Archivio del Tag ‘Denis Verdini’
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La sfida: resettare i partiti-farsa e rifondare la politica
«Disinnescato Conte, una volta insediato il governo di Dragon Ball, Renzi passerà alla fase 2 affinché non fallisca la congiura fiorentina», architettata «per tirare fuori il paese dalle secche, a un passo dall’insolvenza», e soprattutto rilanciare – dopo anni di panchina – «l’ex Bullo di Rignano, perfetto genio guastatore, che ha rinunciato a un Conte-Ter oggi per una gallina domani», ovvero «quella dalle uova d’oro del suo vero pigmalione: il cavaliere Silvio Berlusconi». Con il consueto stile scanzonato, “Dagospia” ricostruisce così un importante retroscena della crisi di palazzo che ha portato alla defenestrazione di Conte a opera del sabotatore Renzi, di cui a qualcuno poteva sfuggire la logica: solo in Italia potrebbero accadere cose simili, fingeva di meravigliarsi l’influencer Andrea Scanzi, insieme ai colleghi del “Fatto”, giornale trasformato in house organ dell’ex “avvocato del popolo”. Ma come, si cola a picco un governo-meraviglia proprio in piena crisi pandemica, e davanti all’urgenza del Recovery Plan? E a sfasciare tutto, inorridiva Scanzi, è un partitino che mette insieme appena il 2% dei voti?Velo pietoso, sul “Fatto”: viaggiando ormai a fari spenti, Marco Travaglio (sfidando il ridicolo, come fan numero uno di “Giuseppi”) si era spinto a consigliare al primo ministro di procedere con la pesca miracolosa dei senatori voltagabbana, pur di salvare la poltrona. E’ lo stesso Travaglio che giurava di credere alla religione moralistica di Grillo & Casaleggio, quella del “Vaffa” e del celebre “uno vale uno”. E pazienza se poi la realtà ha raccontato esattamente il contrario della fiction elettorale: un movimento-farsa zeppo di incapaci disastrosi, pronti a tradire gli elettori e a sostenere per oltre un anno il governo più catastrofico della storica repubblicana, nato solo per stoppare Salvini ma poi capace di una specie di miracolo, regalando all’Italia il record della peggior prestazione europea sul Covid: elevatissimo numero di vittime e spaventoso collasso economico. Ma niente paura: mentre “Giuseppi” finalmente crollava, i mezzibusti televisivi del “Fatto” stavano ancora a domandarsi come fosse possibile che un simile esecutivo da Premio Nobel venisse affossato da un minuscolo insetto molesto e insignificante, tale Matteo Renzi.Perfettamente inutile sperare che i giornali – non solo il “Fatto” – spieghino il retroterra profondo della crisi italiana, che ha infine spinto il Quirinale a commissariare la politica nazionale imponendo Draghi, di fronte alla bancarotta del sistema. La recita andata in scena per decenni (centrosinistra contro centrodestra, con varianti colorite ma sempre irrilevanti) è servita solo a far marciare l’agenda neoliberista: azzerare lo Stato, trasformandolo in arcigno esattore, e lasciando piena licenza di razzia ai grandi gruppi privati. Ultimo grande diversivo, le spettacolari ciance di Grillo: prima di rimangiarsi la parola su ogni proposito enunuciato, il baby-movimento neo-monarchico agli ordini dell’Elevato era riuscito a dire no a tutto, tranne all’unico nemico (quello vero), dominante da decenni, cioè il potere apolide del “pilota automatico”, imposto dai burattini di Bruxelles. Meglio l’innocuo populismo: alzare i toni contro il nulla, la “casta”, il “partito di Bibbiano” (con cui poi sedere al governo). Ragli sonori, come quelli contro i costi (trascurabili) della politica, senza preoccuparsi di una politica che sia innanzitutto efficiente, capace e coraggiosa.Un filone fortunatissimo, in Italia: a inaugurare il populismo elettoralistico fu Berlusconi, poi imitato da Renzi (in salsa politically correct) e infine da Grillo, in versione gridata, fino all’ultimo grande urlatore, Salvini. Fa eccezione il Pd, limitatosi al ruolo notarile di freddo esecutore dei peggiori diktat europei, sepolta per sempre l’antica ispirazione socialista dei fondatori. A tutto questo, ora – complice la sciagura-Covid – qualcuno ha staccato la spina, inducendo Mattarella a lanciare in pista Mario Draghi: non solo per tamponare le voragini (sanitarie, economiche e sociali) create da “Giuseppi”, ma anche e soprattutto per resettare un sistema politico da tempo in coma farmacologico. Primo passo: costringere i finti avversari a cooperare tra loro, sostenendo il medesimo esecutivo, e lasciando agli ultimissimi urlatori (Meloni, Di Battista, Paragone) il premio di consolazione degli applausi gratuiti, destinati a chi non intende candidarsi davvero a governare niente.A valle della strategia, resta la tattica: di questa si occupa, in modo brillante, “Dagospia”, che legge – nell’ultima giravolta renziana – la «fusione a freddo» in arrivo, tra Forza Italia e Italia Viva, «con un pizzico di Bonino e una spruzzata di Calenda». Renzusconi, certo: servirebbe anche «per racimolare un dignitoso 12-15%, sempre comodo per salvaguardare gli interessi mediatici del Banana, Media For Europe, con sede legale in Olanda, preda dell’ex amico d’oltralpe Bollorè e momentaneamente “al riparo” nei box dell’Agcom». A Draghi, infatti – scrive “Dago” – non risulterà difficile «convincere il portacipria di Brigitte, cioè Macron, che alla Francia è già andata in dote la Fiat e va bene così: non è il caso di tirare troppo la corda delle Telco, perché anche la fibra a volte si spezza e si finisce nella Rete (unica, magari)». Ma il passaggio di testimone da Berlusconi – privo com’è di eredi dotati di leadership – a Renzi, «ben felice di occupare l’area del centro», è stato improvvisamente «messo a soqquadro dall’improvvisa conversione a Ue dell’ex sovranista Salvini», il quale punta allo stesso obiettivo di Renzi: prendersi Forza Italia, anche grazie a Denis Verdini, Mara Carfagna e Giovanni Toti.Archiviato il Papeete, il capo leghista «ha capito al volo che l’appello di Mattarella “a tutte le forze politiche presenti in Parlamento, perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo”, poteva essere il momento giusto per abiurare l’antieuropeismo legaiolo senza perdere la faccia». Secondo il newsmagazine di Roberto D’Agostino, la visione dell’ex Truce, supportato dal “partito del Pil” (il quartetto Giorgetti-Fedriga-Zaia-Fontana, da sempre a favore della svolta) è di portare la Lega nel Partito Popolare Europeo. «E una volta che la Cdu di Angela Merkel potrà accettarlo, lascerà al loro destino i due rospi del sovranismo, Marine Le Pen e la tedesca Afd». Sarà «un percorso di riverginazione, che prenderà almeno un anno», scrive “Dago”, immaginando – in modo molto avventuroso – che la Merkel (in realtà in uscita) sarà ancora l’imperatrice europea, e che la stessa Ue sia destinata a restare uguale a se stessa, a prescindere dagli scossoni in arrivo proprio dall’Italia, dove l’ex profeta del “pilota automatico”, Draghi, ha già chiarito – da almeno due anni – che il futuro passa per il ritorno a Keynes, smentendo decenni di eurocrazia post-democratica.Cambiare l’Europa: è questo il tema di fondo, che “Dagospia” sembra non cogliere, limitandosi a monitorare il piccolo cabotaggio dei mini-leader italiani, Renzi e Salvini, intenti a prenotare per sé le spoglie politiche del Cavaliere. Movimenti che evidenziano l’imminenza di rivolgimenti significativi: l’estinzione di Conte e dei grotteschi 5 Stelle (con la loro piattaforma tecno-demiurgica) potrebbe essere sintomatica di una rigenerazione profonda dello stesso impianto eurocentrico, con le correzioni che si attendono da Mario Draghi (non ripristinare il rigore, neppure dopo la fine della stagione Covid). Questo porrebbe in una luce completamente diversa ogni singolo attore politico: il Pd che del rigore è stato il massimo cantore italiano, il Renzi che (come Grillo e Berlusconi) ha solo finto una rottamazione di facciata, e il Salvini – capo dell’attuale primo partito italiano – che potrebbe approfittare dell’evento-Draghi (una stagione virtualmente lunga, se si prolungasse al Quirinale) per contribuire a riscrivere lessico e grammatica delle istanze che oggi impongono l’abbandono delle finte guerre per passare finalmente alla sfida – vera – contro il neoliberismo che in questi decenni ha ridotto la politica a una farsa.«Disinnescato Conte, una volta insediato il governo di Dragon Ball, Renzi passerà alla fase 2 affinché non fallisca la congiura fiorentina», architettata «per tirare fuori il paese dalle secche, a un passo dall’insolvenza», e soprattutto rilanciare – dopo anni di panchina – «l’ex Bullo di Rignano, perfetto genio guastatore, che ha rinunciato a un Conte-Ter oggi per una gallina domani», ovvero «quella dalle uova d’oro del suo vero pigmalione: il cavaliere Silvio Berlusconi». Con il consueto stile scanzonato, “Dagospia” ricostruisce così un importante retroscena della crisi di palazzo che ha portato alla defenestrazione di Conte a opera del sabotatore Renzi, la cui logica poteva sfuggire ai più distratti: solo in Italia potrebbero accadere cose simili, fingeva di meravigliarsi l’influencer Andrea Scanzi, insieme ai colleghi del “Fatto”, giornale trasformato in house organ grillino dell’ex “avvocato del popolo”. Ma come, si cola a picco un governo-meraviglia proprio in piena crisi pandemica, e davanti all’urgenza del Recovery Plan? E a sfasciare tutto, inorridiva Scanzi, è un partitino che mette insieme appena il 2% dei voti?
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Della Luna: vietato illudersi, a vincere è sempre il peggiore
Al fondo della evidente sterilità del pubblico dibattito sociopolitico vi è un malinteso che si compone solamente, appunto, rendendo quel dibattito un esercizio inerte di inganni e autoinganni. Verso l’attività politica interna e internazionale, istituzionale, economica, la sensibilità della gente ha richieste di trasparenza, correttezza, legalità, rispetto, moralità di fondo, e di una giustizia che operi gratis et amore legis. Per contro, l’attività politica, istituzionale, economica, è una competizione in cui, per non perdere, è indispensabile ricorrere alla segretezza, alla scorrettezza, alla slealtà, all’inganno, al ricatto, alla violenza, alla violazione delle regole, alla strumentalizzazione del potere giudiziario. La sensibilità popolare continua, pertanto, a richiedere alla politica, alle istituzioni (compresa quella giudiziaria), all’economia, ciò che esse per loro natura non possono dare, fare, essere. Tra le varie pretese, continua ad avanzare quella che la competizione politica e la competizione economica si facciano senza commettere reati, cioè rispettando le norme, mentre il vantaggio competitivo viene in gran parte proprio dalla superiore capacità di sottrarsi alle norme rispetto ai concorrenti, e ancor più, specie nell’attuale società di mercato, dalla capacità di comperare o altrimenti condizionare il legislatore e il governo al fine di ottenere scelte fatte a proprio vantaggio, nonché i tribunali al fine di ottenere una giustizia di favore per sé, e repressiva verso i competitori, come ampiamente spiego nel mio “Le chiavi del potere” (Aurora Boreale, 2019).La composizione di questa oggettiva divergenza tra le esigenze della sensibilità etica da una parte e le regole della realtà dall’altra, avviene in quanto, da un lato, il potere costituito, le istituzioni, l’economia, controllando i mass media, riescono a dare di se stessi un’immagine più o meno accettabile e che nasconde il peggio della realtà, le cause vere dei mali, offrendo spiegazioni ingannevoli, capri espiatori, nemici esterni e prospettive di giustizia e miglioramento; mentre, dall’altro lato, la sensibilità della gente mal sopporta la consapevolezza della sgradevole realtà suddetta, quindi è predisposta ad accogliere quell’immagine rassicurante, a credere nelle spiegazioni fornite, a prendersela con i capri espiatori e i falsi nemici, a sperare nella giustizia e nei miglioramenti. Così avviene che il dibattito per l’opinione pubblica continua a cibarsi di scemenze quali sono le campagne di moralizzazione della politica e dell’economia mediante provvedimenti come la legge Severino, lo Spazzacorrotti, il blocco della prescrizione, e via blaterando. Continua, perché la maggioranza della gente non apprende da tutte le numerose e multiformi esperienze che ci hanno mostrato che non si vince se non si viola le regole, se non si ruba per alimentare le clientele, e se non si serve ai poteri forti fuori dello Stato, che altrimenti ti abbattono a colpi di rating, di spread, di Colle, di mass media, di avvisi di garanzia. E che vogliono papparsi fino in fondo quel che si può togliere all’Italia.Alla luce di queste considerazioni, evoco qui Fabrizio Fratus, che, nel suo sagace pezzo odierno “La politica è un po’ come Diletta Leotta: bella ma finta” dice cose non solo condivisibili, ma anche molto utili; solo che non parla propriamente della politica, bensì del teatrino e dei teatrinanti dietro cui sta e agisce la politica vera, quella che decide le cose grandi e non si lascia discutere in piazza né in tribunale. Fratus parla di un oramai incessante, camaleontico, proteiforme “adattarsi [nonché] rimodellarsi all’occorrenza” dei partiti politici. Questo modo di procedere, che non si cura della coerenza, è chiamato realismo politico, però non sempre paga. M5S, Pd e Lega si sono esibiti in ripetute giravolte e contraddizioni totali. Il primo, quando ha visto che da solo non poteva fare un governo, è passato dal rifiuto aprioristico di ogni alleanza, al governo con la Lega; poi, per restare al governo, è passato dal rifiuto assoluto di accordi col Pd a un abbraccio col Pd; e in generale da posizioni anti-sistema a posizioni intra-sistema per conservare la poltrona. Risultato: crollo dei consensi, perché il suo elettorato disapprova le contraddizioni e le confusioni.Similmente, il Partito Democratico, «che negli ultimi 14 anni è stato al governo per ben 11,5 anni», per riprendersi il potere e per tema di una vittoria salviniana, si è inciuciato col M5S, mentre prima, a testa alta, stava ai suoi antipodi. Salvini – spiega Fratus – sa che neppure con la Lega al 55% potrebbe governare, perché i mercati lo affonderebbero; perciò si è rimangiato tutto su Ue ed euro, dicendo che dobbiamo tenerceli perché utili all’Italia; ed è anche virato verso il centro politico, si è dato alla ricerca assidua del Washington consensus; e, peggio di tutto – aggiungo io – ha invocato Draghi a Palazzo Chigi: sembra quasi che voglia proporsi al posto del Pd come partito di servizio del turbocapitalismo finanziario dei prima vituperati eurocrati e banchieri predoni. Ingenuo allora meravigliarsi di un abboccamento Salvini-Renzi: i due già hanno in comune frequentazioni verdiniane e il progetto di abbattere Conte. Il disegno politico dei due Mattei, secondo Fratus, è di sostituire il Bisconte con un governo tecnico Lega-Fi-Iv fino ad eleggere un nuovo presidente della Repubblica – lo correggo: presidente del Protettorato; poi andare al voto col proporzionale, e formare un governo Lega-Fi-Iv con un Giorgetti.Ma Fratus ritiene probabile che a uscir vincitore sarà invece Giorgia Meloni, siccome è «l’unica che da anni e piano piano stia realmente costruendo un progetto politico valido e coerente, mentre Matteo Salvini non è considerato autorevole e soprattutto non ha appoggi all’estero. Giorgia Meloni è in forte crescita, è più stimata di Salvini, è donna e ha ottimi rapporti con i conservatori americani ed europei. Soprattutto non è percepita come un pericolo». In realtà nessuno dei predetti concorrenti andrà al potere. Il potere – cioè quello che decide e impone per esempio l’euro, certi modelli finanziari e socioeconomici, la liquidazione degli Stati nazionali, le migrazioni di massa – non è alla loro portata, ed essi devono addirittura astenersi dal criticare a fondo le sue scelte, se vogliono entrar nell’area di governo e infilare le dita nel vaso delle caramelle (solo chi non aspira a far ciò può essere e restare liberamente critico verso il sistema e i suoi interessi). Il potere vero non si mette certamente in gioco nel voto popolare. Lo si vede anche dalla facilità con cui tiene il Pd al governo e al Colle praticamente sempre, anche col solo 20%, e anche se il Pd apertamente inchioda il paese alla recessione per favorire la campagna di acquisti da parte dei capitali stranieri.E’ inutile, illusorio chiedere a un partito politico di essere una forza critica del sistema, di essere intellettualmente sincero o per fare gli interessi collettivi, cari Borghi e Bagnai: ogni soggetto che aspiri ad entrare nella camera dei bottoni e dei bonbons, o anche solo ad ottenere consenso popolare e accesso ai mass media, deve da un lato censurarsi e adeguarsi al potere vero; e dall’altro lato adeguarsi alla capacità di comprensione della gente, concentrandosi sul breve termine della rincorsa dei sondaggi e dei processi. Servire al potere costituito consiste, per un partito, innanzitutto, nell’apportargli l’obbedienza popolare. Nel 2002 scrivevo, a questo proposito: «Al fine che le masse che ricevono motivatori illusori e credano in questi motivatori e nella legittimità del sistema, i privilegi economici veri ricevuti dagli associati al potere, e la funzione di tali privilegi, devono essere o nascosti (non notiziati, giudiziariamente coperti) o legittimati mediante un camuffamento… Esistono agenzie che forniscono servizi di legittimazione ideale al potere (anche se esse stesse costituiscono centri di potere), come i partiti, i sindacati, le religioni organizzate e i news media, imbonendo il popolino; esse ricevono in cambio corrispettivi utilitari» (”Le chiavi del potere”, 2002-2003-2019, pagina 306). Per contro, chi vuole promuovere mutamenti per trasformare a fondo il sistema, deve agire sul piano teoretico, scientifico, filosofico, spirituale.(Marco Della Luna, “I teatrinanti del malinteso sociopolitico”, dal blog di Della Luna del 14 febbraio 2020).Al fondo della evidente sterilità del pubblico dibattito sociopolitico vi è un malinteso che si compone solamente, appunto, rendendo quel dibattito un esercizio inerte di inganni e autoinganni. Verso l’attività politica interna e internazionale, istituzionale, economica, la sensibilità della gente ha richieste di trasparenza, correttezza, legalità, rispetto, moralità di fondo, e di una giustizia che operi gratis et amore legis. Per contro, l’attività politica, istituzionale, economica, è una competizione in cui, per non perdere, è indispensabile ricorrere alla segretezza, alla scorrettezza, alla slealtà, all’inganno, al ricatto, alla violenza, alla violazione delle regole, alla strumentalizzazione del potere giudiziario. La sensibilità popolare continua, pertanto, a richiedere alla politica, alle istituzioni (compresa quella giudiziaria), all’economia, ciò che esse per loro natura non possono dare, fare, essere. Tra le varie pretese, continua ad avanzare quella che la competizione politica e la competizione economica si facciano senza commettere reati, cioè rispettando le norme, mentre il vantaggio competitivo viene in gran parte proprio dalla superiore capacità di sottrarsi alle norme rispetto ai concorrenti, e ancor più, specie nell’attuale società di mercato, dalla capacità di comperare o altrimenti condizionare il legislatore e il governo al fine di ottenere scelte fatte a proprio vantaggio, nonché i tribunali al fine di ottenere una giustizia di favore per sé, e repressiva verso i competitori, come ampiamente spiego nel mio “Le chiavi del potere” (Aurora Boreale, 2019).
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Uno vale zero: la squallida pochezza dei “traditori” 5 Stelle
«Il governo vale bene ogni compromesso» (Denis Verdini). Persino peggio di Renzi dopo il referendum, Disastro Di Maio ha negato ogni responsabilità diretta nella meritatissima disfatta elettorale del Movimento 5 Stelle. E con la scontata complicità della farsesca Piattaforma Casaleggio, s’è imbullonato a tutte le sue poltrone, una sull’altra. Quando tempo fa ho definito il Movimento 5 Stelle la peggiore truffa di massa dopo lo schema Ponzi, sono stata ingiusta verso Ponzi: dopotutto lui non ha consegnato il suo paese a Salvini. Il fatto che, dopo un decennio d’iperboliche promesse di palingenesi, i grillini siano finiti a fare i Minions del trippone leghista non è che la prova definitiva della loro squallida pochezza. Dalla Val di Susa a Pomigliano, da Taranto a Melendugno, non c’è comunità che il M5S non abbia tradito. Dal contratto nazionale per i riders, alla nazionalizzazione della società autostrade, non c’è impegno solenne che non si sia rimangiato.Persino la promessa elettorale mantenuta nel vano tentativo di comprarsi una manciata di voti s’è rivelata una mezza truffa: quel reddito di cittadinanza pubblicizzato come “l’abolizione della povertà”, ma in realtà costruito in modo che potessero effettivamente ottenerlo solo meno d’un quinto di coloro ai quali era stato promesso, ricevendo in media solo meno di metà della cifra promessa. La convinzione di potersi comprare a prezzo scontato il voto di chi è povero è quanto di più classista si possa concepire. Infatti ci aveva provato anche il Pd, col micragnoso “reddito d’inclusione”. Intanto, vinte le europee, Salvini ha di fatto gettato la maschera, e la felpa, da “amico del popolo”, per imporre il suo programma solidamente classista: Flat Tax per favorire i contribuenti più ricchi, autonomia differenziata per favorire le regioni più ricche, Grandi Opere per favorire gli speculatori, condoni per favorire gli evasori, e decreti sicurezza per manganellare e incarcerare chiunque dissenta.È questa, da sempre, la sostanza del fascismo leghista. Il resto è clickbait. Perciò l’improvviso “antifascismo” elettorale del socio M5S non è più credibile di quello del Pd, che con la Lega condivide Grandi Opere e Dottrina Minniti su migranti e manganelli. Ogni altra Grande Opera al Nero che il Movimento Zero Stelle controfirmerà, sarà un altro passo verso l’estinzione.(Alessandra Daniele, “Uno vale zero”, da “Carmilla” del 2 giugno 2019).«Il governo vale bene ogni compromesso» (Denis Verdini). Persino peggio di Renzi dopo il referendum, Disastro Di Maio ha negato ogni responsabilità diretta nella meritatissima disfatta elettorale del Movimento 5 Stelle. E con la scontata complicità della farsesca Piattaforma Casaleggio, s’è imbullonato a tutte le sue poltrone, una sull’altra. Quando tempo fa ho definito il Movimento 5 Stelle la peggiore truffa di massa dopo lo schema Ponzi, sono stata ingiusta verso Ponzi: dopotutto lui non ha consegnato il suo paese a Salvini. Il fatto che, dopo un decennio d’iperboliche promesse di palingenesi, i grillini siano finiti a fare i Minions del trippone leghista non è che la prova definitiva della loro squallida pochezza. Dalla Val di Susa a Pomigliano, da Taranto a Melendugno, non c’è comunità che il M5S non abbia tradito. Dal contratto nazionale per i riders, alla nazionalizzazione della società autostrade, non c’è impegno solenne che non si sia rimangiato.
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Bufera su Visco, ma silenzio sul retroscena (supermassonico)
Si può anche chiamarla massoneria, ma la definizione è imprecisa: perché non tutti gli affiliati alle superlogge internazionali sono stati iniziati all’obbedienza massonica. Forse non ha mai indossato il grembiulino neppure l’uomo attualmente nella bufera, Ignazio Visco, in quota alla Ur-Lodge reazionaria “Edmund Burke”, difeso da Giorgio Napolitano (superloggia “Three Eyes”, come il ministro Padoan) e attaccato da Matteo Renzi, «che non è massone ma ha ripetutamente bussato – invano, finora – alle stesse reti: quelle della aristocrazia supermassonica neo-conservatrice, attraverso entità paramassoniche come il potentissimo Council on Foreign Relations, di Washington». L’autore di queste indicazioni sulla presunta identità supermassonica del vero potere è Gioele Magaldi, già gran maestro del Goi e poi affiliato alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Nel 2014 Magaldi ha dato alle stampe “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere e trasformatosi in bestseller-fantasma: solo il “Fatto Quotidiano” l’ha adeguatamente recensito, nel silenzio assordante dei grandi media. Che peraltro continunano a ignorare Magaldi, anche quando parla di massoneria italiana e di casi scottanti come l’affare Mps, su cui pesa tra l’altro anche lo strano “suicidio” di David Rossi.«Anziché attaccare il Grande Oriente per le vicende provinciali di Banca Etruria – afferma Magaldi, oggi presidente del Movimento Roosevelt – giornali e televisioni farebbero meglio a interrogarsi sul ruolo di Mario Draghi e Anna Maria Tarantola, poi ministra di Monti: erano al vertice di Bankitalia quando la banca centrale avrebbe dovuto vigilare sull’operato del Montepaschi». Analoga polemica con Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”: «Si parla genericamente di massoneria, in relazione a piccole vicende locali, mentre si continua a ignorare il ruolo supermassonico di primo piano rivestito in Italia, per conto di reti internazionali, da personalità come Monti, Draghi, la stessa Tarantola, l’ex presidente Napolitano e l’attuale ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan». Sotto il fuoco renziano è ora finito Ignazio Visco? Non una parola, dal mainstream, sul possibile retroterra comune dei contendenti, legati a influenti “salotti” non italiani. Silenzio anche sul ruolo della banca centrale, a cui un altro supermassone, l’eurocrate Carlo Azeglio Ciampi, “staccò la spina” nel 1980, facendo in modo che Bankitalia cessasse di fungere da “bancomat del governo”, a costo zero, costringendo lo Stato – per finanziare il debito pubblico – a rivolgersi all’esosa finanza internazionale, mettendo all’asta i propri bond. Risultato: una falla rovinosa nel debito italiano, perfetta per indebolire il paese di fronte all’eurocrazia.«La messa alla berlina del governatore Visco ad opera della maggioranza piddina rappresenta un patetico scaricabarile politico», scrive Alberto Bagnai sul blog “Goofynomics”, che parla di «modus paraculandi». Bankitalia non vigilava adeguatamente sulla crisi delle banche italiane? Consob neppure? Chi, onestamente, può dire il contrario? «Ma pensiamo davvero che Visco e Fazio fossero degli incompetenti, dei dilettanti? Se così fosse – aggiunge Bagnai – la loro nomina ad opera della classe dirigente che ancora oggi si ripropone come insostituibile oligarchia dovrebbe suscitare alcune domande anche nell’elettore più superficiale». Forse, continua Bagnai, la causa di tante “sviste” ad opera degli organismi di controllo esterni e interni alle banche italiane «era imputabile non all’umana pochezza ma ad un’altra causa: ad un vincolo esterno». Più precisamente «a un chiaro e inequivocabile ordine di scuderia», emanato in sede europea. «Un ordine al quale tutti, ma proprio tutti, dai vertici Bce fin al più passivo sindaco e revisore della più piccola banca territoriale», dovevano sottostare. Ovvero: «Non intralciare l’enorme arbitraggio finanziario reso possibile dal Trattato di Maastricht e dall’unione monetaria».Arbitraggio? «Così si chiama il prendere a prestito nel nucleo e prestare con spread ai mal-investitori della periferia senza subire rischi di cambio e senza alcun controllo sui movimenti dei capitali», spiega l’economista. «Una colossale macchina da soldi, la cui già enorme potenza era ulteriormente amplificata dal mercato dei derivati, grazie al quale si diluivano i rischi di credito nell’oceano degli ignari e polverizzati investitori globali». In pratica, una droga: «Come nel narcotraffico fisico, nel narcotraffico finanziario tutti si sono sporcati le mani: i coltivatori (ingegneri e top manager finanziari), i cartelli dei trafficanti (le grandi banche del nucleo, cresciute in “Germagna” sino a diventare uno Stato nello Stato), i cartelli degli spacciatori e la loro rete di “down the line dealers” (le grandi banche commerciali periferiche e le numerose banchette che le contornano)». E poi anche «i governi, i responsabili dei controlli a tutti i livelli: pubblici e privati, nazionali e internazionali, i partiti e le forze politiche, tutti pro-Maastricht e pro-euro (ricordo che la “Costituzione europea” da noi fu votata all’unanimità e il Fiscal Compact con dibattito praticamente zero»).E’ stato questo il “miracolo” dell’euro, sintetizza Bagnai con sarcasmo: «È stata questa la fonte di accumulo di capitale finanziario che ora permette la fase due: sfruttare la mobilità incontrollata del lavoro». Quindi, «cari moralisti falliti e vigliacchi – chiosa l’economista – chi di voi è senza Maastricht scagli la prima pietra». Se è difficile leggere analisi di questo tenore sulla grande stampa, o tantomeno ascoltarle in televisione, è addirittura impensabile imbattersi in spiegazioni dettagliate su quello che Bagnai chiama “vincolo esterno”. La piaga del neoliberismo finanziario in versione europea ha drasticamente impoverito centinaia di milioni di persone? Certamente, osserva Magaldi, ma bisogna pur sapere che ogni piano – compreso questo – cammina sulle gambe di individui precisi, accuratamente selezionati da un’élite occulta per occupare posti-chiave. Rarissimo che l’oligarchia si dichiari: è accaduto di recente in Francia, quando il supermassone reazionario Jacques Attali ha rivendicato la partenità del progetto che ha portato all’Eliseo la sua creatura, Emmanuel Macron, già dirigente della Banca Rothschild. In Italia, invece, si sorvola regolarmente anche su un altro difensore di Ignazio Visco: Romano Prodi. «Ne parlerò nel sequel di “Massoni”, di prossima uscita», annuncia Magaldi.«Pessimo interprete di questa globalizzazione privatizzatrice», l’ex premier ulivista, ex presidente della Commissione Europea nonché advisor di Goldman Sachs: benché ufficialmente “progressista” sarebbe anch’esso «affiliato a quelle potenti reti supermassoniche internazionali che hanno progettato la grande crisi, in termini di svuotamento della democrazia e colossale trasferimento della ricchezza dal basso verso l’alto», sostiene Magaldi. La stampa ne coglie sempre e solo gli effetti terminali – la disoccupazione, la crisi dei risparmiatori colpiti dai crack bancari – evitando però sempre di inquadrare il disegno, i suoi architetti occulti e i relativi interpreti locali. Non stupisce che giornali e televisioni continuino a ignorare le rivelazioni di Magaldi, che forniscono un’inedita geografia del vero potere. Tra le 36 superlogge mondiali, da cui dipendono entità paramassoniche come il Bilderberg e la stessa Trilaterale, spicca il ruolo nefasto svolto negli ultimi decenni dalle Ur-Lodges neoaristocratiche e oligarchiche, come la “Edmund Burke”, la “Compass Star-Rose”, la “Leviathan”, la “White Eagle”, senza contare la potentissima “Three Eyes” (Kissinger, Rockefeller, Rothschild) e la “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush, secondo Magaldi con intenti addirittura terroristici (11 Settembre, Al-Qaeda, Isis).A valle, la mappa del back-office del potere si rifletterebbe in Italia – come in ogni altro paese, non solo occidentale – nel reticolo dei leader locali: Magaldi ha ripetutamente indicato l’appartenenza di Giorgio Napolitano alla “Three Eyes” (la stessa di Attali). Della “Three Eyes” farebbero parte anche Padoan e Draghi, Gianfelice Rocca (Techint) e Giuseppe Recchi (costruzioni), Marta Dassù (Finmeccanica), Enrico Tommaso Cucchiani (banchiere, già a capo di Intesa Sanpaolo) e l’ex ministra renziana Federica Guidi. Altri circuiti della stessa supermassoneria neo-conservatrice sarebbero rappresentati da uomini affiliati a Ur-Lodges come la “Babel Tower” (Mario Monti), la “Compass Star-Rose” (Fabrizio Saccomanni, Massimo D’Alema, Vittorio Grilli), la “Atlantis-Aletheia” (Corrado Passera), la “Pan-Europa” (Alfredo Ambrosetti, Emma Marcegaglia). Ignazio Visco, l’attuale governatore di Bankitalia, sarebbe invece legato alla “Edmund Burke” (insieme all’ex ministro dell’economia Domenico Siniscalco). Ma non c’è caso che ne si faccia cenno, nelle cronache: tutto finirà, come sempre, attorno alle chiacchiere di Renzi, più quelle su Renzi e quelle contro Renzi, senza spiegare verso quali scogli sta andando la nave, e per ordine di chi.Si può anche chiamarla massoneria, ma la definizione è imprecisa: perché non tutti gli affiliati alle superlogge internazionali sono stati iniziati all’obbedienza massonica. Forse non ha mai indossato il grembiulino neppure l’uomo attualmente nella bufera, Ignazio Visco, in quota alla Ur-Lodge reazionaria “Edmund Burke”, difeso da Giorgio Napolitano (superloggia “Three Eyes”, come il ministro Padoan) e attaccato da Matteo Renzi, «che non è massone ma ha ripetutamente bussato – invano, finora – alle stesse reti: quelle della aristocrazia supermassonica neo-conservatrice, attraverso entità paramassoniche come il potentissimo Council on Foreign Relations, di Washington». L’autore di queste indicazioni sulla presunta identità supermassonica del vero potere è Gioele Magaldi, già gran maestro del Goi e poi affiliato alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Nel 2014 Magaldi ha dato alle stampe “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere e trasformatosi in bestseller-fantasma: solo il “Fatto Quotidiano” l’ha adeguatamente recensito, nel silenzio assordante dei grandi media. Che peraltro continunano a ignorare Magaldi, anche quando parla di massoneria italiana e di casi scottanti come l’affare Mps, su cui pesa tra l’altro lo strano “suicidio” di David Rossi.
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Le Pen vince o perde? Da noi è uguale, va male a Pd e M5S
Cattive notizie, per i maggiori partiti italiani – 5 Stelle e Pd – sia in caso di vittoria di Marine Le Pen, sia in caso di sconfitta della “signora” del Front National. E’ il politologo Aldo Giannuli a provare a valutare i riflessi, sul nostro paese, dell’evento europeo più atteso (e temuto), le presidenziali francesi, tra poco più di due mesi. «La prima conseguenza sarà di carattere generale e riguarderà l’Europa: se a vincere sarà la Le Pen, non c’è dubbio che salterà tutto in aria, euro, Ue e compagnia cantante». Se invece dovesse affermarsi Fillon, o più probabilmente Macron, «questo non risolverà la crisi della Ue, ma, al massimo, gli darà un po’ di fiato per qualche tempo, soprattutto se la Le Pen dovesse superare il 45%». Quanto all’Italia, in caso di vittoria della Le Pen, «ovviamente il maggior beneficiario sarebbe Salvini, che potrebbe aspirare alla leadership della destra e ad un risultato con almeno il 2 davanti per il suo partito, soprattutto se Toti e i suoi amici dovessero staccarsi da Fi». Tramonterebbe la stella del Cavaliere, che dovrebbe «rassegnarsi alla marginalità o ad accettare la leadership di Salvini», e si aprirebbe uno «scenario da incubo per il Pd», che dovrebbe «fronteggiare una marea anti-euro».Il Pd, continua Giannuli nella sua analisi, in caso di boom No-Euro «non avrebbe neppure un possibile alleato di governo (Fi)», e sarebbe «costretto a schiacciarsi contro la sua sinistra e cercare qualche intesa con il M5S». Se il segretario fosse ancora Renzi, «il suo declino acclererebbe e la crisi del Pd si approfondirebbe, con rischio di nuove scissioni». Ma lo scenario sarebbe «non bello» anche per il Movimento 5 Stelle, «che scoprirebbe che la Lega non è un possibile alleato, ma un temibile concorrente che inizierebbe a insidiare il suo elettorato». Per il Mdp – gli scissionisti bersaniani – potrebbero aprirsi spazi nel caso di crisi del Pd, «ma potrebbero ridursi se questo portasse ad una nuova segreteria più di “sinistra”» del Partito Democratico, «che potrebbe portare al rientro di almeno una parte del partito appena nato». Di riflesso, in questo caso, “Sinistra Italiana” «potrebbe giovarsi del rapido declino di Mdp». Morale: se Marine Le Pen conquista l’Eliseo, in Italia «fine della legislatura già dal giorno dei risultati, e nuove elezioni entro sei mesi».E lo scenario che vede la Le Pen sconfitta? «Ovviamente, il maggiore danneggiato sarebbe Salvini, che forse pagherebbe il prezzo di una scissione di Bossi e vedrebbe archiviato il suo sogno di diventare il leader di tutta la destra». Per contro, «questo segnerebbe il rilancio del Cavaliere, che potrebbe tornare ad essere il punto di attrazione della destra», e non solo per i leghisti e “Fratelli d’Italia”, «ma anche per la residua area di centro (Alfano, Casini, Verdini e frattaglie varie, da Tosi a Marchini a Fitto e ai resti dell’ex area Giannino)», e questo, secondo Giannuli, potrebbe riportare Forza Italia oltre il 20% e l’area di centrodestra «verso un pericoloso 34-35%». Per il Pd «sarebbe una (amarissima) mezza vittoria, perché gli darebbe l’alleato con cui fare un governo di “unione nazionale” o giù di lì, ma potrebbe farlo diventare terzo schiacciato fra la nuova destra ed il M5S: brutto affare, che riproporrebbe la crisi interna». I 5 Stelle potrebbero «uscirne bene, evitando la concorrenza della Lega», che però, in uno scenario del genere, «difficilmente potrebbe appoggiare dall’esterno un governo Di Maio, ammesso che i voti possano bastare». Ma, se (come sembra probabile) il partito di Grillo non dovesse raggiungere il 40%, «si troverebbe a fare i conti con la delusione della sua base». Risultato: «Probabile governo Fi-Pd e durata un po’ più lunga della legislatura, diciamo 2 anni».Cattive notizie, per i maggiori partiti italiani – 5 Stelle e Pd – sia in caso di vittoria di Marine Le Pen, sia in caso di sconfitta della “signora” del Front National. E’ il politologo Aldo Giannuli a provare a valutare i riflessi, sul nostro paese, dell’evento europeo più atteso (e temuto), le presidenziali francesi, tra poco più di due mesi. «La prima conseguenza sarà di carattere generale e riguarderà l’Europa: se a vincere sarà la Le Pen, non c’è dubbio che salterà tutto in aria, euro, Ue e compagnia cantante». Se invece dovesse affermarsi Fillon, o più probabilmente Macron, «questo non risolverà la crisi della Ue, ma, al massimo, gli darà un po’ di fiato per qualche tempo, soprattutto se la Le Pen dovesse superare il 45%». Quanto all’Italia, in caso di vittoria della Le Pen, «ovviamente il maggior beneficiario sarebbe Salvini, che potrebbe aspirare alla leadership della destra e ad un risultato con almeno il 2 davanti per il suo partito, soprattutto se Toti e i suoi amici dovessero staccarsi da Fi». Tramonterebbe la stella del Cavaliere, che dovrebbe «rassegnarsi alla marginalità o ad accettare la leadership di Salvini», e si aprirebbe uno «scenario da incubo per il Pd», che dovrebbe «fronteggiare una marea anti-euro».
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Web, 10 milioni di voci libere: ecco perché il Ddl Gambaro
Se carico filmati erotici su YouTube mi chiudono l’account, se li carico su YouPorn posso fare milioni di visionamenti. Se pubblicizzo medicine che possono avere effetti dannosi è Ok, se informo sulla relazione tra vaccini e casi di autismo fuorvio l’opinione pubblica. Se insulto il Capo dello Stato su una pagina Facebook che ho aperto in Italia rischio sanzioni e galera, se lo faccio da una pagina aperta in un’altra nazione deregolata non mi succede niente. C’è qualcosa che non va. Gli estensori del Ddl Gambaro non se ne rendono conto? Strano! Nessuno può ancora pensare che noi siamo qui a discutere questioni risolvibili con leggi nazionali. Credo che siate d’accordo. La libertà e il controllo nel web, le norme che dovrebbero regolarlo, i grandi soggetti che lo hanno costruito e lo animano… e così via, sono a ogni effetto questioni e soggetti globali, quindi è meglio alzare il punto di vista dell’osservatore, il più in alto possibile, per cercare di avere una visione d’insieme di un fenomeno molto esteso, molto dinamico e complesso.Alle Nazioni Unite, per esempio, sin dal 1995 si pose la questione delle norme nel web. Dieci anni dopo – a seguito del debutto di YouTube, nel 2005, e poi di Facebook – una delle agenzie Onu, la International Telecommunications Union di Ginevra, cominciò a convocare tutti i soggetti interessati agli Igf, “Forum sulla Governance di Internet”. Proprio ieri si sono avviate le prime consultazioni dell’Igf 2017 a Ginevra e i lavori, in questo momento, sono in corso. Quali sono le aspettative e i risultati dopo 12 anni di incontri? Scarsi. Perché? Per tanti motivi. La materia è in costante progresso, coinvolge centinaia di trattati internazionali e contrappone gli interessi dei governi (e dei militari) a quelli dei mercanti e a quelli dei popoli. I mercanti non amano il metodo di voto dell’Onu dominato dalla presenza dei governi, quindi rallentano e impediscono le decisioni in nome della libertà di commercio e della frenetica innovazione tecnologica, e hanno fatto adottare all’assemblea il sistema multi stake holder. Questo modello di misurazione delle volontà riconosce agli stake holders, ovvero i portatori di interessi, pari peso e dignità.Chi sono gli stake holders? Governi, aziende (sia commerciali che tecnologiche), accademie e la società civile. Quindi, quando si tratta di decidere rispetto alla governance di Internet, un governo ha pari peso e dignità di una multinazionale. È così. Al tavolo è chiamata ad esprimersi anche la società civile, ma le sue rappresentanze non hanno fondi e spesso sono organizzate in grandi sigle internazionali che vivono ufficialmente di donazioni, ma in realtà sono interlocutori senza voce mossi da lobbisti occulti. Risultato? A parte qualche modifica dell’Icann – l’anagrafe planetaria del web, voluta dal ministero del commercio Usa, che attribuisce nomi e domini – ciò che si è ottenuto in 12 anni è stato solo il mantenimento e l’esaltazione del dialogo. Un risultato apprezzabile – dicono i liberisti – che ha consentito alla Rete di crescere, espandersi e di non spezzarzi in “N” tronconi: una rete cinese, una araba, una occidentale e così via. È così! Lo stato del dibattito è molto alto e vivace, durante gli Igf, ma non si arriva a nulla se non a fotografare ciò che i giganti del web modificano incessantemente a loro vantaggio. In sostanza la Rete (di tutti) è nelle salde mani di pochi, cosiddetti Over the Top, che ne fanno ciò che vogliono. È strano che i firmatari del Ddl Gambaro non lo sappiano.Passiamo all’Europa. Nel nostro continente le istituzioni preposte alla creazione di regole per il web sono apparse molto distratte, che strano!, e hanno tollerato l’insediamento dei giganti in territori fiscalmente agevolati e deregolati, quali l’Irlanda e il Lussemburgo, fino ad accorgersi recentemente che: 1) i giganti Over the Top, guarda caso, tutti originati in Usa, non pagano in Europa le tasse che dovrebbero. Secondo “Forbes”, nel 2016, si tratterebbe di cifre comprese tra 50 e 70 miliardi di euro/anno sottratti al fisco da quegli stessi soggetti ai quali qualcuno vuole affidare il controllo delle “fake news” in Rete. Strano anche questo. 2) L’Europa si è accorta anche che la Rete può essere la sede di attività losche e violente. In qualche anno si è passati dall’indignazione per gli schiaffoni in classe filmati e caricati su YouTube, alla scoperta del traffico di organi nel cosiddetto deep web e dei siti che organizzano stragi. A quel punto le istituzioni europee hanno cercato di correre ai ripari, ma non risulta che ci sia alle viste un testo di norme condivisibile da tutti gli Stati membri, pertanto ogni governo locale sta agendo in modo autonomo e diverso dagli altri.La vicenda del Ddl Gambaro si inscrive in questa scena. Poco più di un mese fa, il 25 gennaio 2017, l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, un organismo internazionale privo di poteri e che non ha niente a che fare con il Consiglio Europeo, ha approvato il rapporto “Media online e giornalismo: sfide e responsabilità”, presentato dalla senatrice Gambaro. Obiettivo: promuovere la disciplina dell’informazione online come avviene per quella offline, usando gli strumenti già a disposizione negli ordinamenti giuridici nazionali… e consentendo ai giganti del web l’uso di selettori software (algoritmi) per «rimuovere i contenuti falsi, tendenziosi, pedopornografici o violenti». La senatrice è tornata a casa con questa missione e che ha fatto? Il 7 febbraio ha presentato un Ddl al Senato che: ha molto poco a che vedere con il suo rapporto presentato al Consiglio d’Europa, in cui si disegnava una scena ben più ampia e complessa; sembra scritto da sacerdoti della Verità di Stato; utilizza gli ordinamenti giuridici nazionali soprattutto in chiave di repressione locale; adombra infine un sogno: la soluzione è il rilancio di un immenso Ordine dei giornalisti, disclipinati da una legge di 60 anni fa!Il ruolo e le responsabilità dei giganti del web non vengono mai menzionati. Strano! Eppure, lo sanno tutti, i maggiori players della vicenda Internet sono un drappello di corporations targate Usa. Tra queste: Google-YouTube (confluita in Alphabet), Facebook, Amazon, e-Bay, Yahoo, PayPal. Ognuno di loro, è stato ampiamente dimostrato, chi più chi meno, lavora alacremente a raccogliere Big Data e li passa poi ai pubblicitari e ai servizi segreti. Addirittura, per legge (il Patriot Act), li passa alla Nsa statunitense. Queste sono le loro principali ragion d’essere. Il loro ruolo, dopo una stagione di seduzione, di promesse di libertà di espressione e di uguaglianza e dopo la nascita dei social network, si è rivelato per quello che è: sono megastrutture “pompate nelle Borse”, grandi evasori fiscali, al servizio dei mercanti globali, alleate con alcuni governi e in guerra con altri. Il loro fine ultimo è concedere visibilità in cambio della gestione e del controllo della privacy, degli spazi pubblicitari e dell’e-commerce. In pochi anni hanno mutato la vita sociale, la produzione della cultura, il commercio, e hanno creato stili di vita sempre più uniformi.Grazie all’immenso fenomeno dei “contenuti generati dagli utenti”, ai sistemi di cross selling in rete, all’impero delle carte di credito, l’alleanza Ott–mercanti, a partire dal 2009 ha prodotto enormi risultati. Tra questi è rilevante l’avvenuta sudditanza dei media mainstream al potere, che era già in latenza ma si è conclamata, grazie alla sottrazione di risorse pubblicitarie che sono state destinate al web. Oggi nessun editore è ormai più indipendente, tutti vengono usati a sostegno della visione di potere… e forse questo è anche il motivo per cui il Ddl Gambaro li esclude dalle sanzioni? E arriviamo ai “contenuti generati dagli utenti”, i Cgu (blogs, pagine Fb, canali Yt). Credo sia la prima volta che vengono menzionati con tale dicitura – all’articolo 8 – in un Ddl. Le sanzioni e le pene sono pensate soprattutto per loro. Questo imponente fenomeno che coinvolge nel mondo 2 miliardi di utenti solo su Fb e Yt, riguarda in Italia 50 milioni di accounts. E di questi il 10% è considerabile “antagonista”. Il fenomeno non è mai stato analizzato a fondo da giuristi, economisti e politici. I Cgu hanno scardinato negli ultimi 12 anni alla radice la comunicazione di massa e quindi anche la politica e il costume. Ma ora si stanno rivelando un boomerang. Perché?Avendo ridotto di molto l’autorevolezza dei media tradizionali ed essendosi sostituiti ad essi in occasioni altamente strategiche grazie a testimonianze scritte e filmate imprevedibili e non controllabili, i Cgu hanno consentito la misurazione di una mente collettiva tumultuosa, non conformista, populista e non riconducibile alla divisione classica destra/sinistra. Però molto reale, attiva e determinante per l’organizzazione del consenso non solo elettorale (vedi Brexit, No alla riforma costituzionale, Trump e il dibattito su Europa matrigna, euro, signoraggio bancario, debito predatorio). Quindi il potere cerca di correre ai ripari. La domanda è: perchè non c’è stato il setaccio alle origini? Perchè non ci doveva essere. Almeno nella fase in cui gli Ott hanno usato i Cgu per raggiungere alcuni obiettivi prima impensabili, tra i quali la sudditanza generalizzata. Per diventare sudditi e partecipare all’orgia digitale bastava e basta un semplice “I accept”… “Io accetto le norme di chi mi ospita”. Oggi, però, su pressione di alcuni governi e potentati, gli Ott stanno cominciando a “setacciare”… tanto, gli obiettivi delle origini sono per loro stati raggiunti, i Big Data sono stati accumulati, la pubblicità ingannevole dilaga a costi minimi per gli inserzionisti; il mainstream è asservito, centinaia di milioni di umani vengono veicolati all’acquisto di merci e servizi di massa, globalizzati e inquinanti. I mercanti hanno vinto, ora “selezionano” le truppe digitali che appaiono non ossequiose.Accenniamo ora all’evanescente concetto di “fake news”, bufale, notizie vero/falso… questo tipo di comunicazione esiste da sempre (dai tempi di Nerone, dai tempi di Giordano Bruno). La novità è che la rete è un enorme amplificatore di tutto, quindi anche di “fake news”, le sue caratteristiche di velocità e ubiquità e possibile anonimità, la rendono una dimensione in cui il vero e il falso possono coincidere nello stesso spazio tempo. Questo determina aspetti politici e sociali inaspettati. Quando il potere planetario, organizzato nelle sue diverse aree di influenza, nonostante abbia sottratto sovranità ai governi locali, si accorge che i media al suo servizio non sono in grado di raggiungere un’organizzazione del consenso per esso soddisfacente; quando si accorge che esistono sacche quali Wikileaks e Anonimous e milioni di Cgu che sono incontrollabili e destabilizzanti, il potere planetario si innervosisce e tira le orecchie ai governi locali lanciando una semplice parola d’ordine, “meno libertà e più controllo… datevi da fare, ognuno sul proprio territorio”. E così si mette in moto la macchina del controllo e talvolta, come nel caso del Ddl Gambaro, va fuori strada e diventa la macchina della repressione.I firmatari tentano di addolcire la pillola con le proposte di alfabetizzazione e promozione dell’uso critico dei media online. Bene! Oltre che nelle scuole secondarie (se mai la faranno) la facessero in prima serata sulle reti Rai, visto che tanto paghiamo sempre noi. Ma diciamoci una verità: perchè il Ddl Gambaro non menziona e reprime le bufale diffuse dalla pubblicità e dai media mainstream? Perchè non controlla e reprime le migliaia di “fake news” che ogni giorno circolano in Rete mascherate da suggerimenti per fare affari nelle Borse? O addirittura per salvare i risparmi di una vita, mettendoli in realtà a rischio? Queste sì che sono fake news destabilizzanti. Eccome! Noi però non possiamo dimenticare che «la democrazia punisce i fatti compiuti mentre è la dittatura che punisce le opinioni».(Glauco Benigni, “I grandi mercanti del web ora vogliono setacciare gli utenti”, da “Megachip” del 3 marzo 2017. Benigni è presidente di Wac, Web Activists Community).Se carico filmati erotici su YouTube mi chiudono l’account, se li carico su YouPorn posso fare milioni di visionamenti. Se pubblicizzo medicine che possono avere effetti dannosi è Ok, se informo sulla relazione tra vaccini e casi di autismo fuorvio l’opinione pubblica. Se insulto il Capo dello Stato su una pagina Facebook che ho aperto in Italia rischio sanzioni e galera, se lo faccio da una pagina aperta in un’altra nazione deregolata non mi succede niente. C’è qualcosa che non va. Gli estensori del Ddl Gambaro non se ne rendono conto? Strano! Nessuno può ancora pensare che noi siamo qui a discutere questioni risolvibili con leggi nazionali. Credo che siate d’accordo. La libertà e il controllo nel web, le norme che dovrebbero regolarlo, i grandi soggetti che lo hanno costruito e lo animano… e così via, sono a ogni effetto questioni e soggetti globali, quindi è meglio alzare il punto di vista dell’osservatore, il più in alto possibile, per cercare di avere una visione d’insieme di un fenomeno molto esteso, molto dinamico e complesso.
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Se l’Italia cambia padrone, qualcuno la sta “sovragestendo”
«Matteo Renzi è un politico finito. Ha deluso tutti, non ha mai rispettato la parola data: a Bersani, Letta, Berlusconi». Ora ha anche tradito l’impegno preso con gli italiani, a cui aveva promesso di sparire dalla circolazione in caso di sconfitta al referendum. Che il “rottamatore” fosse al capolinea lo diceva, prima ancora del 4 dicembre, l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che illumina oscuri retroscena del potere italiano, «sovragestito dalla P1», struttura-ombra (mai denunciata da nessun altro) che sarebbe il vero “dominus” delle trame di palazzo, attraverso personaggi come il politologo americano Michael Ledeen, che Carpeoro presenta come esponente di vertice della super-massoneria reazionaria, anche affiliato al B’nai B’rith, cellula massonica super-segreta controllata dal Mossad. Per Carpeoro, Ledeen avrebbe “gestito” «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». La tesi dell’avvocato: «Non sono le persone a fare progetti di potere, è il potere a fare progetti sulle persone».Cambiano i musicisi, non la musica. Renzi? «Pur dicendosi “di sinistra” ha bussato per anni, inutilmente, alle porte della super-massoneria conservatrice», afferma Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”. Non gli è stato aperto: «Persino Napolitano si è rifiutato di fargli da garante». Ora, sembra arrivato l’avviso di sfratto: per via giudiziaria, tanto per cambiare. «Via Renzi, è già pronto Di Maio», diceva Carpeoro, mesi fa. Alla luce degli ultimi sviluppi, in effetti, suona meno “strano” l’improvviso voltafaccia di Grillo al Parlamento Europeo, con il rocambolesco abbandono di Farage dopo la vittoria sulla Brexit per tentare di approdare al gruppo centrista pro-euro, in cui milita Mario Monti. Come se il capo dei 5 Stelle avesse voluto inviare un segnale chiarissimo di “affidabilità”, rispetto al vero potere che gestisce l’Europa, l’economia, la finanza. Altro dettaglio, fondamentale: nel “MoVimento”, chi dissente è perduto: condannato alla pubblica esecrazione, e persino – se cambia casacca – invitato a pagare una penale.Impossibile coltivare idee diverse da quelle del Capo: è dunque un esercito di terracotta, quello che domani – tramontato Gentiloni – potrebbe prendere in mano il governo del paese? Tiene ancora banco il refrain dell’“uno vale uno”, ma – beninteso – ammesso che sia allineato con l’unico, vero Numero Uno. In libri come “Il golpe inglese”, scritto con Mario Josè Cereghino, il giornalista Mario Fasanella sostiene che l’Italia sia sempre stata “sovragestita” da poteri esterni, stranieri, economici e finanziari. Lo stesso Jobs Act, rivela Paolo Barnard, è stato scritto – due anni prima dell’adozione, da parte di Renzi – dalla potentissima “Business Europe”, think-tank che “detta le leggi” alla Commissione Europea. L’Italia politica è nel caos: il Pd si spappola, Renzi è sotto attacco (il padre indagato, nell’inchiesta che sta coinvolgendo il ministro Lotti e altri renziani) e i 5 Stelle che serrano i ranghi, dichirando guerra al dissenso interno: come se si stesse avvicinando una grande burrasca (le elezioni francesi, la Le Pen, l’euro che vacilla insieme all’Ue). Serviranno “soldati”, addestrati a obbedire? E nel caso, a chi? Chi sta “sovragestendo”, oggi, la palude italiana?«Renzi finirà asfaltato dai No, e il suo successore lo stabilirà il Vaticano», disse, mesi prima del referendum, il “profeta” Rino Formica, già ministro socialista nella Prima Repubblica. Bingo: Paolo Gentiloni è discendente della famiglia dei conti Gentiloni Silveri, “nobili di Filottrano, Cingoli e Macerata”, storicamente al servizio della Santa Sede. Dai media mainstream, sempre lontani anni luce dalle “fake news” (leggasi: notizie scomode) contro cui si sta abbattendo l’offensiva di Laura Boldrini (una legge speciale per imbavagliare il web, come se già non esistessero leggi a tutela dei cittadini diffamati), è impossibile ricavare analisi di scenario, oltre alla piccola agenda tattica di partiti e leader. Chi sta “sovragestendo” il paese, oggi, a parte il Vaticano che sicuramente “apprezza” Gentiloni? Carpeoro è pessimista: «Non emerge un piano-B che contesti l’attuale sistema, in base al quale, perché noi si stia meglio, qualcuno deve per forza stare peggio». Unico spiraglio: «La base elettorale dei 5 Stelle, animata da forti motivazioni etiche».Più ottimista invece Magaldi, che dopo aver segnalato (mai smentito da nessuno) la presenza di D’Alema, Napolitano, Monti e Padoan nella super-massoneria oligarchica, responsabile della globalizzazione antidemocratica, privatizzatrice e mercantilista, oggi scommette sul collasso del Pd, che «darebbe fiato a nuove istanze progressiste e democratiche finalmente autentiche», archiviata la “finta sinistra” che ha svenduto il paese ai potentati economici stranieri precipitando l’Italia in questa crisi senza fine. Troppo ottimista, Magaldi? Da più parti si fa notare il ritorno della “giustizia a orologeria” denunciata per anni da Berlusconi: l’inchiesta che lambisce Renzi coincide alla perfezione con il calendario della condanna in primo grado dell’alleato Verdini. Sembra un messaggio all’ex premier, mai accolto nel “salotto buono” in cui siedono molti altri italiani, da Mario Draghi a Emma Marcegaglia. Il caos cresce, e del Piano-B (restituire sovranità finanziaria a un governo finalmente eletto, autorizzato a investire denaro pubblico per produrre occupazione) non c’è neppure l’ombra.«Matteo Renzi è un politico finito. Ha deluso tutti, non ha mai rispettato la parola data: a Bersani, Letta, Berlusconi». Ora ha anche tradito l’impegno preso con gli italiani, a cui aveva promesso di sparire dalla circolazione in caso di sconfitta al referendum. Che il “rottamatore” fosse al capolinea lo diceva, prima ancora del 4 dicembre, l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che illumina oscuri retroscena del potere italiano, «sovragestito dalla P1», struttura-ombra (mai denunciata da nessun altro) che sarebbe il vero “dominus” delle trame di palazzo, attraverso personaggi come il politologo americano Michael Ledeen, che Carpeoro presenta come esponente di vertice della super-massoneria reazionaria, anche affiliato al B’nai B’rith, cellula massonica super-segreta controllata dal Mossad. Per Carpeoro, Ledeen avrebbe “gestito” «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». La tesi dell’avvocato: «Non sono le persone a fare progetti di potere, è il potere a fare progetti sulle persone».
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Sfratto a Renzi, per via giudiziaria. Il potere vuole i 5 Stelle?
Le vicende giudiziarie che stanno sfiorando Matteo Renzi «sembrano essere lo specchio di una ristrutturazione in corso dei poteri del paese», sostiene “Infoaut”. «Dopo la batosta del 4 dicembre, su cui aveva puntato tutte le sue fiches, Renzi parrebbe essere giudicato sempre più inservibile da ampie parti dell’establishment». Settori di vertice che, «per destabilizzarne la tenuta», ormai «iniziano ad utilizzare lo strumento della magistratura e delle inchieste», strumento «da sempre orientato all’azione politica nell’ottica del riequilibrio del sistema, il più utile a questo genere di operazioni». Renzi rischia di essere toccato dall’inchiesta Consip? «Se ciò accadesse sarebbe davvero difficile reggere ad un colpo del genere», osserva “Infoaut”. «Ma anche se non dovessero emergere relazioni dirette tra padre e figlio, le parole di Marroni (ad di Consip nominato dallo stesso premier) che tirano in ballo l’imprenditore Alfredo Romeo, Tiziano Renzi padre di Matteo e l’imprenditore Carlo Russo riguardo a pressioni indebite sui dirigenti Consip per indirizzare o ottenere appalti lucrosi, sembrano essere un colpo molto duro da incassare».Quantomeno a livello mediatico, continua il newsmagazine dell’area “antagonista” torinese, che dichiara di fornire “informazione di parte”, i piani dell’ex premier impegnato nella corsa del consenso verso le elezioni del 2018 sembrano essere scompaginati. «Mentre nuovi interrogatori dovranno definire la portata reale dei fatti contestati, sembra esserci il caos nelle fila del cosiddetto Giglio Magico, il gruppo di potere che ruota intorno a Renzi. Le sedi di Rignano e Scandicci del Pd sono chiuse, Renzi addirittura effettua un viaggio in Puglia senza avvertire il Pd locale per evitare contestazioni, mentre il fedelissimo Lotti, tirato in ballo nelle carte, frettolosamente si affanna a ribadire la sua onestà e la sua estraneità ai fatti». Intanto, Renzi «viene abbandonato via via da sempre più big del Pd, che dichiarano il proprio appoggio ad Emiliano o Orlando nelle primarie fissate per il prossimo 30 aprile». E se la minoranza del Pd è riuscita finalmente a scindersi, forse «più che indirizzati da motivazioni etico-politiche» Bersani e compagni «sembrano voler scendere dalla nave che affonda, prima che sia troppo tardi».Strano tempismo: «Forse c’è chi aveva fiutato, o sapeva tramite vecchi amici, che dopo il No referendario l’aria che tirava non era delle migliori e ha preso la balla al balzo». A pesare è anche «lo stesso scandalo delle decine di migliaia di nuove tessere in Campania», che aggiunge ombre al «rapporto morboso tra il Pd renziano e ambiti di potere quantomeno oscuri di quei territori». Osserva “Infoaut”: «È interessante notare che l’attacco al sistema Renzi avviene nello stesso momento in cui la giunta Raggi su Roma ha ceduto – perchè di questo si tratta, al di là di come i 5 Stelle stanno abbellendo la vicenda – sulla questione stadio, dopo la messa da parte di Berdini che suonava già come una avances ai palazzinari e agli speculatori locali». Dopo il “no” alle Olimpiadi, e mesi di clamore su ogni minuzia della giunta Raggi, «ora la sindaca romana è praticamente sparita dalla scena, mentre lo scandalo Consip emerge con un timing preciso. Che nel gotha dei poteri economici si stia iniziando ad apprezzare la prospettiva pentastellata, non fosse altro per manifesta inesistenza di alternative credibili?». Ormai le sorprese sono all’ordine del giorno, «e l’attacco giudiziario non sembra essere casuale».Di fronte alla peggiore delle ipotesi dell’accusa (corruzione e nepotismo, con il padre di Renzi che farebbe il “lavoro sporco” per il figlio, pressando il vertice della Consip, l’ente che dispensa i lucrosi appalti pubblici) «la retorica renziana della meritocrazia e della rottamazione si scioglie come neve al sole», conclude “Infoaut”, che traccia un parallelo tra quello che chiama “il sistema Renzi”, le polemiche sul ministro Giuliano Poletti e i torbidi retroscena di Mafia Capitale alle spalle della giunta Marino. Lo stesso Renzi, «pur di assicurarsi la stabilità», non ha esitato a scendere a patti con Denis Verdini, condannato in primo grado a 9 anni di reclusione per il crac del Credito Cooperativo Fiorentino. «Anche questa sentenza arriva a suo modo con un timing preciso, e sembra squalificare dal gioco uno dei potenziali neo-alleati, quantomeno a livello di spostamento di voti e prebende varie, del Pd a guida assoluta renziana». Traduzione: «Un sistema di potere sembra andare in pezzi, quali altri emergeranno?».Le vicende giudiziarie che stanno sfiorando Matteo Renzi «sembrano essere lo specchio di una ristrutturazione in corso dei poteri del paese», sostiene “Infoaut”. «Dopo la batosta del 4 dicembre, su cui aveva puntato tutte le sue fiches, Renzi parrebbe essere giudicato sempre più inservibile da ampie parti dell’establishment». Settori di vertice che, «per destabilizzarne la tenuta», ormai «iniziano ad utilizzare lo strumento della magistratura e delle inchieste», strumento «da sempre orientato all’azione politica nell’ottica del riequilibrio del sistema, il più utile a questo genere di operazioni». Renzi rischia di essere toccato dall’inchiesta Consip? «Se ciò accadesse sarebbe davvero difficile reggere ad un colpo del genere», osserva “Infoaut”. «Ma anche se non dovessero emergere relazioni dirette tra padre e figlio, le parole di Marroni (ad di Consip nominato dallo stesso premier) che tirano in ballo l’imprenditore Alfredo Romeo, Tiziano Renzi padre di Matteo e l’imprenditore Carlo Russo riguardo a pressioni indebite sui dirigenti Consip per indirizzare o ottenere appalti lucrosi, sembrano essere un colpo molto duro da incassare».
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Questo è un golpe di fatto, e va fermato con il nostro No
Mentre Obama sbaracca, la pacchiana cena di propaganda alla Casa Bianca conclude la sua disastrosa presidenza su una nota particolarmente squallida. Come Verdini e Alfano anche Obama sostiene la riforma renziana. L’appoggio del Supercazzaro degli Stati Uniti uscente, anzi ormai quasi uscito, potrebbe però essere controproducente per il sì almeno quanto quelli della Merkel, e della finanza internazionale. La riforma renziana, che sapeva chiaramente di sóla fin dall’inizio, adesso ha la stessa credibilità d’un farmaco consigliato da una ditta di pompe funebri. Non ci sono più dubbi su chi siano i mandanti di Renzi: abbiamo le rivendicazioni. Anche il fronte opposto ha purtroppo qualche Captain Boomerang, Monti, D’Alema, Brunetta, la Suicide Squad del no: un gruppo di bastardi costretti dalle circostanze a combattere dalla parte giusta, contro un bastardo ancora peggiore. Per quanto sia difficile immaginarsi Giorgia Meloni nei panni di Harley Quinn, la vittoria del no rimane comunque più che mai necessaria.L’endorsement di Obama al sì di Renzi è infatti direttamente condizionato all’impegno militare italiano in Libia e in Lettonia. Il no alla truffaldina riforma renziana è quindi anche un indispensabile no alla dissennata deriva neocoloniale. Un no alla guerra. Non a caso una delle modifiche, della quale il governo non parla, riguarda proprio l’articolo 78, che cambierebbe così: «Art. 78. – La Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari». Con l’Italicum, il partito che vince il ballottaggio ottiene automaticamente la maggioranza assoluta alla Camera, quindi sia il governo, che il potere esclusivo di dichiarare guerra indisturbato come un monarca assoluto. Questo è un golpe di fatto, e deve essere fermato.Per la prima volta da anni un nostro voto potrà davvero fare la differenza. E non certo per merito dell’attuale classe dirigente, è la Costituzione che vuole rottamare a prevedere questo obbligatorio passaggio referendario, un fail safe che Renzi non è riuscito ad aggirare, benché ci abbia provato col Patto del Nazareno. Per la prima, e probabilmente ultima volta abbiamo l’occasione di scaraventare la Boschituzione – Costituzione Boschi – nel cassonetto dell’indifferenziata al quale appartiene, e liberarci d’un governo di cazzari arroganti, incapaci, guerrafondai, completamente asserviti alla finanza internazionale e all’industria bellica, che è diventato anche fisicamente pericoloso. Perdere questa occasione per noi sarebbe il vero suicidio.(Alessandra Daniele, “Sbarack Oboomerang”, da “Megachip” del 23 ottobre 2016)Mentre Obama sbaracca, la pacchiana cena di propaganda alla Casa Bianca conclude la sua disastrosa presidenza su una nota particolarmente squallida. Come Verdini e Alfano anche Obama sostiene la riforma renziana. L’appoggio del Supercazzaro degli Stati Uniti uscente, anzi ormai quasi uscito, potrebbe però essere controproducente per il sì almeno quanto quelli della Merkel, e della finanza internazionale. La riforma renziana, che sapeva chiaramente di sóla fin dall’inizio, adesso ha la stessa credibilità d’un farmaco consigliato da una ditta di pompe funebri. Non ci sono più dubbi su chi siano i mandanti di Renzi: abbiamo le rivendicazioni. Anche il fronte opposto ha purtroppo qualche Captain Boomerang, Monti, D’Alema, Brunetta, la Suicide Squad del no: un gruppo di bastardi costretti dalle circostanze a combattere dalla parte giusta, contro un bastardo ancora peggiore. Per quanto sia difficile immaginarsi Giorgia Meloni nei panni di Harley Quinn, la vittoria del no rimane comunque più che mai necessaria.
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C’è qualcosa peggio di Renzi? Ma certo: è la sinistra Pd
Dopo la strage di Nizza e quello che sta succedendo in Turchia, ci si sente male a commentare quel che fa la folla di omuncoli che occupano il nostro palcoscenico politico: Verdini, Alfano, Renzi, Salvini, Speranza, Bersani… C’è una sproporzione inaudita fra le tragedie planetarie che si stanno consumando e che ne preannunciano di altre e più gravi e l’infinita piccolezza dei nostri cialtroncelli di regime. Ma, tant’è, tocca occuparcene perché se assai piccola è la statura dei nostri uomini di governo, grandi e pesanti sono i danni che rischiano di produrre e che, in parte, stanno già producendo. E dunque, mestamente, veniamo ai problemi di casa. Dunque referendum il 6 novembre o giù di lì e, a quanto pare, referendum singolo: Renzi è il più intelligente dei renziani e capisce che l’ipotesi spacchettamento è una fesseria che non sta in pieni né sul piano pratico né su quello logico e tantomeno su quello costituzionale. D’altra parte è stata una idea dei radicali (che quando si tratta di far danno alla democrazia sono sempre in prima fila) e di Bersani che ha perso un’altra magnifica occasione per tacere.Che poi il referendum si faccia davvero il 6 novembre non sarei così sicuro, soprattutto per il rischio che si sovrapponga la crisi delle banche e magari l’ipotesi spacchettamento torna utile non per essere attuata, ma per fare manfrina fra Cassazione e Corte Costituzionale e guadagnare due o tre mesi di tempo, poi chi vivrà vedrà. In questo quadro fosco di drammi internazionali e di scenari interni assai preoccupanti, la sinistra Pd trova il modo di farci ridere, nostro malgrado, con una proposta elettorale semplicemente indecente. La riforma, presentata da quel raro talento di Speranza, prevede l’elezione dei deputati in 475 collegi uninominali a turno unico e 12 eletti all’estero con sistema proporzionale. Gli altri 143 seggi vengono così assegnati: 90 alla prima lista o coalizione, fino a un totale massimo di 350 deputati; 30 alla seconda lista o coalizione; 23 divisi tra chi supera il 2% e ha meno di 20 eletti.Cioè: eliminiamo il doppio turno perché se no vince Grillo, facciamo i collegi uninominali perché abbiamo più possibilità di battere Grillo, e ci accaparriamo così la maggioranza dei seggi. Poi, come se non bastasse, ci aggiungiamo altri 90 seggi, ma solo sino ad un massimo di 350, badate bene: ben 4 in meno del premio previsto dall’Italicum, 30 li diamo alla seconda lista (sperando che sia la destra e non il M5s) e 23 li distribuiamo come mancia fra quelli che, avendo superato la clausola di sbarramento del 2%, abbiano avuto meno di 20 seggi così una lista che magari ha avuto il 18% ma solo 15 seggi uninominali, piò anche arrivare ad averne 23-24 (una mancia non si nega a nessuno). E se non ci sono liste con più del 2% e meno di 20 seggi? In quel caso i 23 seggi li ridistribuiamo fra le due prime liste, ma se poi la prima lista ha già 350 seggi, li diamo alla seconda, tanto non cambia molto.Cioè un metodo maggioritario con correzione maggioritaria e clausola di sbarramento. L’Italicum è molto meno disrappresentativo: in fondo, quello che avanza da quel che va al vincitore, lo distribuisce proporzionalmente fra tutti quelli che superano la soglia di sbarramento. Naturalmente, questo superbo metodo elettorale che non ha eguali nel mondo (da nessuna parte si somma il maggioritario uninominale, il premio di maggioranza e la clausola di sbarramento, ma con la mancia finale) avrebbe il dono di far superare tutti i dubbi sulla riforma costituzionale e la “sinistra Pd” potrebbe lietamente aiutare Renzi a vincere! E ci vogliono imbrogliare? A Lecce dicono: “Io e te, ad un altro, sì. Tu a me no”. Poi la ciliegina sulla torta: Speranza dice che l’uninominale aiuterebbe a colmare il divario fra eletti ed elettori perché si restituirebbe agli elettori la possibilità di scegliere il rappresentante: come dire che, al ristorante ti presento una lista con un solo piatto e ti dico: “scegli!”. Ma Speranza è cretino o pensa che siano cretini tutti gli altri? Secondo me fa il doppio gioco…Neanche a dirlo il sistema è anche tecnicamente fatto in modo sbagliato, per cui può produrre risultati assolutamente controintuitivi. Ad esempio, assegnare la maggioranza al secondo e non al primo: se una lista, prevalendo di un solo voto per collegio, si accaparra 316 seggi ha già la maggioranza e, anche se il suo concorrente ottiene più voti nazionali, con tutto il premio dei 90 seggi, perde. Oppure può benissimo darsi che per la distribuzione del voto, nessuno abbia la maggioranza assoluta perché la lista A ottiene 200 seggi uninominali, più i 90 del premio (= 290) la lista B altri 200 (+ 30= 230) e gli altri 75 seggi uninominali vadano alla lista C ed ai minori che si prendono anche i 23 seggi di mancia. Risultato: nessuno ha la maggioranza per governare e, per di più abbiamo realizzato il sistema più disrappresentativo del mondo. Un capolavoro di ineguagliata grandezza! Questi della sinistra Pd (che non si capisce a nome di chi parlino e chi rappresentino) sono degli stalinisti andati a male per overdose di opportunismo e se sono “sinistri” lo sono nel senso di “loschi”. Il giorni in cui Renzi li sterminerà sino all’ultimo con ferocia turca, io applaudirò freneticamente. Anche alla disonestà intellettuale occorre mettere un limite, soprattutto quando viene da persone intellettualmente ipodotate.(Aldo Giannuli, estratti da “C’è qualcosa di peggio di Renzi? Sì, la sinistra Pd”, dal blog di Giannuli del 21 luglio 2016).Dopo la strage di Nizza e quello che sta succedendo in Turchia, ci si sente male a commentare quel che fa la folla di omuncoli che occupano il nostro palcoscenico politico: Verdini, Alfano, Renzi, Salvini, Speranza, Bersani… C’è una sproporzione inaudita fra le tragedie planetarie che si stanno consumando e che ne preannunciano di altre e più gravi e l’infinita piccolezza dei nostri cialtroncelli di regime. Ma, tant’è, tocca occuparcene perché se assai piccola è la statura dei nostri uomini di governo, grandi e pesanti sono i danni che rischiano di produrre e che, in parte, stanno già producendo. E dunque, mestamente, veniamo ai problemi di casa. Dunque referendum il 6 novembre o giù di lì e, a quanto pare, referendum singolo: Renzi è il più intelligente dei renziani e capisce che l’ipotesi spacchettamento è una fesseria che non sta in pieni né sul piano pratico né su quello logico e tantomeno su quello costituzionale. D’altra parte è stata una idea dei radicali (che quando si tratta di far danno alla democrazia sono sempre in prima fila) e di Bersani che ha perso un’altra magnifica occasione per tacere.
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Pd a rischio: gli astensionisti colpiranno, magari a Torino
Elezioni amministrative solo di nome: è stato un voto altamente politico, secondo Aldo Giannuli. «La politica non è solo matematica, ma anche chimica: gli effetti dipendono da come si combinano gli elementi, e se chiami la gente a votare per le comunali avendo già in prospettiva la riforma costituzionale del paese, non puoi pensare che il voto prescinda da questo». Le comunali «sono state l’aperitivo del referendum che, a sua volta, sarà la premessa delle elezioni politiche». A quanto pare, questo è «l’inizio di una fase molto delicata di cambiamento». Fine del bipolarismo, siamo ormai in un sistema quadripolare: centrosinistra, centrodestra, 5 Stelle e poi l’oceano dell’astensionismo, «che non è affatto un’area silente», perché «gli astenuti non sono cittadini morti, ma cittadini che non trovano una risposta soddisfacente». Si ritirano, per ora, nell’“area muta” del non-voto, ma «da un momento all’atro possono rientrare, provocando effetti devastanti e imprevisti, non appena trovino un punto di aggregazione». Ovvio: «Otto anni di crisi non potevano non avere un riflesso anche sul piano politico, e il “polo muto” è il sedimento di rancori, rabbia, senso di rivolta che sta covando in fasce sempre più numerose di elettorato».Prima o poi, scrive Giannuli sul suo blog, questo “sentimento” si manifesterà nel più violento dei temporali: «E non è detto che debba necessariamente essere un temporale elettorale, potremmo trovarci di fronte a una rivolta di piazza, impossibile ora da qualificare se di destra o di sinistra». Tutto questo, all’indomani della «prima seria sconfitta politica del Pd renziano e del suo incipiente “partito della nazione”». Se le regionali 2015 «ridimensionarono il leggendario 41% delle europee, ma confermando un valore superiore al 33%», oggi il Pd è al 17% a Napoli (dove è escluso anche dal ballottaggio) e sotto il 30% a Roma e Torino, «dove rischia molto seriamente per il secondo turno». A Bologna il Pd è rimasto 11 punti al di sotto delle previsioni che lo volevano vincente al primo turno. E in tutti i Comuni minori perde voti. «Una sconfitta secca e senza appello, che si intuisce destinata a ingigantirsi nel secondo turno». A Roma, «la battaglia è persa senza appello». A Milano, il distacco fra Sala (che a gennaio era dato oltre il 50%) e Parisi è praticamente nullo: è possibile che molti grillini voteranno Parisi.Rimonta non impossibile anche a Torino: Chaiara Appendino potrebbe beffare Fassino incassando voti di Lega, Forza Italia e Airaudo. L’unica piazzaforte al sicuro resta Bologna, «dove però non basterà un magro 53-54% a riscattare la figuraccia iniziale». Dunque, il Pd rischia seriamente di perdere in tutte tre le città italiane con più di un milione di abitanti (Roma, Milano, Napoli) e ha qualche probabilità di perdere a Torino. «E se anche qui Renzi dovesse essere sconfitto, potrebbe fare una cosa: salire sulla Mole, sul punto più alto possibile, e buttarsi di sotto senza nemmeno aspettare ottobre», scrive Giannuli. Al che, le acque potrebbero iniziare ad agitarsi: forse, la minoranza Pd troverà il coraggio di dire che al referendum si vota No. «Il Partito della Nazione muore prima ancora di nascere (bell’apporto, quello di Verdini a Napoli) mentre il Pd entra chiaramente in crisi».Il secondo polo destabilizzato è la destra che, pur sconfitta dove si è presentata divisa (Roma e Torino), resiste a Napoli e Bologna e ha una forte affermazione a Milano. Forza Italia scompare a Roma e Torino, ma ha un buon successo a Napoli e Milano. «Sulla carta, i derby dove la destra si presentava divisa sono stati vinti da Salvini, ma che te ne fai di battere Marchini e Napoli se poi resti escluso dal ballottaggio?». Queste elezioni dicono due cose, insiste Giannuli. La prima è che la destra non è scomparsa: a Roma, se si fossero presentati uniti, sarebbero andati al ballottaggio al posto di Giachetti; a Milano, Napoli e Bologna gli sfidanti sono tutti del centrodestra. «Ma ha speranza di affermarsi solo se ha il volto moderato dei Parisi, dei Lettieri e delle Bergonzoni, non dove ha candidati in camicia nera o esagitati come Salvini che, per di più, non beccano un voto a sud dell’Emilia. Quindi il giovanotto leghista può dare l’addio ai suoi sogni di essere il candidato presidente del Consiglio della destra». Anche Berlusconi «è finito», ma può ancora esercitare un ruolo come king-maker del futuro centrodestra: « Anche qui si apre una transizione tempestosa, che non sappiamo a cosa approderà». Unico vero vincitore, il M5S, per la prima volta senza Casaleggio e con Grillo in disparte: «Per la prima volta i grillini sono chiamati a governare», e non piccole città di provincia come Parma o Livorno, ma la capitale e, forse, anche Torino. «Se non ce la fanno, questa può essere la tomba del movimento».Elezioni amministrative solo di nome: è stato un voto altamente politico, secondo Aldo Giannuli. «La politica non è solo matematica, ma anche chimica: gli effetti dipendono da come si combinano gli elementi, e se chiami la gente a votare per le comunali avendo già in prospettiva la riforma costituzionale del paese, non puoi pensare che il voto prescinda da questo». Le comunali «sono state l’aperitivo del referendum che, a sua volta, sarà la premessa delle elezioni politiche». A quanto pare, questo è «l’inizio di una fase molto delicata di cambiamento». Fine del bipolarismo, siamo ormai in un sistema quadripolare: centrosinistra, centrodestra, 5 Stelle e poi l’oceano dell’astensionismo, «che non è affatto un’area silente», perché «gli astenuti non sono cittadini morti, ma cittadini che non trovano una risposta soddisfacente». Si ritirano, per ora, nell’“area muta” del non-voto, ma «da un momento all’altro possono rientrare, provocando effetti devastanti e imprevisti, non appena trovino un punto di aggregazione». Ovvio: «Otto anni di crisi non potevano non avere un riflesso anche sul piano politico, e il “polo muto” è il sedimento di rancori, rabbia, senso di rivolta che sta covando in fasce sempre più numerose di elettorato».
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Il dopo-Renzi sarà anche peggio (si accettano scommesse)
Chi non ama il Rottamatore non ha di che consolarsi: il dopo-Renzi sarebbe anche peggio, un film dell’orrore. Con fantasmi come quelli di Enrico Letta e Massimo D’Alema, o il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. O magari l’avvento di Federica Mogherini, istruita a Bruxelles su come impacchettare quel che resta dell’Italia. Peggio ancora, un governo dei 5 Stelle al guinzaglio dell’Ue e degli Usa. E, gran finale, l’irruzione diretta della famigerata Troika. Mentre il premier traballa, dopo l’avvio della guerra a distanza ingaggiata con Juncker e l’Unione Europa, cioè con i terminali di potere della Germania, in Italia ormai impazzano le scommesse sulla durata residua del Fiorentino. Sul web si segnalano, tra i tanti, i pronostici di Federico Dezzani, Aldo Giannuli, Eugenio Orso. Quale sarà la prossima tegola che ci cadrà in testa? Una cosa è certa: la tenuta del governo «non è per niente certa per i mesi a venire, nonostante i Verdini di turno che corrono in soccorso». Un governo deciso all’esterno, dice Orso, «può essere dimissionato solo dai suoi “padrini sopranazionali”, non certo dal popolo bue».In palio, a quanto pare, ci sarebbe «la sostituzione del terzo governo italiano non eletto, filo-atlantista, euroservo e antipopolare». Secondo Dezzani, dopo Renzi ci sarà «un governo tecnico per attuare misure estreme contro di noi, il quarto non eletto dopo Monti, Letta e Renzi, forse guidato da Ignazio Visco». Oppure, piano-B: l’establishment euro-atlantico potrebbe giocare a sorpresa la carta del Movimento 5 Stelle, che Dezzani definisce «appositamente creato dagli angloamericani per catalizzare e addomesticare il voto di protesta». Secondo Giannuli, invece, potrebbe sorprenderci il ritorno del re dei dinosauri, il super-privatizzatore Massimo D’Alema, o magari quello dell’estromesso Letta, «per riorientare il partito», il Pd strattonato da Renzi. O ancora, il ritorno in Italia, a capo del governo, di Federica Mogherini, attuale “Lady Pesc”, che «farà addirittura rimpiangere Renzi». Eugenio Orso, poi, teme addirittura «l’avvento del famigerato governo-Troika commissariale definitivo, che non lascerebbe più spazio ai tentennamenti dei collaborazionisti locali nell’applicare le controriforme e fare le privatizzazioni, svendendo tutte le municipalizzate».E’ difficile dire cosa accadrà veramente, ammette Orso, visto che il 2016 che è appena agli inizi. Meglio allora procedere con cautela. Primo passo, un governo tecnico per attuare misure estreme, con a capo (come scrive Dezzani) Ignazio Visco. «Abbastanza probabile, se decideranno di continuare ancora per un po’ la sequenza di governi tecnici-nominati (dall’esterno, naturalmente)». La carta 5 Stelle? Secondo Dezzani, il movimento di Grillo non è che l’emanazione truffaldina, mascherata, dell’establishment euro-atlantico: «Del direttorio grillino – riassume Orso – il “papabile” potrebbe essere Di Maio, molto più di Fico e Di Battista, quotatissimo com’è negli immancabili sondaggi». Per Orso, sarebbe una soluzione «non troppo probabile», ovvero «possibile ma rischiosa per le élite, proprio per l’incapacità dei grillini nell’amministrare senza combinar casini (non nascondiamolo!) e per possibili resistenze alle controriforme contro il paese di una parte dei rappresentanti pentastellati e/o della base (i supporter del cinque stelle non sanno di essere eterodiretti!)».Sul ritorno di personaggi come D’Alema e Letta, «per superare il renzismo nel Pd e mantenere l’entità collaborazionista di governo», pronta ai diktat di Bruxelles, meglio sorvolare: una «minestra riscaldata», come dice Giannuli. E la Mogherini, distanziatasi da Renzi per fare da magafono dell’Ue? «Ha qualche probabilità in più», scrive Orso, «perché ci sarebbe, a supporto, per far digerire la pillola agli idiotizzati sinistroidi politicamente corretti, anche la retorica, amplificata dai lacchè giornalistici, sul primo capo di governo donna, emancipata, capace, relativamente giovane e brillante: Mogherini, la salvatrice dell’Italia al femminile, dopo Monti il salvatore e Renzi il rottamatore! Per noi, un deciso passo in avanti verso il burrone». In cima ai timori di Orso c’è però il commissariamento definitivo da parte della Troika: «Rappresenterebbe l’ultimo passo necessario per neutralizzare e saccheggiare l’Italia. Le élite renderebbero così il paese una pattumiera euroatlantista nel Mediterraneo, con poca industria e masse di straccioni adatti a lavori sottopagati, a “basso contenuto tecnologico”, esattamente quel che prevede il “sogno europeo” – ossia il progetto euroglobalista – fuor di retorica e propaganda per i gonzi».Chi non ama il Rottamatore non ha di che consolarsi: il dopo-Renzi sarebbe anche peggio, un film dell’orrore. Con fantasmi come quelli di Enrico Letta e Massimo D’Alema, o il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. O magari l’avvento di Federica Mogherini, istruita a Bruxelles su come impacchettare quel che resta dell’Italia. Peggio ancora, un governo dei 5 Stelle al guinzaglio dell’Ue e degli Usa. E, gran finale, l’irruzione diretta della famigerata Troika. Mentre il premier traballa, dopo l’avvio della guerra a distanza ingaggiata con Juncker e l’Unione Europa, cioè con i terminali di potere della Germania, in Italia ormai impazzano le scommesse sulla durata residua del Fiorentino. Sul web si segnalano, tra i tanti, i pronostici di Federico Dezzani, Aldo Giannuli, Eugenio Orso. Quale sarà la prossima tegola che ci cadrà in testa? Una cosa è certa: la tenuta del governo «non è per niente certa per i mesi a venire, nonostante i Verdini di turno che corrono in soccorso». Un governo deciso all’esterno, dice Orso, «può essere dimissionato solo dai suoi “padrini sopranazionali”, non certo dal popolo bue».