La profezia di Technocracy: il libero mercato ci sterminerà
Siamo senz’acqua, senza più suolo fertile sufficiente, senza materie prime abbondanti. E non abbiamo soluzioni: il “sistema dei prezzi”, quello che regola l’economia mondiale, sa solo prelevare risorse e fare business, evitando di pensare al futuro, mentre il mondo sta letteralmente scoppiando a causa del boom demografico. «A lungo termine, le attività connesse al Sistema dei Prezzi portano alla rovina. Quando le risorse saranno esaurite, cosa accadrà? Quel momento sta arrivando». Sembra una profezia del terzo millennio, invece ha una data sbalorditiva: 1948. Già allora, l’americano Howard Scott elaborò la risposta: “Tecnocracy”. Gestione lungimirante di suoli, acque, rifiuti, crescita controllata: sviluppo sostenibile, all’indomani di Hiroshima.
«Il nostro sviluppo tecnologico» ha dato al pericolo-catastrofe «una forza mai avuta prima: questa generazione dovrà affrontare il problema e trovare la risposta». A riproporre la “profezia” di Scott è ora “Il Cambiamento”, che apre una riflessione sulle drammatiche previsioni del mondo dopo il disastro giapponese di Fukushima. Il testo, presentato da Wilton Ivie, era apparso sul “Technocrat Magazine” nel 1948 con il titolo “The Ecology of Man”: presentava il progetto “Tecnocracy”, il sogno di affidare alla scienza lo studio delle soluzioni, su misura per una umanità cooperante e non più competitiva. Gli scettici diranno: allarme eccessivo, visto che dopo mezzo secolo l’uomo non è ancora scomparso. Estinto non ancora, ma in pericolo sì: lo dicono tutti gli indicatori. Del resto, Scott non aveva indicato date, ma tendenze. E con una lucidità impressionante.
Primo problema, l’acqua: guardacaso, oggi è il maggiore assillo planetario. In pochi decenni, denuncia il “Technocrat Magazine”, l’uomo ha intaccato, alterato e prosciugato le falde acquifere che avevano impiegato milioni di anni a sedimentarsi; ha creato drenaggi, distrutto la protezione vegetale, scavato pozzi ed «estratto acqua dal suolo ad un ritmo tale da non poter essere compensato con mezzi naturali». Abbiamo deviato laghi, fiumi e flussi sotterranei per le riserve idriche delle grandi città, incrementando la popolazione ben al di sopra della capacità di dissetarla. Stesso discorso per i suoli: mezzo secolo fa era deteriorato e inutilizzabile un quarto del terreno fertile americano. «Già ci sono nel mondo 600 milioni di persone in più rispetto a quelle che il pianeta può nutrire dignitosamente», scrive la rivista statunitense nel 1948, quando la popolazione mondiale era di quasi 2,5 miliardi, contro i 7 di oggi.
«Durante la crescita industriale, l’uomo è diventato famelico nell’uso di molti minerali, dal ferro grezzo ai fosfati fertilizzanti: molti si avvicinano rapidamente all’esaurimento». Gli Usa, ad esempio, «non riescono più a far fronte al loro consumo attuale di rame, piombo, zinco, tungsteno, manganese e petrolio». Il Nord America, continente preso a modello dallo studio di “Tecnocracy”, è ridotto a importare quasi tutto. Oggi lo sappiamo: l’America fa i conti col debito più pesante al mondo. Il “Technocrat Magazine” aveva visto giusto quando avvertiva: «Di sicuro possiamo dire questo: nel Nord America, nella prossima generazione l’uomo non potrà vivere così come è vissuto in quella passata. Ha sperperato quello che si è trovato a ereditare». Pertanto, «gli abitanti del Nord America, se non per pochi anni ancora, non si possono permettere un modello basato sul liberalismo economico come quello presente».
Motivo? «L’ambiente non potrà fornire a lungo i materiali grezzi per questo tipo di offensiva umana». Peccato che i cittadini nordamericani, oggi come ieri, «invece di riconoscere i fatti e osservare le tendenze, perseverano in modo cieco e sfacciato nell’incrementare proprio quei fattori che stanno contribuendo in larga misura al crollo della loro ostentata civiltà». La questione riguarda l’antropologia dell’homo sapiens e la sua ecologia planetaria: «L’uomo, nell’attuale modalità di comportamento, non è una specie climax nell’ambiente. È una specie di transizione, poiché sta sottraendo all’ambiente più di quanto viene reintrodotto. È pertanto quindi nell’ordine degli eventi che perderà la sua posizione di supremazia nell’associazione organica; forse, per essere sostituito come specie dominante da qualcos’altro. Che sia un insetto, un roditore o una pianta non ci riguarda più di tanto, una volta che sarà stato sopraffatto».
La verità è oggi sotto gli occhi di tutti, coi problemi segnalati dagli scienziati proto-ecologisti statunitensi: sovrappopolazione, erosione e consumo del suolo, distruzione delle foreste e dei pascoli, uso eccessivo delle falde acquifere, esaurimento dei depositi di minerali essenziali. «Gli uomini d’affari e i politici vorrebbero un’accelerazione anche più rapida», scrive il “Technocrat Magazine” nel 1948, denunciando letteralmente come criminali le due categorie: politicanti e businessmen. «Questi due gruppi di traditori della società stanno persino ipotizzando una terza guerra mondiale, la più grande di tutte, nonostante chiunque abbia cognizioni in merito avverte che una tale catastrofe esaurirebbe proprio quelle risorse dalle quali dipende la nostra civiltà industriale ed il suo elevato standard di vita».
Le valutazioni dei rischi non lasciano dubbi sulla probabilità di conseguenze gravissime: per questo Howard Scott elaborò una strategia di interventi sulla società che poteva fungere da modello per un piano sociale per l’America del Nord. Questa idea, nel tempo, è stata conosciuta come “Technocracy”. «Non era un programma popolare: se l’uomo avesse voluto sopravvivere, avrebbe dovuto cambiare molti dei suoi stili di vita, abbandonare il concetto di anarchia individuale e ripudiare le politiche, gli affari imprenditoriali e l’incontrollato spreco delle risorse naturali. Tutto ciò non era proponibile alle masse dell’America del Nord; non soddisfaceva le loro soffici e sentimentali illusioni».
Austerità e responsabilità sociale: non era un’idea che potesse guadagnare consenso. Ed è esattamente il grande problema che ancora oggi frena le democrazie: quale leader avrà mai il coraggio di dire esattamente la drammatica verità ai suoi elettori? «Oggi – scrive sempre nel 1948 il “Technocrat Magazine” – “Technocracy” è l’unica opposizione alla previsione che la civiltà umana sia destinata alla rovina». “Technocracy” promette all’uomo di restare una specie leader sulla Terra solo se raggiungerà lo status di “specie climax” in un nuovo equilibrio ecologico, basato sull’uso razionale di risorse rinnovabili. Nuovi stili di vita, nuova organizzazione sociale. Obiettivo: imparare a «restituire al sistema ecologico il più possibile» di ciò che si sottrae. «Se l’uomo riesce a fare questo, può sopravvivere e prosperare per migliaia di anni sulla Terra. Se non lo fa, la natura prenderà una direzione tanto spietata quanto lo è la specie umana».
Il muro da abbattere è quello del “sistema dei prezzi”, che costringe l’umanità ad una «esistenza transitoria», senza una strategia di sopravvivenza a lungo termine. Il mercato «offre solo una chance all’uomo per ottenere un veloce profitto», ma ormai «sta per imboccare un mare burrascoso». Mezzo secolo dopo, eccoci in piena burrasca. Per tentare di uscirne sani e salvi, vale ancora il decalogo profetico di “Tecnocracy”. Acqua, innanzitutto: «Conservare l’acqua dolce e far sì che torni nel terreno in modo tale da ripristinare il livello della falda freatica». Suolo: «Ridare al terreno la fertilità che gli è stata sottratta». I fertilizzanti chimici non bastano. Serve «una strategia agronomica e zootecnica continentale, progettata scientificamente».
E poi le materie prime: massima attenzione all’uso delle risorse minerali non rinnovabili. Meglio usare materiali facilmente reperibili, abbandonando quelli scarsi. E preparandosi a riciclare tutto: «Non possiamo permetterci di gettare in discarica 48 miliardi di lattine di metallo e 26 miliardi di bottiglie all’anno creando montagne di spazzatura». Dai rifiuti alla pianificazione demografica, fino alla questione strategica, l’energia: «Non possiamo pensare ancora a lungo ai combustibili fossili come fonte primaria», molto meglio «adottare un nuovo modello energetico che ottenga la maggior parte dell’energia da fonti rinnovabili». Parole sante, datate 1948. Da allora, ogni problema è stato lasciato al libero mercato. Per il “Technocrat Magazine”, è come affidare l’agnello al lupo: «Il Sistema del Prezzo, d’altra parte, si rifiuta di affrontare il problema, ma punta all’esaurimento delle nostre limitate risorse al massimo ritmo che possa portare un buon ritorno sulla via del profitto» (info: www.ilcambiamento.it).
Did you know there is a European based technocratic organisation called EOS? Google “eoslife”. Also The Venus Project, as promoted via the Zeitgeist movement, has its roots in Technocracy?
ui
This person seems to have done a lot of reading of Technocracy material. Any number of people can point out that there are problems to be dealt with these days but only Technocracy Inc. seems to have any realistic plan to set about solving them his person is wise enough to recognize this and mention it to others. Nice going.
–
DFR