Archivio del Tag ‘Concilio di Trento’
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Meglio gay che sovranisti: così Bergoglio “riscrive” la Bibbia
Qual era il peccato di Sodoma? Per quale motivo il Dio dell’Antico Testamento fece piovere «zolfo e fuoco» su di essa e la distrusse «con tutti gli abitanti e la vegetazione del suolo»? Chi pensa che il grande vizio dei sodomiti fosse la sodomia, non ha capito nulla. Perché è vero che «gli uomini di Sodoma erano perversi e peccavano molto contro il Signore» (Genesi 13:13), però la loro perversione, scopriamo adesso grazie ai teologi di Jorge Mario Bergoglio, era la difesa dei confini, il rifiuto di accogliere gli immigrati. «In una parola, quello che oggi va sotto il nome di sovranismo», scrive Fausto Carioti su “Libero”. «Contrordine fedeli, dunque». “Bella ciao” cantata in chiesa e l’anatema del vescovo di Mazara secondo cui «chi è con Salvini non può dirsi cristiano» sono fenomeni superficiali. «La rivoluzione in atto nella Chiesa è assai più profonda, punta a dare ai cristiani una nuova dottrina», scrive Carioti. «Se andrà in porto o meno lo vedremo, ma il tentativo è smaccato e lo conferma “Che cosa è l’uomo?”, ambiziosissimo libro di 330 pagine» appena stampato dalla Libreria editrice vaticana e scritto dalla Pontificia Commissione Biblica «su richiesta del Papa in persona», ha fatto sapere il gesuita Pietro Bovati, segretario della stessa commissione e allievo di Carlo Maria Martini.Gli autori, spiega “Libero”, presentano il volume come «un’interpretazione fedele dell’intera Sacra Scrittura riguardo al tema antropologico», ma così dicendo peccano di falsa modestia. In quelle pagine, scrive Carioti, c’è il tentativo di adeguare ai tempi nuovi la Bibbia e con essa l’intera Chiesa, «relativizzando insegnamenti che per due millenni sono sembrati assoluti ad apostoli, Papi e fior di teologi, e spostando l’attenzione su altri “gravissimi” scandali, tipici della morale bergogliana». Proprio nelle pagine dedicate a Sodoma questo disegno modernista è più evidente. «Qual è stato in realtà il peccato di Sodoma, meritevole di una così esemplare punizione?», chiedono i dotti della commissione pontificia. Subito assicurano che esso non era «la trasgressione sessuale praticata nei confronti di persone dello stesso sesso», nonostante l’abitudine della casa fosse quella. Del resto, spiegano, «non troviamo nelle tradizioni narrative della Bibbia indicazioni concernenti pratiche omosessuali, né come comportamenti da biasimare, né come atteggiamenti tollerati o accolti con favore». Secondo Carioti, si ignora quindi il passo del Levitico in cui si legge: «Non giacerai con un maschio come si fa con una donna, è una cosa abominevole», e si prevede la condanna «a morte» per i trasgressori.Però gli studiosi di Bergoglio sembrano considerarlo un ammonimento secondario: «Non si ha notizia che tale sanzione sia mai stata applicata», affermano. «Possiamo ritenere che la normativa del Levitico intendesse tutelare e promuovere un esercizio della sessualità aperto alla procreazione, in conformità con il comando del Creatore agli esseri umani». Poche parole, sintetizza Carioti, per distruggere due millenni di certezze. «Sulla gravità dell’atto omosessuale si erano espressi, tra i tanti, l’apostolo Paolo, escludendo i sodomiti dal novero di coloro che erediteranno il regno dei cieli, il Concilio di Trento e un certo Giovanni Paolo II, che nell’enciclica Veritatis Splendor inserì la sodomia tra gli atti “irrimediabilmente cattivi”». Le cose, però, devono essere cambiate. La vera offesa degli abitanti di Sodoma agli occhi di Dio, ci informano i biblisti bergogliani nel loro libro, fu infatti avere rifiutato di accogliere i due angeli inviati dal Signore sotto forma di viandanti stranieri. Quel racconto, scrivono, «illustra un peccato che consiste nella mancanza di ospitalità, con ostilità e violenza nei confronti del forestiero, comportamento giudicato gravissimo e meritevole perciò di essere sanzionato con la massima severità».Il rifiuto del diverso, dello straniero bisognoso e indifeso, «è principio di disgregazione sociale», secondo gli autori vaticani, «avendo in se stesso una violenza mortifera che merita una pena adeguata». Sodoma è trasformata così in «un caso di porti chiusi ante litteram», commenta il portale cattolico “La Bussola”, il primo a denunciare l’operazione. E «l’ossessione immigrazionista» della Chiesa bergogliana «diventa criterio esegetico del testo sacro». In questo modo, chiosa Carioti, il cerchio si chiude, «e noialtri peccatori sappiamo qualcosa in più: la Bibbia non condanna la sodomia, però ritiene la distruzione di una città pena consona per chi non apre le porte agli immigrati. Salvini e quel 31% di italiani – tantissimi dei quali cattolici – che stanno con lui sono avvisati, saranno trattati come sodomiti». Per sdoganare teologicamente l’omosessualità, ferocemente discriminata per secoli, c’è dunque bisogno di creare un nemico alternativo? Peraltro, svariati biblisti concordano su un punto: insieme alle altre tre città della Pentapoli nella regione del Mar Morto, Sodoma e Gomorra furono spietatamente punite da Yahwè per una colpa essenzialmente politica: l’aver disobbedito al capo supremo. In cosa?«E’ evidente che Sodoma, Gomorra e le altre città della regione furono colpite in modo devastante per una ragione eminentemente politica: stavano per cambiare alleanze, abbandonando quella con Yahwè». Lo sostiene Mauro Biglino, autore di bestseller che propongono una sconcertante rilettura – letterale – dell’Antico Testamento, basata su traduzioni non teologiche, ma testuali. Premessa: «Il personaggio Yawhè non è in alcun modo un Dio: non è onnipotente, né onnisciente, né immortale. E’ solo uno dei tanti Elohim di cui la Bibbia parla, come Kamosh e Milkom, che guidavano altre tribù ebraiche in concorrenza con i seguaci di Yahwè, gli israeliti». La Bibbia è piena di guerre tra tribù, con Yahwè da una parte, opposto ai suoi “concorrenti”. Chi erano gli Elohim, scambiati per divinità? «Esattamente non lo sappiamo», ammette Biglino: «Nessuno conosce il significato di quella parola, poi tradotta con il termine “Dio” in epoca successiva, quando nacque la religione». In origine, la Bibbia – in cui sono assenti i concetti di divinità, anima e spiritualità – prefigura una situazione di pluralismo: in un passo, agli Elohim il loro capo (Elyon) ricorda che fanno male a essere prepotenti con gli umani, perché un giorno moriranno, come loro.Quando gli Elohim smisero di essere visibili, si affermò una sorta politeismo enoteistico: gli dèi sono tanti – scriverà secoli dopo lo stesso San Paolo – ma noi ne seguiamo uno solo. Il problema? L’istituzione religiosa ignora deliberamente il significato letterale del testo biblico, accusa Biglino, deformandolo all’occorrenza per far dire alla Bibbia quello che la politica del momento suggerisce. Sodoma? Fu distrutta con “l’arma del terrore” scagliata dal cielo, perché stava tradendo l’alleanza militare con Yahwè. I testi mesopotamici descrivono gli effetti della micidiale “arma del terrore”, una sorta di “nube nucleare” che fece strage fin nella valle dell’Eufrate. I testi indiani parlano di “tejas-astras” armi a energia diretta. Gli studiosi della paleo-astronautica sostengono le divinità antiche altro non fossero che gli antenati degli odierni extraterrestri. Il vescovo cristiano Eusebio di Cesarea dà credito al fenicio Sanchuniaton, vissuto nel 1200 avanti Cristo, secondo cui la casta sacerdotale fabbricò le religioni per mascherare la vera idenità di quelle “divinità” dispotiche e pericolose. La stessa Bibbia è stata costantemente manomessa fino all’epoca medievale di Carlomagno, piegando i versetti antichi alle più disparate interpretazioni “politiche”. Singolare che tuttora, nel 2019, si ricorra al racconto di Sodoma e Gomorra (privo di fonti, come tutto l’Antico Testamento) per intervenire in modo nettissimo nella ordinaria politica italiana.Qual era il peccato di Sodoma? Per quale motivo il Dio dell’Antico Testamento fece piovere «zolfo e fuoco» su di essa e la distrusse «con tutti gli abitanti e la vegetazione del suolo»? Chi pensa che il grande vizio dei sodomiti fosse la sodomia, non ha capito nulla. Perché è vero che «gli uomini di Sodoma erano perversi e peccavano molto contro il Signore» (Genesi 13:13), però la loro perversione, scopriamo adesso grazie ai teologi di Jorge Mario Bergoglio, era la difesa dei confini, il rifiuto di accogliere gli immigrati. «In una parola, quello che oggi va sotto il nome di sovranismo», scrive Fausto Carioti su “Libero“. «Contrordine fedeli, dunque». “Bella ciao” cantata in chiesa e l’anatema del vescovo di Mazara secondo cui «chi è con Salvini non può dirsi cristiano» sono fenomeni superficiali. «La rivoluzione in atto nella Chiesa è assai più profonda, punta a dare ai cristiani una nuova dottrina», scrive Carioti. «Se andrà in porto o meno lo vedremo, ma il tentativo è smaccato e lo conferma “Che cosa è l’uomo?”, ambiziosissimo libro di 330 pagine» appena stampato dalla Libreria editrice vaticana e scritto dalla Pontificia Commissione Biblica «su richiesta del Papa in persona», ha fatto sapere il gesuita Pietro Bovati, segretario della stessa commissione e allievo di Carlo Maria Martini.
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Bertani: Natale, pacco vuoto. Chi crede ancora alla fiaba?
Natale è la vera festa dei cattolici: dovrebbe essere, in realtà, la Pasqua la quale contiene e condensa in pochi giorni (o, addirittura, ore) tutta la vicenda di un certo Joshua bar Joseph (Gesù figlio di Giuseppe), che sarebbe diventata la colonna sonora di due millenni di storia, oggi conclusa, terminata, smarcata dalle cronache religiose del pianeta. Vedremo poi. Già, Natale…però il Natale, celebrando la nascita del Redentore delle Anime, sconfessa apertamente chi non aveva riconosciuto in lui il Davide, il Grande Re Davide che avrebbe riportato alla gloria il grande popolo d’Israele. Non l’hanno riconosciuto? Ben gli sta! Giù la testa! Se il grande regno di Davide mai non giunse, anche il surrogato – ossia il povero Joshua bar Joseph – non fu una gran trovata. Ossia, lo fu sotto l’aspetto secolare, di potere – indubbiamente servì a tanto per superare la crisi dell’Impero Romano e trasformarlo nel Sacro Romano Impero, con annessi e connessi – ma fallì totalmente sotto l’aspetto della religione e, soprattutto, della contigua filosofia religiosa. Prima di partire, ricordiamo una curiosità: il primo a godere dell’appellativo di Pontifex Maximus (pressappoco “guida suprema”) fu…Giulio Cesare! Dopo di lui, tutti gli imperatori romani.Bisogna partire da lontano per capire tutto l’arzigogolo, e quando si dice da lontano quel “lontano” è, niente popò di meno che…Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus, in arte Nerone, quinto imperatore romano. Perché? Perché Nerone aveva ben compreso che il futuro dell’Impero non era nella lontana Britannia o nella riottosa Germania, bensì nel Mediterraneo: ossia, voleva spostare il baricentro dell’Impero verso Oriente, non verso l’inospitale Nord. Nel 67 d. C. si recò in Grecia e concesse a tutti i Greci l’immunità, qualcosa che si avvicinava alla cittadinanza romana, ed iniziò a meditare che Alessandria d’Egitto (seconda città dell’Impero) aveva tutti i crismi per diventarne la prima: la Biblioteca – che, oggi, definiremmo “un grande polo universitario” – il grandioso porto e la posizione geo-centrica di quello che lui immaginava il futuro dell’Impero. E la religione? Le tradizioni? Beh…ci penseremo…in Oriente si trova di tutto… A Roma non furono molto d’accordo, e lo fecero fuori. Ma il dado era tratto: nemmeno 60 anni dopo, Adriano ammetteva “Christus” fra gli dei onorabili a Roma, sempre che i seguaci lo onorassero nel Pantheon romano e non come unico Dio. Ma la strada era tracciata. S’era intorno al 120 d.C.Ci furono ancora lotte, discriminazioni, uccisioni… ma, due secoli dopo, Costantino sanciva il passaggio definitivo, quello della religione cristiana come unico credo del regno. E, annessa, vi fu la prima truffa dei cristiani, ossia la cosiddetta “donazione” di Costantino (mai avvenuta) poi codificata nel Constitutum Constantini, un testo apocrifo del IX secolo d.C. la quale concedeva al papato non la guida della Chiesa, bensì una specie di titolo di imperator, ossia la supremazia su qualsiasi regno o (futuro) feudatario del grande impero. La frittata (un colossale falso storico) era sfornata, ed era nato lo Stato della Chiesa. Per i secoli a seguire, dunque, i Papi non furono le guide religiose che tutti pensiamo e immaginiamo nella nostra tradizione, bensì i Re d’alcuni possedimenti italici e gli imperatori dell’ex Impero Romano, perché avevano nelle mani uno strumento potente per mantenere quel primato (che usarono più volte), ossia la scomunica. Furono Pontifex Maximus dei re e imperatori d’Europa. Non ci dobbiamo perciò meravigliare dei fasti della corte papale, delle molte concubine, delle mille corruzioni, delle sanguinose lotte di potere… non dimentichiamo che molti Papi non furono nemmeno preti, oppure furono nominati cardinali da bambini… erano dei regnanti, stop.Machiavelli scrisse che gli italiani crebbero “senza religione e cattivi”, poiché allevati in quei torbidi consessi, nei quali la gestione del potere era “santificata” da qualcosa che, di veramente santo, non aveva niente. Ma venne la prima punizione. Un oscuro monaco agostiniano germanico, Martin Lutero – dopo una visita a Roma nella quale vide quel che vide, non ultimo il commercio, venale, delle indulgenze, che lo terrificò – tornato in Germania (e sotto la protezione di Federico di Sassonia) pubblicò le famose 95 tesi affiggendole sulla porta della Chiesa di Wittemberg. Era il 1517, era la Rivoluzione. Lutero voleva tornare ad un Cristianesimo più puro, mondato da ogni coinvolgimento secolare che la Chiesa Romana, ovviamente, non poteva concedere, senza correre il rischio d’enormi perdite, territoriali e di ricchezza. La prima avvisaglia di come i Protestanti desideravano “accomiatarsi” dal potere romano avvenne nel 1527, con il Sacco di Roma ad opera dei Lanzichenecchi: 20.000 morti ed il resto della popolazione in fuga. Per “scalzarli” da Roma il Papa dovette pagare 400.000 ducati d’argento. Cash.La risposta, da Roma, venne nel 1545 con il Concilio di Trento e fu una risposta totalmente di chiusura, con la proibizione del possesso degli antichi testi biblici (in greco ed aramaico): solo la Vulgata – pessimo titolo! – ossia la Bibbia in Latino visionata e distribuita solo da Roma. E la creazione del Sant’Uffizio (la futura Inquisizione) e dell’indice dei testi “scomunicati”. Gli ultimi a ricevere questo “trattamento” furono Simone de Beauvoir, Gide, Moravia e Sartre (!). Li precedettero, praticamente, tutti i “pilastri” della civiltà moderna occidentale, da Cartesio in poi, e l’ultimo Papa passato sullo scranno del Sant’Uffizio, poi divenuto “Congregazione per la dottrina della Fede” fu Papa Ratzinger, tuttora vivente, Benedetto XVI. Insomma, in barba a tutti i “consigli” che giungevano dall’esterno, la Chiesa Cattolica non ha deviato di un’unghia, non ha discusso con nessuno, non ha accettato nessun “bonario” consiglio. Ha continuato a non concedere rogatorie nemmeno quando le vicende dello Ior (la Banca Vaticana) sprofondavano, più che nella tragedia, nella farsa.Pedofilia, niente; preservativi, nulla; divorzio, ignorato. Salvo concederlo, già a Trento (1545), per le coppie di neri che erano state battezzate dai missionari e poi vendute, schiave, a differenti proprietari. Una vera e propria chicca: un’attenzione perfetta per le esigenze del commercio! La giustificazione? Qualcuno aveva potuto leggere le pubblicazioni dell’atto? Magari affisse su un albero della foresta equatoriale? Penosi. Ma la nemesi giunge da dove meno te lo aspetti. Stavolta non c’è più un monaco che affigge delle tesi su una chiesa per chiederne la discussione, per avviare una ricostruzione di quel credo suggerito (pare) molto tempo prima da un oscuro pescatore/predicatore della Galilea. Rivisto e purgato – in primis Paolo di Tarso, poi Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino eccetera, eccetera… – per l’udito e la forma mentis dei greci e dei latini dapprima, poi per i loro eredi. Quando un edificio si mostra troppo vecchio per resistere ancora allo scorrere del tempo, quando non sono stati eseguiti per tempo i necessari lavori di ristrutturazione, entrano in funzione le ruspe demolitrici: non c’è altra soluzione.La “ruspa” – addirittura comico! – sgattaiola fuori dal garage delle Edizioni San Paolo di Roma, ma non affigge tesi per discutere, non chiede udienza, non dà alla vetusta istituzione cattolica nemmeno l’appiglio di un confronto: «Non voglio intromettermi fra ciò che pensano e credono i cattolici rispetto alla loro fede». E’ ciò che Mauro Biglino ripete, anche se sa benissimo che non ci potrebbero essere più roghi per bruciarlo. Magari, però, una pallottola vagante potrebbe sempre manifestarsi: i tempi cambiano e gli inquisitori accettano anche qualche “suggerimento” della modernità. La morte del comandante delle Guardie Pontificie, Alois Estermann (mai chiarita), della moglie e di un caporale, è stata una sparatoria degna di un film di Sergio Leone. Proprio accanto all’appartamento del Papa. Così, dalle Bibbie più antiche – guarda a caso quelle proibite nel ‘500 con l’Inquisizione – salta fuori, traducendo letteralmente, che il potente e “glorioso” Dio Javhé viaggiava nei cieli su un “carro di fuoco”, mentre i suoi “cherubini” assomigliavano più a delle guardie del corpo che agli angioletti del presepe.Ma anche il Nuovo Testamento è stato “rivisitato” – soprattutto grazie all’acume “greco” di Paolo di Tarso – e, dunque, una vicenda interna alla comunità ebraica, uno scontro fra fazioni discordi ed un fallito assalto al tempio di Salomone, ha creato i prodromi per la creazione di una nuova religio, visto che quella vigente nella Roma imperiale era in forte crisi, pervasa e stravolta da nuovi credi. Mentre era stata proibita dal Senato la pratica dei Baccanali, i culti di Cibele, Iside e, soprattutto, Mitra erano entrati a far parte del Pantheon Romano, scombussolandone le radici, che risalivano addirittura al primo re, Numa Pompilio. C’era bisogno di “aria nuova”: che durò per due millenni. Oggi, osservando con occhio disincantato e senza nessun tipo d’acredine, possiamo affermare che la religione cattolica sia ancora uno dei “perni” del vivere italico? Vivo di fronte ad una chiesa, che si dice sia stata un “luogo” dei Templari, e nella quale è stato anche girato un pessimo film (”The broken key”) sull’infinita saga dei cavalieri antichi e delle moderne società segrete. Le campane, a parte le ore, suonano musichette che sembrano il “liscio” dei Casadei: mai più ascoltato una musica sacra.Rari matrimoni e battesimi, più frequenti i funerali, con un solo denominatore: niente che abbia a che vedere con una pratica sacra, ma solo cerimonie mondane, allegre o tristi, ma solo mondane. Abiti eleganti le donne, camicie e cravatte gli uomini: per quel che ne so, una liturgia spenta senza più nessuna tensione religiosa verso il sacro, il supremo, l’assoluto inconoscibile. Le statistiche ci dicono che circa la metà della popolazione italiana si dice cattolica, ma coloro che si dicono credenti e praticanti sono soltanto il 22%. Ci sono, poi, un 10% circa che appartiene ad altre religioni, ed un 14% che, genericamente, “crede in Dio”. Questa è, sostanzialmente, la situazione. Al di là della sfera religiosa, gli italiani che credono molto o abbastanza alle coincidenze rappresentano ben il 53%, mentre il 41% crede nella fortuna, il 25% nella reincarnazione, il 24% nella predestinazione dell’anima, il 21% nei miracoli dei guaritori, il 18% nel karma, il 17% nell’astrologia, il 16% nella presenza di alieni sulla Terra, un altro 16% nella jella e nel malocchio, sempre il 16% nelle sedute spiritiche, il 14% nella possessione diabolica, il 9% nei tarocchi e un altro 9% nella magia (sondaggio Adnkronos). Sembra quasi l’identica situazione del tardo Impero Romano anzi: forse peggio. Eppure, continuiamo a definirci un “paese cattolico”. In ogni modo, felice Natale a tutti!Natale è la vera festa dei cattolici: dovrebbe essere, in realtà, la Pasqua la quale contiene e condensa in pochi giorni (o, addirittura, ore) tutta la vicenda di un certo Joshua bar Joseph (Gesù figlio di Giuseppe), che sarebbe diventata la colonna sonora di due millenni di storia, oggi conclusa, terminata, smarcata dalle cronache religiose del pianeta. Vedremo poi. Già, Natale…però il Natale, celebrando la nascita del Redentore delle Anime, sconfessa apertamente chi non aveva riconosciuto in lui il Davide, il Grande Re Davide che avrebbe riportato alla gloria il grande popolo d’Israele. Non l’hanno riconosciuto? Ben gli sta! Giù la testa! Se il grande regno di Davide mai non giunse, anche il surrogato – ossia il povero Joshua bar Joseph – non fu una gran trovata. Ossia, lo fu sotto l’aspetto secolare, di potere – indubbiamente servì a tanto per superare la crisi dell’Impero Romano e trasformarlo nel Sacro Romano Impero, con annessi e connessi – ma fallì totalmente sotto l’aspetto della religione e, soprattutto, della contigua filosofia religiosa. Prima di partire, ricordiamo una curiosità: il primo a godere dell’appellativo di Pontifex Maximus (pressappoco “guida suprema”) fu…Giulio Cesare! Dopo di lui, tutti gli imperatori romani.
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Saba Sardi: Gesù Cristo inventato da chi ci volle sottomessi
Autore di un libro “blasfemo”, considerato scomodo da alcuni e geniale da altri, ha raccontato le origini del concetto di divinità e la sua evoluzione dalle prime manifestazioni preistoriche fino alle attuali concezioni. Chi è, e come nasce dunque un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? E se il potere mistico fosse stato gestito dalla donna? Francesco Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Spregiatore di dogmi, assertore della libera fecondità della parola, Saba Sardi nasce a Trieste, vive e lavora a Milano. La sua è una vita spesa nelle terre di tutto il mondo nella conoscenza di etnie cosiddette primitive o nuove e misconosciute. Traduce in sei lingue e pubblica oltre 40 libri affrontando temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo. “Il natale ha 5000 anni” è una delle sue opere più note. Il libro racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano e illumina sulle radici della religiosità in un momento storico di cristallizzazione e integralismo.“Il natale ha 5000 anni” è popolato di vicende e personaggi che prendendoci per mano ci fanno percorrere il cammino dell’uomo: dodicimila anni fa l’umanità dell’Eurasia ha inventato le divinità, ma è nella crisi generale di 5000 anni fa, nell’età neolitica, che Francesco Saba Sardi individua il sorgere della necessità di speranza che porta l’uomo a desiderare la comparsa del Salvatore, del redentore capace di ricondurci alla fratellanza dei primordi. La speranza nei Figli del Cielo apparsi in maniera straordinaria, uscendo da grotte, rocce o nascendo da madri vergini, si diffonde per millenni lungo tutti i territori eurasiatici. Il Cristianesimo è solo uno dei Natali dei Figli del Cielo, ma chi è questa volta il Figlio del Cielo? Sempre lo stesso di 5000 anni fa? E cosa rappresenta per noi oggi la religione, la fede, la credenza in entità sovrumane? Abbiamo incontrato l’autore di questo complesso studio per cercare nuove risposte e maggiore chiarezza su un tema dagli echi ancestrali.Il Natale ha 5000 anni viene pubblicato per la prima volta nel 1958 per essere poi ritirato dalle librerie. La pubblicazione del 2007 dell’editore Bevivino è in realtà la seconda edizione. Cosa accadde nel 1958?Nel ’58 il mio libro fu accolto molto bene dal pubblico e molto male dalla “Civiltà Cattolica”, che dedicò un intero numero, ben 25 pagine, alla confutazione della tesi esposta nel mio libro, confutazione a cura di Padre Rosa.Che cosa ha fatto e cosa può fare paura del suo libro?Varie cose. Ad esempio, ha fatto paura il fatto che io affermassi che il Cristianesimo è un mitema, ma il mito non è bugia. Il mito è un’affermazione che sorge spontaneamente. Il Natale è un mito che sorge nell’impero eurasiatico quando nell’età neolitica l’umanità passa dal nomadismo alla stanzialità. La società stanziale inventò l’agricoltura, l’allevamento di bestiame, il maschilismo e il potere. La necessità di una società organizzata richiese l’istituzione di una gerarchia che veniva ordinata soprattutto dal cielo con l’idea della divinità.Su quali elementi basò la sua confutazione Padre Rosa?La mia tesi è inconfutabile. Padre Rosa basò la sua confutazione sul fatto che Gesù è una realtà storica e non una figura mitica. Ma anche se Gesù fosse una realtà storica questo non avrebbe nessuna importanza perché fu Paolo di Tarso il fondatore del Cristianesimo e non Cristo.Il Cristianesimo nasce e si diffonde seguendo vari rami, varie tesi come, ad esempio, la gnostica, per poi arrivare alle edizioni Paoline, e gli scritti di Paolo di Tarso diventano la base su cui si fonda il cattolicesimo per come noi oggi lo conosciamo. Come interpreta questo percorso?E’ chiaro che quando è giunto il momento di scegliere tra i vari rami del Cristianesimo si è pensato di scegliere il Dio monoteista che più conveniva a chi in quel momento gestiva il potere, in questo caso l’imperatore Costantino. Insomma, Paolo di Tarso è stato un autore che ha trovato nell’imperatore Costantino un formidabile editore.Quindi l’imperatore Costantino potendo scegliere tra diversi autori decide di editare Paolo di Tarso?Sì, e da quel momento il Cristianesimo sostituisce la Trinità Capitolina formata da Giove, Marte ed Ercole. Bisogna sottolineare il fatto che le figure e le qualità degli Dei Capitolini non soddisfacevano più gli intellettuali romani dell’epoca. Costantino unificò l’Impero donando al popolo romano un Figlio del Cielo, monoteista e nato da un Dio sensibile e più raffinato degli Dei a cui i romani erano abituati fino ad allora.Qual è secondo Lei la grande forza del Cristo?La grande forza del Cristo, così come per tutti gli Apparsi, per tutti i Figli del Cielo, consiste soprattutto nell’essere maschio. La gerarchia è maschile. Il potere maschile, il Tyrannos (in lingua turca e in latino: il pene duro), il Tiranno. Nessun potere può affermarsi se non è incarnato, così il potere si materializza in una parte del corpo e, sesso e potere diventano tutt’uno. Non c’è mai stata un’Apparsa. Mai una donna venuta a rivelare il Nuovo Mondo a promettere l’Età dell’Oro. Da quando sono stati inventati gli Dei, le Dee, le Ninfe, le Valchirie sono sempre al servizio del Signore degli Dei, il Grande Maschio.Il potere è maschio in una civiltà dominata dai maschi, ma se l’Umanità avesse camminato sulla scia dell’energia femminile, questo avrebbe fatto differenza nella nostra evoluzione?Moltissima differenza. Il potere non è donna. La donna è madre. Nella nebulosità dei nostri ricordi ancestrali si è persa l’idea delle Dee che si auto-generavano senza il ricorso dell’inseminazione maschile come la Madre Terra, metafora del suolo che risorge continuamente da se stesso. Nell’età neolitica la donna venne “domesticata”, ridotta alla condizione di inferiorità e sudditanza. Il Neolitico è stata una tragedia per l’umanità; l’invenzione della stanzialità, nel tempo ha cambiato tutto: il modo di mangiare, la concezione dello spazio. Abbiamo cessato di divertirci. Andare a caccia è divertente, il selvaggio si diverte. Zappare non è divertente, come non è divertente fare l’impiegato. Abbiamo cessato di divertirci e abbiamo inventato la guerra. La parola ha cessato di essere spontanea, non è la parola che inventa il mondo ma sono gli oggetti che iniziano ad imporre le parole.Il suo libro percorre la storia dei Figli del Cielo, dei Mitema. Quali elementi uniscono queste figure al Cristo?Come abbiamo già detto, la maschilità. Il fatto che devono affrontare dei pericoli, ad esempio, il Dio egizio Amon Ra – il Sole – deve affrontare il pericolo della notte, come il Cristo deve affrontare il buio, il Diavolo. Il fatto che sono Apparsi, il Natale è Apparso. Non è sempre necessaria una madre vergine, ma una nascita straordinaria: Mitra nasce da una roccia. Poi, l’Apparso trionfa nell’aldiquà o nell’aldilà; quello che conta è il trionfo attuale o futuro, dopo aver “rinominato” il mondo non più con la parola spontanea, ma come conseguenza dell’essersi impadronito del mondo.Quindi questi Dei nel momento in cui privano della parola spontanea diventano dei tiranni ed esercitano il loro potere dandoci le parole per comprendere il mondo?Il potere consiste nel darci il pensiero, che è parola.Tutti i profeti raccontano del ritorno dell’Età dell’Oro, anche se ognuno chiama con le proprie parole questo tempo che ci attende. Secondo Lei cosa rappresenta questa visione?Nostalgia e speranza. Speranza che ritorni il tempo felice. Il tempo in cui non si consumava la propria vita lavorando, perché cacciare o raccogliere delle radici nei boschi non è un lavoro. La civiltà per come l’abbiamo costruita ora è un disastro. Abbiamo distrutto la natura, abbiamo ucciso noi stessi. Lei crede che si possa tornare indietro? E come? Tornando alla caccia?Perché lei non crede che l’uomo possa avere tale nostalgia dei tempi felici da arrivare a distruggere quello che ha costruito fino ad ora per tornare indietro?Sì, è possibile: ma come? E’ più probabile che ci penserà la Terra stessa a ripulire l’uomo. L’Apocalisse è la fine del mondo per ricominciare. L’Età dell’Oro è apocalittica. Ci sarà un’epoca di felicità futura perché la nostalgia e la speranza sono tutt’uno. Tutti gli Apparsi, tutti i Figli del Cielo parlano di questo momento, tutti.Quindi, figure simili a Cristo esistono almeno da 5000 anni. Presumo che lei si sia documentato utilizzando testi e informazioni disponibili a chiunque…Il fatto è che abbiamo troppa informazione, e avere troppa informazione non serve a nulla. Nel Neolitico avviene la rivoluzione razionale, la ratio; il cognito prende il posto del mitema e sostituisce la poesis, l’invenzione, la poesia – che è immediatezza e spontaneità: è ciò che sopravvive ancora nei bambini.Quindi le informazioni le abbiamo, ma a causa della nostra razionalità non riusciamo ad utilizzarle?No, non riusciamo. Tutte le informazioni da cui siamo invasi nella nostra società sono composte da due parti: la prima è costituita da dogmi. Dogma è la fede e l’affermazione fideistica non ha nulla a che fare con la razionalità. La seconda parte dell’informazione è composta dalla giustificazione, la riprova. Il Vaticano, ad esempio, informa utilizzando la razionalità dell’informazione religiosa. Ratzinger non dice di continuo che il Cristianesimo è razionale? I preti non fanno altro che dare dimostrazione di Dio e delle sue manifestazioni hanno bisogno della riprova. Stiamo attraversando il grande capitolo storico della riprova, ma c’è una differenza tra religione e scienza: la scienza parte da ipotesi che debbono essere provate; la stessa cosa fa la religione, ma al posto delle ipotesi la religione mette delle certezze aprioristiche. Infatti, mentre la ricerca scientifica tenta di comprovare o smentire le ipotesi, nella religione ci sono certezze, dei dogmi che non possono essere smentiti perché smentire i dogmi significa essere degli eretici.La storia dell’Uomo è comunque piena di eretici, di uomini che hanno tentato con tutte le loro forze di smentire questi dogmi. Molti di loro, come Giordano Bruno, ad esempio, sono stati disposti a pagare con la vita. Secondo Lei, in questo momento un Giordano Bruno che tipo di opposizione incontrerebbe?Incontrerebbe un Padre Rosa che gli darebbe pubblicamente del bugiardo. Ma la chiesa è in contraddizione con se stessa: ad esempio, dichiara Cristo una realtà storica, quindi non nega l’incarnazione, ma dell’incarnazione nega la sessualità.Infatti, il suo libro mostra le immagini di antichi dipinti in cui la sessualità di Cristo non veniva negata, ma mostrata.I dipinti di cui parla sono esistiti fino al Concilio di Trento. Il Concilio di Trento è da considerarsi l’antirinascimento. La copertina del libro, ad esempio, mostra la Sacra Famiglia di Hans Baldung Grien, datata 1511. L’immagine che ha suscitato, a più riprese, scandalo mostra il Bambino Gesù sottoposto a manipolazioni genitali. A toccarlo è la nonna, Sant’Anna, mentre il bambino tende una mano al mento della madre, Maria, e l’altra scopre l’orecchio dal quale è entrato il Verbo. Da cattolici e protestanti si è cercato in vari modi di spiegare, o meglio esorcizzare, l’atto erroneamente considerato un gesto di libertà senza precedenti nell’arte cristiana, ma le erezioni di Gesù sono illustrate da una folla di dipinti rinascimentali, in più di un dipinto l’erezione è talmente palese da aver indotto più volte i censori a mascherarla con pennellate o drappeggi, quando non si è arrivati a distruggere i dipinti “incriminati”. La virilità di Gesù è una componente fondamentalissima nella concezione cristiana. Negare questa evidenza, negare la sessualità del Cristo, equivale a negare l’Ensarcosi, l’incarnazione del Figlio del Cielo, e dunque a negare il dogma stesso del Dio-uomo, questo equivale dunque a pronunciare una bestemmia.Visto che l’esistenza stessa di questi dipinti testimonia il fatto che la Chiesa non ha da sempre negato la sessualità di Cristo, come siamo arrivati alla negazione?Nel Cristianesimo possiamo distinguere tre fasi: nella prima fase, la fase Agostiniana, Dio è Padre, severo e unilaterale. Dio concede la grazia ai suoi figli ma chi non è nelle sue grazie va all’inferno. La seconda è la fase del Rinascimento: in questa fase Dio Padre viene sostituito dal figlio che ha ha doti di spontaneità e umanità, ed è davvero di carne e sangue. Il Concilio di Trento apre la terza fase del Cristianesimo, fase in cui si torna alla figura del Padre severo e indiscutibile. Naturalmente un residuo del Dio che si incarna nel Figlio, della fase rinascimentale, ha continuato a sopravvivere resistendo fino a Giovanni XXIII, ma adesso si sta tornando a Pio IX, al Sillabo. Perché la concezione dell’uomo che può e deve scegliere è impossibile da conciliare per la Chiesa, quindi si torna al Sillabo: così si pensa, così si parla, così si scrive.Come viene giustificato questo ritorno al passato della chiesa cattolica?C’è una grande giustificazione a cui partecipano anche tutti i partiti politici: “In nome della democrazia io devo scegliere per tutti”. La poesis è pericolosa. Il poeta è pericoloso perché non rispetta i dettami del potere; quindi, tutti devono essere ridotti al comune denominatore: il Sillabo e i suoi derivati. I giornali sono il Sillabo, la produttività è il Sillabo. Il poeta è la negazione del Sillabo.Lei non crede che chiunque legga ad esempio la sua intervista possa essere improvvisamente colto da una scintilla che lo renda poeta?Spero-Dispero.(Sonia Fossi, “Francesco Saba Sardi, il poeta della non-fede”, intervista pubblicata fa “Hera Magazine” e ripresa sul blog di Gianfranco Carpeoro il 27 luglio 2016. Scomparso nel 2012 ormai novantenne, Saba Sardi era stato scomunicato per “Il natale ha 5000 anni”. E’ l’autore del principale volume italiano sulla storia delle religioni, pubblicato da Mondadori. Filologo e antropologo, ha firmato opere di narrativa e saggistica, libri d’arte e diari di viaggio, mettendo insieme 50 titoli. Sterminata la schiera dei volumi da lui curati, tradotti e commentati – oltre 600 – tra i cui autori si possono citare Herman Melville, Thomas Mann, Miguel de Cervantes, Calderón de la Barca, Luis de Góngora, Victor Hugo, Hermann Hesse, Tolkien e Goethe, George Bernard Shaw, Doris Lessing, Erich Fromm. Ha tradotto dal tedesco, dal francese, dall’inglese, dal danese, dallo spagnolo e dal portoghese, dal serbocroato. Era stato scelto personalmente, come traduttore, da Georges Simenon, Gabriel Garcia Marques e Fernando Pessoa. Di Pablo Picasso scrisse l’unica biografia autorizzata dall’artista. La sua ultima opera, il saggio “Dominio”, mette a fuoco la genesi della religione, che nasce insieme alla guerra e all’improvvisa necessità di possedere territori, con la scoperta dell’agricoltura: un nuovo potere, sconosciuto ai primitivi nomadi, configurato sotto forma di dominio).Autore di un libro “blasfemo”, considerato scomodo da alcuni e geniale da altri, ha raccontato le origini del concetto di divinità e la sua evoluzione dalle prime manifestazioni preistoriche fino alle attuali concezioni. Chi è, e come nasce dunque un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? E se il potere mistico fosse stato gestito dalla donna? Francesco Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Spregiatore di dogmi, assertore della libera fecondità della parola, Saba Sardi nasce a Trieste, vive e lavora a Milano. La sua è una vita spesa nelle terre di tutto il mondo nella conoscenza di etnie cosiddette primitive o nuove e misconosciute. Traduce in sei lingue e pubblica oltre 40 libri affrontando temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo. “Il natale ha 5000 anni” è una delle sue opere più note. Il libro racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano e illumina sulle radici della religiosità in un momento storico di cristallizzazione e integralismo.
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Carte false: così nascosero la storia della Papessa Giovanna
«E’ per evitare equivoci sul sesso del Papa che fu introdotta la sedia “gestatoria”, la speciale poltrona per la cerimonia di incoronazione del nuovo pontefice, con un foro nel sedile attraverso cui uno o due diaconi, con le mani, dovevano verificare la presenza degli attributi maschili», ricorda l’agenzia di stampa “Adn Kronos”. La formula di annuncio, in latino: “Habet duo testiculos et bene pendentes”. Questa curiosa consuetudine «fu introdotta nel medioevo, quando la Chiesa decise di porre fine alle dicerie sulla Papessa Giovanna, una giovane donna originaria di Magonza, salita al soglio di Pietro dopo aver ingannato la corte papale sul suo reale stato anagrafico». Ma è veramente esistita, la Papessa femmina? Non per Wikipedia, che propende ancora per la “leggenda”: «La Papessa Giovanna sarebbe stata l’unica figura di Papa donna, che avrebbe regnato sulla Chiesa con il nome di Giovanni VIII dall’853 all’855. È considerata dagli storici alla stregua di un mito o di una leggenda medievale». Poi, nel 2011, lo storico Pietro Ratto scova un volume avventurosamente custodito, che svela che la cronologia vaticana ha “taroccato” due secoli interi, proprio per cancellare – a posteriori – la storia imbarazzante della Papessa, fattasi passare per Papa. Ratto scrive la sua scoperta in un saggio, “Le pagine strappate”, lo invia a grandi editori e si sente rispondere così: «Ma lei non tiene alla sua famiglia?».Il libro è uscito, ma è stato accolto dal silenzio più assoluto. «Ho capito che avevo toccato un potere davvero forte, oltre ogni immaginazione», afferma Ratto in un’intervista. Nel sito “In-Contro Storia” premette: «La storia che i professori insegnano a scuola è quella che a loro volta hanno imparato». Tutto scorre senza intoppi e senza dubbi: «In pochi si chiedono se ciò che viene raccontato sia effettivamente accaduto, e le perplessità che eventualmente insorgono vengono presto soffocate». Chi davvero cerca la verità la può trovare, aggiunge Ratto, «ma solo a patto di stravolgere le proprie conoscenze, mantenendosi aperto a sempre nuove prove, a sempre nuovi elementi di studio». Il suo libro, “Le pagine strappate”, descrive passo dopo passo «l’affascinante analisi di un testo del Quattrocento sfuggito alla censura del Concilio di Trento». Un’analisi che Ratto definisce «onesta, appassionante e appassionata, che incredibilmente svela i trucchi della Chiesa per rimuovere la vicenda storica della Papessa Giovanna, restituendoci uno scorcio di realtà da tempo rimossa».Per il blog storico “Sguardo sul Medioevo”, il saggio di Ratto è «altamente convincente», dal momento che l’autore «riesce quantomeno a dimostrare che la censura selvaggia della Chiesa abbia davvero nascosto una presunta Papessa». L’originalità de “Le pagine strappate”, rileva “SoloLibri.net”, «sta proprio nel modo di in cui l’autore ha scelto di esporre i risultati di una ricerca storica – basata su dati verificati, su notti insonni, su confronti, calcoli, date, fonti antiche – rendendola accessibile ed invitante, senza banalizzarla ma accrescendone invece il fascino, anche per chi non mastica storia quotidianamente». Wikipedia, che non è aggiornata sul libro di Ratto e quindi alla storia della Papessa non crede, ricorda però che la vicenda «ottenne in Occidente un qualche grado di plausibilità a causa di elementi intriganti contenuti nella storia». Il primo a raccontare questa storia per iscritto, nel 1240, fu il cronista domenicano Giovanni di Metz, ripreso pochi anni dopo dal confratello Martino Polono. Chi era, Giovanna? Secondo la narrazione, scrive Wikipedia, si trattava di una donna inglese, educata a Magonza: «Per mezzo dei suoi convincenti e ingannevoli travestimenti in abiti maschili, riuscì a farsi monaco con il nome di Johannes Anglicus per poi salire al soglio pontificio, alla morte di Papa Leone IV (17 luglio 855), con il nome di Giovanni VIII».Sembra che la Papessa non praticasse l’astinenza sessuale, aggiunge Wikipedia. Così, Giovanna rimase incinta «di uno dei suoi tanti amanti». Durante la solenne processione di Pasqua, nella quale il Papa tornava al Laterano dopo aver celebrato messa in San Pietro, mentre il corteo papale era nei pressi della basilica di San Clemente, la folla entusiasta si strinse attorno al cavallo che portava il Pontefice. «Il cavallo del Papa, impaurito, reagì violentemente, provocando a “Papa Giovanni” un travaglio prematuro». Scopertone il segreto, la Papessa Giovanna «fu fatta trascinare per i piedi da un cavallo, attraverso le strade di Roma, e lapidata a morte dalla folla inferocita nei pressi di Ripa Grande». Fu poi sepolta «nella strada dove la sua vera identità era stata svelata, tra San Giovanni in Laterano e San Pietro in Vaticano». In altre versioni, Giovanna sarebbe morta subito, al momento del parto; oppure, una volta scoperta, rinchiusa in un convento. Pietro Ratto, però, racconta un’altra storia. Che comincia, per lui, nel novembre del 2011. Via web ha appena conosciuto un personaggio misterioso, protetto dall’anonimato, che l’autore chima “l’Erudito”. Vive in una baita in montagna, isolata, immersa nella natura. Un giacimento di archivi preziosi: incunaboli, pergamene, manoscritti antichissimi. Anche un originale del Decamerone di Boccaccio. E poi Machiavelli, Mazzarino e Guicciardini, tutti «in preziosissime, inestimabili edizioni originali», per non parlare delle pergamene del Trecento, dei documenti longobardi.«Tra le tante meraviglie – racconta Ratto – l’Erudito collezionista mi spalanca davanti agli occhi, sornione, un testo del Quattrocento. Un’opera di un illustre storico della Chiesa, in un’edizione miracolosamente sfuggita all’inesorabile censura del Concilio di Trento, che strategicamente l’anziano collezionista apre sul tavolo in un punto preciso, proprio là dove un anonimo segnalibro si nascondeva da chissà quanti anni. Gli domanda: «La conosce la storia della Papessa Giovanna?». Ma certo, la famosa favola. Al che, “l’Erudito” storce il naso: «Non gli piace ch’io liquidi frettolosamente come leggenda quello che considera un evento storico a tutti gli effetti». L’anziano bibliofilo non aggiunge nient’altro, «ma il suo sguardo beffardo è un invito alla lettura, allo studio, una volta tornato a casa». Giorni e notti di lavoro febbrile, in cui Ratto passa dallo scetticismo all’euforia. «Gli occhi bruciano, a suon di leggere e rileggere», contando «giorni, mesi, anni, tra l’855 ed il 1100». “L’Erudito” gli procura alcune edizioni successive dell’opera, quelle opportunamente rivedute e corrette dagli inquisitori, quelle che gli storici conoscono a menadito. «E man mano che procedo, man mano che conto, mi accorgo del trucco», scrive Ratto.«La Papessa, evidentemente, è esistita davvero, dato che la Chiesa è ricorsa ad un complesso processo di falsificazione di date e nomi di Pontefici relativi ai duecento anni successivi per occultare e rimuovere dalla storia un periodo esattamente corrispondente al lasso di tempo in cui, secondo gli storici medievali, si sarebbe verificato il suo pontificato», afferma lo studioso. «Le pagine che mi trovo di fronte e radiografo per settimane ne sono la prova». Da qui nasce il libro, “Le pagine strappate”, che «narra di questa mia entusiasmante ricerca, le cui tappe vengono raccontate come in un romanzo ma meticolosamente spiegate e dimostrate, come in un saggio storico». E’ un libro che parla di un altro libro, “Delle vite dei Pontefici”, scritto dal celebre storico rinascimentale Bartolomeo Sacchi, detto il Platina. Attenzione: l’edizione che Ratto si ritrova tra le mani è quella originale del 1552, tradotta in volgare e sfuggita ai censori. E’ ben diversa, dunque, da quella “ripulita” che poi è giunta agli storici. Così, la ricerca dello studioso «si trasforma in un autentico scoop, per quanto la scabrosità della scoperta abbia indotto gli “studiosi” e la stampa più o meno specializzata a non divulgarla».«Comincia così la mia analisi comparata nei confronti di questa antica copia, confrontata con l’edizione in latino del 1562 e con quella in volgare del 1650, colpite invece da una progressiva censura ecclesiastica», spiega Ratto. «Tutte e tre le copie sono, naturalmente, presenti nella collezione dell’anziano collezionista. Dal confronto delle tre edizioni risalgo pian piano alle ragionevoli prove dell’esistenza della Papessa ed agli evidentissimi trucchi con cui i suoi due anni di pontificato potrebbero essere stati cancellati dalla Storia, ricorrendo a complesse correzioni di date e nomi di pontefici relativi ai due secoli successivi». Tanto per cominciare, il Platina era il direttore della Biblioteca Vaticana. Un illustre umanista, che ha dedicato la sua storia dei Papi a Sisto IV, pontefice da cui è molto apprezzato e che gli ha conferito quell’importante ruolo. Nonostante ciò, il Platina riporta la vicenda della Papessa, citando il cronista medievale Martino Polono, «senza smentirla o liquidarla come pura leggenda e senza venir attaccato dalla Chiesa».Secondo l’edizione del 1552, al momento della sua elezione la Papessa (di cui si raccontano particolari della vita fino al suo parto avvenuto in strada durante una processione), assume il nome di Giovanni VIII. Così, la numerazione dei Papi omonimi continua poi per tutta la serie fino all’ultimo, il predecessore di Martino V, che viene chiamato Giovanni XXIV. Nelle altre due edizioni analizzate, che tendono a considerare la Papessa una “fabula”, Giovanni VIII è colui che nell’edizione del 1552 è Giovanni IX, e il diretto predecessore di Martino V compare come Giovanni XXIII, antipapa. «Questa circostanza è importante: come avrebbe potuto uno storico famoso come il Platina, infatti, sbagliare il numerale di un Papa regnante sessant’anni prima, senza venir pubblicamente smentito e deriso? Sarebbe un po’ come se uno studioso attuale chiamasse Montini “Paolo VII”». Aggiunge Ratto: dall’analisi delle correzioni apportate nelle edizioni del 1562, e soprattutto del 1650, si rafforza l’ipotesi che le complesse motivazioni normalmente addotte per giustificare la celebre “Questio Paparum Joannum”, il rebus che ha assillato gli storici (nel conteggio di tutti i Papi Giovanni, infatti, mancherebbero due pontefici) non avrebbero in realtà nessun fondamento, «a parte l’esigenza di occultare il pontificato della Papessa».Autore dell’occultamento: il revisore Onofrio Panvinio, «vero e proprio braccio armato della censura ecclesiastica». Un potente burocrate vaticano, «in grado di risistemare il conteggio dei Giovanni con autentici “giochi di prestigio”». Come quando, nell’edizione del 1650, Panvinio «sostiene improvvisamente di essere in possesso di non meglio precisate “brevi apostoliche”, in virtù delle quali “i Giovanni che noi chiamiamo 21, 22 e 23 si dovrebbero chiamare 20, 21 e 22”. Per Ratto sono «trucchetti, questi, smascherabili proprio grazie al confronto con l’edizione incensurata». Infine, tramite un complesso conteggio condotto in parallelo sulle copie del 1552 e del 1650, relativo a tutti i pontificati a partire da quello del successore di Leone IV – che per la prima edizione è (la Papessa) Giovanni VIII mentre nella seconda è Benedetto III – Piero Ratto rileva «un evidente processo di correzione di centinaia di date di elezione o di morte di pontefici, nonché di nomi e di numerali». Una manipolazione bella e buona, per «assottigliare progressivamente la differenza tra la versione del Platina e quella della Chiesa ufficiale, fino al definitivo riallineamento delle due cronologie, raggiunto con la consacrazione di Benedetto IX, verificatasi nel dicembre 1032».Wikipedia riconosce che in molti hanno accostato la carta della Papessa, uno degli “arcani maggiori” dei tarocchi, alla figura della Papessa Giovanna. E cita un romanzo sulla vicenda, “La Papessa Giovanna” del greco Emmanouil Roidis, uscito nel 1865, poi tradotto nel 1954 dall’inglese Lawrence Durrell, col titolo “The Curious History of Pope Joan”. Più recente il romanzo dell’autrice statunitense Donna Woolfolk “Cross Pope Joan” (1996), da cui è stato tratto nel 2009 il film “La papessa”. Ma Wikipedia non cita il saggio di Ratto neppure nella (vasta) bibliografia sulla controversa vicenda. «Ciò che davvero potrebbe aver spinto la Chiesa del Cinquecento a cancellare la vicenda di Giovanna – osserva Ratto – sarebbe stato unicamente l’insopportabile scandalo di una “foemina” sul soglio di Pietro». Da notare, infine, «l’importante e inconfutabile prova» che il saggio fornisce relativamente alla presenza del busto di Giovanna tra quelli degli altri pontefici, «ben visibile nel duomo di Siena ancora alla fine del XVI secolo». In un’opera del 1595, scritta proprio per smentire la “favola” di Giovanna, un giurista cattolico rinascimentale si lamentò a gran voce della presenza di quel busto a Siena e ne richiese l’immediata rimozione. «Un elemento molto importante, questo, dato che fino ad oggi anche questa particolare circostanza è sempre stata liquidata come l’ennesima falsità collegata alla “fabula” e messa in circolazione dai soliti “eretici” protestanti».(Il libro: Pietro Ratto, “Le pagine strappate”, Elmi’s World, 112 pagine, 12 euro).«E’ per evitare equivoci sul sesso del Papa che fu introdotta la sedia “gestatoria”, la speciale poltrona per la cerimonia di incoronazione del nuovo pontefice, con un foro nel sedile attraverso cui uno o due diaconi, con le mani, dovevano verificare la presenza degli attributi maschili», ricorda l’agenzia di stampa “Adn Kronos”. La formula di annuncio, in latino: “Habet duo testiculos et bene pendentes”. Questa curiosa consuetudine «fu introdotta nel medioevo, quando la Chiesa decise di porre fine alle dicerie sulla Papessa Giovanna, una giovane donna originaria di Magonza, salita al soglio di Pietro dopo aver ingannato la corte papale sul suo reale stato anagrafico». Ma è veramente esistita, la Papessa femmina? Non per Wikipedia, che propende ancora per la “leggenda”: «La Papessa Giovanna sarebbe stata l’unica figura di Papa donna, che avrebbe regnato sulla Chiesa con il nome di Giovanni VIII dall’853 all’855. È considerata dagli storici alla stregua di un mito o di una leggenda medievale». Poi, nel 2011, lo storico Pietro Ratto scova un volume avventurosamente custodito, che svela che la cronologia vaticana ha “taroccato” due secoli interi, proprio per cancellare – a posteriori – la storia imbarazzante della Papessa, fattasi passare per Papa. Ratto scrive la sua scoperta in un saggio, “Le pagine strappate”, lo invia a grandi editori e si sente rispondere così: «Ma lei non tiene alla sua famiglia?».
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La rivoluzione di Paracelso, genio eretico della medicina
Uno dei ‘medici’ del Rinascimento con cui nessuno poté competere per fama e seguaci fu Paracelso: un nome che, per almeno un secolo, ebbe una forza esplosiva. I suoi discepoli furono numerosissimi, e per loro Paracelso fu il profeta di una nuova era. Paracelso mise in discussione la medicina accademica del tempo, tentando di rompere il monopolio della casta sociale che la professava. Dal Potere fu considerato un eretico ignorante, un ciarlatano, propugnatore di idee rivoluzionarie che minacciavano l’intera scienza medica e le sue onorevoli istituzioni. Paracelso sferrò un attacco frontale tanto contro la medicina ufficiale galenica, quanto contro le facoltà mediche delle università. E lo scontro fu assoluto, ideologico, sociale e anche religioso. Paracelso in realtà si chiamava Philip Theophrastus Bombast von Honenheim; era nato a Einsielde, vicino a Zurigo, nel 1493 o 1494. Il padre, membro illegittimo di una nobile famiglia sveva, era il medico locale. A nove anni, trasferitosi a Villach, in Austria, con tutta la famiglia, Paracelso iniziò a lavorare come apprendista nelle miniere d’argento di Hutenberg che appartenevano ai potentissimi banchieri Fugger di Augusta. In seguito, cresciuto, viaggiò molto studiando e praticando medicina in Italia, Olanda, Prussia, Polonia, Scandinavia e anche nel Levante.Nel 1526 fu imprigionato a Salisburgo per le sue aperte simpatie per la rivolta dei contadini, fuggì e riparò a Basilea dove riuscì a curare con successo dai suoi disturbi lo stampatore Johann Froben, editore di Erasmo, del quale diventò medico. Grazie a questa cerchia speciale di amicizie, Paracelso fu nominato Staadtphysicus, col titolo di professore di medicina e il diritto di tener lezione all’università. Ma all’udire le sue lezioni le autorità della facoltà di medicina inorridirono: Paracelso si rifiutava di rifarsi, nelle sue lezioni, alle autorità consolidate di Ippocrate, Galeno, Avicenna, annunciando che invece avrebbe basato le sue lezioni sulla propria esperienza, formatasi anche sulle malattie dei minatori e sulle ferite di guerra che egli aveva curato come chirurgo militare alle dipendenze della Repubblica di Venezia nel 1522. Le facoltà mediche del tempo prevedevano per il medico un curriculum di studi approvato e provvisto degli speciali dottorati. Il medico del tempo interpretava la scienza, che era filosofia medica, e il chirurgo o il farmacista erano considerati di grado inferiore, tanto che a loro non era richiesta formazione universitaria e conoscenza del latino.Chirurghi e farmacisti dovevano solamente eseguire gli ordini dei medici usciti dalle facoltà universitarie. Paracelso aveva ottenuto una laurea a Ferrara, per cui conosceva bene il curriculum di studi richiesto al medico dalle autorità. Tuttavia il suo insegnamento fu una sfida contro la gerarchia e il curriculum richiesto dalle istituzioni accademiche. Paracelso dissertava di medicina in volgare, nel suo dialetto svizzero tedesco. E il giorno di San Giovanni del 1527 buttò nel tradizionale falò di mezza estate il Canon di Avicenna, un testo sacro della facoltà di medicina. Purtroppo, subito dopo questo eclatante gesto, il suo protettore, l’editore Froben, morì. E un canonico della cattedrale, suo paziente, mise in discussione una sua parcella. Ad un tratto Paracelso si trovò contro Stato e Chiesa e dovette fuggire, ritornando ad una vita di vagabondaggio per il nord Europa. Nel suo vagabondaggio a volte fu accolto come un eroe, altre volte fu ridotto alla mendicità. Viveva comunque alla grande e beveva molto. Indossava abiti costosi e portava al suo fianco, sempre, una spada. Dormiva poco e trascorreva intere giornate alla sua fornace. Sfidava i contadini nel bere e vinceva, poi – apparentemente lucido – dettava le sue opere filosofiche. Morì a Strasburgo nel 1541 a quarantasette anni.Pochissime sue opere furono pubblicate durante la sua vita. Tra queste, un’opera sulla sifilide o “mal francese”, che contestava la cura ufficiale a base di legno guaiaco e mercurio liquido, fu proibita dal consiglio cittadino di Norimberga su ‘consiglio’ degli stessi Fugger, che all’epoca detenevano il lucroso monopolio del guaiaco. Paracelso scrisse molte opere e pare le avesse consegnate ai suoi discepoli viaggiando per l’Europa, per cui vennero alla luce solo dopo la sua morte. E su queste opere postume sorse il movimento paracelsiano. Certo il periodo più produttivo di Paracelso fu quello di Basilea. E in questa città il medico rivoluzionario lasciò le sue opere nelle mani di un giovane di nome Johannes Herbst, che autorizzò a diventare suo editore. Herbst fece carriera a Basilea e divenne il sommo stampatore degli studiosi della Riforma, ma non stampò mai i manoscritti di Paracelso, che così giacquero inediti fino a che Adam von Bodestein, un medico entrato a far parte della facoltà di medicina di Basilea nel 1538, figlio di un riformatore protestante e anche noto con il nome di Carlostadio, non li scoprì.Carlostadio, medico seguace della medicina galenica, medico personale dell’elettore palatino capo della famiglia Wittelsbach, colpito nel 1556 dalla febbre terzana che lo rese infermo per circa un anno, disperato, accettò di farsi curare da un medico paracelsiano, e nel giro di un mese si ritrovò guarito. Divenne così seguace di Paracelso e fu il primo a insegnarne la dottrina a Basilea. Fu ammonito dalle autorità universitarie e alla fine nel 1564 fu espulso dalla facoltà di medicina per aver pubblicato libri eretici e scandalosi, e per essere un seguace del falso insegnamento di Paracelso. Pur espulso, restò a Basilea e si batté con coraggio, pubblicando più di quaranta opere del suo maestro, divulgandone gli insegnamenti. Opere paracelsiane uscirono a dozzine nell’ultimo quarto del XVI secolo, apocrife. E alla fine del secolo, idee paracelsiane furono ascritte a immaginari alchimisti del XV secolo, rafforzando il credito di Paracelso collocandolo nel quadro di una rispettabile tradizione medievale.Inizialmente le opere di Paracelso ebbero larga diffusione soprattutto nel mondo di lingua tedesca. Dopo la sua morte alcune furono tradotte in latino. Certo l’uso della lingua tedesca da parte sua aveva avuto una precisa motivazione: rompere con la tradizione ufficiale e crearne una nuova, infrangendo il monopolio della medicina universitaria e istituzionale. Paracelso chiamò a raccolta gli artigiani della professione medica, i chirurghi e i farmacisti: un atto di sfida alle istituzioni pari a quello di Lutero e di altri riformatori protestanti in campo religioso. Paracelso è spesso stato descritto come il Lutero della medicina; e in effetti, protestantesimo e paracelsismo acquisirono nel tempo interessi comuni. A livello metafisico la medicina di Paracelso si rifaceva al platonismo ermetico del Rinascimento, e dunque la sua dottrina era essenzialmente antiaristotelica, a differenza di quella della medicina istituzionale. Paracelso riteneva Aristotele un pagano che aveva distorto e impregnato di materialismo la vera filosofia, che secondo la sua visione era neoplatonica ed ermetica.La sua teoria si fondava sulla cosmologia neoplatonica elaborata da Marsilio Ficino del macrocosmo e del microsomo. Il corpo e l’anima dell’uomo rispecchierebbero in miniatura il corpo e l’anima del mondo, e tra di loro esisterebbero corrispondenze e simpatie che il “magus” può comprendere e controllare. Sulla base delle sue esperienze di lavoro nelle miniere e nelle fornaci dei Fugger, e dallo studio degli alchimisti medievali, Paracelso teorizzò un macrocosmo chimicamente controllato, quasi un gigantesco crogiuolo, creato tramite un’operazione chimica, che aveva separato il puro dall’impuro. Per cui il microcosmo umano era a sua volta un sistema chimico che poteva essere alterato, corretto e curato mediante un trattamento chimico. Secondo Paracelso le malattie non erano uno squilibrio degli umori, come prevedeva la medicina galenica ufficiale, ma parassiti vivi impiantati nel corpo umano. I tre principi fondamentali della medicina paracelsiana erano lo zolfo, il mercurio e il sale. I veleni diventano elementi curativi a piccole dosi, e la ricerca assoluta era quella di un solvente universale.La medicina di Paracelso aveva anche un carattere profetico, messianico e rivoluzionario. Se l’inizio del mondo era stato un inizio chimico, anche la sua fine, la fine del mondo, poteva essere chimica. La profezia del ritorno di Elia prima dell’avvento del terribile giorno del Signore, e l’avvento dell’Anticristo, ripresa dal monaco calabrese Gioacchino da Fiore nel XII secolo e collocata all’inizio della terza e ultima età del mondo, fu ripresa da Paracelso e modificata. Paracelso affermò che Elia sarebbe apparso cinquantotto anni dopo la sua morte, e sarebbe apparso come ‘Elia l’artista’ cioè, nel linguaggio degli adepti, l’Alchimista. E come tale, Elia avrebbe rivelato tutti i segreti della chimica, mostrando come il ferro potesse essere trasformato in oro. Da qui poi sarebbe seguita un’ultima trasformazione del mondo: non una battaglia di Armageddon ma una separazione chimica, come era stato all’inizio del mondo.A livello pratico, a dispetto della teoria, la medicina paracelsiana ottenne buoni risultati usando farmaci chimici o minerali. Alla luce dei criteri medici moderni, il trattamento delle ferite dei medici paralcelsiani fu estremamente intelligente. Essi attribuirono grande importanza alle acque e ai bagni minerali, impiegando dosaggi medicinali moderati e semplici. Idearono narcotici e oppiacei per alleviare il dolore; il più famoso analgesico di Paracelso fu il laudanum (termine da lui inventato), usato fino all’Ottocento. Paracelso scoprì anche come preparare e usare l’etere. I medici paracelsiani in realtà ebbero un gran successo per la semplice ragione che i loro pazienti guarivano, o avevano l’impressione di guarire. I medici ortodossi rispondevano compilando liste e statistiche di quanti pazienti erano stati uccisi dai medici paracelsiani – dall’antimonio, ad esempio. Tuttavia dovettero alla fine ammettere gli effetti positivi pratici di laudano e, appunto, antimonio.La medicina paracelsiana fu teosofia neoplatonica, profezia messianica e medicina chimica, e la storia del movimento paracelsiano è la storia complicata e difficile della convivenza di questi tre aspetti. La medicina paracelsiana non poteva prescindere dalla teosofia e dalla profezia, per cui alla fine divenne una visione radicale che minacciava di sovvertire l’ideologia e le istituzioni canoniche del mondo medico, e non solo di quello. La dottrina di Paracelso scardinava il potere delle corporazioni mediche ufficiali, minacciando antichi diritti e privilegi acquisiti. Il paracelsismo, come il protestantesimo, fu una filosofia di rivolta contro l’ordine costituito. Paracelso fu avidamente studiato dal più grande dei maghi elisabettiani, John Dee. Con il Concilio di Trento, la Chiesa cattolica romana divenne meno tollerante verso il neoplatonismo, ribadendo l’ortodossia aristotelica e considerando il neoplatonismo una pericolosa filosofia irenica, mirante a riunire la cristianità sulla base di una erronea religione ‘naturale’. La Chiesa romana divenne il naturale alleato delle corporazioni mediche, proteggendone il monopolio. Per cui il movimento paracelsiano fu spinto gioco forza ad allearsi col protestantesimo.(Lara Pavanetto, “Paracelso: lo scontro rivoluzionario, filosofico e religioso con la medicina accademica, dal quale nacquero la medicina, la chimica e le scienze moderne. La storia è viva”, dal blog della Pavanetto del 9 luglio 2017).Uno dei ‘medici’ del Rinascimento con cui nessuno poté competere per fama e seguaci fu Paracelso: un nome che, per almeno un secolo, ebbe una forza esplosiva. I suoi discepoli furono numerosissimi, e per loro Paracelso fu il profeta di una nuova era. Paracelso mise in discussione la medicina accademica del tempo, tentando di rompere il monopolio della casta sociale che la professava. Dal Potere fu considerato un eretico ignorante, un ciarlatano, propugnatore di idee rivoluzionarie che minacciavano l’intera scienza medica e le sue onorevoli istituzioni. Paracelso sferrò un attacco frontale tanto contro la medicina ufficiale galenica, quanto contro le facoltà mediche delle università. E lo scontro fu assoluto, ideologico, sociale e anche religioso. Paracelso in realtà si chiamava Philip Theophrastus Bombast von Honenheim; era nato a Einsielde, vicino a Zurigo, nel 1493 o 1494. Il padre, membro illegittimo di una nobile famiglia sveva, era il medico locale. A nove anni, trasferitosi a Villach, in Austria, con tutta la famiglia, Paracelso iniziò a lavorare come apprendista nelle miniere d’argento di Hutenberg che appartenevano ai potentissimi banchieri Fugger di Augusta. In seguito, cresciuto, viaggiò molto studiando e praticando medicina in Italia, Olanda, Prussia, Polonia, Scandinavia e anche nel Levante.
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Sesso e potere, la virilità di Cristo. E il Natale ha 5000 anni
Di Salvatori se ne contano tanti: e sono tutto maschi e virili, come Cristo. E’ la tesi “blasfema” di un eminente intellettuale come Francesco Saba Sardi, scomparso nel 2012, autore di decine di libri tra cui “Il Natale ha 5000 anni”, messo all’indice dal Vaticano. Chi è, dunque, e come “nasce” un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? In un’intervista a Sonia Fossi per la rivista “Hera”, Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Triestino, spregiatore dei dogmi, Saba Sardi ha tradotto in sei lingue alcuni tra i più grandi scrittori dell’800 e del ‘900, pubblicando oltre 40 libri su temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo, riconosciuto dal Quirinale tra le maggiori autorità intellettuali italiane. “Il Natale ha 5000 anni” racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano, illuminando le radici della religiosità in un momento storico di nascente integralismo. Con l’avvento del neolitico, 12.000 anni fa, la nostra civiltà diventa stanziale grazie alla scoperta dell’agricoltura. Per gestire la terra e il lavoro nasce la guerra. E per motivare la guerra viene “inventata” la religione.Nasce così l’attuale sistema di potere, che in un suo saggio del 2004 Saba Sardi chiama “dominio”. Temi anticipati da “Il Natale ha 5000 anni”, volume popolato di vicende e personaggi che, prendendoci per mano, ci fanno percorrere il cammino dell’uomo: «Dodicimila anni fa l’umanità dell’Eurasia ha inventato le divinità», riassume Sonia Fossi nell’intervista ripresa dal blog di Gianfranco Carpeoro. Ma è nella crisi generale di 5000 anni fa che Francesco Saba Sardi individua «il sorgere della necessità di speranza che porta l’uomo a desiderare la comparsa del Salvatore, del redentore capace di ricondurci alla fratellanza dei primordi». E così, «la speranza nei Figli del Cielo apparsi in maniera straordinaria, uscendo da grotte, rocce o nascendo da madri vergini, si diffonde per millenni lungo tutti i territori eurasiatici». Sicchè, il Cristianesimo «è solo uno dei Natali dei Figli del Cielo». Ma chi è questa volta il Figlio del Cielo? Sempre lo stesso di 5000 anni fa? E cosa rappresenta per noi oggi la religione, la fede, la credenza in entità sovrumane?“Il Natale ha 5000” anni viene pubblicato per la prima volta nel 1958 per essere poi ritirato dalle librerie. La pubblicazione del 2007 dell’editore Bevivino è in realtà la seconda edizione, precisa Sonia Fossi. Cosa accadde nel 1958? «Nel ’58 il mio libro fu accolto molto bene dal pubblico e molto male dalla “Civiltà Cattolica”». La rivista dei gesuiti, allora diretta da padre Enrico Rosa, «dedicò un intero numero, ben 25 pagine, alla confutazione della tesi esposta nel mio libro, confutazione a cura di padre Rosa». Che cosa ha fatto e cosa può ancora fare paura del suo libro? «Varie cose. Ad esempio, ha fatto paura il fatto che io affermassi che il Cristianesimo è un mitema: ma il mito non è bugia». Il mito è un’affermazione che sorge spontaneamente, spiega Saba Sardi. «Il Natale è un mito che sorge nell’impero eurasiatico quando nell’età neolitica l’umanità passa dal nomadismo alla stanzialità. La società stanziale inventò l’agricoltura, l’allevamento di bestiame, il maschilismo e il potere. La necessità di una società organizzata richiese l’istituzione di una gerarchia che veniva ordinata soprattutto dal cielo con l’idea della divinità».Su quali elementi – domanda la giornalista – basò la sua confutazione padre Rosa? «La mia tesi è inconfutabile», risponde lo studioso. «Padre Rosa basò la sua confutazione sul fatto che Gesù è una realtà storica e non una figura mitica. Ma anche se Gesù fosse una realtà storica questo non avrebbe nessuna importanza, perché fu Paolo di Tarso il fondatore del Cristianesimo e non Cristo». Il Cristianesimo nasce e si diffonde seguendo vari rami, varie tesi come ad esempio la gnostica, per poi arrivare alle edizioni Paoline, e gli scritti di Paolo di Tarso diventano la base su cui si fonda il cattolicesimo per come noi oggi lo conosciamo. Come interpretare questo percorso? «E’ chiaro che quando è giunto il momento di scegliere tra i vari rami del Cristianesimo si è pensato di scegliere il Dio monoteista che più conveniva a chi in quel momento gestiva il potere, in questo caso l’imperatore Costantino. Insomma, Paolo di Tarso è stato un autore che ha trovato nell’imperatore Costantino un formidabile editore». Quindi l’imperatore Costantino potendo scegliere tra diversi autori decide di editare Paolo di Tarso? «Sì, e da quel momento il Cristianesimo sostituisce la Trinità Capitolina formata da Giove, Marte ed Ercole. Bisogna sottolineare il fatto che le figure e le qualità degli Dei Capitolini non soddisfacevano più gli intellettuali romani dell’epoca. Costantino unificò l’impero donando al popolo romano un Figlio del Cielo, monoteista e nato da un Dio sensibile e più raffinato degli Dei a cui i romani erano abituati fino ad allora».La narrazione cristica ha però avuto un’immensa fortuna: perchè? «La grande forza del Cristo, così come per tutti gli Apparsi, per tutti i Figli del Cielo, consiste soprattutto nell’essere maschio», spiega Saba Sardi. «La gerarchia è maschile. Il potere maschile, il Tyrannos (in lingua turca e in latino: il pene duro), il Tiranno». Attenzione: «Nessun potere può affermarsi se non è incarnato; così, il potere si materializza in una parte del corpo». Al che, «sesso e potere diventano tutt’uno». Si badi: «Non c’è mai stata un’Apparsa. Mai una donna venuta a rivelare il Nuovo Mondo, a promettere l’Età dell’Oro». Da quando sono stati inventati gli Dei, le Dee, le Ninfe, le Valchirie – aggiunge Saba Sardi – sono sempre «al servizio del Signore degli Dei, il Grande Maschio». Il potere è maschio in una civiltà dominata dai maschi, osserva Sonia Fossi. Ma se l’umanità avesse camminato sulla scia dell’energia femminile, questo avrebbe fatto differenza nella nostra evoluzione? «Moltissima differenza. Il potere non è donna. La donna è madre. Nella nebulosità dei nostri ricordi ancestrali si è persa l’idea delle Dee che si auto-generavano senza il ricorso dell’inseminazione maschile come la Madre Terra, metafora del suolo che risorge continuamente da se stesso. Nell’età neolitica la donna venne “domesticata”, ridotta alla condizione di inferiorità e sudditanza».«Il Neolitico è stata una tragedia per l’umanità», insiste Saba Sardi. «L’invenzione della stanzialità, nel tempo ha cambiato tutto: il modo di mangiare, la concezione dello spazio. Abbiamo cessato di divertirci. Andare a caccia è divertente, il selvaggio si diverte. Zappare non è divertente come non è divertente fare l’impiegato. Abbiamo cessato di divertirci e abbiamo inventato la guerra. La parola ha cessato di essere spontanea: non è la parola che inventa il mondo, ma sono gli oggetti che iniziano a imporre le parole». Il suo libro percorre la storia dei Figli del Cielo, dei mitema. Quali elementi uniscono queste figure al Cristo? «Come abbiamo già detto la maschilità», risponde l’autore. «Il fatto che devono affrontare dei pericoli: ad esempio, il Dio egizio Amon Ra – il Sole – deve affrontare il pericolo della notte, come il Cristo deve affrontare il buio, il Diavolo. Il fatto è che sono Apparsi, il Natale è Apparso. Non è sempre necessaria una madre vergine, ma una nascita straordinaria: Mitra nasce da una roccia. Poi, l’Apparso trionfa nell’aldiquà o nell’aldilà; quello che conta è il trionfo attuale o futuro, dopo aver “rinominato” il mondo non più con la parola spontanea, ma come conseguenza dell’essersi impadronito del mondo». In altre parole, attraverso l’evocazione della divinità, «il potere consiste nel darci il pensiero, che è parola».Tutti i profeti raccontano del ritorno dell’Età dell’Oro, scrive la Fossi, anche se ognuno chiama questo tempo che ci attende con le proprie parole: cosa rappresenta questa visione? «Nostalgia e speranza», dice Saba Sardi. «Speranza che ritorni il tempo felice. Il tempo in cui non si consumava la propria vita lavorando, perché cacciare o raccogliere delle radici nei boschi non è un lavoro». Ed ecco il nostro tempo: «La civiltà per come l’abbiamo costruita ora è un disastro. Abbiamo distrutto la natura, abbiamo ucciso noi stessi». Tornare indietro? «E come? Tornando alla caccia? E’ più probabile che ci penserà la Terra stessa a ripulire l’uomo. L’Apocalisse è la fine del mondo per ricominciare. L’Età dell’Oro è apocalittica. Ci sarà un’epoca di felicità futura perché la nostalgia e la speranza sono tutt’uno. Tutti gli Apparsi, tutti i Figli del Cielo parlano di questo momento, tutti».Quindi, figure simili a Cristo esistono almeno da 5000 anni. «Nel Neolitico avviene la rivoluzione razionale, la ratio: il cognito prende il posto del mitema e sostituisce la poesis, l’invenzione, la poesia che è immediatezza e spontaneità, è ciò che sopravvive ancora nei bambini». Quindi le informazioni le abbiamo, ma a causa della nostra razionalità non riusciamo ad utilizzarle? «No, non riusciamo. Tutte le informazioni da cui siamo invasi nella nostra società sono composte da due parti: la prima è costituita da dogmi. Dogma è la fede e l’affermazione fideistica non ha nulla a che fare con la razionalità. La seconda parte dell’informazione è composta dalla giustificazione, la riprova. Il Vaticano, ad esempio, informa utilizzando la razionalità dell’informazione religiosa». Ratzinger ha detto di continuo che il Cristianesimo è razionale. «I preti non fanno altro che dare dimostrazione di Dio e delle sue manifestazioni hanno bisogno della riprova». Mentre la scienza «parte da ipotesi che debbono essere provate», la religione «al posto delle ipotesi mette delle certezze aprioristiche», cioè «dogmi che non possono essere smentiti perché smentire i dogmi significa essere degli eretici».La storia dell’uomo è comunque piena di eretici, di uomini che hanno tentato con tutte le loro forze di smentire questi dogmi. Gente come Giordano Bruno, disposta a pagare con la vita. Oggi, domanda Sonia Fossi, un Giordano Bruno che tipo di opposizione incontrerebbe? «Incontrerebbe un padre Rosa che gli darebbe pubblicamente del bugiardo», risponde Saba Sardi. Ma la Chiesa «è in contraddizione con se stessa: ad esempio, dichiara Cristo una realtà storica, quindi non nega l’incarnazione, ma dell’incarnazione nega la sessualità». Infatti, “Il Natale ha 5000 anni” mostra le immagini di antichi dipinti in cui la sessualità di Cristo non viene negata, ma mostrata. Quei dipinti «sono esistiti fino al Concilio di Trento», poi sono stati occultati. «Il Concilio di Trento è da considerarsi l’antirinascimento», sostiene lo studioso. La copertina del libro sotto accusa, ad esempio, mostra la “Sacra Famiglia” di Hans Baldung Grien, datata 1511. «L’immagine che ha suscitato, a più riprese, scandalo, mostra il Bambino Gesù sottoposto a manipolazioni genitali. A toccarlo è la nonna, sant’Anna, mentre il bambino tende una mano al mento della madre, Maria, e l’altra scopre l’orecchio dal quale è entrato il Verbo».Da cattolici e protestanti «si è cercato in vari modi di spiegare, o meglio esorcizzare, l’atto erroneamente considerato un gesto di libertà senza precedenti nell’arte cristiana, ma le erezioni di Gesù sono illustrate da una folla di dipinti rinascimentali», afferma Saba Sardi. «In più di un dipinto l’erezione è talmente palese da aver indotto più volte i censori a mascherarla con pennellate o drappeggi, quando non si è arrivati a distruggere i dipinti “incriminati”». Eppure, aggiunge lo studioso, «la virilità di Gesù è una componente fondamentalissima nella concezione cristiana». Sicchè, «negare questa evidenza, negare la sessualità del Cristo, equivale a negare l’Ensarcosi, l’incarnazione del Figlio del Cielo, e dunque a negare il dogma stesso del Dio-uomo; questo equivale dunque a pronunciare una bestemmia».Visto che l’esistenza stessa di questi dipinti testimonia il fatto che la Chiesa non ha da sempre negato la sessualità di Cristo – ragiona Sonia Fossi – come siamo arrivati alla negazione? Nel Cristianesimo, Saba Sardi distingue tre fasi: nella prima, la fase Agostiniana, «Dio è Padre, severo e unilaterale: concede la grazia ai suoi figli ma chi non è nelle sue grazie va all’inferno». La seconda è la fase del Rinascimento: «In questa fase Dio Padre viene sostituito dal figlio, che ha ha doti di spontaneità e umanità, ed è davvero di carne e sangue». Poi arriva il Concilio di Trento, che apre la terza fase del Cristianesimo, in cui si torna alla figura del Padre severo e indiscutibile. «Naturalmente un residuo del Dio che si incarna nel Figlio, della fase rinascimentale, ha continuato a sopravvivere resistendo fino a Giovanni XXIII, ma adesso si sta tornando a Pio IX, al Sillabo. Perché la concezione dell’uomo che può e deve scegliere è impossibile da conciliare per la Chiesa, quindi si torna al Sillabo: così si pensa, così si parla, così si scrive». La poesis è pericolosa, conclude Saba Sardi: «Il poeta è pericoloso perché non rispetta i dettami del potere, quindi, tutti devono essere ridotti al comune denominatore: il Sillabo e i suoi derivati. I giornali sono il Sillabo, la produttività è il Sillabo. Il poeta è la negazione del Sillabo».Di Salvatori se ne contano tanti: e sono tutti maschi e virili, come Cristo. E’ la tesi “blasfema” di un eminente intellettuale come Francesco Saba Sardi, scomparso nel 2012, autore di decine di libri tra cui “Il Natale ha 5000 anni”, messo all’indice dal Vaticano. Chi è, dunque, e come “nasce” un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? In un’intervista a Sonia Fossi per la rivista “Hera”, Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Triestino, spregiatore dei dogmi, Saba Sardi ha tradotto in sei lingue alcuni tra i più grandi scrittori dell’800 e del ‘900, pubblicando oltre 40 libri su temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo, riconosciuto dal Quirinale tra le maggiori autorità intellettuali italiane. “Il Natale ha 5000 anni” racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano, illuminando le radici della religiosità in un momento storico di nascente integralismo. Con l’avvento del neolitico, 12.000 anni fa, la nostra civiltà diventa stanziale grazie alla scoperta dell’agricoltura. Per gestire la terra e il lavoro nasce la guerra. E per motivare la guerra viene “inventata” la religione.