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Scienziati Usa: la Terra ora rischia una nuova era glaciale?
Un aumento del ghiaccio in Antartide potrebbe innescare la prossima era glaciale. E’ l’avvertimento lanciato da un gruppo di scienziati dell’Università di Chicago, che ha condotto una serie di simulazioni al computer. «Le loro conclusioni – scrive l’Agi – suggeriscono che, qualora si accumulasse ghiaccio marino in Antartide, si formerebbe una sorta di coperchio sull’oceano che bloccherebbe lo scambio di anidride carbonica con l’atmosfera». Questo, aggiunge l’Agenzia Italia, provocherebbe una sorta di effetto serra “inverso”, che alla fine raffredderebbe la Terra e «farebbe entrare il nostro pianeta in una nuova era glaciale, dopo l’ultima che si è verificata oltre due milioni di anni fa, durante l’era pleistocenica». Sono anni che gli scienziati americani stanno studiando i processi che hanno portato alle ere glaciali in passato. E hanno scoperto che un ruolo importante lo giocherebbe lo scambio di gas tra l’oceano e l’atmosfera. Dalle simulazioni al computer, i ricercatori hanno scoperto che il ghiaccio marino, in Antartide, non solo cambia la circolazione oceanica, ma agisce come un “tappo”, bloccando il rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera e raffreddando così le temperature.«Quando la temperatura scende, viene rilasciata meno anidride carbonica nell’atmosfera, il che provoca un maggiore raffreddamento», conferma Alice Marzocchi, una delle ricercatrici del team americano. Queste conclusioni – aggiunge sempre l’agenzia di stampa – coincidono con le evidenze climatiche del passato, come sedimenti, barriere coralline e campioni di ghiaccio “antico”. Notizie come questa sembra vadano prese con le dovute cautele, così come quelle – di segno opposto – diffuse a gran voce dall’Ipcc, il comitato intergovernativo sul cambiamento climatico, che (attraverso testimonial come Greta Thunberg) sostengono che vi sia una correlazione diretta, e molto rilevante, tra le attività umane e le alterazioni climatiche. Sarebbe invece di origine addirittura cosmica il catastrofico sconvolgimento planetario determinato dal cosidetto “Dryas recente”, secondo cui una “pioggia cometaria” attorno al 10.900 avanti Cristo avrebbe causato una grande esplosione nell’atmosfera terrestre, in seguito all’impatto di giganteschi frammenti meteorici provenienti dallo spazio esterno.All’evento si attribuisce l’innesco di un periodo freddo, diffuso su tutto il pianeta. Lo sciame di comete avrebbe colpito vaste aree del continente nordamericano, producendo numerosissimi incendi diffusi su tutta l’America del Nord fino a causare, nel corso della Glaciazione Würm (ultimo periodo glaciale) l’estinzione degli animali più grandi. Molto più vicina a noi è invece la “piccola era glaciale”, che dalla metà del XIV alla metà del XIX secolo fece registrare un brusco abbassamento della temperatura media terrestre. Quella fase fredda fu preceduta da un lungo periodo di temperature relativamente elevate, chiamato “periodo caldo medievale”. Dal 1300, ricorda Wikipedia, si assistette a un graduale avanzamento dei ghiacciai che prima si erano ritirati molto o erano scomparsi, e si ebbe anche la formazione di nuovi depositi di ghiaccio sui monti. I ghiacciai arrivarono al culmine della loro estensione intorno al 1850. La “piccola era glaciale” causò inverni molto freddi in Europa e Nord America. Il Tamigi e molti canali in Olanda si congelarono spesso durante l’inverno. Nel 1780 si ghiacciò anche il porto di New York, consentendo di andare a piedi da Manhattan a Staten Island.Il mare ghiacciato circondante l’Islanda si estese per molti chilometri in tutte le direzioni, impedendo l’accesso navale ai porti dell’isola. Lo stesso avvenne anche in Groenlandia. In entrambe le isole le navi commerciali provenienti dalla Danimarca non riuscivano più a entrare nei porti. Questo fece sì che la Danimarca cominciò quasi a dimenticare l’esistenza delle due isole. Si hanno riferimenti del 1500 di una spedizione danese che trovò la Groenlandia completamente disabitata. In particolar modo, viene ricordato l’inverno 1709 che, secondo gli esperti, è considerato il più freddo degli ultimi 500 anni per il continente europeo. Gli inverni più rigidi ebbero effetti sulla vita umana: le carestie divennero più frequenti (quella del 1315 uccise 1,5 milioni di persone) e le morti per le malattie aumentarono. La piccola era glaciale (visibile anche nella pittura fiamminga di Pieter Bruegel il Vecchio, vissuto nel Cinquencento) si concluse intorno al 1850, quando il clima terrestre tornò gradualmente a riscaldarsi, facendo nuovamente arretrare i ghiacciai. Ora le ultime notizie dall’Antartide ci dicono che il freddo potrebbe tornare a sfrattare il caldo?Un aumento del ghiaccio in Antartide potrebbe innescare la prossima era glaciale. E’ l’avvertimento lanciato da un gruppo di scienziati dell’Università di Chicago, che ha condotto una serie di simulazioni al computer. «Le loro conclusioni – scrive l’Agi – suggeriscono che, qualora si accumulasse ghiaccio marino in Antartide, si formerebbe una sorta di coperchio sull’oceano che bloccherebbe lo scambio di anidride carbonica con l’atmosfera». Questo, aggiunge l’Agenzia Italia, provocherebbe una sorta di effetto serra “inverso”, che alla fine raffredderebbe la Terra e «farebbe entrare il nostro pianeta in una nuova era glaciale, dopo l’ultima che si è verificata oltre due milioni di anni fa, durante l’era pleistocenica». Sono anni che gli scienziati americani stanno studiando i processi che hanno portato alle ere glaciali in passato. E hanno scoperto che un ruolo importante lo giocherebbe lo scambio di gas tra l’oceano e l’atmosfera. Dalle simulazioni al computer, i ricercatori hanno scoperto che il ghiaccio marino, in Antartide, non solo cambia la circolazione oceanica, ma agisce come un “tappo”, bloccando il rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera e raffreddando così le temperature.
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Tre minuti alla mezzanotte della guerra nucleare
La lancetta dell’“Orologio dell’apocalisse”, il segnatempo simbolico che sul “Bulletin of the Atomic Scientists” indica a quanti minuti siamo dalla mezzanotte della guerra nucleare, è stata spostata in avanti: da 5 a mezzanotte nel 2012 a 3 a mezzanotte nel 2015, lo stesso livello del 1984 in piena guerra fredda. Sui grandi media, la notizia è passata quasi del tutto sotto silenzio. Eppure a lanciare l’allarme sono noti scienziati dell’Università di Chicago che, consultandosi con altri (tra cui 17 Premi Nobel), valutano la possibilità di una catastrofe provocata dalle armi nucleari in concomitanza con il cambiamento climatico dovuto all’impatto umano sull’ambiente. Il cauto ottimismo sulla possibilità di tenere sotto controllo la corsa agli armamenti nucleari è svanito di fronte a due tendenze: l’impetuoso sviluppo di programmi per la modernizzazione delle armi nucleari e il sostanziale blocco del meccanismo di disarmo. Al primo posto, tra le cause del rilancio della corsa agli armamenti nucleari, gli scienziati statunitensi mettono il programma di “modernizzazione” delle forze nucleari Usa, che comporta «un costo astronomico».Confermano così quanto già documentato sul manifesto (24 settembre 2014): il presidente Obama, insignito nel 2009 del Premio Nobel per la Pace per «la sua visione di un mondo libero dalle armi nucleari, che ha potentemente stimolato il disarmo», ha presentato 57 progetti di “upgrade” di impianti nucleari militari, con un costo stimato di 355 miliardi di dollari in dieci anni. Il programma prevede anche la costruzione di 12 nuovi sottomarini da attacco nucleare (ciascuno con 24 missili in grado di lanciare fino a 200 testate nucleari), altri 100 bombardieri strategici (ciascuno armato di circa 20 missili o bombe nucleari) e 400 missili balistici intercontinentali con base a terra (ciascuno con una potente testata nucleare). Si stima che l’intero programma verrà a costare circa 1.000 miliardi di dollari. Anche la Russia, indicano gli scienziati statunitensi, sta procedendo all’“upgrade” delle sue forze nucleari. Lo conferma l’annuncio di Mosca che esse svolgeranno nel 2015 oltre 100 esercitazioni.Secondo la Federazione degli scienziati americani, gli Usa mantengono 1.920 testate nucleari strategiche pronte al lancio (su un totale di 7.300), in confronto alle 1.600 russe (su 8.000). Comprese quelle francesi e britanniche, le forze nucleari della Nato dispongono di circa 8.000 testate nucleari, di cui 2.370 pronte al lancio. Aggiungendo quelle cinesi, pachistane, indiane, israeliane e nordcoreane, il numero totale delle testate nucleari viene stimato in 16.300, di cui 4.350 pronte al lancio. Sono stime approssimative per difetto, in quanto nessuno sa esattamente quante testate nucleari vi siano in ciascun arsenale. Quello che scientificamente si sa è che, se venissero usate, cancellerebbero la specie umana dalla faccia della Terra.A rendere la situazione sempre più pericolosa è la crescente militarizzazione dello spazio. Una risoluzione contro il dispiegamento di armi nello spazio esterno, presentata dalla Russia alle Nazioni Unite, ha ricevuto il voto contrario di Stati Uniti, Israele, Ucraina e Georgia, e l’astensione di tutti i paesi dell’Unione Europea. Compresa l’Italia dove, violando il Trattato di non-proliferazione, vi sono 70-90 bombe nucleari Usa in fase di “ammodernamento”, e per il secondo anno consecutivo si è svolta l’esercitazione Nato di guerra nucleare. Dove i grandi media, che sembrano illuminarci su tutto, spengono i riflettori mentre la lancetta dell’Orologio si avvicina alla mezzanotte.(Manlio Dinucci, “Tre minuti alla mezzanotte della guerra nucleare”, da “Nena News” del29 gennaio 2015).La lancetta dell’“Orologio dell’apocalisse”, il segnatempo simbolico che sul “Bulletin of the Atomic Scientists” indica a quanti minuti siamo dalla mezzanotte della guerra nucleare, è stata spostata in avanti: da 5 a mezzanotte nel 2012 a 3 a mezzanotte nel 2015, lo stesso livello del 1984 in piena guerra fredda. Sui grandi media, la notizia è passata quasi del tutto sotto silenzio. Eppure a lanciare l’allarme sono noti scienziati dell’Università di Chicago che, consultandosi con altri (tra cui 17 Premi Nobel), valutano la possibilità di una catastrofe provocata dalle armi nucleari in concomitanza con il cambiamento climatico dovuto all’impatto umano sull’ambiente. Il cauto ottimismo sulla possibilità di tenere sotto controllo la corsa agli armamenti nucleari è svanito di fronte a due tendenze: l’impetuoso sviluppo di programmi per la modernizzazione delle armi nucleari e il sostanziale blocco del meccanismo di disarmo. Al primo posto, tra le cause del rilancio della corsa agli armamenti nucleari, gli scienziati statunitensi mettono il programma di “modernizzazione” delle forze nucleari Usa, che comporta «un costo astronomico».