Archivio del Tag ‘elezioni europee’
-
Cos’è l’euro-regime l’han capito tutti, tranne la sinistra
La sinistra? Dovrebbe lottare per recuperare la sovranità nazionale. Lo fa invece quella che viene ancora definita “destra”, cioè il Front National di Marine Le Pen, organizzazione che si batte apertamente contro l’Unione Europea per difendere i lavoratori francesi dal regime Ue-euro, che produce «povertà e sottomissione alle misure autoritarie calate dall’alto della tecnocrazia di Bruxelles». Sinistra sovranista? Macché. «Il problema – osserva Enrico Grazzini – è che il socialismo europeo è ormai profondamente compromesso con questa Europa liberista e della finanza». Grazzini parla di «ritardo culturale e politico nei confronti dell’Europa reale» anche da parte della “sinistra radicale”, ovvero «la sinistra aristocratica italiana», che «sottovaluta i guasti dell’Europa reale e dell’euro e sogna la democrazia dell’Europa federata e di uno Stato federale: rischia così di rimanere elitaria, isolata e senza troppo popolo (e voti)», e lascia il bottino elettorale a quello che sempre Grazzini definisce «il populismo né di destra né di sinistra di Grillo».L’Italia è allo stremo, riconosce l’analista di “Micromega”: neppure la crisi del ‘29 era stata così violenta. Oggi le famiglie non sanno come arrivare alla fine del mese, la disoccupazione e la povertà dilagano, i giovani non trovano lavoro e non hanno prospettive. E l’opposizione di sinistra? Non pervenuta: «Chiede con grande moderazione “meno austerità” e “più democrazia in Europa”». Ridicolo, di fronte all’attuale catastrofe. Martin Schulz, l’euro-candidato del Pd, «dice che occorre invertire la rotta e fare finalmente le riforme per lo sviluppo, ma non fa nessuna autocritica sulla folle austerità imposta dalla sua alleata di governo Angela Merkel». Lo stesso presidente del Parlamento Europeo «giustifica ed esalta l’euro di Maastricht e tace sul fatto che con questi trattati e con il Fiscal Compact uscire dalla crisi è impossibile». Aggiunge Grazzini: «Questa Europa fa male, molto male. Ormai una forte minoranza dell’opinione pubblica che sta diventando maggioranza non sopporta più l’euro ed è sempre più critica verso questa Ue che impone una crisi che non finisce più».L’elettorato si sta polarizzando e radicalizzando, e mentre dilaga «la rabbia contro questa Europa della disoccupazione e della povertà». Problema: se i ceti popolari votano massicciamente “a destra”, significa che la sinistra è considerata disattenta o, peggio, complice del sistema. La sinistra di potere: quella che cantava le lodi dell’euro e delle “magnifiche sorti e progressive” dell’Unione Europea, il mostro giudirico di Maastricht che sta radendo al suolo intere nazioni, intere economie, con politiche antidemocratiche e ferocemente liberiste, che aggravano la crisi. «Queste politiche, senza abolire Maastricht, sono irriformabili», conclude Grazzini. «Per uscire dalla crisi è necessario rivendicare la sovranità economica e monetaria degli Stati». Beninteso: sovranità parziale, per quanto consentito dalla globalizzazione. La sovranità a cui pensa Grazzini non va confusa col nazionalismo della Le Pen o l’isolazionismo britannico: «Battersi per la sovranità nazionale deve significare semplicemente che esigiamo la democrazia e non vogliamo essere diretti da tecnocrazie opache asservite alla finanza e ai governi dei paesi dominanti».Solo recuperando l’autonomia degli Stati in campo economico e monetario, nonché la sovranità nazionale in campo politico, è possibile difendersi, in sintonia con gli altri popoli europei oppressi dal regime di Bruxelles. Ma è inutile sperare che la sinistra italiana cambi posizione: «Scartata l’ipotesi di uscire unilateralmente dall’euro, considerata come catastrofica», nella sinistra «prevale l’allineamento alle tesi pro-euro e pro-Ue». L’euro, la moneta unica prevista per tutti i 28 stati dell’Unione Europea ma utilizzata solo da 12 paesi, sul piano economico «è una solenne bestemmia: infatti significa che 12 paesi molto differenti, dalla Spagna alla Germania, dall’Italia all’Olanda, dal Portogallo alla Lettonia, sono soggetti allo stesso tasso di interesse, devono avere la stessa base monetaria e subiscono lo stesso tasso di cambio verso i paesi extraeuropei». Ovvio che non funziona: «Un paese che corre troppo, in cui l’inflazione è elevata, ha bisogno di alti tassi di interesse; invece un altro paese (come l’Italia) che è fermo necessita di tassi bassi per stimolare gli investimenti. Un paese come la Germania può riuscire ad esportare con l’euro a 1,40 sul dollaro; altri paesi invece con lo stesso tasso di cambio non riescono più ad esportare e a compensare l’import, e sono quindi costretti ad accendere debiti».La moneta unica fa esplodere le differenze, aggravando gli squilibri: «La Germania diventa sempre più competitiva; gli altri paesi invece perdono industria». La Germania impone una politica deflattiva per ridurre i deficit altrui e per garantirsi che le siano restituiti i debiti, «ma la politica deflattiva comprime l’economia, provoca la crisi fiscale dello Stato, la disoccupazione, la precarizzazione del lavoro, la riduzione dei redditi, della domanda e degli investimenti». Risultato: diventa sempre più difficile restituire i debiti. «Non a caso, i debiti pubblici dei paesi mediterranei continuano ad aumentare inesorabilmente nonostante l’austerità». Perché ostinarsi a non riconoscere la verità? Secondo Grazzini, «per molta parte della sinistra il sogno di un’Europa unita e federata, degli Stati Uniti d’Europa, ha sostituito il sogno fallito del comunismo. La sinistra ha perso la testa e si è innamorata perdutamente dell’idea di Europa, una Europa che però la tradisce spudoratamente con la finanza».Se questo vale per la base elettorale della sinistra, secondo molti altri analisti i leader del centrosinistra italiano sono stati semplicemente cooptati dall’élite franco-tedesca: hanno trascinato l’Italia nella catastrofe dell’Eurozona, sperando di guidare la Seconda Repubblica dopo il crollo del vecchio sistema Dc-Psi, funzionale alla guerra fredda e liquidato da Mani Pulite. Troppo sospetta, la reticenza del centrosinistra di fronte al disastro dell’Unione Europea – guidata peraltro anche da uomini come Romano Prodi, advisor della Goldman Sachs benché uomo simbolo dell’antagonismo contro Berlusconi. Ora siamo all’ultima mutazione genetica, quella di Matteo Renzi: che per prima cosa vara il Jobs Act, cioè la frammentazione del lavoro super-precarizzato, in ossequio ai dettami (“riforme strutturali”) che l’élite europea ha imposto, piegando gradualmente i sindacati. «Insieme al lavoro si svaluta anche il capitale nazionale», avverte Grazzini. «Così è più facile per le aziende estere conquistare le banche e le industrie di un paese in debito, magari privatizzate in nome dell’Europa: e così i paesi più deboli cadono nel sottosviluppo, nella subordinazione e nella povertà».Sempre secondo Grazzini, la sinistra che si vorrebbe marxista o alternativa «non si accorge del pericolo», neppure di fronte all’assalto di Telefonica verso Telecom. Eppure, «il patriottismo economico è necessario per contrastare la globalizzazione selvaggia». Patriottismo economico: non è forse la parola d’ordine del Front National che la sinistra italiana continua a emarginare come vieta espressione sciovinista, xenofoba e fasciosta? «Si dice che gli Stati non contano più nulla – scrive Grazzini – perché la finanza ormai è globalizzata e quindi l’Europa e l’euro sono necessari per difendersi dalla globalizzazione». Favole: l’euro e l’Ue sono esattamente gli ostacoli che hanno frenato la nostra economia. La riprova: «I paesi europei che non hanno adottato l’euro (Gran Bretagna, Svezia, Danimarca, Polonia) e hanno una loro moneta nazionale stanno molto meglio di noi. In Italia in cinque anni di crisi abbiamo perso circa l’8,5% del Pil e il 30% degli investimenti». I redditi crollano, la disoccupazione dilaga, un terzo delle famiglie è a rischio povertà, ma l’Ue impone i tagli alla spesa pubblica e il Fiscal Compact, facendo esplodere il debito pubblico che – senza moneta sovrana – ci scava la fossa giorno per giorno.Democrazia? Scomparsa dai radar. «Nessuno della Troika (Commissione Ue, Bce, Fmi) è stato eletto dai cittadini». Il Parlamento Europeo? «Non ha praticamente poteri: serve soprattutto a dare una patina di legittimità alle decisioni della Commissione». Un referendum sull’euro? «Sarebbe giusto farlo. In Francia e in Olanda i popoli si sono già espressi contro una falsa Costituzione Europea per salvaguardare la loro sovranità. E la Svezia e la Danimarca con un referendum hanno deciso di non entrare nell’Eurozona. Beati loro». La Polonia ha rimandato l’ingresso nell’euro, la Gran Bretagna si tiene stretta la sterlina. «Solo recuperando la sovranità nazionale è possibile che i popoli possano difendersi dalle politiche neocoloniali della Ue e sperimentare nuovi modelli di sviluppo sostenibile: senza sovranità nazionale non ci può essere neppure un’ombra di democrazia». Questo lo dicono Matteo Salvini della Lega Nord e Giorgia Meloni di “Fratelli d’Italia”. «Purtroppo – ammette Grazzini – buona parte della sinistra ritiene che la sovranità nazionale sia da demonizzare perché sempre di destra».La sinistra? Dovrebbe lottare per recuperare la sovranità nazionale. Lo fa invece quella che viene ancora definita “destra”, cioè il Front National di Marine Le Pen, organizzazione che si batte apertamente contro l’Unione Europea per difendere i lavoratori francesi dal regime Ue-euro, che produce «povertà e sottomissione alle misure autoritarie calate dall’alto della tecnocrazia di Bruxelles». Sinistra sovranista? Macché. «Il problema – osserva Enrico Grazzini – è che il socialismo europeo è ormai profondamente compromesso con questa Europa liberista e della finanza». Grazzini parla di «ritardo culturale e politico nei confronti dell’Europa reale» anche da parte della “sinistra radicale”, ovvero «la sinistra aristocratica italiana», che «sottovaluta i guasti dell’Europa reale e dell’euro e sogna la democrazia dell’Europa federata e di uno Stato federale: rischia così di rimanere elitaria, isolata e senza troppo popolo (e voti)», e lascia il bottino elettorale a quello che sempre Grazzini definisce «il populismo né di destra né di sinistra di Grillo».
-
Il sondaggio segreto del Pd: alle europee vincerà Grillo
I sondaggi sulle elezioni europee 2014 che vediamo ogni giorno fioccare in ogni dove raccontano una storia che è sempre molto simile: Pd ben oltre il 30%, “Movimento 5 Stelle” attorno al 20-22% e Forza Italia ancora più staccata. Numeri che mandano su tutte le furie i militanti M5S, che ricordano bene come il loro partito sia stato pesantemente sottostimato in occasione delle politiche dello scorso anno (quando solo all’ultimo si capì come sarebbero andate le cose). La storia si sta ripetendo? Secondo alcune indiscrezioni che circolano, sembrerebbe proprio di sì. In verità, la fonte è abbastanza affidabile, trattasi di Pasquale Laurito, autore del foglio “Velina Rossa” e da tempo insider della sinistra che ne racconta i segreti. Il problema è che il suo scoop si trova solo rilanciato da Bechis su “Libero”, mentre nei vari canali gestiti direttamente da Laurito non se ne riesce a trovare traccia. La cosa, quindi, è da prendere con le dovute pinze. Ma qual è questo scoop?Secondo le rilevazioni interne del Pd con la distribuzione degli indecisi il “Movimento 5 Stelle” sarebbe il primo partito alle europee. E Matteo Renzi avrebbe la strada ancora in salita, mentre Silvio Berlusconi supererebbe quota 20% e il quorum sarebbe ottenuto da Lega Nord, lista Tsipras e Ncd. Il “Movimento 5 Stelle” primo partito alle europee. Questa è la notizia bomba che potrebbe ribaltare le sorti della politica italiana (almeno è quello che spera Beppe Grillo, che ha già detto che in caso di vittoria chiederà il governo a Napolitano). Il tutto verrebbe quindi da un sondaggio riservato, di quelli che i partiti conducono per conto loro senza darne notizia alla pubblica opinione e che secondo molti sono gli unici a non essere in alcun modo manipolati (visto che il sospetto che con i sondaggi si faccia campagna elettorale non è certo cosa nuova).Il sondaggio riservato in questione è invece trapelato, con tutti i suoi numeri: contrariamente a quanto indicato dai sondaggi ufficiali, il Pd infatti sarebbe ben al di sotto del 30% dei consensi. Oscillerebbe al momento fra il 26 e il 27%, mentre il “Movimento 5 Stelle” avrebbe superato in queste settimane il 27%. Si profilerebbe insomma un inatteso testa a testa Grillo-Renzi alle europee. Sempre secondo la stessa rilevazione, Forza Italia sarebbe di poco sopra il 20%, mentre il quorum alle europee sarebbe superato di sicuro da Ncd (intorno al 6-7%), dalla Lega Nord (sopra il 5%) e dalla lista Tsipras (5-6%) che avrebbe eroso soprattutto nel Sud molti voti del Pd. Al di là della notizia principale, che riguarda M5S e Pd, buone nuove arrivano quindi anche per tutti gli altri partiti: Forza Italia supera il 20%, Lega Nord, Nuovo Centrodestra e Lista Tsipras superano la soglia di sbarramento. Se davvero le cose andranno in questo modo, c’è da aspettarsi un terremoto. E molto probabilmente elezioni nel 2015.(Andrea Signorelli, “Sondaggi Elezioni Europee 2014: il Movimento 5 Stelle primo partito?”, da “Polisblog” del 29 aprile 2014).I sondaggi sulle elezioni europee 2014 che vediamo ogni giorno fioccare in ogni dove raccontano una storia che è sempre molto simile: Pd ben oltre il 30%, “Movimento 5 Stelle” attorno al 20-22% e Forza Italia ancora più staccata. Numeri che mandano su tutte le furie i militanti M5S, che ricordano bene come il loro partito sia stato pesantemente sottostimato in occasione delle politiche dello scorso anno (quando solo all’ultimo si capì come sarebbero andate le cose). La storia si sta ripetendo? Secondo alcune indiscrezioni che circolano, sembrerebbe proprio di sì. In verità, la fonte è abbastanza affidabile, trattasi di Pasquale Laurito, autore del foglio “Velina Rossa” e da tempo insider della sinistra che ne racconta i segreti. Il problema è che il suo scoop si trova solo rilanciato da Bechis su “Libero”, mentre nei vari canali gestiti direttamente da Laurito non se ne riesce a trovare traccia. La cosa, quindi, è da prendere con le dovute pinze. Ma qual è questo scoop?
-
La lunga marcia dei no-euro, assedio all’Europarlamento
In Gran Bretagna il partito populista “United Kingdom Indipendence Party”, Ukip, il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, è rilevato in prima posizione nelle intenzioni di voto per le elezioni europee in un sondaggio realizzato dall’istituto Yougov per il quotidiano “Sunday Times”. I dati registrano lo Ukip guidato da Nigel Farage al 31%, i laburisti al 28%, i Tory del premier Cameron al 19%, e i Liberaldemocratici al 9%. Lo Ukip sta realizzando per le europee una campagna molto vigorosa contro i posti di lavoro “rubati” dagli stranieri, definita razzista dagli altri partiti. Secondo l’opinione della maggioranza del campione di Yougov questo tipo di posizione non è razzista, ma un commento duro sulla realtà. Nei sondaggi realizzati da quest’istituto si nota come l’avvicinarsi del voto stia spingendo verso l’alto i consensi dello Ukip, cresciuto dal 23% di inizio marzo all’attuale 31%, con una contemporanea flessione dei laburisti così come dei conservatori.Per il voto alla Camera dei Comuni i sondaggi sono diversi; certo se questo dato fosse confermato sarebbe comunque piuttosto clamoroso che un partito che combatte da sempre contro l’adesione della Gran Bretagna all’Unione Europea in pochi anni sia passato da una relativa marginalità al primato nazionale, per quanto in questa specifica consultazione. Il Regno Unito non è però l’unico paese Ue dove alle prossime europee sarà possibile un’affermazione dei no-euro. Il “Movimento 5 Stelle” è una formazione che nella stampa europea viene definita no-euro, anche se il M5S non è assimilabile ai partiti di destra populista che combattono contro Bruxelles. Alle europee il primato dei 5 Stelle è un’ipotesi al momento non così probabile, ma neppure impossibile. Il fronte no-euro al Parlamento di Strasburgo sarà guidato da Marine Le Pen, e il suo Front National potrebbe conseguire una prima posizione alle consultazioni del 25 maggio.Come mostra la media dei sondaggi realizzata da “Electionista” su Twitter, il partito della destra repubblicana Ump e la formazione di Marine Le Pen sono praticamente appaiate poco sopra il 20%. Per il Front National si tratterebbe di una crescita clamorosa, visto che 5 anni fa raccolse poco più del 6%. I Paesi Bassi, come la Francia e l’Italia, sono una delle sei nazioni fondatrici del processo di unificazione dell’Europa. Anche l’elettorato olandese potrebbe consegnare ai no-euro del “Partito della Libertà” di Geert Wilders il primato nazionale alle consultazioni per l’Europarlamento. Al momento il Pvv è terzo dietro i liberali progressisti, ora all’opposizione, e i liberali conservatori del premier Rutte, ma il margine di distacco è molto ridotto. La terza formazione assai rilevante che aderisce al blocco no euro della destra populista sono i liberali austriaci della Fpö di Heinz-Christian Strache. Anche in Austria le europee potrebbero essere vinte dai no -uro, ora al terzo posto nella media delle intenzioni di voto, dietro ai popolari e ai socialdemocratici.In Germania i no-euro di “Alternativa per la Germania”, che hanno recentemente rifiutato la proposta di alleanza offerta loro da Marine Le Pen, non vinceranno le elezioni europee ma sicuramente entreranno all’Europarlamento, con un risultato in costante crescita, che danneggia la Cdu della vera leader dell’Ue, Angela Merkel. Come si vede nell’ultimo sondaggio pubblicato su “Bild”, “Alternativa per la Germania”, Afd, è rilevata al 7,5%, in aumento rispetto al 4,9% conseguito alle ultime federali. E’ difficile definire “Syriza” un partito no-euro, visto che la formazione guidata da Tsipras è favorevole alla moneta unica. Le critiche radicali alle politiche di austerità hanno però tratti accomunabili al variegato fronte che combatte contro i governi dell’Ue, ed in questa prospettiva la possibile affermazione di “Syriza” in Grecia alle prossime europee rappresenterebbe uno scossone a Bruxelles non così dissimile dal primato nazionale del Front National della Le Pen o del Pvv di Wilders.(Andrea Mollica, “I paesi dove i no-euro hanno chance di vittoria alle europee”, dal blog di Gad Lerner del 28 aprile 2014).In Gran Bretagna il partito populista “United Kingdom Indipendence Party”, Ukip, il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, è rilevato in prima posizione nelle intenzioni di voto per le elezioni europee in un sondaggio realizzato dall’istituto Yougov per il quotidiano “Sunday Times”. I dati registrano lo Ukip guidato da Nigel Farage al 31%, i laburisti al 28%, i Tory del premier Cameron al 19%, e i Liberaldemocratici al 9%. Lo Ukip sta realizzando per le europee una campagna molto vigorosa contro i posti di lavoro “rubati” dagli stranieri, definita razzista dagli altri partiti. Secondo l’opinione della maggioranza del campione di Yougov questo tipo di posizione non è razzista, ma un commento duro sulla realtà. Nei sondaggi realizzati da quest’istituto si nota come l’avvicinarsi del voto stia spingendo verso l’alto i consensi dello Ukip, cresciuto dal 23% di inizio marzo all’attuale 31%, con una contemporanea flessione dei laburisti così come dei conservatori.
-
La guerra di Ugo: il 25 aprile e l’euro-Italia di Renzi
Ugo Berga è un anziano signore di novant’anni, nipote di Palmiro Togliatti. Vive in valle di Susa, dove ha combattuto come partigiano. Dice: oggi, i partigiani della libertà e della giustizia sono i No-Tav, coi quali peraltro l’anziano Berga solidarizza, anche con happening a Chiomonte, a cento passi dalla baita in cui Beppe Grillo qualche anno fa violò i sigilli giudiziari, finendo anche lui in tribunale. Dalla parte dei No-Tav – cioè della libertà e della giustizia, per dirla con nonno Ugo – è dunque schierato il populista Grillo, mentre gli ultimi eredi piemontesi di quello che fu il partito di Togliatti – il sindaco torinese Fassino, l’ex sindaco Chiamparino ora in corsa per la Regione Piemonte, l’ex presidente Mercedes Bresso candidata al Parlamento Europeo – sono i più acerrimi avversari degli “eretici” valsusini. Proprio loro, gli ex-Pci, sono i nemici giurati dei ragazzi per i quali fa il tifo il partigiano comunista Ugo Berga, nipote di Togliatti. Dov’è l’errore?Il 25 aprile, per decenni ricorrenza sacra alla sinistra ufficiale (quella del partito di Gramsci, Togliatti, Berlinguer) pare ormai una questione da nonni, capace di appassionare soltanto novantenni – oppure ventenni, ma con sciarpa No-Tav. Nonni che hanno lasciato un segno, in valle di Susa e altrove. Come il grande Giorgio Bocca, che nel 2005 – dopo il primo atto di forza contro la popolazione, ostile alla grande opera più inutile d’Europa – scrisse, testualmente: se qualcuno mi parla ancora di Tav Torino-Lione tiro fuori il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo sepolto nell’aprile del ‘45. Almeno dieci anni prima, sempre in valle di Susa, i futuri No-Tav ascoltarono parole profetiche da un altro venerabile nonno, Nuto Revelli, partigiano sulle stesse montagne di Bocca. Vi vogliono remissivi e disclipinati – disse Nuto – ma voi, ragazzi, imparate a ribellarvi: dovete dare fastidio, al potere. Non dategliela vinta, resistete, non arrendetevi.Nuto Revelli fiutava i tempi: l’eclissi della sinistra come patria politica dei diritti sacrificati alla nuova dittatura, quella del mercato. Oggi, i pronipoti di Togliatti – la sinistra di potere – inaugura a Torino l’Hotel Gramsci, lusso a 5 stelle sulle ceneri della casa del più grande intellettuale e militante della sinistra italiana. Ieri, Massimo D’Alema autorizzava i bombardamenti sulla Jugoslavia, dopo che gli infiltrati dell’Unione Europea – a cominciare da Romano Prodi – avevano impacchettato l’Italia, all’insaputa degli italiani, dentro trattati-capestro i cui effetti catastrofici si rivelano al grande pubblico soltanto oggi, caduto lo schermo di comodo dell’antiberlusconismo. Su quel palco ora volteggia Renzi, l’illusionista che prende ordini dalla Jp Morgan tramite Tony Blair. Sa benissimo che i devoti elettori del Pd lo voteranno lo stesso, anche se rottama gli ultimi diritti sociali come vuole il neoliberismo dell’élite, l’oligarchia che sta restaurando il feudalelismo in Europa. Con tanti saluti a Ugo Berga, Giorgio Bocca, Nuto Revelli e tutti gli altri nonni, per i quali il 25 aprile era la data di una vittoria storica: un mondo onesto e pulito, fatto di pari opportunità per tutti, non solo per i ricchi.Ugo Berga è un anziano signore di novant’anni, nipote di Palmiro Togliatti. Vive in valle di Susa, dove ha combattuto come partigiano. Dice: oggi, i partigiani della libertà e della giustizia sono i No-Tav, coi quali peraltro l’anziano Berga solidarizza, anche con happening a Chiomonte, a cento passi dalla baita in cui Beppe Grillo qualche anno fa violò i sigilli giudiziari, finendo anche lui in tribunale. Dalla parte dei No-Tav – cioè della libertà e della giustizia, per dirla con nonno Ugo – è dunque schierato il populista Grillo, mentre gli ultimi eredi piemontesi di quello che fu il partito di Togliatti – il sindaco torinese Fassino, l’ex sindaco Chiamparino ora in corsa per la Regione Piemonte, l’ex presidente Mercedes Bresso candidata al Parlamento Europeo – sono i più acerrimi avversari degli “eretici” valsusini. Proprio loro, gli ex-Pci, sono i nemici giurati dei ragazzi per i quali fa il tifo il partigiano comunista Ugo Berga, nipote di Togliatti. Dov’è l’errore?
-
Bruxelles teme il voto: boom dei no-euro in tutta Europa
Aria di rivolta elettorale contro l’euro e l’Unione Europea gestita dalla Troika: i partiti euroscettici e sovranisti potrebbero ottenere quasi la metà dei seggi al Parlamento Europeo, per protesta contro la disoccupazione dilagante e la recessione imposta dall’austerity. Allarme rosso, dunque, per l’establishment di Bruxelles: secondo lo European Policy Institute Network, la grande crisi ha prodotto un’ondata di indignazione che si abbatterà sull’Unione Europea il prossimo 25 maggio. Mentre in Italia il Movimento 5 Stelle continua a crescere, superando Berlusconi e avvicinandosi al Pd di Renzi, il sondaggio Infop realizzato in Francia per “Paris Match” incorona il Front National di Marine Le Pen primo partito col 24%. Stesso scenario in Gran Bretagna, dove lo Ukip di Nigel Farage si appresta a superare conservatori e laburisti. E se in Austria gli anti-europeisti sono dati al 20%, in Olanda stravince Geert Wilders, leader del “partito della libertà”.In linea con l’andamento europeo anche l’Italia, dove – secondo l’ultimo sondaggio di “Scenari politici”, in controtendenza rispetto ai sondaggi più diffusi in televisione – il Partito democratico scende al di sotto della temuta soglia del 30% dei consensi, quasi raggiunto dal Movimento 5 Stelle in crescita continua (quasi al 28%). L’altra notizia riguarda la lista “L’Altra Europa”, capeggiata da Alexis Tsipras, valutata saldamente al di sopra della soglia di sbarramento (4,8%) e quindi al riparo dal rischio-esclusione. «A poco meno di un mese dalle elezioni europee del 25 maggio – prende nota il “Fatto Quotidiano” – il Pd è al primo posto, dato al 28,6% dei consensi, seguito dal M5S al 27,9% e Forza Italia al 18%. Sorprendente la percentuale della Lega Nord che si attesta al 7%. L’alleanza tra Nuovo Centro Destra e Udc viene data al 6%, Fratelli d’Italia al 4,2%. Scelta Europea si attesta al 2,5% e non supera la soglia di sbarramento del 4%, insieme agli altri partiti dati all’1%».I dati, raccolti attraverso un campione di 4.000 interviste tra il 15 e il 17 aprile, sono in molto differenti da quelli dell’ultimo sondaggio Ixè, realizzato in esclusiva per “Agorà” (Rai3). «Rispetto alle intenzioni di voto diffuse dal programma Rai, il Pd (dato al 32,8%) perde circa quattro punti percentuali, mentre il M5S ne guadagna due. Identico in entrambi è il risultato di Forza Italia che si attesta in entrambi al 18%». Sorprendenti, nel sondaggio di “Scenaripolitici.com” i risultati della Lega Nord, che rispetto a quelli Ixè guadagna poco meno di due punti, e quelli della lista di Tsipras. La Lega è la formazione con la campagna elettorale più ostile all’euro, sommata a quella di Fratelli d’Italia (totale, oltre il 10% delle intenzioni di voto). Un altro 33% lo si aggiunge sommando Grillo e Tsipras, anche se la loro posizione – sull’euro e l’Ue – non è così radicale come quella dei no-euro italiani, francesi, inglesi e olandesi. In ogni caso la tendenza è chiara: nonostante i giochi di prestigio di Renzi, il partito dell’establishment italiano pro-euro finirebbe in minoranza, sconfitto da un’opinione pubblica prostrata dalla crisi indotta dalla moneta unica.Aria di rivolta elettorale contro l’euro e l’Unione Europea gestita dalla Troika: i partiti euroscettici e sovranisti potrebbero ottenere quasi la metà dei seggi al Parlamento Europeo, per protesta contro la disoccupazione dilagante e la recessione imposta dall’austerity. Allarme rosso, dunque, per l’establishment di Bruxelles: secondo lo European Policy Institute Network, la grande crisi ha prodotto un’ondata di indignazione che si abbatterà sull’Unione Europea il prossimo 25 maggio. Mentre in Italia il Movimento 5 Stelle continua a crescere, superando Berlusconi e avvicinandosi al Pd di Renzi, il sondaggio Infop realizzato in Francia per “Paris Match” incorona il Front National di Marine Le Pen primo partito col 24%. Stesso scenario in Gran Bretagna, dove lo Ukip di Nigel Farage si appresta a superare conservatori e laburisti. E se in Austria gli anti-europeisti sono dati al 20%, in Olanda stravince Geert Wilders, leader del “partito della libertà”.
-
Euro-tax, mille euro a testa: prelievo forzoso per 20 anni
Mille euro all’anno per persona, per i prossimi vent’anni. L’ultimo mostro targato Ue si chiama Drf, “Debt Redemption Fund”. Letteralmente: fondo di redenzione del debito. «Tutti avranno notato lo strano silenzio della politica italiana sul Fiscal Compact, quasi che se lo fossero scordato, magari con la nascosta speranza di un abbuono dell’ultimo minuto», rileva Leonardo Mazzei. E’ un po’ come avvenne al momento dell’ingresso nell’Eurozona per i famosi parametri di Maastricht. «Ma mentre i politicanti italiani fingono che le priorità siano altre – dice Mazzei – a Bruxelles c’è chi lavora alacremente per dare al Fiscal Compact una forma attuativa precisa quanto atroce». Anche in questo caso, come per l’italica “spending review”, sono all’opera gli “esperti”: undici tecnocrati di provata fede liberista, guidati dall’ex governatrice della banca centrale austriaca, Gertrude Trumpel-Gugerell. La ratifica? A cose fatte, dopo le elezioni europee, e senza ovviamente informarne gli ignari elettori.Stando alle prime anticipazioni, sembra che la proposta sarà incentrata su tre punti: Debt Redemption Fund, Eurobond e Tassa per l’Europa. Nel Drf «verrebbero fatti confluire i debiti di ogni Stato che eccedono il 60% in rapporto al Pil – per l’Italia, ad oggi circa 1.100 miliardi di euro», scrive Mazzei su “Antimperialista”, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. Secondo Antonio Pilati del “Foglio”, «l’idea degli esperti è a doppio taglio e la seconda lama fa molto male all’Italia: è infatti previsto che dal gettito fiscale degli Stati partecipanti si attui ogni anno un prelievo automatico pari a 1/20 del debito apportato al fondo. Nel progetto, le risorse raccolte dal fisco nazionale passano in via diretta, tagliando fuori le autorità degli Stati debitori, alle casse del fondo. Si tratta di un passaggio cruciale e drammatico tanto nella sostanza quanto – e ancora di più – nella forma».Concorda Riccardo Puglisi sul “Corriere della Sera”: «L’aspetto gravoso per l’Italia è che la Commissione sta anche pensando ad un prelievo automatico annuo dalle entrate fiscali di ciascuno Stato per un importo pari ad un ventesimo del debito pubblico trasferito al fondo stesso. Il rientro verso il 60 per cento avverrebbe in modo meccanico, forse con un eccesso di cessione di sovranità». E’ probabile che la patata bollente verrà affrontata solo dopo le elezioni europee, ipotizza Mazzei. «Ma la direzione di marcia è chiara. La linea dell’austerity non solo non è cambiata, ma ci si appresta ad un suo drammatico rilancio, del resto in perfetta coerenza con i contenuti del Fiscal Compact, noti ormai da due anni». Di fatto, «per l’Italia si tratterebbe di un prelievo forzoso – in automatico, appunto – di 55 miliardi di euro all’anno per vent’anni. Cioè, per parafrasare lo spaccone di Palazzo Chigi, di mille euro a persona (compresi vecchi e bambini) all’anno, per vent’anni. Per una famiglia media di tre persone, 60.000 euro di tasse da versare all’Europa».Questa è l’ipotesi sulla quale sta lavorando l’Unione Europea – quella vera, non quella narrata «dal berluschino fiorentino» o “l’altra Europa” «dei sinistrati dalla vista corta». Per Mazzei, «è la logica del sistema dell’euro e della distruzione di ogni sovranità degli Stati, che in questo sistema sono destinati a soccombere. Tra questi il più importante è l’Italia. E forse sarà proprio nel nostro paese che si svolgerà la battaglia decisiva». Il sistema dell’euro, «tanto antidemocratico quanto antipopolare», procede imperterrito per la sua strada. «Le classi popolari hanno davanti vent’anni di stenti, miseria e disoccupazione. O ci si batte per il recupero della sovranità nazionale, inclusa quella monetaria, o sarà inutile – peggio, ipocrita – lamentarsi della catastrofe sociale che ci attende». Quest’ultimo giro di vite lo conferma: gli eurocrati non si fidano più dei singoli Stati, e si preparano a «mettere direttamente le mani nel gettito fiscale di ogni Stato da “redimere”».“Antimperialista” fornisce anche l’identikit degli 11 super-tecnocrati che preparano il maxi-prelievo forzoso europeo. Gertrude Tumpel-Gugerell, ex banchiera centrale austriaca «famosa per le operazioni speculative che misero in difficoltà la banca», è ora nel Cda di Commerzbank. Agnés Bénassy-Quéré, economista e docente universitario francese, ha lavorato al ministero delle finanze di Parigi. Vitor Bento, ex banchiere centrale del Portogallo, è un esponente del centrodestra portoghese. Il neoliberista Graham Bishop, consulente finanziario di alto rango, è stato membro influente della commissione che, negli anni ‘90, preparò il passaggio all’euro. Ultra-liberista anche la tedesca Claudia Buch, esperta di mercati finanziari. Leonardus Lex Hoogduin, economista olandese, è stato advisor della Bank of International Settlements, la super-banca dei regolamenti internazionali.La lista si completa con Jan Mazak, giudice slovacco, già avvocato generale presso la Corte Europea di Giustizia di Lussemburgo. Belén Romana, ex direttore del Tesoro spagnolo, è attualmente amministratore delegato della Sareb, la “bad bank” cui sono stati conferiti gli asset tossici del settore immobiliare iberico. Nel gruppo figurano anche Ingrida Simonyte, ex ministro delle finanze della Lituania, e Vesa Vihriala, membro dell’associazione degli industriali finlandesi nonché ex advisor di un certo Olli Rehn. Non mancano infine personaggi come l’economista Beatrice Weder di Mauro, proveniente dal Fmi e oggi nel board della ThyssenKrupp ed in quello di Hoffman-La Roche. Questi sono i nomi – e i curriculum – degli “esperti” del super-potere eurocratico incaricato di “tosarci” per i prossimi vent’anni, scavalcando ormai anche l’amministrazione fiscale dei nostri Stati.Mille euro all’anno per persona, per i prossimi vent’anni. L’ultimo mostro targato Ue si chiama Drf, “Debt Redemption Fund”. Letteralmente: fondo di redenzione del debito. «Tutti avranno notato lo strano silenzio della politica italiana sul Fiscal Compact, quasi che se lo fossero scordato, magari con la nascosta speranza di un abbuono dell’ultimo minuto», rileva Leonardo Mazzei. E’ un po’ come avvenne al momento dell’ingresso nell’Eurozona per i famosi parametri di Maastricht. «Ma mentre i politicanti italiani fingono che le priorità siano altre – dice Mazzei – a Bruxelles c’è chi lavora alacremente per dare al Fiscal Compact una forma attuativa precisa quanto atroce». Anche in questo caso, come per l’italica “spending review”, sono all’opera gli “esperti”: undici tecnocrati di provata fede liberista, guidati dall’ex governatrice della banca centrale austriaca, Gertrude Trumpel-Gugerell. La ratifica? A cose fatte, dopo le elezioni europee, e senza ovviamente informarne gli ignari elettori.
-
Giannuli: sono di sinistra, per questo non voterò Tsipras
La lista Tsipras? «E’ un aggregato che non ha nessuna vitalità o prospettiva. E’ la sommatoria deprimente di quel che resta di alcuni apparati di sinistra, alla ricerca disperata di margini di sopravvivenza, ma senza alcun reale progetto politico». Aldo Giannuli boccia sonoramente l’esperimento messo in piedi per le europee da Barbara Spinelli e Paolo Flores d’Arcais. E di chiara di aver «ascoltato con crescente desolazione» un recente comizio di Moni Ovadia, che sosteneva: «Non si torna indietro dall’Europa, perché bisogna battere i nazionalismi che hanno portato alla prima ed alla seconda guerra mondiale». Replica Giannuli: «Ancora con questa accozzaglia di luoghi comuni? Ci mancava solo che dicesse che di mamma ce n’è una sola e che non ci sono più le mezze stagioni. Vogliamo riflettere su cosa è in concreto questa Europa e le sue istituzioni, al di là della propaganda “europeista” in cui non crede più nessuno?».Secondo Giannuli, non essendoci né un’analisi («e come volete che venga fuori in poche settimane di raffazzonata corsa a fare le liste?») non c’è neppure una linea politica e, di conseguenza, nessuna azione politica. «E voi pensate di prendere voti così?». Il politologo, docente universitario e con alle spalle una lunga militanza, anche in Rifondazione Comunista, si dichiara «non ostile» alla “Lista Tsipras”, ma la considera «una cosa morta». E aggiunge: «Posso fare le mie condoglianze, ma non ho molta voglia di restare a vegliare la salma. Se altri ritengono di doverlo fare, per carità, facciano pure, ma, ci rivediamo dopo le esequie». Ci sono molti modi di essere “di sinistra”, charisce Giannuli. «Ad esempio, io sono convinto della inconciliabilità fra capitalismo e giustizia sociale, perché il capitalismo è costitutivamente portatore di ingiustizie sociali. Ed è il motivo per cui mi definisco comunista. Poi altri la pensano diversamente, ad esempio la lista Tsipras si muove nell’ottica di una socialdemocrazia moderata, cercando di realizzare “spazi di giustizia sociale” all’interno del sistema dato, che non rimette in discussione».Dunque, se uno si considera “di sinistra” – cioè convinto del «nesso inscindibile fra giustizia sociale e libertà individuali e politiche», all’interno di una comunità di persone che aspirano a «un ordinamento sociale giusto e libero» – come può credere nella “Lista Tsipras”, che di fatto non propone di radere al suolo l’attuale ordinamento dell’Unione Europea, sostanziale dittatura dell’élite finanziaria imposta attraverso strumenti come l’austerity, il Fiscal Compact e la camicia di forza dell’Eurozona? Come dire: è illusorio pensare di riformare e correggere l’Ue, bisogna proprio abbatterla. Ma il vero problema è che, in Italia, il “popolo di sinistra” ha ben poche chanches: se la “Lista Tsipras” è così deludente, quello che ha attorno è ancora peggio. Per Giannuli, il Pd è ormai un partito «organicamente di destra», ligio ai diktat dell’élite finanziaria europea, anche se tiene ancora in ostaggio una residua porzione di “popolo di sinistra”, per lo più composta da pensionati, segnati più che altro «da una nobile ma sterile nostalgia». Si salva solo Civati, ma il suo «è un gruppo minuscolo e neanche tanto coeso». Dov’è finito, allora, il popolo della sinistra? Soprattutto nell’astensionismo e nel Movimento 5 Stelle.Nel 2006, ricorda Giannuli, le liste di sinistra (Rifondazione, Pdci, Verdi) ottennero complessivamente circa 4 milioni di voti. Nel 2013 “Rivoluzione Civile” guidata da Ingroia (con dentro anche un pezzo di Idv) ottenne 765.000 voti, e Sel un milione di suffragi. Totale, meno di 2 milioni di voti. E gli altri 2 milioni persi per strada? Fronte Pd: nel 2008 il partito di Veltroni ottenne 12 milioni di voti, mentre nel 2013 quello di Bersani si è fermato a 8 milioni e mezzo, perdendo cioè quasi 3 milioni e mezzo di elettori. Sommati a quelli della sinistra radicale, fanno 5 milioni e mezzo di italiani. Dove sono finiti? «Mi pare che non sia necessario fare calcoli particolarmente raffinati o interpellare chiromanti per capire che si sono divisi fra astensione e M5s». Il resto, oggi, è ancora collocato nel Pd per «una residua ma non trascurabile quota, direi un 25-30%», più forse un 10% nella «pozzanghera in cui si agitano Rifondazione, Sel, Pdci». Giannuli non ha dubbi: «Se qualcosa di sinistra ripartirà in questo paese, è dall’area dell’astensione o da quella del M5s che può succedere. Non certo dal Pd, da Rifondazione o Sel».Certo, ammette Giannuli, i grillini dovrebbero accelerare una sorta di evoluzione democratica. Pessime le espulsioni a catena dei dissidenti, «una pratica stalinista». Un problema anche «la proprietà privata del simbolo» del movimento creato da Grillo. D’accordo, serviva a «tutelare il simbolo da parte di “assalti” esterni», ma resta «una soluzione strampalata». Molto meglio «avere uno statuto ed una regolare costituzione come soggetto politico». Il professor Giannuli è convinto che, tra un po’, il M5S «rivedrà questa stramba sistemazione». Certo, il “populista” fondatore-padrone resta ingombrante, ma anche decisivo sul piano elettorale. «Non ho mai nascosto le mie critiche alle pose leaderistiche di Grillo», premette Giannuli, che però ribalta il ragionamento: come mai, nonostante il populismo, le esternazioni “isteriche” di Grillo e la mancanza di democrazia di cui è accusato, il M5S prende tutti quei voti, sottraendoli tanto al Pd quanto alla cosiddetta sinistra radicale? «Non sarà che, nonostante tutte le sue numerose pecche (che i suoi elettori conoscono benissimo, state tranquilli) il M5S appare più credibile, poniamo, di Rivoluzione Civile o della lista Tsipras?». Possibile che i signori della sinistra ufficiale siano così poco credibili da essere superati «da un rivale così pieno di difetti»?La lista Tsipras? «E’ un aggregato che non ha nessuna vitalità o prospettiva. E’ la sommatoria deprimente di quel che resta di alcuni apparati di sinistra, alla ricerca disperata di margini di sopravvivenza, ma senza alcun reale progetto politico». Aldo Giannuli boccia sonoramente l’esperimento messo in piedi per le europee da Barbara Spinelli e Paolo Flores d’Arcais. E di chiara di aver «ascoltato con crescente desolazione» un recente comizio di Moni Ovadia, che sosteneva: «Non si torna indietro dall’Europa, perché bisogna battere i nazionalismi che hanno portato alla prima ed alla seconda guerra mondiale». Replica Giannuli: «Ancora con questa accozzaglia di luoghi comuni? Ci mancava solo che dicesse che di mamma ce n’è una sola e che non ci sono più le mezze stagioni. Vogliamo riflettere su cosa è in concreto questa Europa e le sue istituzioni, al di là della propaganda “europeista” in cui non crede più nessuno?».
-
Sveglia, sinistra: i nemici dell’Europa sono l’euro e l’Ue
La sinistra vorrebbe “un’altra Europa”, completamente rifondata? Errore: prima bisogna radere al suolo «l’attuale architettura dell’Unione Europea» e, letteralmente, «demolire i presupposti alla base dell’unione monetaria». Riformare i trattati vigenti? Missione impossibile, spiega Enrico Grazzini: per modificare il Trattato di Maastricht e lo statuto della Bce occorre l’unanimità del voto di tutti i 28 paesi Ue. A bloccare tutto basterebbe l’opposizione di un solo Stato, di un solo governo. «E’ più facile ripudiare o abolire i trattati che modificarli». L’Unione Europea, semplicemente, non è riformabile. E’ un non-Stato, un mostro giuridico che «opprime i popoli». Nient’altro che «una istituzione intergovernativa diretta dalla finanza e guidata da una sola nazione, la Germania», nonché «debolmente legittimata da un Parlamento senza potere», peraltro «eletto nel 2009 solo dal 43% dei cittadini europei». Ergo: impossibile fondare “l’Europa dei popoli” partendo da questa Unione Europea.«Oggi – scrive Grazzini su “Micromega” – bisogna avere il coraggio di affrontare dei punti di frattura con il governo di questa Ue che nessun cittadino europeo ha eletto, che toglie sovranità alle nazioni e schiaccia i popoli in difficoltà». I promotori della “Lista Tsipras” hanno scelto di non fidarsi più della socialdemocrazia europea, e in Italia del Pd, «che sono tra i promotori e complici di obbrobri ultraliberisti come il Fiscal Compact – cioè il taglio selvaggio della spesa pubblica in tempi di crisi – e il pareggio in bilancio in Costituzione». Anche il governo Renzi, dopo quelli di Letta e di Monti, «si fa garante del rispetto dei crescenti vincoli europei». Grazzini non ha dubbi: «Siamo già allo stremo, ma se seguiremo la politica della Ue e di Renzi faremo la fine della Grecia». E dal centrosinistra, solo e sempre propaganda: a parole, Martin Schulz è contro la disastrosa politica europea di intransigenza liberista, ma la Spd «ha finora promosso la deregolamentazione finanziaria e la famigerata politica autoritaria europea di disoccupazione e di immiserimento della Ue».La cieca politica di austerità dettata dalla Ue e dalla Troika (Bce, Fmi, Ue) sarà sempre più intrusiva, rigida e antisociale, continua Grazzini. «La Ue impone ai governi di tagliare il costo del lavoro e il welfare in nome della competitività. La sua politica è destinata a provocare crisi economiche e democratiche dei paesi sottoposti ai suoi diktat, o anche a provocare il crollo dell’euro (e quindi della Ue stessa)». Romano Prodi, già presidente della Commissione Europea e protagonista dello sciagurato ingresso dell’Italia nell’Eurozona, oggi ha preso atto della politica egemonica tedesca e propone di costruire un’alleanza alternativa tra Italia, Francia e Spagna e gli altri paesi del Sud Europa per contrastare «la folle (ma lucida) politica della Merkel». Soluzione impraticabile, avverte l’ex ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni, intervistato dal “Corriere della Sera”: la Francia del socialista Hollande non accetterà mai di allearsi con noi, perché ha fatto della partnership con la Germania sull’euro il suo scudo (di latta) di fronte alla speculazione internazionale.Nulla all’orizzonte che preluda a qualcosa di diverso dal disastro nel quale stiamo sprofondando: «Ormai i bilanci dei paesi Ue vengono decisi non dai parlamenti e dai governi nazionali ma in maniera preventiva a Bruxelles, Francoforte e Berlino. E chi sgarra avrà delle sanzioni e poi verrà commissariato dalla Troika». Il disinvolto Renzi? «Magari otterrà qualche contentino da Bruxelles, ma il suo governo probabilmente cadrà proprio perché sarà costretto a trasmettere le politiche impopolari dettate dalla Ue», fatte di «lavoro sempre più precario, chiusura di aziende, disoccupazione dilagante ed eliminazione dei servizi sociali». Risultato: «Così dalla crisi non usciremo mai. E la crisi, soprattutto in Italia, potrebbe diventare irreversibile. La Grecia è vicina».Per rifondare l’Europa, dice Grazzini, occorre essere euroscettici. La sinistra respinge l’euroscetticismo come marchio infamante, denunciando le destre nazionaliste, xenofoba e neofasciste, il populismo nazionalista anti-europeo, senza vedere il vero pericolo, cioè l’autoritarismo dell’Ue e che fa a pezzi la nostra libertà, la nostra democrazia. «L’euroscetticismo ci riporta alla realtà», avverte Grazzini, citando uno dei maggiori storici marxisti, Eric Hobsbawn, fa poco scomparso, pessimista sul futuro europeo: «Penso che bisognerà abbandonare la speranza di trasformare l’Unione Europea in qualcosa di più di una semplice alleanza di Stati e di una zona di libero scambio». Troppo diversi gli interessi delle diverse aree, troppo liberista l’ideologia della Ue e troppo forte l’egemonia della Germania, ciecamente convinta «dell’austerità forzata e di questa architettura deflazionista e repressiva dell’euro perché sia possibile invertire facilmente la direzione di marcia».L’Europa unita, continua Grazzini, è importante se offre cooperazione, pace, democrazia e benessere dei popoli, non se genera povertà, disoccupazione, divisione e democrazie autoritarie e magari conflitti sanguinosi. «L’unione europea va, se possibile, salvaguardata nelle sue parti migliori, ma non adorata». Sicché, «occorre lottare per democratizzare la Ue e per dare al Parlamento Europeo il potere di fare proposte di legge», potere oggi affidato alla sola Commissione. La parola chiave, per uscire dal tunnel, si chiama sovranità. «E’ indispensabile rivalutare la sovranità nazionale, e quindi anche la sovranità monetaria», perché «solo recuperando la sovranità nazionale è possibile che i popoli possano difendersi dalle rigide politiche liberiste e neocoloniali della Ue e della Germania, e sperimentare nuovi modelli di sviluppo sostenibile. Solo così i governi europei potranno trovare delle forme efficaci di cooperazione per resistere alla speculazione finanziaria internazionale».Grazzini propone apertamente un’uscita concordata dall’euro, non-moneta palesemente insostenibile. «Bisognerebbe abolire il Trattato di Maastricht e concordare politicamente il ritorno alla sovranità monetaria degli Stati». Per prevenire la speculazione internazionale, la Ue e la Bce dovrebbero però anche creare e gestire, sulle orme di quanto proponeva Keynes a Bretton Woods, una moneta comune europea, l’Euro-Bancor, di fronte al dollaro e allo yen. «Purtroppo però gran parte (ma non tutta) della sinistra radicale ritiene che la questione della sovranità nazionale sia da demonizzare perché di destra. Eppure senza sovranità nazionale non ci può essere neppure un’ombra di democrazia».Senza moneta sovrana, resta solo questa Europa di oggi, «che schiaccia le nazioni» e le lascia in balia dello strapotere speculativo della finanza. «La sinistra – in particolare quella che si richiama al marxismo – dovrebbe ricordare le nozioni di imperialismo e di dominazione straniera, e dovrebbe sapere che le forze progressiste hanno sempre appoggiato e promosso le lotte di liberazione nazionale, in Sud America, in Africa e in tutti i paesi del mondo, di fronte all’oppressione straniera». Ora che più evolute forme di neocolonialismo economico minacciano per la prima volta anche i paesi europei, conclude Grazzini, sembra che una parte della sinistra afflitta da masochismo chieda “ancora più Europa”.La sinistra vorrebbe “un’altra Europa”, completamente rifondata? Errore: prima bisogna radere al suolo «l’attuale architettura dell’Unione Europea» e, letteralmente, «demolire i presupposti alla base dell’unione monetaria». Riformare i trattati vigenti? Missione impossibile, spiega Enrico Grazzini: per modificare il Trattato di Maastricht e lo statuto della Bce occorre l’unanimità del voto di tutti i 28 paesi Ue. A bloccare tutto basterebbe l’opposizione di un solo Stato, di un solo governo. «E’ più facile ripudiare o abolire i trattati che modificarli». L’Unione Europea, semplicemente, non è riformabile. E’ un non-Stato, un mostro giuridico che «opprime i popoli». Nient’altro che «una istituzione intergovernativa diretta dalla finanza e guidata da una sola nazione, la Germania», nonché «debolmente legittimata da un Parlamento senza potere», peraltro «eletto nel 2009 solo dal 43% dei cittadini europei». Ergo: impossibile fondare “l’Europa dei popoli” partendo da questa Unione Europea.
-
Voto inutile, D’Andrea: la truffa delle europee 2014
Vi hanno raccontato che queste elezioni europee saranno decisive per il futuro del continente prostrato dall’austerity? Sperare di cambiare le cose con il voto di maggio è una pia illusione, sostiene Stefano D’Andrea, perché chi esibisce propositi bellicosi contro Bruxelles in realtà non ha un vero programma, e perché – soprattutto – il Parlamento Europeo non conta niente. Boicottare le elezioni? Non occorrono appelli: l’astensionismo è in crescita costante. Se non altro, scrive D’Andrea su “Appello al popolo”, rinunciare alle urne può contribuire a delegittimare ulteriormente l’Unione Europea, in attesa che si “estingua” da sola, nell’unico modo possibile: cioè l’uscita unilaterale di uno dei paesi-cardine, come la Francia di Marine Le Pen o l’Inghilterra, che ha già messo in agenda un referendum per scegliere se restare o meno nell’istituzione comunitaria.Se appare ormai evidente l’insostenibilità economica e democratica dei trattati-capestro europei, da Maastricht al Fiscal Compact, il blogger ricorda che «sono gli Stati dell’Unione che possono modificare i trattati, non i cittadini attraverso i loro rappresentanti eletti in Parlamento», che ha poteri paragonabili a quelli del collegio sindacale di un’azienda, non certo dell’assemblea degli azionisti. Per l’approvazione del bilancio annuale dell’Ue, Strasburgo «non ha effettivi poteri, perché la richiesta unanimità dei membri del Consiglio impone di trovare l’accordo a livello intergovernativo». Idem per la funzione legislativa: «La regola è che “un atto legislativo dell’Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i Trattati non dispongano diversamente”. Quindi il Parlamento “legifera” ma ha una limitata iniziativa: in linea di principio legifera su impulso della Commissione. E comunque quando legifera, lo fa per per attuare i trattati».Quanto alle procedure di “revisione ordinaria”, oltre che dal Parlamento Europeo, un progetto di modifica «può essere presentato da qualsiasi Stato membro, dalla Commissione e dal Consiglio», il cui potere è invece vincolante: «Il Consiglio Europeo, a maggioranza semplice, decide se è opportuno procedere alle modifiche proposte: può quindi decidere che non sia opportuno. Basta dunque che la maggioranza degli Stati, ossia dei governi, sia contraria alla modifica proposta, che la procedura di revisione nemmeno inizia». E dato che l’Unione Europea è una organizzazione internazionale fondata sui trattati, «le modifiche dei trattati implicano sempre l’unanimità nel Consiglio europeo», ovvero «il consenso di tutti i governi o capi di Stato». Brutte notizie, dunque, per i “sovranisti”, cioè «coloro che intendono riconquistare la sovranità», per ridefinire su basi eque e democratiche la partnership tra Stati europei. Dunque: «Un partito che avesse una posizione politica chiaramente sovranista che si presenta a fare alle elezioni del Parlamento Europeo?».Sulle barricate contro Bruxelles c’è ad esempio la Lega Nord, ostile essenzialmente all’euro. Tesi: «Si può “recedere da alcuni articoli dei trattati” e segnatamente dalle norme che riguardano l’unione monetaria e assumere, secondo la propria volontà, la posizione che oggi hanno l’Inghilterra e la Danimarca, ovvero mutare la posizione dell’Italia da Stato con l’euro a Stato con deroga». Secondo D’Andrea, «se mai l’Italia assumesse unilateralmente questa decisione di rottura dell’ordine giuridico europeo, il rischio di conflitti diplomatici, commerciali e giurisdizionali sarebbe molto maggiore che non in caso di recesso dai trattati». In ogni caso, aggiunge il blogger, i partiti che sostengono questa posizione «non hanno alcuna ragione per candidarsi alle elezioni europee (salvo voler consolidare il potere, eleggere deputati e prendere rimborsi). In che modo, infatti, entrando nel Parlamento Europeo, la Lega agevolerebbe la realizzazione dell’obiettivo politico che essa dichiara di perseguire, il quale implica una decisione del governo nazionale? I deputati europei non potrebbero apportare alcun contributo all’obiettivo prefissato».Poi ci sono il Movimento 5 Stelle e la “Lista Tsipras”, che intendono candidarsi a Strasburgo per “modificare” i trattati. «Questi due gruppi politici non intendono né recedere dall’Unione Europea, né recedere dal solo euro, bensì modificare i trattati», a cominciare dal Fiscal Compact. Attenzione: anche nel caso (improbabile) in cui il Parlamento Europeo dovesse votare a maggioranza la richiesta di abolizione del “patto fiscale”, quel voto potrebbe essere «vanificato e mortificato dal Consiglio Europeo a maggioranza semplice, nonché modificato (nel contenuto del progetto) dalla Convenzione nella raccomandazione e stravolto discrezionalmente dalla Conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri». L’assemblea degli eurodeputati – l’unica struttura democratica dell’Ue, eletta dai cittadini – non ha il potere di modificare i trattati. «Che senso ha, dunque, che un partito o movimento che è critico nei confronti dei trattati europei e voglia modificarli si candidi al Parlamento Europeo? Questo partito prende in giro gli elettori o è diretto da incompetenti. Eleggere parlamentari europei non serve assolutamente a nulla per raggiungere l’obiettivo dichiarato».«I trattati europei – conclude D’Andrea – saranno modificati soltanto quando la Francia, l’Italia, l’Inghilterra, la Germania o forse la Spagna recederanno e recedendo costringeranno le controparti ad addivenire a modifiche sostanziali dei trattati, sempre che lo Stato recedente desideri la modifica dei trattati». Rispetto all’Ue, gli Stati «cooperano come il lavoratore subordinato al datore di lavoro», perché a Bruxelles «la cooperazione è l’ideologia per ingannare gli ingenui». Quindi, non si scappa: chi vuol veramente modificare i trattati europei deve prima «conquistare il potere all’interno dello Stato nazionale». Meglio boicottare le elezioni, se poi i parlamentari europei saranno chiamati sostanzialmente ad attuare quei trattati. «L’unica vera ragione per la quale M5S, Lega e lista Tsipras si candidano alle elezioni europee è di ottenere visibilità, posti da deputato, finanziamenti e successo da spendere sul piano politico nazionale». Chi tifa per l’astensionismo ha di che sperare: nel 2009 votò solo il 43% dei cittadini europei, in Italia il 65%. Il vero successo dei sovranisti e di coloro che intendono modificare i trattati europei, dice D’Andrea, sarebbe abbassare ulteriormente l’affluenza italiana, al di sotto del 50%.Vi hanno raccontato che queste elezioni europee saranno decisive per il futuro del continente prostrato dall’austerity? Sperare di cambiare le cose con il voto di maggio è una pia illusione, sostiene Stefano D’Andrea, perché chi esibisce propositi bellicosi contro Bruxelles in realtà non ha un vero programma, e perché – soprattutto – il Parlamento Europeo non conta niente. Boicottare le elezioni? Non occorrono appelli: l’astensionismo è in crescita costante. Se non altro, scrive D’Andrea su “Appello al popolo”, rinunciare alle urne può contribuire a delegittimare ulteriormente l’Unione Europea, in attesa che si “estingua” da sola, nell’unico modo possibile: cioè l’uscita unilaterale di uno dei paesi-cardine, come la Francia di Marine Le Pen o l’Inghilterra, che ha già messo in agenda un referendum per scegliere se restare o meno nell’istituzione comunitaria.
-
Ttip, fine del diritto: ci giudicherà un Tribunale Speciale
Votare alle europee? A un patto: che i candidati si impegnino, per prima cosa, contro l’approvazione del Trattato Transatlantico. Nessuna bozza, traccia o schema di Ttip è a oggi disponibile. Di certo sappiamo solo che il presidente Obama e la Commissione Europea hanno dato mandato all’ambasciatore Usa Michael Froman e al Commissario Ue al commercio Karel de Gucht di confezionare un trattato dai mirabolanti obiettivi: incrementare il commercio Usa-Ue di 120 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni e creare due milioni di posti di lavoro. A quale prezzo? «Non si deve sapere. Le trattative si svolgono in segreto, a porte chiuse, e in quelle segrete stanze si sono già tenuti oltre 100 incontri con i più importanti lobbisti, su corpose documentazioni di parte, a totale insaputa della società civile». Le uniche vere notizie a nostra disposizione, scrive Mariangela Rosolen, provengono da blog come “s2bnetwork”, riprese da “Attac”, che presenta “Un trattato dell’altro mondo” e le informazioni diffuse da Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale dell’università di Torino.Il Trattato di Partenariato Usa-Ue per il Commercio e gli Investimenti, riassume Rosolen sul sito di “Attac Italia”, ci promette un reddito aggiuntivo per famiglia di 545 dollari all’anno, «a condizione che siano smantellate tutte le leggi e regolamenti di tutela sanitaria, ambientale, del lavoro, che attualmente impediscono o limitano la possibilità di realizzare il massimo profitto negli scambi e negli investimenti». Il che significa: «Libera produzione, circolazione e vendita sul mercato europeo degli organismi geneticamente modificati, della carne agli ormoni, dei polli al cloro». Addio al “principio di precauzione” contro la sospetta nocività di singoli prodotti, processi produttivi e componenti, adottato in Europa all’inizio degli anni ‘90 in seguito all’epidemia della “mucca pazza”. Obiettivo: ridurre o eliminare – tramite decisioni di prevenzione – quei rischi che non sono ancora scientificamente provati. Se verrà approvato il Ttip, dovremo dunque dire addio alle tutele a cui siamo abituati: cioè l’etichettatura e la tracciabilità dei prodotti alimentari e chimici.Emblematica, continua Rosolen, la situazione riguardante l’estrazione e lo sfruttamento del gas di scisto (fracking): circa 11.000 nuovi pozzi scavati in un anno negli Stati Uniti contro una dozzina in Europa, per effetto di divieti e moratorie in attesa di verificare i rischi che quella spericolata tecnologia estrattiva può arrecare alla salute e alla sicurezza delle persone e dell’ambiente. «La segretezza dei negoziati si confà egregiamente alla passività dei grandi mezzi d’informazione del nostro paese, che si guardano bene dal rompere il silenzio, appena scalfito dall’impegno dei “soliti” mezzi d’informazione alternativi. E poiché la Commissione Europea tratta e firmerà l’accordo a nome e per conto degli Stati membri – aggiunge Mariangela Rosolen – rischiamo di trovarci a fine 2014, data prevista per la conclusione dei negoziati, con la brutta sorpresa del pacco di Natale già confezionato e pronto per l’uso sotto l’albero». Forse però siamo ancora in tempo per fermare la macchina infernale.Alla fine degli anni ‘90, «un analogo pacco-dono del libero mercato, l’Ami – Accordo Multilterale sugli Investimenti – era stato preparato segretamente dalle stesse oligarchie che oggi lo traducono nel Ttip, e venne fatto saltare proprio grazie al fatto che i suoi demenziali contenuti erano divenuti di pubblico dominio». Certo, allora «c’erano ancora i tribunali a cui ricorrere per il ripristino dei diritti negati». Oggi è sempre più dura, ma fino a quando la sovranità giudiziaria non sarà stata smantellata siamo autorizzati a sperare che qualche autorità nazionale intervenga: «La totale cancellazione dello Stato Sociale Europeo che ora il Trip si propone, la dichiarata subordinazione al profitto di ogni tutela sul lavoro, la salute, l’ambiente che non sia compatibile con il profitto, può incontrare ancora forti resistenze nel sistema giudiziario dei paesi più evoluti».Se invece Washington e Bruxelles – obbedendo ai “suggerimenti” delle multinazionali – riusciranno ad imporci il Ttip, sarà tecnicamente finita anche l’attuale possibilità di avere giustizia: l’ultima parola infatti l’avrà il Tribunale Speciale, «organismo sovranazionale, extra-territoriale – si dice con sede presso la Banca Mondiale», pensato sul modello del collegio arbitrale, «le cui sentenze non saranno appellabili essendo sovraordinate alle stesse Costituzioni nazionali». Secondo Rosolen, è molto probabile che si tratti di tribunali simili a quelli già previsti da accordi come il Nafta, modellati su giurie private composte da tre arbitri, scelti generalmente tra “principi del foro” «un po’ distratti rispetto ai loro conflitti di interessi». Strani “giudici” che, «una volta nominati, non devono più rendere conto a nessuno», perché possono avvalersi di «lucrosissime consulenze, test e perizie», per emanare decisioni definitive e non più impugnabili. «Una gestione della giustizia di ricchi per i ricchi», che infatti non emette sentenze ma impone «multe, sanzioni, risarcimenti».Così facendo, aggiunge Rosolen, la giustizia si misura in dollari. La Lone Pine ad esempio, impresa californiana dell’energia, ha chiesto al Tribunale Speciale istituito dal Nafta di condannare lo Stato del Canada a un risarcimento di 191 milioni di dollari per aver imposto una moratoria sul fracking, il sistema di frammentazione idraulica per estrarre il gas o il petrolio di scisto. La moratoria canadese era dettata dalla preoccupazione per i rischi per la salute e l’ambiente provocati da quelle lavorazioni. La Philip Morris ha invece denunciato l’Australia al Tribunale Speciale del Wto per le leggi anti-fumo e chiesto un enorme risarcimento per i mancati profitti. Addirittura 3,7 miliardi di euro, per i mancati profitti delle sue due centrali nucleari tedesche, sono stati chiesti dalla svedese Vattenfall alla Germania, che ha abbandonato la produzione di energia nucleare dopo il disastro di Fukushima. Si contano ben 514 cause legali di questo genere negli ultimi vent’anni: 123 sono state promosse da investitori Usa, 50 da maxi-imprese olandesi, 30 britanniche e 20 tedesche.«La sola minaccia di cause legali per milioni di euro, intentate da studi legali con centinaia di avvocati per conto delle multinazionali, può mettere sul chi va là i governi e indurli ad attenuare o addirittura rinunciare a emanare leggi a tutela del lavoro, della salute e dell’ambiente», conclude Mariangela Rosolen. Traduzione: «Se le decisioni politiche a livello locale, regionale o nazionale corrono questi rischi di strangolamento economico, ben più disarticolanti di una sentenza civile o penale, è a rischio la stessa democrazia». Sarebbe la fine della nostra civiltà giuridica, difettosa e inefficiente fin che si vuole nella sua amministrazione, ma pur sempre consacrata alla difesa dei diritti fondamentali del cittadino, della sua sicurezza sociale e della sua salute. Per fortuna, un po’ ovunque – dall’Europa agli stessi Stati Uniti – si stanno organizzando movimenti sociali e sindacali che rivendicano trasparenza dei negoziati e il rifiuto dei tribunali speciali per qualsiasi tipo di trattato. Serve un impegno democratico, ora: «Chiediamolo con forza e determinazione anche ai prossimi candidati al Parlamento Europeo».Votare alle europee? A un patto: che i candidati si impegnino, per prima cosa, contro l’approvazione del Trattato Transatlantico. Nessuna bozza, traccia o schema di Ttip è a oggi disponibile. Di certo sappiamo solo che il presidente Obama e la Commissione Europea hanno dato mandato all’ambasciatore Usa Michael Froman e al Commissario Ue al commercio Karel de Gucht di confezionare un trattato dai mirabolanti obiettivi: incrementare il commercio Usa-Ue di 120 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni e creare due milioni di posti di lavoro. A quale prezzo? «Non si deve sapere. Le trattative si svolgono in segreto, a porte chiuse, e in quelle segrete stanze si sono già tenuti oltre 100 incontri con i più importanti lobbisti, su corpose documentazioni di parte, a totale insaputa della società civile». Le uniche vere notizie a nostra disposizione, scrive Mariangela Rosolen, provengono da blog come “s2bnetwork”, riprese da “Attac”, che presenta “Un trattato dell’altro mondo” e le informazioni diffuse da Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale dell’università di Torino.
-
Mai più sudditi: dal Veneto alla Le Pen, monito all’Ue
La crisi innescata dall’adesione all’euro ha “bruciato” vent’anni di crescita, riportando il Veneto ai valori del 1995. Una catastrofe: la regione ha perso il 13,8% di Pil. Secondo la Cna, i settori più colpiti sono l’edilizia (-30%) e l’industria (-20%), seguiti da agricoltura e servizi. Ed ecco spiegato il clamore suscitato dal referendum popolare sull’indipendenza del Veneto, che secondo i promotori – i movimenti autonomisti – si è rivelato un plebiscito, consacrato da due milioni di elettori, proprio mentre Marine Le Pen spaventa l’Unione Europea col successo del Front National alle amministrative francesi. Su “Repubblica”, Ilvo Diamanti invita a prendere sul serio la consultazione veneta, perché la tendenza espressa è confermata da un sondaggio Demos: il 55% del campione chiede che il Veneto diventi “una repubblica indipendente e sovrana”. L’idea piace soprattutto al cuore sociale dell’economia veneta: imprenditori e operai, lavoratori dipendenti e autonomi della piccola impresa. “Traditi”, dopo gli anni del boom, dalla super-tassazione imposta da Bruxelles, dalla crisi del credito e dalle delocalizzazioni imposte dalla globalizzazione selvaggia.Il Pil veneto, rileva il newsmagazine “L’indipendenza”, nel 2013 è precipitato a 26.000 euro per abitante: «In altre parole, la crisi ha “bruciato” 18 anni di crescita economica». Lo rivela l’ultima analisi del centro studi Cna di Mestre: il quadro che ne emerge «è la triste conferma di quanto imprese, lavoratori e famiglie sanno già e vivono sulla propria pelle quotidianamente». La flessione del Pil si è inevitabilmente riversata sulla competitività del sistema economico regionale. Lo conferma uno studio della Commissione Europea: il Veneto ha perso 20 posizioni nella classifica delle regioni europee. Colpa delle manovre finanziarie varate dall’estate 2010: per il 2013, i veneti verseranno allo Stato 1,4 miliardi di euro, ben 387 milioni in più rispetto all’anno precedente. Per il 2014 si supererà il miliardo e mezzo di euro, anche per «un ulteriore inasprimento del Patto di Stabilità», che dovrebbe tradursi in una nuova stretta alla spesa pubblica, pari a 75 milioni di euro.«La rivendicazione autonomista appare fondata e largamente maggioritaria», riconosce Diamanti, che vi legge una assoluta trasversalità nell’elettorato. Indipendenza, precisa l’analista, non significa necessariamente secessione: la popolazione vuole autonomia, autogoverno, politici migliori. Certo, il test ha incuriosito la stampa internazionale, nei giorni in cui tiene banco la secessione della Crimea: la protesta del Veneto richiama quella della Catalogna contro Madrid, della Scozia contro Londra. E’ il sintomo di un’Europa smarrita, che ripudia i governi nazionali ormai chiaramente percepiti come succubi di Bruxelles e delle politiche di rigore dell’asse Ue-Bce. Piaga comune: i tagli alla spesa pubblica, che rimbalzano sul settore privato. Il ritorno immediato alla moneta sovrana è il principale cavallo di battaglia di Marine Le Pen, il cui braccio destro Steeve Briois è appena diventato sindaco di Hénin-Beaumont, una località di 26 mila abitanti. E a Marsiglia, la seconda città francese, il Fn ha superato i socialisti, con un risultato superiore al 20%.In una grande città del Sud come Perpignan, segnala il blog di Gad Lerner, i lepenisti sono arrivati in prima posizione superando il sindaco uscente dell’Ump col 34%. Un risultato che potrebbe portarli anche ad una clamorosa vittoria: per la prima volta, è a portata di mano la conquista di una città con più di centomila abitanti. «In molte altre località popolose il Fn ha superato il 30%, così confermando il ruolo di terza forza del sistema politico francese, in modo ormai strutturato. Un successo concentrato in particolare al Sud, ma che non si è limitato alle solite roccaforti della formazione lepenista». Come rimarca “Le Monde”, a questo tornata amministrativa il Fn ha scontato la sua debolezza organizzativa, con un basso reclutamento che però non nasconde la forte avanzata nelle comunali dove erano presenti liste lepeniste. Le amministrative sono state caratterizzate da un livello record di astensione (un francese su tre non ha votato) e dalla débacle dei socialisti al governo. L’Ump, nonostante le sue lotte interne, ha superato nettamente la gauche nel voto locale, tanto che “Le Monde” parla di una disfatta per Hollande.E mentre l’establishment italiano condanna il Fn bollandolo come “estrema destra xenofoba”, Napolitano si ostina a difendere l’europeismo dell’Ue – cioè la fonte della “guerra civile economica” in corso – come storica frontiera di pace. Stavolta se ne distacca persino Vendola: il successo della Le Pen, dice il leader di Sel, è tutto “merito” di politici come Hollande, cioè della sinistra che ha fatto solo e sempre politiche di destra. E’ la storia degli ultimi vent’anni: un filo diretto collega i socialisti francesi al New Labour di Blair, fino alla Spd delle larghe intese con la Merkel e naturalmente al Pd, che semmai – con Renzi e il suo ultra-liberista Jobs Act, tutto flessibilità e niente più diritti – ora sembra “scavalcare a destra” persino Forza Italia, senza più neppure tentare di apparire una forza politica di sinistra. Il Veneto, a quanto pare, non gradisce. E probabilmente sforna un antipasto delle imminenti europee. Il copione non cambia: anche nel 2013 il mainstream tentò di sbarrare la strada a Grillo, criminalizzandolo come “populista”, per poi subire – sbigottito – il trionfo del Movimento 5 Stelle.La crisi innescata dall’adesione all’euro ha “bruciato” vent’anni di crescita, riportando il Veneto ai valori del 1995. Una catastrofe: la regione ha perso il 13,8% di Pil. Secondo la Cna, i settori più colpiti sono l’edilizia (-30%) e l’industria (-20%), seguiti da agricoltura e servizi. Ed ecco spiegato il clamore suscitato dal referendum popolare sull’indipendenza del Veneto, che secondo i promotori – i movimenti autonomisti – si è rivelato un plebiscito, consacrato da due milioni di elettori, proprio mentre Marine Le Pen spaventa l’Unione Europea col successo del Front National alle amministrative francesi. Su “Repubblica”, Ilvo Diamanti invita a prendere sul serio la consultazione veneta, perché la tendenza espressa è confermata da un sondaggio Demos: il 55% del campione chiede che il Veneto diventi “una repubblica indipendente e sovrana”. L’idea piace soprattutto al cuore sociale dell’economia veneta: imprenditori e operai, lavoratori dipendenti e autonomi della piccola impresa. “Traditi”, dopo gli anni del boom, dalla super-tassazione imposta da Bruxelles, dalla crisi del credito e dalle delocalizzazioni imposte dalla globalizzazione selvaggia.
-
Gallino: il nemico è la democrazia autoritaria dell’Ue
La democrazia teorizzata e realizzata dai neoliberali è una cattiva imitazione della democrazia. I popoli europei sono stati ingannati dai loro governi. È mancata una spiegazione intellettualmente onesta della crisi, delle sue cause profonde. Gli economisti ci hanno lasciato solo concetti paludati di formule, incomprensibili ai più. Credo si possano tuttavia pensare nuove forme di democrazia diretta, non fosse altro per il fatto che quella rappresentativa non gode davvero di buona salute. Bisognerebbe però operare su più livelli. A livello di Unione Europea, il Parlamento è l’unico organo che attualmente eleggiamo. Quest’ultimo, però, pur disponendo del potere di veto, tende a non utilizzarlo a sufficienza e conta ancora davvero poco. Serve dunque una democrazia rappresentativa più strutturata.La candidatura di Tsipras ha il merito di riportare la nostra attenzione al nesso tra crisi economica e crisi della democrazia. E di farlo ponendo dinanzi ai nostri occhi un esempio concreto come la Grecia, che meglio rappresenta il dramma del fallimento delle politiche di austerità. Dove, secondo l’ultimo rapporto della rivista di medicina “Lancet”, molte famiglie non hanno più nemmeno i soldi per curare i propri bambini. Dobbiamo esserne consapevoli, ciò che è successo ad Atene potrebbe avvenire anche in altri paesi dell’area euromediterranea. Questi sono i costi di una democrazia autoritaria affidata alle tecnocrazie. L’Europa è una grande dimensione politica, che non possiamo permetterci in alcun modo di affossare. Dobbiamo recuperarne l’originario spirito federalista e pretendere che si sviluppi su ben altre direttrici.Quella che oggi si chiama socialdemocrazia farebbe rivoltare nella tomba non pochi dei suoi illustri esponenti del passato. Se penso a quella tedesca, non dimentico che nella seconda metà del secolo scorso si è dimostrata in grado di introdurre grandi innovazioni in senso progressista. Poi però è arrivata l’Agenda 2010 e l’influenza del pensiero economico neoliberale ha preso il sopravvento. Nei primi anni duemila sono state approvate leggi che avevano come unico obiettivo quello di ridimensionare i capitoli principali della spesa sociale, così come sono state adottate politiche attive del lavoro che partivano dal presupposto secondo il quale se qualcuno era disoccupato lo era per propria responsabilità. Gli effetti sono stati quelli di una drastica segmentazione del mercato del lavoro tedesco e una forte moderazione salariale.Oggi in Germania si contano 7,3 milioni di cosiddetti mini-jobbers che lavorano 15 ore alla settimana per guadagnare 450 euro al mese e solo i più fortunati riescono a sommare più lavori. Altri 7,5 milioni di lavoratori hanno sì un contratto a tempo indeterminato ma lavorano per meno di 6 euro all’ora. Basterebbero questi dati a farci capire che negli ultimi due decenni i socialdemocratici in realtà hanno smesso di tutelare i più deboli. Martin Schulz? Ho letto che si è detto contrario alle modalità con cui si sta costruendo l’Unione bancaria e qualche giorno fa la Commissione affari economici di Strasburgo ha approvato una mozione su questo. Non solo, la stessa commissione ha approvato anche una risoluzione che chiede la costituzione di un Fondo Monetario Europeo che rimpiazzi la Troika. Mi sembra si tratti di decisioni in controtendenza rispetto agli orientamenti dell’attuale ministro dell’economia tedesco, Wolfang Schäuble, con il quale la Spd governa. Fatti non trascurabili, ma ancora insufficienti.Nel mio ultimo libro ho teorizzato un “colpo di stato” da parte di banche e governi. Ci sono molti studi che arrivano a questa conclusione. Si parla in un’involuzione autoritaria in cui decisioni di grande importanza, in questi anni, sono state prese da un numero ristretto di tecnici. Ciò che è avvenuto ricalca quello che la teoria politica definisce a tutti gli effetti un “colpo di Stato”, dove parti dello Stato che non ne avrebbero il diritto si arrogano poteri fondamentali attinenti alla sovranità costituzionale dello Stato medesimo. Il sistema finanziario ha preso il potere, in nome di una presunta eccezionalità, imponendosi ai governi nazionali e alla politica. Nuove forme di democrazia a livello locale da cui ripartire? Un terreno potrebbe essere quello della lotta alle privatizzazioni dei servizi di pubblica utilità. Molte analisi ormai lo affermano senza alcun timore di sorta: sono operazioni inefficienti dal punto di vista economico.Come sosteneva Hannah Arendt, la democrazia senza partecipazione non conta niente. Quello che conta maggiormente è il luogo democratico dove si forma l’agenda politica di una comunità, sia essa un comune, una regione, una nazione o un continente. Pensando agli enti locali di maggior prossimità, ci vorrebbero dei consigli comunali dove il primo obiettivo fosse quello di favore la discussione, il confronto aperto tra visioni diverse della società. Luoghi dove estrapolare e aggregare la conoscenza locale. La questione di fondo però è che i cittadini organizzati danno fastidio e la velocità dei processi economici considera i procedimenti democratici più un ostacolo che un’opportunità. Stiamo assistendo dunque a un’involuzione autoritaria. Non ci si può stupire allora che la cancelliera tedesca Angela Merkel, ma anche Van Rompuy e Olli Rehn, auspichino una democrazia “market conform”.(Luciano Gallino, dichiariazioni rilasciate a Mattia Ciampicacigli per l’intervista “Il nostro nemico è la democrazia autoritaria” pubbicata da “Il Manifesto” e ripresa il 7 marzo 2014 dal sito “Lista Tsipras”).La democrazia teorizzata e realizzata dai neoliberali è una cattiva imitazione della democrazia. I popoli europei sono stati ingannati dai loro governi. È mancata una spiegazione intellettualmente onesta della crisi, delle sue cause profonde. Gli economisti ci hanno lasciato solo concetti paludati di formule, incomprensibili ai più. Credo si possano tuttavia pensare nuove forme di democrazia diretta, non fosse altro per il fatto che quella rappresentativa non gode davvero di buona salute. Bisognerebbe però operare su più livelli. A livello di Unione Europea, il Parlamento è l’unico organo che attualmente eleggiamo. Quest’ultimo, però, pur disponendo del potere di veto, tende a non utilizzarlo a sufficienza e conta ancora davvero poco. Serve dunque una democrazia rappresentativa più strutturata.