Archivio del Tag ‘transumanza’
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Le frontiere salvano popoli e libertà: ditelo, a John Lennon
“Le frontiere uccidono”, titolava una copertina recente de “L’Espresso”. È vero se pensiamo ai Vopos che uccidevano i loro connazionali, i tedeschi dell’Est che tentavano di varcare la frontiera per fuggire dal regime comunista. Se non sbaglio è stato l’ultimo capitolo in Europa di persone uccise perché volevano saltare il muro o il filo spinato. Ed era la frontiera di casa loro. A ben vedere, le frontiere che impediscono di entrare clandestinamente non sono malefiche perché salvaguardano popoli e territori, leggi, regole e cittadinanza, diritti e doveri; invece sono malefiche le frontiere che impediscono di uscire, come le cortine di ferro di tutti i regimi comunisti. Quelle si, furono frontiere criminogene che trasformavano le nazioni in prigioni e gli Stati in carcerieri. Ma dietro quel titolo e quella campagna contro le frontiere c’è un’ideologia, anzi c’è L’Ideologia del nostro Sconfinato Presente Globale. La riassume l’antropologo Michel Agier nella stessa rivista: «L’unica speranza è liberare il mondo dai confini», in modo da consentire «la libera circolazione delle persone». Senza limiti. Ma questo è il sunto della predica che ci propina ogni giorno la Fabbrica Mondiale dell’Opinione Corretta e che ha trovato in Carola Rackete la sua ultima testimonial, con tutto lo strascico di protettori e tifosi.È l’ideologia “no border”, morte ai confini, abbattiamo i muri e le frontiere di ogni tipo – tra popoli, tra territori, tra Stati, tra sessi, tra culture. È il Racconto Unico e Globale recitato ogni giorno come un rosario dell’uniformità, da stampa e propaganda, declamato dal Papa e da cantanti, artisti, intellettuali, opinionisti e bella gente. Nell’ideologia “no border” confluiscono più eredità: l’Internazionale socialista e comunista, il cosmopolitismo di matrice illuminista e massonica, il filone catto-umanitario, la filantropia e il capital-liberismo del Mercato Globale. Ma di mezzo c’è un passaggio. È l’utopia eco-pacifista e anarco-permissiva fiorita tra il ’68, l’Isola di Whight e Woodstock nell’estate del ’69, che fu l’apoteosi del mondo hippie. Libero amore, libera droga, niente limiti e confini. Quel clima trovò il suo manifesto ideologico in una celebre canzone del ’71, “Imagine” di John Lennon. Fu la bibbia di quei mondi. Non è un caso che la sigla di chiusura del comunismo in Italia sia stata proprio la canzone di Lennon, suonata a un congresso di Rifondazione Comunista al posto dell’Internazionale. Lenin lasciò il posto a Lennon.È una gran bella canzone, “Imagine”, ma le sue parole sono il manifesto del nichilismo presente e dell’ideologia “no border” in purezza, come la miglior cocaina. Leggiamo le sue parole: “Immagina che non ci sia il paradiso… e nessun inferno… Immagina la gente vivere per l’oggi… Immagina che non ci siano più patrie… Nessun motivo per cui morire e uccidere, nessuna religione, niente proprietà… E il mondo sarà una cosa sola”. È condensata in pochi versi l’Ideologia “no border” d’oggi: la negazione del senso religioso, dell’amor patrio e dei legami famigliari; il dominio assoluto del presente sul passato, sul futuro e sull’eterno, il pacifismo come fine della storia e risoluzione della politica, lo sradicamento globale e l’unificazione del pianeta, senza più frontiere. Ma se si vive solo per l’oggi, senza più motivi degni per vivere e per morire, se non ci aspettano cieli e inferni, se non c’è più Dio né patria né radice, perché poi lamentarsi se il mondo si riduce a un immenso spurgatorio e noi siamo i relativi materiali in transito, frutto di una liberazione che somiglia a un’evacuazione? È questo il senso ultimo della società liquida?Quell’utopia è piuttosto l’estinzione dell’umanità nel fumo e nella polvere dei desideri; al suo posto c’è un gregge vagante e belante in perpetua transumanza, che si vive addosso, senza storia e senza avvenire, senza confini e senza civiltà, guidato solo dall’io voglio. Ma se al mondo togli le frontiere, togli le norme che regolano i popoli, abolisci gli Stati e gli ordinamenti giuridici ad essi connessi, le tasse e i servizi, togli le garanzie di libertà e di sicurezza per i suoi cittadini, salta tutto. Salta la civiltà, che è fondata proprio sulla linea di frontiera tra il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, il mio e il tuo, il naturale e il culturale. La libertà smisurata si rovescia nel suo contrario, e tramite l’anarchia conduce inevitabilmente al dispotismo, come insegnò Platone già 24 secoli fa. La libertà ha bisogno di confini, necessita di limiti, altrimenti sconfina, prima a danno della libertà altrui e poi annega nel caos universale. La libertà, come la dignità e la civiltà, si fonda sulle differenze. E ogni differenza delimita un’identità.La frontiera è il presupposto inevitabile per riconoscere l’altro, per confrontarsi e per dialogare. Il confine è il riconoscimento reciproco dei limiti. Del resto, il male peggiore per i greci era l’hybris, la tracotanza, il delirio di chi viola la misura e i confini. Per disintossicarsi da questa devastante utopia “no-border” consiglio di leggere almeno due libri, “Elogio delle frontiere” di Régis Debray (ed. Add) e “Dismisura” di Olivier Rey (ed. Controcorrente). Perduti Marx e Rousseau, che sopravvive come piattaforma nella caricatura grillina, perduto il socialismo di Lenin e di Gramsci, resta Lennon e l’Ideologia No Border ridotta a “Imagine”, anzi a imaginetta e spacciata come il toccasana per l’umanità. Resta immutata l’indole utopista, ma scende enormemente di livello. Immagina che bello, un mondo di replicanti a ruota libera…(Marcello Veneziani, “Le frontiere salvano i popoli e le civiltà”, dal numero 31 di “Panorama”, luglio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).“Le frontiere uccidono”, titolava una copertina recente de “L’Espresso”. È vero se pensiamo ai Vopos che uccidevano i loro connazionali, i tedeschi dell’Est che tentavano di varcare la frontiera per fuggire dal regime comunista. Se non sbaglio è stato l’ultimo capitolo in Europa di persone uccise perché volevano saltare il muro o il filo spinato. Ed era la frontiera di casa loro. A ben vedere, le frontiere che impediscono di entrare clandestinamente non sono malefiche perché salvaguardano popoli e territori, leggi, regole e cittadinanza, diritti e doveri; invece sono malefiche le frontiere che impediscono di uscire, come le cortine di ferro di tutti i regimi comunisti. Quelle si, furono frontiere criminogene che trasformavano le nazioni in prigioni e gli Stati in carcerieri. Ma dietro quel titolo e quella campagna contro le frontiere c’è un’ideologia, anzi c’è L’Ideologia del nostro Sconfinato Presente Globale. La riassume l’antropologo Michel Agier nella stessa rivista: «L’unica speranza è liberare il mondo dai confini», in modo da consentire «la libera circolazione delle persone». Senza limiti. Ma questo è il sunto della predica che ci propina ogni giorno la Fabbrica Mondiale dell’Opinione Corretta e che ha trovato in Carola Rackete la sua ultima testimonial, con tutto lo strascico di protettori e tifosi.
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Partiti morti, 500 parlamentari (1 su 3) han cambiato casa
Oramai i “nostri” sono diventati specialisti inimitabili. Unici al mondo. Già da qualche anno i parlamentari italiani stavano scalando le classifiche internazionali del trasformismo, ma l’ultimo dato – reso noto da “Openpolis” – fissa un dato strabiliante. Inarrivabile. Dall’inizio della legislatura – era la primavera del 2013 – sino ad oggi i cambi di gruppo sono stati 502, circa 10 al mese: un valzer che ha coinvolto sino ad oggi 324 parlamentari, il 34% del totale. Un “turismo parlamentare” senza eguali nel mondo occidentale e che non trova riscontri nella storia italiana, sia nella stagione che diede il via al trasformismo nell’Ottocento, ma neppure durante la vituperata Prima Repubblica: in quell’epoca la transumanza da un gruppo parlamentare all’altro era un fenomeno pressoché sconosciuto. Fino a quando, nel 1994, curiosamente col sistema maggioritario, i numeri via via si sono ingrossati e nel corso di questa legislatura il “turismo parlamentare” è diventato fenomeno di massa: a memoria d’uomo mai era capitato in una democrazia matura che un parlamentare su tre cambiasse casacca.Un fenomeno che sembra fatto apposta per essere oggetto di una generica indignazione contro i parlamentari “sporchi e cattivi” di questa ultima generazione. Ma il boom della transumanza parlamentare ha molte cause. Tanto per cominciare i partiti non sono più quelli di una volta. Oramai ci mettono poco a sfarinarsi. Le forze politiche entrate in Parlamento ad inizio legislatura hanno subito diverse scomposizioni nell’arco di 4 anni. Il Pdl si è diviso tra la berlusconiana Forza Italia e l’alfaniana Alternativa Popolare, i parlamentari di Scelta Civica di Monti si sono sparpagliati, dando vita ad una frammentata diaspora e un processo simile ha coinvolto Sel di Vendola, Sinistra Italiana, “Possibile” di Pippo Civati. Continue secessioni hanno investito anche il Pd (con la nascita di Mdp) e Cinque Stelle, e soltanto Lega Nord e Fratelli d’Italia hanno mantenuto la loro conformazione originale. Come documenta “Openpolis”, escludendo il gruppo misto, alla Camera solamente 4 gruppi su 11 sono diretta emanazione di quanto uscito dalle elezioni politiche del 2013: Pd, M5s, Lega e Fratelli d’ Italia. Risultato finale: nella legislatura dei governi Letta, Renzi e Gentiloni, i “trasmigranti” sono quasi raddoppiati rispetto alla precedente.Ma l’autentico moltiplicatore del “turismo parlamentare” è un altro. Spiega il professor Gianfranco Pasquino, uno dei maestri della scienza politica italiana: «Per effetto di una legge elettorale che ha portato in Parlamento i “nominati”, i parlamentari non rappresentano più nessuno. Né gli elettori del collegio, né quelli che li sceglievano con le preferenze. Nessuno sa chi siano, ma non sappiamo neppure chi siano i loro elettori. Parlamentari svincolati da qualsiasi mandato, e dunque il loro movimento è in gran parte determinato dal calcolo: chi mi rinominerà? Un “movimento” che incide anche sul processo legislativo: quando i parlamentari si spostano, votano come vuole il loro nuovo “padrone” e anche per questo preferiscono il voto palese. In questo trasformismo non c’ è nulla di folcloristico. Solo calcoli, previsioni, aspettative. Per i “nominati” la parola giusta, ahimé, è schiavi».Un’altra ragione del boom del trasformismo parlamentare la spiega un osservatore privilegiato come Pino Pisicchio, presidente del gruppo misto della Camera, eletto deputato per la prima volta nel 1987: «Il fenomeno è scoppiato con i partiti personali e con l’annullamento totale delle garanzie della democrazia interna: se il leader, che ha in mano la selezione delle nomine parlamentari, fa strame delle regole democratiche, che strumenti ha l’opposizione interna per contrastarlo e far valere le sue ragioni? Nessuno. E infatti l’unica via resta quella della scissione, della secessione, dell’uscita laterale». Il boom delle trasmigrazioni ha determinato fenomeni originalissimi. Come il continuo cambio dei nomi dei gruppi parlamentari. Gli “alfaniani” sono usciti dal Popolo delle Libertà il 18 novembre 2013 e decisero di chiamarsi “Nuovo Centrodestra”. Una definizione presto invecchiata per un partito che ha continuato a far parte di governi a guida Pd, e infatti nel dicembre del 2014 l’Ncd è diventato “Area Popolare” (Ncd-Udc).Ma a dicembre del 2016 si slitta su “Area Popolare-Ncd-Centristi per l’Italia”, mentre a febbraio del 2017 si passa a “Area Popolare-Ncd-Centristi per l’Europa” e nel marzo dello stesso anno si approda ad “Alternativa Popolare-Centristi per l’Europa-Ncd”. Infinite scomposizioni hanno preso corpo al Senato. Esemplare il caso del gruppo “Grandi Autonomie e Libertà”, che per dare spazio alle sue tante componenti ha cambiato denominazione 14 volte. Ma una volta superato ogni record, fra qualche mese potrebbe maturare la novità: su iniziativa di Pisicchio, la presidente della Camera ha convocato la Giunta del Regolamento e in autunno potrebbe essere approvata una riforma dei regolamenti parlamentari, con tanto di disincentivi per le transumanze “facili”.(Fabio Martini, “Volete la dimostrazione che i partiti sono morti”, articolo pubblicato da “La Stampa” e ripreso da “Dagospia” il 3 luglio 2017).Oramai i “nostri” sono diventati specialisti inimitabili. Unici al mondo. Già da qualche anno i parlamentari italiani stavano scalando le classifiche internazionali del trasformismo, ma l’ultimo dato – reso noto da “Openpolis” – fissa un dato strabiliante. Inarrivabile. Dall’inizio della legislatura – era la primavera del 2013 – sino ad oggi i cambi di gruppo sono stati 502, circa 10 al mese: un valzer che ha coinvolto sino ad oggi 324 parlamentari, il 34% del totale. Un “turismo parlamentare” senza eguali nel mondo occidentale e che non trova riscontri nella storia italiana, sia nella stagione che diede il via al trasformismo nell’Ottocento, ma neppure durante la vituperata Prima Repubblica: in quell’epoca la transumanza da un gruppo parlamentare all’altro era un fenomeno pressoché sconosciuto. Fino a quando, nel 1994, curiosamente col sistema maggioritario, i numeri via via si sono ingrossati e nel corso di questa legislatura il “turismo parlamentare” è diventato fenomeno di massa: a memoria d’uomo mai era capitato in una democrazia matura che un parlamentare su tre cambiasse casacca.