Archivio del Tag ‘violenza’
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Giulietto Chiesa: con Tsipras, contro questa infame Ue
Ok a una una lista civica italiana per candidare il capo di Syriza, Alexis Tsipras, alla guida della Commissione Europea: la proposta di Barbara Spinelli, intervistata dal giornale greco “Avgì”, ci permette di «andare alle elezioni del prossimo maggio meno disarmati», sostiene Giulietto Chiesa. Tsipras sarà alla guida di una coalizione “di sinistra”, e nello stesso tempo «alla testa di un partito che potrebbe aspirare al governo della Grecia martoriata dalla violenza neo-liberista». Attenzione, Tsipras è anche «un simbolo della resistenza europea contro le politiche di austerità imposte dalla Trojka». Ha ragione la Spinelli: «In questo momento non c’è candidato migliore e meglio rappresentativo delle istanze popolari e democratiche europee», mentre la politica italiana offre lo sconfortante spettacolo delle “larghe intese”, promosse da un presidente come Napolitano che «è uscito ripetutamente dalle sue prerogative costituzionali», perseguendo un disegno di sostanziale obbedienza ai diktat di Bruxelles, con risultati catastrofici: economia ko, Italia costretta a svendere tutto.Per Giulietto Chiesa, fondatore del laboratorio politico “Alternativa”, Barbara Spinelli coglie nel segno anche quando avverte che i «vecchi partiti della sinistra radicale» non dovranno essere l’architrave della proposta-Tsipras, perché «abbiamo bisogno di qualcosa di più grande, qualcosa per scuotere la coscienza della società», superando i margini molto esigui dei rottami della sinistra “arcobaleno”. Se il Partito della Sinistra Europea ha lanciato anch’esso, nel suo congresso costitutivo di Madrid, la candidatura Tsipras, al di là delle migliori intenzioni – secondo Chiesa – il perimetro storico della sinistra rischia di essere un limite invalicabile, un vicolo cieco. Ne è convinto anche il direttore di “Micromega”, Paolo Flores D’Arcais: «La parola sinistra rischia di essere equivoca, oggi: paradossalmente, non usarla è meno equivoco che usarla», dal momento che “sinistra”, per molti, è ormai in contrapposizione con gli ideali di giustizia e libertà.La parola “sinistra” ricorda l’esperienza fallitmentare del socialismo reale, nonché «la catastrofe politica e ideale che ha seguito la sparizione del Pci». E richiama alla mente «i partitini che si definiscono neocomunisti e che sono una parodia», non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa. Rimettere in piedi qualcosa a tutti i costi, ripartendo sempre da quel disastro storico, per Aldo Giannuli ha tutta l’aria di un «accanimento terapeutico». Insistere con l’idea della “ricostruzione della sinistra”, aggiunge Giulietto Chiesa, significa anche restare fuori dalla realtà, prigionieri della logica degli steccati. E oltretutto «taglia fuori, in linea di partenza, ogni rapporto con gli otto milioni di elettori del “Movimento 5 Stelle”», cioè «l’unico insediamento istituzionale di una opposizione in Italia». Vero, il movimento diretto da Grillo e Casaleggio resta refrattario a qualsuasi alleanza. Ma perché «tagliarlo fuori dal dialogo che potrebbe condurre ad una lista civica nazionale come quella che noi proponiamo»?A differenza della sinistra in Italia, in Grecia Syriza è una forza politica in forte ascesa. Valide alcune istanze del Partito della Sinistra Europa, così come del “Movimento 5 Stelle”, ma la forma-partito «è un evidente ostacolo a ogni convergenza, ed è dunque prodromo di sconfitta». Barbara Spinelli propone un’alleanza civica «di cittadini attivi, di persone della società civile», disposti a mobilitarsi per Tsipras. «La strada è quella dei contenuti», continua Chiesa. «Se si sceglie Tsipras come candidato comune, sarà necessario fare riferimento alla sua intelligenza politica e alle sue posizioni: che non sono quelle del rifiuto dell’Europa, ma che la vogliono radicalmente cambiata». Un’Europa che sia una “unione”, diversa dall’attuale “equilibrio di potenze”, basato sugli egoismi nazionali, che si è trasformato nel dominio dei più forti sui deboli, senza meccanismi di riequilibrio economico e sociale.Giulietto Chiesa scende nei dettagli: serve un’Europa democratica e solidale, pacifica e non imperiale. Un’Europa «che cancelli i trattati di Maastricht e di Lisbona, fino al Fiscal Compact e a quel mostro intollerabile che è la costituzione, in corso, di Eurogendfor», la temuta super-gendarmeria europea (sostanzialmente antisommossa) non sottoposta a nessuna magistratura. Serve un’Europa non più ostile, «con una banca centrale interamente pubblica, i cui soci sono le banche centrali interamente pubbliche dei paesi membri». Una nuova Bce, che sia «prestatore in ultima istanza» e «abbandoni la linea dell’austerità». E infine «un’Europa che svolga un ruolo autonomo e sovrano nel contesto internazionale, interlocutrice non più subalterna degli Stati Uniti, propugnatrice di una partnership strategica con la Russia». Questo è Tsipras, «e con questo noi siamo in perfetta sintonia». Ma, aggiunge Chiesa, «occorre verificare chi, in Italia, lo è. E trovare un punto di convergenza che sia comprensibile per le grandi masse popolari di questo paese».Attenzione: l’interlocutore potenziale è costituito da milioni di elettori, a una condizione: «Questo programma non lo si può fare con l’illusione di trasformare il Partito Democratico. La sua dirigenza (non necessariamente i suoi elettori) non è riconducibile ai valori della Costituzione. Infatti è da lì che viene l’attacco a quei valori, impersonato dal presidente della Repubblica». Meglio dunque «riflettere seriamente», anche «per evitare di rimanere intrappolati su posizioni anti-europee che si stanno rapidamente diffondendo a partire dalle destre più o meno estreme», come dimostra l’appello del 27 dicembre, indirizzato ai “maggiordomi” italiani ed europei da parte di un gruppo di intellettuali guidati da Etienne Balibar. Un cambio di rotta per l’Europa? «Si tratta ora di vedere se e quante personalità indipendenti sono pronte ad assumersi la responsabilità di questo passo, rappresentato dalla creazione di una lista civica nazionale». I movimenti che lottano per i “beni comuni” saranno pronti a rispondere all’appello? Per Giulietto Chiesa serve «un programma sintetico, da proporre a milioni di italiani, comprensibile a tutti ed espresso in pochi punti». “Alternativa” nel propone uno, lapidario: «L’Italia non parteciperà più a nessuna azione militare fuori dai suoi confini».Ok a una una lista civica italiana per candidare il capo di Syriza, Alexis Tsipras, alla guida della Commissione Europea: la proposta di Barbara Spinelli, intervistata dal giornale greco “Avgì”, ci permette di «andare alle elezioni del prossimo maggio meno disarmati», sostiene Giulietto Chiesa. Tsipras sarà alla guida di una coalizione “di sinistra”, e nello stesso tempo «alla testa di un partito che potrebbe aspirare al governo della Grecia martoriata dalla violenza neo-liberista». Attenzione, Tsipras è anche «un simbolo della resistenza europea contro le politiche di austerità imposte dalla Trojka». Ha ragione la Spinelli: «In questo momento non c’è candidato migliore e meglio rappresentativo delle istanze popolari e democratiche europee», mentre la politica italiana offre lo sconfortante spettacolo delle “larghe intese”, promosse da un presidente come Napolitano che «è uscito ripetutamente dalle sue prerogative costituzionali», perseguendo un disegno di sostanziale obbedienza ai diktat di Bruxelles, con risultati catastrofici: economia ko, Italia costretta a svendere tutto.
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Il generale Mini: la guerra climatica è già cominciata
La guerra ambientale non è più solo un’ipotesi: è già in atto. Ma guai a dirlo: si passa per pazzi. Eppure, «negare l’informazione è già un atto di guerra fondamentale», denuncia il generale Fabio Mini, che conferma tutto: la “bomba climatica” è la nuova arma di distruzione di massa a cui si sta lavorando, in gran segreto, per acquisire vantaggi inimmaginabili su scala planetaria. Alluvioni, terremoti, tsunami, siccità, cataclismi. Uno scenario che, purtroppo, non è più fantascienza. E da parecchi anni. Era il lontano 1946 quando Thomas Leech, scienziato e professore israeliano-neozelandese, lavorò in Australia per conto dell’Università di Auckland con fondi americani e inglesi per provocare piccoli tsunami. Il successo del “Progetto Seal” spaventò Leech spingendolo a fermarsi dopo i primi test. Ma chi ci dice che la manipolazione del clima non sia stata portata avanti? Oggi, con la robotizzazione, per molte “operazioni” bastano poche persone. «Non ci sono vincoli, non ci sono regole, se c’è la possibilità di farlo ‘qualcuno’ lo farà». Non i governi, ma ristrette élite.Ne ha parlato di recente, in un convegno a Firenze largamente disertato dai media, l’ex comandante delle forze Nato in Kosovo. Mini rivendica la responsabilità di aver posto in Italia l’attenzione su questo tema quando nel 2007 scrisse l’articolo “Owning the weather: la guerra ambientale è già cominciata”, ufficializzando uno scenario nuovo e inquietante: le forze della natura sono adoperate e piegate come strumento ed arma. Può accadere, sottolinea Mini, perché – come di fronte a qualsiasi altra aberrazione di carattere mostruoso – l’opinione pubblica è innanzitutto incredula: «La maggior parte delle persone ritiene inconcepibili certi scenari, in quanto non è al corrente delle progettazioni in materia di tecnologie militari e quindi delle conseguenti implicazioni». Da un lato c’è la rassicurante convenzione Onu del 1977, che proibisce espressamente «l’uso militare, o di altra ostile natura, di tecniche di modificazione ambientale con effetti a larga diffusione, di lunga durata o di violenta intensità». In realtà, al 90% le prescrizioni Onu vengono regolarmente disattese, in particolare dai militari. I quali «hanno già la capacità di condizionare l’ambiente: tornado, uragani, terremoti e tsunami alterati o addirittura provocati dall’uomo sono una possibilità concreta».I militari, riassume Mini – citato nel report del blog “No Geoingegneria” – prediligono la tecnologia. E le loro richieste alla scienza non sono per programmi attuabili a breve termine, ma sono progetti con sviluppi nel medio e lunghissimo termine. Attenzione: «Non esiste una moralità che possa impedire di oltrepassare un certo punto. Basti pensare allo sviluppo e le applicazioni degli ordigni atomici. Non esiste vincolo morale, ciò che si può fare si fa». Inoltre, la nuova tecnologia viene applicata anche a livello immaturo: «La voglia di conseguire un vantaggio spinge ad usare le tecnologie senza fare test a sufficienza. Una possibilità viene messa in atto per verificarne il funzionamento, sperimentandone direttamente sul campo gli effetti». Già nel 1995, uno studio dell’aeronautica militare statunitense (“Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025”) delineava i piani da sviluppare per conseguire nell’arco di 30 anni il controllo del meteo a livello globale. Secondo Mini, non si parlava ancora di “possedere il clima”, ma di controllare il meteo e lo spazio atmosferico per condurre operazioni belliche, «per esempio irrorando le nubi con ioduro d’argento, altre sostanze chimiche o polimeri, per dissolverle oppure spostarle».Si tratta della possibilità di destabilizzare una regione o paese, in qualsiasi parte del mondo. Oggi, a 17 anni dalla pubblicazione di quello studio, secondo il generale Mini «siamo piuttosto vicini al traguardo del 2025». Secondo il meteorologo statunitense Edward Norton Lorenz, padre della “teoria del caos”, mai e poi mai avremo conoscenze sufficienti a verificare le effettive conseguenze di una modificazione climatica. Se qualcuno trae un vantaggio da una modificazione climatica, dall’altra ci sarà qualcun altro che ne subisce un danno, e non è detto che lo paghi in termini lineari, con conseguenze anche catastrofiche, che Lorenz chiama “effetto farfalla”. Proprio in quegli anni si comincia a pensare non solo di cambiare il meteo, ma di creare una situazione permanente e quindi di trasformare il clima. «Così qualcuno inizia a pensare: cosa rende l’Europa prospera e le garantisce un clima favorevole? La corrente del Golfo del Messico. Bene, allora qualcuno si è messo a studiare come modificare questa corrente. Non solo, ma qualcuno ha iniziato a chiedersi: possiamo provocare un terremoto? Qualcuno ha risposto ‘si può fare’». Qualcuno chi?La domanda, infatti, è particolarmente inquietante: da chi scaturisce quella volontà politica che sta alla base della catena di comando? Brutte notizie, dice Mini: gli Stati stanno perdendo il controllo della situazione, che è monopolizzata da ristrettissimi gruppi di potere. Il generale le chiama “bande”. Sono costituite da «persone, associazioni e corporazioni, coaguli di potere che non hanno nessun interesse istituzionale, ma conseguono solamente il proprio interesse, e nel nome di esso sono disposte a mandare in crisi un sistema per modificarlo a proprio vantaggio, utilizzando mezzi illegali e legali». L’enorme potere di questo super-clan è confermato dalla situazione mondiale di massima emergenza, come confermato dalle analisi di carattere strategico a livello militare. In sintesi: la demografia del pianeta è in aumento esponenziale, le risorse della Terra sono in netta diminuzione, l’economia globale è in recessione. Insomma, la coperta è sempre più corta. E il ruolo degli Stati nella definizione della minaccia è ormai ridotto a zero.Non sono più gli Stati a decidere, a individuare o prevedere le minacce, sottolinea Mini. Sono “altri” che fanno le analisi. E fare le valutazioni della minaccia «vuol dire fornire le indicazioni per la politica». Bene, «questa prerogativa non è più nelle mani degli Stati, neanche di quelli forti». George W. Bush, quando ha avviato la “guerra infinita” innescata dagli attentati dell’11 Settembre, non è stato indirizzato da fonti istituzionali, ma da «qualcuno che lavora fuori dalle istituzioni, contro le istituzioni». La situazione è veramente critica: molti Stati hanno l’acqua alla gola, colpiti dalla crisi e ricattati dalla cupola finanziaria mondiale. La criminalità è in netto aumento, il contrasto verso le mafie si è indebolito e la percezione dell’insicurezza è cresciuta. Ogni problema viene estremizzato: la favola dello “scontro di civiltà” tra cultura giudaico-cristiana e cultura musulmana resta «il faro politico di tutte le relazioni internazionali». Così, non fa che cresce la militarizzazione del pianeta: «Le cose che venivano fatte con strumenti civili oggi vengono fatte quasi esclusivamente con strumenti militari, inducendo gli ambienti militari ad essere sempre più proiettati verso il controllo e il possesso di strumenti tecnologici per attuarlo».La dualità, lo scontro, si manifesta in maniera preponderante nello spazio, con il controllo delle telecomunicazioni e dei sistemi di difesa, e ora anche nell’ambiente, «che non è più il luogo ove la guerra si manifesta, ma è l’arma», e negli agglomerati urbani, «che sono i luoghi dove si prevede il maggior intervento in termini di militarizzazione». Lo spazio è definito un “bene comune” e come tale dovrebbe essere salvaguardato. «Ma non succede, e la percezione di scarsa sicurezza alimenta un incremento della militarizzazione». Come si sfrutta l’ambiente come arma? «Non solo con le modifiche meteorologiche, ma anche tramite la negazione delle informazioni. Non c’è solo la disinformazione sull’ambiente, ma c’è una pratica militare che si chiama “denial of service”». Ovvero: «Si stabilisce che è necessario non solo negare la realtà o l’evidenza, ma negare l’informazione». E questo, ribadisce Mini, è già un vero e proprio atto di guerra. «Determinate persone o paesi non devono venire a conoscenza delle informazioni», anche se questo può causare catastrofi di proporzioni bibliche, come il devastante tsunami abbattutosi sulle coste dell’Indonesia. «Lo tsunami indonesiano è ancora uno scandalo: l’informazione sul suo arrivo era disponibile, ma interruzioni nella trasmissione dati a causa di anelli malfunzionanti, o volutamente non funzionanti, ne hanno impedito la comunicazione».Un altro aspetto è emblematicamente rappresentato dal sistema Haarp. Invece di influire sull’ambiente a carattere solo locale, dice Mini, ormai si può incidere globalmente. Come? «Andando a creare, artificialmente, dei punti più caldi o più freddi, e quindi modificando il clima interferendo anche sulle correnti». Lo stesso dicasi per le alterazioni che provocano i terremoti, anche se il generale nega che il recente terremoto in Emilia sia stato “indotto”. Ma attenzione: «Nessuno può negare che ci siano state più di 2.000 esplosioni nucleari nel sottosuolo terrestre, nella profondità degli oceani e persino nello spazio». Già negli anni ’90, per colpire obiettivi di interesse militare in Cina, «fu pianificato di indurre un terremoto con delle esplosioni dalla zona di Okinawa». La dismissione di migliaia di ordigni nucleari, dopo la fine della guerra fredda, ha creato un mercato dei materiali fissili da innesco. «Le grandi compagnie petrolifere si offrirono di reimpiegarli e sappiamo che è possibile agire sulle faglie inducendo terremoti tramite ordigni nucleari o micro-nucleari».La guerra ambientale non è più solo un’ipotesi: è già in atto. Ma guai a dirlo: si passa per pazzi. Eppure, «negare l’informazione è già un atto di guerra fondamentale», denuncia il generale Fabio Mini, che conferma tutto: la “bomba climatica” è la nuova arma di distruzione di massa a cui si sta lavorando, in gran segreto, per acquisire vantaggi inimmaginabili su scala planetaria. Alluvioni, terremoti, tsunami, siccità, cataclismi. Uno scenario che, purtroppo, non è più fantascienza. E da parecchi anni. Era il lontano 1946 quando Thomas Leech, scienziato e professore israeliano-neozelandese, lavorò in Australia per conto dell’Università di Auckland con fondi americani e inglesi per provocare piccoli tsunami. Il successo del “Progetto Seal” spaventò Leech spingendolo a fermarsi dopo i primi test. Ma chi ci dice che la manipolazione del clima non sia stata portata avanti? Oggi, con la robotizzazione, per molte “operazioni” bastano poche persone. «Non ci sono vincoli, non ci sono regole, se c’è la possibilità di farlo ‘qualcuno’ lo farà». Non i governi, ma ristrette élite.
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Kalashnikov: colpa dei politici se il mio Ak uccide ancora
Pratico e indistruttibile, affidabile, semplice da usare e poco costoso da produrre. L’arma più popolare al mondo, l’Ak-47, resterà a lungo un monumento al suo “padre”’, Mikhail Timofeevič Kalashnikov, morto in Russia il 23 dicembre 2013 all’età di 94 anni. Il network all news “Russia Today” riassume “le 20 cose che non avete mai saputo” sul creatore del fucile d’assalto più diffuso sul pianeta, prodotto in quasi 200 milioni di esemplari e adottato dagli eserciti di 106 nazioni, alcune delle quali – Mozambico, Zimbabwe, Burkina Faso e Timor Est – l’hanno adottato come effigie nella bandiera nazionale, così come le milizie libanesi di Hezbollah. L’artista colombiano Cesar Lopez ha trasformato una dozzina di Ak-47 in chitarre, una delle quali è stata donata nel 2007 all’allora segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. Un mitra da Guinness dei primati: l’Ak è tuttora l’arma più diffusa sulla Terra, con 100 milioni di esemplari attualmente in uso.Comandante di carro armato durante la Seconda Guerra Mondiale, Mikhail Kalashnikov ha iniziato la sua carriera come designer di armi dopo un infortunio alla spalla durante la battaglia di Bryansk. Nel 1942, mentre in ospedale, ha sentito i commilitoni feriti lamentarsi dei fucili sovietici. Il primo Kalashnikov è stato prodotto nel 1947, portando al suo creatore il Premio Stalin e l’Ordine della Stella Rossa, massime onorificenze dell’Unione Sovietica. Durata, basso costo di produzione, disponibilità, estrema robustezza e facilità di utilizzo sono le caratteristiche che hanno assicurato all’Ak-47 il suo straordinario successo globale. Il Kalashnikov resta un’arma economica: costa sui 500 dollari, ma in Africa lo si trova a metà prezzo e in alcuni paesi del continente nero i genitori battezzano col nome di “Kalash” i loro bambini. Distribuito dalla Russia, l’Ak viene anche prodotto – su licenza di Mosca – in 30 grandi paesi, tra cui Cina e India.Alla fama del Kalashikov hanno contribuito personalità come quella di Osama Bin Laden, che l’ha immortalato come arma-totem, e di Saddam Hussein, che ne aveva un modello fatto interamente d’oro. Una star del basket russo, Andrey Kirilenko, reduce dall’Nba, è stato soprannominato “Ak-47”; è nato nella città di Izhevsk, che ospita la fabbrica dei Kalashnikov. L’Egitto ha celebrato il fucile d’assalto russo – emblema di libertà e indipendenza – con un gigantesco monumento nel Sinai, mentre monete commemorative per i “primi sessant’anni” dell’Ak-47 sono state coniate persino in Nuova Zelanda. Già durante la guerra del Vietnam, molti soldati americani hanno abbandonato il loro M-16 per un Kalashnikov, raccolto da nemici morti. Anche ora, i marines americani maneggiano volentieri gli Ak-47. Non mancano le frivolezze: si chiama “Kalashnikov shot” (sparato) il drink che si ottiene mischiando vodka , assenzio, limone, cannella e zucchero, mentre – dal 2004 – Kalashnikov è anche la marca di una vodka, venduta in bottiglie a forma di Ak-47.Il giornale francese “Libération” ha eletto il fucile russo la più importante invenzione del XX secolo, prima ancora della bomba atomica e della conquista dello spazio. Tra i record meno invidiabili, quello del bilancio di sangue: si ritiene che gli AK-47 abbiano causato più morti del fuoco di artiglieria, dei raid aerei e degli attacchi missilistici. Ogni anno, precisa Rt, si stima che perdano la vita – colpiti da proiettili di Kalashnikov – almeno 250.000 persone. Per Mihkail Kalashnikov, il suo memorabile fucile è «un simbolo del genio creativo del popolo russo». Mai provato rimorso per il sangue versato in tutto il mondo grazie alla sua “creatura”: «Io dormo bene», ha ribadito nel 2007, ricordando di aver pensato a quel fucile come arma di difesa dell’Urss aggredita dai nazisti. «Semmai sono da biasimare i politici: sono loro che non hanno raggiunto un accordo per eliminare dal mondo la violenza».Pratico e indistruttibile, affidabile, semplice da usare e poco costoso da produrre. L’arma più popolare al mondo, l’Ak-47, resterà a lungo un monumento al suo “padre”’, Mikhail Timofeevič Kalashnikov, morto in Russia il 23 dicembre 2013 all’età di 94 anni. Il network all news “Russia Today” riassume “le 20 cose che non avete mai saputo” sul creatore del fucile d’assalto più diffuso sul pianeta, prodotto in quasi 200 milioni di esemplari e adottato dagli eserciti di 106 nazioni, alcune delle quali – Mozambico, Zimbabwe, Burkina Faso e Timor Est – l’hanno adottato come effigie nella bandiera nazionale, così come le milizie libanesi di Hezbollah. L’artista colombiano Cesar Lopez ha trasformato una dozzina di Ak-47 in chitarre, una delle quali è stata donata nel 2007 all’allora segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. Un mitra da Guinness dei primati: l’Ak è tuttora l’arma più diffusa sulla Terra, con 100 milioni di esemplari attualmente in uso.
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Allarme Italia, la soluzione c’è ma Napolitano non la vede
Secondo Citigroup, l’Italia resterà bloccata in depressione: crescita dello 0,1% nel 2014, crescita zero nel 2015 e limitata allo 0,2% nel 2016. Se è così, prende nota Ambrose Evans-Pritchard, dopo otto anni di crisi ininterrotta e la produzione crollata del 10%, quella del nostro paese sarà «una performance di gran lunga peggiore di quella avuta durante la Grande Depressione». Se anche l’Eurozona dovesse riprendersi nei prossimi tre anni, «il meglio che l’Italia possa sperare è la stabilizzazione su livelli di disoccupazione di massa – al 20% se si considera l’altissimo livello di lavoratori italiani scoraggiati (numero tre volte superiore alla media Ue) che sono usciti fuori dalle statistiche». La domanda è: quanto tempo la società potrà tollerare tutto questo? «Nessuno di noi sa la risposta», ammette Pritchard, che registra – e critica – l’allarme rosso lanciato da Napolitano: il presidente denuncia il pericolo di rivolte violente, ma evita di indicare le cause del disastro italiano, cioè l’euro e i vincoli imposti da Bruxelles.Mentre la recessione si trascina, Napolitano evoca il rischio concreto di «tensioni sociali e disordini diffusi» nel 2014, visto il peso crescente di masse ormai emarginate, disponibili a compiere «atti di protesta indiscriminata e violenta, verso una forma di opposizione totale». Migliaia di aziende sono «sull’orlo del collasso», mentre grandi masse di persone «prendono il sussidio di disoccupazione o rischiano di perdere il posto di lavoro». L’altissimo tasso di disoccupazione giovanile (41%) sta portando verso un pericoloso stato di alienazione. «La recessione sta ancora mordendo duro, e c’è la sensazione diffusa che sarà difficile sfuggirle, e trovare il modo per tornare alla crescita». Soluzioni? Napolitano non ne indica, scrive Pritchard sul “Telegraph”, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. Niente soluzioni, anche perché dal Quirinale non proviene nessuna analisi sulla cause della catastrofe socio-economica. E cioè: l’Italia «ha una moneta sopravvalutata del 20% o più», ed è «intrappolata in un sistema di cambi fissi stile anni ‘30, gestito da una banca centrale anni ‘30, che sta lì a guardare (per motivi politici)», mentre l’aggregato monetario ristagna, il credito si contrae e la deflazione incombe.«Napolitano non offre alcuna risposta», sottolinea Pritchard. «Ex stalinista, che ha applaudito all’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 (un peccato giovanile), Napolitano da tempo ha manifestato il suo fervore ideologico a favore del progetto Ue. Egli è per natura incapace di mettere in discussione le premesse dell’unione monetaria, quindi non aspettatevi nessuno spunto utile dal Quirinale su come uscire da questa impasse». Vero, l’uomo del Colle «ammette che la crisi della zona euro “ha messo a dura prova la coesione sociale”, ma lascia la questione in sospeso, e la sua argomentazione incompiuta, più sul descrittivo che sull’analitico». Così, «senza arrivare al punto di lanciare l’allarme sul rischio che corre lo Stato italiano stesso, ha detto che la crescente minaccia delle forze insurrezionali deve essere affrontata». Come? «La legge deve essere rigorosamente rispettata, il paese deve andare avanti con disciplina». Napolitano è allarmato dalla rivolta dei “Forconi”, che ha preso una piega «inquietante» per le élite italiane, tra poliziotti che si tolgono i caschi – simpatizzando coi dimostranti – e militanti di CasaPound che strappano la bandiera blu-oro dagli uffici dell’Ue a Roma.«Dove porti tutto questo nessuno lo sa», continua Pritchard. «Per ora l’Italia ha evitato un ritorno agli “anni di piombo”, il terrorismo tra gli anni ‘70 e i primi anni ‘80, quando la stazione ferroviaria di Bologna fu fatta saltare dai fascisti e l’ex premier Aldo Moro fu sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse». Per il giornalista inglese, tuttavia, «questo tipo di violenza non è poi così lontano come la gente pensa». Nel 2011 il capo dell’agenzia fiscale Equitalia è stato quasi accecato da una lettera-bomba di matrice anarchica. «Da allora ci sono stati ripetuti casi di attacchi dinamitardi». C’è il rischio di un incidente, secondo Pritchard, che inneschi reazioni esplosive. «A coloro che continuano a insistere che l’Italia deve stringere la cinghia e recuperare competitività tagliando i salari, vorrei obiettare che questo è matematicamente impossibile, in un clima di ampia deflazione o quasi deflazione in tutta l’unione monetaria europea». Secondo il giornalista economico del “Telegraph”, la politica di austerità fiscale condanna l’Italia a veder crescere in modo esponenziale il proprio debito pubblico, che negli ultimi tre anni è passato dal 119% al 133% del Pil. Sotto le attuali politiche della Troika, «questo rapporto presto sfonderà il 140%, nonostante l’avanzo primario del bilancio Italiano – un livello oltre il punto di non ritorno per un paese senza moneta sovrana o senza una propria banca centrale».Prima ancora di uscire dall’euro, sostiene Pritchard, l’Italia potrebbe cambiare completamente la sua strategia diplomatica, «spingendo per un cartello degli stati debitori del Club Med a leadership francese che prenda il controllo della Bce e della macchina politica dell’Uem. Hanno i voti, e la piena autorità legale basata sui trattati, per forzare una strategia di reflazione che potrebbe cambiato tutto, se solo osassero». Questo, continua l’analista inglese, è più o meno «il nuovo piano di Romano Prodi, ex premier italiano e “Mr. Euro”, che ora sta sollecitando l’Italia, la Spagna e la Francia a unirsi, piuttosto che illudersi di poter fare da soli, e “sbattere i pugni sul tavolo”». L’economista premio Nobel Joseph Stiglitz riprende il tema su “Project Syndicate”, dicendo: «Se la Germania e gli altri non sono disposti a fare il necessario – se non c’è abbastanza solidarietà per far funzionare la politica – allora l’euro potrebbe dover essere abbandonato per salvare il progetto europeo».Di fronte al Parlamento Europeo, Mario Draghi ha appena rinnovato le sue minacce: secondo il presidente della Bce, l’uscita dall’euro comporterebbe una svalutazione catastrofica del 40%, che metterebbe in ginocchio qualsiasi paese. «Questo – lo smentisce Pritchard – è sempre lo stesso argomento che viene portato avanti in difesa dei regimi di cambio fissi, sia del Gold Standard nel 1931, che dello Sme nel 1992, o dell’ancoraggio argentino al dollaro nel 2001. E’ stato dimostrato falso, anche nel caso dell’Italia negli anni ‘90, quando la svalutazione ha funzionato benissimo». Draghi si sofferma sul trauma immediato, «ma ignora gli effetti molto più corrosivi di una crisi permanente». I paesi, infatti, «possono recuperare molto velocemente se il tasso di cambio si sblocca: si potrebbe ugualmente sostenere che ci sarebbe una marea di investimenti, in Italia, nel momento in cui il paese prendesse risolutamente il toro dell’euro per le corna e ristabilisse l’equilibrio valutario».Inoltre, la tesi di Draghi non tiene conto che «le potenze del nord hanno un forte interesse ad assicurare un’uscita ordinata dell’Italia», e che la stessa Bce potrebbe tranquillamente «stabilizzare la lira per un paio di mesi, fino a quando la situazione si calmasse: questo eviterebbe gli eccessi, eviterebbe delle perdite rovinose per il blocco dei creditori e degli esportatori tedeschi, ed eviterebbe una crisi da deflazione in Germania, Olanda, Finlandia e Francia». Quello che Draghi sta implicitamente affermando è che la Bce si comporterebbe in maniera spericolata, “punendo” l’Italia per il gusto di farlo, anche mettendo a repentaglio l’intera stabilità europea. «Sarebbe stato bello se un deputato gli avesse chiesto perché mai la Bce dovrebbe fare una cosa del genere», ma evidentemente i parlamentari europei non sono in grado di interagire alla pari col super-banchiere. «Quello che sembra certo – conclude Pritchard – è che nessun paese democratico sopporterà uno stato perdurante di semi-recessione e disoccupazione di massa, quando esistono delle alternative plausibili».Secondo Citigroup, l’Italia resterà bloccata in depressione: crescita dello 0,1% nel 2014, crescita zero nel 2015 e limitata allo 0,2% nel 2016. Se è così, prende nota Ambrose Evans-Pritchard, dopo otto anni di crisi ininterrotta e la produzione crollata del 10%, quella del nostro paese sarà «una performance di gran lunga peggiore di quella avuta durante la Grande Depressione». Se anche l’Eurozona dovesse riprendersi nei prossimi tre anni, «il meglio che l’Italia possa sperare è la stabilizzazione su livelli di disoccupazione di massa – al 20% se si considera l’altissimo livello di lavoratori italiani scoraggiati (numero tre volte superiore alla media Ue) che sono usciti fuori dalle statistiche». La domanda è: quanto tempo la società potrà tollerare tutto questo? «Nessuno di noi sa la risposta», ammette Pritchard, che registra – e critica – l’allarme rosso lanciato da Napolitano: il presidente denuncia il pericolo di rivolte violente, ma evita di indicare le cause del disastro italiano, cioè l’euro e i vincoli imposti da Bruxelles.
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Della Luna: Italia da buttare, vogliono staccare la spina
Italia indifendibile? Lo dice la Suprema Corte, confermando la storia di un paese dominato per secoli dagli stranieri, grazie a “reggenti” sleali verso il popolo. I difensori dell’establishment, Napolitano e Boldrini in testa, sostengono che il Parlamento possa rilegittimare se stesso e l’intero ordinamento statale facendo semplicemente una nuova legge elettorale che corregga i vizi dichiarati il 4 dicembre dalla Corte Costituzionale? Problema: a votare la nuova legge sarebbero parlamentari eletti “illegittimamente”. Dunque, osserva Marco Della Luna, questa stessa legge sarebbe illegittima. «Insomma, qualunque cosa metteranno insieme, sarà chiaramente un pasticcio, sputtanato in partenza, e contribuirà alla già bassissima credibilità del sistema e delle sue regole, quindi compromettendo ulteriormente il suo funzionamento». L’incidente costituisce un precedente assoluto, nonostante il già scarso prestigio delle istituzioni: quest’ultima sentenza «è la prima auto-certificazione di illegittimità del sistema».A questa rottura senza uscita della legittimità dello Stato, aggiunge Della Luna nel suo blog, corrisponde sul piano economico una recessione senza via di uscita: «Le manovre e le predizioni di risanamento e rilancio falliscono tutte, gli indicatori fondamentali continuano a peggiorare, redditi e occupazione vanno a picco e destabilizzano il sistema previdenziale, destinato a non poter erogare pensioni sufficienti a vivere». Inoltre, l’“Europa” di Olli Rehn «preme brutalmente sull’euroservile governo Letta per accelerare e aumentare le privatizzazioni, ossia i trasferimenti sottocosto di industrie e servizi di interesse nazionale ai capitali predatori che guidano la politica comunitaria», mentre le promesse di ripresa «sono chiaramente menzognere, assolutamente impossibili da realizzare, buone solo a puntellare la casta».Per salvarsi davvero l’Italia avrebbe bisogno di investimenti privati, che però mancano «perché tasse, costo del lavoro, costo della burocrazia e inefficienza sistemica sono eccessivi, e perché non si investe in un mercato che non può comprare per mancanza di redditi». E servirebbero investimenti pubblici, anch’essi assenti «perché lo Stato ha sempre meno soldi», imprigionato nell’euro-trappola che lo priva di risorse monetarie e ora lo costringe, attraverso il Fiscal Compact, a ridurre il debito pubblico per qualcosa come 50 miliardi l’anno. Dopodiché, sarebbe necessario “riqualificare” la spesa pubblica tagliando gli sprechi destinati al clientelismo di casta, e fermare l’esodo dei cervelli investendo su ricerca e innovazione per riconquistare competitività. Serve liquidità, anche per far fronte al debito storico, «ma la liquidità viene sempre più sottratta all’economia nazionale da fuga dei capitali, fuga dei risparmi, rimesse degli immigrati, contribuzioni al Mes, contrazione del credito, banche che raccolgono denaro per investirlo nei mercati speculativi e improduttivi».Servirebbero «governanti competenti e non ciarlatani», in grado di introdurre «regole efficienti e applicate», mentre – al contrario – abbiamo «un continuo deterioramento della fiducia sociale e della qualità delle norme e del loro rispetto da parte di cittadini, imprese e istituzioni». Inevitabilmente, aggiunge Della Luna, questa doppia crisi sistemica – giuridica ed economica – porta verso una rottura violenta. «La violenza potrà essere quella di insurrezioni interne di disperati-esasperati e conseguenti repressioni armate; oppure quella del nuovo dominus-creditore, il capitalismo rapinatore e affamatore euro-germanico che manderà, o farà chiamare dal governo “responsabile” di turno, l’Eurogendfor (il corpo di polizia militare antisommossa internazionale istituito col Trattato di Velsen nel 2007, con Prodi per l’Italia) ad eseguire quelle forme di repressione a cui le nostre forze dell’ordine non riuscirebbero ad arrivare». Analogamente, la repressione fiscale sarà affidata al Mes, in grado di «perpetrare quei prelievi fiscali per cui neanche Equitalia avrebbe l’animo».Domanda: «Fino a che livello di disastro, di asservimento e avvelenamento si vuole spingere questo infelice paese?». Per Della Luna, sarebbe saggio prevenire questi scenari accettando la realtà: vista oggi, la «cosiddetta unità d’Italia» sembra fallita, non funziona, non è vitale, «è una misconstruction come l’euro, la Pac (Politica agricola comune) e la stessa costruzione comunitaria». Sarebbe meglio «staccare la spina a questo Stato insieme mafioso e pagliaccesco, screditato dentro e fuori i propri confini, senza alcuna ragionevole prospettiva di miglioramento». Non basta essere «un’area monetaria ottimale», bisogna anche essere «un’area normativa ottimale, un’area morale ottimale». Missione impossibile, conclude Della Luna, per regioni che hanno subito la dominazione straniera per 14 secoli: per questo, nei conti del popolo, «i reggenti italiani tendono ad assumere il ruolo di governatori vassalli di potenze straniere», e la gente «tende a percepire lo Stato come qualcosa di sovraimposto, di sempre più estraneo e ostile e padronale». Risultato: «La slealtà dei governanti verso i cittadini induce la slealtà dei cittadini verso lo Stato, e viceversa, in una spirale autodistruttiva».Italia indifendibile? Lo dice la Suprema Corte, confermando la storia di un paese dominato per secoli dagli stranieri, grazie a “reggenti” sleali verso il popolo. I difensori dell’establishment, Napolitano e Boldrini in testa, sostengono che il Parlamento possa rilegittimare se stesso e l’intero ordinamento statale facendo semplicemente una nuova legge elettorale che corregga i vizi dichiarati il 4 dicembre dalla Corte Costituzionale? Problema: a votare la nuova legge sarebbero parlamentari eletti “illegittimamente”. Dunque, osserva Marco Della Luna, questa stessa legge sarebbe illegittima. «Insomma, qualunque cosa metteranno insieme, sarà chiaramente un pasticcio, sputtanato in partenza, e contribuirà alla già bassissima credibilità del sistema e delle sue regole, quindi compromettendo ulteriormente il suo funzionamento». L’incidente costituisce un precedente assoluto, nonostante il già scarso prestigio delle istituzioni: quest’ultima sentenza «è la prima auto-certificazione di illegittimità del sistema».
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C’era una volta la rivolta: serve un lieto fine (elettorale)
In questi giorni la rabbia popolare sta trovando dei canali, molto spontanei e poco organizzati, per sbattere in faccia all’intera classe politica italiana il disagio profondo di coloro che, secondo il linguaggio della nostra democrazia, dovrebbero esserne “rappresentati”. Questo disagio, va detto, è ancora inarticolato, irriflesso. Se dovessimo utilizzare l’idioma della psicologia, potremmo affermare che siamo dinnanzi ad un “acting out” di massa. Queste proteste, così come sono, testimoniano l’impoverimento di numerose categorie di persone, unite da un facile risentimento verso la Casta. Che siano tutti da mandare a casa è, difatti, un concetto semplicistico, ma efficace. Non nascondo che a volte, preso da grillite acuta, ho utilizzato anch’io questo gergo per denotare lo schifo che provo nei confronti di una classe politica che, ormai da vent’anni e oltre, funge da cinta muraria per contenere l’insofferenza popolare e lasciare che la grande finanza si ingrassi alle nostre spalle.
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Mdf: cari forconi, la rivoluzione parte dai consumi
Cari concittadini (lavoratori, studenti, pensionati, disoccupati…) giustamente stufi e al limite della sopportazione, condividendo la preoccupazione di chi è sceso in piazza ed evitando considerazioni personali sul colore delle manifestazioni (fermo restando il rifiuto della violenza, aspetto che vogliamo ribadire), vorremmo solo condividere alcune riflessioni con voi. Siamo pienamente in sintonia con le motivazioni alla base della protesta (corruzione e sbando della classe politica, globalizzazione, finanza e mercato selvaggi e senza limiti che strangolano il piccolo commercio locale, etc); riteniamo, tuttavia, che un’alternativa migliore debba partire da noi e che il cambiamento di questo sistema economico deve essere attuato con azioni concrete.Con il massimo rispetto e pienamente consci della diversità delle situazioni che ognuno sta vivendo e dei drammi personali, vogliamo porre – anche in maniera provocatoria – alcune domande. Perché il punto fondamentale è chiedersi quale futuro (e quale modello di società) auspichiamo. Commercianti, artigiani, piccoli imprenditori, è evidente quanto la crisi che stiamo vivendo si sia abbattuta su di voi con violenza; ma vi chiediamo, quando chiudete il vostro negozio la sera, dove andate a comprare il pasto duramente sudato? All’ipermercato o in un piccolo negozio a km0 o magari da un gruppo di acquisto solidale che si rifornisce da piccoli contadini? Sapete che buona parte delle arance e dei pomodori che trovate nei supermercati sono raccolte da persone in condizioni di schiavitù, vendute ad un prezzo ridicolo dal produttore alla grande distribuzione che poi le rivende negli ipermercati vicino a casa?Cittadini e lavoratori, anche noi, seppure sosteniamo la riduzione della giornata lavorativa (“lavorare meno, lavorare tutti”), l’autoproduzione e la riduzione dei consumi, abbiamo bisogno di andare a lavorare, ci scontriamo con la precarietà e abbiamo il timore che i soldi che ci vengono versati in contributi non li vedremo mai; ma quando chiamiamo un elettricista o andiamo dal barbiere, chiediamo la ricevuta fiscale? Abbiamo il coraggio di spendere 20 euro in più o di rinunciare a qualche consumo – magari superfluo – scegliendo di pagare “il giusto” e premiare chi paga le tasse e contribuisce a sostenere le scuole, gli ospedali e il nostro sistema previdenziale? Scegliamo di orientare i nostri consumi verso chi paga le persone rispettando i diritti? Se scopriamo che il pub dove andiamo regolarmente paga i suoi baristi in nero, siamo disposti a cambiare per andare in un posto dove magari la birra costa 0,50€ in più ma dove la legalità è di casa? E se quei 50 centesimi in più fossero un problema sareste disposti a far massa critica con altre persone e chiedere insieme un prezzo più basso e/o competitivo?!Non cadiamo nel qualunquismo del “tutti rubano, tutti se ne fregano…”. Alzi la mano chi è disposto a comprare dell’olio da un gruppo di acquisto solidale pagandolo 3-4 euro in più al litro, invece di quello della grande distribuzione che, seppure prodotto in Italia, è ottenuto da olive che vengono da fuori l’Europa, mentre i nostri contadini sono allo stremo! A tutti coloro che ritengono come noi che la finanza sta distruggendo l’economia reale e le banche siano istituzioni corrotte e spesso immorali chiediamo: dove avete posto i vostri risparmi? Avete pensato di investirli nell’economia reale, nelle banche etiche o in mille altri luoghi dove non saranno oggetto di speculazione? Certo, non avremo il 3-4% di interesse come promettono (e probabilmente mantengono) alcune banche on-line… vi siete chiesti cosa se ne fanno dei vostri soldi?Anche noi, che nella vita di tutti giorni siamo presi dalle nostre difficoltà, speranze e mille impegni, vorremmo che la politica desse risposte ai nostri problemi. Ci piacerebbe vedere nei programmi politici come punti fondamentali diritti, ambiente, lotte alle speculazioni, alle mafie e tutti coloro che impediscono alle persone di poter realizzare il diritto a vivere senza patimenti e liberi di poter perseguire la propria felicità. Dopodiché, se questo non accade, dobbiamo imparare dalla frase di Gandhi “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Le cose possiamo cambiarle anche noi dal basso e subito senza chiedere niente a nessuno (senza per questo rinunciare al nostro diritto di manifestare e urlare la nostra rabbia se necessario). Domani forse inizia un altro giorno di proteste. Ma possiamo anche provare a informarci di più, cambiare le nostre abitudini e costruire un nuovo futuro a partire da noi stessi e dalle nostre scelte. Ora!(“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo! Una nostra riflessione sulle recenti manifestazioni di protesta”, lettera-appello a cura del Circolo Mdf di Torino, pubblicata dal sito del Movimento per la Decrescita Felice il 12 dicembre 2013).Cari concittadini (lavoratori, studenti, pensionati, disoccupati…) giustamente stufi e al limite della sopportazione, condividendo la preoccupazione di chi è sceso in piazza ed evitando considerazioni personali sul colore delle manifestazioni (fermo restando il rifiuto della violenza, aspetto che vogliamo ribadire), vorremmo solo condividere alcune riflessioni con voi. Siamo pienamente in sintonia con le motivazioni alla base della protesta (corruzione e sbando della classe politica, globalizzazione, finanza e mercato selvaggi e senza limiti che strangolano il piccolo commercio locale, etc); riteniamo, tuttavia, che un’alternativa migliore debba partire da noi e che il cambiamento di questo sistema economico deve essere attuato con azioni concrete.
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Liberarsi dall’euro, non-moneta fraudolenta e totalitaria
La nostra maledizione? Si chiama euro. «Più che una moneta, è un metodo di governo occulto, elitario, illegittimo, autoritario e antidemocratico». Una minaccia «che divide, anziché unire i popoli europei, col terrorismo della miseria (fuori dall’euro) e la promessa della prosperità (dentro l’euro)». Un mito, «falsificato in diverse varianti, a seconda della realtà socio-economica interna di ciascun paese». L’inizio della fine? Lo storico divorzio tra governi e banche centrali, dove queste ultime hanno cessato di fungere da “bancomat” degli Stati per sostenere la spesa pubblica. Di qui le “riforme strutturali” che prevedono stangate fiscali e misure recessive, privatizzazioni dei servizi, devastazione del lavoro con flessibilità, precarizzazione e licenziamenti facili. Era un piano preciso: togliere ossigeno agli Stati, azzoppando le economie democratiche a vantaggio delle élite. Lo spread? «Chiaramente pilotato dalla Bce, come “clava di ultima istanza” per costringere i governi periferici a imporre l’amara medicina».Obiettivo: smantellare lo Stato democratico – garante dei cittadini – per privatizzare tutto, a beneficio di pochi ricchissimi. E tutto questo, osserva Alberto Conti su “Megachip”, grazie a un alibi come il «falso dogma dell’indipendenza della politica monetaria ai fini della stabilità». Così, si è formata l’euro-burocrazia al servizio delle lobby economico-finanziarie, che di fatto si arrogano il diritto d’interpretare il processo di unificazione europea, «falsamente presentato con la persuasiva immagine progressista dei padri fondatori di un sogno, che in realtà si è trasformato in un incubo», soprattutto per paesi come l’Italia. Col maturare della crisi, «l’euro mostra sempre più la sua vera natura di moneta fraudolenta, con la funzione di idrovora della ricchezza pompata dal basso verso l’alto». Ma la cosa peggiore è che questi falsi ideologici «alimentano odio e false contrapposizioni d’interesse tra i popoli, in nome della “competitività nei liberi mercati”, senza mai specificare se fisici o finanziari, in una logica di commistione diabolica dove per salvare gli uni occorre distruggere gli altri».Che l’euro sia una non-moneta, continua Conti, lo testimonia il suo disegno strutturale fin dalla nascita (Maastricht, Bundesbank, Deutsche Bank), i cui esiti nefasti si stanno manifestando dopo poco più di un decennio dalla sua entrata in vigore, precipitati e aggravati dalla crisi finanziaria globale che ha il suo epicentro a Wall Street. Basta un raffronto dell’euro col dollaro – i debiti sovrani europei e quello federale Usa – per capire le analogie e le differenze della “nostra” (si fa per dire) moneta con quella di riferimento globale, cioè il dollaro di Bretton Woods, dal 1971 divenuto «la principale arma di contrapposizione ostile e violenta dell’impero col resto del mondo». Quanto all’euro, «da promessa di simbolo e motore economico dell’Unione Europea», si è presto rivelato essere il suo esatto opposto, cioè «strumento di prevaricazione di pochi sempre più ricchi sulle masse impoverite». Una vera «forza disgregatrice dell’Unione Europea, dopo i primi illusori anni». La catastrofe della periferia, però, è di tali proporzioni da travolgere di seguito anche il centro, che però un risultato lo ha comunque ottenuto: consolidare l’economia della Germania riunificata, “stabilizzando” un alleato strategico degli Usa.«Si pronuncia euro, copyright della Bce, ma si legge “potere della finanza globale neoliberista”», realizzato «attraverso la longa manus di un sistema bancario privatizzato e asservito agli interessi dell’élite, come già le corporation che monopolizzano i mercati fisici e il sistema mediatico che disinforma e addormenta le masse». Dunque, che fare? Abbattere questo “mostro” o riformarlo, mettendolo al servizio dei popoli? Per Conti, «la natura non riformabile di questa sovrastruttura tecno-politica può pur sempre trasfigurare in positivo semplicemente abrogandone la sua caratteristica principale, il totalitarismo progressivamente istituzionalizzato, cioè il fatto di essere una “moneta unica” non nel senso che è comune (10 paesi dell’Ue non l’hanno mai adottata), ma nel senso che non ammette altre valute là dove invece è stata introdotta nel 2000». Tecnicamente basterebbe aggiungere in ogni paese dell’Eurozona una nuova moneta nazionale (Euro-lira, Euro-marco, Euro-pesetas), inizialmente nel rapporto 1:1 con l’euro; la nuova moneta sostituirebbe quella della Bce per la fiscalità e i pagamenti interni al paese, lasciando all’euro la funzione di pagamento nelle transazioni tra paesi diversi. Decisivo il rapporto dei cambi: andrebbe aggiornato periodicamente «sotto il controllo di un nuovo Parlamento Europeo, finalmente dotato della dignità di un vero governo di competenza strettamente confederale, che governa la Bce collegialmente».Questa misura, per avere il successo sperato e traghettare l’Europa fuori dalla crisi, dovrebbe essere accompagnata da un decalogo di cambiamento radicale. Mai più cessioni improprie di sovranità nazionale, a cominciare da quella monetaria interna. Mai più obbedienza cieca, sotto ricatto, ai diktat del circo della finanza globalizzata. Mai più salvataggi pubblici dei crack degli speculatori privati, grandi o piccoli. Mai più la primazia del profitto privato sulla difesa del lavoro. Mai più il contrasto alla recessione con misure recessive. E mai più libera circolazione di merci e capitali contro gli equilibri e gli interessi leciti dell’economia locale. Inoltre, aggiunge Conti, bisognerebbe bloccare gli attacchi speculativi eterodiretti alla valuta nazionale, impedire che i “debiti sovrani” finiscano fuori controllo. Mai più interferenze delle lobby, le grandi mafie che oggi dettano ai governi le misure da infliggere ai cittadini. Obiettivo possibile, a patto che risorga lo Stato democratico come “attore dell’economia”, con «funzioni di stimolo e di controllo sistemico». Dalla dignità dello Stato dipende quella dei cittadini, quindi la democrazia: serve «una forte volontà politica» per globalizzare i diritti, verso un futuro di pace che ci liberi dall’incubo.La nostra maledizione? Si chiama euro. «Più che una moneta, è un metodo di governo occulto, elitario, illegittimo, autoritario e antidemocratico». Una minaccia «che divide, anziché unire i popoli europei, col terrorismo della miseria (fuori dall’euro) e la promessa della prosperità (dentro l’euro)». Un mito, «falsificato in diverse varianti, a seconda della realtà socio-economica interna di ciascun paese». L’inizio della fine? Lo storico divorzio tra governi e banche centrali, dove queste ultime hanno cessato di fungere da “bancomat” degli Stati per sostenere la spesa pubblica. Di qui le “riforme strutturali” che prevedono stangate fiscali e misure recessive, privatizzazioni dei servizi, devastazione del lavoro con flessibilità, precarizzazione e licenziamenti facili. Era un piano preciso: togliere ossigeno agli Stati, azzoppando le economie democratiche a vantaggio delle élite. Lo spread? «Chiaramente pilotato dalla Bce, come “clava di ultima istanza” per costringere i governi periferici a imporre l’amara medicina».
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Sapelli: Italia kaputt, la Germania ci prenderà tutto
Doppia mossa del cavallo europeo. Prima si colpisce la Germania invocando un articolo dei trattati ultra-nascosto e dimenticato – eccesso di surplus commerciale, pensate un po’– e in tal modo ci si accoda obbedienti al diktat Usa che ha attaccato Berlino con una violenza inaudita, mai resa manifesta da dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Poi si attacca l’Italia, tutta protesa a dar buon esempio di sé, e la si critica; non la si colpisce a morte, la si ferisce per la legge di stabilità, soprattutto per l’enormità degli emendamenti. È un imprevisto. Vuol dire che gli Usa contano sino a un certo punto e un contentino alla Germania bisogna pur darlo. Del resto è Berlino che controlla e dirige la macchina tecno-burocratica. In primo luogo, per capacità e patriottismo nazionalistico dei suoi funzionari, che hanno via via egemonizzato attorno a sé i rappresentati dei paesi ex comunisti e quelli nordici dell’Europa scandinava che tutto è meno che europea, ossia è una formazione economico-sociale a sé stante come ricorda del resto la storia dei trattati economici post-bellici, Efta in testa.Ma lasciamo perdere, queste cose nel tempo dei reset non le ricorda più nessuno, anche se contano. Questo attacco dell’Ue è ingiustificato, formalmente e politicamente. Ma esso è il frutto di un’enormità politica che ha offerto al dominio teutonico la testa dell’Italia su un piatto d’argento: un governo di pacificazione coalizionista che non riesce a presentare al Parlamento una finanziaria bloccata e su di essa chiedere la fiducia. Così si litiga mesi e mesi su qualche punto di Iva e sull’Imu sì o no, con un ministro del Tesoro incapace di trovare un miliardo nel bilancio dello Stato e che ci rappresenta in Europa con un’incapacità che non si è mai vista… Ma certo il problema è grande: se inviassero la troika cosa dovrebbe fare Letta? Dovrebbe in ogni caso farle fare un passo indietro e mandarla a casa a Bruxelles. Se cediamo ora su questo punto siamo finiti: ossia, il sistema industriale ed economico è finito. Chiunque parli con le cuspidi del potere economico tedesco sa che la battaglia d’Italia sono ora decisi a vincerla loro, i tedeschi, comprando a prezzi di svendita tutto ciò che è possibile.Ai francesi danno qualche spaziale consolazione e agli Usa non possono opporsi rispetto ai grandi gruppi, ma le medie imprese tascabili e co. – tra parentesi, ne abbiamo perse il 20% in questi ultimi due anni, ossia circa mille! – debbono finire in mano tedesca, secondo una logica di complementarietà nella maggioranza dei casi e non di distruzione, tipo quella operata da Prodi e compagni quando fecero le privatizzazioni. È quindi nella distruzione generale un passo avanti per occupazione e reddito e conservazione del patrimonio cognitivo. Ma vuol dire la subalternità economica assoluta. Questo non piace agli Usa, lo ripeto da sempre e da sempre ripeto che la via di uscita non è economica ma diplomatica e strategica: è geostrategica sino a nuovi rapporti con la Russia. Se non fanno questo, Letta e Alfano, se non si opporranno direttamente, come dovrebbero patriotticamente fare, alle misure ingiuste che si profilano venire dall’Europa, faranno entrambi la fine di Papandreou: chiese un referendum prima dell’arrivo della troika, ora è sparito, non se ne parla più, non si sa neppure dove sia finito.(Giulio Sapelli, “La Germania prepara la campagna d’Italia”, da “Il Sussidiario” del 19 novembre 2013).Doppia mossa del cavallo europeo. Prima si colpisce la Germania invocando un articolo dei trattati ultra-nascosto e dimenticato – eccesso di surplus commerciale, pensate un po’– e in tal modo ci si accoda obbedienti al diktat Usa che ha attaccato Berlino con una violenza inaudita, mai resa manifesta da dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Poi si attacca l’Italia, tutta protesa a dar buon esempio di sé, e la si critica; non la si colpisce a morte, la si ferisce per la legge di stabilità, soprattutto per l’enormità degli emendamenti. È un imprevisto. Vuol dire che gli Usa contano sino a un certo punto e un contentino alla Germania bisogna pur darlo. Del resto è Berlino che controlla e dirige la macchina tecno-burocratica. In primo luogo, per capacità e patriottismo nazionalistico dei suoi funzionari, che hanno via via egemonizzato attorno a sé i rappresentati dei paesi ex comunisti e quelli nordici dell’Europa scandinava che tutto è meno che europea, ossia è una formazione economico-sociale a sé stante come ricorda del resto la storia dei trattati economici post-bellici, Efta in testa.
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Vandana Shiva: perché la crescita è nemica della vita
La crescita illimitata è la fantasia di economisti, imprese e politici. La vedono come una misura del progresso. Come risultato, il prodotto interno lordo (Pil), che dovrebbe misurare la ricchezza delle nazioni, è diventato sia il numero più potente che il concetto dominante del nostro tempo. Tuttavia, la crescita economica nasconde la povertà creata attraverso la distruzione della natura, la quale a sua volta porta a comunità incapaci di provvedere a se stesse. Durante la seconda guerra mondiale il concetto di crescita fu presentato come una misura per la movimentazione delle risorse. Il Pil si basa sulla creazione di un confine artificiale e fittizio, il quale parte dal presupposto che se produci ciò che consumi, non produci. In effetti, la “crescita” misura la trasformazione della natura in denaro e dei beni comuni in merci. Così i magnifici cicli naturali di rinnovamento dell’acqua e delle sostanze nutritive sono qualificati non produttivi.I contadini di tutto il mondo, che forniscono il 72% del cibo, non producono; le donne che coltivano o fanno la maggior parte dei lavori domestici non rispettano questo paradigma di crescita. Una foresta vivente non contribuisce alla crescita, ma quando gli alberi vengono tagliati e venduti come legname, abbiamo la crescita. Le società e le comunità sane non contribuiscono alla crescita, ma la malattia crea crescita attraverso, ad esempio, la vendita di medicine brevettate. L’acqua disponibile come bene comune condiviso liberamente e protetto da tutti viene fornita a tutti. Tuttavia, essa non crea crescita. Ma quando la Coca-Cola impone una pianta, estrae l’acqua e con essa riempie le bottiglie di plastica, l’economia cresce. Ma questa crescita è basata sulla creazione di povertà – sia per la natura sia per le comunità locali. L’acqua estratta al di là della capacità della natura di rigenerarsi crea una penuria d’acqua. Le donne sono costrette a percorrere lunghe distanze in cerca di acqua potabile. Nel villaggio di Plachimada nel Kerala, quando la passeggiata per l’acqua è diventata 10 chilometri, la tribale donna locale Mayilamma ha detto che il troppo è troppo. Non possiamo camminare ulteriormente, l’impianto della Coca-Cola deve chiudere. Il movimento che le donne incominciarono ha portato infine alla chiusura dello stabilimento.Nella stessa ottica, l’evoluzione ci ha regalato il seme. Gli agricoltori lo hanno selezionato, allevato e lo hanno diversificato – esso è la base della produzione alimentare. Un seme che si rinnova e si moltiplica produce semi per la prossima stagione, così come il cibo. Tuttavia, il contadino di razza e il contadino che salva i semi non sono visti come un contributo alla crescita. Ciò crea e rinnova la vita, ma non porta a profitti. La crescita inizia quando i semi vengono modificati, brevettati e geneticamente resi sterili, portando gli agricoltori ad essere costretti a comprarne di più ad ogni stagione. La natura si impoverisce, la biodiversità è erosa e una risorsa aperta libera si trasforma in una merce brevettata. L’acquisto di semi ogni anno è una ricetta per l’indebitamento dei poveri contadini dell’India. E da quando è stato istituito il monopolio dei semi, l’indebitamento degli agricoltori è aumentato. Dal 1995, oltre 270.000 agricoltori in India sono stati presi nella trappola del debito e si sono suicidati.La povertà è anche ulteriore spreco quando i sistemi pubblici vengono privatizzati. La privatizzazione di acqua, elettricità, sanità e istruzione genera crescita attraverso i profitti. Ma genera anche povertà, costringendo la gente a spendere grandi quantità di denaro per ciò che era disponibile a costi accessibili come bene comune. Quando ogni aspetto della vita è commercializzato e mercificato, vivere diventa più costoso e la gente diventa più povera. Sia l’ecologia che l’economia sono nate dalla stessa radice – “oikos”, la parola greca per “casa”. Fino a quando l’economia è stata incentrata sulla famiglia, riconosceva e rispettava le sue basi nelle risorse naturali e i limiti del rinnovamento ecologico. Era focalizzata a provvedere ai bisogni umani di base all’interno di questi limiti. L’economia basata sulla famiglia era anche incentrata sulle donne. Oggi l’economia è separata sia dai processi ecologici che dai bisogni fondamentali e si oppone ad ambedue. Mentre la distruzione della natura veniva motivata da ragioni di creazione della crescita, la povertà e l’espropriazione aumentavano. Oltre ad essere insostenibile, è anche economicamente ingiusta.Il modello dominante di sviluppo economico è infatti diventato contrario alla vita. Quando le economie sono misurate solo in termini di flusso di denaro, i ricchi diventano più ricchi e i poveri sempre più poveri. E i ricchi possono essere ricchi in termini monetari – ma anche loro sono poveri nel contesto più ampio di ciò che significa essere umani. Nel frattempo, le richieste del modello attuale dell’economia stanno portando a guerre per le risorse come quelle per il petrolio, guerre per l’acqua, guerre alimentari. Ci sono tre livelli di violenza implicati nello sviluppo non sostenibile. Il primo è la violenza contro la terra, che si esprime come crisi ecologica. Il secondo è la violenza contro l’uomo, che si esprime come povertà, miseria e migrazioni. Il terzo è la violenza della guerra e del conflitto, come potente caccia alle risorse che si trovano in altre comunità e paesi per i propri appetiti illimitati.L’aumento del flusso di denaro attraverso il Pil si è dissociato dal valore reale, ma coloro che accumulano risorse finanziarie possono poi reclamare pretese sulle risorse reali delle persone – la loro terra e l’acqua, le foreste e i semi. Questa sete li conduce all’ultima goccia d’acqua e all’ultimo centimetro di terra del pianeta. Questa non è la fine della povertà. É la fine dei diritti umani e della giustizia. Gli economisti e premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen hanno riconosciuto che il Pil non coglie la condizione umana e hanno sollecitato la creazione di altri strumenti per misurare il benessere delle nazioni. Questo è il motivo per cui paesi come Bhutan hanno adottato la “felicità nazionale lorda” al posto del prodotto interno lordo per calcolare il progresso. Abbiamo bisogno di creare misure che vadano oltre il Pil, ed economie che vadano al di là del supermercato globale, per ringiovanire la ricchezza reale. Dobbiamo tener presente che la vera valuta della vita è la vita stessa.(Vandana Shiva, “Come la crescita economica è diventata nemica della vita”, intervento pubblicato dal “Guardian” e ripreso il 4 novembre 2013 da “Come Don Chisciotte”).La crescita illimitata è la fantasia di economisti, imprese e politici. La vedono come una misura del progresso. Come risultato, il prodotto interno lordo (Pil), che dovrebbe misurare la ricchezza delle nazioni, è diventato sia il numero più potente che il concetto dominante del nostro tempo. Tuttavia, la crescita economica nasconde la povertà creata attraverso la distruzione della natura, la quale a sua volta porta a comunità incapaci di provvedere a se stesse. Durante la seconda guerra mondiale il concetto di crescita fu presentato come una misura per la movimentazione delle risorse. Il Pil si basa sulla creazione di un confine artificiale e fittizio, il quale parte dal presupposto che se produci ciò che consumi, non produci. In effetti, la “crescita” misura la trasformazione della natura in denaro e dei beni comuni in merci. Così i magnifici cicli naturali di rinnovamento dell’acqua e delle sostanze nutritive sono qualificati non produttivi.
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Hedges: quest’impero di depravati sta per travolgerci
Gli ultimi giorni dell’impero danno gran lavoro e potere agli inetti, agli squilibrati ed agli imbecilli. Questi politici e propagandisti di corte, assunti per essere la faccia pubblica della nave che affonda, mascherano il vero lavoro dell’equipaggio, il quale saccheggia sistematicamente i passeggeri mentre la nave affonda. I mandarini del potere stanno nella timoniera, impartendo ordini ridicoli e osservando in quanto tempo riescono a distruggere i motori. Combattono come bambini al timone di una nave, mentre la barca va a tutta velocità contro un iceberg. Passeggiano in coperta facendo discorsi pomposi. Urlano che la nave Ss America è la migliore mai costruita. Insistono che ha la tecnologia più avanzata e che incarna le più alte virtù. E poi, con una furia improvvisa e inaspettata, andremo giù nelle acque gelide. Gli ultimi giorni dell’impero sono un carnevale di follia. Siamo nel mezzo di noi stessi, spinti dai nostri leader di corte che si intestardiscono sull’economia e l’auto-distruzione. Sumeri e Romani caddero in questo modo, come pure gli Ottomani e l’impero Austro-Ungarico.Uomini e donne dalla sbalorditiva mediocrità e depravazione guidavano le monarchie d’Europa e della Russia alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. E l’America, nel suo stesso declino, ha offerto una parte del suo essere rammollita, stolta e imbecille fino alla totale distruzione. Una nazione che era ancora radicata nella realtà non avrebbe mai glorificato ciarlatani come il senatore Ted Cruz, il portavoce della Casa Bianca John Boehner e l’ex-portavoce Newt Gingrich che hanno corrotto le onde radio. Se avessimo avuto la minima idea di cosa realmente ci sarebbe accaduto ci saremmo rivoltati con furia contro Barack Obama, la cui eredità sarà la capitolazione totale alle esigenze di Wall Street, all’industria del combustibile fossile, al complesso dell’industria militare e allo stato di sicurezza e sorveglianza. Avremmo dovuto manifestare con quei pochi, come Ralph Nader, che hanno denunciato il sistema monetario basato sul gioco d’azzardo, l’interminabile stampa di denaro e ha condannato la distruzione ostinata dell’ecosistema. Dovevamo ammutinarci. Dovevamo far tornare indietro la nave.Le popolazioni dell’impero in caduta sono passive perché spensierate. E’ in atto una narcotizzazione del sogno ad occhi aperti tra coloro che rotolano verso l’oblio. Si rifugiano nella sessualità, nelle cose scadenti e nell’insensatezza, rifugi che al momento sono piacevoli ma di sicura auto-distruzione. Credono ingenuamente che tutto funzionerà. Come specie umana, osserva Margaret Atwood nel suo romanzo distopico “Oryx and Crake”, siamo condannati alla speranza. E assurde promesse di speranza e gloria sono continuamente servite dall’industria dell’intrattenimento, dell’élite politica ed economica, dalla classe dei cortigiani che fingono di essere giornalisti, guru autodidatti come Oprah e sistemi di credo religiosi che assicurano ai seguaci che Dio li proteggerà sempre. E’ una auto-delusione collettiva, un ritirarsi nel pensiero magico.«Il cittadino americano finora è vissuto in un mondo dove la fantasia è più reale della realtà stessa, dove l’immagine ha più dignità dell’originale», scrisse Daniel J. Boorstin nel suo libro “L’immagine: guida agli pseudo-eventi in America”. «Difficilmente affrontiamo il nostro sconcerto, perché la nostra esperienza ambigua è piacevolmente iridescente, e il conforto nella fede della realtà artificiosa è completamente reale. Siamo diventati accessori desiderosi nella grande era delle bufale. Queste sono le bufale che giochiamo a noi stessi». Cultura e alfabetismo, nella fase finale del declino, sono sostituiti da rumori diversivi e stereotipi vuoti. Lo statista romano Cicerone inveiva contro il loro equivalente dell’epoca – l’arena. Cicerone, a causa della sua onestà, fu inseguito e ucciso; le mani e la testa tagliate. La testa mozzata e la mano destra, con la quale aveva scritto le Filippiche, furono inchiodate sul palco dove parlavano al Foro. Mentre l’élite romana gli sputava sulla testa, dicevano allegramente alla folla inferocita che non avrebbe più parlato o scritto di nuovo.Nell’era moderna questa tossica cacofonia insensata, la nostra versione di spettacolo e di combattimenti di gladiatori, di “panem et circenses”, viene pompata ciclicamente ventiquattrore su ventiquattro dalle onde radio. La vita politica si è fusa con il culto della celebrità. L’educazione è principalmente professionale. Gli intellettuali sono scacciati e disprezzati. Gli artisti non possono vivere del proprio lavoro. Poche persone leggono libri. Il pensiero è stato bandito soprattutto nelle università e nei college, dove pedanti, timidi e carrieristi sfornano banalità accademiche. «Anche se la tirannia, che non ha bisogno di consenso, può governare con successo sui popoli stranieri», scrisse Hannah Arendt nel suo libro “Le origini del totalitarismo”, «si può restare al potere solo se si distruggono prima di tutto le istituzioni nazionali del popolo». E le nostre sono state distrutte.Le nostre ossessioni prioritarie sono il piacere sensuale e l’eterna giovinezza. L’imperatore romano Tiberio si ritirò nell’isola di Capri e convertì il suo palazzo al mare in una casa di lussuria sfrenata e violenza. «Gruppi di ragazze e giovani uomini, che erano stati raccattati da ogni parte dell’impero come adepti a pratiche innaturali, conosciute come spintriae, avrebbero copulato prima di lui in gruppi di tre, per eccitare il suo desiderio scemante», scrisse Svetonio ne “I dodici Cesari”. Tiberio addestrava ragazzini, che lui chiamava i suoi pesciolini, a folleggiare con lui in acqua e a fare sesso orale. E dopo aver osservato una tortura prolungata, li avrebbe poi obbligati a buttarsi da una scogliera vicino al suo palazzo. A Tiberio sarebbero seguiti Caligola e Nerone. «A volte, quando viene voltata la pagina», scrisse Louis-Ferdinand Céline in “Da un castello all’altro”, «quando la storia raggruppa insieme tutti i pazzi, apre le sue epiche sale da ballo! Cappelli e capi nel turbine! Mutandine in mare!».Nel suo libro “Il collasso delle società complesse”, l’antropologo Joseph Tainter osserva il collasso delle civiltà, dai Romani ai Maya. Conclude dicendo che si disintegrarono perché alla fine non potevano sostenere le complessità burocratiche che avevano creato. Strati di burocrazia richiedono sempre maggiore sfruttamento, non solo dell’ambiente ma anche delle classi operaie. Diventano calcificati da sistemi che non sono in grado di rispondere ai cambiamenti che avvengono attorno a sé. Come succede nelle nostre università d’élite e nelle scuole aziendali, vengono prodotti in serie informatici gestionali, ai quali insegnano non a pensare, ma a far funzionare ciecamente il sistema. Questi informatici gestionali sanno solo come perpetuare se stessi e il sistema al quale sono al servizio, anche se significa sventrare la nazione e il pianeta. Le nostre élite e i burocrati logorano il pianeta per sostenere un sistema che in passato ha funzionato, senza riconoscere che ora non funziona più.Invece di prendere in considerazione delle riforme che metterebbero a rischio i loro privilegi e il loro potere, le élite si rifugiano nel crepuscolo dell’impero, nelle cinta murate, come nella città perduta o Versailles. Inventano la propria realtà. Continuano a ripetere questi comportamenti a Wall Street e nelle sale del consiglio: gli stessi che insistono che la dipendenza dai combustibili fossili e le speculazioni sosterranno l’impero. Le risorse dello Stato, come fa notare Tainter, alla fine sono sempre più sprecate in progetti insensati e stravaganti e in avventure imperiali. E poi tutto collasserà. Il nostro collasso porterà con sé tutto il pianeta. Ammetto che è più piacevole starsene ipnotizzati davanti alle nostre allucinazioni elettroniche. E’ più facile darci mentalmente un’occhiata. E’ più gratificante assorbire l’edonismo e la malattia del culto di se stessi e del denaro. E’ più confortante chiacchierare del gossip delle celebrità e ignorare o respingere la realtà.Thomas Mann ne “La montagna incantata” e Joseph Roth in “Hotel Savoy” raccontano brillantemente questo peculiare stato mentale. Nell’hotel di Roth i primi tre piani destinati alla lussuria ospitano i ricchi boriosi, i politici immorali, i banchieri e gli imprenditori. I piani superiori sono affollati da gente che lotta per pagare i propri debiti e che sta costantemente svendendo le sue proprietà; gente che in questo modo diventerà povera e verrà scacciata. Non c’è un’ ideologia politica tra la classe dominante deteriorata, nonostante dibattiti inscenati ed elaborati teatri politici. E’, e alla fine lo è sempre stato, una vasta cleptocrazia. Appena prima della Seconda Guerra Mondiale, un amico chiese a Roth, intellettuale ebreo che era fuggito a Parigi dalla Germania nazista: «Perché bevi così tanto?». Roth rispose: «Pensi che riuscirai a scappare? Anche tu sarai spazzato via».(Chris Hedges, “La follia dell’impero”, post pubblicato da “Truthdig” e ripreso da “Come Don Chisciotte” il 24 ottobre 2013. Già corrispondente del “New York Times” per quasi vent’anni, Hedges ha scritto saggi su guerra, imperialismo e nuovo fascismo. Il suo libro più recente: “L’impero dell’illusione: la fine della letteratura e il trionfo dello spettacolo”).Gli ultimi giorni dell’impero danno gran lavoro e potere agli inetti, agli squilibrati ed agli imbecilli. Questi politici e propagandisti di corte, assunti per essere la faccia pubblica della nave che affonda, mascherano il vero lavoro dell’equipaggio, il quale saccheggia sistematicamente i passeggeri mentre la nave affonda. I mandarini del potere stanno nella timoniera, impartendo ordini ridicoli e osservando in quanto tempo riescono a distruggere i motori. Combattono come bambini al timone di una nave, mentre la barca va a tutta velocità contro un iceberg. Passeggiano in coperta facendo discorsi pomposi. Urlano che la nave Ss America è la migliore mai costruita. Insistono che ha la tecnologia più avanzata e che incarna le più alte virtù. E poi, con una furia improvvisa e inaspettata, andremo giù nelle acque gelide. Gli ultimi giorni dell’impero sono un carnevale di follia. Siamo nel mezzo di noi stessi, spinti dai nostri leader di corte che si intestardiscono sull’economia e l’auto-distruzione. Sumeri e Romani caddero in questo modo, come pure gli Ottomani e l’impero Austro-Ungarico.
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Ue, tolleranza zero: in galera chi si professa comunista?
La parola “comunista” in Europa sta per diventare ufficialmente un insulto, e probabilmente un reato: né più né meno come le parole razzismo, xenofobia, antisemitismo, omofobia. L’alzata d’ingegno porta la firma del Consiglio Europeo, presieduto da un politico-fantasma come il belga Herman Van Rompuy, di strettissima osservanza Bilderberg. Liquidare il comunismo come fosse l’equivalente del nazismo? Il pericolo, come sempre, è nascosto in un dettaglio, dietro il paravento delle buone intenzioni. Tipo: “promozione della tolleranza”, per al quale predisporre un quadro normativo europeo. «Non credo che l’Unione Europea sia una buona idea», protesta Tim Worstall, «ma sembra che questa volta siano venuti fuori veramente con un jolly: stanno proponendo che ci dovrebbe essere una nuova legge sulle libertà civili e che questa legge dovrebbe rendere un reato penale per chiunque il proporre o promuovere il comunismo. Il che è una cosa un po’ strana per un programma di libertà civili, ma ciò sembra proprio quello che stanno facendo».A prima vista, premette Worstall in un intervento su “Forbes” ripreso da “Come Don Chisciotte”, potrebbe sembrare «la solita lista dei desideri della sinistra sui diritti umani». Ma, se si dà un’occhiata al documento più da vicino, nella sezione 2 (scopo) si spiega che l’obiettivo è quello di «eliminare i crimini d’odio», «condannare tutte le manifestazioni di intolleranza basate su preferenze, fanatismo e pregiudizi», e soprattutto «intraprendere azioni concrete per combattere l’intolleranza, in particolare al fine di eliminare il razzismo, i pregiudizi di colore, la discriminazione etnica, l’intolleranza religiosa, le ideologie totalitarie, la xenofobia, l’antisemitismo, l’anti-femminismo e l’omofobia». Attenzione, dice Worstal, a quella “ideologia totalitaria”. Comunismo? «Quindi lo scopo della legge è quello di assicurarsi che sia eliminato». Come? Lo spiega la sezione 7, che prefigura sanzioni penali. Ideologie intolleranti? Saranno considerate «reati punibili come reati aggravati». In dettaglio: diffamazione e incitamento alla violenza contro gruppi, nonché «la palese approvazione di una ideologia totalitaria», e «l’approvazione pubblica o la negazione dell’Olocausto», ma anche «di qualsiasi altro atto di genocidio la cui esistenza è stata determinata da una corte penale internazionale o da un tribunale».La palese approvazione di una ideologia totalitaria sarà dunque un reato penale? E’ singolare, ironizza Worstall, che siano ancora a piede libero i deputati comunisti appena eletti nella Repubblica Ceca, dopo aver ottenuto il 17% dei voti. Non solo: «Ci sono anche alcuni deputati comunisti nel Parlamento Europeo: sarà interessante vedere se lo voteranno, questo documento». Una proposta di legge incredibile, indecente: «E’ uno dei pezzi più illiberali della legislazione che nessun regime totalitario di ogni tempo abbia mai proposto finora», accusa Worstall, «perché quello che realmente propone è che la libertà di parola di tutti sul continente europeo sarà limitata a ciò che alcuni benpensanti penseranno che sarà consentito come libertà di parola alla gente». Una sconcertante nota esplicativa si premura infatti di spiegare che «non vi è alcun bisogno di essere tolleranti con gli intolleranti», che potrebbero “abusare” della libertà di espressione. Questo accade nell’Unione Europea, nel 2013.La parola “comunista” in Europa sta per diventare ufficialmente un insulto, e probabilmente un reato: né più né meno come le parole razzismo, xenofobia, antisemitismo, omofobia. L’alzata d’ingegno porta la firma del Consiglio Europeo, presieduto da un politico-fantasma come il belga Herman Van Rompuy, di strettissima osservanza Bilderberg. Liquidare il comunismo come fosse l’equivalente del nazismo? Il pericolo, come sempre, è nascosto in un dettaglio, dietro il paravento delle buone intenzioni. Tipo: “promozione della tolleranza”, per al quale predisporre un quadro normativo europeo. «Non credo che l’Unione Europea sia una buona idea», protesta Tim Worstall, «ma sembra che questa volta siano venuti fuori veramente con un jolly: stanno proponendo che ci dovrebbe essere una nuova legge sulle libertà civili e che questa legge dovrebbe rendere un reato penale per chiunque il proporre o promuovere il comunismo. Il che è una cosa un po’ strana per un programma di libertà civili, ma ciò sembra proprio quello che stanno facendo».