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D’Alema: gli italiani non fanno più figli. Chissà come mai…
Come mai gli italiani non fanno più figli? Non se lo chiede, Massimo D’Alema, mentre ripropone tranquillamente il più classico teorema mondialista: il nostro futuro saranno i migranti, unica risposta all’impoverimento demografico del Belpaese, sempre più anziano e spopolato. L’ex segretario del Pds è stato un esponente di punta della classe dirigente italiana, in particolare di quella “sinistra post-comunista di governo” che supportò la grande cessione della sovranità nazionale dopo la caduta (per via giudiziaria) della Prima Repubblica. Eppure, alla televisione italiana già immersa nel clima politico della campagna elettorale, D’Alema parla dell’Italia come se fosse un turista distratto, e non l’uomo che sedette per due anni a Palazzo Chigi, peraltro vantandosi di aver realizzato il massimo volume possibile di privatizzazioni, un vero e proprio record europeo. Parla come un osservatore sbadato e impreciso, D’Alema, quando si limita a prendere atto che il bizzarro problema che affligge lo Stivale, da molti anni, è la crisi della natalità, il saldo negativo che rivela la decrescita costante della popolazione. Affrontare il male a monte, occupandosi degli italiani? Aiutarli a scommettere nuovamente sul futuro? Ma no, basta rimpiazzarli con un po’ di profughi africani. Per gli italiani, tuttalpiù, D’Alema ha in mente una cura innovativa e rivoluzionaria: reintrodurre l’imposta sulla prima casa.D’Alema appartiene a pieno titolo alla storia del Novecento: il suo nome è legato per sempre all’infelice stagione che vide incrinarsi i decenni del benessere, preparando il crollo sistemico al quale stiamo assistendo. Ma la vera notizia è che l’ex premier sia ancora in campo nel 2017, tra le fila (meramente anti-renziane) di un sedicente movimento “democratico e progressista”. Quella di D’Alema sembra una voce proveniente dalle catacombe della politica, dal cimitero neoliberista nel quale marcirono e poi morirono, a volte anche assassinate, le migliori idee di progresso sociale, giustizia e solidarietà, incarnate in Europa da giganti del pensiero come Olof Palme, leader della gloriosa socialdemocrazia svedese, artefice del più avanzato welfare del continente. Nel salottino televisivo di Lilli Gruber, D’Alema parla come se nulla sapesse di quanto è avvenuto, in questi anni, al paese a cui oggi si rivolge: la colossale svendita del patrimonio nazionale, i tagli sanguinosi alla spesa sociale, l’austerity, la precarizzazione del lavoro e la piaga della disoccupazione. Dov’era, D’Alema, quando l’Italia organizzava il proprio suicidio socio-economico con il macigno del Fiscal Compact, la legge Fornero sulle pensioni, la crocifissione della Costituzione mediante pareggio di bilancio obbligatorio?L’ex premier post-comunista parla come se non conoscesse Mario Draghi, come se non avesse mai sentito nominare Napolitano e Monti, la Merkel e la spietata Troika che ha ridotto alla fame una nazione come la Grecia. Si limita a descrivere l’Italia come un paese curiosamente in crisi demografica, i cui abitanti – chissà perché – hanno smesso di sposarsi e di metter su famiglia. Il giornalista Paolo Barnard, autore del saggio “Il più grande crimine”, presenta D’Alema come “allievo” di Jacques Attali, eminente politologo francese, già “consigliere del principe” quando lavorava all’Eliseo. Un grande economista transalpino, Alain Parguez, rivela che proprio Attali, oggi padrino di Macron, contribuì a determinare la svolta neo-reazionaria del presidente socialista Mitterrand, “l’inventore” della soglia del 3% (del Pil) come tetto alla spesa pubblica. Una regola artificiosa e nefasta, anti-economica, da allora utilizzata dall’élite finanziaria per scatenare l’attacco frontale alla sovranità di bilancio degli Stati europei, mettendo fine alla loro capacità di realizzare politiche progressiste.Nel suo saggio del 2014 sulla segreta geografia supermassonica del massimo potere (“Massoni”, Chiarelettere), Gioele Magaldi collega D’Alema e Attali sul piano delle loro frequentazioni più riservate: il primo, scrive, milita in due diverse Ur-Lodges, la “Pan-Europa” e la “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”, mentre il secondo nella “Three Eyes”. Secondo Magaldi, le “logge madri” sono strutture esclusive e sovranazionali del back-office del potere, incubatrici di ogni grande decisione finanziaria, economica e geopolitica. Quelle citate, in relazione a D’Alema e Attali, sempre secondo Magaldi (a sua volta “iniziato” alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”) sono superlogge orientate in senso neo-aristocratico, grandi protagoniste della globalizzazione universale che sta privatizzando il pianeta, senza più altra bandiera che quella del denaro. Se la figura politica di D’Alema resta complessa, legata alla tormentata conversione atlantica degli ex comunisti (D’Alema fu il primo premier italiano proveniente dal Pci, il partito di Togliatti e Berlinguer), può sembrare un mistero l’ipotetica attualità della sua proposta odierna, la sua stessa permanenza nel club degli interlocutori politici italiani.D’Alema sarà addirittura tra i competitori elettorali del 2018, per giunta nel cartello guidato dall’imbarazzante Bersani, che si richiama in modo surreale all’articolo 1 della Costituzione (“fondata sul lavoro”, ma in realtà “affondata” dalla costituzionalizzazione del rigore imposta dal governo Monti, con i voti di Berlusconi e dello stesso Bersani). La surrealtà di questa sedicente sinistra prosegue nell’omaggio ricorrente a Romano Prodi, il super-privatizzatore dell’Iri che riuscì a passare da Palazzo Chigi alla Goldman Sachs, fino alla guida della Commissione Europea, cioè l’organismo che ha inflitto le maggiori sofferenze ai lavoratori europei. Al fantasma di Prodi, peraltro, si oppone quello del Cavaliere, che allatta agnellini per la gioia degli animalisti ed evoca spettacolari candidature securitarie, scomodando alti ufficiali dei carabinieri. Poi naturalmente c’è l’odiato Renzi, per il quale il male italico numero uno resta “la burocrazia” (infatti: il problema di Palermo è il traffico, dice Benigni nel film in cui interpreta il boss mafioso Johnny Stecchino). E i 5 Stelle? Lontani anche loro dalla zona rossa, quella del vero pericolo: il loro mitico “reddito di cittadinanza” lo finanzierebbero semplicemente “tagliando gli sprechi”, non certo bocciando i diktat di Bruxelles. Un quadro pittoresco, nel quale diventa comprensibile persino la sopravvivenza giurassica dello stesso D’Alema, così sbadato da non domandarsi perché l’Italia sia tanto in crisi, al punto da smettere di fare figli.Perché mai gli italiani non fanno più figli? Non se lo chiede, Massimo D’Alema, mentre ripropone tranquillamente il più classico teorema mondialista: il nostro futuro saranno i migranti, unica risposta all’impoverimento demografico del Belpaese, sempre più anziano e spopolato. L’ex segretario del Pds è stato un esponente di punta della classe dirigente italiana, in particolare di quella “sinistra post-comunista di governo” che supportò la grande cessione della sovranità nazionale dopo la caduta (per via giudiziaria) della Prima Repubblica. Eppure, alla televisione italiana già immersa nel clima politico della campagna elettorale, D’Alema parla dell’Italia come se fosse un turista distratto, e non l’uomo che sedette per due anni a Palazzo Chigi, peraltro vantandosi di aver realizzato il massimo volume possibile di privatizzazioni, un vero e proprio record europeo. Parla come un osservatore sbadato e impreciso, D’Alema, quando si limita a prendere atto che il bizzarro problema che affligge lo Stivale, da molti anni, è la crisi della natalità, il saldo negativo che rivela la decrescita costante della popolazione. Affrontare il male a monte, occupandosi degli italiani? Aiutarli a scommettere nuovamente sul futuro? Ma no, basta rimpiazzarli con un po’ di profughi africani. Per gli italiani, tuttalpiù, D’Alema ha in mente una cura innovativa e rivoluzionaria: reintrodurre l’imposta sulla prima casa.
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Magaldi: carabinieri, massoneria e democrazia-fantasma
Il generale Leonardo Gallitelli «graziosamente indicato da Berlusconi» come suo eventuale successore, se perdurasse l’ostracismo della pessima legge Severino che impedisce al Cavaliere di ricandidarsi? «Ci risiamo, con la retorica della brava persona estranea alla politica: non conosco il generale Gallitelli, ma so che non ci servono onesti incompetenti. Al contrario, occorrono politici a tutto tondo, ben preparati al vero, grande scontro che può salvare l’Italia, quello con Bruxelles». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e promotore del futuro Pdp, Partito Democratico Progressista, invoca il ritorno alla democrazia sostanziale, la cui assenza sta producendo danni devastanti a ogni livello: politico, economico e sociale. «Non ho mai risparmiato critiche a Berlusconi, perché non ha neanche mai provato ad attuare le riforme liberali che aveva promesso», premette Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”. «Gli auguro sinceramente di poter tornare in campo, ma in modo democratico: accettando cioè di confrontarsi con Salvini e la Meloni». Regolari primarie, insomma: «E’ giusto che sia il popolo del centrodestra a scegliersi finalmente il candidato che preferisce». Senza per questo farsi troppe illusioni: «Come Berlusconi, anche la Lega e An hanno già governato a lungo, non riuscendo a risolvere né il problema immigrazione né il rapporto con l’Ue, attualmente ostaggio di eurocrati che si dicono europeisti ma sono i veri nemici dell’Europa».Pur di evitare le primarie, Berlusconi evoca la candidatura di un generale dei carabinieri? Non è il solo a utilizzare il prestigio dell’Arma in chiave elettorale: l’hanno fatto anche Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa chiamando il generale Nicolò Gebbia a presentare il progetto della loro “Lista del Popolo”, definita anche “La Mossa del Cavallo” e ribattezzata da Magaldi “la Mossa del Somaro”, con allusione ai portatori d’acqua («i somari, appunto») cui toccherebbe mettere in piedi liste in tutta Italia, in pochissime settimane, «lasciando però l’ultima parola agli autoproclamati leader, di fatto padroni di ogni decisione». Il generale Gebbia, intanto, denuncia il ruolo occulto della massoneria nella politica: lascia anche intendere di esser stato messo da parte, nei ranghi dell’Arma, in quanto non-massone, e propone di obbligare i “grembiulini” a dichiararsi pubblicamente, se intendono concorrere a cariche pubbliche. Magaldi inorridisce: «E perché mai solo i massoni dovrebbero dichiararsi? Perché non anche esponenti di sindacati e associazioni religiose o filosofiche?». Quella contro gli aderenti alla massoneria, dice, sarebbe una grottesca discriminazione: «L’ennesima, in un paese come l’Italia, dove fa comodo fingere di non sapere che è stata proprio la massoneria a dar vita allo Stato unitario e poi a concorrere alla democrazia: era massone conclamato Meuccio Ruini, presidente della “commissione dei 75” che partorì la nostra Costituzione».Massone l’insigne giurista Pietro Calamandrei, massone il martire antifascista Giacomo Matteotti: di cosa stiamo parlando? Nel bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014, Magaldi è stato il primo a rivelare, semmai, il ruolo occulto delle Ur-Lodges sovranazionali nella cabina di regia del vero potere mondiale. Ne fa cenno anche il generale Gebbia, ricordando il ruolo di protezione esercitato da Berlusconi per le truppe italiane schierate a Nassiriya, in Iraq: un intervento risolutivo, ottenuto perché «Bush e Berlusconi facevano parte della stessa loggia». Magaldi corregge l’ufficiale, allora a capo del contingente dispiegato in Iraq: «Bush tentò di affiliare Berlusconi alla superloggia “Hathor Pentalpha”, ma non vi riuscì». Nella “Hathor”, invece, era presente – scrive Magaldi nel suo libro – l’allora ministro della difesa Antonio Martino, peraltro lungamente a capo della Mount Pélerin Society, santuario europeo dell’ordoliberismo finanziario di marca reazionaria. Chiarisce Magaldi: «Ci sono massoni non solo tra i carabinieri, ma anche tra poliziotti e finanzieri. Quando viene iniziato, un massone innanzitutto giura fedeltà alla repubblica italiana. Qualcuno se ne stupisce? Non dovrebbe: proprio la massoneria è stato il maggior fautore dello Stato laico, libero e democratico, basato sul suffragio universale e non più su privilegi di casta».Il generale Gebbia si sente vittima di carabinieri massoni? «Forse dovrebbe interrogarsi sulle sue effettive benemerenze», gli risponde a distanza Magaldi, non entusiasta del profilo politico-culturale che le parole dell’anziano ufficiale lasciano trasparire, evocando la consueta “caccia alle streghe” che contraddistingue tanto mainstream, politico e giornalistico: «Siamo bravissimi a fare i duri con i piccoli massoni di provincia, magari coinvolti in maneggi bancari come quelli di Banca Etruria e Montepaschi, per poi tacere di fronte all’identità supermassonica dei veri massoni di potere», accusa Magaldi. «Rosy Bindi reclama le liste degli aderenti al Grande Oriente d’Italia e Claudio Fava propone addirittura una legge che escluda i massoni dalla politica, privandoli cioè di un fondamentale diritto civile, ma poi tutti fingono di non conoscere la cifra massonica di Mario Draghi e Anna Maria Tarantola, che in qualità di dirigenti di Bankitalia avrebbero dovuto vigilare su Mps». “Dagli al massone?” Sì, ma a patto di sorvolare sui “fratelli” che contano davvero, «per esempio Mario Monti, il devastatore dell’economia italiana, e il suo sodale Giorgio Napolitano».Pura ipocrisia italica, insiste Magaldi: anziché dare la caccia ai “grembiulini” in quanto tali (e non invece ai pericolosi oligarchi nascosti anche nei club più esclusivi della supermassoneria che conta, quella internazionale) saerebbe il caso di mettersi sulle tracce della vera, grande assente dalla scena italiana: la democrazia. Che, appunto, rischia di restare ancora largamente latitante, se è vero che il Pd renziano sembra prepararsi all’ennesimo inciucio con Berlusconi, grazie anche al disastroso Rosatellum. «L’alibi delle larghe intese sarà il solito: fermare il Movimento 5 Stelle, come se fosse un vero pericolo». Purtroppo, continua Magaldi, i 5 Stelle non sono affatto un pericolo, per l’establishment: «Al contrario, sono un movimento soporifero: dove governano, come a Roma, addormentano le istituzioni, che andrebbero invece scosse con robuste dosi di democrazia». Insieme all’economista Nino Galloni, il presidente del Movimento Roosevelt scommette sul ritorno alla sovranità finanziaria, anche monetaria: «Non è possibile che l’Europa sia governata dai cartelli bancari a capo della Bce, e dalle oligarchie private che pilotano le cancellerie. L’Italia, che resta uno dei maggiori contraenti dell’Ue, deve dire semplicemente: ci riprendiamo la nostra sovranità, oppurre arrivederci, ben sapendo che – senza l’Italia – l’Unione Europea non esiste, crolla».Proposta secca: «Una Costituzione Europea politica, validata da referendum popolari». Ipotesi completamente ignorata da Renzi, Berlusconi e 5 Stelle. «Ma sarebbe l’unica soluzione, per poter finalmente cominciare a fare sul serio». Invece, conclude Magaldi, ci tocca assistere anche alla farsa di Bersani e D’Alema, che si appellano all’articolo 1 della Costituzione dopo aver rottamato la Carta, con l’inserimento del pareggio di bilancio. «Chiamare il loro movimento “democratico e popolare”, in antitesi a Renzi, è un insulto all’intelligenza degli italiani: Renzi non ha le colpe di D’Alema e Bersani, non ha lesionato la Costituzione», sostiene Magaldi. «Persino la sua brutta proposta di riforma, quella bocciata dal referendum, non avrebbe fatto i danni delle modifiche costituzionali votate da Bersani: l’abolizione del Senato elettivo non sarebbe stata così devastante, per il paese, quanto l’obbligo costituzionale del pareggio di bilancio, che ha privato l’Italia di un fondamentale strumento di sovranità democratica». Ma non sarà così per sempre, si augura Magaldi: il paese dovrà svegliarsi dal sonno e sbarazzarsi di troppi politici mediocri e inutili, spesso anche cialtroni. Massoni e non, ma tutti agli ordini del vero potere, l’élite neo-feudale della globalizzazione privatizzatrice, «interpretata dai veri antieuropeisti, come la Merkel e gli oligarchi di Bruxelles».Il generale Leonardo Gallitelli «graziosamente indicato da Berlusconi» come suo eventuale successore, se perdurasse l’ostracismo della pessima legge Severino che impedisce al Cavaliere di ricandidarsi? «Ci risiamo, con la retorica della brava persona estranea alla politica: non conosco il generale Gallitelli, ma so che non ci servono onesti incompetenti. Al contrario, occorrono politici a tutto tondo, ben preparati al vero, grande scontro che può salvare l’Italia, quello con Bruxelles». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e promotore del futuro Pdp, Partito Democratico Progressista, invoca il ritorno alla democrazia sostanziale, la cui assenza sta producendo danni devastanti a ogni livello: politico, economico e sociale. «Non ho risparmiato critiche a Berlusconi, perché non ha neanche mai provato ad attuare le riforme liberali che aveva promesso», premette Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”. «Gli auguro sinceramente di poter tornare in campo, ma in modo democratico: accettando cioè di confrontarsi con Salvini e la Meloni». Regolari primarie, insomma: «E’ giusto che sia il popolo del centrodestra a scegliersi finalmente il candidato che preferisce». Senza per questo farsi troppe illusioni: «Come Berlusconi, anche la Lega e An hanno già governato a lungo, non riuscendo a risolvere né il problema immigrazione né il rapporto con l’Ue, attualmente ostaggio di eurocrati che si dicono europeisti ma sono i veri nemici dell’Europa».
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Pareggio di bilancio, Orlando: mi vergogno, la Bce ci ricattò
«Se non inserite il pareggio di bilancio nella Costituzione, vi tagliamo i viveri: restate a secco, senza stipendi». Così la Bce di Mario Draghi ricattò il governo, che dovette piegarsi: la norma ammazza-Italia fu varata l’8 maggio 2012 dall’esecutivo guidato dal super-tecnocrate Mario Monti, per avere effetto a partire dal 2014. A rivelarlo è il ministro della giustizia, Andrea Orlando. Lo ricorda “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, che rende pubblico un frammento della conversazione tra Orlando, il giurista Gustavo Zagrebelsky e la giornalista Silvia Truzzi, durante la festa del “Fatto Quotidiano” il 2 settembre 2016. «Speriamo che questa confessione muova gli elettori e i cittadini verso la scelta di governi più decisi nella tutela dei loro interessi», scrive “Scenari Economici”, riproponendo le dichiarazioni rese dal ministro, esponente del Pd. «Oggi noi stiamo vivendo un enorme conflitto tra democrazia ed economia. Oggi, sostanzialmente, i poteri sovranazionali sono in grado di bypassare completamente le democrazie nazionali», dice Orlando, in modo esplicito: «I fatti che si determinano a livello sovranazionale, i soggetti che si sono costituiti a livello sovranazionale, spesso non legittimati democraticamente, sono in grado di mettere le democrazie di fronte al fatto compiuto».Aggiunge Orlando: «La modifica – devo dire abbastanza passata sotto silenzio – della Costituzione per quanto riguarda il tema dell’obbligo di pareggio di bilancio non fu il frutto di una discussione nel paese». Quella decisione, continua il ministro, «fu il frutto del fatto che a un certo punto la Banca Centrale Europa, più o meno – ora la brutalizzo – disse: “O mettete questa clausola nella vostra Costituzione, o altrimenti chiudiamo i rubinetti e non ci sono gli stipendi alla fine del mese”». Nessuno aveva mai rivelato questo retroscena, perlomeno in termini così chiari. E spicca, anche nel passaggio seguente, la sincerità politica di Andrea Orlando: «Io devo dire che è una delle scelte di cui mi vergogno di più, mi vergogno di più di aver fatto». E insiste: «Io penso che sia stato un errore approvare quella modifica. Non tanto per il merito, che pure è contestabile, ma per il modo in cui si arrivò a quella modifica di carattere costituzionale». Commenta “Scenari Economici”, il newsmagazine di Antonio Maria Rinaldi: «Vi rendete conto del peso di queste parole? Un’entità non eletta da nessuno può ricattare e piegare un governo democraticamente eletto!».E’ la drammatica verità, confessata – con insolita franchezza, per un politico – da un esponente del governo italiano: un’ammissione di completa impotenza. «I governi nazionali appaiono deboli fantocci nelle mani di poteri superiori», sintetizza “Scenari Economici”: «Nessun rispetto del popolo, nessun rispetto della Costituzione, solo sopraffazione e applicazione della legge del più forte! I politici appaiono solo come piccoli burattini senza coraggio». Il pareggio di bilancio è notoriamente una norma “suicida”, figlia dell’ideologia neoliberista e imposta per amputare, deliberatamente, la capacità di spesa, cioè di investimento. «Il deficit pubblico è, al netto, la ricchezza reale dei cittadini, imprese e famiglie», sottolinea Paolo Barnard. «Al contrario, il pareggio di bilancio prefigura un “saldo zero”: lo Stato non spende per i cittadini più di quanto i cittadini stessi non versino in tasse». Risultato: la morte clinica dello Stato come motore finanziario dell’economia nazionale privata. «E’ perfettamente inutile tagliare le tasse – ricorda l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt – se prima non si aumenta la spesa pubblica, senza la quale va in sofferenza il comparto economico privato».Tra i silenziosi “approvatori” della norma-killer, per l’economia italiana, figura anche Pierluigi Bersani, allora leader del Pd, che impose al suo gruppo parlamentare di piegare la testa di fronte al ricatto dell’oligarchia eurocratica, pur sapendo che il pareggio di bilancio avrebbe compromesso quella stessa Costituzione in nome della quale, lo scorso 4 dicembre, si alzarono barricate contro la proposta renziana di porre fine al bicameralismo perfetto, sopprimendo il Senato elettivo. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ha più volte denunciato l’ipocrisia bersaniana: «Com’è possibile oggi appellarsi esplicitamente all’articolo 1 della Costituzione “fondata sul lavoro”, se si è votato per lesionarla, quella Carta costituzionale, impedendole di garantire posti di lavoro?». Dopo lo strappo con Renzi, Bersani e Speranza hanno dato vita a Mdp insieme a D’Alema, cioè l’uomo che si vantò – da premier – di aver fatto registrare il record europeo nelle privatizzazioni. Oggi, di fronte allo sbando generale della politica – nessun vero programma salva-Italia da Pd, Berlusconi e 5 Stelle – non può che stupire la franchezza di un politico come Andrea Orlando: abbiamo sbagliato, dice, e me ne vergogno.«Se non inserite il pareggio di bilancio nella Costituzione, vi tagliamo i viveri: restate a secco, senza stipendi». Così la Bce di Mario Draghi ricattò il governo, che dovette piegarsi: la norma ammazza-Italia fu varata l’8 maggio 2012 dall’esecutivo guidato dal super-tecnocrate Mario Monti, per avere effetto a partire dal 2014. A rivelarlo è il ministro della giustizia, Andrea Orlando. Lo ricorda “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, che rende pubblico un frammento della conversazione tra Orlando, il giurista Gustavo Zagrebelsky e la giornalista Silvia Truzzi, durante la festa del “Fatto Quotidiano” il 3 settembre 2016. «Speriamo che questa confessione muova gli elettori e i cittadini verso la scelta di governi più decisi nella tutela dei loro interessi», scrive “Scenari Economici”, riproponendo le dichiarazioni rese dal ministro, esponente del Pd. «Oggi noi stiamo vivendo un enorme conflitto tra democrazia ed economia. Oggi, sostanzialmente, i poteri sovranazionali sono in grado di bypassare completamente le democrazie nazionali», dice Orlando, in modo esplicito: «I fatti che si determinano a livello sovranazionale, i soggetti che si sono costituiti a livello sovranazionale, spesso non legittimati democraticamente, sono in grado di mettere le democrazie di fronte al fatto compiuto».
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Magaldi: sveglia, Renzi. Ribellati all’Ue, o sarà la catastrofe
Matteo, sveglia: devi cambiare rotta adesso, in extremis, dichiarando guerra all’austerity. Oppure, «dopo il bagno di sangue delle elezioni» sarà troppo tardi. Non ci saranno vincitori, ma un grande sconfitto, il Pd. E l’Italia dovrà rassegnarsi all’ennesimo non-governo, prono ai diktat di Bruxelles. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, insiste su Renzi: ancora per qualche mese, l’ex rottamatore sarebbe l’unico potenziale vettore di consenso, su cui far convergere una piattaforma keynesiana in grado di ribaltare il tavolo europeo. Non lo è il Movimento 5 Stelle, nel cui programma l’Europa è assente. Non lo è Berlusconi, «che un giorno attacca la Merkel e il giorno dopo ne cerca l’amicizia, tramite Tajani». E non lo è neppure Salvini, «che dice “no a quest’Europa” ma poi non ha ricette alternative al liberismo classico». Beninteso: «A Palazzo Chigi non ci andrà, Salvini, perché le prossime elezioni – che non vincerà nessuno – regaleranno all’Italia l’ennesimo governo di basso profilo, con un premier né carne né pesce che vada bene agli uni e agli altri». E questa sarebbe anche la fine di Matteo Renzi, cioè di quella che milioni di italiani hanno percepito come come l’ultima spiaggia, l’ultima vera speranza di cambiamento. Ha bluffato, Renzi? Certamente. Dunque gli resta un’ultima possibilità: aprire, davvero, le ostilità con Berlino, Francoforte e Bruxelles. Viceversa, dopo il voto, sarebbe politicamente morto.«A differenza di altri, Renzi potrebbe in extremis dare corpo a quelle che, peraltro, sono sue enunciazioni», afferma Magadi, ai microfoni di “Colors Radio”. «Giustamente, oggi Renzi chiama in causa la vigilanza di Bankitalia su diverse vicende mal gestite – Bankitalia governata a suo tempo da Mario Draghi». Certo, si dirà che lo fa «per stornare gli attacchi ricevuti su Banca Etruria». Ed è paradossale che Berlusconi, «defenestrato a suo tempo soprattutto per volere di Draghi e delle consorterie massoniche di cui Draghi è parte», si schieri oggi in difesa del suo ex killer politico, Mario Draghi. «Ma questo fa parte del gioco di Berlusconi: da un lato chiede al Parlamento di vigilare sulle vicende dello spread del 2011, talvolta alimentando l’idea che ci sia stato un golpe a suo sfavore, ma poi va a lisciare il pelo di colui che è stato, insieme a Napolitano e altri, il burattinaio di quel golpe, che ha insediato Mario Monti a Palazzo Chigi». Se questo è il centrodestra, il centrosinistra sta ancora peggio: ma non solo per colpa di Renzi, sostiene Magaldi. «Oggi ad esempio assistiamo alle uscite di Veltroni, che dà consigli non richiesti». Veltroni, cioè «colui che ha portato il Pd alla prima sconfitta, facendo il modo che Prodi perdesse il governo».Sia chiaro, nessun rimpianto: «Prodi è tra coloro che dovrebbero chiedere scusa agli italiani, avendo (al pari di Berlusconi) governato malissimo l’ingresso dell’Italia in Europa, la sua permanenza e in generale gli ultimi 25 anni di storia», precisa Magaldi. Che però insiste: non è colpa di Renzi se il Pd, che doveva essere «la quintessenza del progressismo in Italia, raccogliendo forze nuove della società civile e politica», si è ridotto fin dall’inizio a essere soltanto «la fusione tra Margherita e Ds», nonché «l’ennesima propagazione del mondo post-comunista, Pci-Pds». Matteo Renzi? «Non è il responsabile del declino del Pd, perché Bersani – prima di lui – ha fatto molto peggio: ha appoggiato il governo Monti, la sciagurata introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione e la riforma delle pensioni della sciaguratissima ministra Fornero. Dovrebbe tacere, Bersarni: vergognarsi, e non mettere l’articolo 1 della Costituzione accanto al simbolo altrettanto grottesco del Mdp, “movimento democratico progressista”». Per Magaldi, Bersani, D’Alema e soci «sono molto peggio di Renzi, e non a caso i sondaggi li danno a percentuali risibili: non sono credibili né come alternativa a sinistra del Pd, né per rifare il centrosinistra su basi diverse da quelle renziane».Detto questo, continua Magaldi, anche Renzi ha le sue responsabilità. «Per questo, se ha un minimo senso di autoconservazione, è importante che – in modo fulmineo – cambi rotta: gli italiani non gli perdonano di esser stato un affabulatore, qualcuno che ha promesso, che ha dato delle speranze». Alle ultime europee, il Pd renziano aveva superato il 40%? Logico: «Molti hanno creduto in Renzi, nel suo piglio giovanile, nella sua capacità di comunicazione, nel suo ottimismo. Molti hanno pensato che fosse la carta giusta. Gli hanno creduto quando l’hanno sentito parlare di una nuova Europa, quando ha detto che le cose che aveva in mente avrebbero riportato occupazione e benessere». Le cose, come sappiamo, non sono andate esattamente così. Nel suo libro, “Avanti”, oggi Renzi si lamenta: sostiene di non essere stato compreso. Ammette di aver commesso degli errori (solo veniali, però) e non si rende conto che il Jobs Act ha accentuato la precarierà del lavoro. In teoria non sarebbe sbagliata l’idea delle “tutele crescenti”, dice Magaldi, ma è insostenibile in questo contesto politico-economico: «Se invece si desse per Costituzione il diritto al lavoro, questo consentirebbe anche di abbandonare le vecchie tutele – ma allora non ci sarebbe neppure più bisogno del Jobs Act».Il vero problema che la politica italiana – Renzi compreso – finge di ignorare, è il carattere artificioso della crisi, ormai disastrosa: viviamo da decenni «in un clima di economia asfittica e di impossibilità delle istituzioni di rilanciare lavoro, occupazione e benessere, rinnovando infrastrutture divenute fatiscenti». E quindi, «in un paese pesantemente trattenuto anche dal Patto di Stabilità che frena gli enti locali, è inutile che Renzi venga a dire che non è stato compreso e che ha i nemici in casa». Renzi, aggiunge Magaldi, deve decidersi «in tempi rapidissimi», perché dopo le elezioni sarà già tardi. Deve scegliere «se davvero vuole essere quello che dà un nuovo passo all’Italia». Per farlo, però, «deve abbracciare un paradigma politico-economico che è alternativo a quello dell’austerity». E’ inutile che continui a vantarsi di litigare quotidianamente con i partner europei: «Tutti hanno visto il suo abbaiare e poi il suo sostanziale andare a baciare più volte l’anello di Angela Merkel e degli altri potenti, di quella che qualcuno definirebbe Euro-Germania, ma che non è altro che un meccanismo asservito a interessi sovranazionali di carattere privato». In sostanza, dice Magaldi, se Renzi non esce dal letargo non lo farà nessun altro: nemmeno Salvini e la Meloni avrebbero la forza necessaria a scuotere il paese.«Salvini – amette Magaldi – è stato bravo a investire nella trasformazione della Lega come movimento non più settentrionale ma nazionale». Dal leader leghista arrivano «giuste critiche ad alcuni aspetti dell’Europa». Bene anche quando dice che i migranti vanno “aiutati a casa loro”: peccano non si ricordi una sola proposta concreta, della Lega, per aiutare davvero “a casa loro” i disperati che giungono sulle nostre coste. Soprattutto: «Salvini ha in mente un impianto economico che è tradizionale: le ricette che propone non sono troppo dissimili da quelle del liberismo classimo». Per primo, con lucidità, Salvini ha chiesto di abbattere le aliquote fiscali: «Ma non basta, serve di più. A Salvini, probabilmente, manca la la percezione della necessità di ricette keynesiane». Fa benissimo a chiedere le primarie nel centrodestra, che Magaldi gli augura di vincere: «Un giorno Salvini potrebbe evolvere, capendo meglio la necessità di un cambio di paradigma politico-economico: occorre comprendere la radice del problema, che riguarda la globalizzazione e il pensiero neliberista egemone nella cosiddetta austerity che ancora ispira tutti i governi europei».Per rompere questo pensiero unico, dice ancora Magaldi, occorre che Salvini e altri «cambino il loro modo di guardare alla società e all’economia, ma ancora questo passo non l’hanno fatto». Perché «non basta dire no a quest’Europa», serve una vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di intendere la sovranità democratica, mettendo fine al dominio ideologico dell’élite che ha dogmatizzato il neoliberismo, fino a traformare l’Europa in un inferno di sofferenze sociali. «Io sono un europeista – chiarisce Magaldi – ma mi vergogno di come l’europeismo sia stato tradito da questi anti-europeisti che oggi portano il vessillo delle istituzioni europee». Sarebbe questa l’unica battaglia giusta, necessaria e urgentissima, per poter dare un senso alle prossime elezioni. Che invece, avanti di questo passo, nessuno vincerà davvero: né il Renzi dormiente, né lo stesso Salvini. «Nessuno dei leader di punta, quelli cioè troppo caratterizzanti, aerriverà a Palazzo Chigi: nessuno di loro potrà essere a capo di un governo di coalizione. E nessuno le vincerà, le prossime elezioni: non il centrodestra, né il Movimento 5 Stelle. E non il centrosinistra, che anzi si prepara alla catastrofe».Matteo, sveglia: devi cambiare rotta adesso, in extremis, dichiarando guerra all’austerity. Oppure, «dopo il bagno di sangue delle elezioni» sarà troppo tardi. Non ci saranno vincitori, ma un grande sconfitto, il Pd. E l’Italia dovrà rassegnarsi all’ennesimo non-governo, prono ai diktat di Bruxelles. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, insiste su Renzi: ancora per qualche mese, l’ex rottamatore sarebbe l’unico potenziale vettore di consenso, su cui far convergere una piattaforma keynesiana in grado di ribaltare il tavolo europeo. Non lo è il Movimento 5 Stelle, nel cui programma l’Europa è assente. Non lo è Berlusconi, «che un giorno attacca la Merkel e il giorno dopo ne cerca l’amicizia, tramite Tajani». E non lo è neppure Salvini, «che dice “no a quest’Europa” ma poi non ha ricette alternative al liberismo classico». Beninteso: «A Palazzo Chigi non ci andrà, Salvini, perché le prossime elezioni – che non vincerà nessuno – regaleranno all’Italia l’ennesimo governo di basso profilo, con un premier né carne né pesce che vada bene agli uni e agli altri». E questa sarebbe anche la fine di Matteo Renzi, cioè di quella che milioni di italiani hanno percepito come come l’ultima spiaggia, l’ultima vera speranza di cambiamento. Ha bluffato, Renzi? Certamente. Dunque gli resta un’ultima possibilità: aprire, davvero, le ostilità con Berlino, Francoforte e Bruxelles. Viceversa, dopo il voto, sarebbe politicamente morto.
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Ur-Lodges, gli uomini al comando: la mappa del vero potere
Mario Draghi (classe 1947, presidente della Banca centrale europea dal 2011, affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Pan-Europa”, alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”, alla “Three Eyes” e alla “Der Ring”). Giorgio Napolitano (classe 1925, già presidente della Repubblica italiana, affiliato alla “Three Eyes”). Massimo D’Alema, affiliato alla “Pan-Europa” e alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”. Mario Monti (classe 1943, economista, senatore a vita e presidente del Consiglio italiano dal 2011 al 2013, affiliato in forma più o meno coperta alla United Grand Lodge of England e alla Ur-Lodge “Babel Tower”). Fabrizio Saccomanni (classe 1942, banchiere, economista, già direttore generale della Banca d’Italia dal 2006 al 2013, dal 2013 al 2014 è stato ministro dell’economia del governo Letta, affiliato alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “Edmund Burke”). Pier Carlo Padoan (classe 1950, economista, dal 24 febbraio 2014 ministro dell’economia nel governo Renzi e nel governo Gentiloni, affiliato alla “Pan-Europa” e alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”).Gianfelice Rocca (classe 1948, tra i più importanti imprenditori italiani, presidente di Techint e di Assolombarda, affiliato alla “Three Eyes”). Domenico Siniscalco (classe 1954, economista, banchiere, già ministro dell’economia dal 2004 al 2005, affiliato alla “Edmund Burke”). Giuseppe Recchi (classe 1964, top manager, affiliato alla “Three Eyes”). Marta Dassù (classe 1955, saggista, già sottosegretaria e viceministra degli affari esteri, attualmente nel cda di Finmeccanica, affiliata alla “Three Eyes”). Corrado Passera (classe 1954, banchiere, manager, politico, già ministro dello sviluppo economico dal 2011 al 2013 nel governo Monti, affiliato alla “Atlantis-Aletheia”). Ignazio Visco (classe 1949, economista, governatore della Banca d’Italia dal 2011, affiliato alla “Edmund Burke”).Enrico Tommaso Cucchiani (classe 1950, banchiere e top manager, affiliato alla “Three Eyes”). Alfredo Ambrosetti (classe 1931, economista, fondatore e presidente emerito di The European House-Ambrosetti, affiliano alla “Pan-Europa”).Carlo Secchi (classe 1944, economista e politico, affiliato alla “Three Eyes”, alla “Pan-Europa” e alla “Babel Tower”). Emma Marcegaglia (classe 1965, imprenditrice e top manager, affiliata alla “Pan-Europa”). Matteo Arpe (classe 1964, banchiere e top manager, affiliato alla “Edmund Burke”). Vittorio Grilli (classe 1957, economista, direttore generale del ministero del Tesoro dal 2005 al 2011 e ministro dell’economia con il governo Monti, affiliato alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”). Giampaolo Di Paola (classe 1944, ammiraglio, ministro della difesa dal 2011 al 2013 con il governo Monti, affiliato alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”). Federica Guidi (classe 1969, imprenditrice, già ministro dello sviluppo economico del governo Renzi, affiliata alla “Three Eyes”).Angela Merkel (classe 1954, politica, cancelliera tedesca dal 2005, affiliata alla “Golden Eurasia”, alla “Valhalla” e alla “Parsifal”). Vladimir Putin (classe 1952, attuale presidente della Federazione Russa, affiliato alla “Golden Eurasia”). Christine Lagarde (classe 1956, avvocatessa e politica francese, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, affiliata alla “Three Eyes” e alla “Pan-Europa”). George W. Bush (classe 1949, presidente degli Stati Uniti dal 2001 al 2009, affiliato alla “Hathor Pentalpha”). Michael Ledeen (classe 1941, giornalista, intellettuale e politologo statunitense, affiliato alla “White Eagle” alla “Hathor Pentalpha”). Condoleezza Rice (classe 1954, politica, affiliata alla “Three Eyes” e alla “Hathor Pentalpha”, già esponente di punta dell’amministrazione Bush). Abu Bakr Al-Baghdadi (classe 1971, terrorista iracheno, leader dell’Isis e Califfo dell’autoproclamato Stato islamico, affiliato alla “Hathor Pentalpha”).José Manuel Durão Barroso (classe 1956, portoghese, docente universitario, politico, presidente della Commissione Europea dal 2004 al 2014, affiliato alla “Pan-Europa” e alla “Parsifal”). Olli Rehn (classe 1962, politico finlandese, già vicepresidente della Commissione Europea, affiliato alla “Pan-Europa” e alla “Babel Tower”). Tony Blair (classe 1953, premier britannico dal 1997 al 2007, affiliato alla “Edmund Burke” e poi alla “Hathor Pentalpha”). David Cameron (classe 1966, premier britannico dal 2010, affiliato alla “Edmund Burke” e alla “Geburah”). Pedro Passos Coelho (classe 1964, primo ministro del Portogallo dal 2011, affiliato alla “Three Eyes”, alla “Edmund Burke” e alla “White Eagle”). Mariano Rajoy (classe 1955, primo ministro della Spagna dal 2011, affiliato alla “Pan-Europa”, alla “Valhalla” e alla “Parsifal”). Antonis Samaras (classe 1951, politico, già primo ministro della Grecia, affiliato alla “Three Eyes”). Jean-Claude Trichet (classe 1942, economista e banchiere francese, presidente della Bce dal 2003 al 2011, affiliato alla “Pan-Europa”, alla “Babel Tower” e alla “Der Ring”.Bernard Arnault (classe 1949, imprenditore francese, dominus della Louis Vuitton Moët Hennessy, affiliato alla “Three Eyes” e alla “Edmund Burke”). Nicolas Sarkozy (classe 1955, politico, presidente della Repubblica francese dal 2007 al 2012, affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Geburah”, alla “Atlantis-Aletheia”, alla “Pan-Europa” e alla “Hathor Pentelpha”). Manuel Valls (classe 1962, già primo ministro francese, iniziato a suo tempo nel Grand Orient de France e poi affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “Der Ring”). Christian Noyer (classe 1950, banchiere, attuale governatore della Banca di Francia, affiliato alla “Pan-Europa”, e alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”). Mark Rutte (classe 1967, primo ministro dei Paesi Bassi dal 2010, affiliato alla “Three Eyes” e alla “Pan-Europa”). Ben van Beurden (classe 1958, top manager olandese, ceo della Royal Dutch Shell, affiliato alla “Geburah” e alla “Der Ring”). Wolfgang Schäuble (classe 1942, politico, attuale ministro delle finanze tedesco, attuale maestro venerabile della “Der Ring”, affiliato alla “Joseph de Maistre”). Peter Voser (classe 1958, top manager olandese e ceo della Royal Dutch Shell, affiliato alla “Pan-Europa”). Bill Gates (classe 1955, imprenditore statunitense fondatore della Microsoft, affiliato alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”).(Elenco sintetico di eminenti personalità italiane e internazionali affiliate a superlogge neo-conservatrici e reazionarie, fornito dal libro di Gioele Magaldi “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”. Secondo Magaldi, già “venerabile” della loggia romana Monte Sion del Grande Oriente d’Italia e poi iniziato alla superloggia sovranazionale progressista “Thomas Paine”, le 36 logge madri di cui ha rivelato l’esistenza costituirebbero l’autentico “back-office” del potere mondiale. Nel dopoguerra e fino agli anni ‘70, sostiene Magaldi, la leadership internazionale è stata esercitata in questo ambito da strutture di orientamento progressista, rooseveltiano e keynesiano, con esiti misurabili in Europa dall’impegno di personaggi come l’inglese William Beveridge, “l’inventore” del welfare, e lo svedese Olof Palme, punta avanzata della miglior socialdemocrazia europea. Poi, dagli anni ‘80, anche gli esponenti della tradizione socialista – da Blair a D’Alema, da Manuel Valls allo stesso Napolitano – sarebbero stati affiliati a Ur-Lodge di segno neo-feudale e oligarchico, massime interpreti della globalizzazione più vorace e privatizzatrice).Mario Draghi (classe 1947, presidente della Banca centrale europea dal 2011, affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Pan-Europa”, alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”, alla “Three Eyes” e alla “Der Ring”). Giorgio Napolitano (classe 1925, già presidente della Repubblica italiana, affiliato alla “Three Eyes”). Massimo D’Alema, affiliato alla “Pan-Europa” e alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”. Mario Monti (classe 1943, economista, senatore a vita e presidente del Consiglio italiano dal 2011 al 2013, affiliato in forma più o meno coperta alla United Grand Lodge of England e alla Ur-Lodge “Babel Tower”). Fabrizio Saccomanni (classe 1942, banchiere, economista, già direttore generale della Banca d’Italia dal 2006 al 2013, dal 2013 al 2014 è stato ministro dell’economia del governo Letta, affiliato alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “Edmund Burke”). Pier Carlo Padoan (classe 1950, economista, dal 24 febbraio 2014 ministro dell’economia nel governo Renzi e nel governo Gentiloni, affiliato alla “Pan-Europa” e alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”).
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Lavoro a tutti, per legge: e se lo garantisse la Costituzione?
Tutti al lavoro: per legge. Lo garantisce la Costituzione. Quale? Quella del 1948, largamente inattuata, o – meglio ancora – quella che andrebbe in parte riscritta e aggiornata al 2017, per trasformarla in uno strumento capace di fronteggiare la vera piaga dei nostri tempi? Il mostro ha le sembianze della disoccupazione di massa, alimentata dal neoliberismo sfrenato della globalizzazione più selvaggia e predatoria, privatizzatrice. E’ la peste che ha delocalizzato il lavoro e importato “neo-schiavi” migranti, mettendo ancora più in crisi i lavoratori europei, costretti a salari al ribasso, nell’eclissi generale dei diritti conquistati nei decenni ruggenti del welfare e del benessere. Vogliamo finirla con le chiacchiere e cominciare a fare sul serio? Allora bisogna ripartire proprio da lì, dalla Carta costituzionale. Deve diventare la norma fondamentale attorno a cui rifondare, dalle radici, la comunità nazionale: «Si tratta di costituzionalizzare il diritto al lavoro: cioè fare in modo che la piena occupazione sia garantita, e che quindi nessuno abbia più, costituzionalmente, la possibilità di rimanere senza lavoro, senza reddito e senza dignità».E’ la sfida che lancia il Movimento Roosevelt, impegnato a Roma con un convegno su come rimettere in moto l’anima progressista della Costituzione italiana, sempre celebrata con vuote formule rituali ma di fatto largamente inattuata, ingessata come un totem intoccabile o magari «surrettiziamente insidiata da riforme involutive come quelle proposte da Renzi», e bocciate dal referendum del 2016. «Dobbiamo ragionare in termini di Costituzione come del fulcro della vita civile e politica di un paese», dice Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio”. E non vale solo per l’Italia: «Se noi avessimo avuto una Costituzione Europea passata attraverso il vaglio dei cittadini, quindi non imposta dall’alto ma condivisa, se cioè avessimo una Costituzione politica, l’Europa non sarebbe quella che è: non sarebbe questa cosa matrigna e tecnocratica di pochi burocrati al servizio di interessi privati, con cancellerie europee altrettanto asservite e un Parlamento Europeo che non conta nulla, incapace di farsi carico degli ideali di giustizia sociale e di diffusione della properità e della piena occupazione, nonché della rigenerazione dei territori».La riflessione sulla Costituzione, aggiunge Magaldi, «deve farci capire che in Italia, senza Costituzione democratica pienamente attuata o perfezionata per adempiere a certi bisogni, non si va da nessuna parte». L’affronto più grave alla Costituzione antifascista? L’avervi inserito l’obbligo del pareggio di bilancio – governo Monti, appoggiato da Berlusconi e Bersani. Pareggio di bilancio? Una bestemmia, per un economista come Nino Galloni, dirigente del Movimento Roosevelt, di scuola keynesiana: il debito pubblico (deficit positivo) è esattamente lo strumento-chiave attraverso il quale rilanciare l’economia privata, come dimostra la storia italiana dei decenni del boom, sorretti da un sistema economico misto, pubblico-privato, e dalla sovranità monetaria, quindi con capacità di fare investimenti strategici – quelli che oggi mancano, sanguinosamente, a causa del divieto imposto da Bruxelles. Risultato: il declino evidente del paese, nell’ultimo quarto di secolo. Agitare retoricamente la Costituzione? Così com’è, «in questi 25 anni la Costituzione non è stata capace di garantire l’arresto del declino dell’Italia sul piano economico, civile e politico», dice Magaldi. «E quindi serve una scossa».«Già il solo parlare di riforme, in senso opposto a quello renziano, significa magari galvanizzare la possibile attuazione di quelle parti della Costituzione che sono state sin qui dimenticate», aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, che auspica di poterne discutere con personaggi come Paolo Maddalena e Gustavo Zagrebelsky, ma anche Giorgio Cremaschi e Alfredo D’Attorre, Antonio Ingroia e Ferdinando Imposimato. «Pensiamo che la Costituzione del 2018 possa essere più adatta a calare nel nuovo secolo lo spirito originario di quella del 1948, che a sua volta riprendeva lo spirito di quella della Repubblica Romana». Correva l’anno 1849: sulle barricate c’era un certo Garibaldi, primo gran maestro del Grande Oriente d’Italia, alla testa di un’avanguardia di massoni progressisti. Obiettivo, oggi: recuperare quello spirito originario, di cui abbiamo un bisogno estremo. Soprattutto di questi tempi, con una politica completamente allo sbando e un Parlamento che, grazie al Rosatellum, dopo le elezioni del 2018 sarà letteralmente ingovernabile, preda di larghe intese e governi di bassissimo profilo.Inutile sperare in quel che resta della sinistra ufficiale, avverte Magaldi, ridotta a «piccolo circolo di nostalgici di una sinistra che non c’è più e che non ci sarà mai più». Le spoglie di Sel, Mdp e Articolo 1, il gruppo del Teatro Brancaccio, Sinistra Italiana, Campo Progressista di Pisapia? «Consiglierei loro di ragionare in termini di rigenerazione della democrazia, non della sinistra – dice Magaldi – perché la democrazia e il progresso non sono né di destra né di sinistra». Vero, alcuni partiti di sinistra hanno fatto grandi battaglie in questo senso, «ma è anche vero che, per sinistra, in Italia si intende tutto quel mondo comunista e post-comunista che nella versione comunista avversava la democrazia e propugnava ideologicamente un mondo post-democratico, mentre nella versione Pds-Ds-Pd è diventata asservita a quella stessa ideologia neoliberista declinata da tutti i partiti di centrodestra», come nel caso del famigerato inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione. Destra e sinistra? Conviene «superare questa tassonomia obsoleta». Contrastare il Jobs Act renziano? «Va bene difendere l’articolo 18, ma ancora meglio sarebbe liberare gli imprenditori da lacci e laccioli, e al tempo stesso garantire, per legge, la piena occupazione». Onestamente: «L’Italia è cambiata, servono categorie diverse. E il popolo è afflitto da una decadenza che il ceto politico non è in grado di arrestare».Tutti al lavoro: per legge. Lo garantisce la Costituzione. Quale? Quella del 1948, largamente inattuata, o – meglio ancora – quella che andrebbe in parte riscritta e aggiornata al 2017, per trasformarla in uno strumento capace di fronteggiare la vera piaga dei nostri tempi? Il mostro ha le sembianze della disoccupazione di massa, alimentata dal neoliberismo sfrenato della globalizzazione più selvaggia e predatoria, privatizzatrice. E’ la peste che ha delocalizzato il lavoro e importato “neo-schiavi” migranti, mettendo ancora più in crisi i lavoratori europei, costretti a salari al ribasso, nell’eclissi generale dei diritti conquistati nei decenni ruggenti del welfare e del benessere. Vogliamo finirla con le chiacchiere e cominciare a fare sul serio? Allora bisogna ripartire proprio da lì, dalla Carta costituzionale. Deve diventare la norma fondamentale attorno a cui rifondare, dalle radici, la comunità nazionale: «Si tratta di costituzionalizzare il diritto al lavoro: cioè fare in modo che la piena occupazione sia garantita, e che quindi nessuno abbia più, costituzionalmente, la possibilità di rimanere senza lavoro, senza reddito e senza dignità».
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Magaldi: dite a Civati che i big progressisti erano massoni
Massoni? No, grazie. «Mi sarebbe piaciuto dibattere con Massimo D’Alema, che credo abbia molte responsabilità nella perdita di credibilità delle politiche progressiste nel nostro paese, essendo stato l’interprete italiano della pessima “terza via” altrove declinata da Blair e Clinton, poi sposata dal sedicente centrosinistra». Ma Gioele Magaldi non avrà l’onore di discutere con D’Alema, a Londra: entrambi non saranno presenti al dibattito promosso da esponenti della sinistra italiana anti-Renzi di stanza nella capitale inglese, alle prese con «una sorta di manifesto per rinnovare la politica italiana, come se la rigenerazione della politica debba passare per forza per la rigenerazione della sinistra, anziché della democrazia, cioè dell’interesse del popolo». L’irritazione di Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, nasce dal “niet” sulla sua presenza giunto da Pippo Civati: Magaldi lasciamolo a casa, perché è massone. «Il tutto, dopo settimane di collaborazione tra civatiani e “rooseveltiani” londinesi». Ma sa di cosa parla, Civati? E’ estremanente diretto, Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”: si rende conto, l’onorevole Civati, che erano massoni tutti i fondatori dell’Italia nonché il presidente della commissione che partorì il testo della Costituzione repubblicana, Meuccio Ruini?Pietra dello scandalo, la polemica accesa da Magaldi contro la “caccia alle streghe” della Commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi con accanto il suo vice Claudio Fava, «che nei mesi scorsi ha chiesto le liste dei massoni per valutare presunte infiltrazioni mafiose». Ha protestato il gran maestro del Goi, Stefano Bisi: ma perché non si chiedono anche le liste degli iscritti a partiti, sindacati e associazioni varie? «Una volta tanto ne ha detta una giusta anche Bisi», dice Magaldi, mai tenero col Grande Oriente d’Italia. «Evidentemente c’è una cultura massonofobica, di grande ignoranza e grande pregiudizio», sostiene Magaldi, «tant’è che Claudio Fava è stato anche uno degli estensori di una proposta di legge liberticida, che sarà cassata come incostituzionale fintanto che l’Italia resterà un paese democratico: si vorrebbe vietare ai massoni di ricoprire incarichi pubblici». Per Magaldi, una discriminazione inaccettabile e pericolosa: «Il massone “buono” è sempre quello segreto e occulto, se invece sei un massone a viso aperto devi essere discriminato». Magaldi, peraltro, non è indulgente nemmeno con i “fratelli” in grembiulino: ne ha messi alla berlina a decine, nel bestseller “Massoni” pubblicato da Chiarelettere a fine 2014, un libro che denuncia i maneggi delle Ur-Lodges, le superlogge al vertice del potere mondiale.L’incidente diplomatico di Londra? Non privo di retroscena movimentati: «Ho rifiutato subito la location, una sala intitolata a Karl Marx», dice Magaldi: «Rispetto Marx come analista economico e grande filosofo, ma aborro l’ideologia marxista perché autoritaria, non democratica, foriera di esiti totalitari e liberticidi». Tra i promotori dell’incontro, oltre a Marco Moiso, coordinatore del Movimento Roosevelt, i “terminali” britannici delle svariate “famiglie” italiane della neo-sinistra antirenziana: dai citaviani di “Possibile” fino al soggetto politico di Anna Falcone e Tomaso Montanari (teatro Brancaccio), fino ad “Articolo 1 Mdp” (D’Alema, Bersani e Speranza). Tra i volti nuovi, una giovane di talento come Rosa Fioravante, legata alla fondazione ItalianiEuropei di Massimo D’Alema. «Lavorando con Moiso – dice Magaldi – hanno gustato il cibo sapido della proposta ideologica “rooseveltiana”: il loro manifesto era insipido, noioso e verboso, tipico di chi pensa di recuperare categorie ottocentesche nella contrapposizione tra capitale e lavoro». In più, la Fioravante ha appena pubblicato un post “rooseveltiano” contro l’ideologia neoliberista della “fine dello Stato”. E s’è messa pure a parlare di Olof Palme, il leader svedese assassinato nel 1986, cui il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano, a febbraio.«A proposito: Rita Fioravante e i suoi sapevano che Olof Palme era un illustre massone, oltre che un politico progressista?». Massone, proprio come Magaldi e gli altri, che Civati vorrebbe mettere alla porta. «Noi parliamo da mesi, di Olof Palme, il convegno di Milano servirà a risvegliare i valori socialisti», annuncia Magaldi. «E adesso arriva costei, la Fioravante, e scrive un pezzo proprio su Olof Palme». Strana contaminazione culturale, a tempo di record? E la “fatwa” di Civati sull’ingombrate Magaldi, messo alla porta come massone? «Ci sarà rimasto male: una volta, richiesto di un parere su di lui, ho detto che non mi sembrava un fulmine di guerra», ammette il fondatore del Movimento Roosevelt. «Del resto, il suo consigliere economico all’epoca della battaglia per la segreteria Pd passò armi e bagagli con Renzi: quanto poteva divergere la politica economica di Civati da quella di Renzi? Poi Civati ha contrasato il Jobs Act renziano, è vero. Ma non è che prima del Jobs Act avessimo la piena occupazione, in Italia: la crisi dura da 25 anni, questo è un paese in declino». E poi: qual è la visione democratica e liberale della cittadinanza, per il “massonofobico” Civati?«Non è possibile una persona che rappresenta le istituzioni (Civati è tuttora deputato), dopo aver elaborato con i suoi un programma comune per un evento comune a Londra, dica, ipocritamente: non vado a un incontro con Magaldi perché è massone». Un giudizio netto, da Magaldi: «C’è ipocrisia, perché Civati sapeva benissimo che io fossi massone. E c’è ignoranza, perché mi dicono che Civati sia laureato in filosofia rinascimentale. Spero che non abbia studiato sui Bignami e che abbia qualche cognizione dell’esoterismo rinascimentale che poi si istituzionalizza tra ‘600 e ‘700 e diventa massoneria». Infierisce Magaldi: «Dato che mi pare sia tra quanti vogliono difendere la Costituzione e attuarla a dovere, spero che Civati sappia, per esempio, che il presidente della “commissione dei 75” che ha redatto il testo costituzionale, Meuccio Ruini, era un noto e conclamato massone». Senza contare, aggiunge, che i padri della patria italiana, «quelli che hanno fatto sì che Civati non sia nato nel regno lombardo-veneto ma in Italia», erano tutti massoni.Era massone Giuseppe Garibaldi, primo gran maestro del Grande Oriente d’Italia, e così Cavour, Mazzini e i tanti patrioti, anche lombardi, che si distinsero sin dalle “giornate di Milano” per il loro patriottismo e per la loro militanza massonica e carbonara. Insiste Magaldi, sempre a “Colors Radio”: «Civati non avrebbe dibattuto con il padre della patria Meuccio Ruini? Non avrebbe dibattuto con colui che ha liberato l’Europa dal nazifascismo, Franklin Delano Roosevelt, massone conclamato al pari di Eleanor Roosevelt, madrina dei diritti umani? E non avrebbe collaborato, Civati, con Martin Luther King, Gandhi o Arthur Meier Schlesinger, l’ideologo della New Frontier kennediana? E ancora: non avrebbe interoquito con John Maynard Keynes, le cui teorie economiche sono alla base della socialdemocrazia europea?». A Civati, Magaldi addebita «ignoranza e insipienza storico-critica». Spiacevole, per «un parlamentare laureato in filosofia, che ignora il ruolo dell’esoterismo rinascimentale e poi massonico nell’elaborazione dei valori di democrazia e libertà, e si permette il lusso di porre una discriminante verso qualcuno per ragioni di appartenza spirituale, filosofica, meta-religiosa».Massoni? No, grazie. «Mi sarebbe piaciuto dibattere con Massimo D’Alema, che credo abbia molte responsabilità nella perdita di credibilità delle politiche progressiste nel nostro paese, essendo stato l’interprete italiano della pessima “terza via” altrove declinata da Blair e Clinton, poi sposata dal sedicente centrosinistra». Ma Gioele Magaldi non avrà l’onore di discutere con D’Alema, a Londra: entrambi non saranno presenti al dibattito promosso da esponenti della sinistra italiana anti-Renzi di stanza nella capitale inglese, alle prese con «una sorta di manifesto per rinnovare la politica italiana, come se la rigenerazione della politica debba passare per forza per la rigenerazione della sinistra, anziché della democrazia, cioè dell’interesse del popolo». L’irritazione di Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, nasce dal “niet” sulla sua presenza giunto da Pippo Civati: Magaldi lasciamolo a casa, perché è massone. «Il tutto, dopo settimane di collaborazione tra civatiani e “rooseveltiani” londinesi». Ma sa di cosa parla, Civati? E’ estremanente diretto, Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”: si rende conto, l’onorevole Civati, che erano massoni tutti i fondatori dell’Italia nonché il presidente della commissione che partorì il testo della Costituzione repubblicana, Meuccio Ruini?
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Magaldi: smascheriamo insieme i bari della politica italiana
Smascherare i bari della politica? Facilissimo: basta vedere chi votò per Mario Monti, il devastatore dell’Italia inviato a Roma nel 2011, tramite Napolitano. Una missione speciale, la sua, per conto dei super-poteri oligarchici che hanno fatto dell’Ue una fabbrica di diktat, trasformando i Parlamenti in “bivacchi di manipoli” dormienti, ancora impegnati a recitare la liturgia di una democrazia che ormai non esiste più, non conta, non decide più niente. Se ne vergognano, gli ex sostenitori di Monti? «Certamente se ne vergogna Bersani, che infatti nella sua nuova formazione politica ha inserito un riferimento all’articolo 1 della Costituzione “fondata sul lavoro”, ben sapendo di aver votato a favore della riforma Fornero, massimo attentato politico nella storia recente contro il mondo del lavoro e dei lavoratori». Parola di Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” e presidente del Movimento Roosevelt, che ora annuncia un conto alla rovescia: quello della nascita di un nuovo soggetto politico destinato, spera, a sconvolgere la “palude” italiana, intasata di replicanti finto-progressisti e finto-ribellisti, per fornire agli elettori una vera chance di cambiamento in senso sovranistico e democratico, lontano dalla “dittatura” di Bruxelles e dei suoi corifei nazionali.Berlusconi? Ancora una volta incerto e ambiguo, nell’elogiare – forse in funzione anti-Salvini – la Pax Europea di cui avremmo beneficiato. Niente di più falso, sostiene Magaldi, in collegamento con David Gramiccioli ai microfoni di “Colors Radio”: questa Ue, che doveva unire il continente – accusa il leader del Grande Oriente Democratico – ha letteralmente frantumato l’Europa, provocano una feroce crisi economica e pericolose rivalità tra Stati. Il Pd renziano? Minestra riscaldata: lo stesso Renzi ha commesso errori madornali come quello sul referendum, e il suo destino è comunque segnato. In ogni caso, aggiunge Magaldi, anche una quota rilevante di elettorato Pd è delusa e disorientata, nonostante l’overdose di camomilla somministrata dal Gentiloni di turno, vero e proprio clone del dimenticabile Enrico Letta. «In Italia – sostiene Magaldi – esistono praterie sconfinate, sul piano politico, per chi voglia provare a cambiare davvero il corso delle cose: manca solo uno strumento chiaro e preciso, finalmente a disposizione degli elettori». Proprio per questo, aggiunge, nascerà il Pdp, Partito Democratico Progressista: un programma netto, destinato a smascherare l’ipocrisia generale e la reticenza dei partiti di oggi, incluso il Movimento 5 Stelle.«A Roma il movimento di Grillo non ha dato buona prova di sé, e c’è da temere che sarebbe così anche su scala nazionale, se dovesse governare l’Italia». Per un motivo semplice, dice Magaldi: «I 5 Stelle non avevano un vero programma per la capitale, così come non hanno un vero programma per il paese». Per “vero programma”, spiega Magaldi, si intende qualcosa di esplicito e inequivocabile: aprire una vertenza storica con l’Ue, minacciando di sbattere la porta. Obiettivo: ripristinare la democrazia in modo sostanziale, quella dei diritti del lavoro, svuotata dalla tecnocrazia euro-tedesca, che Magaldi definisce “paramassonica”, dettata dalle strutture di potere apolidi che hanno fabbricato l’attuale globalizzione asimmetrica, che concentra i poteri e fa sparire i diritti, spingendo i cittadini verso una precarietà universale, senza speranza. Un esito inaccettabile, da rovesciare a partire dalle fondamenta, riscrivendo le regole: l’economista Nino Galloni è uno dei cervelli del movimento fondato da Magaldi per sollecitare il risveglio della politica italiana, di cui però ancora non si vede traccia. E dunque, se i partiti continuano a dormire, non resta che scendere in campo direttamente: è questo il ragionamento alla base del varo (imminente, pare) del Pdp, aperto a «chiunque ami sinceramente la democrazia, cioè la legittima quota di sovranità assegnata ad ogni cittadino».Smascherare i bari della politica? Facilissimo: basta vedere chi votò per Mario Monti, il devastatore dell’Italia inviato a Roma nel 2011, tramite Napolitano. Una missione speciale, la sua, per conto dei super-poteri oligarchici che hanno fatto dell’Ue una fabbrica di diktat, trasformando i Parlamenti in “bivacchi di manipoli” dormienti, ancora impegnati a recitare la liturgia di una democrazia che ormai non esiste più, non conta, non decide più niente. Se ne vergognano, gli ex sostenitori di Monti? «Certamente se ne vergogna Bersani, che infatti nella sua nuova formazione politica ha inserito un riferimento all’articolo 1 della Costituzione “fondata sul lavoro”, ben sapendo di aver votato a favore della riforma Fornero, massimo attentato politico nella storia recente contro il mondo del lavoro e dei lavoratori». Parola di Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” e presidente del Movimento Roosevelt, che ora annuncia un conto alla rovescia: quello della nascita di un nuovo soggetto politico destinato, spera, a sconvolgere la “palude” italiana, intasata di replicanti finto-progressisti e finto-ribellisti, per fornire agli elettori una vera chance di cambiamento in senso sovranistico e democratico, lontano dalla “dittatura” di Bruxelles e dei suoi corifei nazionali.