Archivio del Tag ‘antisemitismo’
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Vilipendio, Toscano: la libertà sta diventando un reato?
«Eravamo cresciuti sapendo che la libertà di pensiero e di espressione era sacra: unico strumento certo, in grado di distinguere la civiltà dalla barbarie, la democrazia dalla dittatura». Così, Francesco Toscano (coordinatore di “Ancora Italia”, con Diego Fusaro) commenta su “Visione Tv” quelli che gli paiono segnali inquietanti, come l’indagine per “vilipendio all’onore e al prestigio del Capo dello Stato”, scattata nei confronti di personaggi come il progessor Marco Gervasoni, docente universitario in Molise, nonché il direttore di “Imola Oggi”, Armando Manocchia, e la giornalista Francesca Totolo. Vilipendio? «E’ un reato di origine monarchica», ricorda il saggista Enzo Pennetta, «pensato per il Re e poi rinforzato nel 1930 – dal Codice Rocco – in un periodo in cui Mussolini si preoccupava di “blindare” la sua stessa autorità». Altri tempi, dice Pennetta, quando presidenti come Leone e Cossiga accettavano critiche anche pesanti. «Poi le cose sono cambiate, con Napolitano». Ora, i media mainstream sparano nel mucchio: associano al professor Gervasoni anche ipotesi di reato come l’istigazione a delinquere, accostandolo a imprecisate frange estremistiche.«L’unico reato per cui sono indagato è vilipendio al presidente della Repubblica a mezzo social, su Twitter», precisa Gervasoni all’agenzia “AdnKronos”. «La cosa curiosa è che il mio profilo è pubblico: tutti possono andare a vedere cosa ho scritto, quindi non so perché ci sia stato bisogno di cercare altre prove scaricando tutti i miei materiali e portando via due pc». Il professore definisce «molto corretti, gentili e attenti» i carabinieri del Ros, senza nascondere il proprio stupore nel ricevere la visita mattuta di uomini che «normalmente si occupano di Totò Riina e dei jihadisti». Gervasoni ammette di aver apertamente biasimato Mattarella: «Però erano tweet di critica politica, assolutamente non minacce. E se diventa vilipendio la critica politica, allora vuol dire che siamo in regimi di altro tipo: fa effetto». Aggiunge lo storico: «Avevo 21.000 follower, e l’account mi è stato sequestrato: in questo modo la mia libertà di espressione è stata fortemente limitata». In ogni caso, aggiunge: «Io sono tranquillo: non troveranno nei miei dispositivi nessun contatto con ambienti eversivi. E i tweet sono pubblici, quindi non vedo che elementi di novità possano emergere dalle indagini, se non a mio discarico».Da storico, Marco Gervasoni evoca una sorta di “guerra” interna alla magistratura italiana (scossa dal caso Palamara e ora anche dal dossier sulla Loggia Ungheria). «Non è la prima volta che qualcuno viene indagato per vilipendio, è successo anche recentemente, ma si sta alzando il tiro colpendo figure più note e collocate in una certa area politica», afferma il professore, che charisce: «Io non sono di estrema destra: sono vicino a Fratelli d’Italia, quindi non ho nulla a che vedere con l’estremismo». Protesta il docente, sempre parlando con l’agenzia di stampa: «Alcuni giornali hanno sbattuto il mostro in prima pagina, scrivendo anche cose false: che sarei indagato per istigazione alla violenza o associazione per delinquere, e perfino che sarei antisemita: ma uno degli ultimi post che avevo fatto era pro-Israele». Secondo Gervasoni, c’è il tentativo di «deviare su altri problemi» la critica legittima alla gestione dell’emergenza Covid, e ci sarebbe anche il desiderio «di zittire, di impaurire: perché, com’è successo a me, può accadere ad altri. E quindi, prima di scrivere qualcosa contro il Capo dello Stato, la prossima volta ci si penserà due volte, anche perché si tratta di un reato che comporta in teoria fino a 5 anni di carcere».Poi c’è la questione politica che investe i partiti: «Sui social possono istigare alla violenza contro la Meloni e contro Salvini, e non succede niente. E’ vero che loro non sono il capo dello Stato, ma nessun magistrato se ne occupa. E invece si occupano della critica politica al presidente della Repubblica, come quella avanzata dal sottoscritto e dalla giornalista Francesca Totolo, ad esempio». Gervasoni intravede una deriva liberticida, in Italia e in tutti i paesi occidentali, che ora «sta interessando anche media e social, che fino a poco tempo fa erano uno strumento di libertà individuale e adesso sono censurati, sia dai propri ‘editori’ sia dalla magistratura». Verità e diritti a senso unico? L’economista Ilaria Bifarini, autrice del bestseller “Il Grande Reset”, è stata minacciata in modo esplicito: «So dove vivi, sei avvertita», recitava il messaggio ricevuto tempo fa, corredato con la foto di un coltello insanguinato. «Le minacce di morte valgono solo se rivolte a chi è allineato al potere?», si è domandata la vittima, che si rammarica che non abbia avuto alcun seguito la denuncia immediatamente presentata alla Polizia Postale.Francesco Toscano si fa portavoce delle inquietudini di una parte del paese: siamo ancora in una piena democrazia, o chi esprime dissenso politico deve cominciare a preoccuparsi? «Gli occidentali hanno passato gli ultimi trent’anni a fare la morale ai restanti paesi del mondo, nel nome di una supposta supremazia valoriale, garantita proprio dal rispetto dei diritti umani e della dignità della persona», ricorda Toscano. «I fautori dell’atlantismo più acritico hanno benedetto i continui bombardamenti “umanitari” in danno di paesi considerati oscurantisti e violenti, guidati da satrapi che godono nel sottomettere uomini ridotti al rango di sudditi». Adesso, però, «finita l’euforia attorno al mito della globalizzazione dei diritti», ecco che «scopriamo amaramente che le dittature ce le abbiamo in casa». Ovvero: «Coprifuoco, restrizioni, certificati per vivere e viaggiare, repressione del dissenso e divieto di manifestare (valido solo per gli oppositori politici) scandiscono una realtà divenuta improvvisamente pericolosa. Nel silenzio di una società intontita da un clima di emergenza permanente, stiamo scivolando verso una nuova forma di autoritarismo».Un clima come quello che stiamo vivendo oggi è purtroppo “nuovo”, ammette – sempre su “Visione Tv” – il prestigioso vaticanista Aldo Maria Valli: «Questa cappa di conformismo oggi è allarmante, perché è quasi inavvertita dall’opinione pubblica: e sappiamo che le dittature più pericolose sono proprio quelle “morbide”, nelle quali si casca con tutte le scarpe senza quasi averne la cognizione, e da un giorno all’altro ci si ritrova schiavi, senza nemmeno sapere come sia avvenuto». Aggiunge lo stesso Toscano: «Ho l’impressione che si stia scivolando verso un regime, dati i segni che si manifestano: attacco alla libertà di parola e di espressione, utilizzo della forza pubblica per reprimere condotte costituzionalmente tutelate, misure come il coprifuoco, demonizzazione dell’avversario politico (al quale viene impedito di manifestare». Paradossale, per Toscano, la lettura pubblica dell’emergenza sanitaria: «Il mainstream vuole per forza dividere il campo tra chi nega l’esistenza del virus e chi invece legittima l’adozione di misure assolutamente sproporzionate, rispetto al reale pericolo». Tutti i regimi, anche quelli del passato, chiosa Toscano, cavalcano sempre un problema, vero o presunto: «Lo ingigantiscono, per attuare una dittatura politica che viene legittimata proprio dalla strumentalizzazione del problema. Mi domando: dire questo, oggi, sta diventando un reato?».«Eravamo cresciuti sapendo che la libertà di pensiero e di espressione era sacra: unico strumento certo, in grado di distinguere la civiltà dalla barbarie, la democrazia dalla dittatura». Così, Francesco Toscano (coordinatore di “Ancora Italia”, con Diego Fusaro) commenta su “Visione Tv” quelli che gli paiono segnali inquietanti, come l’indagine per “vilipendio all’onore e al prestigio del Capo dello Stato”, scattata nei confronti di personaggi come il professor Marco Gervasoni, docente universitario in Molise, nonché il direttore di “Imola Oggi”, Armando Manocchia, e la giornalista Francesca Totolo. Vilipendio? «E’ un reato di origine monarchica», ricorda il saggista Enzo Pennetta, «pensato per il Re e poi rinforzato nel 1930 – dal Codice Rocco – in un periodo in cui Mussolini si preoccupava di “blindare” la sua stessa autorità». Altri tempi, dice Pennetta, quando presidenti come Leone e Cossiga accettavano critiche anche pesanti. «Poi le cose sono cambiate, con Napolitano». Ora, i media mainstream sparano nel mucchio: associano al professor Gervasoni anche ipotesi di reato come l’istigazione a delinquere, accostandolo a imprecisate frange estremistiche.
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Post antisemita: Torino, s’indigna l’impero delle bugie
Non una riga sulle grandi manovre della dinastia Agnelli-Elkann, ma fiumi di inchiostro per lo scivolone “antisemita” di una consigliera comunale di Torino, che veicola incautamente un post nel quale si associa l’antica spazzatura nazi-razzista alla (sacrosanta) denuncia della mega-concentrazione editoriale nelle mani del sempre più potente gruppo Gedi. Succede nell’Italia del 2021, reduce da un anno di lavaggio del cervello – teoria e pratica del terrorismo sanitario, grazie alla banda Conte – in cui, a parte il totalitarismo informativo sul virus, la casata torinese ha compiuto atti epocali, nel silenzio generale: la storica cessione dell’ex Fiat ai francesi e la trattativa per sbolognare anche Iveco (ai cinesi), dopo aver incassato i miliardi ottenuti da “Giuseppi” col pretesto della crisi pandemica, in realtà utilizzati da Exor per confluire in Stellantis. Da notare, soprattutto, la clamorosa requisizione del gruppo “Espresso”, a cominciare da “Repubblica”, senza il minimo accenno di allarme da parte della politica, o dallo stesso Ordine dei Giornalisti con le sue articolazioni sindacali, un tempo vigili di fronte alla creazione di trust dominanti come quello berlusconiano.
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Mes e Recovery, la trappola per svenderci a Parigi e Berlino
«Ci si balocca se accettare o no il Mes, mentre l’industria manifatturiera crolla». L’economista Giulio Sapelli lancia l’allarme: è a rischio il sistema industriale italiano, fondato sulle piccole e medie imprese. Si salvano solo i big (pochissimi) e i comparti alimentare e farmaceutico: tutto il resto sta per collassare, dopo la catastrofe del lockdown. Sul “Sussidiario”, Sapelli cita la recente uscita – sullo stesso newsmagazine – di Domenico Lombardi, già consulente economico del Fmi, che segnala l’enorme budget oggi a disposizione della Tesoreria italiana: 98 miliardi di euro (frutto dell’acquisto massiccio di titoli di Stato, da parte della Bce presieduta da Christine Lagarde). «E allora la risposta del perché si faccia questo rito da avanspettacolo del Mes è tutta nel gioco di specchi in cui si è ormai trasformata la politica italiana ed europea», scrive Sapelli. «Si ripete insistentemente, nelle cancellerie europee e nelle ambasciate, che è da tempo iniziato un pressing sulla mucillaggine peristaltica governativa». Che tipo di pressing? Si vuole che l’Italia «giunga a essere ben disposta a cedere, a talune imprese francesi e tedesche (modello Fca-Psa), assets essenziali di ciò che rimane delle sue imprese di eccellenza medio-grandi».Tutto questo, «per compensare i grand commis de l’État d’oltralpe di aver appoggiato la nostra diplomazia in Europa» nelle trattative sul Recovery Fund. «Appoggio di cui non vi era nessun bisogno – scrive Sapelli – se non quello artatamente creato dalle molecole in movimento nella mucillaggine», molecole debitamente «eterodirette». Per Sapelli, finalmente «si disvela l’arcano»: per realizzarsi pienamente, aggiunge l’economista, la concentrazione capitalistica «dovrebbe integrare in forma subalterna, ossia tipica del capitalismo estrattivo (in questo caso di marca tedesca e francese) segmenti del capitalismo italiano». Attenzione: questo dominio capitalistico-coloniale «i francesi lo sperimentano ancora su larga scala in Africa, usando soprattutto la forza militare», mentre la Germania – priva di un esercito temibile – deve ricorrere a «forme di pressione che sono rese esplicite (e non volute) nel caso Navalny, ossia attraverso un lavorio di intelligence, contro-informazione e indebolimento degli Stati in cui sono localizzate le imprese da “estrarre”, sino a giungere alla corruzione su larga scala, come fu evidente già con il Dieselgate e ora con il caso Wirecard».Sapelli allude all’impresa di pagamenti che è stata prossima ad acquistare Deutsche Bank e che è al centro di uno scandalo finanziario di immani proporzioni, e il cui amministratore delegato «si è rifugiato o in Bielorussia o in Russia, protetto dai servizi segreti tedeschi e russi». Tornando all’Italia, «si capisce bene che ricevere i fondi a prestito del Mes o non riceverli diviene – in questa situazione – solo una sorta di scelta politica, perché di essi non vi è assolutamente nessuna necessità finanziaria». Il guaio? Al governo Conte, e ai partiti che lo sostengono, manca «una linea strategica riformista e produttivista rispetto all’Italia e all’Europa». E così, «la maggioranza mette in scena un dilemma che in realtà potrebbe non esistere: dilaniarsi tra lo scegliere se stare con i populisti di destra o con quelli di sinistra». Si tratta quindi di decidere se vogliamo «cadere nelle mani dei fanatici dell’ierocrazia europeista», oppure «nelle mani di coloro che sono contro l’Europa tout court, secondo i modelli della destra sociale più classica, spesso neonazista, antisemita e in ogni caso tipica di quello che intere biblioteche hanno classificato come “anticapitalismo di destra”».La vera tragedia, conclude Sapelli, è rappresentata dall’inconsistenza politica italiana: in pratica, siamo «una maionese», ma «senza chef». In giro si cono soltanto «cucine da campo improvvisate», ma purtroppo «inamovibili». E nessuno, nella “cucina da campo”, segue la vera questione. E cioè: «I fondi europei che giungeranno sono meno di quelli che si potrebbero raccogliere lanciando un prestito nazionale a lunga scadenza». Allora, ragiona Sapelli, «sarà inevitabile essere sottoposti in Italia alle procedure di controllo della Commissione Europea». Fatale corollario: la «conseguente imposizione delle controriforme fiscali e pensionistiche», cioè le misure ammazza-Italia che si riterranno più idonee «per procedere a quella centralizzazione capitalistica a cui si lavora alacremente, come si è detto, dietro quegli specchi che accecano elettori ed eletti, in par condicio», mentre il paese – cui si propone “l’avanspettacolo” del Mes – si accinge a votare stancamente per le regionali e per il referendum contro il Parlamento, in una situazione in cui il conto alla rovescia annunciato da Bankitalia – nei guai una famiglia su tre – è confermato dalle statistiche che indicano in zona pericolo non meno di 90.000 piccole imprese. E il governo – che ha in cassa quasi 100 miliardi di euro – anziché usare quelli, si prepara a cadere nella trappola del Mes?«Ci si balocca se accettare o no il Mes, mentre l’industria manifatturiera crolla». L’economista Giulio Sapelli lancia l’allarme: è a rischio il sistema industriale italiano, fondato sulle piccole e medie imprese. Si salvano solo i big (pochissimi) e i comparti alimentare e farmaceutico: tutto il resto sta per collassare, dopo la catastrofe del lockdown. Sul “Sussidiario“, Sapelli cita la recente uscita – sullo stesso newsmagazine – di Domenico Lombardi, già consulente economico del Fmi, che segnala l’enorme budget oggi a disposizione della Tesoreria italiana: 98 miliardi di euro (frutto dell’acquisto massiccio di titoli di Stato, da parte della Bce presieduta da Christine Lagarde). «E allora la risposta del perché si faccia questo rito da avanspettacolo del Mes è tutta nel gioco di specchi in cui si è ormai trasformata la politica italiana ed europea», scrive Sapelli. «Si ripete insistentemente, nelle cancellerie europee e nelle ambasciate, che è da tempo iniziato un pressing sulla mucillaggine peristaltica governativa». Che tipo di pressing? Si vuole che l’Italia «giunga a essere ben disposta a cedere, a talune imprese francesi e tedesche (modello Fca-Psa), assets essenziali di ciò che rimane delle sue imprese di eccellenza medio-grandi».
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Giorgio Bocca, partigiano: ma nel fascismo c’era del buono
La cultura italiana si è resa conto che la storia del fascismo, così come è stata scritta dagli antifascisti in questi anni, è storia da rivedere. È una storia che io chiamerei di famiglia. Il più grave errore mi sembra quello di aver raccontato la storia del fascismo come la storia di un movimento autoritario, violento… Ma la realtà del fascismo nascente è tutt’altra: il fascismo è un movimento violento e autoritario che reagisce a un’altra minoranza, altrettanto violenta e autoritaria, come quella socialcomunista. Tra socialismo e fascismo c’è una matrice culturale comune, ci sono delle illusioni comuni: che gli uomini possano essere cambiati in breve spazio di tempo. Nel 1936, all’epoca dell’impero, credo che il 90% degli italiani approvasse quello che rappresentava anche il loro sogno. Il consenso ci fu per tutto il periodo, diciamo così riformistico del fascismo, fino al patto con la Germania. Gli intellettuali italiani, secondo la loro tradizione millenaria, passarono subito al servizio del fascismo. Si sa che i professori universitari che non giurarono fedeltà al fascismo furono tre e non di più (in realtà erano 11 e diventarono 12, ndr). Tutti gli altri si misero dalla parte del fascismo che verso di loro, in verità, a differenza di altri regimi totalitari, fu piuttosto morbido.Il fascismo si differenziò proprio nell’essere largo nel lasciare autonomia alle scienze e alle arti. C’era una posizione abbastanza permissiva da parte del fascismo. Mussolini in campo culturale è stato un grandissimo giornalista e un politico professionale del suo tempo…come Gramsci, Togliatti, Nenni. Rispetto agli altri dittatori totalitari Mussolini era un uomo di mondo, aveva letto i libri giusti, aveva dei rapporti corretti con la cultura, mentre Hitler e Stalin non li avevano. Al di fuori del giornalismo non ha mai preso un soldo dallo Stato. Per il delitto Matteotti non credo che si possa parlare di mandante diretto, credo che sia stato interpretato in modo estensivo un suo scatto di malumore… Mussolini diede in escandescenza contro di lui ma senza mai dire “uccidetelo”. La politica sociale del fascismo fu nei primi anni una politica riformista normale, furono introdotte alcune leggi che facilitavano l’agricoltura, mettevano un primo ordine nei luoghi di lavoro; assicuravano con l’Iri un industrialismo assistito, una rinuncia al capitalismo feroce. Eravamo un paese arretrato, con una classe imprenditoriale anch’essa arretrata, e ad un certo punto fu giocoforza fare un’economia protezionista.Il fascismo, nato come regime di massa, fece partecipare alla vita politica un numero maggiore di persone. I ceti medi, infatti, che nel regime liberale non avevano contato, sotto il fascismo, pur nei modi e nei limiti previsti, partecipavano alla vita politica. Non è esistito un razzismo degli italiani diverso dal razzismo di tipo coloniale… era politica di dominio, non di sterminio. Il popolo italiano le leggi razziali non le ha sentite per niente; l’adozione delle leggi razziali per adeguarsi alla Germania nazista furono una prova di subalternità rispetto alla Germania. In tutto il fascismo fino al 1935, non c’è la minima traccia di razzismo antisemita. Le affinità tra nazismo e fascismo sono pochissime e sono affinità di metodo: sono due regimi di massa, a partito unico, autoritari; ma le differenze sono molto più grandi delle somiglianze. Veramente fra fascismo e nazismo non c’è alcuna parentela. La concezione della razza resta fondamentale per differenziare il fascismo dal nazismo. Il Mussolini dell’ultimo periodo è stato un Mussolini con le mani legate, indubbiamente. Io credo che il motivo dominante dell’alleanza con la Germania sia stata la paura.(Giorgio Bocca, dichiarazioni sul fascismo estratte dal volume collettivo “Il fascismo ieri e oggi”, a cura di Enzo Palmesano, pubblicato nel 1985 dall’editore Ciarrapico. La sintesi, che rivela il revisionismo storico del grande giornalista, già comandante partigiano, è stata riproposta da Marcello Veneziani su “La Verità” il 26 agosto 2020. Riguardo all’omicidio Matteotti, Bocca coglie nel segno: il mandante non fu Mussolini, ma il Re. Lo scrive Gianfranco Carpeoro, nel saggio “Il compasso, il fascio e la mitra”, uscito nel 2017 per UnoEditori. La ricostruzione di Carpeoro si basa su documenti riservati della massoneria: Matteotti fu assassinato dai killer reclutati da Filippo Naldi, vicino a Casa Savoia, perché a Londra il leader socialista aveva scoperto che Vittorio Emanuele III era il grande beneficiario dell’accordo stipulato con la Standard Oil dei Rockefeller, cui era stata concessa l’esclusiva per le forniture di petrolio all’Italia).La cultura italiana si è resa conto che la storia del fascismo, così come è stata scritta dagli antifascisti in questi anni, è storia da rivedere. È una storia che io chiamerei di famiglia. Il più grave errore mi sembra quello di aver raccontato la storia del fascismo come la storia di un movimento autoritario, violento… Ma la realtà del fascismo nascente è tutt’altra: il fascismo è un movimento violento e autoritario che reagisce a un’altra minoranza, altrettanto violenta e autoritaria, come quella socialcomunista. Tra socialismo e fascismo c’è una matrice culturale comune, ci sono delle illusioni comuni: che gli uomini possano essere cambiati in breve spazio di tempo. Nel 1936, all’epoca dell’impero, credo che il 90% degli italiani approvasse quello che rappresentava anche il loro sogno. Il consenso ci fu per tutto il periodo, diciamo così riformistico del fascismo, fino al patto con la Germania. Gli intellettuali italiani, secondo la loro tradizione millenaria, passarono subito al servizio del fascismo. Si sa che i professori universitari che non giurarono fedeltà al fascismo furono tre e non di più (in realtà erano 11 e diventarono 12, ndr). Tutti gli altri si misero dalla parte del fascismo che verso di loro, in verità, a differenza di altri regimi totalitari, fu piuttosto morbido.
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Poveri illusi, credete che ci lascino tornare alla normalità?
Qualche settimana fa Bill Gates, tipico rappresentante della barbarie culturale americana “aumentata” e resa cieca dal potere e da livelli di ricchezza indecorosi, ha paragonato la lotta al Covid alla seconda guerra mondiale, un parallelo demenziale dove il virus diventa Hitler e i vaccini e il controllo sociale informatico fanno la parte delle forze alleate. E’ evidente che Bill non ha mai aperto un libro di storia in vita sua o se lo ha fatto non ci ha capito molto, ma non rinuncia a utilizzare in maniera ancora più grottesca del solito la reductio ad hitlerum che è l’artificio retorico fondamentale del Washington consensus: tutto ciò che si oppone ai disegni delle élites occidentali diventa il male assoluto. Tuttavia nello stesso editoriale dove il vaccinatore folle propone questo sconsiderato paragone, fa un un esame e al tempo stesso un panegirico di tutti gli strumenti informatici e i finanziamenti privati disponibili per il “passaporto Covid”, ovvero i certificati digitali sanitari destinati a dividere i sani dai “malati”, i puri dagli intoccabili e questo per ogni virus presente e futuro, esistente o meno, creato o pompato. Ora è difficile immaginare qualcosa di più vicino allo spirito del nazismo e alle tendenze eugenetiche di quel regime che sono diventate anche quelle delle attuali oligarchie del denaro.Ora di ciò che pensa Gates potremmo anche infischiarcene da un punto di vista puramente intellettuale vista l’assoluta povertà dei contenuti e la consapevolezza appannata dal denaro che spinge fatalmente a giocare con i destini altrui mostrando il volto della filantropia, ma non si può evitare il confronto con la nuova eugenetica che nasce dal controllo di massa. Essa si fonda su una sorta di dittatura pseudoscientifica, cone del resto l’eugenetica del secolo scorso: non dimentichiamo che il manifesto per la razza dell’estate 1938 – ed era proprio luglio – si chiamava ufficialmente “manifesto degli scienziati per la razza” a dimostrazione che la libertà della scienza è solo un concetto limite, qualcosa che si conquista ogni giorno, ma che non è possibile dare per scontato, anzi non lo è quasi mai. Oggi invece di dividere l’umanità a seconda del colore della pelle o dell’etnia la si intende dividere in individui che accettano la perdita delle libertà fondamentali, ovvero i nuovi “sani” e chi invece recalcitra avendo coscienza che questa ingegnerizzazione della società elaborata nei think tank neoliberisti e negli incubi dei super ricchi spazza via la dignità, il lavoro e il futuro per enormi masse di persone.Il tutto si traduce si traduce anche in un neo maltusianesimo che del resto è un altro dei punti apertamente portato avanti da Gates. Come egli concili la diminuzione di popolazione con la campagna vaccinale che dovrebbe avere lo scopo opposto è per ora un mistero, ma temo che se non si riuscirà ad arginare il neonazismo sanitario di cui Gates è il Führer, lo scopriremo presto. Chi pensa che la situazione che si è creata con l’assunzione di un virus modestamente patogeno in killer universale sia passeggera, che si tornerà alla normalità e che i danni inflitti dalle misure di contenimento a seguito di una semplice sindrome influenzale potranno essere riparati, è davvero un ingenuo: proprio l’artificialità dell’allarme denuncia che ci sono poteri interessati a trasformare la crisi in stato permanente e distruggere così ciò rimane della democrazia, sia pure ridotta a democratismo, come aveva previsto nello specifico Marcuse, ma che tutta la scuola di Francoforte aveva previsto attraverso la pervasività dei media di massa, che abituano le persone ad una ricezione passiva dei messaggi. Finito un virus se ne farà un altro e poi un altro ancora, e se non basta verranno aggiunti sempre nuovi pericoli. Ecco perché non bisogna farla passare liscia ai narratori della peste, perché la peste sono loro.(”Adolf Gates”, dal blog “Il Simplicissimus” del 5 luglio 2020).Qualche settimana fa Bill Gates, tipico rappresentante della barbarie culturale americana “aumentata” e resa cieca dal potere e da livelli di ricchezza indecorosi, ha paragonato la lotta al Covid alla seconda guerra mondiale, un parallelo demenziale dove il virus diventa Hitler e i vaccini e il controllo sociale informatico fanno la parte delle forze alleate. E’ evidente che Bill non ha mai aperto un libro di storia in vita sua o se lo ha fatto non ci ha capito molto, ma non rinuncia a utilizzare in maniera ancora più grottesca del solito la reductio ad hitlerum che è l’artificio retorico fondamentale del Washington consensus: tutto ciò che si oppone ai disegni delle élites occidentali diventa il male assoluto. Tuttavia nello stesso editoriale dove il vaccinatore folle propone questo sconsiderato paragone, fa un un esame e al tempo stesso un panegirico di tutti gli strumenti informatici e i finanziamenti privati disponibili per il “passaporto Covid”, ovvero i certificati digitali sanitari destinati a dividere i sani dai “malati”, i puri dagli intoccabili e questo per ogni virus presente e futuro, esistente o meno, creato o pompato. Ora è difficile immaginare qualcosa di più vicino allo spirito del nazismo e alle tendenze eugenetiche di quel regime che sono diventate anche quelle delle attuali oligarchie del denaro.
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Onfray: la sinistra è morta, s’è venduta al Grande Fratello
Che mondo ci lascerà, la pandemia? Lo stesso, ma peggiore. Modificherà il lavoro, l’insegnamento, i viaggi, gli spostamenti, le relazioni intersoggettive, gli equilibri tra città e campagna. Il telelavoro, la sostituzione della “presenza” con la “distanza”, aumenterà i poteri della società del controllo, che ha raccolto il testimone della vecchia società totalitaria. Il virtuale soppianterà il reale ogni volta che sarà possibile, e a governare sul virtuale ci sarà il Big Brother. Del resto, non poteva essere altrimenti, visto che l’ha inventato lui. Nel mio libro “Teoria della dittatura” descrivo Amazon, Facebook, Netflix, Google e Apple come la più articolata forma totalitaria che esista. Come contrastare il loro potere oggi, dopo che sono state, durante la pandemia, le piattaforme gratuite per relazioni umane, lavoro, scuola e intrattenimento? Questa è in effetti la questione politica per eccellenza. In passato il fascismo, di destra o di sinistra che fosse, era vistoso: si presentava armato, con stivali ed elmetto; usava la polizia, l’esercito, i servizi segreti, le prigioni, i campi recintati con filo spinato e le torri di guardia. Oggi invece il fascismo non si vede, ma di tanto in tanto assistiamo ai suoi effetti.Il Big Brother orwelliano è più scaltro di tutti i servizi di polizia e di intelligence mai esistiti, perché noi stessi siamo allo stesso tempo vittime e carnefici di questo dispositivo di sorveglianza e di controllo. Non è mai esistita tanta servitù volontaria sul nostro pianeta quanta ce n’è oggi. La Boétie ci ha già dato la ricetta per sottrarci: «Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi». Per farlo, però, bisogna prima rendersi conto di essere asserviti, perché non c’è schiavo peggiore di chi si crede un padrone. La scuola repubblicana che insegnava a ragazzi e ragazze a leggere, scrivere, far di conto e pensare senza guardare alle loro origini sociali è morta nel maggio del ‘68. È stata sostituita da un dispositivo ludico, nel quale l’apprendimento di contenuti è stato abbandonato in favore della sollecitazione di un ipotetico genio infantile. La scuola, che una volta produceva cittadini, adesso produce pecore di Panurgo in catena di montaggio. La moralizzazione della rete, che tra le altre cose implicherebbe di far rispettare le leggi di un paese anche ai social network, è un pio desiderio: in rete, in forma anonima, si può essere negazionisti, revisionisti, antisemiti, misogini, fallocrati e quant’altro.Dobbiamo adattarci alla realtà: tutto questo è segno del decadimento della nostra civiltà e dell’avvento di un altro mondo, che avrà più a che vedere con Orwell e Huxley che con Dante e Cartesio. La felicità non può essere l’ultima parola in un mondo in cui c’è chi ritiene che non ci sia nulla di sbagliato nell’ottenere la propria felicità a scapito degli altri. La lotta contro l’autoritarismo è materia per caratteri temprati, che abbiano il senso dell’interesse generale e la capacità di mettere da parte la propria felicità in nome dell’ideale superiore della virtù civica, come fece Catone il Vecchio. La sinistra europea, in tutto questo? La sinistra è morta nel marzo del 1983 con François Mitterrand, che ha presentato l’Europa liberale come un progresso storico che avrebbe portato la piena occupazione, l’amicizia tra i popoli, la fine del razzismo e delle guerre, la prosperità economica. La propaganda fu così insistente da riuscire a far approvare il Trattato di Maastricht nel 1992, anche se per un pelo. In seguito, anno dopo anno, il popolo si è reso conto che gli avevano venduto un prodotto adulterato, che produceva il contrario di quello che prometteva.Una volta al potere, Mitterrand è rimasto di sinistra per ventidue mesi: dopo la cosiddetta “svolta dell’austerità” del 1983 ha abbandonato il socialismo e, fino alla fine del suo secondo settennato, nel 1995, ha fatto politiche di destra continuando a presentarsi come un uomo di sinistra. La “sinistra” al governo ha fatto politiche di destra mentre a parole continuava a dire di essere di sinistra, e la sua schizofrenia è stata sostenuta da gran parte del popolo francese, che sembrava come incantato. Questa “sinistra” ha vissuto cinque anni pietosi con la presidenza di François Hollande e adesso è morta, rea di non aver mai denunciato questa truffa di dimensioni storiche. De Gaulle era un uomo di sinistra sostenuto dalla destra, e Mitterrand era un uomo di destra sostenuto dalla sinistra. È il grande malinteso del XX secolo.De Gaulle è l’uomo che ha inventato la Resistenza. È l’uomo che ha creato la Francia libera, arma da guerra che ha contribuito alla liberazione dell’Europa. Come capo di Stato ha ripristinato le libertà civili e ha respinto con un solo gesto il rischio dell’imperialismo americano e contemporaneamente il progetto stalinista sostenuto dai comunisti armati. Ha dato il diritto di voto alle donne, ha decolonizzato molti paesi dell’Africa nera e ha messo fine alla guerra d’Algeria. È l’uomo della previdenza sociale e della pillola contraccettiva. È l’uomo che non ha fatto sparare sulla folla nel Maggio ‘68 e che risponde al ‘68 con la partecipazione, con un progetto che fa così tanta paura alla destra che alla fine si convince a eliminarlo dalla scena con la scusa del referendum del 1969. Infine e soprattutto, è l’uomo della rettitudine e della linearità, della moralità. Un contemporaneo di Catone il Vecchio.(Michel Onfray, dichiarazioni rilasciate a Roberto Saviano per l’intervista “Muore la libertà, con i nostri clic”, pubblicata da “Repubblica” il 12 giugno 2020. Apprezzato filosofo francese estremamente critico verso Emmanuel Macron, Onfray ha appena pubblicato “Teoria della dittatura”, edito in Italia da Ponte alle Grazie).Che mondo ci lascerà, la pandemia? Lo stesso, ma peggiore. Modificherà il lavoro, l’insegnamento, i viaggi, gli spostamenti, le relazioni intersoggettive, gli equilibri tra città e campagna. Il telelavoro, la sostituzione della “presenza” con la “distanza”, aumenterà i poteri della società del controllo, che ha raccolto il testimone della vecchia società totalitaria. Il virtuale soppianterà il reale ogni volta che sarà possibile, e a governare sul virtuale ci sarà il Big Brother. Del resto, non poteva essere altrimenti, visto che l’ha inventato lui. Nel mio libro “Teoria della dittatura” descrivo Amazon, Facebook, Netflix, Google e Apple come la più articolata forma totalitaria che esista. Come contrastare il loro potere oggi, dopo che sono state, durante la pandemia, le piattaforme gratuite per relazioni umane, lavoro, scuola e intrattenimento? Questa è in effetti la questione politica per eccellenza. In passato il fascismo, di destra o di sinistra che fosse, era vistoso: si presentava armato, con stivali ed elmetto; usava la polizia, l’esercito, i servizi segreti, le prigioni, i campi recintati con filo spinato e le torri di guardia. Oggi invece il fascismo non si vede, ma di tanto in tanto assistiamo ai suoi effetti.
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La prima regola: mai lasciarsi imporre l’agenda del nemico
La prima regola per difendere la propria libertà, probabilmente, sta nel cercare di non farsi imporre l’altrui agenda. Nel libro-capolavoro “La guerra dei poveri” (Einaudi), Nuto Revelli traduce il concetto declinandolo nel contesto storico dell’estrema precarietà della guerra partigiana: mai accettare lo scontro, men che meno in campo aperto. Al rastrellamento non ci si oppone: ci si sottrae, dileguandosi sui monti. Per colpirla, una soverchiante forza di occupazione, non c’è che una strada: tendere agguati, con iniziative inattese e rapidissime, senza lasciare all’avversario il tempo di reagire. La tattica della guerriglia non pretende certo di ottenere la sconfitta militare del nemico; però contribuisce a innervosirlo, destabilizzarlo e infine fiaccarlo. Presuppone una strategia lucidamente pianificata, e il concorso sincronizzato di svariate unità, ben addestrate e distribuite sul territorio. Armi leggere, o leggerissime, contro carri armati e obici: ha senso? La risposta è sì, conferma lo storico Alessandro Barbero: i comandi alleati si complimentarono con il comandante Revelli per essere riuscito a rallentare per 10 lunghissimi giorni l’avanzata, sulle Alpi cuneesi, di una potente divisione corazzata nazista, diretta in Provenza attraverso il Colle della Maddalena per ostacolare gli angloamericani appena sbarcati fra Tolone e Cannes.La chiave di quel successo tattico? Rinunciare alle artigliere partigiane schierate in linea e optare per agili azioni di commando sui fianchi della vallata, con solo qualche mortaio e poche mitragliatrici. In altre parole: sfuggire all’agenda imposta del nemico. Ora, occorre un discreto “salto quantico” per lasciare di colpo l’agosto del 1944 e piombare nella fatale primavera 2020. Domanda a bruciapelo: quand’è l’ultima volta che abbiamo rifiutato l’agenda altrui, cioè la logica dello scontro? Certo, fortunatamente oggi non siamo in guerra; ma l’inaudito stato d’assedio “cinese” imposto all’Italia in nome del coronavirus, il quasi-coprifuoco dello stato d’emergenza, ha fatto sobbalzare più d’un costituzionalista. Come se il maledetto Covid-19, tuttora ampiamente misterioso, avesse finito per rendere drammaticamente evidente, esplosivo (e pure luttuoso) un male che in realtà si era insinuato da lunghissimo tempo, nella nostra società: l’eterodirezione, palese e occulta, degli stati d’animo connessi con la vita sociale e politica. Vecchia storia, probabilmente, cominciata in tempo di guerra con l’infernale propaganda hitleriana (”tutta colpa degli ebrei”) e proseguita in tempo di pace coi giochetti del mago Edward Bernays, nipote di Freud, per lanciare anche tra le donne il consumo di sigarette. Psicologia, innanzitutto: è l’arma vincente di qualsiasi agenda ostile, pericolosa per la salute della democrazia.Magie: il complottismo (quello vero, affidato ai Travaglio, agli Scanzi) oggi difende a spada tratta l’increscioso Conte, l’ex Signor Nessuno che – da semplice comparsa – è riuscito a diventare protagonista assoluto, primattore della più grave catastrofe socio-economica che abbia travolto l’Italia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il complottismo di regime aveva frastornato il pubblico, per decenni, elencando i presunti grandi mali nazionali, in quest’ordine: Berlusconi, corruzione, evasione fiscale, mafia. Erano gli anni d’oro di Di Pietro e dei girotondi, poi di Grillo. Non una parola – mai – sulla natura pericolosamente oligarchica della governance europea, sempre sorretta dall’establishment nazionale che vede nel Pd il suo stabile riferimento strumentale operativo. La consegna è sempre la stessa: lasciare in mano alla finanza speculativa le grandi decisioni, semplicemente ratificate dalla politica. Stesero il tappeto rosso, i cantori del rigore, ai piedi del commissario Monti che provvide immediatamente a disabilitare l’economia italiana e neutralizzare (col pareggio di bilancio in Costituzione) le residue possibilità finanziarie, ancorché virtuali, di uno Stato comunque intrappolato da Maastricht e Lisbona, reso incapace di intervenire in modo immediato (oggi lo si vede benissimo) persino se si tratta di salvare vite umane e famiglie ridotte sul lastrico. La barzelletta dei 600 euro a scoppio ritardato, con tanto di default del server dell’Inps, ha fatto il giro del mondo, in paesi che invece hanno subito accreditato mensilità direttamente sui conti correnti dei cittadini costretti a restare a casa.La politica come semplice paravento pubblico dell’establishment privatistico ha assunto toni ulteriormente spettacolari con la meteora Renzi e il suo vaniloquio immaginifico, per poi cedere il testimone al suo alter ego populista, il grillismo (che oggi infatti è al governo proprio con Renzi). Specularità assoluta: abissale distanza tra le parole e i fatti, e senza mai affrontare il vero problema – quello che oggi il funesto Covid mette in mostra impietosamente: a causa dell’euro-sistema non si mette mano al denaro, centinaia di miliardi, indispensabile per fronteggiare la catastrofe. Altra presenza poco più che meteorica, lo stesso Salvini: per oltre un anno, dopo aver incassato il “niet” dell’Ue sul deficit, il leader della Lega ha raccontato agli italiani che il loro vero problema erano gli sbarchi dei migranti. Salvini però – prima di venir costretto a gettare la spugna – è stato letteralmente surclassato dal chiasso degli avversari: sono riusciti a dargli persino del nazista, raccontando a loro volta agli italiani l’ennesima fiaba, e cioè che il vero problema nazionale fosse proprio lui, la Bestia. Tutto questo, mentre la narrazione della tragedia del surriscaldamento climatico terrestre era affidata alla sedicenne Greta, e mentre le eroiche Sardine prodiane formulavano la loro ricetta per la democrazia italiana: impedire ai ministri di esprimersi liberamente, sui social.Questa nuova moda della censura, in realtà antichissima, sta letteralmente tracimando: l’Agcom raccomanda di diffondere solo notizie “accreditate” (non si sa da chi), e lo stesso governo addirittura mette in campo una task force per imbavagliare il web (istituita da Andrea Martella – Pd, ovviamente), mentre si continua a dare la parola, a reti unificate, a un signore come il virologo Roberto Burioni, che si è permesso – nell’Italia nel 2020 – di chiedere alla magistratura di spegnere “ByoBlu”, il video-blog più seguito dagli italiani, cioè il popolo che Conte non ha protetto tempestivamente dalla pandemia, salvo poi chiuderlo in casa (e senza neppure uno straccio di assistenza economica). Tutto questo è semplicemente esorbitante, anomalo, mostruoso quanto le previsioni di economisti e sociologi: il paese rischia letteralmente di crollare, con conseguenze incalcolabili, anche grazie all’inerzia del suo non-governo scandaloso, imbelle ma improvvisamente autoritario. Nel frattempo, il cielo è scosso dal rombo di temporali vicini e lontani: Trump taglia i fondi all’Oms, accusandola di essere complice della diffusione del virus, mentre il figlio di Bob Kennedy accusa Bill Gates (grande sponsor della stessa Oms) di voler imporre il suo vaccino anti-coronavirus, probabilmente inutile e forse rischioso.Alla stragrande maggioranza degli italiani, stanchi di cantare l’inno nazionale dai balconi, sempre il coronavirus oggi consente finalmente di vedere di che pasta è fatta questa sedicente Unione Europea, convalidata pochi mesi fa dal solito Pd con l’aggiunta dell’ormai altrettanto impresentabile Movimento 5 Stelle, recentissimo interprete (con la sua sub-agenda locale) della grande agenda neoliberista, quella che dal 1971 con il Memorandum Powell si diede una vera e propria road map per la riduzione progressiva della democrazia. Tappa fondamentale, il golpe cileno del 1973 che segnò l’avvento del neoliberismo al potere. Due anni dopo, il manifesto “La crisi della democrazia” (commissionato dalla Trilaterale) preparò la capitolazione dell’economia sociale europea, sinistramente sigillata nel sangue nel 1986 con l’omicidio del premier socialista svedese Olof Palme, campione del welfare, fino poi all’estinzione della sinistra italiana. L’agenda ostile ha lavorato in modo perfetto per destrutturare minuziosamente qualsiasi difesa, usando i media come armi letali e riducendo l’offerta politica a puro folkore. Se si scorrono i nomi dei cosiddetti leader a disposizione degli italiani, si capisce al volo il boom storico dell’astensionismo (che lascia comunque campo libero ai veri decisori, quelli che scelgono chi farà il ministro e con quali compiti).Pur nel devastante caos planetario che ha causato, incrinando le certezze commerciali della globalizzazione, il micidiale Covid mette a fuoco un altro punto cardinale dell’agenda ostile: la scelta, dolorosa, tra sicurezza e libertà. Da una parte svetta il modulo-Wuhan raccomandato dall’Oms e prontamente adottato dall’Italia, dall’altra si registra l’insofferenza della Casa Bianca (che, tra le righe, sospetta l’Oms di essere il vero strumento dell’agenda-Covid, interpretata come piano di dominazione, affidato alla nuovissima polizia sanitaria capace di dettare lo stato d’emergenza sostituendosi ai governi). Niente sarà più come prima, ripetono tutti, ripiegando sull’incerta protezione delle mascherine. Una certezza negativa riguarda l’Italia: il nostro paese – crocevia strategico tra Usa e Cina, Mediterraneo e Ue – sta subendo danni incalcolabili, da cui non si sa come potrà risollevarsi, in che tempi e con quali costi sociali. Gli ottimisti invitano a riflettere sulle opportunità che il coprifuoco starebbe offrendo: cioè la riscoperta dell’autenticità dei valori umani. Per la riscoperta dei valori politici, invece, quanto ancora bisognerà attendere? O meglio: quali vettori impiegare, per tradurre sul piano pubblico le migliori istanze individuali?In un regime come l’attuale, sostanzialmente post-democratico e sempre meno libero, la domanda non è oziosa. La drammatica criticità della situazione sociale ripropone in modo automatico la consueta logica, perdente, dello scontro frontale. E’ forse il massimo risultato dell’agenda ostile: coltivare l’odio per il presunto nemico di turno. E’ il modo migliore per cancellare la buona politica, senza che nessuno se ne accorga, se il pubblico è impegnato a tifare solo e sempre “contro”, a fischiare qualcuno, a maledire qualcosa. Tutte battaglie di carta, fuochi di paglia. Cade il nemico apparente, ma ce n’è già pronto un altro. L’avversario vero – non altrettanto visibile – pare si diverta, a far combattere i suoi galletti, senza che nessuno di loro abbia mai la minima possibilità di cambiare veramente qualcosa. Se non teme i leader di cartone (promossi e bocciati a comando) cosa teme, davvero, l’agenda ostile? Il pensiero? La libertà? La capacità di strutturare proposte serie? A questo è servito, l’effimero leaderismo mediatico degli ultimi decenni: a far sparire i programmi, rottamati insieme ai diritti sociali, a partire dalla grande privatizzazione universale degli anni Novanta, affidata in Italia a Romano Prodi, Mario Draghi, Massimo D’Alema. A seguire, vent’anni di stupidaggini assordanti, fino alla demolizione di Berlusconi via gossip a mano armata, con tanto di spread.Una delle qualità che alla Resistenza gli storici riconobbero in modo unanime fu la sua capacità sinergica, trasversale, di unire forze eterogenee: comunisti, socialisti, azionisti, cattolici, liberali, persino monarchici. Le lezione: smettere di ragionare per schemi, in modo etnico, e ridiventare laici, riconoscendo pari dignità a chiunque (qualunque errore possa aver commesso, in passato). Ieri, il patto era basato sull’opposizione patriottica di fronte alla spaventosa calamità dell’occupazione nazista, esito finale di una dittatura che aveva risolto subito, a modo suo, la dicotomia sicurezza-libertà, e senza nemmeno bisogno di mascherine. Nel 1943, sul piano militare, il nemico era pressoché inaffrontabile. Lo si poteva solo infastidire seriamente, in attesa dell’arrivo decisivo degli alleati (che esistono sempre, e hanno sempre bisogno di partigiani intelligenti). Nell’agosto del 1944, Nuto Revelli cominciò la sua battaglia in Valle Stura rimuovendo i suoi cannoni controcarro schierati a Vinadio, in campo aperto: non sarebbero mai riusciti a fermare i panzer. Fucile in spalla, diresse i suoi verso le alture. Seguirono giorni difficilissimi, nei quali però la divisione tedesca rimaste ferma, imbottigliata nel fondovalle a fare da bersaglio.Gli alleati di allora, intanto, stavano finendo di sbarcare in Costa Azzurra. Quelli di oggi dove sono? Meglio: chi sono? Si nascondono dietro al ciuffo di Trump, che ha promesso di impedire il collasso socio-economico dell’Italia, contrastando sia l’Europa “matrigna” che il “partito cinese” che collega Wuhan a personaggi come Bill Gates, attraverso network opachi come l’Oms? Anche fosse, dove sarebbero i “partigiani” italiani? Forse affilano le armi ultraleggere del web, non a caso preso di mira dai nuovi censori? Domina il caos, in ogni caso: alle gravissime reticenze del mainstream, i social rispondono con un festival parossistico in cui si può leggere di tutto, solenni verità e bufale spaziali, grandi quanto quelle dei virologi televisivi. Servirebbe una piattaforma autorevole e plurale, inclusiva, per coordinare idee traducibili e spendibili. Primo passo: costruire finalmente un’agenda autonoma, alternativa a quella ostile, a disposizione della politica (nessuno escluso). Secondo step, appunto: smettere di spararsi addosso a vicenda, mettere da parte il tifo e imporsi un pensiero costruttivo. Volendo, l’occasione è ghiotta: mai, prima d’ora, la governance eurocratica (vera responsabile del declino italiano, ben prima dell’esplosione pandemica) aveva mostrato il suo vero volto.In frangenti come quello presente, forse, l’autentico eroismo consiste nella capacità di cambiare idea, riconoscendo i propri errori. E’ spesso citato ad esempio il caso, più unico che raro, del Sudafrica. Rovesciato l’apartheid, anziché procedere con operazioni di giustizia sommaria, Nelson Mandela preferì offrire agli ex aguzzini bianchi una possibilità di riabilitazione, consentendo anche ai peggiori di chiedere perdono ai familiari delle loro vittime. Tanti anni prima, fu capace di cambiare idea lo stesso Nuto Revelli, ufficiale degli alpini imbevuto di militarismo fascista. Spettacolare, la sua trasformazione – lacerante, dolorosissima – cominciata proprio sul fronte russo, in prima linea. Non difettava di coraggio, Nuto Revelli: fu l’ultimo uomo a chiudere la sterminata colonna in ritirata, nel ‘43. Dietro di lui, c’era solo il Don. E oltre il Don, l’Armata Rossa. Una volta a Udine, attraversato l’inferno bianco dello sfacelo dell’Armir, si spedì a casa i suoi mitra: sentiva che, di lì a poco, gli sarebbero serviti. Dopo aver fatto a pezzi il suo fascismo giovanile, si sarebbe deciso a sparare direttamente ai fascisti. Quanto è difficile, oggi, saper cambiare idea? Quanto è tenace, l’invisibile “psico-dittatura” del neoliberismo? Se a imporsi sarà sempre il consueto tifo contrapposto e televisivo, tra opzioni irrisorie, allora addio: ancora una volta, a vincere sarà l’agenda ostile.(Giorgio Cattaneo, “Prima regola, mai farsi imporre l’agenda del nemico”, dal blog del Movimento Roosevelt del 18 aprile 2020).La prima regola per difendere la propria libertà, probabilmente, sta nel cercare di non farsi imporre l’altrui agenda. Nel libro-capolavoro “La guerra dei poveri” (Einaudi), Nuto Revelli traduce il concetto declinandolo nel contesto storico dell’estrema precarietà della guerra partigiana: mai accettare lo scontro, men che meno in campo aperto. Al rastrellamento non ci si oppone: ci si sottrae, dileguandosi sui monti. Per colpirla, una soverchiante forza di occupazione, non c’è che una strada: tendere agguati, con iniziative inattese e rapidissime, senza lasciare all’avversario il tempo di reagire. La tattica della guerriglia non pretende certo di ottenere la sconfitta militare del nemico; però contribuisce a innervosirlo, destabilizzarlo e infine fiaccarlo. Presuppone una strategia lucidamente pianificata, e il concorso sincronizzato di svariate unità, ben addestrate e distribuite sul territorio. Armi leggere, o leggerissime, contro carri armati e obici: ha senso? La risposta è sì, conferma lo storico Alessandro Barbero: i comandi alleati si complimentarono con il comandante Revelli per essere riuscito a rallentare per 10 lunghissimi giorni l’avanzata, sulle Alpi cuneesi, di una potente divisione corazzata nazista, diretta in Provenza attraverso il Colle della Maddalena per ostacolare gli angloamericani appena sbarcati fra Tolone e Cannes.
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Waters: se uccidete Assange, vi accuseremo anche da morti
Siamo qui oggi per Julian Assange. Ma ho quattro nomi su questo pezzo di carta. Il primo e l’ultimo naturalmente è Julian Assange, un giornalista, un coraggioso faro illuminante in luoghi oscuri da cui le potenze vorrebbero che ci allontanassimo. Julian Assange. Un nome da scolpire con orgoglio in ogni monumento al progresso umano. Julian è il motivo per cui siamo qui oggi, ma questa non è una protesta campanilistica. Oggi siamo parte di un movimento globale, un movimento globale che potrebbe essere l’inizio dell’illuminazione globale di cui questo fragile pianeta ha disperatamente bisogno. Va bene. Secondo nome. Mandatomi dal mio amico VJ Prashad. Il secondo nome è Aamir Aziz: Aamir è un giovane poeta e attivista di Delhi, coinvolto nella lotta contro Modi e la sua legge sulla cittadinanza, la sua legge razzista. Tutto sarà ricordato. Uccideteci, diventeremo fantasmi e scriveremo dei vostri omicidi, con tutte le prove. Voi scrivete barzellette in tribunale; noi scriveremo “giustizia” sui muri. Parleremo così forte che anche i sordi sentiranno. Scriveremo così chiaramente che anche i ciechi leggeranno. Voi scrivete “ingiustizia” sulla terra; noi scriveremo “rivoluzione” nel cielo.Tutto sarà ricordato; tutto sarà registrato. Questo riversamento dello spirito umano dall’India avviene in un momento di rivolta, quando le catene della proprietà sono messe da parte. Mentre ci incontriamo qui a Londra. Dall’altra parte dell’Atlantico, in Argentina, migliaia di donne scendono in strada per chiedere la legalizzazione dell’aborto al presidente Fernández. Non è solo l’Argentina. Quest’ultimo anno abbiamo visto grandi proteste scoppiare in tutto il mondo contro i regimi neoliberali e fascisti. In Cile, in Libano, in Colombia, in Ecuador, ad Haiti, in Francia e ora, naturalmente, anche in Bolivia, dove si combatte la nuova dittatura militare imposta dagli Stati Uniti… Quando vedremo il nome dell’Inghilterra in allegato a questa nobile lista? Sento rumore delle teste grattate nei salotti di tutti questi paesi: “Di cosa sta parlando, quell’uomo è un dannato pervertito filocomunista, un dannato antisemita, di cosa sta parlando? Non viviamo in una dittatura, questo è un paese libero, una democrazia, con tutte le migliori tradizioni del fair play, pah!”. Bene, ho una notizia per voi: “scontento di Tunbridge Wells” [moralisti conservatori scandalizzati, ndr]. Ci piacerebbe pensare che questo fosse un paese libero, ma siamo davvero liberi?Perché, quando Julian Assange viene portato sul banco degli imputati, nella minuscola corte dei magistrati all’interno della prigione di Belmarsh ci sono così tanti posti occupati da anonimi colletti bianchi americani, che sussurrano istruzioni all’orecchio attento del principale avvocato dell’accusa, James Lewis Qc? Perché? Perché non viviamo in un paese libero, viviamo in un canile glorificato e abbaiamo e/o scodinzoliamo al comando dei nostri signori e padroni dall’altra parte dell’oceano. Oggi mi trovo qui, davanti alla Madre dei Parlamenti, e lei è lì che arrossisce in tutto il suo imbarazzo. E proprio qui sopra c’è Runnemede, dove nel 1215 noi, gli inglesi, abbiamo esposto i rudimenti del diritto comune. La Magna Carta, ratificata nel 1297 con l’articolo 29 che ci ha dato l’Habeus Corpus. Oppure no? Diceva: «Il corpo di un uomo libero non deve essere arrestato, né imprigionato, né messo al bando, né esiliato, né in alcun modo rovinato, né il re deve andare contro di lui o mandarlo con la forza contro di lui, se non per giudizio dei suoi pari o per la legge della terra».Purtroppo, l’articolo 29 non è applicabile nel diritto moderno. La Magna Carta è solo un’idea, e in questo mondo moderno, guidato dalla propaganda, non prevede alcun controllo di principio per il Parlamento che legifera contro i diritti dei cittadini. Abbiamo comunque un trattato di estradizione con gli Stati Uniti e nel primo paragrafo dell’articolo 4 di tale trattato si afferma: «L’estradizione non è concessa se il reato per il quale è richiesta l’estradizione è un reato politico». Julian Assange non ha commesso alcun crimine, ma ha commesso un atto politico. Ha detto la verità al potere. Ha fatto arrabbiare alcuni dei nostri padroni a Washington dicendo la verità e come punizione per l’atto di dire la verità vogliono il suo sangue. Ieri, davanti alla centrale elettrica di Battersea, ho fatto un’intervista televisiva per “Sky News” per promuovere questo evento; non c’era nessun collegamento visivo, quindi il mio unico contatto con la signora che mi ha fatto domande è stato tramite un auricolare su un filo riccio. Ho imparato qualcosa sul dire la verità nella formulazione delle sue domande. Mi è venuta addosso come un Don Chisciotte impazzito con tutte le sue domande, fitte di sbavature e insinuazioni, e le false accuse con cui i potenti hanno cercato di annerire il nome di Julian Assange.Ha fatto scattare una narrazione stanca, ma ben preparata, e poi mi interrompeva costantemente durante le mie risposte. Non so chi sia, può darsi che abbia buone intenzioni. Se lo sapesse, il mio consiglio sarebbe quello di smettere di bere il Kool-aid [credere a tutto ciò che le dicono fino alla morte, ndt], e se davvero ha un minimo di interesse per la usa professione, muova il suo dispiaciuto culo e si unisca a noi. Quindi, Inghilterra: invito il nostro primo ministro, Boris Johnson, a dichiarare i suoi colori. Sostiene lo spirito della Magna Carta? Crede nella democrazia, nella libertà, nel fair play, nella libertà di parola e soprattutto nella libertà di stampa? Se la risposta a queste domande è sì, allora suvvia, primo ministro, sia il bulldog britannico che vorrebbe far credere a tutti noi. Si opponga alla spacconata dell’egemonia americana, annulli questo processo-spettacolo, questa farsa, questo tribunale-canguro. «Le prove davanti alla corte sono incontrovertibili». Julian Assange è un uomo innocente. È un giornalista che fa un lavoro molto importante per “noi, il popolo”, esponendo i crimini di potenti sociopatici nei corridoi del potere. Vi chiamo a liberarlo oggi stesso.Non posso lasciare questa fase senza menzionare Chelsea Manning, che ha fornito parte del materiale che Julian ha pubblicato. Chelsea è stata chiusa in una prigione federale per un anno in carcere dagli americani per aver rifiutato, a titolo principale, di testimoniare davanti a un gran giurì appositamente convocato per fare di Julian Assange un esempio. Che coraggio. Le stanno anche facendo una multa di 1.000 dollari al giorno. Chelsea è un altro nome da scolpire nell’orgoglio; ho letto le ultime notizie sul tuo caso: sembra che il tuo team legale stia trovando la luce alla fine del tunnel; pregando Dio, speriamo uscirai presto per tornare dai tuoi cari, sei un vero eroe. Lei esemplifica lo spirito da bulldog di cui parlavo poc’anzi. Anche Daniel Hale. Daniel è un informatore che forse non conoscete ancora. Era in un grande film documentario, “National Bird”, realizzato dalla mia cara amica Sonia Kennebeck. Faceva parte del programma di droni degli Stati Uniti che prendeva di mira gli afghani nel loro paese da un centro di comando mobile a Navada. Quando il suo periodo nell’Usaf è finito, il buon cuore di Daniel si rifiutò di eliminare il peso del rimorso che portava e decise molto coraggiosamente di raccontare la sua storia.Da allora l’Fbi e la Cia hanno perseguitato Daniel senza pietà, e ora è in prigione in attesa di processo. Quello di Daniel è un altro nome da scolpire nell’orgoglio. Chi di noi non ha mai compromesso la propria libertà nella causa della libertà, chi non ha mai preso in mano la fiaccola accesa e l’ha tenuta tremante per i crimini dei suoi superiori, non può che meravigliarsi dello straordinario coraggio di chi l’ha fatto. Ci sono altri oratori, qui, quindi mi farò da parte; potrei stare qui tutto il giorno a inveire contro la morte della luce, se non dovessimo stare in piedi come bulldog, con le braccia legate, i ranghi chiusi davanti al nostro fratello e compagno Julian Assange. E quando i lacchè dell’impero americano verranno a prenderlo, a distruggerlo e ad impiccarlo nella siepe come monito per spaventare i futuri giornalisti, li guarderemo negli occhi e con una sola voce intoneremo loro: “Sopra i nostri cadaveri”.(Roger Waters, discorso pronunciato a Londra il 22 febbraio 2020, in favore di Julian Assange; testo editato sul sito di Waters, storico leader dei Pink Floyd, e tradotto da Riccardo Donat-Cattin per “Come Don Chisciotte”. Attivista per i diritti umani, Waters è perseguitato da Israele, che lo accusa di “antisemitismo” per il suo impegno a favore dei civili palestinesi, brutalmente sottoposti al regime israeliano di apartheid).Siamo qui oggi per Julian Assange. Ma ho quattro nomi su questo pezzo di carta. Il primo e l’ultimo naturalmente è Julian Assange, un giornalista, un coraggioso faro illuminante in luoghi oscuri da cui le potenze vorrebbero che ci allontanassimo. Julian Assange. Un nome da scolpire con orgoglio in ogni monumento al progresso umano. Julian è il motivo per cui siamo qui oggi, ma questa non è una protesta campanilistica. Oggi siamo parte di un movimento globale, un movimento globale che potrebbe essere l’inizio dell’illuminazione globale di cui questo fragile pianeta ha disperatamente bisogno. Va bene. Secondo nome. Mandatomi dal mio amico VJ Prashad. Il secondo nome è Aamir Aziz: Aamir è un giovane poeta e attivista di Delhi, coinvolto nella lotta contro Modi e la sua legge sulla cittadinanza, la sua legge razzista. Tutto sarà ricordato. Uccideteci, diventeremo fantasmi e scriveremo dei vostri omicidi, con tutte le prove. Voi scrivete barzellette in tribunale; noi scriveremo “giustizia” sui muri. Parleremo così forte che anche i sordi sentiranno. Scriveremo così chiaramente che anche i ciechi leggeranno. Voi scrivete “ingiustizia” sulla terra; noi scriveremo “rivoluzione” nel cielo.
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Israele minaccia Sanders: nel nostro paese non lo vogliamo
Oggi abbiamo appreso che l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Dannon, ha riferito all’Aipac che Bernie Sanders è un pazzo ignorante, un bugiardo o entrambe le cose. «Non vogliamo Sanders all’Aipac. Non lo vogliamo in Israele… Chiunque definisca il primo ministro israeliano un ‘razzista’ è un bugiardo, un idiota ignorante o entrambe le cose», ha annunciato l’ambasciatore Dannon. Le prove del razzismo israeliano e delle politiche razziste del governo Netanyahu sono, purtroppo, indiscutibili. Lo si può vedere in come il governo Netanyahu affronta il problema dei migranti di colore. O esaminare questo razzista disegno di legge nazionale israeliano. Ciò induce a chiedersi che cosa abbia motivato l’ambasciatore Dannon ad agire in modo così “antidiplomatico,” per indurlo ad attaccare in questo modo il leader del Partito Democratico, reo di aver espresso una critica motivata ad Israele e al suo primo ministro. Ma, ancor prima di porci questa domanda, dobbiamo considerare ciò che ci hanno fatto sapere gli stessi media israeliani.In una registrazione trapelata al pubblico, Natan Eshel, consulente anziano di Netanyahu, ha rivelato che «l’odio è ciò che unisce» la destra israeliana, e «funziona bene con gli elettori non ashkenaziti». Eshel, un ex dirigente dello staff di Netanyahu che aveva rassegnato le dimissioni a seguito di uno scandalo di natura sessuale, continua a lavorare con il primo ministro israeliano, e l’anno scorso aveva condotto i due negoziati per la formazione della coalizione di governo. Nella registrazione, Eshel spiega che il ministro del Likud (ed ex portavoce dell’Idf) Miri Regev è «molto brava» ad «agitare» i sostenitori del Likud. Eshel definisce la Regev «un animale», ma fa notare che le sue tattiche funzionano molto bene nell’«ottenere il sostegno della folla». È ragionevole pensare che la descrizione che l’ambasciatore Dannon fa del senatore Sanders servisse ad uno scopo simile: aizzare la folla dell’Aipac. E naturalmente i media ebraici britannici, insieme ai gruppi di pressione ebraici e alla lobby israeliana, hanno anch’essi usato questa tecnica fin dal 2017 per scatenare l’odio della folla verso il Partito Laburista e il suo leader, Jeremy Corbyn. Certa gente, a quanto pare, è unita dall’odio.Questa registrazione del consulente anziano di Netanyahu trapelata al pubblico fa luce sulla sempre crescente paura che gli ebrei hanno dell’antisemitismo. Quelli che sono così facilmente “uniti dall’odio” tendono a credere che anche il prossimo sia ugualmente carico di odio. La paura ebraica dell’antisemitismo può essere vista come una proiezione. Quelli che sono “uniti dall’odio” possono benissimo attribuire la propria astiosità ai loro vicini, non importa se palestinesi, elettori laburisti o addirittura leader democratici. Ciò che vediamo è una micidiale valanga di odio e di paura: più uno è gonfio di odio, più è tormentato dal pensiero che l’Altro sia afflitto dalla sua stessa animosità. Gesù Cristo aveva riscontrato questa caratteristica molto pericolosa tra i suoi stessi confratelli. La sua soluzione era stata scioccante, anche se semplice. Invece di accumulare armi, aveva detto ai suoi seguaci di porgere l’altra guancia: fare un passo avanti, amare il prossimo, staccarsi dal circolo vizioso, cercare la pace e l’armonia. Il destino di Gesù è noto a tutti. Come non è un segreto la sorte di quelli che cercano di predicare la pace agli israeliani e ai sionisti.(Gilad Atzmon, “L’odio, contro la pace e l’armonia”, dal blog di Atzmon del 2 marzo 2020; articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”. Originario di Israele e ora trasferitosi a Londra, Atzmon è un jazzista di fama internazionale, critico con Tel Aviv e attivamente boicottato dalle associazioni che supportano la politica dello Stato ebraico. L’Aipac, American Israel Public Affairs Committee, è un gruppo di pressione americano noto per il forte sostegno allo Stato di Israele; la lobby sionista è considerata il più potente e influente gruppo d’interesse a Washington. L’acronimo Idf indica invece le forme armate israeliane, largamente impiegate per la selvaggia repressione dei civili palestinesi. Quanto alle tensioni tra Israele e gli Usa, è impossibile non ricordare l’episodio del 1963: il premier David Ben Gurion preferì dimettersi, pur di sottrarsi all’invito di Kennedy a Washington per chiarire alla Casa Bianca le circostanze della costruzione clandestina della centrale nucleare israeliana di Dimona. Pochi mesi dopo, Kennedy verrà assassinato a Dallas).Oggi abbiamo appreso che l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Dannon, ha riferito all’Aipac che Bernie Sanders è un pazzo ignorante, un bugiardo o entrambe le cose. «Non vogliamo Sanders all’Aipac. Non lo vogliamo in Israele… Chiunque definisca il primo ministro israeliano un ‘razzista’ è un bugiardo, un idiota ignorante o entrambe le cose», ha annunciato l’ambasciatore Dannon. Le prove del razzismo israeliano e delle politiche razziste del governo Netanyahu sono, purtroppo, indiscutibili. Lo si può vedere in come il governo Netanyahu affronta il problema dei migranti di colore. O esaminare questo razzista disegno di legge nazionale israeliano. Ciò induce a chiedersi che cosa abbia motivato l’ambasciatore Dannon ad agire in modo così “antidiplomatico,” per indurlo ad attaccare in questo modo il leader del Partito Democratico, reo di aver espresso una critica motivata ad Israele e al suo primo ministro. Ma, ancor prima di porci questa domanda, dobbiamo considerare ciò che ci hanno fatto sapere gli stessi media israeliani.
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Il regime israeliano censura Roger Waters anche in Messico
Un gruppo di sostegno ebraico con sede negli Stati Uniti ha lanciato una campagna per impedire al membro fondatore dei Pink Floyd, Roger Waters, di esibirsi in tournée in Messico. Il grande musicista, che oggi ha 76 anni, dovrebbe salire sul palco a Città del Messico il prossimo 7 ottobre per un concerto all’interno del suo tour nordamericano “This Is Not A Drill”, che inizierà a Pittsburgh a luglio. La sezione latinoamericana del Simon Wiesenthal Center (Swc), che sostiene i sopravvissuti dell’Olocausto e combatte l’antisemitismo, ha scritto alle aziende che sponsorizzano e promuovono il concerto di Waters in Messico, esortandole a ritirarsi. «Il prestigio delle vostre aziende non dovrebbe essere macchiato da coloro che usano la musica per camuffare la discriminazione e la diffusione di un messaggio violento e razzista», afferma la lettera, firmata da Shimon Samuels e Ariel Gelblung, direttori delle relazioni internazionali del centro Wiesenthal. La nuova equazione ideologica (anti-sionismo, uguale antisemitismo) è la bandiera del governo Netanyahu, protagonista di una selvaggia repressione razzista e terroristica nei confronti della popolazione palestinese che vive nei Territori Occupati della Gisgiordania, illegalmente colonizzati da Israele in aperta violazione delle disposizioni Onu.
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Foibe a senso unico: così il Mago nasconde la verità storica
Nella cosiddetta Giornata del Ricordo, l’Italia celebra la memoria dei connazionali massacrati da Tito alla fine della Seconda Guerra Mondiale: un debito storico, verso vittime che per decenni rimasero semplicemente innominabili. Nel clima della guerra fredda, l’ipocrisia generale “impediva” ai comunisti e ai governanti italiani di accusare le forze di Tito, responsabili di quella immane strage. In questo modo, migliaia di istriani e dalmati subirono una doppia ingiustizia: prima la feroce esecuzione, poi la condanna all’oblio. Oggi, la tardiva retromarcia sulla tragedia delle foibe finisce però per oscurarne le cause: l’italianizzazione forzata delle regioni slave a sud-est della Venezia Giulia cominciò vent’anni prima, su iniziativa del fascismo. Fu l’Italia mussoliniana ad avviare la pulizia entica in Slovenia e Croazia, perseguitando e massacrando la popolazione autoctona. Se le squadracce fasciste seminarono subito il terrore e la strage in Istria e Dalmazia, la carneficina divenne spaventosa durante la Seconda Guerra Mondiale: furono 340.000 i civili slavi sterminati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre del 1943, nel corso di rastrellamenti e fucilazioni. Operazioni di rappresaglia, contro gli inermi, per rispondere all’azione militare delle forze partigiane jugoslave.Di foibe, come aperta minaccia terroristica, i primi a parlare furono proprio i fascisti. Ma è come se fosse vietato ricordarlo, oggi, mentre il paese commemora gli italiani atrocemente inghiottiti dalle cavità carsiche. Si dimentica regolarmente che quel massacro, per decenni oscurato, fu una vendetta: spaventosamente inaccettabile, ma pur sempre innescata da eventi predecenti, altrettanto abominevoli. Il periodo sembra particolarmente favorevole, per cancellare interi capitoli del passato. Oggi l’Unione Europea tenta di equiparare il comunismo al nazifascismo: pessima idea, secondo un storico come Alessandro Barbero. Mentre il fascismo durò vent’anni in Italia e il nazismo poco più di un decennio in Germania, la parola comunismo cominciò a risuonare nell’Ottocento come sinonimo di riscatto degli oppressi: 150 anni di speranze, in tutto il mondo, per lo più tradite in modo spietato dove il comunismo è andato al potere imponendo una feroce dittatura, ma comunque coltivate da milioni di persone, convinte di poter liberare l’umanità dalle catene dello sfruttamento. Sempre oggi, in modo sfrontato, Israele tenta di equiparare il virus razzista dell’antisemitismo alla semplice avversione per gli eccessi politici del sionismo, calpestando così anche i milioni di ebrei sterminati – in quanto ebrei, non sionisti – dal nazismo hitleriano, in quell’inarrivabile unicum nella storia umana che fu la lucida pianficazione dell’annientamento su base “razziale”.In un mondo in cui è “normale” che una superpotenza si permetta di assassinare impunemente un leader ostile in visita in un paese terzo, seppellendolo sotto una pioggia di missili, l’ultima cosa che può sorprendere è il coro nazionale italiano che, nel rendere giustamente omaggio alle vittime delle foibe titine, dimentica di interrogarsi sulle eventuali ragioni di quella tragedia: non certo per giustificarla, ovviamente, ma almeno per provare a decifrarne la genesi. La domanda mancante è quella fondamentale: perché. Nel suo studio sulla costante manipolazione della realtà, il simbologo Gianfranco Carpeoro mette a fuoco una dicotomia rivelatrice: da una parte quello che chiama “pensiero magico”, dall’altra il razionale “pensiero simbolico”. Carpeoro chiama “magico” il pensiero manipolatorio offerto dal “mago”, l’illusionista. La sua missione: indurre gli altri a fare quello che vuole lui, spiegando solo come farlo, e non anche perché. Al contrario, il “pensiero simbolico” costringe a domandarsi il perché di tutto. Come mai i partigiani di Tito gettarono nelle foibe migliaia di italiani in Istria e nella Venezia Giulia? Perché i titini erano mostri comunisti e slavi, cioè due volte cattivi. E’ imbarazzante il fatto che questa risposta – fornita dal “mago” – sia l’unica, oggi, in circolazione. Se non ci si vaccina, dal “pensiero magico”, domani colpirà ancora (non importa chi). E nessuno si accorgerà del trucco.(Giorgio Cattaneo, 17 febbraio 2020).Nella cosiddetta Giornata del Ricordo, l’Italia celebra la memoria dei connazionali massacrati da Tito alla fine della Seconda Guerra Mondiale: un debito storico, verso vittime che per decenni rimasero semplicemente innominabili. Nel clima della guerra fredda, l’ipocrisia generale “impediva” ai comunisti e ai governanti italiani di accusare le forze di Tito, responsabili di quella immane strage. In questo modo, migliaia di istriani e dalmati subirono una doppia ingiustizia: prima la feroce esecuzione, poi la condanna all’oblio. Oggi, la tardiva retromarcia sulla tragedia delle foibe finisce però per oscurarne le cause: l’italianizzazione forzata delle regioni slave a sud-est della Venezia Giulia cominciò vent’anni prima, su iniziativa del fascismo. Fu l’Italia mussoliniana ad avviare la pulizia etnica in Slovenia e Croazia, perseguitando e massacrando la popolazione autoctona. Se le squadracce fasciste seminarono subito il terrore e la strage in Istria e Dalmazia, la carneficina divenne spaventosa durante la Seconda Guerra Mondiale: furono 340.000 i civili slavi sterminati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre del 1943, nel corso di rastrellamenti e fucilazioni. Operazioni di rappresaglia, contro gli inermi, per rispondere all’azione militare delle forze partigiane jugoslave.
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Citofonare Salvini (o Sardine-Benetton, tanto è lo stesso)
Con la sua sciagurata e ormai celeberrima citofonata al presunto spacciatore tunisino al Pilastro di Bologna, Matteo Salvini ha fatto un regalo immenso a Bonaccini, allo zombie Zingaretti e a “Repubblica”, che vorrebbe “cancellare” il capo della Lega. Un desiderio coltivato anche ai piani alti del Vaticano e soprattutto accarezzato dalla maggioranza degli italiani, i milioni di cittadini che proprio non sopportano l’ostentato bullismo superficiale che contraddistingue l’estetica politica del Capitano, travestito da sceriffo. A pareggiare il conto provvede però prontamente l’altrettanto improvvida citofonata delle Sardine, fotografate con Oliviero Toscani alla corte di Luciano Benetton, patron di Altantia, dall’estate 2018 nell’occhio del ciclone per le presunte responsabilità di Austostrade Spa nell’incuria che ha portato alla tragedia genovese del viadotto Morandi. Evaporati nella vergogna i 5 Stelle insieme alle loro promesse da marinaio, la politica nazionale – dopo l’equivoca sbornia gialloverde – è ripiombata nell’antica palude post-democratica, mentre il paese perde i pezzi e il mondo gli sta letteralmente crollando addosso, a cominciare dalla Libia.