far decollare lo sviluppo del nostro paese, la crescita del nostro popolo e il suo benessere… Hanno fatto in modo che l’Africa, il suo sviluppo e la sua crescita obbediscano a delle norme, a degli interessi che le sono totalmente estranee. Hanno fatto in modo che ciascuno di noi sia, oggi e domani, uno schiavo finanziario». Questo discorso fu tenuto nel 1987 da Thomas Sankara all’“assemblea dei paesi non allineati”, Oua. Fu assassinato due mesi dopo. Debbo la conoscenza di questo straordinario discorso, ampiamente dimenticato, a un mio giovane amico, Matteo Carta, che lo aveva ripreso da un servizio di Silvestro Montanaro per il programma di Rai3 “C’era una volta” andato in onda alle undici di sera il 18 gennaio 2013. E questa fu anche l’ultima puntata di quel programma.
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Magaldi: Pd senza idee progressiste, non lo salverà Minniti
Spera davvero di cavarsela, il Pd, usando Marco Minniti per tentare di riempire il vuoto cosmico della sua non-politica, ridotta a semplice esecuzione delle direttive impartite dall’élite neoliberista? Ci vorrebbe ben altro che un vecchio arnese dalemiano come l’ex ministro dell’interno, per restituire una vera offerta politica a quei milioni di elettori che nel 2008 avevano salutato con simpatia e speranza la nascita del Pd. Ci vorrebbero ad esempio parole sferzanti come quelle appena usate da una giovane dirigente, Katia Tarasconi, che ha accusato il vertice del partito di aver curato solo gli interessi dell’oligarchia, trascurando il popolo. E soprattutto, servono idee: come declinare la grande eredità democratica del socialismo, nell’Europa del 2018? E invece niente: silenzio di tomba, al di là del ronzio e del gossip su questioni irrilevanti, il deprimente derby tra renziani e anti-renziani, Minniti contro Zingaretti (e magari Martina a fungere da cuscinetto). Per fare cosa, poi? Per andare dove? Restano senza risposta, per ora, le domande che Gioele Magaldi rilancia: dovrebbero essere il punto di partenza, per tentare di far uscire il Pd dallo stato di coma in cui si trova. Ma all’orizzonte non si vedono segnali di alcun genere: avanti così il partito corre verso l’estinzione, tra la desolazione dei suoi ex elettori.Come si può pensare che Marco Minniti possa rappresentare una novità? L’ex ministro, dice Magaldi in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, è stato un colonnello di D’Alema quando “baffino” era in auge, quindi «ha vissuto una stagione dalemiana di ferro» (era soprannominato Lothar, richiamando la coppia con Mandrake). Poi si è riciclato nel renzismo, «tanto che oggi diversi dirigenti del Pd dipingono la sua come una candidatura filo-renziana e anti-zingarettiana, anche se Minniti assicura che così non è». Niente di nuovo sotto il sole, purtroppo, «nell’agone di questo momento difficile e crepuscolare del Pd». Gli uomini sono sempre gli stessi e le donne restano in minoranza: i media mainstream concedono solo minuscole finestre alle pochissime voci dissonanti come quella della Tarasconi («magari ce ne fossero altre, in grado di parlare un linguaggio così diretto»). Ma non è questione di uomini o donne, insiste Magaldi: il problema è l’assenza di idee. «Non si assiste a un reale rinnovamento ideologico». Ovvero: qual è l’identità del Pd? Qual è la proposta politica dei candidati?». Cosa distingue, davvero, Zingaretti da Minniti? «Di cosa si fanno promotori? Qual è la loro idea di governo della cosa pubblica? A me pare che la grande assenza sia quella delle idee», sottolinea Magaldi: «Manca un ripensamento approfondito di una prospettiva democratica».Per il presidente del Movimento Roosevelt «assistiamo a uno stranissimo paradosso: il Pd renziano ha voluto entrare nel partito socialista europeo, ma poi non si è fatto carico di elaborare, nel XXI secolo, una proposta democratica e liberale di tipo socialista». Nel Pd non c’è più nulla, di quella tradizione. «La verità è che nel mondo politico europeo e occidentale c’è stata ormai da decenni una chiara subalternità all’unico modello politico-economico, quello neoliberista (sul piano strettamente economico) e neo-aristocratico (sul piano politico)». Da qui, infatti, la denuncia della Tarasconi, che rinfaccia al partito di essere agli ordini dell’élite. Non è il solo, peraltro: in questi decenni, ricorda Magaldi, «abbiamo assistito a due versioni di un unico paradigma: quella incarnata dal cosiddetto centrodestra e quella interpretata dal sedicente centrosinistra». Diversi gli attori, ma identico il copione. «Recuperare una tradizione socialista – aggiunge Magaldi – significa richiamarsi ai personaggi che ad esempio il Movimento Roosevelt ha iniziato a ripresentare alla coscienza pubblica: Carlo Rosselli, Olof Palme, Thomas Sankara e altri come loro, da Roosevelt a John Rawls, che sono le uniche possibili bussole per recuperare una tradizione autenticamente socialista, in senso liberale e democratico».Rialzare la testa, tornare a inquadrare l’orizzonte? Impossibile, a quanto pare: «Fa un po’ tristezza osservare come, invece di guardare a quei modelli, il dibattito politico all’interno del Pd si riduca alla contrapposizione tra piccoli leader». Non ci si rende conto che «questo volare basso, questa assenza di riferimenti» è fatale, per un partito che si candidi a rappresentare un’alternativa al governo gialloverde. E a proposito di riferimenti ideali: «Ricordo che la confusione ha regnato sovrana per anni, nel Pd, quando un Boccia poteva proporre Friedrich von Hayek come punto di riferimento del nuovo centrosinistra». Von Hayek, ovvero uno dei padri del neoliberismo, insieme a Milton Friedman: il vero ispiratore della destra economica, «incardinato in una visione neo-aristocratica». Lo stesso von Hayek si definiva “un old whig”, un vecchio ultra-conservatore, «facendo riferimento a Edmund Burke, fiero avversatore della Rivoluzione Francese». E in mezzo a tanta povertà politica, cosa potrà mai fare l’ex braccio destro del D’Alema convertito al neoliberismo, l’uomo che si vantò di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank realizzando il record europeo delle privatizzazioni?«Non credo affatto che Minniti possa essere una novità, è un personaggio che già ha vissuto tante vite», ribadisce Magaldi. «Certo – aggiunge – non è l’unico a non avere “idee chiare e distinte”, in senso cartesiano, da offrire alla platea della pubblica opinione: se gli elettori del Pd non avvertono il problema di chiedere alla propria dirigenza una chiarezza metodologica sulla prospettiva politica, è chiaro che i dirigenti non la daranno». Ultimamente, peraltro, è pur vero che «i simpatizzanti questa richiesta l’hanno fatta, molti facendo mancare il loro voto al Pd, la cui base elettorale si è ristretta». Altri – come Katia Tarasconi – stanno davvero cercando di alimentare un cambio di passo reale, benché siano «silenziati dai grandi media, preoccupati di offrirci il solito pastone in cui ci domanda se Renzi farà un nuovo partito e se Martina resterà in corsa: tutti discorsi inessenziali per il futuro dell’Italia e dell’Europa». Tradotto: riguardo al ruolo del nostro paese nell’Ue, «non è di nessun interesse capire qual è il ruolo di questo o di quello, nella filiera delle poltrone da occupare». Molto più importante, dice Magaldi, è capire «dove vorranno condurre l’Italia ed eventualmente l’Europa i nuovi dirigenti del Pd, quelli che insieme al nuovo segretario che dovesse essere eletto avranno una enorme responsabilità: ridare un senso al Pd o affossare definitivamente quell’esperienza politica, perché le cose che perdono di senso poi si logorano e muoiono per consunzione».Molta della visibilità mediatica di Minniti deriva dalla compostezza con la quale, da ministro, si dice che Minniti abbia gestito il problema migranti (oggi addirittura rivendica una sorta di imprimatur sulla spigolosa fermezza esibita da Salvini). Anche su questo fronte, però, secondo Magaldi siamo fuori strada: «Respingere senza prospettiva e come accogliere senza prospettiva». Doppia miopia, identica: «E’ ormai noto a tutti che proprio l’Africa, ricchissima di risorse ma mantenuta artificiosamente in stato di povertà, è il convitato di pietra del terzo millennio: lo dimostra l’enorme interesse da parte della Cina, che in Africa ha stanziato colossali investimenti, e lo conferma anche l’atteggiamento neo-coloniale della Francia, denunciato da personalità come quella del panafricanista Mohamed Konare». Domanda: perché fingere che il problema si risolva respingendo barconi, magari cavandosela con slogan del tipo “aiutiamoli a casa loro”? «Bisogna cominciare a farlo davvero, per esempio con una sorta di Piano Marshall per l’Africa, che sviluppi anche la necessaria educazione democratica per fare piazza pulita dell’esigua élite africana tuttora complice del neo-colonialismo occidentale».Per il presidente del Movimento Roosevelt, la vera opposizione è sempre la stessa: democrazia contro oligarchia. «Viviamo in un mondo nel quale si distrugge l’immagine di un grande attore come Kevin Spacey perché, nella serie televisiva “House of Cards”, ha osato evocare il Bohemian Club, santuario del massimo potere super-massonico neo-aristocratico». E’ esattamente il tema affrontato dalla giovane Katia Tarasconi, nel bocciare in blocco la nano-dirigenza del Pd: inutile far finta che il vero potere non sia in pochissime mani. Stupido, poi, schierarsi con il rigore Ue contro il governo gialloverde: semmai, un partito progressista dovrebbe rimproverare a Lega e 5 Stelle di essere troppo timidi, rispetto a Bruxelles, essendosi accontatentati di quel misero 2,4% di deficit per il 2019. Ma appunto, ci vorrebbe un partito progressista – non il Pd di Minniti e Renzi, Martina e Zingaretti. Neoliberismo, privatizzzazioni, dominio dell’élite imposto a suon di dogmi da un soggetto che ci si ostina a chiamare “l’Europa”. Oggi, ripete Magaldi, la prima cosa che dovrebbe fare l’Italia è questa: proporre una Costituzione Europea democratica, con un governo europeo finalmente eletto dall’europarlamento votato dagli elettori. Lontano anni luce da idee come queste, restano i Lothar e gli Zingaretti a contendersi i rottami del fu Pd.Spera davvero di cavarsela, il Pd, usando Marco Minniti per tentare di riempire il vuoto cosmico della sua non-politica, ridotta a semplice esecuzione delle direttive impartite dall’élite neoliberista? Ci vorrebbe ben altro che un vecchio arnese dalemiano come l’ex ministro dell’interno, per restituire una vera offerta politica a quei milioni di elettori che nel 2008 avevano salutato con simpatia e speranza la nascita del Pd. Ci vorrebbero ad esempio parole sferzanti come quelle appena usate da una giovane dirigente, Katia Tarasconi, che ha accusato il vertice del partito di aver curato solo gli interessi dell’oligarchia, trascurando il popolo. E soprattutto, servono idee: come declinare la grande eredità democratica del socialismo, nell’Europa del 2018? E invece niente: silenzio di tomba, al di là del ronzio e del gossip su questioni irrilevanti, il deprimente derby tra renziani e anti-renziani, Minniti contro Zingaretti (e magari Martina a fungere da cuscinetto). Per fare cosa, poi? Per andare dove? Restano senza risposta, per ora, le domande che Gioele Magaldi rilancia: dovrebbero essere il punto di partenza, per tentare di far uscire il Pd dallo stato di coma in cui si trova. Ma all’orizzonte non si vedono segnali di alcun genere: avanti così il partito corre verso l’estinzione, tra la desolazione dei suoi ex elettori.
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Moiso: via il Che da quelle magliette, metteteci Draghi
Che strana questa sedicente sinistra che critica coloro che parlano di sovranità, che pensa di dover organizzare le proprie iniziative politiche partendo dalla necessità assoluta e imprescindibile di tagliare il debito pubblico, e che crede che l’accoglienza indiscriminata di quelle povere persone che vengono dall’Africa e dal Medio Oriente possa essere una soluzione giusta e sostenibile. Che strana, questa sedicente sinistra che da giovane appendeva, vestiva e si tatuava “Che” Guevara, Marx e Sankara; avrebbe piuttosto dovuto vestire le maglie con la faccia di Mario Draghi, appendere i poster di Visco in cameretta affianco a quelli dei Guns’n’Roses e farsi i tatuaggi di Mattarella o Monti sulla spalla; questo sì che sarebbe stato coerente con le loro posizioni odierne! Viene da pensare, perché mi ricordo chiaramente Marx ed Engels scrivere di come l’immigrazione indiscriminata irlandese – in condizioni di scarsità di risorse – potesse danneggiare le condizioni dei lavoratori inglesi, nonché sottoporre i lavoratori irlandesi a condizioni disumane.Mi ricordo chiaramente come Sankara avesse smascherato platealmente, alle Nazioni Unite, come il debito pubblico fosse un’arma di controllo post-coloniale, rivendicando la necessità di aiutare il popolo africano in Africa; e mi ricordo ancora più chiaramente come Ernesto “Che” Guevara, sempre alle Nazioni Unite, rivendicò il principio della sovranità del popolo di fronte all’imperialismo del mondo finanziario. Ora… o mi ricordo male io, o gli elettori progressisti non sono progressisti (e in effetti tra i progressisti si nascondono molti conservatori e comunisti) o la classe politica sedicente progressista ha mantenuto la narrativa progressista ma si è completamente venduta al neoliberismo. Alcuni potrebbero guardare al nazionalismo e al comunismo con nostalgia, come reazione alle politiche neoliberiste dell’attuale sedicente sinistra… La verità è che nonostante “Che” Guevara e Sankara si dicessero comunisti, non è certo nel comunismo che troviamo l’esempio che hanno lasciato nella storia.Piuttosto, queste persone ci hanno insegnato che non c’è niente, nella vita, che valga più della lotta per il bene della collettività; della lotta per creare un mondo giusto ed equo. Oggi, ci sentiamo dire che dobbiamo fare i conti con l’economia e con la finanza, base imprescindibile di un sistema sociale che ha sostituito gli indicatori economici e finanziari ai diritti umani. Ma la storia insegna che nel XVII, XVIII e XIX secolo il popolo si sentiva dire che non si potesse lottare contro una monarchia reggente per volere di Dio. Ecco, personaggi come Sankara e “Che” Guevara non ci insegnano che il comunismo sia la filosofia economica sulla quale ricostruire la società, ma piuttosto ci insegnano che si può e si deve lottare anche oggi – e che la lotta vale una vita.(Marco Moiso, “Si sbiadiscono le magliette della sedicente sinistra”, dal blog del Movimento Roosevelt del 7 novembre 2018).Che strana questa sedicente sinistra che critica coloro che parlano di sovranità, che pensa di dover organizzare le proprie iniziative politiche partendo dalla necessità assoluta e imprescindibile di tagliare il debito pubblico, e che crede che l’accoglienza indiscriminata di quelle povere persone che vengono dall’Africa e dal Medio Oriente possa essere una soluzione giusta e sostenibile. Che strana, questa sedicente sinistra che da giovane appendeva, vestiva e si tatuava “Che” Guevara, Marx e Sankara; avrebbe piuttosto dovuto vestire le maglie con la faccia di Mario Draghi, appendere i poster di Visco in cameretta affianco a quelli dei Guns’n’Roses e farsi i tatuaggi di Mattarella o Monti sulla spalla; questo sì che sarebbe stato coerente con le loro posizioni odierne! Viene da pensare, perché mi ricordo chiaramente Marx ed Engels scrivere di come l’immigrazione indiscriminata irlandese – in condizioni di scarsità di risorse – potesse danneggiare le condizioni dei lavoratori inglesi, nonché sottoporre i lavoratori irlandesi a condizioni disumane.
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Progressisti, smettete di votare il fascismo bianco del Pd
Conosco molte persone che votano Pd, +Europa e LeU. Conosco ancora piú persone che questi partiti hanno smesso di votarli. Quello che quasi tutti questi amici hanno in comune è che sono mossi da valori sinceramente progressisti; valori di libertà, giustizia sociale e democrazia. La differenza tra coloro che votano ancora i partiti della sedicente sinistra e coloro che hanno deciso di non votarli, è che questi ultimi si sono resi conto che i partiti della sedicente sinistra non perseguono più, nei fatti, quei valori di cui continuano a pretendere di essere i portavoce. I partiti della sedicente sinistra continuano a sostenere di volere fare l’interesse del popolo ma, al di là della narrativa e dei discorsi, si sono piegati ad una visione dell’economia (quella neoliberista) che è sostanzialmente incompatibile con la democrazia liberale in quanto mette gli interessi di poche corporazioni private davanti all’interesse ed al volere della collettività. La dittatura, nel mondo occidentale, esiste: è la dittatura del capitale finanziario. Il “fascismo bianco” (come lo chiama Tremonti – il fascismo perpetuato tramite debito pubblico, spread, rapporto deficit-Pil, etc…) limita libertà e diritti e sovverte il volere popolare, svuotando le istituzioni di democrazia quanto una qualunque dittatura militare – per quando certamente in modo diverso.Questa Unione Europea è un fulgido esempio di come il Fascismo Bianco – l’Econocrazia – possa mantenere le apparenze di una democrazia liberale nonostante le istituzioni democratiche ne vengano quotidianamente svuotate. L’Europa unita – che doveva essere l’Europa dei Popoli – è un infatti esempio di come le istituzioni democratiche possano essere controllate ed usate per perseguire interessi finanziari particolari piuttosto che il volere ed il benessere della collettivitá; non a caso il Parlamento Europeo è l’unico Parlamento al mondo a non avere il potere legislativo. La condizione politica in cui viviamo si concretizza in un paradosso che è ancora difficile da affrontare e capire per molti: chi si definisce progressista non può che combattere i partiti della sedicente sinistra; chi si dice sinceramente europeista non può non criticare queste istituzioni europee… Per ritornare a lottare per la realizzazione di un modello di società basato su libertà, pari opportunità e giustizia sociale, bisogna combattere una dittatura che usa l’economia, e gli indicatori economici, per svuotare di democrazia sostanziale le democrazie liberali.Noi europei non siamo più abituati alla dittatura e, al momento, i nostri bisogni primari (sicurezza, cibo) ci sono garantiti (il diritto alla salute e quello all’istruzione sono i primi ad essere sotto attacco). Ma c’è chi, essendo abituato alla dittatura, aveva uno sguardo più smaliziato e attento alla sostanza delle cose, e capì benissimo che ruolo aveva il cosiddetto “debito pubblico” (che altri chiamano “ricchezza pubblica”) nel limitare il potere delle democrazie. Sankara, personaggio politico sconosciuto a molti (non era un fulgido liberale, come avrei preferito io, ma piuttosto aveva tendenze marxiste), è morto per difendere il proprio popolo dallo strumento principe di controllo della dittatura bianca: il debito. A coloro che si considerano europeisti, democratici, e liberali, consiglio vivamente di vedere questo video del discorso di Sankara alle Nazioni Unite. Oggi, la strategia del debito che veniva usata per controllare l’Africa, viene usata per controllare le democrazie europee. A tutti coloro che sono animati da sentimenti davvero progressisti, umanitari, libertari e sociali, consiglio davvero di considerare cosa si cela dietro la narrativa che compara il debito pubblico al debito privato.A tutti coloro che continuano a votare la sedicente sinistra consiglio di chiedersi se le persone cui fanno riferimento, esperti di politica da anni, davvero non siano consapevoli di come le attuali (mancate) politiche economiche siano strumentali a guidare una involuzione antidemocratica. Anche nel ‘32, quando Roosevelt vinse le elezioni, il mondo della finanza premeva affinché “il popolo” pensasse al benessere delle generazioni future, evitando politiche di carattere espansivo. Roosevelt vinse le elezioni e, attraverso politiche economiche liberali di carattere fortemente espansivo (la celebre frase «dobbiamo solo avere paura della paura stessa», si riferiva proprio al debito) rilanciò l’economia americana. Quanta confusione c’è tra i sostenitori di +Europa tra liberalismo e neoliberismo… Anche l’Europa che conosciamo e tanto vogliamo difendere – quella liberale, dello stato sociale e delle pari opportunitá – è stata costruita su politiche economiche di carattere espansivo: si chiamava Piano Marshall. Nella storia recente, tutte le “crisi” economiche si sono superate con politiche economiche di carattere espansivo (o invasioni militari), non certo con misure di austerità volte a permettere il drenaggio di capitali e la conservazione del loro valore assoluto.Coloro che oggi sostengono questa Unione Europea, le sue istituzioni e le sue politiche economiche – considerando l’Ue come un fine e non come un mezzo per la difesa e la diffusione di libertà, giustizia sociale e democrazia – non sono europeisti, non sono liberali e non sono progressisti. Sono piuttosto persone manipolate dalla narrativa del mondo della finanza che mette Cbas (cost benefit analysis) davanti al benessere della collettività. Sono la finta intelligentija del fascismo bianco, usata dall’Econocrazia per fare propaganda. Pensando alle molte persone che ancora supportano i partiti della sedicente sinistra, mi domando come mai non riescano più a distinguere la narrativa dai fatti e a capire che sono stati raggirati: su tutti i temi politici sostanziali. È davvero incredibile come gli elettori del Pd e di +Europa, persone spesso di grande sensibilità social-liberale e progressista, siano completamente confuse. Anche quando si parla di immigrazione, oramai queste persone sembrano solo abituate a reagire con il loro grande cuore, senza però ricorrere alla mente e alla strategia.Certo, il cuore ci dice che bisogna aiutare e accogliere chi proviene da territori di guerra (anche se Roosevelt insegna che per aiutate gli altri bisogna prima combattere gli oppressori “interni”: povertà e mancanza di democrazia). Non potrei mai chiudere le porte a coloro che scappano da guerra e morte. Ma non si può aiutare il viandante che chiede copertura dal freddo se questo è l’unico, nel suo villaggio, ad essere riuscito a raggiungerci. Bisogna piuttosto dargli ago e filo e insegnarli a cucire, di modo che questo possa insegnare a cucire coperte a tutto il suo villaggio. Invece di coprire un uomo solo, un fortunato, avremo coperto tutti coloro che avevano freddo, ed avranno deciso di rimboccarsi le maniche. Spesso, i cosiddetti immigrati “economici” (definizione che odio, ma che userò) sono le persone piú avvantaggiate, colte e indignate; sono coloro che piú potrebbero aiutare il loro paese a rialzarsi. Invece di fare loro l’elemosina (con il solito senso di superiorità che caratterizza il “buonismo”) sarebbe meglio considerare quelle persone capaci di guidare una rivoluzione democratica e armarle di danaro, risorse e sponde politiche.Guardo oggi con simpatia e amarezza a coloro che, animati da un sentire progressista, social-liberale e democratico, votano partiti che di progressista non hanno nulla, e che criticano persino il principio della sovranità del popolo – cosí bene espresso nella nostra Costituzione. Guardo con simpatia e amarezza quegli amici che continuano a votare i partiti della sedicente sinistra. In fondo, anche loro come gli “immigrati economici”, preferiscono avere “fede” e chiedere aiuto all’alto (politica, religione) piuttosto che usare il loro senso critico e la loro iniziativa per rimboccarsi le maniche e combattere coloro che li raggirano quotidianamente, sfruttando la loro moralità e “insegnando” loro che bisogna obbedire al debito… Cari amici, usate il vostro senso critico; distinguete la narrativa dai fatti e mettetevi in gioco in prima persona. Decidete di tornare a lottare per democrazia, libertà e giustizia sociale – questo sì, per le generazioni future.(Marco Moiso, “Un pensiero per gli amici di Pd, +Europa e LeU”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 agosto 2018. Già coordinatore nazionale del movimento, Moiso è supervisore MR per il Regno Unito).Conosco molte persone che votano Pd, +Europa e LeU. Conosco ancora piú persone che questi partiti hanno smesso di votarli. Quello che quasi tutti questi amici hanno in comune è che sono mossi da valori sinceramente progressisti; valori di libertà, giustizia sociale e democrazia. La differenza tra coloro che votano ancora i partiti della sedicente sinistra e coloro che hanno deciso di non votarli, è che questi ultimi si sono resi conto che i partiti della sedicente sinistra non perseguono più, nei fatti, quei valori di cui continuano a pretendere di essere i portavoce. I partiti della sedicente sinistra continuano a sostenere di volere fare l’interesse del popolo ma, al di là della narrativa e dei discorsi, si sono piegati ad una visione dell’economia (quella neoliberista) che è sostanzialmente incompatibile con la democrazia liberale in quanto mette gli interessi di poche corporazioni private davanti all’interesse ed al volere della collettività. La dittatura, nel mondo occidentale, esiste: è la dittatura del capitale finanziario. Il “fascismo bianco” (come lo chiama Tremonti – il fascismo perpetuato tramite debito pubblico, spread, rapporto deficit-Pil, etc…) limita libertà e diritti e sovverte il volere popolare, svuotando le istituzioni di democrazia quanto una qualunque dittatura militare – per quando certamente in modo diverso.
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Konare: è la Francia a depredare l’Africa, ditele di smettere
Ma la Francia non era il paese dei Lumi, patria della libertà già nel Settecento? Sì, ma solo in Europa: certo non in Africa, dove 14 paesi vivono tuttora sotto il giogo di una dominazione coloniale feroce e parassitaria, che sta facendo esplodere la crisi dei migranti. Lo afferma, in una drammatica video-testimonianza su “ByoBlu”, il leader panafricano Mohamed Konare, originario della Costa d’Avorio. “Libertè, egalitè, fraternitè”: valori che magari hanno ancora un peso in Francia, mentre nel continente nero – schiavizzato dal governo di Parigi – si sopravvive senza libertà e senza nessuna uguaglianza, mentre l’unica fraternità (criminale) è quella che lega alla potenza sfruttatrice i tanti dittatori africani, insediati dalla Francia a suon di sanguinosi colpi di Stato. A milioni, oggi, gli schiavi dell’Africa “francese” si riversano sulle coste italiane? Ovvio: a casa loro non hanno speranze, per colpa della piovra rappresentata dal sistema coloniale, che ancora oggi depreda i paesi sub-sahariani. Non hanno scampo, gli africani: sono vittime del più subdolo dei ricatti, cioè l’imposizione del Franco Cefa, moneta coloniale imposta all’Africa e tuttora di proprietà francese. Un controllo ferreo, per uno smisurato trasferimento di ricchezza: non meno di 500 miliardi di dollari all’anno, secondo stime ufficiali. Ora basta, però: bisogna che i giovani smettano di emigrare, dice Konare. Devono restare a casa, a lottare, perché l’Africa abbia finalmente un futuro.«Dobbiamo “assediare” pacificamente tutte le ambasciate francesi in Africa, per smuovere l’opinione pubblica internazionale. Ci stiamo preparando: lo faremo». Mohamed Konare è consapevole di quanto sia pericolosa la sua posizione: nel solo dopoguerra, l’Africa ha subito 45 golpe orchestrati da Parigi. La potenza coloniale non ha esitato a far uccidere chiunque abbia osato ribellarsi: le vittime sono decine, dal leader congolese Patrice Lumumba al rivoluzionario sovranista Thomas Sankara, che dal Burkina Faso osò chiedere l’annullamento del debito africano e la fine degli “aiuti” (usurai) della finanza internazionale: miliardi offerti dal Fmi e dalla Banca Mondiale, per vincolare l’economia africana alla schiavitù del debito e imporre la rapina neoliberista delle risorse, affidate alle multinazionali con la complicità dei governanti africani corrotti. Uno schema che è all’origine dell’attuale disastro che investe l’Africa, come spiega l’economista Ilaria Bifarini: il Pil africano sta crescendo ma resta in mano a pochissimi, la popolazione del continente nero sta letteralmente esplodendo ma vive in condizioni economiche molto peggiori, rispetto a trent’anni fa. Nel frattempo è cambiato tutto, nel mondo globalizzato, tranne un aspetto che non è esagerato definire mostruoso: l’arcaico sfruttamento coloniale da parte della Francia, di cui Konare fornisce un quadro semplicemente sconcertante.Il 50% della produzione delle ex colonie francesi finisce subito a Parigi: un furto sistematico, legalizzato dagli accordi della decolonizzazione, le “false indipendenze” concesse da Charles de Gaulle per continuare la razzia dietro il paravento dell’autonomia solo formale dell’Africa Francese. L’altro 50% del Pil viene comunque sottratto alla popolazione, grazie alla complicità dei regimi africani. Un sistema criminale, la cui regia – accusa Konare – è interamente francese: resta di proprietà della Francia il Franco Cefa, su cui Parigi esercita uno smisurato signoraggio. I paesi africani, obbligati a usare la moneta coloniale francese, non possono sviluppare liberamente la loro economia, né vendere a chi vogliono i loro prodotti. Il gas algerino finisce a Parigi insieme al petrolio. Stessa sorte per le merci di paesi importanti come il Senegal e il Camerun, la Costa d’Avorio, il Mali, il Togo, il Niger. Caffè e cacao, diamanti, oro, rame, uranio, coltan: il continente più ricco del pianeta sopravvive in miseria, sfruttato a sangue dai signori di Parigi, che oggi esibiscono l’ipocrita cinismo di Macron (ospite d’onore di Papa Francesco) ma ieri, almeno, erano capaci di franchezza: «Senza l’Africa – ammise François Mitterrand nel 1975 – la Francia non avrà storia nel 21mo secolo». Profezia confermata dal suo successore, Jacques Chirac, nel 2008: «Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo». E l’orrore continua: i paesi dell’Africa ex francese devono far approvare a Parigi i loro bilanci.Tutto questo deve finire, annuncia Konare: bisogna porre fine all’esodo dei giovani, e iniziare la lotta di liberazione dell’Africa. Come? Svelando, all’opinione pubblica, lo spaventoso vampirismo della Francia: beninteso, i cittadini francesi non ne sono nemmeno consapevoli. Piuttosto, sono potenziali alleati: lo diventeranno, dice Konare, quando prenderanno coscienza di questo orrore, perpetrato dalle stesse élite che, in Europa, organizzano le crisi e l’austerity per gli europei. Carte truccate: come farebbe, la Francia, a mantenere il bilancio in ordine secondo i vincoli Ue, se non avesse dalla sua – ogni anno – quei 500 miliardi “rubati” all’Africa occidentale? E con che coraggio l’ometto dell’Eliseo (sostenuto dal Vaticano) dà lezioni all’Italia sui migranti, visto è proprio Parigi la maggiore responsabile dell’esodo biblico che stiamo vivendo? L’Africa deve svegliarsi, ora o mai più: l’appello di Konare è intensamente drammatico. Missione: salvare gli africani, restituendo loro la sovranità economica. «L’Africa è ricca: se si smette di depredarla, fiorirà. Verremo ancora in Italia, ma come turisti, a visitare Venezia e Firenze».Patti chiari, dice Konare, e diventeremo amici. Ma di mezzo c’è una rivoluzione, da fare. «Un’alleanza tra popoli, africani ed europei, contro le élite che li sfruttano entrambi». Le armi? Una: l’informazione. «Tutti dovranno sapere. A quel punto, il dominio crollerà. Perché, se l’Africa ridiventerà sovrana, smetterà di esportare migranti». L’Italia? «Bene ha fatto a chiudere i porti: i nostri giovani che partono vengono ingannati dai trafficanti. L’emigrazione va scoraggiata in ogni modo, e l’Italia dovrebbe proprio chiudere le sue frontiere», sottolinea Konare, che si appella al governo gialloverde per ottenere una sponda nella grande battaglia, storica, per la resurrezione del continente nero. Italia cruciale: «Proprio a Roma, a settembre, faremo una grande manifestazione», annuncia Konare, al termine della lunga intervista sul video-blog di Claudio Messora. Una testimonianza, la sua, che vale più di una lezione universitaria: racconta di come l’ignoranza nasconda il peggior abominio, consumato sotto i nostri occhi. Un incubo, e una speranza: riconquistare un futuro. «Non avete idea di quanto siete buoni e di quanto siamo cattivi noi, in Occidente», dice Muhammad Alì ai bambini di Kinshasa, al termine dello storico match di boxe con Foreman, nel 1974. La cinepresa di Leon Gast immortalò un evento politico di portata storica: l’ultima voce africana capace di raggiungere, ed entusiasmare, il pubblico occidentale. Riuscirà nella stessa impresa l’altrettanto coraggioso e commovente Mohamed Konare?Ma la Francia non era il paese dei Lumi, patria della libertà già nel Settecento? Sì, ma solo in Europa: certo non in Africa, dove 14 paesi vivono tuttora sotto il giogo di una dominazione coloniale feroce e parassitaria, che sta facendo esplodere la crisi dei migranti. Lo afferma, in una drammatica video-testimonianza su “ByoBlu”, il leader panafricano Mohamed Konare, originario della Costa d’Avorio. “Libertè, egalitè, fraternitè”: valori che magari hanno ancora un peso in Francia, mentre nel continente nero – schiavizzato dal governo di Parigi – si sopravvive senza libertà e senza nessuna uguaglianza, mentre l’unica fraternità (criminale) è quella che lega alla potenza sfruttatrice i tanti dittatori africani, insediati dalla Francia a suon di sanguinosi colpi di Stato. A milioni, oggi, gli schiavi dell’Africa “francese” si riversano sulle coste italiane? Ovvio: a casa loro non hanno speranze, per colpa della piovra rappresentata dal sistema coloniale, che ancora oggi depreda i paesi sub-sahariani. Non hanno scampo, gli africani: sono vittime del più subdolo dei ricatti, cioè l’imposizione del Franco Cfa, moneta coloniale imposta all’Africa e tuttora di proprietà francese. Un controllo ferreo, per uno smisurato trasferimento di ricchezza: non meno di 500 miliardi di dollari all’anno, secondo stime ufficiali. Ora basta, però: bisogna che i giovani smettano di emigrare, dice Konare. Devono restare a casa, a lottare, perché l’Africa abbia finalmente un futuro.
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Migranti, il business dei predoni globalisti condanna l’Africa
Esiste un nesso fra crescita demografica, povertà ed emigrazione? La popolazione africana sta subendo una vera e propria esplosione demografica: mentre, infatti, nel 1960 si attestava intorno ai 300 milioni di abitanti, oggi è di circa 1,2 miliardi e raggiungerà i 2 miliardi e mezzo entro il 2050. L’Africa si trova intrappolata in una spirale nefasta, nota come “trappola malthusiana”, che rende impossibile adeguare l’aumento della produzione e delle risorse alimentari in modo da compensare il forte incremento della domanda legato a una crescita esponenziale della popolazione. L’emigrazione viene percepita dagli africani come unica opportunità per migliorare le proprie condizioni di vita e uscire dallo stato di miseria. Essa in realtà non fa che peggiorare i problemi economici del Continente, che viene privato così della sua forza lavoro più giovane e intraprendente. Il vaso di Pandora delle Ong è molto difficile da scoperchiare, a causa della fitta trama di interessi economici, politici e finanziari. In particolare esiste una grossa Ong, la più grande al mondo ma poco conosciuta dai media, di nome Brac, che svolge attività di “microcredito per l’emigrazione”. Essa è nata ed è particolarmente attiva in Bangladesh, dove ha finanziato l’imponente emigrazione dei cittadini verso altri paesi ma, come dichiara esplicitamente nel suo sito, fornisce prestiti per l’emigrazione (migration loans) anche in altri paesi, in particolare quelli dell’Africa.Esiste poi la Ong francese Positive Planete (prima Planet Finance), fondata dal francese Jacques Attali – colui che ha scoperto Macron – e dal bengalese Yunus, padre del microcredito, che si prefigge di “combattere la povertà in Africa attraverso lo sviluppo della microfinanza”. Un sodalizio, quello tra finanza, Ong ed emigrazione, molto redditizio e ben occultato. Tutti i paesi che si sono sviluppati l’hanno fatto avviando un piano di sviluppo economico basato sulla protezione dell’industria locale nascente e su politiche pubbliche di tipo keynesiano. Nell’Africa postcoloniale questo non è stato possibile, poiché le forze economiche internazionali hanno imposto il loro modello neoliberista, fatto di massima apertura al commercio estero, liberalizzazioni, privatizzazioni dei servizi pubblici e tagli alla spesa dello Stato. Ciò ha impedito qualsiasi possibilità di sviluppo dell’economia africana. Ogni tentativo in tale direzione è stato represso nel sangue, come nel caso di Lumumba in Congo e di Sankara in Burkina Faso. Questo è esattamente il modus operandi dell’attuale modello unico economico su scala globale: “keynesismo per i ricchi e neoliberismo per i poveri”, utilizzato come strumento di depredazione dei paesi.Mentre sappiamo molto della storia coloniale, quello che è accaduto in Africa con la decolonizzazione è poco conosciuto ai più e distorto da una narrazione mistificatrice che imputa ai vecchi imperi coloniali la causa dell’attuale e persistente stato di sottosviluppo del Continente Nero. Con la nascita degli Stati indipendenti in Africa, come in gran parte del Terzo Mondo, si stava avviando un percorso di crescita economica e di sviluppo locale. I paesi africani avevano adottato la cosiddetta politica di “industrializzazione per sostituzione”, secondo la quale le merci importate venivano sostituite con la produzione interna per tutelare le economie e le industrie nascenti dalla concorrenza internazionale. Questa politica, in aggiunta al riconoscimento da parte del Gatt del “diritto alla protezione asimmetrica” per i paesi in via di sviluppo (1964), generò in molti paesi dell’Africa subsahariana un periodo di crescita e relativo benessere. Ma le ingerenze esterne non tardarono a farsi sentire da parte dei grandi interessi economici internazionali.Con lo scoppiare della crisi del debito del Terzo Mondo nel 1982, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale imposero definitivamente le loro politiche macroeconomiche, che non favorivano lo sviluppo locale, non prevedevano alcun investimento nell’economia nazionale, ma incentivavano gli Stati a importare ingenti quantità di beni di consumo e a destinare la propria produzione all’esportazione per il pagamento del debito. Attraverso la previsione di “condizionalità” legate ai prestiti concessi, si venne a realizzare una nuova forma di imperialismo globale, il colonialismo del debito, da cui banche e prestatori di denaro hanno tratto enormi profitti, congiuntamente alle grandi multinazionali, che hanno depredato il Continente del suo ricco patrimonio di risorse naturali, inibendo ogni possibilità di sviluppo economico locale.La chiusura che incontro è più ideologica che scientifica. Purtroppo non si può parlare di neoliberismo e del fenomeno migratorio senza incorrere in divisioni ideologiche e pregiudizi. Dimostrare che il modello economico imposto dalle grandi istituzioni internazionali in Africa, che è lo stesso a distanza di decenni attuato ora in Italia, sia la causa del suo sottosviluppo lascia sconcertati. Sostenere poi che l’emigrazione non è una soluzione, ma anzi aggrava i problemi del continente africano, arricchendo solo chi specula sulla mercificazione degli esseri umani, suscita contrarietà da parte dei fautori acritici dell’accoglienza illimitata. Rompere dei tabù e dei luoghi comuni non è mai semplice, ma sto riscontrando anche molto interesse e consenso da parte di chi conosce e vive in prima persona la realtà africana. Da parte dei media sapevo, quando ho intrapreso questo percorso, iniziato col mio primo libro sottotitolato “Storia di una bocconiana redenta”, che non sarebbe stato per nulla facile rompere il muro nel mainstream. Tuttavia, l’interesse mostrato nei miei confronti da alcuni programmi televisivi e radiofonici è andato oltre le mie aspettative.Credo che, seppur con grande difficoltà, ci sia un piccolo spiraglio per chi affronta temi scomodi in modo serio e supportato da evidenze scientifiche. Il Decreto Dignità proposto da Di Maio? L’attuale modello economico è basato sulla precarizzazione del lavoro e, di conseguenza, della vita umana. Il Decreto Dignità ha il grosso merito di riportare al centro il lavoratore e i suoi diritti. Mettere un limite alla durata e al numero di rinnovi dei contratti a termine, aumentare la tutela e l’indennità del lavoratore nei casi di licenziamento, sanzionare le imprese che delocalizzano dopo aver usufruito di aiuti di Stato, nonché avviare una dura lotta alla ludopatia sono tutte misure che operano in questa direzione. Lo Stato in questo modo torna a occuparsi del cittadino e del lavoratore, ripudiando il ruolo di servitore dei mercati e degli interessi transnazionali, come vorrebbe il modello neoliberista universale, perfettamente rappresentato dall’attuale Unione Europea.(Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate a Marina Simeone per l’intervista “I coloni dell’austerity” pubblicata da “Il Pensiero Forte” il 25 luglio 2018. Economista attiva anche sul proprio seguitissimo blog, laureata alla Bocconi, scrittrice di libri coraggiosi e di successo sul neoliberismo, dopo la risonanza ottenuta dal primo lavoro “Neoliberismo e manipolazione di massa (storia di una Bocconiana redenta)”, Ilaria Bifarini ha presentato “I coloni dell’Austerity. Africa, neoliberismo e immigrazioni di massa”).Esiste un nesso fra crescita demografica, povertà ed emigrazione? La popolazione africana sta subendo una vera e propria esplosione demografica: mentre, infatti, nel 1960 si attestava intorno ai 300 milioni di abitanti, oggi è di circa 1,2 miliardi e raggiungerà i 2 miliardi e mezzo entro il 2050. L’Africa si trova intrappolata in una spirale nefasta, nota come “trappola malthusiana”, che rende impossibile adeguare l’aumento della produzione e delle risorse alimentari in modo da compensare il forte incremento della domanda legato a una crescita esponenziale della popolazione. L’emigrazione viene percepita dagli africani come unica opportunità per migliorare le proprie condizioni di vita e uscire dallo stato di miseria. Essa in realtà non fa che peggiorare i problemi economici del Continente, che viene privato così della sua forza lavoro più giovane e intraprendente. Il vaso di Pandora delle Ong è molto difficile da scoperchiare, a causa della fitta trama di interessi economici, politici e finanziari. In particolare esiste una grossa Ong, la più grande al mondo ma poco conosciuta dai media, di nome Brac, che svolge attività di “microcredito per l’emigrazione”. Essa è nata ed è particolarmente attiva in Bangladesh, dove ha finanziato l’imponente emigrazione dei cittadini verso altri paesi ma, come dichiara esplicitamente nel suo sito, fornisce prestiti per l’emigrazione (migration loans) anche in altri paesi, in particolare quelli dell’Africa.
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Magaldi: ma non ha vinto Macron, e il mondo sta rinascendo
Neppure la vittoria ai mondiali di calcio salverà il povero Macron? «Non scherziamo: nella finale di Mosca non ha vinto Macron, ma la Francia del 14 luglio: per questo ho festeggiato, cantando la Marsigliese». Gioele Magaldi, ovvero: l’ottimismo della volontà, persino in salsa calcistica. “The times they are a-changing”, cantava Bob Dylan. Era il 1964 e alla Casa Bianca sedeva Lyndon Johnson, fautore della Great Society di ispirazione kennediana, aperta alle minoranze e improntata all’estensione dei diritti. Poi è scesa la grande notte del neoliberismo, che ha deturpato il “nuovo mondo” che sarebbe potuto fiorire dopo il crollo dell’Urss, fino a proporre gli orrori di Bush e la nuova guerra fredda di Obama contro Putin. Ma ora le cose – di nuovo – stanno per cambiare, a quanto pare, su tutti i fronti: basta vedere il feeling che avvicina, a Helsinki, il presidente russo (fresco di Mondiali) e il collega americano Trump, reduce dalla storica pace con la Corea del Nord. Gran maestro del Grande Oriente Democratico nonché presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” che mette in piazza le malefatte dell’oligarchia supermassonica reazionaria, il progressista Magaldi esulta per il trionfo dei “bleus” allo stadio di Mosca, nonostante gli italiani tifassero Croazia. E spiega: «A Parigi come a Washington c’è un humus, un’ideologia che ha dato al mondo democrazia, diritti e libertà, incluso il diritto alla felicità. Sono valori che trasformeranno il pianeta, rendendolo migliore e più giusto».“The times they are a-changing”, sostiene Magaldi nella sua narrazione a puntate, ogni lunedì ai microfoni di “Colors Radio”. Trump e Putin? Appunto: come ampiamente previsto dal presidente del Movimento Roosevelt, l’istrionico Maverick della Casa Bianca sta facendo piazza pulita degli antichi pregiudizi su cui si è fondato il “partito della guerra”, più mercenario che patriottico. Lo Zar del Cremlino? «Non privo di una sua grandezza», riconobbe Magaldi, quando Putin rifiutò di espellere diplomatici americani dopo la cacciata dei funzionari dell’ambasciata russa disposta da Obama. Tutto sta davvero cambiando, giorno per giorno: e infatti ad essere “en marche”, oggi, non è la Francia imbrigliata da Macron, ma l’Italia di Conte: «Il nostro paese – dice Magaldi – potrà tornare a rivestire il suo storico ruolo di “ponte”, con la Russia ma anche con l’Africa e il Medio Oriente: è tempo infatti che vengano archiviate le storiche clausole segrete, connesse a Yalta e ad altri trattati del dopoguerra, che limitavano la nostra libertà d’azione – trattati comunque aggirati, a suo tempo, dalla politica mediterranea dei Mattei e dei Moro».Lo ricorda Giovanni Fasanella in “Colonia Italia”: le superpotenze ci “affidarono” al controllo britannico, a limitare la nostra sovranità. Ora basta, però: «E’ è venuto il tempo di dare all’Italia piena indipendenza e autonomia politica, consentendole di recitare un ruolo di “cerniera di pace” e prima promotrice di un Piano Marshall per l’Africa», dice Magaldi, che – insieme a Patrizia Scanu, neo-segretaria del Movimento Roosevelt – ne riparlerà in autunno a Milano, in un evento dedicato anche all’eredità politica del leader sovranista africano Thomas Sankara. Grande la confusione, intanto, sotto le stelle: restano le sanzioni contro Mosca innescate dalla crisi ucraina, mentre l’Europa «non si capisce cosa voglia e non esiste come soggetto geopolitico». Iperboli: «Trump accusato in casa di “intelligenza col nemico russo” poi rimprovera la Merkel di eccessiva familiarità e connivenza con alcuni interessi russi». E non mancano intrecci personali: «Il “fratello” Putin e la “sorella” Merkel – ricorda Magaldi – furono iniziati già molti anni fa nella stessa Ur-Lodge», la Golden Eurasia. Massoni, appunto: il problema, insiste Magaldi, non è il grembiulino che indossano, ma l’orientamento politico che promuovono.L’ipocrita massonofobia di Di Maio, estesa alla Lega nel “contratto” di governo? I vertici “gialloverdi”, dice Magaldi, temono che i loro elettori (non informati sulla storia patria) scambino la massoneria per un’associazione a delinquere. Magaldi punta il dito contro Elio Lannutti, esponente 5 Stelle, «in passato protagonista di battaglie meritorie». Ora vorrebbe una legge che vietasse ai massoni l’accesso alle cariche statali, sbarrando loro le porte di polizia e magistratura: «Siamo alla follia liberticida, queste cose le hanno fatte i regimi comunisti e fascisti», protesta Magaldi. E attenzione: il tema massoneria (compresa l’avversione ai “grembiulini”) va maneggiato con cura: «Nel 1800 negli Usa sorse un Anti-Masonic Party fondato però da massoni: spesso le campagne antimassoniche, nella storia, sono state progettate da massoni di altro segno, per colpire circuiti massonici opposti ai loro». Non è il caso dell’Italia, dove secondo Magaldi si sconta una semplice ignoranza della materia: si confonde la libera muratoria democratica degli eredi di Garibaldi, Mazzini e Cavour con la P2 di Gelli, braccio operativo della superloggia sovranazionale “Three Eyes”, di natura pericolosamente oligarchica e spesso eversiva. In massoneria, ricorda Magaldi, non possono entrare pregiudicati né possono restarvi soggetti che non rispettino la Costituzione e le leggi. «Aiuteremo gli amici “gialloverdi” a chiarirsi le idee, ma se il pregiudizio antimassonico perdurerà – avverte il gran maestro – faremo i nomi dei massoni progressisti, leghisti e penstastellati, che siedono nel governo Conte e nelle altre istituzioni».Comunque, a parte gli ultimi «untori del culturame antimassonico», nella narrazione magaldiana – massonico-progressista, avversa al lungo dominio della supermassoneria neo-aristocratica – all’indomani dei Mondiali di calcio (e del vertice di Helsinki) c’è posto solo per un cauto ma tenace ottimismo nella riscossa democratica di un mondo globalizzato in modo autoritario. Lo si può vedere, sostiene il presidente del Movimento Roosevelt, a partire dalla cruciale trincea italiana. Al netto delle pretattiche, dice Magaldi, vedrete che arriveranno cambiamenti sostanziali: «E’ vero, in molti sono allarmati perché il ministro Tria insiste troppo sul contenimento del debito pubblico, sul rigore dei conti e sulla rassicurazione dei mercati. Ma si tratta di non fare il gioco degli strumentalizzatori, che a suo tempo hanno infierito su Savona per cercare di impedire la nascita del governo “gialloverde”. Quando però arriveranno misure importanti – pronostica Magaldi – allora sarà chiaro quale paradigma economico si adotterà, rispetto all’Europa e alle voci di spesa. Il povero Tria? E’ stato chiamato per un ruolo in copione che è quello del rassicuratore, ma poi le decisioni non saranno nel senso della continuità. Tant’è che proprio alcune esternazioni di Savona fanno capire qual è la vera sceneggiatura», con un’Italia non più prona ai diktat di Bruxelles.Idem sul capitolo vaccini: non brilla per chiarezza, Giulia Grillo, che infatti non ha sconfessato la legge Lorenzin. «E’ però un passo avanti notevolissimo l’aver eliminato l’odiosa costrizione in stile Gestapo che privava i bambini non vaccinati del diritto all’istruzione». Insomma, si respira un’altra aria, pur in un terreno minato da troppi dogmi – che non la scienza non dovrebbero aver nulla a che fare. Può anche funzionare il concetto dell’immunità di gregge (più vaccinati, meno possibilità di contrarre malattie) ma occorrerebbe un’indagine scientifica molto seria su quanti e quali vaccini vadano somministrati, e se l’eccesso di vaccini non produca effetti controproducenti, come nel caso dei vaccini militari cui il Movimento Roosevelt ha dedicato un convegno a Torino con il vicepresidente della commissione difesa. Non possono mancare libertà e confronto critico, aggiunge Magaldi: «Bisogna denunciare ad alta voce, anzitutto sul piano metodologico, che in Italia – durante il clima plumbeo del governo Gentiloni – chiunque della comunuità scientifica osasse discutere l’idea che andassero propinati 12 vaccini veniva escluso, ghettizzato, calunniato e demonizzato (e parlo di medici anche di grande spessore). Chi osava contrapporsi a quel clima veniva emarginato, se non sanzionato. Sono cose da paese del quarto mondo».Libertà scientifica: chi sostiene la bontà dell’attuale sistema vaccinale, insiste Magaldi, abbia il coraggio e l’onestà di confrontarsi con chi è scettico. «E c’è un problema di mancata sperimentazione: di troppi vaccini non si conoscono gli effetti. Sono tanti gli interrogativi, e solo nell’orizzonte del dubbio (in cui dovrebbe essere connaturata la scienza) il problema si può risolvere». Invece, scontiamo «l’indottrinamento disdicevole da parte di divulgatori come Piero Angela, secondo cui la scienza non è democratica e ha sempre ragione». Per Magaldi, sono «vistosi casi di insipienza storica e ignoranza profonda sulla genesi del metodo scientifico, fondato proprio sul dubbio: la scienza moderna, da cui nasce la nostra tecnologia, è fondata sulla messa in discussione del principio di autorità – che appartiene invece al mondo pre-moderno». Una cosa è vera solo perché lo dicono i detentori di quel sapere? Concezione antica: «Nella comunità scientifica moderna ci devono essere posizioni dissonanti: nessuna ipotesi può essere vera a prescindere». Il nostro paese, aggiunge Magaldi, «è ostaggio anche di cattivi divulgatori di un’idea della scienza che è inconsistente e contraria ai principi della contemporaneità». Ma attenzione: neppure questo “muro” dogmatico resisterà per sempre. Verrà il giorno in cui avremo finalmente «un confronto pacato», che riconosca il ruolo storico di alcuni vaccini per la nostra salute ma, al tempo stesso, valuti – seriamente – l’opportunità e la sicurezza di altri vaccini, nient’affatto scontate.«L’affermazione della democrazia – ricorda Magaldi – è coeva dell’affermazione della scienza moderna: è essenziale la libertà nel valutare le opzioni terapeutiche». Vale per tutto: se si applica il “filtro” della democrazia anche al contesto scientifico, finiscono per crollare miti e verità di fede. Lo stesso principio funziona ovunque si guardi, persino nella polveriera del Medio Oriente: «Credo che verrà il tempo per una pacifica soluzione del conflitto israelo-palestinese», auspica Magaldi, osservando la scena con lucidità: «In fondo l’estremismo di Hamas e quello di Netanyahu si sostengono a vicenda, sono due facce della stessa medaglia: si reggono sull’ostilità reciproca e quindi hanno bisogno l’uno dell’altro. Non a caso ad essere assassinato fu Yitzhak Rabin, il massone progressista che voleva davvero la pace e quindi uno Stato palestinese». Se la ride, Magaldi, pendando agli amici che il 15 luglio davanti al televisore hanno trepidato per la Croazia per avversione nei confronti di Macron. Il capo dell’Eliseo? «Si è reso odioso: è un cicisbeo politico, continuatore delle politiche di Hollande e rappresentante di questo establishment puzzolente dell’attuale Disunione Europea. Con rara ipocrisia e faccia di bronzo ha detto parole inammissibili nei confronti del governo italiano e dell’Italia, nel corso di questa crisi sui migranti». Ma Macron non è la Francia, così come Bush non era l’America: «Guardiamo con amore a questi paesi – chiosa Magaldi – perché tantissimi francesi (come tantissimi statunitensi) insieme a noi cittadini del mondo – italiani, europei, cinesi, giapponesi – dovranno costruire un pianeta più equo, che abbia come faro la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: diritti non solo civili ma, finalmente, anche economici e sociali».Neppure la vittoria ai mondiali di calcio salverà il povero Macron? «Non scherziamo: nella finale di Mosca non ha vinto Macron, ma la Francia del 14 luglio: per questo ho festeggiato, cantando la Marsigliese». Gioele Magaldi, ovvero: l’ottimismo della volontà, persino in salsa calcistica. “The times they are a-changing”, cantava Bob Dylan. Era il 1964 e alla Casa Bianca sedeva Lyndon Johnson, fautore della Great Society di ispirazione kennediana, aperta alle minoranze e improntata all’estensione dei diritti. Poi è scesa la grande notte del neoliberismo, che ha deturpato il “nuovo mondo” che sarebbe potuto fiorire dopo il crollo dell’Urss, fino a proporre gli orrori di Bush e la nuova guerra fredda di Obama contro Putin. Ma ora le cose – di nuovo – stanno per cambiare, a quanto pare, su tutti i fronti: basta vedere il feeling che avvicina, a Helsinki, il presidente russo (fresco di Mondiali) e il collega americano Trump, reduce dalla storica pace con la Corea del Nord. Gran maestro del Grande Oriente Democratico nonché presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” che mette in piazza le malefatte dell’oligarchia supermassonica reazionaria, il progressista Magaldi esulta per il trionfo dei “bleus” allo stadio moscovita, nonostante gli italiani tifassero Croazia. E spiega: «A Parigi come a Washington c’è un humus, un’ideologia che ha dato al mondo democrazia, diritti e libertà, incluso il diritto alla felicità. Sono valori che trasformeranno il pianeta, rendendolo migliore e più giusto».
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Magaldi: i falsi amici dei migranti che hanno piegato l’Italia
Se ci sarà la possibilità che possa finire, un giorno, la tragedia dell’immigrazione nel Mediterraneo, lo si dovrà a Matteo Salvini – non certo ai finti progressisti che oggi lo contestano in modo violento e squadristico, pretendendo che ad accogliere i migranti sia la sola Italia, cioè il paese che il sedicente centrosinistra ha ridotto in bolletta, piegandosi ai signori europei del rigore e dello spread. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e battistrada del cantiere politico per il “partito che serve all’Italia” (tavola rotonda a Roma il 14 luglio), difende a spada tratta il neo-ministro dell’interno. Tutte le polemiche pretestuose contro Salvini, premette Magaldi a “Colors Radio”, finiscono per portare acqua al suo mulino. «Se si è intellettualmente onesti, non si possono attribuire a Salvini aggettivi come xenofobo, razzista o fascistoide. Cos’ha fatto, Salvini? Quale sarebbe la sua grave colpa? Ha semplicemente costretto l’Europa a farsi carico, finalmente, di un problema che è europeo, prima che italiano». Tra parentesi: cos’hanno fatto, i governi precedenti, per il benessere dei derelitti, dei torturati e degli oppressi del continente africano? Assolutamente nulla: «Non c’è stata nessuna preoccupazione per la condizione di vita di queste persone, nemmeno quando dimoravano nel loro paese prima di essere costrette a fuggire». Diritti umani, questi sconosciuti: i finti progressisti vorrebbero che se ne facesse carico il solo Salvini, dopo che loro hanno ignorato per decenni il dramma dell’Africa?
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Magaldi: guerra ai massoni che hanno ucciso la democrazia
«Oggi non è più possibile assassinare massoni progressisti di peso o loro “protetti” senza innescare una spirale micidiale di boomerang e contrappasso distruttivo e devastante per quei massoni controiniziati, reazionari e neoaristocratici che, un tempo, hanno utilizzato l’omicidio politico-massonico come chiave di volta della loro lotta per il potere». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel besteller “Massoni”, edito da Chiarelettere con prefazione di Laura Maragnani, ha puntato l’indice contro le oscure trame del massimo potere, il cui back-office è dominato da 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali in cui, negli ultimi decenni, hanno preso il sopravvento le correnti reazionarie che hanno forgiato la globalizzazione neoliberista basata sulla privatizzazione universale. Ma il vento è cambiato, avverte Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista: «Oggi, in molti casi, i massoni neoaristocratici controiniziati neanche riescono ad avvicinarsi alle loro potenziali “vittime” o a concepirne l’eliminazione, senza essere prima dissuasi dalla pericolosità estrema della faccenda e dal suo carattere “anti-economico” e controproducente». Aggiunge Magaldi: «Oggi, “angeli e demoni” formidabili vegliano sulla sicurezza e l’incolumità dei più ragguardevoli liberi muratori impegnati nella ricostruzione/rigenerazione delle reti sovranazionali progressiste».C’è stato un tempo, invece, in cui uomini decisivi come Mohandas Karamchand Gandhi, Enrico Mattei, John Fitzgerald e Robert Kennedy, Martin Luther King e Salvador Allende, insieme ad Aldo Moro, Olof Palme, Thomas Sankara, Yithzak Rabin ed altri «poterono essere assassinati senza ritegno, vergogna e giusta vendetta per i loro aguzzini», scrive Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt, mettendo in fila i maggiori omicidi politici del ‘900 (più quello di Rabin) per accusare la regia “controiniziatica” di quelle uccisioni, orchestrate da elementi della supermassoneria reazionaria ai vertici del potere. «Ora è giunto il tempo della memoria celebrativa per questi eroi della massoneria progressista brutalmente eliminati e sottratti all’affetto di chi li amava, ammirava e seguiva», scrive Magaldi, rivelando in tal modo la cifra massonica dei leader citati. «Ora – aggiunge – è arrivato il tempo di una condanna storica e morale severissima per quegli assassini controiniziati che violarono tanto i propri giuramenti massonici quanto ogni legge ed etica umana». A partire dalla lettura di “Massoni”, cui seguirà il secondo volume – in uscita nella primavera 2019 – l’autore ha fornito «nomi e cognomi di certi personaggi e spiegazioni esaurienti e circostanziate dei loro misfatti», portando il caso all’attenzione della pubblica opinione.Nel libro, Magaldi ha descritto chiaramente «le gesta eroiche di quelle avanguardie massoniche progressiste che hanno rivoluzionato il mondo sin dal XVIII secolo e dato vita a società libere, aperte, democratiche, laiche, tolleranti, ecumeniche, parlamentarizzate, costituzionali e fondate sullo Stato di diritto, sull’uguaglianza delle opportunità, sulla giustizia e mobilità sociale». Avverte Magaldi: «Adesso e in futuro, comunque, nessuno potrà più perpetrare crimini come quelli segnalati sopra, per miriadi di ragioni». E’ in corso, spiega, una «guerra globale (e anti-convenzionale) infra-massonica». Una lotta che si annuncia «dura e titanica», ma in cui «tutti saranno costretti a “giocare” in modo relativamente “pulito” e con il giusto fair-play». Soprattutto, conclude Magaldi, «questa guerra contro l’incubo neoaristocratico e neoliberista la vincerà l’alleanza tra massoni progressisti e popolo», ovvero «cittadini comuni consapevoli, oltre che fieri, del proprio diritto-dovere alla sovranità». In altre parole: il tempo del ritorno della democrazia sostanziale è giunto, assicura Magaldi, impegnato – a partire dall’Italia – a contrastare la “teologia” neoliberista che ha impoverito i popoli, svuotando gradualmente la democrazia.«Oggi non è più possibile assassinare massoni progressisti di peso o loro “protetti” senza innescare una spirale micidiale di boomerang e contrappasso distruttivo e devastante per quei massoni controiniziati, reazionari e neoaristocratici che, un tempo, hanno utilizzato l’omicidio politico-massonico come chiave di volta della loro lotta per il potere». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel besteller “Massoni”, edito da Chiarelettere con prefazione di Laura Maragnani, ha puntato l’indice contro le oscure trame del massimo potere, il cui back-office è dominato da 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali in cui, negli ultimi decenni, hanno preso il sopravvento le correnti reazionarie che hanno forgiato la globalizzazione neoliberista basata sulla privatizzazione universale. Ma il vento è cambiato, avverte Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista: «Oggi, in molti casi, i massoni neoaristocratici controiniziati neanche riescono ad avvicinarsi alle loro potenziali “vittime” o a concepirne l’eliminazione, senza essere prima dissuasi dalla pericolosità estrema della faccenda e dal suo carattere “anti-economico” e controproducente». Aggiunge Magaldi: «Oggi, “angeli e demoni” formidabili vegliano sulla sicurezza e l’incolumità dei più ragguardevoli liberi muratori impegnati nella ricostruzione/rigenerazione delle reti sovranazionali progressiste».
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Magaldi: l’ottimo Salvini e gli ipocriti che uccisero Sankara
Prima rapinano l’Africa, poi uccidono chi vuole salvarla. Quindi costringono gli africani a emigrare in massa, esponendo i lavoratori europei (già in crisi) a una concorrenza sleale, al ribasso. Ma naturalmente è tutta colpa di Salvini, il Signor No della nave Aquarius. Hanno avuto il coraggio di attaccarlo gli spagnoli, che hanno sparato sui migranti provenienti dal Marocco, e naturalmente i francesi, che hanno respinto in modo infame i profughi alla frontiera di Ventimiglia, senza alcuna pietà per donne e bambini. Quello che sta crollando – proprio grazie a Salvini – è un muro vergognoso di ipocrisia: per Gioele Magaldi, l’affare migranti non è che un capitolo della grande guerra in corso, a partire proprio dall’Italia, tra democrazia e oligarchia. Se l’Italia vincerà la sua battaglia contro i sepolcri imbiancati di Parigi, Berlino e Bruxelles, allora sarà un’ottima notizia per tutta l’Europa, dice il presidente del Movimento Roosevelt, che si prepara a celebrare – in autunno, a Milano – un convegno su Olof Palme, leader socialista svedese assassinato alla vigilia della svolta autoritaria da cui è nata l’attuale Unione Europea. Ma, accanto a Palme (e a Carlo Rosselli, martire antifascista e teorico del socialismo liberale) il convegno milanese accenderà i riflettori anche sull’ultimo grande eroe africano, Thomas Sankara, trucidato dal potere globalista per impedirgli di attuare la sua politica di riscatto per l’Africa, basata sulla sovranità economica del continente nero.Sembrano storie lontane, ma sono vicinissime: probabilmente non sarebbe mai neppure esistita, una nave Aquarius carica di profughi, se il leader rivoluzionario del Burkina Faso non fosse stato assassinato nel 1987, dopo aver chiesto ad alta voce la cancellazione del debito per l’Africa e, al tempo stesso, la fine degli “aiuti” della Banca Mondiale e del Fmi. «I vostri prestiti diventano la nostra schiavitù», ripeteva. «L’Africa ha tutto, per farcela benissimo da sola; basta che ci lasciate in pace, liberi di svilupparci senza più il peso del debito, e delle multinazionali che portano via le nostre risorse». Il prestigio di Sankara stava infiammando paesi decisivi come il Senegal e la Costa d’Avorio, il Kenya, il Camerun. Che Africa avremmo, oggi, se in quei paesi fosse cresciuta una generazione di politici come Sankara? Certo non se lo domandano i buonisti della domenica stile Roberto Saviano, prontissimi ad aprire il fuoco contro i partiti del governo gialloverde, a cui la ex sinistra italiana (insieme ai media mainstream) non perdona di aver vinto le elezioni, il 4 marzo. Ragione in più per smascherare l’impostura dei finti amici dei migranti, che utilizzano la disperazione dei profughi solo per gettare fango sul neonato esecutivo.Finalmente abbiamo un governo all’altezza della situazione, dichiara Magaldi a “Colors Radio”, «dopo tanti anni di premier imbelli e ministri imbelli, figure veramente mediocri che si sono succedute sulle poltrone ministeriali». Per il presidente del Movimento Roosevelt, «Salvini ha mostrato il minimo sindacale di carattere e di fermezza – e con lui Conte, che è un signore dai modi aristocratici ma che ha avuto posizioni ferme. E anche nel Movimento 5 Stelle c’è stata perfetta solidarietà rispetto alle posizioni di Salvini». Tra parentesi: gli italiani apprezzano. Sondaggi alla mano, in 7 su 10 approvano senza riserve l’operato del leader leghista. Certo, si registra anche l’inevitabile strascico polemico di apparati politici ormai alla deriva, completamente spiazzati dalla svolta italiana: «Rimangono ovviamente i latrati di alcune testate giornalistiche e di alcuni ambienti politici che giocano a mistificare la questione gridando al razzismo, al fascismo, alla xenofobia», dice Magaldi. «Peccato che poi scopriamo (con piacere) che anche in casa Pd e in alcuni ambienti della cosiddetta sinistra qualcuno ha detto: intanto Salvini ha fatto quello che Minniti avrebbe voluto fare e non ha potuto fare per via di quel baciapile un po’ ipocrita di Del Rio, che all’epoca – come ministro delle infrastrutture – impedì cose analoghe».Perfettamente allineato a Salvini, invece, il neo-ministro Danilo Toninelli, che ha competenza sui porti e sulla Guardia Costiera. In sintesi: «Il governo Conte e il ministro Salvini hanno agito benissimo», scandisce Magaldi. «Hanno messo un freno a quella che è una modalità inaccettabile di gestione del problema immigrazione nel Mediterraneo». Attenzione: è un problema italiano, ma anche europeo e globale: «Dovrebbe farsene carico la Nato e magari anche l’Onu, se esistesse ancora e avesse una capacità di intervento». Già, appunto: dove sono, le Nazioni Unite? Non fanno altro che «promuovere le proprie agenzie – accusa Magaldi – ingrassando funzionari che spesso di tutto si occupano, tranne che di diffondere i principi di quella dichiarazione universale dei diritti umani che proprio all’Onu era stata approvata settant’anni fa». Brutto spettacolo: «Una struttura super-burocratica, l’Onu, che al pari dell’Europa è molto al di sotto delle sue potenzialità e anche delle sue retoriche». L’Aquarius? Siamo seri: «Non era una zattera alla deriva, ma una nave perfettamente funzionante. Ed è stata accompagnata, scortata, assistita con opportuni soccorsi sanitari». Parliamoci chiaro: «Ci sono Ong che lucrano sulla tratta di migranti, spesso poi utilizzati anche da associazioni criminali».Molti, una volta sbarcati, vivono “fuorilegge”, non avendo titolo per essere accolti come rifiugiati. Beninteso: «Hanno titolo, giustamente, per sognare una vita migliore in un nuovo paese: ma allora dovrebbero essere inquadrati in un progetto», sostiene Magaldi, che si dichiara «a favore dell’accoglienza a prescindere, e anche della libertà di emigrare». Ma qui non si tratta di scelte libere: è un esodo di disperati in fuga, di fronte al quale trionfa l’ipocrisia. «Nessuno si fa carico di andare a risanare i paesi di provienienza dei migranti, in mano a dittature sanguinose, con popolazioni tenute in condizioni di vita non dignitose. Si preferisce invece farsi carico di trasportare questi poveretti nelle nostre società, dove già sono compressi i diritti, non c’è un clima di socio-economico espansione. E così si fomenta una guerra al ribasso: perché i poveri migranti lavorano spesso in nero, peggiorando ulteriormente le condizioni dei lavoratori italiani: diventano una concorrenza semi-schiavile al ribasso rispetto ai ceti meno abbienti occidentali». E poi, sinceramente: «Quanti di loro sono utilizzati dalla criminalità organizzata?». E ancora: «Che senso ha che vi siano addirittura navi che, per mestiere e per lucro, vanno a prendere i migranti e li scaricano in Italia, anziché in Spagna o in Francia?».Quindi, ribadisce Magaldi, quella di Salvini è stata «un’ottima mossa», che infatti «ha indotto subito a più miti consigli quelli che in Europa avevano sempre ignorato le nostre richieste, reiterate ma velleitarie, da parte di altri governi, di guardare in modo collegiale al problema migrazioni». Nessuno – a Parigi o Madrid – può dare lezioni all’Italia. Al contrario, è ora che Bruxelles prenda nota: la pacchia è finita, per gli eurocrati che giocano allo scaricabarile, travestiti da crocerossine. E anche qui, buone notizie: «In molti hanno riveduto e corretto il giudizio sull’azione di Salvini, dopo aver visto le reazioni scomposte, ipocrite e pretestuose di alcuni governi europei, decisi a non accogliere i migranti a casa loro ma desiderosi di vedere l’Italia nel caos, lasciata sola di fronte a questo problema». La storia è feroce, quando diventa farsa: gli sponsor delle Ong sono gli stessi oligarchi che hanno distrutto il lavoro in Europa e fatto esplodere la fame in Africa. Ecco perché diventa emblematico, oggi, il nome del compianto presidente del Burkina Faso, marxista e massone, protagonista di una rivoluzione esemplare e nonviolenta in nome del popolo sovrano: l’ex Alto Volta come modello per un’Africa dignitosa e prospera, libera e decolonizzata. L’Africa per la quale Thomas Sankara perse la vita: un’Africa che, se oggi esistesse, di certo non esporterebbe disperazione.Oggi, sottolinea Malaldi, proprio Sankara «potrebbe diventare il vessillo di un ripensamento delle politiche sull’Africa», aprendo la strada all’idea – formulata da Craxi nel 1990 – di andare finalmente ad “aiutare a casa loro” quei poveretti derubati dall’Occidente, in fuga da un continente abbandonato alla dittatura delle multinazionali e privo di investimenti in strutture politiche, economiche e sociali. «Proprio l’aver ucciso personaggi come Sankara – insiste Magaldi – è stato un modo, da parte di coloro che negli anni ‘80 stavano costruendo questa cattiva globalizzazione, per arrestare uno sviluppo autonomo e dignitoso dell’Africa. Un modo per continuare a depredarla, per poi determinare questi esodi biblici di disperati». Mano tesa all’Africa dei Sankara di domani? Se l’Italia è il primo paese europeo a fermare la tratta degli schiavi, potrebbe essere – nel prossimo futuro – anche il primo a rilanciare una nuova politica euro-mediterranea, come quella già perseguita dai vari Mattei e Moro? «Come annunciato, oggi l’Italia è finalmente al centro di una guerra tra democrazia e oligarchia: e se si vince la battaglia in Italia – dice Magaldi – forse si può cambiare molto, a livello globale».Prima rapinano l’Africa, poi uccidono chi vuole salvarla. Quindi costringono gli africani a emigrare in massa, esponendo i lavoratori europei (già in crisi) a una concorrenza sleale, al ribasso. Ma naturalmente è tutta colpa di Salvini, il Signor No della nave Aquarius. Hanno avuto il coraggio di attaccarlo gli spagnoli, che hanno sparato sui migranti provenienti dal Marocco, e naturalmente i francesi, che hanno respinto in modo infame i profughi alla frontiera di Ventimiglia, senza alcuna pietà per donne e bambini. Quello che sta crollando – proprio grazie a Salvini – è un muro vergognoso di ipocrisia: per Gioele Magaldi, l’affare migranti non è che un capitolo della grande guerra in corso, a partire proprio dall’Italia, tra democrazia e oligarchia. Se l’Italia vincerà la sua battaglia contro i sepolcri imbiancati di Parigi, Berlino e Bruxelles, allora sarà un’ottima notizia per tutta l’Europa, dice il presidente del Movimento Roosevelt, che si prepara a celebrare – in autunno, a Milano – un convegno su Olof Palme, leader socialista svedese assassinato alla vigilia della svolta autoritaria da cui è nata l’attuale Unione Europea. Ma, accanto a Palme (e a Carlo Rosselli, martire antifascista e teorico del socialismo liberale) il convegno milanese accenderà i riflettori anche sull’ultimo grande eroe africano, Thomas Sankara, trucidato dal potere globalista per impedirgli di attuare la sua politica di riscatto per l’Africa, basata sulla sovranità economica del continente nero.
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Carpeoro: ma il “no” agli sbarchi è come gli 80 euro di Renzi
Portare a casa un risultato subito, quale che sia: che differenza c’è tra il blocco delle navi delle Ong imposto da Salvini e la mancia degli 80 euro concessi da Renzi? Se lo domanda Gianfranco Carpeoro, convinto che alla fermezza di Salvini – pur legittima, e contestata in modo strumentale dal mainstream – non corrisponda una visione strategica, un impegno almeno decennale: «Succede sempre, quando sparisce l’ideologia: se togli la parte progettuale, la politica si riduce a pura gestione elettoralistica, preoccupata solo dell’oggi». E’ una conseguenza sistemica, dice Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: da mezzo utile e neutro, il denaro è diventato un fine. «Dal liberalismo (massonico e anche progressista) siamo passati al neoliberismo più reazionario, e i risultati sono questi»: la gente si aspetta “tutto e subito”, e la politica la accontenta con misure-spot destinate a non cambiare niente, dagli 80 euro al divieto per gli sbarchi. «So benissimo che l’immigrazione mediterranea è pilotata, ma so anche che il blocco delle navi non risolve il problema, che va affrontato alla partenza», sostiene Carpeoro, che – insieme a Paolo Mosca, altro esponente del Movimento Roosevelt – propone la creazione di un’agenzia europea per filtrare i migranti in modo intelligente sulla sponda sud del Mediterraneo.Carpeoro ricorda che fu Bettino Craxi, nel lontano 1990, a fotografare col necessario tempismo un problema che, nei decenni seguenti, sarebbe diventato assillante. In sede Onu, il leader del Psi fece una proposta forte e chiara: cancellare il debito dei paesi poveri e promuovere ingenti investimenti europei per creare lavoro direttamente nel Terzo Mondo, attraverso una cooperazione progettata per produrre sviluppo e benessere diffuso. Un discorso che oggi apparirebbe lunare: Craxi propose all’Occidente di investire qualcosa come il 10% del suo Pil, con l’obiettivo strategico di annullare l’abnorme diseguaglianza tra nord e sud del mondo entro il 2020. Oggi in Europa ci si azzanna per decimali di Pil, e un paese come la Francia – che più di altri ha “rapinato” l’Africa, scatenando il grande esodo cui stiamo assistendo – prova a contrastare l’Italia fingendo di apprezzare la moderazione del premier Giuseppe Conte solo per tentare di dividere il governo gialloverde, allontanando il 5 Stelle dalla Lega di Salvini, vero protagonista dell’esordio del nuovo esecutivo “populista”. Facile profeta, Carpeoro? Con largo anticipo, ha formulato un doppio pronostico preoccupante: il rischio che il governo cada, e il pericolo di attentati terroristici in Italia, paese finora risparmiato dalla “sovragestione” e protetto da servizi segreti particolarmente efficienti.Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione, 2016), Carpeoro svela l’identità atlantica del terrorismo in apparenza islamico, targato Isis, che ha martoriato l’Europa. Già a capo della più antica comunione massonica italiana di rito scozzese – da lui stesso poi disciolta, in polemica con il degrado della massoneria italiana – Carpeoro punta il dito contro una sorta di strategia della tensione a livello internazionale, orchestrata da un’élite supermassonica neo-conservatrice, in grado di pilotare (in modo criminale) interi settori dell’intelligence, fino a rendere sistematico lo stragismo. Allarme rosso in Italia, se il nuovo governo vorrà “smontare” gli attuali vertici della struttura deputata alla sicurezza, a maggior ragione dopo l’inquietante insulto (“vomitevole”) riservato alla politica italiana dal partito di Macron, uomo Rothschild, vicinissimo alla pericolosa oligarchia “nera” che, per imporre il rigore finanziario contestato dal “populismo”, non ha esistato a imboccare la strada dell’auto-terrorismo, che in Francia ha portato a leggi speciali, dopo l’insabbiamento dell’inchiesta sulla mattanza di Chalie Hebdo, “seppellita” dal segreto di Stato per oscurare imbarazzanti collegamenti tra i servizi segreti e il commando terrorista.L’Italia è in pericolo perché è politicamente fragile, insiste Carpeoro: è vero, Salvini ha costretto l’Ue ad ammettere che il nostro paese è solo, di fronte alla marea africana. Ma il “nemico” è potente, e la politica di Salvini non basta: le navi delle Ong continueranno a imbarcare profughi smistati dalla mafia dei negrieri, se un’altra Europa – certo non questa – non comincerà a investire, davvero, sul futuro di masse a cui l’élite industriale e finanziaria ha portato via tutto, in nome del neoliberismo più cieco che oggi ci condanna all’inferno alla crisi. E’ l’autolesionismo del gangster: anziché creare condizioni accettabili per tutti, le aziende hanno rincorso il lavoro schiavistico a costo zero, da noi tagliando i salari e nel Terzo Mondo provocando un esodo che non ha eguali nella storia. Non se ne esce bloccando qualche nave, finanziata da Soros e protetta dall’ipocrisia assistenziale di un sistema marcio, che si rifiuta di denunciare le cause del dramma e impone alla sola Italia di sostenere i costi dell’accoglienza marittima, negando al nostro paese la necessaria flessibilità nei conti pubblici. E’ l’ennesimo capolavoro di quest’Europa-fantasma, dominata dalle stesse élite neo-feudali che hanno esiliato un politico come Craxi, dopo aver assassinato in Svezia il leader socialista Olof Palme e in Burkina Faso il presidente Thomas Sankara, leader del riscatto sovranista dell’Africa. Nomi che a pochissimi, oggi, dicono qualcosa.Portare a casa un risultato subito, quale che sia: che differenza c’è tra il blocco delle navi delle Ong imposto da Salvini e la mancia degli 80 euro concessi da Renzi? Se lo domanda Gianfranco Carpeoro, convinto che alla fermezza di Salvini – pur legittima, e contestata in modo strumentale dal mainstream – non corrisponda una visione strategica, un impegno almeno decennale: «Succede sempre, quando sparisce l’ideologia: se togli la parte progettuale, la politica si riduce a pura gestione elettoralistica, preoccupata solo dell’oggi». E’ una conseguenza sistemica, dice Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: da mezzo utile e neutro, il denaro è diventato un fine. «Dal liberalismo (massonico e anche progressista) siamo passati al neoliberismo più reazionario, e i risultati sono questi»: la gente si aspetta “tutto e subito”, e la politica la accontenta con misure-spot destinate a non cambiare niente, dagli 80 euro al divieto per gli sbarchi. «So benissimo che l’immigrazione mediterranea è pilotata, ma so anche che il blocco delle navi non risolve il problema, che va affrontato alla partenza», sostiene Carpeoro, che – insieme a Paolo Mosca, altro esponente del Movimento Roosevelt – propone la creazione di un’agenzia europea per filtrare i migranti in modo intelligente sulla sponda sud del Mediterraneo.