Archivio del Tag ‘Coalizione Sociale’
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Cofferati: all’Italia serve una sinistra, non il Pd di Renzi
Renzi, fin dal suo insediamento, ha teorizzato l’inutilità del confronto con i corpi intermedi decidendo di non confrontarsi con sindacati, associazioni di categoria, cittadini organizzati e imprese. Per ultimo, il governo in maniera testarda si è rifiutato di ascoltare le piazze in mobilitazione contro la riforma della scuola. Siamo di fronte ad un decisionismo non condivisibile, che passa per una relazione diretta con una indistinta opinione pubblica dove non c’è rispetto per i cittadini. Così si espone il paese a rischi di conflitti rilevanti, quindi l’autoritarismo non porta vantaggi a nessuno, nemmeno a Renzi. Da mesi ho espresso pubblicamente dubbi sulla linea del Pd, ad esempio sul Jobs Act. E quando, oltre ai dissapori sulle scelte economiche e sociali, nel partito ci si rifiuta di discutere anche di legalità – valore fondativo della carta costituente del Pd – sono arrivato alla sofferta decisione di rompere. Definitivamente. In Liguria, durante le primarie, si sono consumati brogli conclamati, tanto che è intervenuta addirittura la magistratura. E invece c’è stata la testarda volontà di rimuovere il tema e di non affrontarlo, nonostante le sollecitazioni ripetute. La legalità dovrebbe essere un valore di qualsiasi forza politica. Il Pd ha cambiato la sua natura.Io responsabile per la vittoria di Toti? È una sciocchezza clamorosa. Una penosa giustificazione di chi non ha più il consenso dei cittadini liguri. Ad analizzare i flussi elettorali si vede chiaramente che Paita ha perso le elezioni perché ha incarnato la continuità con Burlando. Nessun cambiamento rispetto ad una giunta che è stata bocciata dai cittadini. Inoltre Pastorino ha sottratto voti all’astensionismo e al M5S. Senza la sua candidatura, il movimento di Grillo avrebbe superato Paita, che sarebbe arrivata terza. Il Pd non è più il partito che abbiamo fondato, ha rinunciato a quei valori perdendo la sua configurazione di sinistra. Le torsioni neocentriste del governo Renzi sono numerose e su più campi. Prima accennavo al Jobs Act: come si può sostenere che togliere diritti e protezione sociale ai lavoratori sia un’azione di sinistra? Il mercato del lavoro è diviso tra garantiti e non garantiti, tra persone che hanno alcune tutele e un’altra area che ne ha meno o niente affatto. Un’azione di sinistra è estendere a tutti gli stessi diritti, non toglierli in maniera generalizzata per parificare a ribasso.In un paese come il nostro, credo sia importante avere delle forze politiche di sinistra. Il Pd non è in grado di assolvere a questa funzione. Per questo, ritengo centrale mettere in campo una discussione sui valori, il punto dal quale partire per dare un’indicazione e creare coinvolgimento e partecipazione popolare. Se vediamo ai numeri sull’astensionismo, molte, troppe, sono le persone disilluse dall’attuale quadro politico. Non si sentono rappresentate da nessuno. Chi darà loro i valori nei quali identificarsi e per i quali tornare a votare, avrà svolto una funzione utile per la democrazia e avrà realizzato un’area di consenso importante. Vogliamo riunificare persone diverse – e con storie diverse – che sentono il bisogno di appartenenza e di identità a quei valori condivisi. Cosa vuol dire essere di sinistra? Noi indichiamo quali siano le politiche coerenti con quei valori e intorno ad essi cominciamo a creare delle aggregazioni territoriali che permettano il confronto e la ricerca. Con pazienza. Senza far precipitare la discussione nel “contenitore” politico. Insisto: capiamo prima i valori di una moderna sinistra di governo, al passo coi tempi.Rovesciamo l’approccio di intenti. Discutere ora di partito significa mettere assieme frammenti o piccoli partiti già esistenti. Noi dobbiamo avere un’ambizione molto più alta e imboccare un percorso oggettivamente più difficile. Lo spazio c’è, ed è ampio. Pensiamo al risultato dell’Emilia-Romagna, dove alle regionali ha votato soltanto il 37% degli aventi diritto. Fino a qualche anno fa, si arrivava alla soglia del 90. Bisogna evitare l’errore della mera sommatoria tra i soggetti a sinistra del Pd e ripartire da una serie di temi: beni comuni, il lavoro, la Rete. Nel mentre bisogna costruire una classe dirigente che non può essere connotata e condizionata dalla mia generazione, che ha la sola funzione di stimolare questa ricerca e crescita, non di proporsi come dirigente di tale processo. Avvieremo una discussione senza la presunzione di assegnarsi o di autoassegnarsi funzioni di leadership che personalmente non ho mai avuto, ma che in questa fase secondo me non dovrebbe avere nessuno. Per il giurista Rodotà la sinistra deve ripartire dalle realtà associative, i partiti esistenti sono delle “zavorre”: concordo sull’importanza di relazionarsi col mondo associativo e le realtà territoriali. È un lavoro necessario. Tale posizione non è alternativa né in contrasto con la discussione che bisogna aprire sui valori identitari della sinistra.La “coalizione sociale” di Landini? Rispetto al nostro, sono due progetti distinti che devono avere un rapporto stretto e dialettico. E camminare insieme, perché abbiamo un tessuto ricchissimo, a volte addirittura fondamentale, di associazionismo che non ha una rappresentanza politica. Landini come leader della nuova sinistra? La cosa è molto più complessa ed eviterei facili semplificazioni o scorciatoie sul leader. I tempi saranno oggettivamente lunghi e non bisogna farsi condizionare dalle scadenze elettorali. Poi di volta in volta e di luogo in luogo si ragionerà sul da farsi. Un’intesa con il M5S in chiave antirenziana? Grillo ha deciso purtroppo di auto-isolarsi. Nel Parlamento Europeo, dove siedo, non essendoci la dinamica di governo c’è una collaborazione su alcune battaglie con gli esponenti grillini; in Italia, Grillo ha deciso di stare all’opposizione, da solo, e senza interagire con nessuno. Il M5S ha sottratto molti voti all’elettorato tradizionale della sinistra; speriamo di creare un progetto tale, e innovativo, da poterlo riconquistare. Appelli a Cuperlo e Bersani perché trovino il coraggio di uscire dal Pd? Non faccio appelli, ma una costatazione: se una opposizione interna a un partito, oltre ad non ottenere risultati nella linea politica, non ha nemmeno il rispetto del gruppo dirigente, si va per forza di cose ad esaurire, con una perdita di credibilità delle persone che l’hanno esercitata.(Sergio Cofferati, dichiarazioni rilasciate a Giacomo Russo Spena per l’intervista “Il Pd ha cambiato natura, ripartiamo dai valori della sinistra”, pubblicata su “Micromega” il 3 luglio 2015).Renzi, fin dal suo insediamento, ha teorizzato l’inutilità del confronto con i corpi intermedi decidendo di non confrontarsi con sindacati, associazioni di categoria, cittadini organizzati e imprese. Per ultimo, il governo in maniera testarda si è rifiutato di ascoltare le piazze in mobilitazione contro la riforma della scuola. Siamo di fronte ad un decisionismo non condivisibile, che passa per una relazione diretta con una indistinta opinione pubblica dove non c’è rispetto per i cittadini. Così si espone il paese a rischi di conflitti rilevanti, quindi l’autoritarismo non porta vantaggi a nessuno, nemmeno a Renzi. Da mesi ho espresso pubblicamente dubbi sulla linea del Pd, ad esempio sul Jobs Act. E quando, oltre ai dissapori sulle scelte economiche e sociali, nel partito ci si rifiuta di discutere anche di legalità – valore fondativo della carta costituente del Pd – sono arrivato alla sofferta decisione di rompere. Definitivamente. In Liguria, durante le primarie, si sono consumati brogli conclamati, tanto che è intervenuta addirittura la magistratura. E invece c’è stata la testarda volontà di rimuovere il tema e di non affrontarlo, nonostante le sollecitazioni ripetute. La legalità dovrebbe essere un valore di qualsiasi forza politica. Il Pd ha cambiato la sua natura.
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Precari, classe esplosiva: spettro che si aggira per l’Europa
Uno spettro si aggira per l’Europa, quello del precariato: è clamoroso, sostiene Domenico Tambasco, che a mobilitarsi contro la propria cassa di previdenza siano addirittura gli avvocati, costretti a minimi contribuitivi che prescindono dai loro redditi. Difficoltà inedite, per una professione tradizionalmente prestigiosa, che ora denuncia «gravi forme di sfruttamento» veicolate «dalla finzione della partita Iva». E un clamoroso ribaltamento della tradizionale equazione democratica: non più “lavorare per avere reddito”, ma “avere reddito per poter lavorare”. Attenzione: «I giovani avvocati che aspettano sulle scale dei tribunali di Napoli o Milano i migranti che hanno bisogno di rinnovare il permesso di soggiorno, e guadagnano quindici euro per ogni pratica, non vivono una condizione molto diversa dall’operaio in cassa integrazione oppure dal muratore disoccupato che lavora come piastrellista o falegname freelance». Per Tambasco, ora il re è nudo: la povertà minaccia anche professioni ieri rappresentate come “caste”, triturate anch’esse da un’élite che oggi «accumula, con voracità sempre maggiore, immani guadagni e privilegi». La maggioranza, al contrario, «non può che assistere con sempre maggiore frustrazione all’aumento dei debiti nel deserto dei diritti».I giovani avvocati e i giornalisti freelance non fanno parte dello stesso ceto dei titolari degli studi e dei loro direttori, ma ne sono gli schiavi. Lungi dal limitarsi a rivendicazioni corporative, scrive Tambasco su Megachip, la mobilitazione degli avvocati ha coinvolto anche giornalisti, parafarmacisti, architetti, ingegneri, segretari comunali e provinciali, geometri e archivisti. «Si tratta di una prima forma di mobilitazione di quello che è stato definito il “Quinto Stato”», ovvero «una mescolanza di situazioni sociali opposte e di culture del lavoro spesso divergenti, accomunate tuttavia dal fatto di rappresentare forme lavorative apparentemente “indipendenti”», eppure «ugualmente colpite dal tarlo della precarietà e della quasi totale assenza di strumenti di protezione sociale». Calano le tutele e le garanzie, e in più aumentano gli oneri contributivi verso le proprie casse previdenziali, inclusa l’Inps. Guai seri, poi, in caso di maternità, infortunio e disoccupazione, «con la prospettiva di pensioni che, se conosciute nel loro reale e miserrimo importo, porterebbero ad un vero e proprio “sommovimento sociale”, come dichiarò a suo tempo l’ex presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua».Dal precariato universale che sta dilagando, continua Tambasco, sembra emergere il prototipo di quella che Guy Standing ha definito la “classe esplosiva”, il precariato: è proprio lo strato cognitivo del precariato a dover prendere l’iniziativa. Si tratta di «persone istruite, precipitate in un’esistenza precaria dopo che era stato loro promesso l’esatto opposto: una brillante carriera fatta di crescita personale e soddisfazioni». In prima linea, i giovani lavoratori subordinati, «figli delle famiglie operaie vissute nel sogno della stabilità e della mobilità sociale» e oggi affogati nel mare di una precarietà «vissuta come deprivazione», relativa «ad un passato reale o immaginario». E’ dunque la precarietà, sintetizza Tambasco, «il codice genetico di queste nascenti “coalizioni sociali”». E’ il cardine attorno a cui ruota l’azione dei lavoratori precari da sempre o precipitati nella precarietà dalle “riforme” come il Jobs Act, che fanno esplodere la flessibilità, cioè il “lato oscuro” del neoliberismo globalizzatore, sfruttatore, delocalizzatore. Conseguenze: mercificazione del lavoro, erosione dei salari, insicurezza sociale ed esistenziale.«L’azione di contrasto di questi movimenti – scrive Tambasco – sembra indirizzarsi verso la critica all’ormai invalsa teoria mercatista del lavoro come bene liberamente scambiabile sul mercato indipendentemente dal “valore” dell’uomo che lo presta, all’assioma del lavoro-merce il cui prezzo e la cui quantità è liberamente determinata dalla legge della domanda e dell’offerta cui seguirebbe, conseguentemente, la libera fluttuazione del salario rimessa alla contrattazione individuale, la libera licenziabilità ai fini dell’adeguamento della “forza-lavoro” alle contingenti esigenze del mercato e la libera gestione del “capitale-umano”, demansionabile ad libitum in ragione di semplici “modifiche degli assetti organizzativi aziendali”». Una critica «espressa nella severa denuncia del “lavoro povero”, ossimoro che evidenzia un altro aspetto della precarietà, cui si rivolgono questi movimenti nella loro richiesta di retribuzioni “degne”, adeguate ad un’esistenza libera e dignitosa», non certo costretta ad “avere reddito per lavorare”. Milioni di lavoratori sono finiti nella “società del rischio”, espressione che sintetizza «l’impossibilità di programmare la propria esistenza individuale e familiare a causa dell’instabilità del presente». Come nel medioevo, «ogni minimo imprevisto può ridurre chiunque in rovina». La mobilità sociale? «Orientata dall’alto verso il basso».Decenni orsono, Karl Polanyi prefigurò la nascita di contromovimenti sociali orientati al ripristino dei meccanismi di protezione sociale «dell’uomo in quanto lavoratore, in quanto individuo sociale», collocato «in un ambiente dalle risorse esauribili». Da queste istanze, conclude Tambasco, derivano le nuove richieste di “correttivi solidaristici al sistema contributivo”, di “pensione minima di cittadinanza”, di “estensione universale del welfare” per malattia, maternità, ammortizzatori sociali. E poi “reddito di base”, aliquote contributive sostenibili, restituzione del valore al lavoro. «Quello che sta accadendo in questi mesi in Italia, tra sorrisi sprezzanti, post sarcastici e tweet sardonici, è il fisiologico accumulo di pressioni e spinte sociali provenienti dalla frontiera su cui si sta combattendo la “guerra del lavoro”: è il preannuncio della possibile esplosione, nella generale indifferenza, della “classe esplosiva”».Uno spettro si aggira per l’Europa, quello del precariato: è clamoroso, sostiene Domenico Tambasco, che a mobilitarsi contro la propria cassa di previdenza siano addirittura gli avvocati, costretti a minimi contribuitivi che prescindono dai loro redditi. Difficoltà inedite, per una professione tradizionalmente prestigiosa, che ora denuncia «gravi forme di sfruttamento» veicolate «dalla finzione della partita Iva». E un clamoroso ribaltamento della tradizionale equazione democratica: non più “lavorare per avere reddito”, ma “avere reddito per poter lavorare”. Attenzione: «I giovani avvocati che aspettano sulle scale dei tribunali di Napoli o Milano i migranti che hanno bisogno di rinnovare il permesso di soggiorno, e guadagnano quindici euro per ogni pratica, non vivono una condizione molto diversa dall’operaio in cassa integrazione oppure dal muratore disoccupato che lavora come piastrellista o falegname freelance». Per Tambasco, ora il re è nudo: la povertà minaccia anche professioni ieri rappresentate come “caste”, triturate anch’esse da un’élite che oggi «accumula, con voracità sempre maggiore, immani guadagni e privilegi». La maggioranza, al contrario, «non può che assistere con sempre maggiore frustrazione all’aumento dei debiti nel deserto dei diritti».
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Questa economia uccide: Landini la pensa come Bergoglio
Sono contento di sapere che una parte del sindacato, mi riferisco ovviamente a quella che fa capo a Maurizio Landini, non è complice e subalterna rispetto alle élite neoliberiste continentali che da anni violentano i diritti e comprimono i salari. Quando, tra qualche anno, cercheremo di individuare le cause e i responsabili del declino italiano, non potremo esimerci dal puntare il dito anche contro il mondo sindacale, ora rappresentato da uomini e donne che sembrano più interessati a garantirsi un futuro in Parlamento che a difendere gli interessi degli associati. Pensate per un attimo al ruolo svolto da Susanna Camusso nel puntellare un sistema di potere che esprimeva un premier come Mario Monti. Di fronte ad un attacco di rara violenza contro le classi lavoratrici, la Cgil di fatto non fiatava, fiancheggiando acriticamente il Pd di Bersani, a sua volta evidentemente eterodiretto da Giorgio Napolitano, massone oligarchico già affiliato presso la Ur-Lodge “Three Eyes” di Henry Kissinger e David Rockefeller.Tale perverso intreccio contribuì a distruggere la vita di migliaia di esodati e precari, falcidiati dalle politiche promosse da un governo sadico, paradossalmente spalleggiato da chi, come Camusso, avrebbe dovuto difendere in automatico i contraenti più deboli. Landini, a differenza di Camusso e Bersani, sembra un uomo perbene, autenticamente interessato a migliorare la vita di chi lavora anche attraverso la legittima riscoperta della lotta sindacale. Certo, il leader della Fiom non padroneggia le dinamiche e non conosce in profondità i veri protagonisti del progetto neo-oligarchico in atto, guidato con maestria e cattiveria da massoni contro-iniziati del calibro di Mario Draghi e Wolfang Schaeuble. Landini però è in buona fede, e chi è in buona fede può capire domani quello che ancora non gli è chiaro oggi. Per questo, al netto di una serie di divergenze programmatiche non trascurabili, saluto con soddisfazione la nascita della “coalizione sociale” promossa da Landini, nata per strappare la sinistra italiana dal controllo di un manipolo di nazisti tecnocratici bravi ed efficaci nel sostituire il mito della purezza della razza con quello della purezza del bilancio.E’ giusto non esasperare gli animi e non enfatizzare inutilmente i toni, senza però negare o ammorbidire una realtà oggettivamente molto grave. Questo non possiamo né vogliamo farlo. Ho cominciato a sfogliare un libro regalatomi dall’amico GianMario Ferramonti e titolato “Papa Francesco, Questa Economia uccide”, scritto da Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi. Mi ha subito colpito il verbo scelto dal Pontefice per rappresentare gli effetti di un indirizzo politico ora tristemente maggioritario dal Portogallo alla Lettonia: “uccidere”. Papa Francesco non dice questa economia “impoverisce”, questa economia “è ingiusta” o questa economia “aumenta le diseguaglianze”. Il Santo Padre, con apostolica franchezza, sceglie di dire la verità anche a costo di provocare la reazione stizzita dei moderni farisei, posti a protezione di un Tempio malefico che assume al giorno d’oggi le fattezze dell’Eurotower. Per conoscere volti e nomi di chi muove dolosamente i fili di questa economia che intenzionalmente uccide basta leggere il libro “Massoni” scritto da Gioele Magaldi.Strana la vita. Un tempo i seguaci del Vaticano erano prevalentemente bollati, nella migliore delle ipotesi, come sicuri reazionari e nostalgici passatisti. Oggi chi si azzarda a sposare e a ripetere i concetti recentemente espressi da Bergoglio, tra l’altro chiaramente ispirati da una genuina interpretazione del Vangelo, rischia di guadagnarsi la patente di pericoloso sovversivo nonché nemico del giusto ordine costituito. In conclusione, anche grazie all’instancabile lavoro intellettuale compiuto con zelo e passione da tanti cittadini ora uniti sotto le bandiere del Movimento Roosevelt, qualcosa finalmente si muove. Se fino ad un paio di anni fa i Vescovi, per bocca di uomini come Bagnasco e Bertone, benedicevano la mano violenta del professore di Varese, oggi Papa Francesco inverte la rotta; se, fino ad un paio di anni fa, la Cgil di Camusso teneva fermi i lavoratori mentre Monti, Bersani e Fornero sferravano colpi tremendi contro i più deboli, oggi Maurizio Landini apre una breccia. Questo a dimostrazione che non tutto è inutile. Gli uomini di buona volontà possono cambiare il corso della Storia. E noi, nel nostro piccolo, lo stiamo già facendo.(Francesco Maria Toscano, “Anche Landini sa che questa economia uccide”, dal blog “Il Moralista” del 29 marzo 2015).Sono contento di sapere che una parte del sindacato, mi riferisco ovviamente a quella che fa capo a Maurizio Landini, non è complice e subalterna rispetto alle élite neoliberiste continentali che da anni violentano i diritti e comprimono i salari. Quando, tra qualche anno, cercheremo di individuare le cause e i responsabili del declino italiano, non potremo esimerci dal puntare il dito anche contro il mondo sindacale, ora rappresentato da uomini e donne che sembrano più interessati a garantirsi un futuro in Parlamento che a difendere gli interessi degli associati. Pensate per un attimo al ruolo svolto da Susanna Camusso nel puntellare un sistema di potere che esprimeva un premier come Mario Monti. Di fronte ad un attacco di rara violenza contro le classi lavoratrici, la Cgil di fatto non fiatava, fiancheggiando acriticamente il Pd di Bersani, a sua volta evidentemente eterodiretto da Giorgio Napolitano, massone oligarchico già affiliato presso la Ur-Lodge “Three Eyes” di Henry Kissinger e David Rockefeller.