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Archivio del Tag ‘biotech’

  • Barnard: nessuna certezza da tamponi e test sierologici

    Scritto il 07/4/20 • nella Categoria: segnalazioni • (8)

    Allora, facciamo “non-chiarezza” sui tamponi e sui test per il Cov-2. Non è una battuta, perché nella scienza c’è una confusione tremenda, su questi test, e voi cittadini dovete assolutamente sapere le cose, per essere informati su cosa vi fanno. Ho fatto una raccolta dei dati affidabili, nella più alta letteratura scientifica possibile (”New England Journal of Medicine”, “The Lancet”, “Science”, “Mit Technology Review”), e cerco si spiegarmi nella maniera più semplice. I test per rilevare il Cov-2 (che è il nome del virus) e la Covid-19 (che è il nome della malattia) sono due: il tampone, nasale o laringo-faringeo, e l’esame del siero sanguigno. I tamponi sono validi per trovare il Cov-2 attivo nella persona “adesso”; perché, sul tampone, viene fatto l’esame Rt-Pcr, che rileva i pezzi di Rna virale, specifici proprio del Cov-2; poi li amplifica, e li vede con una buona precisione, al netto di qualche possibile errore. Quindi, un tampone Rt-Pcr “positivo” ti dice che hai il virus “adesso”; ma se tu l’hai avuto in passato, la Rt-Pcr non lo vede più, e dà “negativo”. Può sembrare una buona notizia, ma invece c’è un grosso problema. Un soggetto che esce “negativo”, dal tampone, non sarà mai se, in passato, ha avuto il contagio, oppure no. Quindi non saprà mai se in questo momento è immune, o no. In soldoni, essere “negativi” all’Rt-Pcr ci dice per certo che non siamo spargitori di contagi “adesso”, a non ci assicura che domani non ci contageremo.
    Per capire se uno è mai stato contagiato, e se ha sviluppato la famosa immunità, va fatto l’esame sierologico (l’esame del sangue). Ma, anche qui, le cose non sono sicure – per niente. I test sierologici del momento, se l’esito è “positivo” rilevano di sicuro la presenza, nel soggetto, di anticorpi ai coronavirus – che sono una classe, una famiglia di virus molto noti, che possono procurare problemi che vanno dal semplice raffreddore alla Sars. Ma i test sierologici hanno difficoltà a rilevare con precisione proprio gli anticorpi specifici, relativi al solo Cov-2. E questo è il grande problema. C’è una gara frenetica, fra le “biotech corporations”, per produrre oggi un test sierologico che sia totalmente affidabile, in questo – cioè: che, di certo, risponda solo agli anticorpi del solo Cov-2. Infatti, nessuno dei test sierologici in circolazione dà questa certezza. Si parla di possibili errori: potrebbero dirti che sei “positivo al Cov-2″, mentre in realtà sei “positivo” a qualsiasi altro coronavirus. Nei test, si parla di errori in percentuali rilevanti, dal 20% in su. Il problema è quello della “cross reactivity”, cioè: nel coronavirus del raffreddore, in quello della Sars e in quello del Cov-2, gli aminoacidi delle “spike” che spuntano dai virus (la loro “corona”), sono identici al 60-70%, per cui il sistema immunitario si sbaglia facilmente.
    I problemi del test sierologico, poi, non finiscono qui. Se risulti “positivo” agli anticorpi ma stai bene, non sai se sei ancora infettivo o meno. Quindi è difficile dirti: «Tu non sei più un pericolo per gli altri, torna pure a lavorare». Né sai se sei “positivo” agli anticorpi, se per caso sei a poche ore dallo scoppio della malattia. Solo l’essere “positivo” al test sierologico e stare bene (ma da lungo tempo) ti dice che, probabilmente, sei diventato immune. Ma ancora non si sa quanto duri, un’immunità al Cov-2: in letteratura scientifica c’è chi dice che duri solo un mese, c’è chi dice di più (non si sa). Infine, se sei nei primi giorni del contagio – cioè: ti sei infettato ieri sera, e oggi pomeriggio fai l’esame sierologico – l’esame non vede ancora gli anticorpi, perché il sistema immunitario ci mette del tempo, a comparire sulla scena. Quale sarebbe, allora l’ideale? Sarebbe: risultare “positivi” al test sierologico, ma “negativi” al tampone Rt-Pcr. Spiego: col test sierologico “positivo” sai che sei stato esposto a un coronavirus (e speri che sia questo Cov-2, e non un altro), ma una Rt-Pcr “negativa” ti dice – di certo, o quasi – che non l’hai più. Al momento, purtroppo, le cose stanno così. Certezze assolute non ce ne sono: zero.
    Oggi, poi, c’è una corsa frenetica ad approvare dei test (sia tamponi, che esami sierologici) che vadano di fretta. Però, più vanno in fretta, e meno sono accurati – cioè: non c’è “validation”, come si dice in termini scientifici. Pensate che una Rt-Pcr fatta bene ci mette delle ore; e va ripetuta due volte, per avere due “positivi” (o due “negativi”) consecutivi. Quindi occorrono giorni, per avere il risultato. Quanto ai test sierologici, abbiamo visto i problemi che hanno. Quando vi dicono che stanno uscendo questi kit che in 5 minuti rivelano se hai il coronavirus o no, vi raccontano delle clamorose balle. Questi kit non sono affidabili, e non lo saranno fino a che la tecnologia non sarà andata molto avanti. Questo è lo stato delle cose, ora ne siete informati. Mi dispiace non potervi tranquillizzare di più, ma questa è la situazione.
    (Paolo Barnard, “Facciamo la non-chiarezza su tamponi e test Cov-2″, video pubblicato su YouTube il 5 aprile 2020 e ripreso da “Come Don Chisciotte”).

    Allora, facciamo “non-chiarezza” sui tamponi e sui test per il Cov-2. Non è una battuta, perché nella scienza c’è una confusione tremenda, su questi test, e voi cittadini dovete assolutamente sapere le cose, per essere informati su cosa vi fanno. Ho fatto una raccolta dei dati affidabili, nella più alta letteratura scientifica possibile (”New England Journal of Medicine”, “The Lancet”, “Science”, “Mit Technology Review”), e cerco si spiegarmi nella maniera più semplice. I test per rilevare il Cov-2 (che è il nome del virus) e la Covid-19 (che è il nome della malattia) sono due: il tampone, nasale o laringo-faringeo, e l’esame del siero sanguigno. I tamponi sono validi per trovare il Cov-2 attivo nella persona “adesso”; perché, sul tampone, viene fatto l’esame Rt-Pcr, che rileva i pezzi di Rna virale, specifici proprio del Cov-2; poi li amplifica, e li vede con una buona precisione, al netto di qualche possibile errore. Quindi, un tampone Rt-Pcr “positivo” ti dice che hai il virus “adesso”; ma se tu l’hai avuto in passato, la Rt-Pcr non lo vede più, e dà “negativo”. Può sembrare una buona notizia, ma invece c’è un grosso problema. Un soggetto che esce “negativo”, dal tampone, non sarà mai se, in passato, ha avuto il contagio, oppure no. Quindi non saprà mai se in questo momento è immune, o no. In soldoni, essere “negativi” all’Rt-Pcr ci dice per certo che non siamo spargitori di contagi “adesso”, a non ci assicura che domani non ci contageremo.

  • Addio olio e pesci: climate change, la catastrofe nascosta

    Scritto il 17/2/17 • nella Categoria: segnalazioni • (9)

    Il crollo della produzione di olio extra vergine in Europa è solo il campanello. Fattela addosso, tuo figlio è nella merda, come si dice in francese. Il mio sforzo, piuttosto disperato nel paese che vede meno che a 7 cm dal suo naso sempre e su tutto, è di farvi capire ciò che tuo figlio/a, oggi di 2 anni, dovranno affrontare quando avranno la tua età. Sono capaci tutti di scrivere le news di oggi. Ci vuole un certo cervello per offrirvi le news che faranno mettere le mani sulla faccia ai vostri bimbi fra 30 anni, ma offrirvele oggi (vedi pezzo precedente su Agorastrea, anche se in altro ambito). E’ ciò che sto facendo da due anni, in un paese dove i lettori hanno una visione di 7 cm dal loro naso. Una siccità senza precedenti nella storia della Siria fu l’innesco della guerra civile là. Orde di disperati fuggirono nel 2006 dalle campagne verso le città perché morivano di fame. Il marasma di povertà, disperazione, orrore governativo di quella bestia umana di Assad, pari solo all’orrore delle bestie umane della “opposizione moderata di Hollywood”, e le tensioni derivanti, è precisamente ciò che oggi vedete come guerra civile in Siria.
    Una siccità senza precedenti nella storia… Climate Change. Sapete cosa poi ci ha portato quella guerra civile, le gigantesche conseguenze sull’Europa, sulle politiche, sull’economia del tuo portafoglio, ci ha portato Trump (in parte), e lo dico a te signor taxista di Novara… (che mai capisce dove sono i veri drammi, ma neppure Barra-Caracciolo ci capisce una mazza, e non fa il taxista). Perché, e vengo a oggi, la produzione italiana del suo gioiello olio extra vergine è crollata in un anno del 41%, il peggior crollo della storia in Italia? “Commodity3” ha appena pubblicato un rapporto che pela vivi i banali articoletti apparsi (nascosti) di recente su “Repubblica” e sul “Fatto Q” su questo problema. Ma davvero questo crollo è dovuto a un parassita arrivato da Marte? Può essere, ma perché i giornalucoli non vi spiegano che quei parassiti di Marte sono figli del Climate Change, come invece dimostra la miglior ricerca biotech del mondo nascosta da Syngenta? E ’sto clima impazzito che abbiamo già nelle nostre regioni non c’entra? Ma dai? Allora perché un collasso di olio capita in Spagna e in Grecia senza i parassiti italiani?
    Ma che interesse ha la fetida Commissione Europea a permettere a un ufficietto negli scantinati del suo palazzo di Bruxelles di pubblicare un rapporto, letto da nessuno perché si trova molto dopo pag. 20 di Google, dove si legge “L’agricoltura europea sta vacillando sotto il peso del Climate Change… sono registrati cambiamenti drammatici in precipitazioni, temperature che vanno agli estremi del gelo e dell’afa, poi tempeste, allagamenti, in tutta la Ue”. L’Un Intergovernmental Panel on Climate Change, poi, ci dice che, altro che quote pesca della Ue. La vera bomba a mano nelle reti dei nostri Porto Garibaldi o Mazara del Vallo è il Climate Change. La scala grafica che l’Onu pubblica sugli sconvolgimenti della pesca nel Mediterraneo dovuti alla pazzia del clima, gli dà, su 5, 4 tacche rosse. Aspettiamo la quinta? Ah, dimenticavo. Ho già scritto che se siete preoccupati per l’invasione dei migranti, ancora non avete visto nulla. Aspettatatevi che i 300.000.000 (si legge trecentomilioni, non 3 milioni) di indiani che stanno rimanendo senza acqua per la semi-sparizione dei più vicini ghiacciai dell’Himalaya decidano che se proprio devono crepare, be’, val la pena tentare la via per l’Europa… Baciate i vostri bimbi stanotte, incoscienti. Poi baciate Bertolli. Il Climate Change è una fantasia, dai, vi ho solo fatto bu’!!!
    (Paolo Barnard, “Dalla Siria al mercato dell’olio di oliva: Climate Change, guardate 50 anni avanti”, dal blog di Barnard del 10 febbraio 2017).

    Il crollo della produzione di olio extra vergine in Europa è solo il campanello. Fattela addosso, tuo figlio è nella merda, come si dice in francese. Il mio sforzo, piuttosto disperato nel paese che vede meno che a 7 cm dal suo naso sempre e su tutto, è di farvi capire ciò che tuo figlio/a, oggi di 2 anni, dovranno affrontare quando avranno la tua età. Sono capaci tutti di scrivere le news di oggi. Ci vuole un certo cervello per offrirvi le news che faranno mettere le mani sulla faccia ai vostri bimbi fra 30 anni, ma offrirvele oggi (vedi pezzo precedente su Agorastrea, anche se in altro ambito). E’ ciò che sto facendo da due anni, in un paese dove i lettori hanno una visione di 7 cm dal loro naso. Una siccità senza precedenti nella storia della Siria fu l’innesco della guerra civile là. Orde di disperati fuggirono nel 2006 dalle campagne verso le città perché morivano di fame. Il marasma di povertà, disperazione, orrore governativo di quella bestia umana di Assad, pari solo all’orrore delle bestie umane della “opposizione moderata di Hollywood”, e le tensioni derivanti, è precisamente ciò che oggi vedete come guerra civile in Siria.

  • Caccia al nero, polizia killer: prove generali per Usa 2016

    Scritto il 06/5/15 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Stava durando a lungo, il silenzio dei media nostrani dagli Usa, che di solito riportano ogni piccolo soffio dal loro baricentro americano. Eppure hanno bucato per giorni una notizia di gran peso: un’importante città statunitense, Baltimora, vive ore di tensione drammatica dopo l’ennesimo episodio di violenza poliziesca, l’assassinio di Freddy Gray, un 25enne troppo poco bianco per gli standard della polizia d’oltreoceano. I nostri media, che cercano brutalità poliziesche solo ad Est, provano a non accorgersi di quel che accade a Ovest, né mettono in primo piano le esplosioni di rabbia che una folla inferocita di baltimoriani sta rivolgendo a ogni livello di autorità in risposta all’ennesima goccia di sangue che fa traboccare il vaso afroamericano. “La Repubblica” on line, per esempio, ha ammortizzato la notizia puntando tutto sul buffo video che mostra un’energica Big Mama prendere a ceffoni il figlio adolescente che partecipa alla sedizione. Il risultato è che il lettore sa poco della sedizione e si immerge nella melassa della “nuova icona social della rivolta”, senza nemmeno accedere allo hashtag autenticamente social del momento, #BaltimoreRiots.
    A volerle vedere, c’erano ben altre potenti icone. Come ci fa notare il blogger Zeroconsensus, i manifestanti si sono impadroniti perfino del municipio cittadino, ammainando la bandiera americana con i suoi tipici colori blu e rosso per issarne una dove i colori sono sostituiti dal nero. Provo a immaginare una scena simile in una metropoli russa, e immagino quale sarebbe stata la copertura dei nostri media. Secondo una recente statistica, oltre tremila persone sono state uccise dalla polizia statunitense a partire da maggio 2013, con una tendenza all’aumento degli episodi, punta dell’iceberg di un sistema vessatorio diffuso. Per rendersi conto di quanto questo sistema sia abnorme, si consideri che in Regno Unito nel 2013 la polizia non ha ucciso nessuno in un conflitto a fuoco, nel 2012 solo un individuo. “The Economist” calcola grosso modo che un cittadino britannico ha cento volte meno probabilità di un cittadino americano di essere ammazzato da un poliziotto. I dati europei non si discostano di molto. Questo tremendo calcolo di probabilità in Usa ha un’ulteriore distorsione: gli afroamericani sono poco meno del 13 per cento della popolazione, ma sono il 37 per cento delle vittime di uccisioni “legalmente giustificate”.
    Finisce qui? Macché. Frida Ghitis, in un editoriale sul sito della “Cnn”, spiega che il concetto di uccisioni “legalmente giustificate” contiene un’enorme rimozione, per la quale nessuna agenzia federale vuole fare uno straccio di statistica, ossia: quante sono le uccisioni che non sono legalmente giustificate? L’Fbi compila soltanto le statistiche che le inviano volontariamente appena 750 su 17.000 agenzie incaricate di far rispettare la legge. E le altre 16.250 agenzie che volontariamente non inviano nulla? Gli studiosi di criminologia analizzano in dettaglio queste discrepanze, sollevando di qualche migliaio il già spaventoso numero dei morti. In pratica, anche il “Washington Post” ha descritto una nuova strana forma di segreto di Stato: il non voler sapere. Che poi significa il non voler far sapere un ritratto spiacevole del potere in America. Ecco perché nelle dure manifestazioni di piazza sono tanti i giovani afroamericani che tengono un cartello: “Am I The Next?” (sono io il prossimo?).
    A Baltimora non bastano più nemmeno gli agenti in tenuta antisommossa. Bande numerose – composte sia da adolescenti sia da rivoltosi adulti – lanciano ogni tipo di oggetto anche sulla nuova generazione di agenti vestiti come Robocop, mentre rifiutano ogni tardiva offerta di dialogo. La polizia fa largo uso di lacrimogeni e proiettili di gomma, con centinaia di arresti e coprifuoco notturno (per i minorenni addirittura anche diurno), intanto che i grossi ipermercati e anche la University of Maryland serrano i loro cancelli. Eppure, non parliamo certo di una città degradata come Detroit, né di un ghetto di New Orleans, ma di una metropoli fra le più prospere degli Usa. Il biotech e l’elettronica militare a Baltimora hanno a disposizione catene brevettuali e centri di ricerca che assicurano lavoro e investimenti di qualità, all’avanguardia nel mondo. Cosa dimostra questo fatto? Dimostra che il caos può accadere ovunque negli Stati Uniti, data la postura della polizia americana, ovunque la stessa, ovunque con il grilletto facile, tanto nelle città scoppiate quanto nelle città in boom.
    Anche le autorità si sono accorte che la tenuta dell’ordine pubblico non regge alle condizioni attuali. Né tanto meno reggerebbe di fronte a un peggioramento dell’economia, ormai nell’ordine delle cose nonostante la vuota retorica sulla ripresa Usa. In risposta, però, il potere non sceglie “più democrazia”, ma “più tecnologia”, più Swat, più Robocop. Cioè una polizia più arcigna, invadente, militarizzata, meno capace di intelligence sociale, e perciò più pericolosa. Durante l’esercitazione militare denominata Jade Helm 15 – a partire da metà luglio fino a metà settembre 2015 – agenti militari si mescoleranno alla popolazione civile e potranno identificare eventuali “sacche ostili”. Come riassume “L’Antidiplomatico”, la cosa non è rassicurante: «Nonostante le smentite ufficiali dell’esercito che esclude l’introduzione della legge marziale negli Usa, esistono dei manuali operativi in proposito e uno è stato pubblicato nel 2006, utilizzato per un corso presso la scuola di polizia militare a Fort McClellan che fornisce le direttive per contrastare eventuali insurrezioni civili». Intanto a Baltimora sono stati inviati migliaia di soldati della Guardia Nazionale, preceduti da un’avanguardia di decine di automezzi Humvees blindati.
    Nei due anni finali del mandato del primo presidente nero, Barack Obama, la questione afroamericana ha tutta l’aria di dover pesare costantemente nella nuova campagna elettorale, ormai iniziata. Il clima tuttavia non è quello di una nuova stagione dei diritti civili, né a Baltimora né altrove negli Usa. Il sistema washingtoniano sembra pronto a usare questo clima incandescente per assecondare ogni nuovo salto verso l’aumento dei mezzi di sorveglianza-controllo-repressione, in coerenza con tutta la linea politica usata a partire dai mega-attentati dell’11 settembre 2001. Lo Usa Patriot Act, le nuove leggi liberticide, e poi il sistema totalitario di sorveglianza rivelato dallo scandalo Datagate erano appena i primi assaggi di una nuova strategia della tensione.
    (Pino Cabras, “Caos razziale a Baltimora, prove generali per Usa 2016”, da “Megachip” del 29 aprile 2015).

    Stava durando a lungo, il silenzio dei media nostrani dagli Usa, che di solito riportano ogni piccolo soffio dal loro baricentro americano. Eppure hanno bucato per giorni una notizia di gran peso: un’importante città statunitense, Baltimora, vive ore di tensione drammatica dopo l’ennesimo episodio di violenza poliziesca, l’assassinio di Freddy Gray, un 25enne troppo poco bianco per gli standard della polizia d’oltreoceano. I nostri media, che cercano brutalità poliziesche solo ad Est, provano a non accorgersi di quel che accade a Ovest, né mettono in primo piano le esplosioni di rabbia che una folla inferocita di baltimoriani sta rivolgendo a ogni livello di autorità in risposta all’ennesima goccia di sangue che fa traboccare il vaso afroamericano. “La Repubblica” on line, per esempio, ha ammortizzato la notizia puntando tutto sul buffo video che mostra un’energica Big Mama prendere a ceffoni il figlio adolescente che partecipa alla sedizione. Il risultato è che il lettore sa poco della sedizione e si immerge nella melassa della “nuova icona social della rivolta”, senza nemmeno accedere allo hashtag autenticamente social del momento, #BaltimoreRiots.

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