Archivio del Tag ‘toghe rosse’
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Condannato Silvio, ma l’Italia resta schiava di Bruxelles
Chi ha tempo da perdere si balocchi pure con le discussioni di giornata: la politicizzazione o meno della magistratura, e in particolare di quella milanese, la rilevanza giudiziaria delle “festicciole” di Arcore costellate di ragazze a dir poco disinvolte, l’indignazione dei berluscones, tra un Giuliano Ferrara che chiama alla protesta in piazza (piazza Farnese… un salottino nel pieno centro di Roma) e intanto pubblica sul “Foglio” un titolone (provocatorio, ça va sans dire) che suona “Siamo tutti puttane”, un Maurizio Gasparri che ribadisce la sua fedeltà assoluta al boss con un incondizionato «al nostro leader confermiamo il nostro sostegno, in ogni momento e per ogni decisione», e un mucchio di altri che si precipitano a indignarsi-costernarsi-prostrarsi nell’ora (forse) fatale del Silvicidio. Eccetera eccetera eccetera, visto che la diatriba è in piedi da quasi vent’anni e di argomenti sui quali intrattenersi ce ne sono a iosa.
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La Bonino che non t’aspetti e la carica degli impresentabili
Salvare Berlusconi dai processi e garantire a Bersani un vero incarico per un governicchio: è questa la missione delle trattative per il Quirinale? Peccato che i candidati dei partiti «sono da fare accapponare la pelle», protesta Marco Travaglio, che passa in rassegna la nomenklatura quirinalizia come una galleria degli orrori. A cominciare dall’ex “dottor sottile” di Craxi, Giuliano Amato, il premier che fece pestare a sangue i disoccupati a Napoli un anno prima del G8 di Genova, dopo essersi fatto detestare nel fatidico ’92 con il prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti degli italiani, un bottino da 93.000 miliardi di lire. Un uomo d’oro, da 31.000 euro al mese, presidente dell’Antitrust ignaro del super-trust Mediaset, consulente della Deutsche Bank, membro della Treccani e della scuola San’Anna di Pisa, nonché consigliere di Monti per i tagli ai costi della politica (mai tagliati). Berlusconi lo candidò al Quirinale, il centrosinistra l’ha riempito di cariche: «Nella speciale classifica degli impresentabili è uno dei vincitori di diritto».
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Foa: bruciare Bersani e poi Grillo, è il piano del Quirinale
Andate a riascoltarvi il discorso con cui Napolitano affidò l’incarico a Bersani, c’era scritto tutto: il presidente voleva continuità rispetto al governo Monti ovvero voleva un governo di intesa tra destra e sinistra con un premier accettabile da tutti, dunque sopra le parti. Bersani era morto in partenza come avevano capito tutti tranne lui, che ha commesso lo stesso errore di Monti: per vanagloria personale ha perso due volte. Non ha ottenuto l’incarico e ora, come Monti, non conta più niente. Il suo flop, infatti, è funzionale al disegno di Napolitano: essendo un leader bruciato – e non avendo nulla da recriminare – può accettare gli appelli al senso di responsabilità del Quirinale. Il Pd può accettare, sapendo che comunque alle prossime elezioni Bersani non sarà leader e dunque il nuovo capo (Renzi?) potrà presentarsi agli elettori “pulito”, lui che non è nemmno in Parlamento.
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Vergogna Ustica: uccisi dalla Nato e poi traditi dallo Stato
Parliamo ancora di Ustica, e credo che non sarà l’ultima volta. La Cassazione civile ha contraddetto la Cassazione penale: il Dc-9 dell’Itavia fu abbattuto da un missile della Nato. Quindi vuol dire che lo Stato italiano viene riconosciuto da un suo supremo tribunale come doppiamente colpevole. Prima, per non aver difeso e protetto la vita di cittadini innocenti e inermi. E, dopo, per aver protetto i colpevoli nel corso di 33 anni di storia del nostro paese. Lo si sapeva; l’aveva già detto il giudice Rosario Priore nel 1999 guardando quelle palline verdi che si muovevano sui radar (le registrazioni) e rendendosi conto che, attorno a quell’aereo, in quel momento c’erano almeno 6 aerei militari della Nato: francesi, americani, italiani. Là attorno era in corso un’operazione di guerra: forse si stava inseguendo un Mig libico, forse si stava inseguendo un altro aereo che aveva a bordo Muhammar Gheddafi. Sbagliarono la mira. E lo rivelò nel 2007 un’altra persona che ha sempre saputo moltissime cose: Francesco Cossiga.
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Travaglio: l’antipolitica italiana sono loro, destra e sinistra
Oggi, la vera antipolitica è quello che noi chiamiamo politica. E’ scendere in campo salire, è fondare un partito per non andare in galera e non fallire per debiti, è far eleggere gli avvocati e i coimputati sennò poi parlano. E’ possedere aziende o dire “abbiamo una banca” o “ci facciamo un bel Tav”. E’ fare il sindaco di Torino due volte e poi diventare il capo di una fondazione bancaria. E’ stare in Parlamento trenta o quarant’anni pensando che il rinnovamento sia cambiare continuamente il nome al partito. E’ usare le Camere come alternativa al carcere, o alla latitanza, o alla comunità di recupero. E’ usare come ufficio di collocamento per amici, parenti e amanti il Parlamento, la Rai, i giornali, le autorità indipendenti, le Asl, gli ospedali, le aziende pubbliche, le banche, gli istituti culturali, il cinema, la fiction.
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Imboscata a Obama, ridotto a comparsa del Silvio-spot
Attenti, ne vedremo delle belle: l’avvertimento di chi temeva colpi di scena berlusconiani dopo il ko del primo turno a Milano è stato confermato dal festival di slogan creativi come la “zingaropoli islamica” di Pisapia e la sparata leghista – finita subito in ridicolo – del trasloco dei ministeri al nord. Ma il 26 maggio al G8 di Deauville la realtà ha superato la fantasia: a scoprirsi semplice comparsa nell’ultimo spot elettorale del Cavaliere, in mondovisione, è nientemeno che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Berlusconi fiuta la preda, la abborda, le parla: le rivela che è vittima della quasi-dittatura delle “toghe rosse”. E Obama? Il malcapitato ascolta esterrefatto, senza fiatare: nemmeno la Cia avrebbe potuto architettare una trappola così perfetta. Per di più, ai danni del capo della Casa Bianca, costretto ad ascoltare l’omino di Arcore tra gli sbuffi spazientiti di Sarkozy, Merkel e soci.
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Stefania Craxi: Berlusconi si ritiri, ora rischia il ridicolo
«Silvio ha segnato la storia del Paese, ma ora deve uscire di scena». Mentre anche Napolitano tuona contro i manifesti apparsi a Milano che associano Br e Toghe Rosse, sotto il fuoco ad alzo zero di Berlusconi contro i suoi giudici, Stefania Craxi scarica il premier: si ritiri, o sarà ridotto a una misera caricatura, tra festini, gossip e barzellette imbarazzanti. Berlusconi addio: la figlia dello storico leader del Psi, a lungo vicina al Cavaliere e tuttora esponente del governo in qualità di sottosegretario agli Esteri, si è sfogata in un’intervista esclusiva alla rivista “A”: «Lui mi vuole bene e io ne voglio a lui, solo per questo mi permetto di essere dura: ma non può essere travolto dal ridicolo».
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Il rogo finale del Caimano, in un deserto di macerie morali
Quando uscì cinque anni fa “Il Caimano” di Nanni Moretti, a destra fu tutto un “dagli all’untore”, per quel finale in cui il presidente eversore faceva esplodere di fuochi il palazzo di giustizia. Eversivo era solo immaginare che eversore potesse essere Berlusconi, questo il refrain di pasdaran e cheerleader mediatiche del corruttore di Arcore. E anche a sinistra, non nascondiamocelo, molti pensarono che Nanni esagerasse, o andasse metabolizzato come “licenza poetica”: Berlusconi andava contrastato politicamente, programma contro programma, senza scomposte accuse di “regime” o – Dio ne scampi – appelli a scendere in piazza per difendere la democrazia in pericolo.
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Dario Fo: gli italiani temono la crisi, il premier i processi
Se c’è qualcuno che compromette l’immagine dell’Italia all’estero, quello è il premier Silvio Berlusconi: «Appena lo si nomina, si sentono sghignazzi terribili. Si è creata un’idea dell’Italia davvero orrenda». Parola di Dario Fo, che il 5 dicembre a Roma sarà uno dei testimonial del No-B Day, manifestazione che gli organizzatori immaginano oceanica, tanto da pensare all’arena di piazza San Giovanni. Berlusconi si sente vittima della magistratura? «Uno che vive con una trentina di avvocati, molti dei quali parlamentari, non è un collezionista: prevede quello che gli capiterà».
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Lodo Alfano, Berlusconi attacca la Consulta e Napolitano
Vado avanti, i giudici sono di sinistra. E anche Napolitano «sapete tutti da che parte sta». E’ uno sfogo durissimo quello di Silvio Berlusconi dopo la sentenza sul Lodo Alfano, bocciato il 7 ottobre dalla Consulta perché ritenuto incostituzionale: senza “scudo”, il premier dovrà quindi affrontare i processi che lo attendono. Nella sua reazione, a caldo, Berlusconi ha tirato in ballo la Corte Costituzionale ma anche il capo dello Stato. «Meno male che Silvio c’è», commenta, autocitandosi: «Se non ci fosse Silvio con tutto il suo governo, con un supporto del 70 per cento degli italiani, saremmo in mano a una sinistra che farebbe del nostro paese quello che tutti sapete».
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Travaglio: Francia-Italia, De Villepin e De Minzolin
Quando avranno liquidato anche gli ultimi farabutti dalla stampa e dalla Rai, Silvio Berlusconi e la fairy band scopriranno la portata eversiva delle cronache dall’estero. E aboliranno anche quelle. L’altro giorno, per esempio, Massimo Nava raccontava a pagina 18 del “Corriere della Sera”, cioè a debita distanza dalle cronache italiane, il processo che si è aperto a Parigi contro l’ex premier Dominique de Villepin e uno stuolo di personaggi eccellenti che rischiano il carcere per falso, calunnia e abuso d’ufficio. Questa specie di Watergate alla francese riguarda un presunto complotto ordito da Villepin, forse d’intesa con l’allora presidente Jacques Chirac