Archivio del Tag ‘Vaticano’
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Sorpresa, l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo
Spaghetti, chitarra, mandolino. E poi mafia, corruzione, evasione fiscale. Eppure, l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo, in barba alla retorica cialtrona dei denigratori dello Stivale. Davanti ci sono ovviamente l’inglese, il cinese e lo spagnolo. Poi, però, l’italiano. Perfettamente normale, dice Aldo Giannuli. E altrettanto normale è che gli unici a stupirsene siano proprio gli italiani. È lo stesso sito della Farnesina a dichiararlo: la lingua italiana, nel 2014, è la quarta lingua più studiata al mondo, con un totale di 687.000 allievi che la studiano all’estero nelle università, senza contare scuole e corsi privati. Un numero pari al totale degli iscritti al primo anno della scuola superiore in Italia. Ben 81 Istituti italiani di cultura offrono 8.165 corsi, frequentati da 69.500 persone, mentre i 406 comitati della Società Dante Alighieri dispongono di 266 centri di certificazione per 195.400 studenti. L’italiano, insomma, è vivo, richiesto e imparato in tutto il pianeta. Ovvio: l’Italia possiede il 70% dei beni culturali della Terra, è una grande patria della letteratura, è la meta d’elezione per milioni di turisti attirati dall’arte, dal paesaggio e dal cibo.Scontato, rileva Giannuli nel suo blog, che l’inglese primeggi: se si contano anche gli indiani, si tratta di una lingua parlata da un miliardo e mezzo di persone. Inoltre, è la principale lingua franca del mondo. E così la Cina, che da sola raggiunge il miliardo e mezzo di parlanti: «E’ la lingua del principale paese emergente, anzi forse ormai è meglio dire “emerso”, seconda potenzia mondiale». Quanto allo spagnolo, «è la lingua di mezzo miliardo di parlanti ed è in rapida espansione negli Usa». E’ invece «inspiegabile» che la quarta lingua più studiata sia l’italiano, quella cioè di uno Stato che annovera «poco più di sessanta milioni di parlanti», forse settanta includendo eritrei, albanesi, somali, italiani all’estero e cittadini della Svizzera italiana. Restiamo «un paese relativamente piccolo e in decisa decadenza, ignorato dalle grandi potenze e ridicolizzato dai suoi piccoli politici passati e presenti», da Berlusconi a Renzi. Clamoroso, dunque, che l’italiano preceda «lingue come il francese, il tedesco, il russo, il portoghese, il giapponese». Come si spiega? «Il guaio è che i giornalisti italiani sono molto ignoranti e, quel che è peggio, non fanno nessuna ricerca prima di scrivere».Prima di tutto, continua Giannuli, «si dimentica che l’italiano è la lingua franca di uno dei principali soggetti geopolitici mondiali: la Chiesa cattolica». La lingua ufficiale della Chiesa, come si sa, è il latino, «ma quella in uso fra i prelati (e spesso anche i semplici preti) di nazioni diverse è soprattutto l’Italiano, che è parlato correntemente in Vaticano e usato prevalentemente dal Papa, vescovo di Roma, anche se non si tratta più di un italiano da quasi quarant’anni». E anche in ordini religiosi importanti, come i salesiani o i gesuiti, la lingua corrente è l’italiano. «Poi c’è da considerare che l’Italia è uno dei paesi che hanno avuto una cospicua emigrazione nell’ultimo secolo: circa 40 milioni di persone sparse soprattutto in Argentina, Usa, Canada, Australia, Germania, Francia e Belgio», con non pochi figli e nipoti che si sono mantenuti bilingui. Inoltre, purtroppo, l’italiano è spesso usato anche «fra gli uomini di Cosa Nostra o fra gli ‘ndranghetisti sparsi per il mondo e altre organizzazioni criminali come i colombiani».Resta enorme l’importanza dell’italiano sul piano culturale, «e anche qui si sono dimenticate troppe cose». Per esempio, «che l’italiano è la lingua principale del melodramma». Nel mondo «ci sono tanti melomani che apprezzano molto la nostra musica lirica, basti pensare al successo mondiale avuto da Pavarotti dagli anni ‘80». Un po’ di italiano, quantomeno, lo si canticchia dappertutto. «Poi la letteratura italiana è sicuramente una delle primissime a livello mondiale», perché ha avuto uno sviluppo continuo nel tempo, dal XIII secolo in poi, «con capolavori di livello mondiale, in tutti i secoli». Lo stesso «non mi pare si possa dire delle letterature di Inghilterra, Francia, Germania, Spagna e Russia, che presentano maggiore discontinuità». Chi voglia avere un’idea del “peso” della letteratura italiana, continua Giannuli, può consultare la monumentale collana di testi della Ricciardi. Dunque «non sorprende che ci siano autori italiani (da Petrarca a Gramsci o Leopardi) più amati e letti all’estero che in Italia», anche per colpa della nostra pessima scuola, «il cui principale scopo è far odiare agli studenti tutto quello che fa loro studiare».Superfluo, infine, parlare del peso mondiale dell’arte italiana: Pompei e Roma, le vestigia archeologiche, le città d’arte come Firenze e Venezia, i tesori dei mille borghi storici. E poi il capolavoro del Rinascimento, rivoluzione culturale made in Italy. Oggi, poi, parlano italiano anche la moda e la gastronomia. «Che morale possiamo ricavare da questa terribile sproporzione fra l’apprezzamento che la cultura e la lingua italiana riscuotono nel mondo e la pochezza dell’autostima degli italiani? Semplicemente – si risponde Giannuli – che gli italiani del tempo presente sono impari, rispetto al patrimonio culturale che li sovrasta. Peccato». Naturalmente, c’è chi li sempre “aiutati” a sottostimarsi: il paese ha avuto “la peggior classe dirigente d’Europa”, secondo molti critici, dominata da una nomenklatura di basso profilo, corrotta e clientelare, ai tempi in cui la sinistra italiana andava fermata – anche con le bombe nelle piazze – per impedirle di salire al potere quando al posto della Russia c’era ancora l’Urss. Italia sempre colonizzata dallo straniero, denunciano libri come “Il golpe inglese”; svenduta a trance sul ponte del Britannia, poi sull’altare di Bruxelles e dell’euro. Sul piatto della bilancia europea ha pesato l’acciaio della Germania, mentre il Belpaese non ha potuto far valere i suoi immensi giacimenti culturali, quelli che il mondo ci invidia. Dunque non lamentiamoci troppo degli italiani: non è tutta colpa loro.Spaghetti, chitarra, mandolino. E poi mafia, corruzione, evasione fiscale. Eppure, l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo, in barba alla retorica cialtrona dei denigratori. Davanti ci sono ovviamente l’inglese, il cinese e lo spagnolo. Poi, però, l’italiano. Perfettamente normale, dice Aldo Giannuli. E altrettanto normale è che gli unici a stupirsene siano proprio gli italiani. È lo stesso sito della Farnesina a dichiararlo: la lingua italiana, nel 2014, è la quarta lingua più studiata al mondo, con un totale di 687.000 allievi che la studiano all’estero nelle università, senza contare scuole e corsi privati. Un numero pari al totale degli iscritti al primo anno della scuola superiore in Italia. Ben 81 Istituti italiani di cultura offrono 8.165 corsi, frequentati da 69.500 persone, mentre i 406 comitati della Società Dante Alighieri dispongono di 266 centri di certificazione per 195.400 studenti. L’italiano, insomma, è vivo, richiesto e imparato in tutto il pianeta. Ovvio: l’Italia possiede il 70% dei beni culturali della Terra, è una grande patria della letteratura, è la meta d’elezione per milioni di turisti attirati dall’arte, dal paesaggio e dal cibo.
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Wall Street Journal: le armi della Cia ai tagliagole dell’Isis
Già nel 2012 osservatori indipendenti come Thierry Meyssan l’avevano annunciato: centinaia di jihadisti provenienti dalla Libia erano stati segretamente trasferiti in Siria, attraverso la Turchia, per dare il via all’operazione degli Usa contro il governo Assad, travestita da “rivoluzione democratica”. Ora la partita è persa, ammesso che la Russia – assediata al confine con l’Ucraina – riesca a mantenere la sua assistenza alla Siria. Punto di svolta, la strage di civili del 2013 sterminati dai “ribelli” col gas nervino per tentare di incolpare il governo di Damasco. Il casus belli perfetto per inennescare i bombardamenti della Nato, fermati in extremis nel settembre del 2013 da un’inedita alleanza: i milziani libanesi di Hezbollah e le truppe speciali inviate dall’Iran in Siria, il “no” di Papa Francesco e quello del Parlamento britannico, le navi da guerra dislocate dalla Cina nel Mediterraneo in appoggio alla flotta del Mar Nero schierata da Putin a protezione dei siriani. Adesso che l’operazione è fallita, lo ammette anche il “Wall Street Journal”: sono stati gli Usa ad armare i “ribelli” che, vista la mala parata in Siria, ora combattono in Iraq sotto il nome di Isis.
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Carpeoro: l’infame complotto degli italiani contro se stessi
L’Italia, oggi, sicuramente ha come nemico i poteri forti. Ma coloro che si dovrebbero opporre a quei poteri fanno tutt’altro. Il problema vero di questo paese non è di storia criminale, ma di storia non governata. Non è che siamo governati male: non siamo governati – il che, per certi aspetti, è peggio: forse, essere governati male è meglio che non essere governati. Certo, l’ideale sarebbe essere governati bene. Ma sapete cos’è necessario, per essere governati bene? Bisogna che, alla fine, qualcuno abbia il potere di decidere; che si sappia chi è che decide; e che il potere democratico, se le decisioni di questa persona si dimostrano sbagliate, la volta successiva lo lasci a casa. Vorremmo che la nostra vita fosse scandita da certezze, che non abbiamo: non abbiamo certezza nella giustizia e non abbiamo certezza nel nostro potere economico, perché non sappiamo chi lo governa. Non più la Banca d’Italia. La Banca Centrale Europea? Sì, ma chi la governa? Siamo sicuri che la governi quello che sembra che la governi adesso?
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Putin: 11 Settembre organizzato dagli Usa, eccovi le prove
L’attacco alle Torri Gemelle «è stato pianificato dal governo degli Stati Uniti, ma è stato eseguito per procura, in modo tale che l’attacco contro l’America e il popolo degli Stati Uniti sembrasse un’aggressione effettuata da organizzazioni terroristiche internazionali». Attenzione: «Le prove fornite sarebbero a tal punto convincenti, da smontare completamente la versione ufficiale dell’11 Settembre sostenuta dal governo degli Stati Uniti». Quali prove? Quelle che starebbero per essere pubblicate a Mosca, controfirmate nientemeno che da Vladimir Putin. Ultima mossa, clamorosa, per tentare di fermare la macchina da guerra che – dalla Siria all’Ucraina – sta assediando i non-allienati allo strapotere di Washington, Russia e Cina in primis, tenendo sotto ricatto anche i paesi del petrolio e la stessa Europa, costretta a varare sanzioni autolesioniste contro l’impero del gas e usare la Nato come minaccia contro Mosca. Il presidente russo, annuncia la “Pravda”, si prepara dunque al colpo del ko: l’esibizione di «prove schiaccianti», satellitari, che inchioderebbero l’intelligence di Bush al crimine dell’11 Settembre, spaventoso massacro ai danni dei cittadini americani, da terrorizzare al punto da indurli a sostenere le guerre a venire, cominciando da Iraq e Afghanistan.La notizia trapela dal newsmagazine “Veterans Today”: un collaboratore, Gordon Duff, segnala che sulla “Pravda” del 7 gennaio 2015 si parla dell’imminente, clamorosa iniziativa dei russi: smascherare definitivamente l’imbroglio mondiale dell’11 Settembre, quello degli arei dirottati sulle Torri “all’insaputa della Cia e dell’Fbi”, senza alcuna reazione da parte della difesa aerea americana. «Le evidenze satellitari russe che provano la demolizione controllata del World Trade Center con “armi speciali” – scrive “Come Don Chisciotte” – sono state recensite da un redattore di “Veterans Today”, mentre si trovava a Mosca». Gli analisti ritengono che l’attuale situazione di “guerra fredda” tra Washingon e Mosca rappresenti la quiete prima della tempesta: «Putin colpirà una sola volta, ma ha intenzione di farlo con notevole durezza», annuncia “Veterans Today”. «L’elenco delle prove include delle immagini satellitari», aggiunge il newsmagazine, e il materiale in via di pubblicazione «dimostrerebbe la complicità del governo degli Stati Uniti negli attacchi del 9/11 e la successiva manipolazione dell’opinione pubblica».«Le ragioni dell’inganno e dell’assassinio dei propri cittadini – continua Duff – avrebbero servito gli interessi petroliferi degli Stati Uniti e delle corporazioni statali del Medio Oriente». La Russia si preparebbe quindi a dimostrare, in modo clamoroso, che «l’America ha utilizzato il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, contro i suoi stessi cittadini, per creare il pretesto per un intervento militare in paesi stranieri». Se così dovesse essere, aggiunge Duff, «la conseguenza diretta della tattica di Putin sarebbe quella di rendere note le politiche terroristiche segretamente adottate dal governo degli Stati Uniti: secondo gli analisti americani, la credibilità del governo statunitense ne risulterebbe compromessa e ci sarebbero, di conseguenza, delle proteste di massa nelle città e infine una rivolta generalizzata». A quel punto, si domanda Duff, gli Usa come potranno rapportarsi ancora sulla scena politica mondiale? «La leadership americana nella lotta contro il terrorismo internazionale ne risulterebbe totalmente compromessa, dando un immediato vantaggio agli Stati-canaglia e ai terroristi islamici».Lo stesso Barack Obama non è immune da accuse: tutti ricordano la scandalosa gestione dell’ultimo capitolo dell’affare Bin Laden, dichiarato morto in Pakistan senza uno straccio di prova, il presunto cadavere inabissato nell’Oceano Indiano. Morti anche i soldati del commando che avrebbe ucciso il capo di Al-Qaeda ad Abbottabad: fulminati “per errore” da fuoco amico, a Kabul, poche settimane dopo il misterioso blitz. Tutte le voci più importanti della dissidenza, negli Usa, hanno denunciato come palesemente falsa la versione ufficiale sulla strage dell’11 Settembre, mentre il Senato degli Stati Uniti ha concluso, di recente, che l’Fbi era perfettamente al corrente delle mosse dei futuri dirottatori-kamikaze. Finora, il manistream ha avuto buon gioco nel rifiutare i sospetti, avvalorando la verità ufficiale sulla base di una semplice tesi: il crimine evocato – strategia della tensione, con numeri smisuratamente stragistici – è troppo mostruoso per essere accettato. Impossibile digerire l’idea che qualcuno, al Pentagono, abbia organizzato l’attentato del secolo, arrivando addirittura ad “accecare” l’aviazione Usa per molte ore e a “sequestrare” il presidente Bush, fatto letteralmente scomparire “per proteggerlo”, e anche per impedirgli di reagire. “Complottismo”, è stata finora la formula liquidatoria per seppellire le scomode verità sull’11 Settembre, illuminate da prestigiose contro-inchieste: le Torri sarebbero crollate secondo le procedure della “demolizione controllata”, grazie all’impiego di esplosivi speciali come la nano-termite, di origine militare. E se ora Putin riuscisse davvero a confermare questa versione con evidenze esclusive?Gioele Magaldi, autore del dirompente libro “Massoni”, sulla scorta di documentazione top secret di origine massonica (che l’autore si dichiara pronto a esibire in caso di contestazioni) rivela che Osama Bin Laden non fu soltanto reclutato dalla Cia in Afghanistan ai tempi dell’invasione sovietica, ma fu “affiliato” nientemeno che da Zbigniew Brzezinski e inserito nel potentissimo club ultra-segreto delle superlogge internazionali. Una di queste, denominata “Hathor Pentalpha”, sarebbe stata creata da Bush padre con intenti palesemente eversivi: usare il terrorismo per manipolare l’opinione pubblica e trascinare l’Occidente nella “guerra infinita”, a beneficio delle super-lobby del petrolio e delle armi. Nella “Hathor Pentalpha” sarebbe arruolato anche Tony Blair, che più di ogni altro si spese per costruire la suprema menzogna delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Oggi, l’erede di Bin Laden è il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca in Iraq, perché potesse combattere nel sedicente “Esercito Siriano Libero” e poi fondare l’Isis, il cui nome coincide con quello della divinità egizia Iside, vedova di Osiride, nei testi antichi chiamata anche “Hathor”. Solito schema: creare l’armata del terrore per poi scatenare una guerra. E, prima ancora, una campagna elettorale: quella di Jeb Bush, ultimo rampollo della dinastia presidenziale del fondatore della “Hathor Pentalpha”, definita «superloggia del sangue e della vendetta» perché nata quando Bush – affiliato a superlogge reazionarie – fu battuto nella corsa alla Casa Bianca da Ronald Reagan, sostenuto da clan massonici concorrenti.Sempre secondo Magaldi, lo stesso Putin è “affiliato” a una superloggia latomistica internazionale. L’autore di “Massoni” sostiene inoltre che da qualche anno sia in atto una sorta di guerra inframassonica: le “Ur-Lodges” progressiste starebbero preparando una controffensiva, dopo gli ultimi decenni in cui il mondo è caduto letteralmente nelle mani dell’élite finanziaria che ha pilotato la globalizzazione più selvaggia, calpestando i diritti dei popoli e gettando anche l’Occidente in una crisi senza precedenti, il cui punto più critico è l’Europa, dove le classi medie sono state rapidamente impoverite a beneficio dell’oligarchia neo-feudale che domina Bruxelles con il dogma neoliberista del rigore. In parallelo, si muovono scenari geopolitici: come previsto da tutti gli analisti, il gigante cinese è cresciuto in modo esponenziale, minacciando la supremazia americana. La Russia di Putin, prima provocata in Siria e ora assediata in Ucraina a due passi da casa, rappresenta la prima linea del fronte, mentre i Brics lavorano nelle retrovie per preparare un’alternativa multipolare, anche finanziaria, alla “dittatura” del petrodollaro. Quella che Papa Francesco chiama Terza Guerra Mondiale si sta avvicinando. Nel tentativo di scongiurarla, Putin giocherà davvero la sconvolgente carta delle “prove definitive” per accusare il governo Usa per l’11 Settembre?L’attacco alle Torri Gemelle «è stato pianificato dal governo degli Stati Uniti, ma è stato eseguito per procura, in modo tale che l’attacco contro l’America e il popolo degli Stati Uniti sembrasse un’aggressione effettuata da organizzazioni terroristiche internazionali». Attenzione: «Le prove fornite sarebbero a tal punto convincenti, da smontare completamente la versione ufficiale dell’11 Settembre sostenuta dal governo degli Stati Uniti». Quali prove? Quelle che starebbero per essere pubblicate a Mosca, controfirmate nientemeno che da Vladimir Putin. Ultima mossa, clamorosa, per tentare di fermare la macchina da guerra che – dalla Siria all’Ucraina – sta assediando i non-allienati allo strapotere di Washington, Russia e Cina in primis, tenendo sotto ricatto anche i paesi del petrolio e la stessa Europa, costretta a varare sanzioni autolesioniste contro l’impero del gas e usare la Nato come minaccia contro Mosca. Il presidente russo, annuncia la “Pravda”, si prepara dunque al colpo del ko: l’esibizione di «prove schiaccianti», satellitari, che inchioderebbero l’intelligence di Bush al crimine dell’11 Settembre, spaventoso massacro ai danni dei cittadini americani, da terrorizzare al punto da indurli a sostenere le guerre a venire, cominciando da Iraq e Afghanistan.
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Tsipras, la sinistra rinnegata che sta con gli euro-padroni
Tsipras: la sinistra che sta con l’euro; la sinistra che sta col capitale e con i padroni; la sinistra che ha tradito Marx e i lavoratori. Con una sinistra così, non vi è più bisogno della destra. È la sinistra che vuole abbattere l’austerità mantenendo l’euro: cioè abbattere l’effetto lasciando la causa, ciò che è impossibile “per la contradizion che nol consente”. La domanda da porsi, allora, è una sola: stupidità o tradimento? Propendo per la seconda risposta: tradimento. Tradimento di una sinistra passata armi e bagagli dalla lotta contro il capitale alla lotta per il capitale, dal monoclassismo universalista proletario al bombardamento universalista imperialistico in nome dei diritti umani, dalla lotta per i diritti sociali alla lotta per il matrimonio gay come non plus ultra dell’emancipazione possibile. Dalla falce e il martello all’arcobaleno: non v’è null’altro da aggiungere, temo. Tutto questo farebbe ridere, se non facesse piangere. È una tragedia storica di portata epocale.Il quadro a cui, nell’immaginario comune, sempre più si dovrebbe abbinare l’idea della sinistra (Tsipras in testa!) non è più “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, bensì “L’urlo” di Edvard Munch: dove, tuttavia, il volto trasfigurato dal dolore e immortalato nell’atto di gridare scompostamente è quello di Antonio Gramsci, ucciso una seconda volta, dopo il carcere fascista, dalle stesse forze politiche che hanno tradito il suo messaggio e disonorato la sua memoria. Il paradosso sta nel fatto che la sinistra di Tsipras oggi, per un verso, ha ereditato il giacimento di consensi inerziali di legittimazione proprio della valenza oppositiva del’ormai defunto Partito Comunista e, per un altro verso, li impiega puntualmente in vista del traghettamento della generazione comunista degli anni Sessanta e Settanta verso una graduale “acculturazione” (laicista, relativista, individualista e sempre pronta a difendere la teologia interventistica dei diritti umani) funzionale alla sovranità irresponsabile dell’economia e della dittatura finanziaria.I molteplici rinnegati, pentiti e ultimi uomini che popolano le fila della sinistra si trovano improvvisamente privi di ogni sorta di legittimazione storica e politica, ma ancora dotati di un seguito identitario inerziale da sfruttare come risorsa di mobilitazione conservatrice. La sinistra di Tsipras è il fronte avanzato dell’opposizione ideale a sua maestà Le Capital. Nel loro esercizio di una critica già da sempre metabolizzata dal cosmo mercatistico, i tanti fustigatori à la Tsipras della società esistente svolgono sempre e solo la stessa duplice funzione apologetica di tipo indiretto. La loro critica addomesticata e perfettamente inseribile nei circuiti della manipolazione organizzata occulta la propria natura apotropaica rispetto a una critica non assimilabile nell’ordine dominante. La loro critica già metabolizza l’ordine neoliberale (euro, finanza, spoliticizzazione, rimozione della sovranità, ecc.).Tsipras e la “sinistra Bilderberg” neutralizzano la pensabilità, se non altro per l’opinione pubblica, di critiche effettivamente antisistemiche. In tal maniera, all’opinione pubblica e alla cultura universitaria pervengono sempre e solo idee inoffensive e organiche al sistema, ma contrabbandate come le più “pericolose” in assoluto, creando l’illusione che esse coincidano con il massimo della critica possibile. Prova ne è che oggi le sole idee veramente “pericolose”, cioè incompatibili con lo Zeitgeist postborghese e ultracapitalista, coincidono con il recupero integrale della sovranità nazionale (economica, politica, culturale, militare) come passaggio necessario per la creazione dell’universalismo dell’emancipazione, con la deglobalizzazione pratica e con il riorientamento geopolitico contro la civiltà del dollaro. E invece, i pensatori osannati come i più pericolosi dalla dittatura della pubblicità propongono l’innocuo altermondismo in luogo della deglobalizzazione, l’inoffensivo multiculturalismo dei diritti umani in luogo della sovranità nazionale, la demonizzazione dei dittatori e degli “Stati canaglia” in luogo del suddetto riorientamento geopolitico.Muovendosi entro i confini del politically correct fissati dal sistema, essi criticano il presente con toni che, quanto più sembrano radicali, tanto più rinsaldano il potere nel suo autocelebrarsi come intrascendibile e democratico. Che lo sappiano o no, Tsipras e i suoi compagni di partito sono pedine del capitale, mere “maschere di carattere” (Marx), meri agenti della produzione: essi svolgono – lo ripeto – la funzione di oppositori di sua maestà il capitale. Come sappiamo (ma repetita juvant), il progetto eurocratico si rivela organico alla dinamica post-1989, di: a) destrutturazione degli Stati nazionali come centri politici autonomi, con annesso disciplinamento dell’economico da parte del politico, e b) di “spoliticizzazione” (Carl Schmitt) integrale dell’economia, trasfigurata in nuovo Assoluto. Dal Trattato di Maastricht (1993) a quello di Lisbona (2007), la creazione del regime eurocratico ha provveduto a esautorare l’egemonia del politico, aprendo la strada all’irresistibile ciclo delle privatizzazioni e dei tagli alla spesa pubblica, della precarizzazione forzata del lavoro e della riduzione sempre più netta dei diritti sociali.Spinelli e Tsipras vorrebbero rimuovere gli effetti lasciando però le cause. Il che, evidentemente, non è possibile. Sicché essi, con la loro falsa opposizione, sono parte integrante della grande recita del capitale, svolgendo la funzione dei finti oppositori, vuoi anche del nemico che si finge amico, ingannando popoli lavoratori e gonzi di ogni estrazione. Che ha mai a che fare il signor Tsipras con Marx e Gramsci? Nulla, ovviamente. Tsipras ha assistito al genocidio finanziario del suo popolo causato dall’euro: egli stesso è greco. E, non di meno, vuole mantenere l’euro: non passa giorno senza che egli rassicuri le élites finanziarie circa la propria volontà di non toccare l’euro. E, in questo modo, offre una fulgida testimonianza – se ancora ve ne fosse bisogno – del fatto che Marx e Gramsci stanno all’odierna “sinistra Tsipras” venduta al capitale come Cristo e il discorso della montagna stanno al banchiere Marcinkus.(Diego Fusaro, “Tsipras e la sinistra al soldo della finanza”, da “Scenari Economici” del 15 gennaio 2015).Tsipras: la sinistra che sta con l’euro; la sinistra che sta col capitale e con i padroni; la sinistra che ha tradito Marx e i lavoratori. Con una sinistra così, non vi è più bisogno della destra. È la sinistra che vuole abbattere l’austerità mantenendo l’euro: cioè abbattere l’effetto lasciando la causa, ciò che è impossibile “per la contradizion che nol consente”. La domanda da porsi, allora, è una sola: stupidità o tradimento? Propendo per la seconda risposta: tradimento. Tradimento di una sinistra passata armi e bagagli dalla lotta contro il capitale alla lotta per il capitale, dal monoclassismo universalista proletario al bombardamento universalista imperialistico in nome dei diritti umani, dalla lotta per i diritti sociali alla lotta per il matrimonio gay come non plus ultra dell’emancipazione possibile. Dalla falce e il martello all’arcobaleno: non v’è null’altro da aggiungere, temo. Tutto questo farebbe ridere, se non facesse piangere. È una tragedia storica di portata epocale.
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Friaul, il nazi-Stato dei Cosacchi a insaputa dei friulani
Il Friuli si sarebbe chiamato Pfufferstaats Friaul, uno Stato-cuscinetto inserito nella “Grande Austria” per contribuire a isolare l’Unione Sovietica. A insaputa dei friulani, durante la Seconda Guerra Mondiale i nazisti spedirono 40.000 cosacchi tra i monti della Carnia: sarebbero stati il nerbo della nuova ipotetica nazione de-italianizzata, come ricorda Gaetano Dato rievocando l’epopea friulana dei cavalieri russi anti-sovietici. «Erano soldati e profughi arrivati in Friuli dal Don, dal Kuban, dall’Astrakahn, dalla Siberia, dal Caucaso e da tutte le altre terre cosacche. In rotta, insieme all’armata hitleriana, nel maggio del ‘45. «Oltre Timau, quando la salita verso il Plöckenpass comincia a stringersi e a fare tornanti sempre più stretti, i cadaveri dei cavalli, e pure di qualche cammello, punteggiavano la scarpata». Sul lago di Wörth, in Austria, speravano di ricevere un ordine che avrebbe potuto dar loro un nuovo incarico a guerra finita. «Ma innanzitutto dovevano sopravvivere agli agguati dei partigiani e comunque dovevano incontrarsi prima dell’arrivo degli inglesi, sempre che questi ultimi avessero preceduto gli jugoslavi in Carinzia».Il 7 maggio del ‘45, al castello di Hornstein, luogo dell’appuntamento, il “leiter” Franz Hradetzky parlò per l’ultima volta del Pfufferstaats Friaul, lo Stato che, se l’Asse avesse vinto la guerra, avrebbe dovuto proteggere i confini sud-occidentali dell’ex impero asburgico. La disposizione, ricorda Dato sul blog di Aldo Giannuli, era arrivata da Himmler. Dopo l’8 settembre del ‘43 e la costituzione del protettorato dell’Ozak (litorale adriatico), il capo delle SS aveva affidato a Hradetzky e ai suoi propagandisti del “Kommando Adria” un’operazione speciale: ridestare i «sentimenti nazionali nel popolo friulano», come premessa per l’istituzione del Friaul. Stretti i contatti tra le curie del Litorale e i funzionari agli ordini del comando nazista, decisivi per i rapporti coi sarcedoti sloveni e l’arruolamento forzoso della popolazione per costruire opere pubbliche per la difesa terrestre e antiaerea. Inoltre, «alcuni settori della Chiesa vedevano di buon occhio il progetto della Grande Austria», dopo che l’Armata Rossa «aveva ripreso controllo del mondo ortodosso e i soldati di Stalin e di Tito dilagavano negli Stati cattolici dell’Europa orientale e balcanica».Il principe arcivescovo di Salisburgo, Andreas Rohracher, insieme ad altri esponenti del Vaticano come Alois Hudal, tentò una disperata mediazione nell’aprile del ‘45, fra nazisti austriaci e servizi segreti inglesi e americani: «La Grande Austria – spiega Gaetano Dato – doveva comprendere anche la Slovenia, la Croazia, l’Ungheria e la Romania. Si trattava di un progetto con qualche saldatura col più vasto tentativo vaticano dell’Intermarium, una lega di Stati cattolici fra i mari Adriatico e Baltico capace di contenere il mondo sovietico». Vi guardavano con particolare attenzione il generale polacco Wladyslaw Anders e i suoi 100.000 soldati sparsi per l’Italia, in attesa di rientrare in patria e vendicare il massacro sovietico di Katyn. Naturalmente, né la Grande Austria né l’Intermarium poterono mai realizzarsi: «Il 1945 non era un tempo di restaurazioni. Il dominio dell’Europa era finito e il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Usa e Urss avevano già spartito il pianeta in sfere di influenza, e al massimo potevano lasciare agli inglesi la patata bollente della guerriglia greca», guidata dal comunista Markos Vafiadis.Gli americani, continua Dato, si erano inoltre presi la briga, coi britannici, di sostenere ustaša e cetnici, per tenere sulle spine Tito in Jugoslavia, ma forse solo perché erano a loro volta rimasti impantanati a Trieste per via del Territorio Libero. «Ma questo era tutto. Non c’era spazio per il terzaforzismo cattolico, che riuscì soltanto a mettere in salvo alcuni capi e gerarchi nazifascisti». L’offerta che Hradetzky aveva pensato di fare ai sopravvissuti del “Kommando Adria”, al momento dell’incontro in quel 7 maggio, non si era dunque ancora concretizzata nei modi opportuni. «La speranza era che in tempi brevissimi la mobilitazione per la nuova Grande Austria potesse salvare ciascuno dalla prigionia. Nulla di più sbagliato. Poco tempo dopo, lo stesso “leiter” dei corrispondenti di guerra fu arrestato dagli jugoslavi, e processato a Lubiana», insieme a molti altri responsabili dell’Ozak. Tuttavia scampò alla pena capitale e, dopo 16 anni di lavori forzati, riuscì a tornare in Austria: «Così, le sue testimonianze a Pier Arrigo Carrier negli anni Settanta hanno riportato alla luce la breve storia dei tentati preparativi per la costituzione del Friaul», in quella “Grande Austria” che nei sogni del “partito degli austriaci” avrebbe dovuto prendere il sopravvento sui tedeschi del nord, assorbendo anche la Boemia e persino la Baviera.Sarebbero state concesse ampie autonomie a croati e sloveni, attraverso la costituzione di Stati autonomi, ma federati al Reich. Agli sloveni in particolare sarebbe stata tolta la regione della Stiria slovena, da germanizzarsi completamente, e sarebbe stato ricostituito il ducato di Carniola, che era tramontato con la fine degli Asburgo. Il Pfufferstaats Friaul sarebbe stato un altro degli Stati autonomi federati, uno Stato cuscinetto con lo scopo di isolare ogni possibile “infezione” dal lato italiano, specialmente in direzione delle terre giuliane, dalmate e del Quarnero, in cui il sentimento irredentista aveva una certa presa. A tale scopo il Pfufferstaats Friaul avrebbe tagliato ogni continuità territoriale tra queste aree e la penisola italiana. Il “ribaltone” italiano dell’8 settembre 1943 aveva spinto Himmler a includere il Friuli nei piani di ingegneria etnica che avrebbero dovuto rettificare l’Europa del Nuovo Ordine. In Friuli, per l’Ozak, gli italiani erano «una minoranza», cioè appena 100.000 su una popolazione di 700.000 persone, di cui 200.000 «sloveni» e il resto, la maggioranza, erano friulani, «appartenenti al gruppo retoromanzo», lo stesso che abita «i Grigioni in Svizzera» e che in Tirolo «costituisce il gruppo dei Ladini».Era dunque opportuno agire per tempo e far sorgere la voglia di indipendenza ai friulani ben prima della fine della guerra. Il capo delle SS contattò quindi Hradetzky nell’autunno del 1943. «Fu redatto un piano che prevedeva la forzata nazionalizzazione delle masse friulane, previa la distillazione delle loro tradizioni popolari, per essere loro riproposte attraverso mass media ed eventi pubblici». Un modello di nazionalizzazione congeniale ai nazisti, basato sul meccanismo della “invenzione della tradizione” secondo lo schema classico analizzato da Eric Hobsbawm. Così, Hradetzky mise in piedi un gruppo di studio sulle tradizioni popolari, in cerca di un “eroe nazionale” friulano. Ercole Carletti, segretario della Filologica Friulana, società culturale perseguitata dal fascismo, rifiutò di collaborare: la Filologica si ispirava a Graziadio Isaia Ascoli, linguista ebreo e patriota del Risorgimento che nella seconda metà dell’800 studiò estensivamente il friulano. I nazisti ripiegarono su Ermes Cavassori, giornalista de “Il Popolo del Friuli”, il quotidiano fascista di Udine, e su altri soggetti coinvolti dallo stesso Cavassori, a cominciare dallo zio, il maestro Luigi Garzoni.Fabbricare una narrazione nazionale: sul fronte degli studiosi austriaci fu reclutato Karl Felix Wolff, già membro della commissione culturale dell’Alpenvorland, il protettorato che occupava il Trentino Alto Adige. Insieme ai suoi collaboratori, scrive Dato, Wolff aveva lavorato soprattutto a una raccolta di fiabe friulane, che però non giunse mai alla stampa, a causa del precipitare degli eventi. Alcuni dei “racconti friulani” fecero in tempo a uscire su “La Voce di Furlania”, periodico fondato da Cavassori e Garzoni. Temi prevalenti del giornale: tradizioni popolari, lotta all’internazionalità e inviti alla popolazione a collaborare con i tedeschi. Il titolo della testata dava anche il nome a una rivista teatrale messa in scena settimanalmente a Udine. Furono inoltre fondati oltre 40 gruppi corali, mentre altre associazioni provvedevano alla riscoperta delle tradizioni folcloristiche, a cominciare dagli abiti tradizionali. «Pare che, secondo Hradetzky, la popolazione avesse entusiasticamente aderito a queste iniziative, mostrando così un certo consenso nei confronti dell’amministrazione nazista. Naturalmente queste notizie venivano accolte con apprensione dal governo della Repubblica di Salò, ma ormai Mussolini e i fascisti non potevano fare molto per opporsi ai progetti di Berlino per il Nuovo Ordine». Ma l’operazione restava debole: «Fu impossibile riuscire a individuare, nella storia friulana, dei precedenti storici la cui strumentalizzazione potesse veicolare la trasformazione di un movimento per il risveglio culturale, in un movimento indipendentista».Dopo la fine del patriarcato di Aquileia, nel 1492, e la conseguente fine dell’indipendenza dell’area della ladinità, non esisteva alcun episodio in cui la popolazione locale avesse cercato di riacquistare una qualche precedente e mitizzata autonomia. I friulani, scrive Dato, erano sempre stati sottomessi, prima a Venezia prima e poi agli austriaci. Accolti solo nel 1866 nella giovane nazione italiana, «mai i friulani si erano interessati a una propria questione nazionale». Spiazzati, i nazisti, anche dall’assenza di un eroe “nazionale” friulano, l’equivalente di uno Skanderbeg per l’Albania. «Il massimo che riuscirono a recuperare fu la vicenda di Padre d’Aviano, diplomatico presso gli Absburgo e molto conosciuto per la sua lotta contro l’invasione turca». Ma il tutto «non andò oltre alla cerimonia di deposizione di una lapide ad Aviano». E il progetto di Himmler e Hradetzky, come molti altri, fu interrotto dalla guerra. «Rimane il dubbio su cosa pensassero al riguardo i cosacchi, che insieme ai caucasici, in 40.000 avevano occupato la Carnia nell’estate del 1944. “La Voce di Furlania” aveva parlato dei cosacchi solo una volta, per pubblicizzarne, manco a dirlo, uno spettacolo folcloristico, che pare stesse riscuotendo un grande successo in tutto il Kűnstenland».Il progetto della Grande Austria, nei piani del Nuovo Ordine, andava integrato con quello di un cordone di sicurezza che avrebbe dovuto circondare e isolare la Russia. Hitler voleva promuovere una schiera di Stati sottomessi alla sovranità tedesca, grazie anche a un’attenta alchimia fra le varie minoranze, che un calcolato piano di deportazioni avrebbe messo in atto. I paesi coinvolti sarebbero stati Estonia, Lituania, Lettonia, Ucraina, la Nazione Tartara del bacino del Volga, una federazione di nazioni caucasiche, il Turkestan e infine uno Stato cosacco. Coinvolti da subito nell’invasione dell’Urss e pieni di speranze nel riuscire a vendicare le sconfitte della controrivoluzione del 1917-21, gli atamani cosacchi firmarono nel novembre del ‘43 un accordo col Reich che prevedeva una serie di garanzie. In primo luogo, l’affidamento di un vasto territorio da amministrare, oltre a un ruolo di primo piano nel governo della Russia. Tuttavia nell’accordo era prevista l’eventualità che, se l’andamento della guerra avesse impedito anche temporaneamente la consegna dei territori al governo cosacco (provvisoriamente insediato a Berlino), al “popolo della steppa” sarebbe stata riservata una regione in Europa occidentale.Nella primavera del 1944, poiché i partigiani friulani stavano rischiando di tagliare le comunicazioni fra i Balcani e il Reich, fu stabilito che quel territorio sarebbe stato proprio il Friuli. «Pertanto, nell’estate del 1944 un vasto contingente di soldati cosacchi, con le loro famiglie e i pope dalla lunga barba, si insediò a Tolmezzo e nel resto della Carnia». I tedeschi, ricorda Dato, presero a chiamare la zona “Kozakenland”, mentre per i nuovi arrivati la Carnia friulana era ormai “Cossackia”. Cominciarono persino a cambiare i nomi dei paesi e delle strade: Alesso, pressoché evacuato della sua popolazione autoctona, divenne Novočerkassk, come la città al cuore della controrivoluzione del Don, cosparsa di sangue dai massacri del 1920. «Ai friulani, intanto, non fu mai detto nulla di quell’accordo, che rimase a lungo segreto, anche se i cosacchi dicevano apertamente nei villaggi che quella terra era ormai diventata loro, almeno finché avessero potuto andarsene per tornare a invadere la Russia dei senzadio». Cosa sarebbe stato del Friuli, se avesse vinto l’Asse? «Forse – conclude Dato – sarebbe sorto un nuovo processo di etnogenesi, che avrebbe trasformato friulani e cosacchi in un nuovo popolo, in modo simile a quanto avvenuto in Europa con l’arrivo dei guerrieri della steppa nella tarda antichità. E del resto così li vedevano i friulani: come Unni giunti da lontano sul dorso dei cavalli, con i colbacchi pelosi e il pugnale sempre in vista».Il Friuli si sarebbe chiamato Pfufferstaats Friaul, uno Stato-cuscinetto inserito nella “Grande Austria” per contribuire a isolare l’Unione Sovietica. A insaputa dei friulani, durante la Seconda Guerra Mondiale i nazisti spedirono 40.000 cosacchi tra i monti della Carnia: sarebbero stati il nerbo della nuova ipotetica nazione de-italianizzata, come ricorda Gaetano Dato rievocando l’epopea friulana dei cavalieri russi anti-sovietici. «Erano soldati e profughi arrivati in Friuli dal Don, dal Kuban, dall’Astrakahn, dalla Siberia, dal Caucaso e da tutte le altre terre cosacche. In rotta, insieme all’armata hitleriana, nel maggio del ‘45. «Oltre Timau, quando la salita verso il Plöckenpass comincia a stringersi e a fare tornanti sempre più stretti, i cadaveri dei cavalli, e pure di qualche cammello, punteggiavano la scarpata». Sul lago di Wörth, in Austria, speravano di ricevere un ordine che avrebbe potuto dar loro un nuovo incarico a guerra finita. «Ma innanzitutto dovevano sopravvivere agli agguati dei partigiani e comunque dovevano incontrarsi prima dell’arrivo degli inglesi, sempre che questi ultimi avessero preceduto gli jugoslavi in Carinzia».
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Hathor Pentalpha e Isis, il romanzo criminale che ci attende
Globalizzazione violenta, a mano armata. Un progetto criminale, deviato, spietato. Coltivato e attuato da criminali. Attorno a loro, una corte di politici, capi di Stato, economisti, giornalisti. Tutti a ripetere la canzoncina bugiarda del neoliberismo: lo Stato non conta più, è roba vecchia, a regolare il mondo basta e avanza il “libero mercato”. Peccato che il paradiso golpista dell’élite non possa prescindere dallo Stato, l’ingombrante monopolista della moneta e delle tasse. Lo Stato va quindi conquistato, occupato militarmente per via elettorale. Deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, che devono semplicemente ridiventare sudditi, pagare sempre più tasse, veder sparire i diritti conquistati in due secoli, elemosinare un lavoro precario e sottopagato. Le menti del commissariamento mondiale sono state chiamate oligarchia, impero, tecnocrati, destra economica, finanza, banche, neo-capitalismo. Gioele Magaldi chiama costoro con un altro nome: “Massoni”, come il titolo del suo libro esplosivo. E mette sul piatto 650 pagine di rivelazioni, che stanno scalando le classifiche editoriali nell’assordante silenzio dei media mainstream.Si tratta di massoni speciali, potentissimi, interconnessi fra loro nel super-network segreto delle Ur-Lodges. Uomini del massimo potere, abituati da sempre a influire nelle grandi decisioni geopolitiche, condizionando istituzioni che – in Occidente, a partire dagli Usa – vengono considerate esse stesse una sorta di emanazione massonica: senza il secolare impegno laico della “libera muratoria” europea nella lotta contro l’oscurantismo vaticano e l’assolutismo monarchico, non avremmo avuto gli Stati moderni, la scienza moderna, la cultura moderna. Erano massoni i maggiori scienziati – da Newton a Einstein – così come i maggiori letterati e musicisti. Massoni anche i padri fondatori degli Stati Uniti. Massone l’americano Roosevelt, spettacolare campione della spesa pubblica vocata allo sviluppo della piena occupazione, secondo il credo del più grande economista del ‘900, il massone inglese John Maynard Keynes, su cui si basa tutta la sinistra europea marxista e post-marxista che ha messo in piedi il grandioso sistema di protezione sociale del welfare, fondato sulla sovranità democratica e monetaria per mitigare gli appetiti antisociali del “libero mercato”.La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, promossa dalla “libera muratrice” Eleanor Roosevelt alle Nazioni Unite, l’assemblea planetaria eretta sulle rovine della Seconda Guerra Mondiale, prefigura un’umanità redenta, liberata, globalizzata nei diritti e nelle aspirazioni al futuro. Esattamente il contrario dell’attuale globalizzazione neo-schiavistica, aristocratica, mercantilista, neo-feudale. Un disegno cinico e reazionario, oggi chiamato semplicemente “crisi”, sviluppato negli anni ‘70 dai ristrettissimi circoli elitari internazionali preoccupati dall’avanzata del loro grande nemico: la democrazia. Da qui il famigerato memorandum di Lewis Powell per stroncare la sinistra in tutto l’Occidente e il manifesto “La crisi della democrazia” promosso dalla Commissione Trilaterale sempre con lo stesso obiettivo: collocare i propri uomini (Thatcher, Reagan, Kohl, Mitterrand) alla guida dei paesi-chiave, per occupare lo Stato e traviarlo, in modo che non servisse più l’interesse pubblico, ma obbedisse ai diktat delle grandi lobby, l’industria delle armi, le grandi multinazionali invadenti e totalitarie.Una storia già raccontata? Sì, anche, da diversi analisti “eretici”. Ma mai, finora, dallo sconcertante punto di osservazione del massone Magaldi, che fornisce dettagli inediti e spiegazioni spiazzanti, partendo da una rivelazione capitale: tutti gli uomini del massimo potere, nel ‘900, sono sempre stati accomunati dall’iniziazione esoterica. Questo fa di loro gli esponenti privilegiati di un circuito cosmopolita autoreferenziale e invisibile, protetto, ma al tempo stesso profondamente dialettico, non sempre concorde. Anzi, proprio alla guerra sotterranea che ha dilaniato il “terzo livello” del super-potere è dedicata la straordinaria contro-lettura di Magaldi: che nel golpe in Cile, ad esempio, non vede solo il noto complotto delle multinazionali americane per colpire il governo socialista, pericolosamente amico dei lavoratori e dei loro salari, ma anche – e soprattutto, in questo caso – il ruolo decisivo del massone Kissinger nel colpo di Stato promosso dalla Cia contro il massone Allende, come monito all’intera America Latina, da ridurre a periferia coloniale, e anche alla stessa Europa, dove le stesse “menti raffinatissime” hanno organizzato il “golpe dei colonnelli” in Grecia e i tre tentativi di colpo di Stato in Italia, affidati a Borghese e Sogno ma supervisionati da Licio Gelli, emissario della potentissima superloggia “Three Eyes”, quella di Kissinger.Sul fronte opposto, si è mossa nell’ombra la “fratellanza bianca” delle superlogge progressiste, per tentare di rintuzzare i colpi dei “grembiulini” oligarchici. Come in un romanzo di Dan Brown, in un film di Harry Potter? Non a caso, sostiene Magaldi: proprio nel cinema e nella letteratura, negli ultimi anni, si è concentrata l’azione delle Ur-Lodges democratiche, in attesa di una grande riscossa – pace contro guerra, diritti contro privilegi – di cui lo stesso libro del “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, affiliato alla superloggia progressista “Thomas Paine”, è parte integrante. Per credere a Magaldi, all’inizio della lettura, occorre accettare di indossare i suoi occhiali. Poi, però, già dopo poche pagine, diventa impossibile togliergli: quelli che aggiunge, infatti, sono preziosi tasselli che spiegano ancor meglio i passaggi-chiave della storia del “secolo breve”, senza mai discostarsi dalla verità accertata, dalla storiografia corrente. Solo (si fa per dire) Magaldi aggiunge nomi e cognomi. Completa la storia che già conosciamo integrandola con indizi inequivocabili, che illuminano retroscena finora rimasti in ombra.I riflessi della “grande guerra” che Magaldi racconta li stiamo pagando oggi: la crescita delle masse in Occidente è finita, e il mondo è sull’orlo della Terza Guerra Mondiale. Tutto è cominciato alla fine degli anni ‘60, prima con la morte di Giovanni XXIII e John Fitzgerald Kennedy, poi con il doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King, che le Ur-Lodges progressiste volevano entrambi alla Casa Bianca. Nessuno si stupisca, dice Magaldi, se da allora la sinistra è stata sconfitta in modo sistematico: hanno vinto “loro”, i padreterni neo-feudali che volevano confiscare i diritti democratici e le garanzie del lavoro, retrocedendo i cittadini occidentali al rango di sudditi impauriti dal futuro e assediati dal bisogno. Sempre “loro”, gli egemoni, si sarebbero persino abbandonati a un clamoroso regolamento di conti: il clan che voleva George Bush alla Casa Bianca avrebbe fatto sparare a Reagan, e i sostenitori occulti di Reagan, per rappresaglia, di lì a poco avrebbero promosso l’attentato simmetrico a Wojtyla, eletto Papa anche col sostegno occulto degli amici di Bush.Poi, su tutto, è calato l’ambiguo sudario della pax massonica, suggellato nello storico patto “United Freemasons for Globalization”, sottoscritto nel 1981 non solo dalle superlogge occidentali di destra e di sinistra, ma anche dai “confratelli” sovietici alla vigilia della Perestrojka di Gorbaciov e dagli stessi cinesi, in vista delle grandiose riforme del “fratello” Deng Xiaoping. Peccato che però qualcuno abbia “esagerato”, riconosce il super-massone oligarchico che si firma “Frater Kronos”, nella sconcertante appendice del libro di Magaldi, in cui quattro pesi massimi delle Ur-Lodges si confrontano sulla trattazione, dopo aver aiutato il massone italiano a mettere in piazza tanti segreti di famiglia. “Frater Kronos”, su cui si lesinano le informazioni personali per mascherarne l’identità, dimostra l’autorevolezza del grande vecchio del potere occidentale. «No, non sono il fratello Kissinger», scherza, quasi a suggerire che potrebbe trattarsi di un pari grado, del calibro di Zbigniew Brzezinski. Anche “Frater Kronos” – chiunque egli sia in realtà – conferma l’allarme: qualcosa è andato storto, qualcuno è andato oltre il perimetro concordato. Un nome su tutti: quello del “fratello” George Bush senior, che sarebbe “impazzito di rabbia” dopo la bruciante sconfitta inflittagli dai sostenitori di Reagan. Da allora, ancor prima di diventare a sua volta presidente, Bush avrebbe dato vita a una superloggia definita inquietante, pericolosa e sanguinaria, denominata “Athor Pentalpha”, che avrebbe reclutato il gotha neocon del Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano, da Cheney a Rumsfeld, nonché fondamentali alleati europei, da Blair a Sarkozy. Missione del clan: destabilizzare il pianeta, anche col terrorismo, a partire dall’11 Settembre.Per questa missione, si legge nel libro di Magaldi, è stato riciclato il “fratello” Osama Bin Laden, arruolato dallo stesso Brzezinski ai tempi dell’invasione sovietica in Afghanistan. Risultato, dopo l’attentato alle Torri: una serie di guerre, in sequenza, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, anche dietro lo schermo della “primavera araba”. Il nuovo bersaglio è la Russia di Putin? C’è una precisa geopolitica del caos: e i golpisti occidentali puntano sempre sulla loro creatura più grottesca, il fondamentalismo islamico. Ci stanno lavorando dal lontano 2009, quando i militari americani del centro iracheno di detenzione di Camp Bucca si videro recapitare l’ordine di rilascio dell’allora oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, l’attuale “califfo” dell’Isis. Regista dell’operazione? Sempre loro: la famiglia Bush. Per la precisione il fratello di George Walker, Jeb Bush, che vorrebbe fare di Al-Baghdadi il nuovo Bin Laden, da spendere per le presidenziali 2016. Dietrologia? Anche qui, “Massoni” fornisce chiavi inedite, partendo dall’attitudine esoterica degli iniziati: Isis non è solo il nome dell’orda terroristica messa in piedi da segmenti della Cia, è anche quello della divinità egizia Iside, vedova di Osiride, carissima ai massoni che si definiscono anche “figli della vedova”. In alcuni testi antichi, Isis è chiamata anche con un altro nome, Athor. Proprio come la superloggia di Bush e Blair. Il Medio Oriente sta bruciando, è tornato lo spettacolo dell’orrore dei tagliatori di teste. “Frater Kronos” è preoccupato, il 2015 comincia male. Sicuri che non sia il caso di indossarli ancora, gli occhiali di Gioele Magaldi?(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Globalizzazione violenta, a mano armata. Un progetto criminale, deviato, spietato. Coltivato e attuato da criminali. Attorno a loro, una corte di politici, capi di Stato, economisti, giornalisti. Tutti a ripetere la canzoncina bugiarda del neoliberismo: lo Stato non conta più, è roba vecchia, a regolare il mondo basta e avanza il “libero mercato”. Peccato che il paradiso golpista dell’élite non possa prescindere dallo Stato, l’ingombrante monopolista della moneta e delle tasse. Lo Stato va quindi conquistato, occupato militarmente per via elettorale. Deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, che devono semplicemente ridiventare sudditi, pagare sempre più tasse, veder sparire i diritti conquistati in due secoli, elemosinare un lavoro precario e sottopagato. Le menti del commissariamento mondiale sono state chiamate oligarchia, impero, tecnocrati, destra economica, finanza, banche, neo-capitalismo. Gioele Magaldi chiama costoro con un altro nome: “Massoni”, come il titolo del suo libro esplosivo. E mette sul piatto 650 pagine di rivelazioni, che stanno scalando le classifiche editoriali nell’assordante silenzio dei media mainstream.
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Magaldi: chi ha ucciso i nostri eroi, per dominare il pianeta
Tu chiamala, se vuoi, massoneria. Il che, per i libri di storia, significa al massimo Risorgimento, cioè lotta illuminista contro l’oscurantismo vaticano e l’assolutismo monarchico. Per la stampa italiana del dopoguerra, la connotazione della “libera muratoria” è quasi sempre negativa: Licio Gelli e la P2, Berlusconi, opache trame e comitati d’affari. La fratellanza in grembiulino? Sempre elusiva, quindi fatalmente relegata nel ghetto narrativo della controinformazione, il cosiddetto complottismo che impazza sul web da quando la grande crisi sta minacciando miliardi di esseri umani. Le avvisaglie di quella che alcuni chiamano Terza Guerra Mondiale fanno da sfondo alle fragorose devastazioni dell’altra guerra, già in atto, da parte dell’élite tecno-finanziaria contro il 99% dell’umanità, i non eletti, i cittadini da retrocedere al rango di plebe a cui togliere i diritti democratici conquistati nei decenni del benessere, in virtù della poderosa combinazione messa in campo da Roosevelt e Keynes: economia per tutti, grazie al gigantesco investimento dello Stato, spesa pubblica in forma di deficit positivo. Tutto cancellato, come sappiamo, dagli oligarchi del rigore neoliberista e dai loro politici, economisti, propagandisti. Ma che c’entrano le logge?La massoneria è esattamente l’anello mancante, risponde Gioele Magaldi, “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, affiliato alla “Thomas Paine”, super-loggia internazionale progressista nata a metà dell’800 negli Stati Uniti per allevare le migliori menti dell’economia democratica. Missione: coniugare sviluppo e benessere diffuso, ricchezza e giustizia, prosperità e diritti, secondo l’ispirazione del socialismo liberale che affonda le sue remote radici nella Rivoluzione Francese. Un orizzonte emblematizzato dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata all’Onu sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale per volere della “libera muratrice” Eleanor Roosevelt. “Massoni, società a responsabilità illimitata”, clamorosa operazione editoriale firmata da Chiarelettere, si propone di squarciare il velo di segretezza che ha finora coperto e protetto il “back office” del vero potere, sempre bifronte: da una parte la “fratellanza bianca”, illuminata e democratica, e dall’altra i potentissimi antagonisti neo-feudali, supremi manovratori dell’élite oligarchica che oggi ha preso il sopravvento e da decenni ricatta il mondo con l’arma finale della finanza.Un’analisi radicale, quella di Magaldi, che si scosta dai toni apocalittici del “cospirazionismo” anti-sistema, anche perché innanzitutto ribadisce il ruolo-chiave del capitalismo nell’affermazione della modernità. In più – e qui sta la novità dirompente – Magaldi offre una rilettura interamente massonica della storia recente, sostenendo che in tutti i passaggi decisivi delle maggiori vicende internazionali c’era sempre un convitato di pietra, rimasto nell’ombra. Ad ogni grande evento che ha segnato il nostro passato – questa è la tesi – non corrispondono soltanto aspirazioni di popoli, correnti e partiti, dinamiche economiche e condizioni geopolitiche, ma anche persone in carne e ossa. Nomi e cognomi, individui responsabili di decisioni precise, di acuminate strategie affidate a singoli attori. In questo modo, sempre secondo Magaldi (che ha “blindato” archivi e testimonianze, da esibire all’occorrenza), nel retrobottega del massimo potere si sono prima confrontate e poi affrontate, senza risparmio di colpi, due opposte visioni del mondo, una democratica e l’altra oligarchica, nutrita cioè di autentico spirito aristocratico – quello di chi pensa che il popolo, semplicemente, non sia in grado di governarsi da solo. Due “fratellanze”, dunque, accomunate dalla medesima attitudine iniziatico-esoterica, ma profondamente divergenti nella concezione politica e quindi negli obiettivi da raggiungere.Il “filtro” massonico che Magaldi applica alla sua sorprendente rilettura dell’intera storia del Novecento – l’anello mancante, appunto – contribuisce a illuminare la profondità dell’origine di alcuni eventi, senza peraltro distorcene mai la verità storica accertata, né il senso politico generale, comunemente condiviso e acquisito. E’ una sorta di avvertimento, ai lettori ma anche agli storici: attenti, le cose sono andate così anche perché, oltre alle dinamiche socio-economiche da voi evidenziate, ci sono state riunioni cruciali, scelte e decisioni precise, tutte assunte – nella più totate segretezza – da uomini potentissimi, il cui ruolo emerge solo ora, per la prima volta, grazie agli sterminati elenchi presenti nelle 650 pagine di “Massoni”, che peraltro si conclude con uno stupefacente dibattito tra super-adepti progressisti e confratelli antagonisti “pentiti”, spaventati dalle conseguenze “golpiste” della globalizzazione neoliberista imposta a mano armata.Annunciato come il primo di una lunga serie, imbottita di rivelazioni esplosive, il libro è anche un dichiarato atto di guerra infra-massonico, contro le lobby avversarie: un guanto di sfida rivolto prima di tutto agli iniziati neo-aristocratici. Un’arma pubblica, per indebolire il fronte dei grandi oligarchi, i boss della privatizzazione universale, il cui club esclusivo – secondo Magaldi – è rappresentato da storiche super-logge onnipotenti come la “Three Eyes”, di cui farebbero parte personaggi come Kissinger, Brzezisnki, Mario Draghi e i titani di Wall Street. E naturalmente i Rotschild e i Rockefeller, cioè gli stessi che, attraverso la super-loggia dei “tre occhi”, hanno fondato il corrispettivo organismo paramassonico con “tre lati”, la famigerata Trilateral Commission, cupola dell’élite mondiale da cui diffondere il verbo neoliberista, la “morte” dello Stato che deve far posto al mercato, i diktat della destra economica che eredita il memorandum di Lewis Powell e lo sviluppa nella “Crisi della democrazia”, il saggio di Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki, secondo cui curare la democrazia con altra democrazia è folle, sarebbe come «tentare di spegnere un incendio gettando benzina sul fuoco». Basta democrazia, la ricreazione è finita.Il cuore del libro è concentrato sul punto di svolta della nostra storia del dopoguerra, cioè la fine degli anni ‘60 e l’avvento dei piani neo-aristocratici per fermare l’onda lunga della democrazia che, abbattuto il nazifascismo, aveva ricostruito l’Europa inaugurando la stagione irripetibile del boom economico, con l’inedito benessere per le classi popolari e la nuova frontiera civile incarnata dal welfare. Il mainstream, allora, era quello tracciato dal “fratello” Frankin Delano Roosevelt sulla base della strategia politico-economica del “fratello” John Maynard Keynes: se lo Stato fa spesa pubblica e deficit positivo, l’economia prospera e ne beneficiano tutti. Dottrina tradotta in pratica, in Europa, dal “fratello” George Marshall. Keynesismo “di sinistra”, certo, “ma anche massonico”, aggiunge Magaldi, preoccupato di “dare a Cesare”. Impossibile, insiste, trascurare questo dettaglio: tutti i grandi protagonisti del progressismo del dopoguerra erano affiliati a “Ur-Lodges” di sinistra, come la “Thomas Paine”. Organismi ultra-riservati, e per questo mai finiti al posto giusto nei libri di storia. Eppure, importantissimi. E spesso decisivi, nella loro funzione di suprema diplomazia, molto al di sopra degli esecutori nazionali, governi e partiti.La grande battaglia rievocata da “Massoni”, tutta giocata dietro le quinte ben prima che i fatti diventassero cronaca e poi storia, secondo Magaldi comincia con la scomparsa di Angelo Roncalli, il “Papa buono”, lo straordinario riformatore sociale del Concilio Vaticano II. Magaldi racconta che pure Giovanni XXIII era un “fratello”, associato a una prestigiosa super-loggia progressista in Turchia e poi a un cenacolo rosacrociano in Francia. Sincretismo, dunque: apertura a diverse tradizioni spirituali, per far convergere energia (sapienza) verso il progresso dell’umanità. Poco dopo, la tragica morte di John Fitzgerald Kennedy, l’uomo con troppi nemici. Chi l’ha ucciso? Quasi impossibile stabilirlo. Ma una cosa sembra ormai certa: Jfk era d’accordo con Khrushev per smilitarizzare il pianeta e quindi mettere fine alla guerra fredda entro il 1970. Dopo l’omicidio di Dallas, racconta Magaldi, le “Ur-Lodges” progressiste puntarono su un ticket formidabile: Bob Kennedy alla Casa Bianca con al suo fianco Martin Luther King, forse spendibile addiritttura per la vicepresidenza. Quello, sostiene l’autore di “Massoni”, è stato il momento fatale in cui abbiamo perso tutti: da allora, la democrazia sociale non ha fatto che perdere rovinosamente terreno, in tutto il mondo. Come sarebbe oggi il pianeta se l’America fosse stata governata da Robert Kennedy e da Martin Luther King?Il doppio omicidio dei due campioni dei diritti democratici scatena la guerra dei sospetti nel “back office” del supremo potere: da allora, democratici e neo-aristocratici scendono ufficialmente in guerra. Vincono i secondi: l’America va sempre più a destra, fa la guerra in Vietnam e poi afferma il neoliberismo definitivo con Reagan, mentre in Gran Bretagna è già stata costruita l’affermazione della “sorella” Margaret Thatcher. Nel frattempo, la “guerra coperta” è andata avanti senza risparmio. Prima il golpe dei colonnelli in Grecia, secondo Magaldi un test per saggiare la capacità di resistenza democratica in Europa di fronte a un’involuzione neofascista (Atene come possibile battistrada per abolire la democrazia anche in altri paesi europei). Poi, in risposta, la “rivoluzione dei garofani” in Portogallo, fatta scattare nel 1974 – non a caso il 25 aprile, come monito ai complottisti neo-feudali (il solito Kissinger) che cospiravano contro la democrazia italiana.Magaldi infatti accredita pienamente almeno tre tentativi di golpe in Italia, due affidati a Junio Valerio Borghese e uno a Edgardo Sogno, sistematicamente sventati dalla “fratellanza bianca”, coordinata dal sociologo e premio Pulitzer Arthur Schlesinger Jr,. infaticabile combattente e anima delle “Ur-Lodges” democratiche. Di fronte al fallimento del golpismo italiano, il cartello mondiale guidato dalla “Tree Eyes” allenta la presa sull’Europa e si concentra sul Sud America: l’Operazione Condor comincia dal Cile (omicidio Allende) e poi trasforma l’Argentina nell’inferno della giunta militare. Intorbidita ulteriormente da una scissione all’interno dell’ala destra (alla “Three Eyes” che puntava su George Bush senior si oppone la “White Eagle”, che riesce a imporre Reagan alla Casa Bianca), la “guerra segreta” finisce di colpo nel 1981, con due attentati cruenti ma non letali, contro il neo-presidente e contro il Papa. Reagan viene ferito gravemente. Un complotto ordito dalla super-loggia dei “tre occhi”? Poco dopo, la stessa sorte tocca al pontefice polacco, il cui massimo sponsor era stato Brzezinski, uno dei massimi leader della “Three Eyes”.Il terrorista turco Alì Agca ha sparato a Wojtyla alle ore 17,17 precise. Per Magaldi, è un indizio decisivo, sempre trascurato dagli investigatori: il 1717 è l’anno di rifondazione della massoneria, dunque si tratta di una “firma” inequivocabile. Ovvero: sarebbero stati i super-fratelli della “White Eagle” a “vendicare” l’attentato a Reagan, “avvertendo” Brzezisnki. Di lì a poco, sarebbe sbocciata la grande tregua sottoscritta con lo storico manifesto “United Freemasons for Globalization”, includente persino i “fratelli” dell’Urss e della Cina comunista, anch’essi collegati alle “Ur-Lodges” del super-potere mondiale, in vista di epocali trasformazioni: la perestrojka di Gorbaciov e le riforme capitaliste di Deng Xiaoping. Una storia che procede in modo lineare, fino al punto di non-ritorno: l’11 Settembre. Il super-attentato del 2001 dà il via alla “guerra infinita”, patrocinata dai nuovi campioni delle super-logge dell’ultradestra: Tony Blair, George W. Bush, Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, Colin Powell, Nicolas Sarkozy. Tutti “fratelli”, assicura Magaldi, firmando la sua sconcertante contro-storia (massonica) delle tragedie che costellano l’attualità di oggi. Aprite gli occhi, raccomanda il “gran maestro” italiano: quello che vi sta accadendo era previsto nei dettagli, è stato deciso a tavolino, e il piano è stato eseguito con spietata precisione. Ma, in quei circoli super-segreti, non tutti erano d’accordo. E ora, finalmente, dopo quarant’anni di incontrastato dominio autoritario, ci sarà una controffensiva democratica, di cui il libro è parte integrante.(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Tu chiamala, se vuoi, massoneria. Il che, per i libri di storia, significa soprattutto Risorgimento, cioè lotta illuminista contro l’oscurantismo vaticano e l’assolutismo monarchico. Per la stampa italiana degli ultimi decenni, la connotazione della “libera muratoria” è quasi sempre negativa: Licio Gelli e la P2, Berlusconi, opache trame e comitati d’affari. La fratellanza in grembiulino? Sempre elusiva, quindi fatalmente relegata nel ghetto narrativo della controinformazione, il cosiddetto complottismo che ora impazza sul web da quando la grande crisi sta minacciando miliardi di esseri umani. Le avvisaglie di quella che alcuni chiamano Terza Guerra Mondiale fanno da sfondo alle fragorose devastazioni dell’altra guerra, già in atto, da parte dell’élite tecno-finanziaria contro il 99% dell’umanità, i non eletti, i cittadini da retrocedere al rango di plebe a cui togliere i diritti democratici conquistati nei decenni del benessere, in virtù della poderosa combinazione messa in campo da Roosevelt e Keynes: economia per tutti, grazie al gigantesco investimento dello Stato, spesa pubblica in forma di deficit positivo. Tutto cancellato, come sappiamo, dagli oligarchi del rigore neoliberista e dai loro politici, economisti, propagandisti. Ma che c’entrano le logge?
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Global warning, Roma: Craig Roberts e lo stratega di Putin
Cos’hanno in comune il grande stratega economico di Vladimir Putin, assediato dall’Occidente, e il cervello finanziario di Ronald Reagan, il presidente che rottamò la guerra fredda insieme a Gorbaciov? Entrambi hanno paura, oggi, di uno scenario che Papa Francesco non esita a definire Terza Guerra Mondiale. E hanno deciso di discuterne, insieme, al meeting internazionale battezzato “Global warning”, promosso a Roma da “Pandora Tv”, la web-tv creata da Giulietto Chiesa in collaborazione con il network internazionale russo “Rt” per illuminare i retroscena della crisi mondiale, squarciando il velo delle reticenze quotidiane dei media. E così oggi si parlano direttamente l’economista del Cremlino, Sergej Glazev, e Paul Craig Roberts, già viceministro del Tesoro di Reagan e editorialista del “Wall Street Journal”, considerato uno degli opinion leader più influenti del mondo. Spaventato, come Glazyev, dall’aggressività della politica di Obama verso la Russia, che sta avvitando la crisi in una spirale pericolosissima: guerra economica e finanziaria, sullo sfondo della minaccia aeronavale e missilistica rappresentata dalla Nato nell’Est Europa.La formula del meeting, aperto al pubblico, è quella del panel internazionale: dopo l’introduzione di Pino Cabras (“Megachip”) e l’intervento di Giulietto Chiesa, il 12 dicembre a Roma (Palazzo Marini, Sala delle Colonne), prendono la parola grandi giornalisti come Marcello Foa (“Il Giornale”) e Pepe Escobar (“Asia Times”), il libanese Talat Khrais (Al Manar Tv”) e Piero Pagliani, analista geopolitico. Ospiti internazionali presenti a Roma o in collegamento video: da Mikhail Leontyev, vicepresidente del colosso energetico russo Rosneft, alla lettone Tatiana Zdanoka, europarlamentare dei Verdi e co-presidente del gruppo “Per i diritti umani in Lettonia”. Tra i politici italiani due “grilline” come le parlamentari Paola De Pin (Senato, commissione diritti umani) e Marta Grande (Camera, commissione esteri). E naturalmente, il punto di vista – incrociato e convergente – di due personaggi internazionali di primissima grandezza, l’americano Craig Roberts e il russo Glazyev, indicato come il super-tecnocrate che sta guidando il Cremlino verso la Cina, per resistere all’offensiva economica occidentale.«Il panel – spiegano gli organizzatori – include intellettuali provenienti da diverse parti del mondo, che condividono preoccupazioni simili riguardo lo scenario internazionale, nonostante background ed esperienze politiche e intellettuali differenti». L’incontro di Roma può diventare «fonte d’ispirazione per nuove connessioni tra personalità e networks, al fine di condividere idee e soluzioni alla crisi globale, in particolare alle situazioni che stanno ora vivendo Ucraina e Medio Oriente». Le voci che hanno accettato di confrontarsi con la platea di “Global warning” rivelano «visioni comuni in riguardo al declino del mondo unipolare, gravato dall’enorme debito, dal decadimento della democrazia e da una feroce competizione internazionale». La partecipazione è libera, con obbligo di accredito attraverso l’invio dei dati anagrafici, entro l’8 dicembre, all’indirizzo contatti@pandoratv.it.Cos’hanno in comune il grande stratega economico di Vladimir Putin, assediato dall’Occidente, e il cervello finanziario di Ronald Reagan, il presidente che rottamò la guerra fredda insieme a Gorbaciov? Entrambi hanno paura, oggi, di uno scenario che Papa Francesco non esita a definire Terza Guerra Mondiale. E hanno deciso di discuterne, insieme, al meeting internazionale battezzato “Global warning”, promosso a Roma da “Pandora Tv”, la web-tv creata da Giulietto Chiesa in collaborazione con il network internazionale russo “Rt” per illuminare i retroscena della crisi mondiale, squarciando il velo delle reticenze quotidiane dei media. E così oggi si parlano direttamente l’economista del Cremlino, Sergej Glazev, e Paul Craig Roberts, già viceministro del Tesoro di Reagan e editorialista del “Wall Street Journal”, considerato uno degli opinion leader più influenti del mondo. Spaventato, come Glazyev, dall’aggressività della politica di Obama verso la Russia, che sta avvitando la crisi in una spirale pericolosissima: guerra economica e finanziaria, sullo sfondo della minaccia aeronavale e missilistica rappresentata dalla Nato nell’Est Europa.
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Perché i palestinesi devono sparire dalla faccia della terra
La sociologia delle relazioni etniche/razziali identifica 3 tipi distinti di strutture razziste, ossia le relazioni strutturali tra i gruppi dominanti e le minoranze. Una è quella che è stata chiamata delle “minoranze di intermediari”. In questa struttura, il gruppo minoritario ha una relazione di mediazione tra il dominante e i gruppi subordinati. Questa è stata storicamente l’esperienza dei commercianti cinesi d’oltremare in Asia, dei libanesi e siriani nell’Africa occidentale, degli indiani nell’est Africa, dei meticci in Sudafrica e degli ebrei in Europa. Quando le “minoranze di intermediari” perdono la loro funzione mano a mano che cambiano le strutture, possono essere assorbite dal nuovo ordine o possono diventare capri espiatori, o addirittura subire un genocidio. Gli ebrei occuparono storicamente questo ruolo di “minoranza di intermediari” nell’Europa feudale e nel capitalismo in nuce. La struttura dell’Europa feudale assegnò agli ebrei certe funzioni vitali per l’espansione della società feudale europea. Queste includevano la gestione del commercio a lunga distanza e il prestito di denaro.Queste attività furono vietate dalla Chiesa cattolica e non erano parte normale delle relazioni tra padrone-servo nel cuore del feudalesimo; nonostante ciò erano vitali per il mantenimento del sistema. Quando il capitalismo si sviluppè nei secoli XIX e XX, nuovi gruppi capitalisti assunsero le funzioni di commercio e bancarie, perciò il ruolo degli ebrei risultò superfluo per le nuove classi dominanti. Come risultato gli ebrei in Europa soffrirono intense pressioni mano a mano che il capitalismo si sviluppava e sporadicamente soffrirono il genocidio, come capro espiatorio delle difficoltà del capitalismo, la perdita del loro ruolo economico che prima era vitale, la crisi mondiale del 1930, l’ideologia e il programma nazista. Un secondo tipo di struttura razzista è quella che chiamiamo “il supersfruttamento e/o la disorganizzazione della classe operaia”. Questa è una situazione nella quale il settore razziale subordinato e oppresso dentro la classe sfruttata occupa i gradini più bassi dell’economia e della società, in particolare dentro una classe operaia razziale o etnicamente stratificata. Il concetto chiave qui è che il lavoro del gruppo subordinato (i loro corpi, la loro esistenza) è necessario per il sistema dominante, anche se il gruppo sperimenta emarginazione culturale e sociale e la privazione dei diritti politici.Questa fu l’esperienza storica schiavista degli afroamericani in Usa, così come quella degli irlandesi in Inghilterra, dei latini attualmente in Usa, degli indios Maya in Guatemala, degli africani in Sudafrica sotto l’apartheid e così successivamente. Questi gruppi sono con frequenza subordinati sociali, culturali e politici sia che questo sia di fatto o per legge. Rappresentano il settore dei supersfruttati e discriminati, lavorativamente, razzialmente e etnicamente divisi e situati nelle classi popolari. Questa fu l’esperienza dei palestinesi nell’economia politica israeliana fino a poco tempo fa e nelle circostanze uniche di Israele e della Palestina nel XX secolo. La struttura razzista finale è l’esclusione e l’appropriazione delle risorse naturali. Questa è una situazione nella quale il gruppo dominante necessita delle risorse del gruppo subordinato, ma non del loro lavoro (né dei loro corpi, né della loro esistenza fisica). Questa è la struttura razzista che più facilmente conduce a un genocidio.Fu l’esperienza dei nativi americani nell’America del nord. I gruppi dominanti necessitavano della loro terra, però non del loro lavoro o dei loro corpi, dato che gli schiavi africani e gli europei già offrivano la mano d’opera necessaria per il nuovo sistema, e pertanto furono vittime del genocidio. E’ stata l’esperienza dei gruppi indigeni dell’Amazzonia. Lì furono scoperte, nella loro terra, nuove e enormi risorse minerarie e energetiche. E nondimeno e letteralmente, anche se non sono necessari, questi indigeni interpongono i loro corpi nel cammino del capitale verso le risorse. Per questo attualmente ci sono pressioni per riattivare il genocidio. Questa è la situazione più recente che gli afroamericani affrontano negli Usa. Molti afroamericani passarono dallo stare nel settore dei supersfruttati della classe operaia all’emarginazione quando i datori di lavoro cambiarono la mano d’opera sfruttata afroamericana per quella degli immigranti latini che diventarono i supersfruttati. Come gli afrostatunitensi, in quantità significativa, diventarono strutturalmente emarginati; sono oggetto di una crescente privazione dei loro diritti, di criminalizzazione, della falsa “guerra contro le droghe”, della incarcerazione di massa e del terrore della polizia e dello Stato. Sono visti dal sistema come necessari per controllare una popolazione non necessaria e ribelle.Allora, come i nativi americani prima di loro (e a differenza dei sudafricani neri) i corpi palestinesi non sono più necessari e semplicemente stanno intralciando lo Stato sionista, i gruppi dirigenti, i coloni e gli aspiranti coloni che necessitano delle risorse palestinesi, specificamente la terra, però non dei palestinesi. In verità, anche se i lavoratori palestinesi vengono eliminati dall’economia israeliana, migliaia di palestinesi di Cisgiordania ancora lavorano in Israele. Gli immigrati ebrei russi e altri che sostituirono la mano d’opera palestinese in Israele nella decade dei ‘90 continuarono negli anni seguenti confidando nel proprio privilegio razziale per entrare nella classe media israeliana, dato che non vogliono occupare posti di lavoro relazionati con gli arabi. Così successe che gli africani, gli asiatici e altri immigranti del Sud globalizzato continuarono ad arrivare in Israele. Questo cambio di direzione volta a farli divenire “l’umanità in eccesso” sembra essere più avanzato per gli abitanti di Gaza, che rimangono bloccati e relegati nel campo di concentramento nel quale Gaza si è convertita. I palestinesi di Gaza appaiono come il primo gruppo che affronta il tormento del genocidio.I sionisti e i difensori di Israele considerano come una grande offesa qualsiasi analogia tra i nazisti e le azioni dello stato di Israele, inclusa l’accusa di genocidio, in parte a causa del fatto che l’olocausto ebreo è utilizzato dallo Stato di Israele e del progetto politico sionista come meccanismo di legittimazione; perciò parlare di queste analogie significa rivelare il discorso di legittimazione israeliano. E’ cruciale indicare ciò, perché questo discorso è arrivato poco a poco a legittimare le politiche o le proposte israeliane in corso, che dimostrano una similitudine ogni volta più allarmante con altri esempi storici di genocidio. Il notevole storico israeliano Benny Morris, professore dell’università Ben Gurion del Negev, che si identifica strettamente con Israele, concesse una lunga intervista al periodico “Haaretz” nel 2004, dove si riferiva al genocidio dei nativi americani al riguardo di ciò che sono oggi gli Stati Uniti d’America con il fine di suggerire che il genocidio può essere accettabile. Disse nell’intervista: «Anche la grande democrazia statunitense non poté essere creata senza l’annichilazione degli indios. Ci sono casi nei quali il bene finale globale giustifica atti aggressivi e crudeli che si commettono nel corso della storia».Successivamente, fece un richiamo alla pulizia etnica dei palestinesi, dicendo: «Bisogna costruire per loro qualcosa di simile a una gabbia. So che suona terribile. E’ realmente crudele. Però non c’è altra opzione. C’è un animale selvaggio che bisogna rinchiudere in un modo o nell’altro». Le opinioni di Morris non rappresentano il consenso dentro Israele, molto meno nell’ambito internazionale e ci sono varie divisioni, punti di tensione e contraddizioni tra i gruppi di potere israeliani e transnazionali. C’è anche un crescente movimento mondiale di boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni (Bds) che fa pressione sui gruppi dominanti per arrivare a un accordo che difenda i loro propri interessi economici. Questo è un momento imprevedibile. Ci siano o no pressioni strutturali in favore del genocidio, in realtà la materializzazione del progetto di genocidio dipenderà dalla congiuntura storica della crisi, dalle condizioni politiche e ideologiche che fanno del genocidio una possibilità e un agente dello Stato con i mezzi e la volontà per attuarlo. Visibilmente a Gaza è già cominciato un genocidio al rallentatore, dove ci sono stati assedi israeliani per mesi ogni pochi anni che mietono migliaia di morti, decine di migliaia di feriti, centinaia di migliaia di profughi e tutta la popolazione privata delle condizioni basilari di vita, con l’eclatante appoggio pubblico israeliano che appoggia queste campagne. Queste condizioni generali necessarie a un progetto di genocidio sono lontane dal materializzarsi, però certamente in questo momento si stanno infiltrando. Tocca alla comunità internazionale lottare a fianco dei palestinesi e degli israeliani decenti per evitare tale risultato.(William Robinson, “La sociologia del razzismo e del genocidio, da Ferguson ai Territori Occupati”, estratto dall’articolo “L’economia politica dell’apartheid israeliano e lo spettro del genocidio”, pubblicato da “Truth-Out” il 19 agosto 2014 e tradotto da “Come Don Chisciotte”. Robinson è professore di sociologia, studi globali e latinoamericani nell’università di California a Santa Barbara. Il suo libro più recente è “Il capitalismo globale e la crisi dell’umanità”).La sociologia delle relazioni etniche/razziali identifica 3 tipi distinti di strutture razziste, ossia le relazioni strutturali tra i gruppi dominanti e le minoranze. Una è quella che è stata chiamata delle “minoranze di intermediari”. In questa struttura, il gruppo minoritario ha una relazione di mediazione tra il dominante e i gruppi subordinati. Questa è stata storicamente l’esperienza dei commercianti cinesi d’oltremare in Asia, dei libanesi e siriani nell’Africa occidentale, degli indiani nell’est Africa, dei meticci in Sudafrica e degli ebrei in Europa. Quando le “minoranze di intermediari” perdono la loro funzione mano a mano che cambiano le strutture, possono essere assorbite dal nuovo ordine o possono diventare capri espiatori, o addirittura subire un genocidio. Gli ebrei occuparono storicamente questo ruolo di “minoranza di intermediari” nell’Europa feudale e nel capitalismo in nuce. La struttura dell’Europa feudale assegnò agli ebrei certe funzioni vitali per l’espansione della società feudale europea. Queste includevano la gestione del commercio a lunga distanza e il prestito di denaro.
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L’intoccabile: scalare l’Italia in pochi anni, con l’aiuto di chi?
«Solo gli ingenui possono pensare che un boy scout di provincia, noto fra gli amici come “il Bomba” per la spiccata attitudine a spararle grosse, possa scalare il potere in un paese come l’Italia con una tale rapidità e facilità, e soprattutto da solo». A spiegarne la strepitosa arrampicata, scrive Marco Travaglio, non bastano le sue innegabili doti di coraggio, prontezza, velocità, abilità comunicativa e sintonia con la pancia del paese, dopo il faticoso ventennio berlusconiano. «Il self-made man è roba americana, non italiana. Il nostro italianissimo selfie mad man ha, dietro le spalle, robusti appoggi. La qual cosa non sarebbe affatto uno scandalo, se fosse tutto dichiarato e alla luce del sole. Purtroppo non lo è». Al “mistero” dell’ascesa di Renzi è dedicato “L’intoccabile”, l’ultimo libro-indagine di Davide Vecchi, reporter del “Fatto Quotidiano”. Punto di partenza: Matteo Renzi non è soltanto il più giovane presidente del Consiglio della storia d’Italia, davanti a Benito Mussolini. È anche il più osannato e soprattutto il più misterioso. «Nessuno sa davvero come il giovanotto di Rignano sull’Arno abbia costruito il suo sistema di relazioni e protezioni nell’attesa di metter fuori il periscopio e uscire allo scoperto».Dalla sua prima vera campagna elettorale, quella del 2003-2004 che lo portò alla presidenza della Provincia di Firenze, fino sulle poltrone di sindaco della sua città, poi segetario del Pd e infine di capo del governo. «Quando Matteo era sindaco di Firenze – scrive Travaglio su “Micromega” – l’amico Marco Carrai gli metteva gentilmente a disposizione, a titolo gratuito, un pied-à-terre in via degli Alfani, senza neppure fargli pagare l’affitto e in palese conflitto d’interessi, visti i numerosi incarichi pubblici che Carrai ricopre». Altra «affettuosa amicizia», quella col berlusconiano Denis Verdini, «che nessuno sa di preciso quando sia cominciata né perché». Il libro di Vecchi rievoca il fallimento di una società del padre, Tiziano Renzi, e l’inchiesta della Procura di Genova per bancarotta fraudolenta: «Salta fuori un groviglio di aziende che passano di mano in mano, fra soci effettivi e prestanome, e che soprattutto usano con disinvoltura contratti atipici di precariato e addirittura impiegano extracomunitari clandestini in nero, con strascichi di cause di lavoro che almeno in tre occasioni certificano violazioni dello Statuto dei lavoratori. Altro che articolo 18».Centrale, ovviamente, l’atipico rapporto con Berlusconi, ovvero «l’unico politico della “vecchia guardia” che il polemicissimo Renzi non attacca, non sfancula, non critica, non sfida, non contraria, non scontenta mai». Secondo Vecchi, il forte legame tra i due non è mediato da Verdini: «E’ diretto, profondo, antico e naturalmente misterioso», annota Travaglio. Nel libro, Vecchi risale allo zio di Renzi, Nicola Bovoli, fratello della madre di Matteo, che fu dirigente del gruppo Rizzoli e poi entrò in affari con Fininvest, «al punto da raccomandare il nipote prediletto per la famosa e fruttuosa (un bottino di 48 milioni di lire in cinque puntate) comparsata alla “Ruota della fortuna” nel 1994», condotto da Mike Bongiorno. «Poi, certo, arrivarono gli incontri ufficiali e ufficiosi: quello del 2005 fra il Caimano e il presidente della Provincia alla Prefettura di Firenze, con Verdini a fare da sensale. E quello del 2010, già con la fascia tricolore di sindaco, nella villa di Arcore: Matteo – scrive Travaglio – si credeva così furbo da riuscire a tenerlo segreto, ma a divulgarlo provvide l’entourage del Cavaliere, costringendolo a imbarazzate e imbarazzanti spiegazioni».Ora, Berlusconi e Renzi «si vedono di continuo e dappertutto: dal Nazareno a Palazzo Chigi, senza neppure nascondersi». Il Cavaliere «considera Matteo il suo unico erede: populista, bugiardo e gattopardesco», infatti «ne fiancheggia con entusiasmo e spudoratezza il governo (che peraltro completa la sua opera lasciata a metà)», compreso il sogno del “partito unico della nazione”. «Basta il fatto che lo Spregiudicato di Rignano abbia sdoganato il Pregiudicato di Arcore a spiegare tanta corrispondenza di amorosi sensi? O c’è qualcosa nel loro passato che dobbiamo ancora scoprire?». Una pista americana, per esempio: «Che ci faceva un uomo delle operazioni riservate Cia come Michael Ledeen al matrimonio di Carrai, in mezzo a banchieri, prelati, alti magistrati, imprenditori, nobiluomini, giornalisti, editori, top manager, finanzieri, faccendieri, oltre naturalmente a Matteo, premier e testimone dello sposo, impegnato proprio in quei giorni a dipingersi come vittima inerme e piagnucolante dei “poteri forti”?». Domanda fondamentale: «Oltre alla squadra di governo che tutti purtroppo vediamo, formata da ragazzotti e fanciulle tanto mediocri e ignoranti quanto pretenziosi e arroganti, ce n’è un’altra che dirige il traffico da dietro le quinte?».(Il libro: Davide Vecchi, “L’intoccabile. Matteo Renzi, la vera storia”, Chiarelettere, 188 pagine, euro 13,90).«Solo gli ingenui possono pensare che un boy scout di provincia, noto fra gli amici come “il Bomba” per la spiccata attitudine a spararle grosse, possa scalare il potere in un paese come l’Italia con una tale rapidità e facilità, e soprattutto da solo». A spiegarne la strepitosa arrampicata, scrive Marco Travaglio, non bastano le sue innegabili doti di coraggio, prontezza, velocità, abilità comunicativa e sintonia con la pancia del paese, dopo il faticoso ventennio berlusconiano. «Il self-made man è roba americana, non italiana. Il nostro italianissimo selfie mad man ha, dietro le spalle, robusti appoggi. La qual cosa non sarebbe affatto uno scandalo, se fosse tutto dichiarato e alla luce del sole. Purtroppo non lo è». Al “mistero” dell’ascesa di Renzi è dedicato “L’intoccabile”, l’ultimo libro-indagine di Davide Vecchi, reporter del “Fatto Quotidiano”. Punto di partenza: Matteo Renzi non è soltanto il più giovane presidente del Consiglio della storia d’Italia, davanti a Benito Mussolini. È anche il più osannato e soprattutto il più misterioso. «Nessuno sa davvero come il giovanotto di Rignano sull’Arno abbia costruito il suo sistema di relazioni e protezioni nell’attesa di metter fuori il periscopio e uscire allo scoperto».
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Magaldi: super-fratelli d’Italia, élite occulta del vero potere
Esistono i massoni e i supermassoni, le logge e le superlogge. Lo rivela Gioele Magaldi, quarantenne “libero muratore” di matrice progressista, nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere, editrice che figura tra gli azionisti del “Fatto Quotidiano”. Proprio sul “Fatto”, Gianni Barbacetto e Fabrizio D’Esposito presentano l’operazione editoriale, soffermandosi sul sottititolo dell’opera di Magaldi, basata su documenti custoditi a Londra, Parigi e New York: “La scoperta delle Ur-Lodges”. Magaldi, che anni fa ha fondato in Italia il Grande Oriente Democratico in polemica con il Goi (Grande Oriente d’Italia, la più grande obbedienza massonica del nostro paese), in 656 pagine apre ai profani un mondo segreto e invisibile: «Tutto quello che accade di importante e decisivo nel potere è da ricondurre a una cupola di superlogge sovranazionali, le Ur-Lodges, appunto, che vantano l’affiliazione di presidenti, banchieri, industriali. Non sfugge nessuno a questi cenacoli. Le Ur-Lodges citate sono 36 e si dividono tra progressiste e conservatrici, e da loro dipendono le associazioni paramassoniche tipo la Trilateral Commission o il Bilderberg Group. Altra cosa infine sono le varie gran logge nazionali, ma queste nel racconto del libro occupano un ruolo marginalissimo. Tranne in un caso, quello della P2 del Venerabile Licio Gelli».Laura Maragnani, giornalista di “Panorama” che ha collaborato con Magaldi e scrivendo anche una lunga prefazione, spiega che il libro è frutto di un lavoro durato quattro anni, nei quali Magaldi ha consultato gli archivi di varie Ur-Lodges. Tuttavia, come scrive l’editore nella nota iniziale, in caso di “contestazioni” Magaldi si impegna a rendere pubblici gli atti segreti, depositati in studi legali in Europa e negli Usa. «Tra le superlogge progressiste – premette il “Fatto” – la più antica e prestigiosa è la Thomas Paine (cui è stato iniziato lo stesso Magaldi) mentre tra le neoaristocratiche e oligarchiche, vero fulcro del volume, si segnalano la Edmund Burke, la Compass Star-Rose, la Leviathan, la Three Eyes, la White Eagle, la Hathor Pentalpha». Tutto il potere del mondo sarebbe contenuto in queste Ur-Lodges. E persino i vertici della fu Unione Sovietica, da Lenin a Breznev, sarebbero stati superfratelli di una loggia conservatrice, la Joseph de Maistre, creata in Svizzera proprio da Lenin. «Può sembrare una contraddizione, un paradosso, ma nella commedia delle apparenze e dei doppi e tripli giochi dei grembiulini può finire che il più grande rivoluzionario comunista della storia fondi un cenacolo in onore di un caposaldo del pensiero reazionario».In questo filone, secondo Magaldi, s’inserisce pure l’iniziazione alla Three Eyes, a lungo la più potente Ur-Lodges conservatrice, di Giorgio Napolitano, attuale presidente della Repubblica e per mezzo secolo esponente di punta della destra del Pci: «Tale affiliazione avvenne nello stesso anno il 1978, nel quale divenne apprendista muratore Silvio Berlusconi», scrive Magaldi. «E mentre Berlusconi venne iniziato a Roma in seno alla P2 guidata da Licio Gelli nel gennaio, Napolitano fu cooptato dalla prestigiosa Ur-Lodge sovranazionale denominata Three Architects o Three Eyes appunto nell’aprile del 1978, nel corso del suo primo viaggio negli Stati Uniti». Più tardi, Berlusconi avrebbe poi creato una sua Ur-Lodge, la Loggia del Drago. Altri affiliati eccellenti, sempre secondo Magaldi, sarebbero Papa Giovanni XXIII, Bin Laden e l’Isis, Martin Luther King e i Kennedy. «C’è da aggiungere, dettaglio fondamentale, che nel libro di Magaldi la P2 gelliana è figlia dei progetti della stessa Three Eyes, quando dopo il ‘68 e il doppio assassinio di Martin Luther King e Robert Kennedy, le superlogge conservatrici vanno all’attacco con una strategia universale di destabilizzazione per favorire svolte autoritarie e un controllo più generale delle democrazie», osservano Barbacetto e D’Esposito.La tesi: il vero potere è massone. E, descritto nelle pagine di Magaldi, «spaventa e fa rizzare i capelli in testa». Dal fascismo al nazismo, dai colonnelli in Grecia alla tecnocrazia dell’Ue, tutto sarebbe venuto fuori dagli esperimenti di questi superlaboratori massonici: persino il “papa buono”, Giovanni XXIII (“il primo papa massone”), Osama Bin Laden e il più recente fenomeno dell’Isis. «In Italia, se abbiamo evitato tre colpi di Stato avallati da Kissinger lo dobbiamo a Schlesinger jr., massone progressista». Nell’elenco di tutti gli italiani attuali spiccano D’Alema, Passera e Padoan. Il capitolo finale è un colloquio tra Magaldi e altri confratelli collaboratori con quattro supermassoni delle Ur-Lodges. Racconta uno di loro, a proposito del patto unitario tra grembiulini per la globalizzazione: «Ma per far inghiottire simili riforme idiote e antipopolari alla cittadinanza, la devi spaventare come si fa con i bambini. Altrimenti gli italiani, se non fossero stati dei bambinoni deficienti, non avrebbero accolto con le fanfare i tre commissari dissimulati che abbiamo inviato loro in successione: il fratello Mario Monti, il parafratello Enrico Letta, l’aspirante fratello Matteo Renzi».Per non parlare del “venerabilissimo” Mario Draghi, governatore della Bce, affiliato a ben cinque superlogge. Secondo Magaldi, Draghi sarebbe peraltro in ottima compagnia. Le Ur-Lodges, infatti, sarebbero gremite di italiani importanti. Come l’ex banchiere centrale e poi ministro Fabrizio Saccomanni, l’industriale Gianfelice Rocca (Techint), l’economista e già ministro Domenico Siniscalco, Giuseppe Recchi (Eni, Exor, Confindustria), Marta Dassù (Aspen Institute, già sottosegretario agli esteri). E poi l’attuale governatore di Bankitalia Ignazio Visco, il banchiere Enrico Tommaso Cucchiani (Intesa Sanpaolo), Alfredo Ambrosetti (patron del summit di Cernobbio), l’ex presidente confindustriale Emma Marcegaglia. E infine il banchiere Matteo Arpe (Lehman Brothers, Capitalia), l’ex ministro Vittorio Grilli (ora Jp Morgan), l’ammiraglio Giampaolo Di Paola (marina militare) e Federica Guidi, ministro dello sviluppo economico del governo Renzi. Ma fino a ieri il dominus della vita italiana non era un certo Berlusconi? In attesa di conferme o smentite, se non altro, il libro di Magaldi contribuisce a dare un volto preciso ai componenti dell’élite: un affollatissimo ritratto di famiglia.(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Esistono i massoni e i supermassoni, le logge e le superlogge. Lo rivela Gioele Magaldi, quarantenne “libero muratore” di matrice progressista, nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere, editrice che figura tra gli azionisti del “Fatto Quotidiano”. Proprio sul “Fatto”, Gianni Barbacetto e Fabrizio D’Esposito presentano l’operazione editoriale, soffermandosi sul sottititolo dell’opera di Magaldi, basata su documenti custoditi a Londra, Parigi e New York: “La scoperta delle Ur-Lodges”. Magaldi, che anni fa ha fondato in Italia il Grande Oriente Democratico in polemica con il Goi (Grande Oriente d’Italia, la più grande obbedienza massonica del nostro paese), in 656 pagine apre ai profani un mondo segreto e invisibile: «Tutto quello che accade di importante e decisivo nel potere è da ricondurre a una cupola di superlogge sovranazionali, le Ur-Lodges, appunto, che vantano l’affiliazione di presidenti, banchieri, industriali. Non sfugge nessuno a questi cenacoli. Le Ur-Lodges citate sono 36 e si dividono tra progressiste e conservatrici, e da loro dipendono le associazioni paramassoniche tipo la Trilateral Commission o il Bilderberg Group. Altra cosa infine sono le varie gran logge nazionali, ma queste nel racconto del libro occupano un ruolo marginalissimo. Tranne in un caso, quello della P2 del Venerabile Licio Gelli».