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Magaldi: Pd senza idee progressiste, non lo salverà Minniti
Spera davvero di cavarsela, il Pd, usando Marco Minniti per tentare di riempire il vuoto cosmico della sua non-politica, ridotta a semplice esecuzione delle direttive impartite dall’élite neoliberista? Ci vorrebbe ben altro che un vecchio arnese dalemiano come l’ex ministro dell’interno, per restituire una vera offerta politica a quei milioni di elettori che nel 2008 avevano salutato con simpatia e speranza la nascita del Pd. Ci vorrebbero ad esempio parole sferzanti come quelle appena usate da una giovane dirigente, Katia Tarasconi, che ha accusato il vertice del partito di aver curato solo gli interessi dell’oligarchia, trascurando il popolo. E soprattutto, servono idee: come declinare la grande eredità democratica del socialismo, nell’Europa del 2018? E invece niente: silenzio di tomba, al di là del ronzio e del gossip su questioni irrilevanti, il deprimente derby tra renziani e anti-renziani, Minniti contro Zingaretti (e magari Martina a fungere da cuscinetto). Per fare cosa, poi? Per andare dove? Restano senza risposta, per ora, le domande che Gioele Magaldi rilancia: dovrebbero essere il punto di partenza, per tentare di far uscire il Pd dallo stato di coma in cui si trova. Ma all’orizzonte non si vedono segnali di alcun genere: avanti così il partito corre verso l’estinzione, tra la desolazione dei suoi ex elettori.Come si può pensare che Marco Minniti possa rappresentare una novità? L’ex ministro, dice Magaldi in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, è stato un colonnello di D’Alema quando “baffino” era in auge, quindi «ha vissuto una stagione dalemiana di ferro» (era soprannominato Lothar, richiamando la coppia con Mandrake). Poi si è riciclato nel renzismo, «tanto che oggi diversi dirigenti del Pd dipingono la sua come una candidatura filo-renziana e anti-zingarettiana, anche se Minniti assicura che così non è». Niente di nuovo sotto il sole, purtroppo, «nell’agone di questo momento difficile e crepuscolare del Pd». Gli uomini sono sempre gli stessi e le donne restano in minoranza: i media mainstream concedono solo minuscole finestre alle pochissime voci dissonanti come quella della Tarasconi («magari ce ne fossero altre, in grado di parlare un linguaggio così diretto»). Ma non è questione di uomini o donne, insiste Magaldi: il problema è l’assenza di idee. «Non si assiste a un reale rinnovamento ideologico». Ovvero: qual è l’identità del Pd? Qual è la proposta politica dei candidati?». Cosa distingue, davvero, Zingaretti da Minniti? «Di cosa si fanno promotori? Qual è la loro idea di governo della cosa pubblica? A me pare che la grande assenza sia quella delle idee», sottolinea Magaldi: «Manca un ripensamento approfondito di una prospettiva democratica».Per il presidente del Movimento Roosevelt «assistiamo a uno stranissimo paradosso: il Pd renziano ha voluto entrare nel partito socialista europeo, ma poi non si è fatto carico di elaborare, nel XXI secolo, una proposta democratica e liberale di tipo socialista». Nel Pd non c’è più nulla, di quella tradizione. «La verità è che nel mondo politico europeo e occidentale c’è stata ormai da decenni una chiara subalternità all’unico modello politico-economico, quello neoliberista (sul piano strettamente economico) e neo-aristocratico (sul piano politico)». Da qui, infatti, la denuncia della Tarasconi, che rinfaccia al partito di essere agli ordini dell’élite. Non è il solo, peraltro: in questi decenni, ricorda Magaldi, «abbiamo assistito a due versioni di un unico paradigma: quella incarnata dal cosiddetto centrodestra e quella interpretata dal sedicente centrosinistra». Diversi gli attori, ma identico il copione. «Recuperare una tradizione socialista – aggiunge Magaldi – significa richiamarsi ai personaggi che ad esempio il Movimento Roosevelt ha iniziato a ripresentare alla coscienza pubblica: Carlo Rosselli, Olof Palme, Thomas Sankara e altri come loro, da Roosevelt a John Rawls, che sono le uniche possibili bussole per recuperare una tradizione autenticamente socialista, in senso liberale e democratico».Rialzare la testa, tornare a inquadrare l’orizzonte? Impossibile, a quanto pare: «Fa un po’ tristezza osservare come, invece di guardare a quei modelli, il dibattito politico all’interno del Pd si riduca alla contrapposizione tra piccoli leader». Non ci si rende conto che «questo volare basso, questa assenza di riferimenti» è fatale, per un partito che si candidi a rappresentare un’alternativa al governo gialloverde. E a proposito di riferimenti ideali: «Ricordo che la confusione ha regnato sovrana per anni, nel Pd, quando un Boccia poteva proporre Friedrich von Hayek come punto di riferimento del nuovo centrosinistra». Von Hayek, ovvero uno dei padri del neoliberismo, insieme a Milton Friedman: il vero ispiratore della destra economica, «incardinato in una visione neo-aristocratica». Lo stesso von Hayek si definiva “un old whig”, un vecchio ultra-conservatore, «facendo riferimento a Edmund Burke, fiero avversatore della Rivoluzione Francese». E in mezzo a tanta povertà politica, cosa potrà mai fare l’ex braccio destro del D’Alema convertito al neoliberismo, l’uomo che si vantò di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank realizzando il record europeo delle privatizzazioni?«Non credo affatto che Minniti possa essere una novità, è un personaggio che già ha vissuto tante vite», ribadisce Magaldi. «Certo – aggiunge – non è l’unico a non avere “idee chiare e distinte”, in senso cartesiano, da offrire alla platea della pubblica opinione: se gli elettori del Pd non avvertono il problema di chiedere alla propria dirigenza una chiarezza metodologica sulla prospettiva politica, è chiaro che i dirigenti non la daranno». Ultimamente, peraltro, è pur vero che «i simpatizzanti questa richiesta l’hanno fatta, molti facendo mancare il loro voto al Pd, la cui base elettorale si è ristretta». Altri – come Katia Tarasconi – stanno davvero cercando di alimentare un cambio di passo reale, benché siano «silenziati dai grandi media, preoccupati di offrirci il solito pastone in cui ci domanda se Renzi farà un nuovo partito e se Martina resterà in corsa: tutti discorsi inessenziali per il futuro dell’Italia e dell’Europa». Tradotto: riguardo al ruolo del nostro paese nell’Ue, «non è di nessun interesse capire qual è il ruolo di questo o di quello, nella filiera delle poltrone da occupare». Molto più importante, dice Magaldi, è capire «dove vorranno condurre l’Italia ed eventualmente l’Europa i nuovi dirigenti del Pd, quelli che insieme al nuovo segretario che dovesse essere eletto avranno una enorme responsabilità: ridare un senso al Pd o affossare definitivamente quell’esperienza politica, perché le cose che perdono di senso poi si logorano e muoiono per consunzione».Molta della visibilità mediatica di Minniti deriva dalla compostezza con la quale, da ministro, si dice che Minniti abbia gestito il problema migranti (oggi addirittura rivendica una sorta di imprimatur sulla spigolosa fermezza esibita da Salvini). Anche su questo fronte, però, secondo Magaldi siamo fuori strada: «Respingere senza prospettiva e come accogliere senza prospettiva». Doppia miopia, identica: «E’ ormai noto a tutti che proprio l’Africa, ricchissima di risorse ma mantenuta artificiosamente in stato di povertà, è il convitato di pietra del terzo millennio: lo dimostra l’enorme interesse da parte della Cina, che in Africa ha stanziato colossali investimenti, e lo conferma anche l’atteggiamento neo-coloniale della Francia, denunciato da personalità come quella del panafricanista Mohamed Konare». Domanda: perché fingere che il problema si risolva respingendo barconi, magari cavandosela con slogan del tipo “aiutiamoli a casa loro”? «Bisogna cominciare a farlo davvero, per esempio con una sorta di Piano Marshall per l’Africa, che sviluppi anche la necessaria educazione democratica per fare piazza pulita dell’esigua élite africana tuttora complice del neo-colonialismo occidentale».Per il presidente del Movimento Roosevelt, la vera opposizione è sempre la stessa: democrazia contro oligarchia. «Viviamo in un mondo nel quale si distrugge l’immagine di un grande attore come Kevin Spacey perché, nella serie televisiva “House of Cards”, ha osato evocare il Bohemian Club, santuario del massimo potere super-massonico neo-aristocratico». E’ esattamente il tema affrontato dalla giovane Katia Tarasconi, nel bocciare in blocco la nano-dirigenza del Pd: inutile far finta che il vero potere non sia in pochissime mani. Stupido, poi, schierarsi con il rigore Ue contro il governo gialloverde: semmai, un partito progressista dovrebbe rimproverare a Lega e 5 Stelle di essere troppo timidi, rispetto a Bruxelles, essendosi accontatentati di quel misero 2,4% di deficit per il 2019. Ma appunto, ci vorrebbe un partito progressista – non il Pd di Minniti e Renzi, Martina e Zingaretti. Neoliberismo, privatizzzazioni, dominio dell’élite imposto a suon di dogmi da un soggetto che ci si ostina a chiamare “l’Europa”. Oggi, ripete Magaldi, la prima cosa che dovrebbe fare l’Italia è questa: proporre una Costituzione Europea democratica, con un governo europeo finalmente eletto dall’europarlamento votato dagli elettori. Lontano anni luce da idee come queste, restano i Lothar e gli Zingaretti a contendersi i rottami del fu Pd.Spera davvero di cavarsela, il Pd, usando Marco Minniti per tentare di riempire il vuoto cosmico della sua non-politica, ridotta a semplice esecuzione delle direttive impartite dall’élite neoliberista? Ci vorrebbe ben altro che un vecchio arnese dalemiano come l’ex ministro dell’interno, per restituire una vera offerta politica a quei milioni di elettori che nel 2008 avevano salutato con simpatia e speranza la nascita del Pd. Ci vorrebbero ad esempio parole sferzanti come quelle appena usate da una giovane dirigente, Katia Tarasconi, che ha accusato il vertice del partito di aver curato solo gli interessi dell’oligarchia, trascurando il popolo. E soprattutto, servono idee: come declinare la grande eredità democratica del socialismo, nell’Europa del 2018? E invece niente: silenzio di tomba, al di là del ronzio e del gossip su questioni irrilevanti, il deprimente derby tra renziani e anti-renziani, Minniti contro Zingaretti (e magari Martina a fungere da cuscinetto). Per fare cosa, poi? Per andare dove? Restano senza risposta, per ora, le domande che Gioele Magaldi rilancia: dovrebbero essere il punto di partenza, per tentare di far uscire il Pd dallo stato di coma in cui si trova. Ma all’orizzonte non si vedono segnali di alcun genere: avanti così il partito corre verso l’estinzione, tra la desolazione dei suoi ex elettori.
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Onu: italiani in via di estinzione, nel 2050 saremo 40 milioni
Arrivano ogni anno e sono come un bollettino di guerra. Sono i rapporti dell’Istat sulla popolazione: mai così basso il numero delle nascite. Nel 2016 l’Italia è “dimagrita” di 134.000 persone: come avessimo perso una città delle dimensioni di Salerno. La fecondità è scesa a 1,34 figli per donna: nessun paese al mondo fa meno figli dell’Italia. Secondo lo storico francese Pierre Chaunu, nei paesi europei la disaffezione a procreare ha conseguenze simili alla peste nera che sterminò un terzo della popolazione del continente. A differenza dell’epidemia del medioevo che riempiva i cimiteri, scrive Giulio Meotti sul “Foglio”, l’epidemia di sterilità volontaria svuota i reparti di maternità. Persino per l’Onu, gli italiani sono un gruppo etnico in via di estinzione: nel nostro paese, il rapporto fra nascite e decessi è negativo dal 1990 (per inciso, l’epoca in cui il paese – con il collasso della Prima Repubblica – ha imboccato la via delle privatizzazioni, dell’euro e dell’Unione Europea). I dati per l’Italia – meno di 60 millioni di persone, inclusi però gli immigrati – per le Nazioni Unite sono ancora più terribili se consideriamo il rapporto fra nascite e decessi: indicatore che ha appena raggiunto il valore peggiore di sempre. Dieci anni fa, su “Le Monde”, il sociologo Henri Mendras scrisse che, di questo passo, la popolazione dello Stivale si sarebbe ridotta da 60 a 40 milioni nel 2050.«Nessun popolo può sopportare un evento così traumatico e l’equilibrio generale dell’Europa ne sarebbe scosso», scriveva Mendras. «L’Italia del nord, oggi così opulenta, ha il più basso tasso di fecondità in Europa: in media, meno di un bambino per donna». Le grandi città italiane “resistono” soltanto grazie all’immigrazione, continua Meotti nella sua analisi sul “Foglio” pubblicata nel 2017. «Prendiamo Venezia: 2.102 nuovi nati nell’ultimo anno, a fronte di 2.878 morti. Nel giro di quindici anni, a Bologna nasceranno il 10% di bambini in meno, il 20% in provincia. Gli anziani tra 65 e 79 anni cresceranno del 15%. Senza immigrazione, l’Emilia Romagna in vent’anni perderebbe 871.000. Si passerebbe dai quattro milioni e 454.000 residenti emiliano-romagnoli del 2016 a tre milioni e 583.000. Una contrazione del 20%». E’ un trend nazionale. Crollano le nascite a Milano: 17.681 nel 2006, 13.682 nel 2014, 12.688 nel 2015 e poco oltre le diecimila nel 2016. Genova è diventata la “città più vecchia d’Europa”. In Val d’Aosta, dal 2008 al 2015 la natalità è diminuita del 24%, il dato peggiore in Italia. «Nel ricchissimo Veneto le nascite sono calate del 20%». Sta “dimagrendo” la Toscana, meno 5,8%. Per Mendras, siamo di fronte a «una rivoluzione ideologica che rischia di mettere in pericolo la civiltà italiana».Una rivoluzione “culturale”: «Nascerà un nuovo tipo di famiglia: senza fratelli, zii, cugini». Un’Italia composta per due terzi da anziani e con pochissimi bambini. E’ esplicito l’economista americano Nicholas Eberstadt: «Ci sarete ancora domani? Un popolo può scomparire». Perché accade questo? Per soldi: «Una delle ragioni è che i figli sono bellissimi, ma non sono economicamente convenienti», afferma Eberstadt. «E in una società che premia ciò che è conveniente, non è una buona idea costruire una nuova famiglia». Se ieri non avere figli era una tragedia, oggi è anche uno stile di vita: si è più “liberi”. Secondo Eberstadt, continua il “Foglio”, «in una società grigia il welfare diventerà insostenibile: dovrete aumentare l’età pensionabile a 72, 73, 74 anni». Continundo su questa strada, «non penso che la società italiana sopravvivrà così come è oggi», aggiunge Eberstadt: «E’ possibile che l’Italia sarà osservata dal resto del mondo come un esperimento, per capire come una società sopravvive a questo terremoto. Sarete una cavia per il resto del genere umano». Sarà un’Italia di centenari, sostiene il noto demografo James Vaupel, già a capo dell’Istituto tedesco Max Planck: «La maggior parte delle persone vive oggi in Italia sarà probabilmente ancora viva nel 2050». La popolazione dell’Italia? «Potrebbe essere di 10 milioni alla fine del XXI secolo, un quinto della popolazione oggi».«Non conosco nessuna società pre-moderna che ha smesso di avere figli», dichiara al “Foglio” lo storico Bruce Thornton, studioso di antichità alla California State University e autore di “Decline and fall of Europe”. «Si vede questo fenomeno tra le élite, per esempio nella Roma tardo-repubblicana, con Augusto che ha cercato di incoraggiare gli aristocratici romani ad avere più figli. Prima dell’età moderna, la gente ha visto i bambini come risorsa più importante di ogni cultura. Solo i moderni possono essere così stupidi da ignorare questa saggezza». Entrerà in crisi la democrazia, in una simile spirale di invecchiamento e sterilità. «La democrazia sarà in pericolo», afferma Thornton, perché welfare sanitario, assistenza e pensioni dipendono dai lavoratori più giovani che pagano le tasse. «Cosa succede quando una maggioranza di vecchi voterà per averne sempre di più, a scapito dei giovani ormai ridotti al lumicino?». Troviamo difficile sacrificarci per le generazioni successive, dice Thornton: «Per questo abortiamo così tanti bambini. Per questo non distribuiamo più la ricchezza dai ricchi ai poveri, ma dai non nati ai vivi». Un paese di vecchi, geopoliticamente irrilevante e vulnerabile. In Francia, gli immigrati islamici – con alto tasso di natalità – sono il 10% della popolazione francese: avranno «il potere politico per iniziare a cambiare la cultura del paese ospitante».Per Thornton, «vedremo grandi investimenti per aumentare la lunghezza della vita, con la produzione ad esempio di reni e cornee artificiali». Esisteranno ancora le pensioni? «Lavorerete di più, come vediamo in America dal 2008. Ma chi pagherà le pensioni? Qui sorgeranno i conflitti». Che cultura produrremo? «Già oggi non ne produciamo più. Ci sarà molta cultura popolare per intrattenere gli anziani». E la religione? «Se n’è andata dall’Occidente: quando i baby boomers saranno vecchi, l’edonismo avrà vinto completamente». Dice il celebre psichiatra inglese Anthony Daniels: «La situazione in Italia mi sembra senza precedenti», simile a quelle di Spagna, Germania e Giappone. «Questa Italia prevalentemente di anziani avrà difficoltà a difendersi dalle popolazioni più giovani. I capelli saranno grigi, ma le persone saranno molto più vigorose di quelle di una volta. Ci saranno adolescenti geriatrici o una geriatria di adolescenti. La gente cercherà un qualche tipo di trascendenza, la troverà nella cosiddetta ‘spiritualità’, paganesimo, culto della natura, il potere curativo dei cristalli, candele, carillon tibetani. La piramide della popolazione tradizionale sarà invertita, gli anziani dovranno lavorare fino a tardi nella vita e saranno assistiti da robot importati dal Giappone».In questo quadro, la Chiesa romana latita. Dovrebbe usare la crisi demografica per una rinascita. Lo sostiene George Weigel, saggista cattolico. «Una nazione che non si riproduce versa in una crisi morale e culturale», dice Weigel al “Foglio”. «La Chiesa dovrebbe prestare attenzione a questo, ma significherebbe rimuovere la polvere dalla propria mentalità museale». Pochi prelati oggi parlano della catastrofe demografica. «Penso che in Occidente abbiamo un desiderio di morte», dice Rod Dreher, giornalista conservatore americano: «Abbiamo scelto il comfort sulla vita». Ratzinger ha detto che ci troviamo di fronte a una crisi spirituale: una grande crisi di civiltà, peggiore di qualsiasi altra dalla caduta di Roma. «Ratzinger è un profeta», sostiene Weigel. «Siamo diretti verso giorni molto bui. I musulmani che arrivano in Europa oggi credono in qualcosa. Troppi di noi occidentali non credono in niente, non nel Dio della Bibbia, ma neanche in se stessi». Per l’americano David Goldman, editore di “Asia Times”, «il declino della popolazione è l’elefante nel salotto del mondo. E’ una questione di aritmetica, sappiamo che la vita sociale della maggior parte dei paesi sviluppati si romperà entro due generazioni. Due italiani su tre e tre giapponesi su quattro saranno anziani nel 2050».Se gli attuali tassi di fertilità continuano, dice Goldman, il numero di tedeschi scenderà del 98% nel corso dei prossimi due secoli. «Nessun sistema pensionistico e sanitario è in grado di supportare tale piramide rovesciata della popolazione». Aritmetica, appunto: «Il tasso di natalità di tutto il mondo sviluppato è ben al di sotto del tasso di sostituzione, e una parte significativa di essa ha superato il punto di non ritorno demografico». La teoria geopolitica convenzionale, dominata da fattori materiali quali il territorio, le risorse naturali e la tecnologia, «non affronta il problema di come i popoli si comporteranno sotto questa minaccia esistenziale, in cui la questione cruciale è la volontà o mancanza di volontà di un popolo che abita un determinato territorio di sfornare una nuova generazione». Il declino demografico, inesorabile, nel XXI secolo «porterà a violenti sconvolgimenti nell’ordine del mondo». E l’Italia? «E’ sulla buona strada, secondo le Nazioni Unite: il numero di donne in età fertile si ridurrà di due terzi nel corso di questo secolo, e diminuirà di circa la metà dal mezzo secolo in poi», Ciò implica «una riduzione della popolazione paragonabile al declino di Roma nel Quinto e Settimo secolo». La causa immediata? E’ la crisi economica, dice Goldman. «L’Italia sarà simile a una casa di riposo, con il 45% popolazione sopra i sessant’anni». Conseguenza: «Il ruolo internazionale dell’Italia si ridurrà con la sua economia».Mentre l’economia continuerà a contrarsi, conclude Goldman, il rapporto deficit-Pil aumenterà. «L’Italia richiederà acquirenti stranieri per le sue attività, il che significa prima di tutto la Cina. L’Italia, insomma, si trasformerà in un parco a tema». Se il Giappone sarà abitato da filippine e indonesiane «pagate da una oligarchia di vecchi», agli italiani resterà il turismo per i cinesi: Roma, Firenze e Venezia. Secondo Goldman, il suicidio demografico italiano ha a che fare anche con il declino della religione. «I più bassi tassi di fertilità si incontrano tra le nazioni dell’Europa orientale, dove l’ateismo è stato l’ideologia ufficiale per generazioni». Al contrario, «Israele avrà più giovani dell’Italia o della Spagna. Un secolo e mezzo dopo l’Olocausto, lo Stato ebraico avrà più uomini in età militare e sarà in grado di mettere in campo un esercito di terra più grande di quello della Germania. Quando la fede scompare, la fertilità svanisce». La spirale di morte in gran parte del mondo industriale, aggiunge Goldman, ha costretto i demografi a pensare anche in termini di fede. «Decine di nuovi studi documentano il legame tra fede religiosa e fertilità. La religione ha cessato di svolgere un ruolo significativo nella società italiana. La metà dei seminaristi di Roma sono africani. Non c’è un Papa italiano da quarant’anni. Ci sarà sempre un nucleo di cattolici in Italia, ma la religione non è ora e non sarà un fattore significativo».Eppure, osserva Meotti, in Italia nessuno parla di suicidio demografico. «Due guerre mondiali – dice ancora Goldman – hanno mostrato agli europei che la loro cultura era deperibile e, per certi versi, costruita su illusioni di superiorità nazionale, e quando queste illusioni sono state chiamate in causa, gli europei hanno visto che non c’era alcuna ragione di sacrificare i piaceri per la cultura». Ancora: «Gli individui intrappolati in una cultura di morte vivono in un crepuscolo del mondo. Abbracciano la morte attraverso l’infertilità, la concupiscenza e la guerra». I membri di una cultura “malata” «cessano di avere figli, si stordiscono con l’alcool e la droga, diventano scoraggiati e spesso la fanno finita con se stessi». Una buona parte del mondo sembra aver perso il gusto per la vita, sostiene Goldman. «La fertilità è scesa finora in alcune parti del mondo industriale in maniera tale che lingue come ucraino ed estone saranno in pericolo in un secolo, e l’italiano nel giro di due». Le culture di oggi «stanno morendo di apatia, non per le spade dei nemici». E l’apatia europea «è il rovescio della medaglia dell’estremismo islamico». Potrà la geriatria italiana essere democratica? «Certamente», conclude Goldman. «Potrete votare democraticamente per chiedere all’ultima persona di spengere la luce».Arrivano ogni anno e sono come un bollettino di guerra. Sono i rapporti dell’Istat sulla popolazione: mai così basso il numero delle nascite. Nel 2016 l’Italia è “dimagrita” di 134.000 persone: come avessimo perso una città delle dimensioni di Salerno. La fecondità è scesa a 1,34 figli per donna: nessun paese al mondo fa meno figli dell’Italia. Secondo lo storico francese Pierre Chaunu, nei paesi europei la disaffezione a procreare ha conseguenze simili alla peste nera che sterminò un terzo della popolazione del continente. A differenza dell’epidemia del medioevo che riempiva i cimiteri, scrive Giulio Meotti sul “Foglio”, l’epidemia di sterilità volontaria svuota i reparti di maternità. Persino per l’Onu, gli italiani sono un gruppo etnico in via di estinzione: nel nostro paese, il rapporto fra nascite e decessi è negativo dal 1990 (per inciso, l’epoca in cui il paese – con il collasso della Prima Repubblica – ha imboccato la via delle privatizzazioni, dell’euro e dell’Unione Europea). I dati per l’Italia – meno di 60 millioni di persone, inclusi però gli immigrati – per le Nazioni Unite sono ancora più terribili se consideriamo il rapporto fra nascite e decessi: indicatore che ha appena raggiunto il valore peggiore di sempre. Dieci anni fa, su “Le Monde”, il sociologo Henri Mendras scrisse che, di questo passo, la popolazione dello Stivale si sarebbe ridotta da 60 a 40 milioni nel 2050.
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De Benedetti, Repubblica e l’equivoco della diversità morale
Scalfari che sdogana il Cavaliere e la “Repubblica” che tace sui contatti affaristici tra Renzi e De Benedetti? E’ la fine di un’epoca, o perlomeno di un equivoco. Negli ultimi vent’anni Marco Travaglio ha attribuito i guai del paese essenzialmente a Berlusconi, non alla potentissima super-casta eurocratica che di Berlusconi si è poi sbarazzata, per poter infliggere il ko finale all’Italia. Stefano Feltri, vicedirettore del “Fatto”, ora si volge verso gli antiberlusconiani storici, quelli del gruppo Espresso, denunciando la fine della loro presunta, lungamente sbandierata “diversità morale”. «Se mettiamo in fila gli eventi di questi ultimi due anni – scrive – capiamo che è davvero finita un’epoca. Il Gruppo Espresso si è fuso con l’Itedi, la società editoriale degli Agnelli che pubblica la “Stampa”, Carlo De Benedetti ha lasciato la presidenza, l’“Espresso” è diventato un allegato di “Repubblica”, molti editorialisti hanno lasciato il giornale (alcuni proprio per il “Fatto”)». E in una delle più accese battaglie politiche di questi anni, il referendum 2016 sulla riforma costituzionale, “Repubblica” non ha preso posizione: «Il suo direttore Mario Calabresi ha dedicato più editoriali critici al sindaco di Roma Virginia Raggi che all’ex premier Matteo Renzi o a Silvio Berlusconi. Il fondatore, Eugenio Scalfari, ha detto che, dovendo scegliere tra Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio, preferisce Berlusconi, ridimensionando vent’anni di leggi ad personam e di politiche economiche contrarie a tutto quello che “Repubblica” e Scalfari hanno sempre professato».In più continua Feltri, De Benedetti ha attaccato Scalfari in una intervista sul “Corriere della Sera”, definendo le sue posizioni «un pugno nello stomaco per gran parte dei lettori di “Repubblica”, me compreso». Scalfari, che ha troncato ogni rapporto, gli ha risposto RaiTre a “Cartabianca”, il salotto di Bianca Berlinguer, dicendo che uno arrivato a 94 anni «se ne fotte» di quello che pensa De Benedetti. Ultima, ma solo in ordine di tempo, la vicenda della speculazione di Carlo De Benedetti grazie alle informazioni avute da Matteo Renzi e dalla Banca d’Italia. Questa, come ha detto l’ex commissario Consob, Salvatore Bragantini, è come minimo «sconveniente», a prescindere dal fatto che sia o meno un reato. Intanto, premette Stefano Feltri, De Benedetti «ha accesso a Renzi e alla Banca d’Italia non tanto perché è (stato) un finanziere di successo – l’impero economico l’ha passato da tempo ai figli – ma in quanto editore di giornali rilevanti. Il non detto di questi rapporti è che il politico o l’uomo delle istituzioni coltiva le simpatie dell’editore convinto di ottenere, per questa via, un trattamento di favore dai giornalisti. E quando poi il giornale dovesse invece dimostrarsi completamente autonomo, si genera la spiacevole telefonata del tipo “Ma come, pensavo fossimo in buoni rapporti…”».In questo, conclude Feltri, si vede che Renzi «non è diverso dagli altri politici che voleva rottamare», se infatti «corteggia gli editori nella speranza di avere trattamenti di favore dai giornali». E De Benedetti, per contro, «non ritiene che invitare a cena ministri e presidenti del Consiglio possa complicare la vita ai suoi direttori ed editorialisti». Secondo: Carlo De Benedetti, che ha consolidato la sua carriera da finanziere «in un’Italia in cui l’uso di informazioni privilegiate per fare operazioni di Borsa non era neppure reato», rivendica la correttezza del proprio operato con questa argomentazione: se avessi saputo davvero qualcosa di specifico, non avrei investito solo 5 milioni ma almeno 20. «Autodifesa che diventa ammissione dell’assenza di ogni vincolo etico». Renzi, da parte sua, «ha dimostrato di non avere alcun filtro, alcuna prudenza nel gestire provvedimenti e informazioni con un impatto sui mercati». Negli anni 2014-2015, ricorda Stefano Feltri, «a Palazzo Chigi c’era un vorticoso ricambio di consulenti, amici del premier, collaboratori più o meno ufficiali che discutevano di Telecom, Eni, Banca Etruria, riforma delle Popolari e delle banche di credito cooperativo. Ora abbiamo chiaro con quale prudenza e quale riservatezza. Chissà quanti “casi De Benedetti” ci sono stati di cui non sappiamo».Terzo profilo sconveniente, nella vicenda Renzi-De Benedetti, «quello più rilevante: la reazione del sistema a tutela del potere costituito». Renzi e De Benedetti «fanno qualcosa, a gennaio 2015, che può essere reato o non esserlo, che può portare a sanzioni o meno». Tutto dipende dalla valutazione che ne viene fatta. La Consob indaga e decide, nel collegio dei commissari, di non sanzionare. La Procura di Roma, a quanto emerge, praticamente non indaga affatto ma chiede subito l’archiviazione dell’unico indagato, il povero broker che esegue l’ordine d’acquisto di azioni di banche popolari arrivato da De Benedetti. La vicenda esce una prima volta sui giornali dopo gli attacchi di Renzi alla Consob di Giuseppe Vegas, e riesplode ora che, con grande fatica, i parlamentari della commissione d’inchiesta sulle banche sono riusciti ad avere una parte dei documenti dalla Procura di Roma. I punti critici sono vari, riassume Feltri: per quasi tre anni, in troppi hanno saputo che incombeva questa bomba su Renzi (incombe ancora, visto che l’inchiesta non è stata archiviata). «Non è mai una cosa sana quando un politico sa di essere potenzialmente ricattabile». Ma perché la Procura di Roma ha mantenuto tanta riservatezza? «Perché il procuratore Pignatone considera grave che il contenuto delle carte sia filtrato dalla commissione banche? Non lo ha mai spiegato».E quando Vegas è andato allo scontro con il governo, dopo la sua mancata riconferma al vertice della Consob, rivelando gli interessamenti di Maria Elena Boschi su Etruria, «sapeva di avere nel cassetto l’arma segreta: tutte le carte di quello che i suoi uffici avevano classificato come insider trading, prima che la commissione lo archiviasse». Vegas “sapeva”, come lo stesso Renzi: «Chi doveva sapere sapeva, e tutti si sono comportati di conseguenza». E i grandi giornali? Sono «parte non irrilevante di questa storia», scrive Feltri. Il giorno in cui esce la trascrizione della telefonata di De Benedetti con il suo broker, “Repubblica” non ha la notizia. «Diciamo che è stato uno scoop della concorrenza, anche se di questa fanno parte praticamente tutti i giornali italiani incluso “La Stampa”, testata dello stesso gruppo editoriale». Il giorno dopo viene dato conto solo del “caso politico” intorno alla telefonata. Poi il “Sole 24 Ore” pubblica sul proprio sito web in modo quasi integrale il verbale di De Benedetti in Consob, dove l’editore di “Repubblica” si difende e rivela i suoi rapporti con Renzi, Boschi, Padoan, Visco, e rivendica perfino di essere stato il primo ispiratore del Jobs Act. «Non una riga esce oggi su “Repubblica” di tutto questo. E, cosa ancora più singolare, solo un francobollo sul “Sole 24 Ore” cartaceo, che invece spesso ha ospitato gli editoriali di De Benedetti. Scelta bizzarra, questa di regalare lo scoop on line ma di non valorizzarlo nell’edizione a pagamento».Gli imprenditori della Confindustria, «che ricevono ogni mattina la copia del giornale che hanno portato vicino al disastro», non hanno così potuto leggere – su quelle pagine – il verbale del loro collega De Benedetti. Lo stesso “Corriere della Sera” dedica al caso un semplice colonnino. Ma non è sempre stato così, annota Stefano Feltri: negli archivi del “Corriere” si trovano ampi e completi articoli, per esempio, su quando alcuni familiari di De Benedetti sono stati sanzionati dalla Consob per 3,5 milioni per un insider trading su Cdb Web Tech, all’epoca uno dei veicoli finanziari dell’Ingegnere. Nel libro “Il desiderio di essere come tutti” (Einaudi, ripubblicato in allegato a “Repubblica”), Francesco Piccolo racconta la storia di una conversione politica, «quella di preferire una sinistra del compromesso, pragmatica e disposta a sporcarsi nella pratica quotidiana del potere rispetto a quella che invece rivendica la superiorità morale, una diversità antropologica, che considera chi vota Berlusconi moralmente disprezzabile». E’ la storia di come Francesco Piccolo ha scelto l’Enrico Berlinguer del compromesso storico al posto di quello della “questione morale” e della diversità comunista. E di come ha accettato di essere italiano, nel bene e nel male, invece che considerarsi sempre diverso, una persona un po’ migliore degli italiani raccontati dalla tv, quelli che votavano prima Democrazia Cristiana e poi Forza Italia.«Scalfari, De Benedetti e “Repubblica” – continua Feltri – sono stati per quarant’anni gli alfieri e la voce di un’Italia che si riteneva migliore della media, che rivendicava il diritto a fare una gerarchia di valori, a inseguire qualche ideale invece che rassegnarsi al “così fan tutti”, che guardava Silvio Berlusconi e il suo stile di vita e poteva permettersi di criticarlo». Illusioni? «Non esiste una Italia migliore e una peggiore», scrive Stefano Feltri: «Gli uomini, visti da molto vicino, sono tutti uguali», o in ogni caso «nessuno ha titolo di giudicare il suo prossimo». Però, aggiunge Feltri, quell’illusione qualcuno è servita: «Ha dato alla politica (soprattutto alla sinistra), agli elettori e soprattutto ai lettori una tensione etica, ha trasmesso il messaggio che poteva esistere un paese migliore». Un paese «magari un po’ tromboneggiante e moralista, talvolta noioso, spesso più conformista di quello che era disposto ad ammettere, ma migliore». E invece, per citare Francesco Piccolo, Scalfari, De Benedetti e “Repubblica” hanno realizzato il loro inconfessato e inconfessabile “desiderio di essere come tutti”, quindi non criticabili da nessuno. «Hanno dissipato ogni illusione di alterità. E se sono tutti uguali, allora non c’è differenza tra De Benedetti e Berlusconi, tra Renzi e D’Alema, tra Salvini e Di Maio. Senza illusioni e senza questione morale restano soltanto il cinismo e l’antipolitica», sostiene Feltri. «Quando, dopo le elezioni di marzo, commentatori e politologi vorranno spiegare il tracollo del Pd e l’inspiegabile tenuta del Movimento Cinque Stelle nonostante le mille prove di dilettantismo, sarà bene considerare tra le variabili rilevanti il crepuscolo della galassia Espresso-Repubblica».Scalfari che sdogana il Cavaliere e la “Repubblica” che tace sui contatti affaristici tra Renzi e De Benedetti? E’ la fine di un’epoca, o perlomeno di un equivoco. Negli ultimi vent’anni Marco Travaglio ha attribuito i guai del paese essenzialmente a Berlusconi, non alla potentissima super-casta eurocratica che di Berlusconi si è poi sbarazzata, per poter infliggere il ko finale all’Italia. Stefano Feltri, vicedirettore del “Fatto”, ora si volge verso gli antiberlusconiani storici, quelli del gruppo Espresso, denunciando la fine della loro presunta, lungamente sbandierata “diversità morale”. «Se mettiamo in fila gli eventi di questi ultimi due anni – scrive – capiamo che è davvero finita un’epoca. Il Gruppo Espresso si è fuso con l’Itedi, la società editoriale degli Agnelli che pubblica la “Stampa”, Carlo De Benedetti ha lasciato la presidenza, l’“Espresso” è diventato un allegato di “Repubblica”, molti editorialisti hanno lasciato il giornale (alcuni proprio per il “Fatto”)». E in una delle più accese battaglie politiche di questi anni, il referendum 2016 sulla riforma costituzionale, “Repubblica” non ha preso posizione: «Il suo direttore Mario Calabresi ha dedicato più editoriali critici al sindaco di Roma Virginia Raggi che all’ex premier Matteo Renzi o a Silvio Berlusconi. Il fondatore, Eugenio Scalfari, ha detto che, dovendo scegliere tra Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio, preferisce Berlusconi, ridimensionando vent’anni di leggi ad personam e di politiche economiche contrarie a tutto quello che “Repubblica” e Scalfari hanno sempre professato».
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Battiato: se rimuovi la morte, sprechi la tua esistenza
C’è della gente, su questo pianeta, che è molto interessante. Ma nessuno lo sa. Gente molto, ma molto interessante, che ha fatto scelte rigororissime e che si sacrifica anche per gli altri, e nessuno lo sa. Scelte meditative, spirituali. Persone che si isolano dal resto del mondo e meditano: sono eccezionali. L’eremitismo è la cosa massima. E quelle persone stupide che dicono che si allontano dalla società non hanno capito niente, di questo genere di strada: quelli sono i veri caposaldi del nostro pianeta. Un eremita che sta meditando cosa ci dà? Tantissimo, molto più di quello che tu possa immaginare. E’ gente che fa ha fatto una scelta così rigorosa – soffrono talmente tanto, nello stato in cui si trovano, che questa loro ascesi è un’ascesi di tutta l’umanità: ogni volta che uno di loro raggiunge un’elevazione spirituale la raggiunge tutta l’umanità. Ma non lo si sa, ed è anche giusto così. Non è telepatia: è scienza, è energia. Il sole è un tipo di energia, la luna è un altro tipo. La gente pensa magari che il sole è una cosa così, che ci riscalda. Invece è energia.E’ qualcosa di superiore ai medici che studiano? Non c’è paragone, perché la gente che arriva a vedere com’è composto l’universo, e come si muovono le cose, la sa molto più lunga di uno che è in ricerca. La cabala ebraica 4.000 anni fa aveva scoperto la scissione dell’atomo; noi ci siamo arrivati da pochissimo. Ma, quando loro lo dicevano, gli scienziati dicevano che erano scemi. La meditazione è avanti anni luce rispetto alle conquiste spaziali? Senza dubbio: perché, con la meditazione, sai già cosa c’è nella galassia. La vita è l’energia che c’è nell’universo. Quello che sbagliano, gli scienziati, è che pensano di arrivare su Marte e vedere della gente con le antennine. Non è quello: è l’energia che circola su Marte, che è vita. Non sono dimensioni parallele. Sono come gli ultruasioni, che noi non sentiamo ma i cani sì. Uno che non li sente pensa: ma io non sento niente, quindi non ci sono. Una cosa che vedi al microscopio, che c’è gente che la vede a occhio nudo: ha questa capacità di penetrazione.La cosa interessante, del campo dello spettacolo, è che si ha la possibilità di passare alla gente delle cose molto serie, che in un altro modo non arriverebbero mai. Questa è la responsabilità che deve avere un musicista, un cantante: la coscienza di sapere che, attraverso un mezzo frivolo, passano delle cose serie. Io sono un contemplativo: per me, nel guardare un imbrunire, il tempo non si perde. Sì, è completamente fuori dai ritmi di questa società. Ma se non si fa così, non ci si salva più, non c’è più speranza. La società è andata in una direzione completamente sbagliata: bisognare fare qualcosa, per riparare. Che fare? Chi cerca, trova: non ci sono dubbi, non c’è problema. In una canzone, “Il Re del Mondo”, ho detto: “Il giorno della fine non ti servirà l’inglese”. E’ questo il problema: la gente si dimentica che la morte arriverà. E’ inevitabile: inutile che cerchiamo di esorcizzarla. Quello è il momento più importante: se durante la vita non fai delle cose che ti rapportano con la morte, hai sprecato un’esistenza. Esiste qualcosa al di là della morte? Sans doute. Ma non ha nulla a che dare con i dogmi che ci danno. La religione cattolica è stata un grave errore, per come si è sviluppata. Ma la religione cristiana è un’altrra cosa: bisogna andarsi a rileggere e a rivedere tutto sotto un’altra angolazione.(Franco Battiato, dichiarazioni rilasciate a Red Ronnie per la video-intervista “La meditazione e il sacro, contemplazione e spriritualità” trasmessa molti anni fa da “Italia 1” e pubblicata su YouTube).C’è della gente, su questo pianeta, che è molto interessante. Ma nessuno lo sa. Gente molto, ma molto interessante, che ha fatto scelte rigororissime e che si sacrifica anche per gli altri, e nessuno lo sa. Scelte meditative, spirituali. Persone che si isolano dal resto del mondo e meditano: sono eccezionali. L’eremitismo è la cosa massima. E quelle persone stupide che dicono che si allontano dalla società non hanno capito niente, di questo genere di strada: quelli sono i veri caposaldi del nostro pianeta. Un eremita che sta meditando cosa ci dà? Tantissimo, molto più di quello che tu possa immaginare. E’ gente che fa ha fatto una scelta così rigorosa – soffrono talmente tanto, nello stato in cui si trovano, che questa loro ascesi è un’ascesi di tutta l’umanità: ogni volta che uno di loro raggiunge un’elevazione spirituale la raggiunge tutta l’umanità. Ma non lo si sa, ed è anche giusto così. Non è telepatia: è scienza, è energia. Il sole è un tipo di energia, la luna è un altro tipo. La gente pensa magari che il sole è una cosa così, che ci riscalda. Invece è energia.
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De Bortoli e Bersani, il crepuscolo dei burattini di Draghi
Il disegno reazionario in atto non può prescindere dal perverso utilizzo dell’informazione. La manipolazione sistematica consente ai massoni neonazisti dominanti, Draghi e Schaeuble in testa, di sterilizzare la democrazia grazie alla sapiente costruzione di un clima di perenne emergenza. Nel 2011 per esempio, la bufala dello spread risultò funzionale all’arrivo al potere di Mario Monti, massone oligarchico già iniziato presso la Gran Loggia Unita d’Inghilterra nonché inserito all’interno di una specifica e perversa super-officina latomistica chiamata “Babel Tower”. Allo stesso modo, lo spettro del “default” serve solo per far trangugiare al popolino alcune volgari contro-riforme che mirano alla definitiva cristallizzazione di una società classista, iniqua, violenta e diseguale. I politici, poco più che burattini al servizio di logge e poteri occulti, vengono frequentemente ingaggiati a contratto, per poi essere cinicamente scaricati una volta divenuti vecchi ed inservibili.Prendiamo il caso della cosiddetta “sinistra del Pd”, gruppo eterogeneo formato da una accozzaglia di mediocri, raccolti intorno ad un leader da operetta come Pierluigi Bersani. Se un alieno, appena sbarcato sul pianeta Terra, s’imbattesse per caso in un tipo alla Alfredo D’Attorre, potrebbe per un attimo scambiarlo per un sincero democratico, attento alla tenuta della democrazia e alle ragioni dei più deboli. Peccato le cose non stiano così. D’Attorre, infatti, al pari di Bersani, Letta, Fassina, Cuperlo, Bindi e compagnia cantante, fa parte di quella nutrita schiera di personaggi che usa la verità come arma di ricatto contrattuale. Fino a quando il Pd era dominato dalla vecchia guardia, le politiche di austerità erano necessarie e responsabili; ora che Draghi ha licenziato gli antichi servitori, promuovendo al rango di nuovo caposala l’astuto pinocchietto fiorentino Renzi, molte mezze calzette trovano improvvisamente il coraggio di dire apertamente ciò che prima, per interesse e pavidità, non osavano neppure sussurrare.Chi ha voluto Monti al potere? Il Pd di Bersani. Chi ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione? Il Pd di Bersani. E il Fiscal Compact? Sempre il Pd di Bersani. E la riforma Fornero? Idem. Renzi effettivamente è squallido, ma i suoi nemici interni sono più squallidi di lui, aggiungendo abbondante ipocrisia alla conclamata nefandezza. “Hanno la faccia come il culo”, sintetizzerebbero i geniali autori di un glorioso settimanale del passato come “Cuore”. La speranza è che simili figuri, pronti a sottoporsi ad un intervento di ricostruzione dell’imene pur di rifarsi una verginità perduta, vengano definitivamente archiviati con il disonore che meritano nel dimenticatoio puzzolente della storia. Un altro del quale nessun uomo per bene potrà mai sentire la mancanza è Ferruccio de Bortoli, portavoce del massone contro-iniziato Mario Draghi, recentemente cacciato dalla guida del “Corriere della Sera”. De Bortoli, fatto della stessa pasta dei vari Bersani e D’Attorre, si è congedato dai suoi lettori scrivendo un lungo pezzo, tanto paradossale quanto ridicolo. «I giornali devono essere scomodi», pontifica l’ex direttorino armato di ciuffo ed erre moscia, massima espressione di un giornalismo meschino, forte con i deboli e debole con i forti.Il “Corriere” di Flebuccio in effetti è stato scomodo: scomodo per i precari, per i poveri, per i disoccupati, per i pensionati e per gli studenti, tutti criminalizzati dal piglio perbenista del miliardario con la penna posto a difesa del santuario “mercatista”. De Bortoli ebbe perfino il coraggio di augurare all’Italia l’arrivo della Troika, da sempre perfettamente a suo agio nel ruolo di Gabibbo di lusso che fustiga i vizi della Casta che lo pasce e lo arricchisce. Senza la scientifica opera di mistificazione messa in piedi da giornalisti e politicanti asserviti ai soliti centri di potere, non sarebbe stato possibile svuotare dalle fondamenta la democrazia in Europa. Dal nuovo direttore del “Corriere”, Luciano Fontana, non è lecito aspettarsi granché. Di sicuro fare peggio di De Bortoli sarà difficile per chiunque. Perfino per Fontana. In bocca al lupo.(Francesco Maria Toscano, “Il cepuscolo di Ferruccio de Bortoli e Pierluigi Bersani, fedeli esecutori dei diktat impartiti da Francoforte dal maestro venerabile Mario Draghi”, dal blog “Il Moralista” del 6 maggio 2015. Toscano è segretario del “Movimento Roosevelt”, fondato con Gioele Magaldi).Il disegno reazionario in atto non può prescindere dal perverso utilizzo dell’informazione. La manipolazione sistematica consente ai massoni neonazisti dominanti, Draghi e Schaeuble in testa, di sterilizzare la democrazia grazie alla sapiente costruzione di un clima di perenne emergenza. Nel 2011 per esempio, la bufala dello spread risultò funzionale all’arrivo al potere di Mario Monti, massone oligarchico già iniziato presso la Gran Loggia Unita d’Inghilterra nonché inserito all’interno di una specifica e perversa super-officina latomistica chiamata “Babel Tower”. Allo stesso modo, lo spettro del “default” serve solo per far trangugiare al popolino alcune volgari contro-riforme che mirano alla definitiva cristallizzazione di una società classista, iniqua, violenta e diseguale. I politici, poco più che burattini al servizio di logge e poteri occulti, vengono frequentemente ingaggiati a contratto, per poi essere cinicamente scaricati una volta divenuti vecchi ed inservibili.