Archivio del Tag ‘Versilia’
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Giannini: alzare l’Iva è folle, meglio tassare i super-ricchi
Non so se vi siete resi conto dell’assurdità insita nel meccanismo delle clausole di salvaguardia dell’Iva: se un paese non ha i conti a posto significa che non è cresciuto abbastanza; e in quel caso che cosa non dovrebbe fare l’Unione Monetaria Europea? Fargli alzare l’Iva. Questa imposta, infatti, è una tassa recessiva perché comprime i consumi, che sono il fattore che genera crescita (Pil): se un paese cresce poco, aumentando l’Iva finisce per crescere ancora meno e l’anno successivo sarà messo ancor peggio. Che senso ha, quindi? Nessuno, al massimo quello di renderlo ancor meno competitivo. Visto che accenniamo alla competitività, da questo punto di vista è essenziale un tasso maggiore di meritocrazia nella pubblica amministrazione, visto che i dipendenti incapaci provocano disservizi che ci rendono una nazione scarsamente attrattiva per gli investimenti, una criticità che si affronta non nell’immediato. E se nell’immediato dovessimo rastrellare diversi miliardi?In questo caso è controproducente ridurre il potere di acquisto delle famiglie (dipendenti, piccole imprese) perché spendono i loro stipendi/profitti entro la fine del mese, mentre è auspicabile incidere una tantum su quei tesoretti che, anziché circolare e così generare consumi, Pil e occupazione, se ne stanno fermi nelle tasche di pochi, cioè fermi in banca. Perché, quando si parla di patrimoniali o di tasse, non si scomoda mai quel 10% di italiani che possiede circa la metà della ricchezza nazionale? Una patrimoniale una tantum su queste fascia non scandalizzerebbe nessuno. Questo 10% per caso finanzia i tentacoli di qualche partito importante? Trovo estremamente grave che l’attuale ministro dell’economia Gualtieri, a prescindere dal discorso delle clausole europee, avesse auspicato un aumento selettivo dell’Iva per scelta governativa (in aggiunta peraltro ai prossimi aumenti dei costi delle bollette). Per fortuna questo suo intento pare sia stato scongiurato.(Marco Giannini, “Qualsiasi aumento dell’Iva è uno scandalo”, intervento datato 1° ottobre 2019. Antropologo versiliese già vicino al Movimento 5 Stelle, nel 2015 Giannini ha pubblicato il saggio “Il neoliberismo che sterminò la mia generazione”, edito da Andromeda, contenente autorevoli prefazioni tra cui quella di Anna Maria Variato, economista dell’università di Bergamo. Il libro è stato citato tra gli altri da Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni. «Mi hanno citato più i neoliberisti che i presunti keynesiani, troppo intenti a occupare spazi mediatici», dice l’autore, che nel 2017 è uscito dall’orbita grillina in polemica con il tentato trasloco del gruppo europarlamentare tra gli ultra-euristi dell’Alde, il gruppo di Guy Verhofstadt in cui militava Mario Monti. Giannini è stato tra i primi, nel 2013, a denunciare il legame tra banca d’affari Jp Morgan e lo stravolgimento della Costituzione italiana – Fiscal Compact, pareggio di bilancio – attuato proprio da Monti, Berlusconi e Bersani. «Destra e sinistra? Meglio “cittadini contro lobby”»).Non so se vi siete resi conto dell’assurdità insita nel meccanismo delle clausole di salvaguardia dell’Iva: se un paese non ha i conti a posto significa che non è cresciuto abbastanza; e in quel caso che cosa non dovrebbe fare l’Unione Monetaria Europea? Fargli alzare l’Iva. Questa imposta, infatti, è una tassa recessiva perché comprime i consumi, che sono il fattore che genera crescita (Pil): se un paese cresce poco, aumentando l’Iva finisce per crescere ancora meno e l’anno successivo sarà messo ancor peggio. Che senso ha, quindi? Nessuno, al massimo quello di renderlo ancor meno competitivo. Visto che accenniamo alla competitività, da questo punto di vista è essenziale un tasso maggiore di meritocrazia nella pubblica amministrazione, visto che i dipendenti incapaci provocano disservizi che ci rendono una nazione scarsamente attrattiva per gli investimenti, una criticità che si affronta non nell’immediato. E se nell’immediato dovessimo rastrellare diversi miliardi?
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Subdolo 5G: infame strage di alberi in tutte le città italiane
Da quando ho iniziato a interessarmi del 5G, ho scoperto che vi sono non uno, ma due aspetti preoccupanti, di questa nuova tecnologia. Il primo è quello che riguarda la salute: mentre si sta procedendo con grande fretta alla commercializzazione della nuova “Rete dei miracoli”, infatti, nessun serio studio scientifico è stato fatto sulle conseguenze che potrebbe comportare quest’irradiazione, ormai onnipresente, sugli esseri umani. Fra poco ci troveremo letteralmente sommersi da un mare di microonde, con antenne piazzate ogni 500 metri nelle grandi città, e magari solo fra dieci o vent’anni potremo sapere quali saranno state le reali conseguenze sulla nostra salute. Ma di questo argomento ci occuperemo in un altro video, che sto preparando. Nel frattempo, vorrei portare alla vostra attenzione un secondo problema, che non è da meno: riguarda la distruzione selvaggia e sistematica dei nostri alberi. A quanto pare, infatti, gli alberi – soprattutto quelli più alti – impediscono una buona irradiazione del segnale 5G. E quindi li stanno togliendo di mezzo, in tutta Italia, con delle giustificazioni decisamente ridicole. Un paio di mesi fa mi ero accorto che, dalle mie parti, avevano tagliato in modo abominevole dei bellissimi viali alberati, e ho cominciato a chiedere in giro quale fosse il motivo. Ma nessuno mi sapeva dare una risposta, al punto che ho iniziato a sospettare che ci fosse di mezzo il 5G.Allora ho chiesto agli ascoltatori di “Border Nights” di segnalarmi se anche dalle loro parti si fossero registrati degli abbattimenti ingiustificati di alberi: e mi è arrivata, letteralmente, una caterva di segnalazioni. Nel frattempo, però, i “debunker” hanno già messo le mani avanti, cercando di smentire quest’idea che gli alberi vengano tagliati per fare strada al 5G. “Butac”, uno dei siti classici di “debunking”, ha pubblicato un articolo nel quale cerca di smentire questa ipotesi. A questo giro – scrive “Butac” – si parla di alberi abbattuti perché, secondo la tesi di “TerraRealTime” (il sito che per primo ha denunciato il taglio indiscriminato degli alberi) sarebbero un problema per la diffusione del segnale. «Ma si tratta dell’ennesima sciocchezza antiscientifica sostenuta solo e unicamente per spaventarvi, e magari convincervi a comperare un cappellino contro l’elettrosmog». Ora, “Butac”: a parte che qui nessuno vende cappellini (stiamo solo cercando di proteggere la nostra ricchezza naturale, casomai), ma il fatto che gli alberi rappresentino un ostacolo praticamente insormontabile, per il 5G, ormai è un dato accertato. Lo confermano, ad esempio, due documenti ufficiali del governo inglese: li ha pubblicati l’Ordnance Survey, l’ufficio che si occupa della mappatura del territorio. Uno si intitola “Pianificazione 5G, considerazioni geo-spaziali – una guida per i pianificatori e le autorità locali”. L’altro si intitola: “L’effetto delle costruzioni e dell’ambiente naturale sulle onde radio millimetriche”, ovvero il 5G.Da questi documenti leggiamo: «Vegetazione e edifici: i risultati presentati in questo rapporto dimostrano che gli oggetti della vegetazione, ovvero alberi e arbusti con un denso fogliame, provocano un disturbo nella propagazione del segnale oltre i 6 Ghz». Ci sono delle considerazioni generali: gli alberi di oltre 3 metri sono messi nel gruppo che “andrebbe” preso in considerazione (“should do”), mentre gli alberi oltre i 5 metri sono nel gruppo del “must do”, ovvero quelli che “bisogna” prendere in considerazione. Più sotto, c’è la spiegazione: “should do” sono «oggetti che vale la pena considerare durante le rilevazioni»; “must do” significa invece che questi oggetti «avranno un impatto significativo nella propagazione del segnale delle microonde millimetriche», e che quindi «vanno assolutamente presi in considerazione durante i rilevamenti». Il documento, poi, presenta diversi esempi pratici, illustrati con fotografie. Indicando uno stadio, dice: «Questa zona ha due aspetti interessanti, che dovrebbero essere presi in considerazione come ostacoli potenziali per le trasmissioni». Il primo: «Le torri di supporto all’esterno dello stadio, che sono fatte con una complessa struttura di acciaio». Il secondo: «La passeggiata sulla sinistra, che è adornata di alberi che possono bloccare i segnali in partenza dalla struttura dello stadio».Un altro esempio, sempre in foto, dice: «Qui viene mostrata una zona a intenso traffico pedonale, vicina ad un lampione candidato all’utilizzo del 5G». Due aspetti sono la prendere in considerazione: «Gli alberi caduchi, che possono causare un degrado limitato del segnale nei mesi invernali, mentre in estate – con le foglie – potrebbero avere un effetto significativo» (il secondo ostacolo è il viadotto che sovrasta l’area pedonale). Poi il rapporto mostra invece una situazione positiva, per loro: «La vista aerea del grande centro commerciale mostra grandi spazi aperti, con pochissimi elementi in grado di bloccare il segnale 5G: c’è soltanto un piccolo numero di alberi accanto al parcheggio». Quindi, evviva le zone con pochi alberi: per noi vanno molto meglio, dice il documento. Altro esempio, viale alberato: «In questa strada residenziale c’è una grande quantità di alberi, che bloccano chiaramente il percorso per le antenne che potrebbero venir collocate sui lampioni». Quindi, cosa si fa? Si buttano giù gli alberi, semplice.Guardate ora gli articoli che mi sono stati mandati dagli ascoltatori di “Border Nights”:poi decidete voi se c’entrano qualcosa, oppure no. Vi dico solo una cosa: sono quasi tutti articoli del 2018-2019, quindi molto recenti. E quasi sempre viene data una spiegazione risibile, per il taglio degli alberi. Ovvero: risultano di colpo tutti malati; oppure ti dicono che ne pianteranno degli altri, più bassi; oppure ti dicono che sono diventati, improvvisamente, tutti pericolosi. Cioè: alberi secolari, che sono lì da più di cento anni, di colpo diventano una minaccia per la popolazione. Di fatto, mi ha scritto una persona che si occupa di installazioni 5G. E mi ha detto che, in effetti, moltissimi sindaci e amministratori locali vengono spaventati, con l’idea di poter essere ritenuti responsabili per eventuali danni causati dalla caduta degli alberi, e quindi – non appena gli si suggerisce di tagliarli – accettano subito (spesso senza il nulla-osta delle autorità che dovrebbero salvaguardare il verde pubblico).Guardate quello che sta succedendo, in Italia. Palermo: “Il Comune si prepara ad abbattere 200 alberi di pino, decisione folle”. Montesilvano, provincia di Pescara: “Taglio indiscriminato degli alberi sani”. Pescara: “La guerra degli alberi tagliati in nome della sicurezza”. Poggibonsi, provincia di Siena: “Scempi chiamati riqualificazioni”. Prato, viale Montegrappa: “Polemiche sugli alberi tagliati”, Ravenna: “Pini abbattuti in via Maggiore”. Roma: “Dal 2016 abbattuti 9.111 alberi – mille spariti in centro, è polemica”. Rovereto: “Abbattuti gli alberi fra le proteste”. Ancora Roma: “Abbattuti 450 alberi malati, ma i nuovi saranno alti solo 3 metri”. Guarda che coincidenza: ricordate il “should do” e il “must do”? Salerno, Nocera Inferiore: “Cosa si cela dietro l’abbattimento dei pini?”. Ancora Salerno: “Abbattimento degli alberi in via Rebecca Guarna”. San Terenzo, provincia di La Spezia: “Piazza Brusacà saluta i suoi pini”. Provincia di Teramo: “Nuove proteste contro l’abbattimento degli alberi della strada provinciale 259”. Terni: “Repulisti di pini, scattata l’operazione per l’abbattimento di 44 alberi”. Trapani: “Taglio alberi a Paceco, il comitato Pro-Eritrine protesta col sindaco”. Trevignano, sul Lago di Bracciano: “Abbattuti pini sani di 70 anni per rifare le strade”. Treviso: “Tagliati altri 87 alberi perché sono malati”. Certo, perché gli alberi si ammalano tutti insieme, 87 per volta.Ancora Treviso: “Non tagliate gli alberi, i residenti insorgono”. Udine: “Via Pieri, iniziato l’abbattimento degli alberi”. Verona: “Centinaia di alberi da abbattere per realizzare il nuovo filobus”. Giustamente, dice il commento: «Il trasporto pubblico e la mobilità sono essenziali, ma non a qualsiasi prezzo, e non con questi metodi». Sempre a Verona: “Nuovo taglio di alberi a Verona Sud: a chi giova?”. Ancora Verona: “Lungoadige San Giorgio, tagliati 21 alberi”. Viareggio: “Abbattimento alberi, presidio al cavalcavia”. Regione Abruzzo, Parco Sirente: “Il pasticcio degli alberi tagliati”. Agrigento: “Taglio degli alberi alla Villa Bonfiglio, la Soprintendenza vuole chiarezza”. Sempre ad Agrigento: “Alberi capitozzati, l’assessore sospetta che sia stato iniettato veleno in alcuni pini”. Anagni: “Potatura fuori stagione, inervento drastico di capitozzatura in piena germogliazione, che lascia perplessi”. Ancona: “Abbattuti gli alberi sul viale, giù i frassini fra le proteste”. Avezzano, in Abruzzo: “Taglio degli alberi a piazza Torlonia, più della metà erano pericolosi”. Ovviamente, gli alberi sono diventati – di colpo – il pericolo pubblico numero uno, in Italia.Provincia di Bari: “Scempio sugli alberi a Pane e Pomodoro”, che è la famosa spiaggia barese. Benevento: “Taglio dei pini, piante a rischio caduta estremo”. Biella: “Alberi abbattuti, Legambiente contro le amministrazioni comunali”. Sempre in provincia di Biella: “Deturpata la strada dei pellegrini, è caos dopo il taglio di 200 alberi”. Marina di Carrara, Vittorio Sgarbi difende i pini: “Barbarie, denuncio tutto”. Catania: “Proteggere l’ambiente, scatta la protesta per gli alberi capitozzati”. A me, più che capitozzati, questi sembrano segati alla base. Marina di Cerveteri: “Gli alberi ostacolano il 5G”. Chiaravalle, nelle Marche: “Abbattono i pini storici, proteste e manifestazioni in largo Oberdan”. Crema: “Il caso degli alberi tagliati in via Bacchetta”. Si veda il prima e il dopo: che squallore. Provincia di Faenza: “Brisighella, 513 alberi abbattuti”. Sempre a Faenza: “Via all’abbattimento di 520 alberi in città”. Lido Scacchi, in provincia di Ferrara: “Forza Italia chiede spiegazioni sugli alberi tagliati”. Firenze: “Proseguono gli abbattimenti, alberi tagliati in piazza Indipendenza”. Sempre a Firenze: “Strage di alberi a Porta al Prato, ma erano tutti sani. Il Comune dice: una ditta ha danneggiato le radici”. Certo, ha danneggiato le radici non di uno, ma di tutti gli alberi in un colpo solo, come no…Ancora a Firenze: “Tagliati tutti i pini in viale Guidoni, idem in viale Morgagni: de profundis per gli alberi abbattuti”. Piana Fiorentina: “Il taglio dei tigli, una decisione del Comune”. Foggia: “In via Napoli uno scempio, presentato esposto contro il taglio di 101 pini”. Provincia di Grosseto: “Tagliati 30 ettari di bosco nella Riserva del Farma, l’esperto: è un disastro”. Sempre a Grosseto: “Taglio degli alberi in città, 1.640 cittadini protestano”. Ancora a Grosseto: “Stop al taglio degli alberi, è uno scempio”. Provincia dell’Aquila: “Tagliati gli storici alberi dell’Altopiano delle 5 Miglia”. Molfetta: “Quartiere San Domenico sotto shock: tagliato l’Albero della Vita, ancora ignote le motivazioni”. Napoli, quartiere del Virgiliano: “Strage di pini, oltre 100 saranno abbattuti”. Novara: “Via libera all’abbattimento di 32 aceri”. Como: “Faggi abbattuti al liceo Giovio, sale la protesta; la Provincia dice: ragioni di sicurezza”. Certo, come no: alberi che sono lì da cento anni e, adesso che arriva il 5G, diventano di colpo pericolosi.E’ sempre la stessa scusa, fra l’altro. Guardate: “Garbagnate, Natale senza pini: verranno abbattuti; potrebbero diventare pericolosi, col passare del tempo, per la cittadinanza”. Quindi siamo addirittura al taglio preventivo, precauzionale. Campoformido, provincia di Udine: “Proteste per il taglio dei pini marittimi in piazza a Basaldella; procede la riqualificazione del centro”. Certo, perché adesso “distruggere” si dice “riqualificare” (la neolingua imperversa). Lecco: “Alberi abbattuti sul lungolago, le piante possono rigenerarsi”. Certo, magari fra vent’anni ricrescono anche; nel frattempo tu hai piazzato le tue belle antennine 5G da tutte le parti. Este, in provincia di Padova: “Alberi tagliati senza motivo, delitto contro la natura”. Piacenza: “Alberi tagliati senza motivo, uno scempio”. Ancora a Roma, al Salario: “Alberi tagliati senza motivo”. Ferrara: “Continua il massacro degli alberi lungo la statale 16”.Ragazzi, è pazzesco quello che stanno facendo. Due o tre di questi casi potrebbero anche essere situazioni in cui davvero gli alberi vanno tagliati, ma qui stanno facendo una carneficina: qui siamo di fronte a un abbattimento sistematico degli alberi in tutto il paese. E il fatto è che sono molto furbi, perché lo fanno a livello locale, senza fare rumore. Lo fanno cittadina per cittadina, contando sul fatto che una comunità non sa quello che succede in quella accanto. Se non ci fosse stato questo contributo, da parte degli ascoltatori di “Border Nights”, ciascuno avrebbe continuato a pensare che magari era solo un problema loro. E nel frattempo, questa gente sta devastando le risorse naturali dell’intero paese. Io non so cosa dirvi, ragazzi. Mi auguro però che vogliate organizzarvi, sia a livello locale che regionale, perché qui vanno presi i sindaci, uno per uno, con nomi e cognomi, e vanno messi di fronte alle loro responsabilità. Non è possibile che il nostro paese venga devastato in questo modo, senza che nessuno faccia niente. E se aspettiamo che intervengano i nostri politici da Roma stiamo freschi: quelli son troppo impegnati a conservare il proprio stipendio, la loro poltroncina, per preoccuparsi dei problemi reali. E anche tu, “Butac”, e tutti gli altri “debunker”: invece di scrivere scemenze, datevi da fare. Qui non c’entrano le questioni ideologiche: la natura è di tutti, anche vostra.(Massimo Mazzucco, “G5, la strage degli alberi”, video pubblicato su “Luogo Comune” l’8 luglio 2019. L’autore, al termine del filmato, annuncia che a questa prima indagine sul taglio degli alberi seguirà uno studio per vedere più da vicino quelli che possono essere i rischi effettivi dell’impatto della rete 5G sulla nostra salute).Da quando ho iniziato a interessarmi del 5G, ho scoperto che vi sono non uno, ma due aspetti preoccupanti, di questa nuova tecnologia. Il primo è quello che riguarda la salute: mentre si sta procedendo con grande fretta alla commercializzazione della nuova “Rete dei miracoli”, infatti, nessun serio studio scientifico è stato fatto sulle conseguenze che potrebbe comportare quest’irradiazione, ormai onnipresente, sugli esseri umani. Fra poco ci troveremo letteralmente sommersi da un mare di microonde, con antenne piazzate ogni 500 metri nelle grandi città, e magari solo fra dieci o vent’anni potremo sapere quali saranno state le reali conseguenze sulla nostra salute. Ma di questo argomento ci occuperemo in un altro video, che sto preparando. Nel frattempo, vorrei portare alla vostra attenzione un secondo problema, che non è da meno: riguarda la distruzione selvaggia e sistematica dei nostri alberi. A quanto pare, infatti, gli alberi – soprattutto quelli più alti – impediscono una buona irradiazione del segnale 5G. E quindi li stanno togliendo di mezzo, in tutta Italia, con delle giustificazioni decisamente ridicole. Un paio di mesi fa mi ero accorto che, dalle mie parti, avevano tagliato in modo abominevole dei bellissimi viali alberati, e ho cominciato a chiedere in giro quale fosse il motivo. Ma nessuno mi sapeva dare una risposta, al punto che ho iniziato a sospettare che ci fosse di mezzo il 5G.
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Giuttari: morto Chelazzi, silenzio sui mandanti delle stragi
Gabriele Chelazzi era il titolare dell’inchiesta sulle stragi di mafia del ‘93: a Firenze il 27 maggio ‘93, a Roma e Milano quasi in concomitanza, nella notte tra il 27 e il 28 luglio del ‘93. E il 14 aprile, sempre del ‘93, l’attentato di via Fauro a Roma, ai danni di Maurizio Costanzo. Io ho avuto il piacere e l’onore di collaborare con Chelazzi per questa inchiesta sulle stragi, in veste di responsabile del settore investigativo del centro Dia di Firenze, prima di assumere l’incarico di capo della Mobile. Gabriele Chelazzi era alla Procura nazionale antimafia con Vigna a Roma, ma aggregato a Firenze per continuare le indagini sui possibili mandanti delle stragi di mafia. Viveva a Roma in una caserma della Finanza, e una mattina la scorta lo trova morto. Aveva 56 anni. E sul comodino trovano una lettera, che lui aveva scritto nella notte, indirizzata al procuratore capo di Firenze (Ubaldo Nannucci), nella quale lamentava di esser stato lasciato solo, di sentirsi isolato. E’ morto. A me piace, quando ne ho la possibilità, ricordare questo magistrato. La società civile gli deve tantissimo. E’ il magistrato che, poco prima che morisse, per primo andò nella sede dei servizi segreti, a Roma, a sequestrare quelle carte che son tornate alla ribalta alla vigilia dell’interrogatorio del presidente della Repubblica, Napolitano, sulla trattativa mafia-Stato.Lui è stato il primo: magistrato serio. Ebbene, è morto. E quell’indagine sui possibili mandanti delle stragi dei mafia? S’è sentito più niente? Niente, come sui possibili mandanti dei delitti fiorentini (del “Mostro”). Non si sa più nulla. Grandissimo magistrato, Chelazzi. Purtroppo i migliori se ne vanno – nei momenti meno opportuni, peraltro. E’ vero che nessuno è indispensabile, ma ci sono anche le eccezioni: alcuni sono davvero indispensabili. Gabriele, per questa vicenda delle stragi di mafia, era insostituibile: hanno continuato, due suoi colleghi, ma non s’è risolto nulla. Era insostibuibile – per la conoscenza che ormai aveva acquisito, per la sua capacità, la sua professionalità. E quindi ci sono, le eccezioni. Mi piacere ricordarlo, questo magistrato, di cui l’opinione pubblica non sa nulla. Perché ha sempre lavorato in sordina, ha saputo fare il suo dovere. E con lui instaurai un bellissimo rapporto, perché fui mandato alla Dia di Firenze (dalla Dia di Napoli) proprio per collaborare all’inchiesta sulla strage di via dei Georgofili. Indagavano la Digos e i carabinieri, però la Dia – organismo antimafia – non aveva delega. Allora, arrivato a Firenze, mi metto a esaminare gli atti, compresi quelli della Dia di Roma per la cattura di latitanti di Cosa Nostra in Versilia, e trovo un elemento che mi incuriosisce: un contatto telefonico 24 ore prima dell’attentato, a Firenze, tra l’allora sconosciuto Gaspare Spatuzza e il titolare di una ditta palermitana di trasporti.Io arrivo a Firenze, alla Dia, il 5 dicembre ‘93, quindi sei mesi dopo l’attentato di via dei Georgofili. La mia attività di analisi si protrae fino al 28 febbraio, quando porto la mia nota al pm Gabriele Chelazzi, che conosco in quella circostanza. Mi presento con l’esito dell’attività svolta e, nello stesso tempo, con delle proposte investigative – perché io ho sempre inteso in un certo modo l’operato dell’investigatore: non deve appiattirsi sulle posizioni del pubblico ministero, aspettando le deleghe, ma deve essere anche propositivo, creativo, e deve manifestare le proprie idee. Per me, l’ufficiale della polizia giudiziaria – della polizia, dei carabinieri – deve essere il centro motore della vera indagine. Così a Chelazzi ho portato anche proposte investigative, chiedendo delle deleghe. Bene, ho ancora presente questo magistrato: mentre legge la mia nota, annuisce. Alla fine mi dice: «Ipotesi interessante, però noi stiamo seguendo un’altra pista, con la Digos. Le farò sapere, ne devo parlare con Vigna», che era il suo capo. Mi chiama dopo neppure 48 ore e mi dà le deleghe, poi io ne chiedo altre e, insomma, il lavoro di sviluppa. Per farla breve: con questa pista, abbiamo identificato 28 mafiosi, poi risultati colpevoli di tutti i quattro attentati del ‘92-93 a Firenze, Milano e Roma – tra cui Bagarella, Riina, i fraelli Graviano.Da un dettaglio che già c’era, negli atti, ma non era stato letto nella maniera giusta, si è riusciti a individuare i covi di questi latitanti, cioè i luoghi dove avevano preparato le autombombe poi fatte esplodere – due alloggi a Roma e una villetta a Fiano Romano: covi in cui quei latitanti palermitani avevano preparato gli ordigni, dopo aver portato l’esplosivo a Roma. E mi ricordo che, in queste perquisizioni, venne anche Chelazzi. Guardate che un pm, in una perquizione, non lo vedete mai. Chelazzi è venuto, e ha fatto intervenire la scientifica con un’apparecchiatura, l’Egis, per il rilevamento di tracce di esplosivo. E in tutti quei posti, infatti, abbiamo trovato tracce di contaminazione dello stesso esplosivo utilizzato negli attentati: ecco il risultato scientifico che a va a coniugarsi con i risultati delle indagini classiche, tradizionali. Questa è la vera attività investigativa – oggi invece si parte dalla scienza, per trovare il Dna, ma non si arriva mai a una certezza sul colpevole. Ecco, quel magistrato è venuto addirittura a coordinare l’attività di perquisizione sul posto – figura rara.Sempre indagando sui covi, abbiamo trovato anche la villa di Forte dei Marmi (presa in affitto per tre mesi, nel ‘93, da un prestanome dei fratelli Graviano, per 25 milioni di lire, in contanti) dove qui mafiosi avevano trascorso parte della latitanza, insieme a un altro grosso personaggio, oggi indicato come l’imprendibile primula rossa e nuovo capo di Cosa Nostra: Matteo Messina Denaro. Fu un’attività di investigazione “pura”, tradizionale, senza il contributo di pentiti – i pentiti sono intervenuti dopo la loro cattura, a dare conferme e ad ampliare l’orizzonte investigativo, però sono tutti frutti dell’investigazione “pura” (così l’ho definita, in un libro scritto per l’Università di Pisa). E la pista che stava seguendo la Digos di Firenze prima che intervenissi io, come funzionario Dia (tre giovani parlemitani, riconducibili a un’area mafiosa, che avevano dormito in un albergo di via Scala la notte dell’attentato) non era una pista fondata. E allora mi chiedo: se avessero continuato su quella pista, magari avremmo avuto una condanna in primo grado e un’assoluzione in appello, senza una vera certezza giurisprudenziale. Certezza che invece abbiamo avuto con la condanna definitiva dei 28 mafiosi, in appena quattro anni. E’ stata l’unica volta che, in Italia, sono stati scoperti i colpevoli delle stragi. In genere, delle stragi non si sa mai nulla di preciso? Di queste sappiamo, invece. Non sappiamo se ci sono stati possibili mandanti esterni. Forse l’avremmo saputo se Gabriele Chelazzi avesse avuto la possibilità di proseguire nel suo cammino investigativo.(Michele Giuttari, dichirazioni rilasciate nell’ambito dell’incontro pubblico “Il Salotto d’Europa” a Pontremoli il 12 agosto 2015, in occasione della presentazione della sua autobiografia “Confesso che ho indagato”. Poliziotto di razza, formatosi alla Direzione Investigativa Antimafia, Giuttari è noto per il successo nelle indagini sulle stragi del ‘92-93 e per quelle sul Mostro di Firenze, concluse con la condanna di Pacciani, Lotti e Vanni; ulteriori indagini sui possibili mandanti occulti dei “compagni di merende” furono ostacolate dall’allora capo della polizia, Gianni De Gennaro, che ordinò il trasferimento di Giuttari, e dall’allora procuratore capo Nannucci, che inquisì Giuttari insieme al pm perugino Mignini, poi prosciolti entrambi da ogni accusa – ma dopo 8 anni, nei quali nel frattempo l’inchiesta era “defunta”. Giuttari, lasciata la polizia, è divenuto un autore “cult” di romanzi “noir” tradotti in tutto il mondo, come “Scarabeo”, “La loggia degli innocenti” e “Il basilisco”, accanto a memoir come “Il Mostro, anatomia di un’indagine”).Gabriele Chelazzi era il titolare dell’inchiesta sulle stragi di mafia del ‘93: a Firenze il 27 maggio ‘93, a Roma e Milano quasi in concomitanza, nella notte tra il 27 e il 28 luglio del ‘93. E il 14 aprile, sempre del ‘93, l’attentato di via Fauro a Roma, ai danni di Maurizio Costanzo. Io ho avuto il piacere e l’onore di collaborare con Chelazzi per questa inchiesta sulle stragi, in veste di responsabile del settore investigativo del centro Dia di Firenze, prima di assumere l’incarico di capo della Mobile. Gabriele Chelazzi era alla Procura nazionale antimafia con Vigna a Roma, ma aggregato a Firenze per continuare le indagini sui possibili mandanti delle stragi di mafia. Viveva a Roma in una caserma della Finanza, e una mattina la scorta lo trova morto. Aveva 56 anni. E sul comodino trovano una lettera, che lui aveva scritto nella notte, indirizzata al procuratore capo di Firenze (Ubaldo Nannucci), nella quale lamentava di esser stato lasciato solo, di sentirsi isolato. E’ morto. A me piace, quando ne ho la possibilità, ricordare questo magistrato. La società civile gli deve tantissimo. E’ il magistrato che, poco prima che morisse, per primo andò nella sede dei servizi segreti, a Roma, a sequestrare quelle carte che son tornate alla ribalta alla vigilia dell’interrogatorio del presidente della Repubblica, Napolitano, sulla trattativa mafia-Stato.
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I nemici alle porte: l’Occidente psichiatrico di Ezio Mauro
Leggo ieri, sul sito di “Repubblica”, un editoriale di Ezio Mauro che riesce a riassumere due secoli di paranoia in quattro luoghi comuni. Mauro ci spiega che esiste l’Occidente e che l’Occidente ha un “nemico ereditario”, l’Oriente. Egli adopera in modo intercambiabile il termine “Occidente” e il pronome “noi”, e già questo è clinicamente interessante. Il signor Ezio Occidente precisa comunque di non essere paranoico: è il mondo, spiega, che ce l’ha con lui/noi. Ci rivela che «l’anima imperiale e imperialista della Russia è eterna e insopprimibile», e vuole bloccare «la libertà di destino dei popoli». Poi ci sono i musulmani. Ezio Occidente, parlando del cosiddetto califfato islamico a cavallo tra Siria e Iraq, si chiede se l’Occidente (anzi “la comunità del destino”) abbia «almeno la consapevolezza che quel pugnale islamista è puntato alla sua gola». E si pone l’eterna domanda di tutti coloro che temono la Decadenza dell’Occidente: «Ma nel momento in cui due parti del mondo lo designano contemporaneamente come il nemico finale e l’avversario eterno, l’Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all’altezza della sfida?».La risposta, per lui è chiara: «Per questo l’Occidente oggi va difeso, con ogni mezzo, da chi lo condanna a morte». Ragionare con i matti, in particolare con quelli paranoici, non è sempre facile, perché richiede che si applichi una regola di buon senso, che si può riassumere così: 1) Se qualcuno dice che Jack lo Squartatore fu colpevole di alcuni omicidi avvenuti nella Belle Epoque londinese, se ne può discutere; 2) Se qualcuno dice che Jack lo Squartatore lanciò la bomba atomica su Hiroshima, ho il diritto di esprimere i miei dubbi, senza per questo diventare necessariamente un difensore del personaggio. Quindi, premetto che la parte antirussa degli ucraini ha tanti validi motivi per non voler restare nella sfera di Mosca, e non ho particolari simpatie per l’attuale governo russo (e nemmeno per altri governi, se è per questo). Però constato che nessuno sta cercando di conquistare né l’Ucraina, né l’Occidente: c’è la parte di ucraini – diciamo un terzo della popolazione – che si sente russa che non ha intenzione di farsi sottomettere o cacciare dalla parte antirussa, e in questo godono del sostegno del governo russo.Il signor Ezio Occidente sappia quindi che i russi non vogliono far abbeverare i loro cavalli nella fontana di San Pietro, al massimo faranno abbeverare le loro Ferrari dai benzinai della Versilia. Per quanto riguarda l’Isis, non si tratta di una «parte del mondo» – come scrive Ezio Occidente – che ha come «nemico definitivo» l’Occidente. Si tratta piuttosto dell’ennesima tegola in testa agli iracheni, da quando hanno scoperto il petrolio da quelle parti. Mettere i fatti in ordine cronologico è istruttivo. A giugno l’Isis si è vantato di aver fucilato in un solo giorno tra 600 e 3.000 prigionieri iracheni (accusati di appartenere al “criminale esercito safavide”, un termine che mette insieme i concetti di sciita e di iraniano) catturati nell’ex-base statunitense di Camp Speicher. Tutto in video, ovviamente; e devo dire che è il video più terrificante che mi sia mai capitato di guardare. Lo so che ogni battaglia della Rivoluzione Messicana finiva con la fucilazione finale dei soldatini-contadini prigionieri; e più o meno lo stesso capitava durante tutti i grandi eventi del Novecento, però questa volta i media non hanno la scusa che non ci sono le immagini.Che cosa ne avrà pensato Ezio Occidente? Vado su Google: Nessun risultato trovato per “camp speicher”, “ezio mauro”. Evidentemente i soldatini sciiti non fanno Occidente Minacciato. Per sostenere il governo che avevano installato in Iraq, e perché una nuova guerra ogni tanto ci vuole, gli Stati Uniti hanno in seguito bombardato alcune basi dell’Isis. Basi, ricordiamo, messe in piedi grazie alla lunga accondiscendenza del governo turco. Infatti, l’Isis è il nemico più agguerrito e capace del governo siriano, un governo da anni ormai sotto sanzioni e minacce di ogni sorta proprio da parte dell’Occidente: lo scorso giugno, Obama ha proposto di dare 500 milioni di dollari per addestrare e armare chi sta combattendo contro il governo siriano. Anche il governo siriano avrà le sue pecche, ma non ha certo mai minacciato l’Occidente. Solo dopo i bombardamenti statunitensi, è avvenuto il video-omicidio del giornalista Sotloff: il decapitatore ha spiegato chiaramente il messaggio: «Un’occasione per avvertire i governi che entrano in questa malvagia alleanza con l’America contro lo Stato Islamico: si tirino indietro e lascino il nostro popolo in pace». E, rivolto a Obama: «Fintanto che i tuoi missili continueranno a colpire il nostro popolo, i nostri coltelli continueranno a colpire il collo del tuo popolo». Non esiste, insomma, nessun pugnale puntato alla gola dell’Occidente.Non escludo che se l’aeronautica americana bombardasse di nuovo una città controllata dall’Isis, a qualche giovane esaltato potrebbe venire in mente di farsi saltare in aria in un supermercato di Parigi, e sarebbe una cosa sicuramente orribile. Ma il punto è che l’Occidente non salta per un supermercato che chiude (ne hanno chiuso uno dietro casa mia l’altro giorno, e ti assicuro che l’Occidente respira uguale). L’Occidente salterebbe, casomai, se non arrivasse più petrolio. Ma anche lì, non c’è da preoccuparsi. L’Isis, infatti, pare che viva del petrolio che riesce a vendere. Come tutto ciò che riguarda il Medio Oriente, sarà una cifra un po’ a caso, ma qualcuno calcola che l’Isis guadagni tre milioni di dollari al giorno grazie proprio al petrolio (e vendono pure l’energia elettrica prodotta dalla diga di Raqqa, che si sono ben guardati dal danneggiare).Passiamo a guardare la filosofia sottostante alla costruzione di Ezio Occidente. Lui che scrive e il lettore formano un “noi”, unito dal nemico che ci odia perché il nemico è intrinsecamente perverso: odia la libertà, la pace e probabilmente anche i bambini. Questa condivisione paranoica permette di spazzare sotto il tappeto tutto ciò che in realtà “ci” divide, a partire dal fatto che lui ha alle spalle Benetton – e io no, ad esempio. Il nemico viene ingigantito oltre ogni misura: stendiamo un velo pietoso sui disastrati villaggi polverosi da cui il Califfato emana i suoi video, sgozza i suoi sciiti e vende il suo petrolio. Ma anche il Pil di tutta la vasta Russia rimane inferiore a quello della nostra piccola Italia. La comunità paranoica non è mai dichiaratamente aggressiva: il suo motto è dobbiamo difenderci – dagli slavi, dagli sciiti, dagli ebrei, dagli arabi, dai cristiani, dai serbi, dai musulmani, dai neri che violentano le nostre donne, dagli Invasori di Lampedusa, dagli alieni di Zeta Reticuli… Il «bersaglio», scrive il direttore di Repubblica, «è questo nostro insieme di valori e questo nostro sistema di vita».Una difesa da condurre, come scrive in tono sinistro il nostro (ricordiamo che sta parlando di un vertice della Nato, cioè della massima organizzazione armata del pianeta), «con ogni mezzo». Ma dietro le parole difensive, Ezio Occidente si lascia sfuggire un concetto interessante. Egli accusa infatti Putin di voler che si «fermi l’America, delimiti l’Europa». Nessuno osi delimitarci. Anzi, «la democrazia» (ricordiamo che per il nostro autore, i termini “Occidente”, “Ezio Mauro”, “democrazia” e “noi” sono tutti sinonimi perfettamente intercambiabili) ha un «carattere universale che può parlare a ogni latitudine». Che è all’incirca ciò che sostengono alcuni a proposito dell’Islam. I difensori paranoici non sono mai contenti. Lo scarto tra le loro fantasie di trionfo totale e la realtà la attribuiscono in genere a una caduta di morale.Il difensore paranoico vive sempre all’undicesima ora, in cui solo uno scossone potrà risvegliare la Fibra Morale; e quindi cerca avidamente i segni del declino e del pericolo, da agitare confusamente davanti a coloro che vorrebbe appunto risvegliare. E l’articolo di cui parliamo è pieno di preoccupazioni per i dubbi che pervadono un Occidente che invece dovrebbe pensare solo a combattere. Qui non ci piace giocare con la parola fascismo. Però nella sequenza filosofica che abbiamo esposto, credo che troverete la chiave per capire tante caratteristiche di movimenti che i media chiamano neofascisti. La differenza però è sempre quella del vecchio detto su chi rapina una banca e chi la fonda. Ezio Occidente non è Roberto Fiore perché Roberto Fiore non fa il direttore del principale quotidiano italiano.(Miguel Martinez, “L’Occidente psichiatrico di Ezio Mauro”, dal “Kelebekler Blog” del 6 settembre 2014).Leggo ieri, sul sito di “Repubblica”, un editoriale di Ezio Mauro che riesce a riassumere due secoli di paranoia in quattro luoghi comuni. Mauro ci spiega che esiste l’Occidente e che l’Occidente ha un “nemico ereditario”, l’Oriente. Egli adopera in modo intercambiabile il termine “Occidente” e il pronome “noi”, e già questo è clinicamente interessante. Il signor Ezio Occidente precisa comunque di non essere paranoico: è il mondo, spiega, che ce l’ha con lui/noi. Ci rivela che «l’anima imperiale e imperialista della Russia è eterna e insopprimibile», e vuole bloccare «la libertà di destino dei popoli». Poi ci sono i musulmani. Ezio Occidente, parlando del cosiddetto califfato islamico a cavallo tra Siria e Iraq, si chiede se l’Occidente (anzi “la comunità del destino”) abbia «almeno la consapevolezza che quel pugnale islamista è puntato alla sua gola». E si pone l’eterna domanda di tutti coloro che temono la Decadenza dell’Occidente: «Ma nel momento in cui due parti del mondo lo designano contemporaneamente come il nemico finale e l’avversario eterno, l’Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all’altezza della sfida?».