Archivio del Tag ‘Fernando Pessoa’
-
Dalla mafia soldi in Ue contro l’Italia: il segreto di Borsellino
«Soldi della mafia a fior di politici europei». A che scopo, negli anni Novanta? Inguaiare l’Italia, già terremotata da Tangentopoli, in vista della nascita dell’Ue? Era il grande segreto di Paolo Borsellino, assassinato a Palermo il 19 luglio 1992. Chi lo dice? Gianfranco Carpeoro, saggista e osservatore privilegiato dell’attualità in virtù del suo curriculum: per trent’anni avvocato (vero nome, Pecoraro) e a lungo “sovrano gran maestro” del Rito Scozzese italiano. E come sa, Carpeoro, che Borsellino aveva scoperto l’indicibile? «Sono cose che leggo e che sento», taglia corto, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, l’8 dicembre. Già vicino a Craxi, Carpeoro – benché fuoriuscito dal mondo delle logge – coltiva una sua riservatissima diplomazia massonica, estesa in Italia e all’estero. Nell’estate 2018 le sue affermazioni, di fatto, sventarono il complotto ordito dal francese Jacques Attali, mentore di Macron, per impedire l’elezione di Marcello Foa alla presidenza della Rai (beffando Salvini, che l’aveva candidato). Operazione, secondo Carpeoro, architettata con la collaborazione di Napolitano, Tajani e Berlusconi, ma poi sfumata dopo le esternazioni dell’avvocato, riprese dal quotidiano “La Verità” diretto da Maurizio Belpietro.
-
Il folle riconosce il mondo, il genio ci mostra com’è davvero
Il genio e il folle sono fratelli, forse gemelli. In entrambi il possibile eccede sul reale, ma nel pazzo il possibile sconfina nell’impossibile. Il genio non si accontenta del rapporto tra la realtà e la sua mente; stabilisce nuovi, più arditi contatti. Il pazzo invece ha perso quella relazione e va a ruota libera. Chesterton notava che il pazzo non è colui che ha perso la ragione ma chi ha perso tutto tranne la ragione: ha perso il rapporto col mondo reale. Genio e sregolatezza, si dice. Ma debordare dalle regole è un effetto della genialità, non è la prova del genio. La pazzia è l’emisfero in ombra dell’umanità, il lato b che percorre come una trama a rovescio la storia della civiltà, dell’arte, del pensiero e dei rapporti umani. Il sogno, il gioco, la fiction sono le dosi giornaliere di pazzia dei “savi”; quando la mente va in libera uscita e danza a corpo libero. Osate esser pazzi, esortava Papini. Come in una pulp fiction filosofica, artistica e letteraria scorre la divina pazzia di cui scriveva Platone e le tragedie greche da Eschilo a Euripide; la pazzia vissuta, studiata o narrata di Torquato Tasso ed Erasmo da Rotterdam, Cervantes con don Chisciotte e Shakespeare con Enrico IV, Hölderlin e Nietzsche, van Gogh e Ligabue, Dino Campana ed Ezra Pound, Pirandello e Strindeberg, Bukovski e Pessoa, Jaspers e Foucault, Mario Tobino e Alda Merini.Per Thomas Beckett nasciamo tutti pazzi, alcuni poi lo restano. Il genio mette a frutto la pazzia, cavalca la follia senza esserne dominato. A volte finisce irretito nella sua follia, perché ne è congenitamente predisposto, è ipersensibile o ha preteso l’infinito, l’assoluto. Ma chi è il genio, cosa lo distingue dal resto degli uomini? Dal ’68 in poi serpeggia l’illusione di una genialità di massa, attraverso l’uso estroso della trasgressione: si ritiene che la sregolatezza decreti il genio. Creatività diffusa, fantasia, la vita come capriccio e stravaganza di massa sono i suoi indizi fino al paradosso di sentirsi tutti speciali, fuori dal comune. Si abusa dell’aggettivo geniale. In giro troppi geni estemporanei per autoacclamazione o per esagerazione di chi li ama (ogni scarrafone è genio a mamma sua). Per Arthur Schopenhauer, che visse con la frustrazione del genio incompreso, genio è colui che sa vedere l’assoluto nel particolare, sa andare oltre i fenomeni e trascende la soggettività in una visione più ampia.Il genio ha una conoscenza intuitiva; vede le cose collegate da una postazione più alta, vede il mondo alla luce del sole, non al lume della sua candela. La fantasia è un suo strumento indispensabile per trascendere il reale nel possibile. Vede il generale nel particolare, a differenza dell’uomo comune e delle donne, nota Schopenhauer. Coglie l’essenza delle cose e supera la natura che invece congiunge intelletto e volontà. Ciò porta il genio a somigliare alla follia: entrambi, notava Pessoa, sono disadattati. Il genio non è mai un moderato o un flemmatico, spiega Schopenhauer, ma è sempre un eccessivo, frutto di un’esaltazione anormale della sua vita neuro-cerebrale. Il genio si dedica all’inutile e i suoi frutti saranno colti nel futuro. Un’opera geniale non è mai utile; è il suo rango, la sua nobiltà, come la fioritura. Il genio non serve al suo tempo, ed eccedendo dalla norma è destinato ad essere incompreso. Le persone comuni possono apprezzare il talento o il tipo brillante, difficilmente il genio che vive in perenne discordanza col mondo esterno e col proprio tempo. Avvertenza d’obbligo: per un genio incompreso ci sono mille presunti incompresi che geni non sono.Il genio è per natura solitario. È troppo raro per poter incontrare suoi simili e troppo diverso dagli altri per poter stare in compagnia e pensare in comune. Perciò si apparta, è a disagio. Se il genio è misantropo anche qui non vale l’inverso, che la misantropia non è il segno certo di una superiorità. Il genio è malinconico, anche se si delizia quando dà sfogo alla sua vena. Lo diceva già Aristotele, lo ripeteva Cicerone, poi anche Goethe. Schopenhauer spiega che la sua mente è più capace di percepire la miseria della condizione umana. Dunque il genio non può che essere pessimista, come lo era lui. Ripeto la controtesi: se il genio è malinconico, non tutti i tristi e i depressi sono geniali. Infine il genio è come un bambino, ha uno sguardo puro e disinteressato sul mondo. Anzi, ogni bambino è in un certo senso un genio potenziale e ogni genio è in un certo senso un bambino (S. cita Mozart e Goethe, noi potremmo citare Dalì e Fellini).Nel fanciullo, nota S., l’intelletto prevale sulla volontà (ma i suoi capricci non prefigurano la volontà?). Al bambino come al genio manca l’arida serietà tipica degli uomini comuni; c’è una vena giocosa e grottesca. Qui si affaccia la sindrome di Peter Pan: ma l’infantilismo in sé non è sintomo di genialità. Per Schopenhauer la genialità originaria del bambino viene poi rubata dalla genitalità: la pulsione sessuale è il focolaio della volontà e dunque nemica della conoscenza. Come dire che il genio tende a restare sessualmente bambino. Il genio, insomma, è un bambino malinconico che trascura sé e si cura del mondo. Il suo soffitto è il cielo, la sua vista è la visione del mondo, che è la sua penetrazione. Schopenhauer fa notare che l’orangutan è intelligente da piccolo e diventa poi brutale da adulto, in un rapporto inverso tra età e intelligenza. Ma non mancano capolavori del genio in età senile. Se il genio è sregolatezza, anche l’età precoce non può essere una regola. Il genio è puer eternus, bambino perenne. Ma la sua ombra è il pazzo, che a volte lo accoppa.(Marcello Veneziani, “Rari geni, pochi pazzi, tanti imitatori”, da “La Verità” del 23 ottobre 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Il genio e il folle sono fratelli, forse gemelli. In entrambi il possibile eccede sul reale, ma nel pazzo il possibile sconfina nell’impossibile. Il genio non si accontenta del rapporto tra la realtà e la sua mente; stabilisce nuovi, più arditi contatti. Il pazzo invece ha perso quella relazione e va a ruota libera. Chesterton notava che il pazzo non è colui che ha perso la ragione ma chi ha perso tutto tranne la ragione: ha perso il rapporto col mondo reale. Genio e sregolatezza, si dice. Ma debordare dalle regole è un effetto della genialità, non è la prova del genio. La pazzia è l’emisfero in ombra dell’umanità, il lato b che percorre come una trama a rovescio la storia della civiltà, dell’arte, del pensiero e dei rapporti umani. Il sogno, il gioco, la fiction sono le dosi giornaliere di pazzia dei “savi”; quando la mente va in libera uscita e danza a corpo libero. Osate esser pazzi, esortava Papini. Come in una pulp fiction filosofica, artistica e letteraria scorre la divina pazzia di cui scriveva Platone e le tragedie greche da Eschilo a Euripide; la pazzia vissuta, studiata o narrata di Torquato Tasso ed Erasmo da Rotterdam, Cervantes con don Chisciotte e Shakespeare con Enrico IV, Hölderlin e Nietzsche, van Gogh e Ligabue, Dino Campana ed Ezra Pound, Pirandello e Strindeberg, Bukovski e Pessoa, Jaspers e Foucault, Mario Tobino e Alda Merini.
-
Meglio il Premio Ikea: il Nobel ha ignorato i grandi del ‘900
«Basta col Nobel, fate il Premio Ikea». Provocazione d’autore firmata Marcello Veneziani, che su “La Verità” se la ride: avevate dubbi che avrebbero premiato una donna, magari fan di Greta, col Nobel per la Letteratura? Così è stato, con Olga Tokarczuk, polacca, verde, “di sinistra”, che scrive “per superare i confini”, premiata in tandem con Peter Handke. «Si va per gender e non per valore, per messaggio ideologico e non per qualità». L’anno scorso il premio non fu assegnato per via di Jean-Claude Arnault, marito di una giurata, accusato di molestie da 18 donne. «Si può bloccare un evento letterario planetario per un episodio di molestie sessuali, sottomettere il genio alla mannaia del Me Too?», si domanda Veneziani. «Non l’hanno fatto neanche a Hollywood dove sono più fricchettoni correct, dopo la vicenda Weinstein, ben più devastante perché toccava pure gli Oscar mentre qui non ci sono premiati abusanti o abusati sessualmente». Nella fattispecie, «è un mistero il nesso tra la Grande Letteratura e la piccola libidine di un fotografo, marito di una componente della giuria». In passato, continua lo scrittore, la mancata assegnazione del Nobel fu per ragioni come una guerra mondiale. Ma la vergogna del Nobel è un’altra: non sono mai stati premiati alcuni tra i maggiori nomi della letteratura planetaria.«Il premio più prestigioso del mondo – scrive Veneziani – ha dimenticato o rimosso quasi tutto il Grande Novecento letterario». Nomi come Marcel Proust, Franz Kafka, James Joyce, Oscar Wilde: letti e studiati nelle scuole come maestri, ma ignorati dal Nobel, «La stessa sorte, la stessa omertà, ha colpito giganti come Eugéne Ionesco e Aldous Huxley, Paul Valéry e G.K. Chesterton, George Orwell ed Ezra Pound, Ernst Junger e Louis-Ferdinande Céline». Niente Nobel, nemmeno per loro. «Per non dire di Leon Bloy ed Henri de Monterlhant, Fernando Pessoa e Yukio Mishima, Emil Cioran e Gottried Benn, George Bernanos e Stefan Zweig, Karl Kraus e Hugo von Hofmannsthal, e Lev Tolstoj fino a J.R.Tolkien». E l’elenco potrebbe continuare. Non è stata risparmiata nemmeno la letteratura italiana, «dove il Nobel ha dimenticato i due poeti italiani più amati e imitati al mondo, Gabriele D’Annunzio e F.T. Marinetti». Prima di loro il Nobel ha trascurato Giovanni Pascoli e poi Giuseppe Ungaretti. Assenti a Stoccolma anche Curzio Malaparte e Cesare Pavese, Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, Giovannino Guareschi e Dino Buzzati. «Sorprendono invece i premiati: da Grazia Deledda a Dario Fo, poi un po’ meglio con Salvatore Quasimodo e soprattutto con Eugenio Montale». Certo, «per fortuna o per errore ci sono pure i nostri Giosuè Carducci e Luigi Pirandello». Ma i quattro quinti della nostra grande letteratura sono stati ignorati dagli svedesi.«Curiosi pure i filosofi premiati col Nobel: un trittico, Bertrand Russell, Henri Bergson e Jean-Paul Sartre (che rigettò il premio)». Ignorati invece Benedetto Croce, José Ortega y Gasset, Miguel de Unamuno, George Bataille, Roger Callois, Gabriel Marcel. «Insomma – conclude Veneziani – il Nobel è una strage di letteratura, un premio ignorante». In molti casi (di assegnazione o di non assegnazione) «ha contato il politically correct, se consideriamo che quasi nessun grande autore scomodo è stato premiato». In compenso «si sono dati premi di genere o etnici», del tipo: quest’anno si premia una femminista, o l’autore di un paese povero. La Svezia, ricorda Veneziani, è la patria del politically correct, più degli Stati Uniti. «I verdetti, emessi da diciotto svedesi, decretano da più di un secolo i falsi destini della letteratura e proclamano i presunti Grandi, salvo poi essere smentiti dai lettori, dal tempo che è galantuomo e dai critici». Un consiglio all’intelligenza svedese: «Visto che capite poco di capolavori ed eccellenze letterarie, lasciate stare la letteratura, dedicatevi all’Ikea dove siete leader. Applicatevi ai mobili in serie, a basso costo, alle viti, ai bulloni, ai montaggi faidate. Al posto del Nobel funzionerebbe meglio il Premio Ikea, con versi smontabili e testi ricomponibili direttamente a casa vostra».«Basta col Nobel, fate il Premio Ikea». Provocazione d’autore firmata Marcello Veneziani, che su “La Verità” se la ride: avevate dubbi che avrebbero premiato una donna, magari fan di Greta, col Nobel per la Letteratura? Così è stato, con Olga Tokarczuk, polacca, verde, “di sinistra”, che scrive “per superare i confini”, premiata in tandem con Peter Handke. «Si va per gender e non per valore, per messaggio ideologico e non per qualità». L’anno scorso il premio non fu assegnato per via di Jean-Claude Arnault, marito di una giurata, accusato di molestie da 18 donne. «Si può bloccare un evento letterario planetario per un episodio di molestie sessuali, sottomettere il genio alla mannaia del Me Too?», si domanda Veneziani. «Non l’hanno fatto neanche a Hollywood dove sono più fricchettoni correct, dopo la vicenda Weinstein, ben più devastante perché toccava pure gli Oscar mentre qui non ci sono premiati abusanti o abusati sessualmente». Nella fattispecie, «è un mistero il nesso tra la Grande Letteratura e la piccola libidine di un fotografo, marito di una componente della giuria». In passato, continua lo scrittore, la mancata assegnazione del Nobel fu per ragioni come una guerra mondiale. Ma la vergogna del Nobel è un’altra: non sono mai stati premiati alcuni tra i maggiori nomi della letteratura planetaria.
-
Saba Sardi: Gesù Cristo inventato da chi ci volle sottomessi
Autore di un libro “blasfemo”, considerato scomodo da alcuni e geniale da altri, ha raccontato le origini del concetto di divinità e la sua evoluzione dalle prime manifestazioni preistoriche fino alle attuali concezioni. Chi è, e come nasce dunque un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? E se il potere mistico fosse stato gestito dalla donna? Francesco Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Spregiatore di dogmi, assertore della libera fecondità della parola, Saba Sardi nasce a Trieste, vive e lavora a Milano. La sua è una vita spesa nelle terre di tutto il mondo nella conoscenza di etnie cosiddette primitive o nuove e misconosciute. Traduce in sei lingue e pubblica oltre 40 libri affrontando temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo. “Il natale ha 5000 anni” è una delle sue opere più note. Il libro racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano e illumina sulle radici della religiosità in un momento storico di cristallizzazione e integralismo.“Il natale ha 5000 anni” è popolato di vicende e personaggi che prendendoci per mano ci fanno percorrere il cammino dell’uomo: dodicimila anni fa l’umanità dell’Eurasia ha inventato le divinità, ma è nella crisi generale di 5000 anni fa, nell’età neolitica, che Francesco Saba Sardi individua il sorgere della necessità di speranza che porta l’uomo a desiderare la comparsa del Salvatore, del redentore capace di ricondurci alla fratellanza dei primordi. La speranza nei Figli del Cielo apparsi in maniera straordinaria, uscendo da grotte, rocce o nascendo da madri vergini, si diffonde per millenni lungo tutti i territori eurasiatici. Il Cristianesimo è solo uno dei Natali dei Figli del Cielo, ma chi è questa volta il Figlio del Cielo? Sempre lo stesso di 5000 anni fa? E cosa rappresenta per noi oggi la religione, la fede, la credenza in entità sovrumane? Abbiamo incontrato l’autore di questo complesso studio per cercare nuove risposte e maggiore chiarezza su un tema dagli echi ancestrali.Il Natale ha 5000 anni viene pubblicato per la prima volta nel 1958 per essere poi ritirato dalle librerie. La pubblicazione del 2007 dell’editore Bevivino è in realtà la seconda edizione. Cosa accadde nel 1958?Nel ’58 il mio libro fu accolto molto bene dal pubblico e molto male dalla “Civiltà Cattolica”, che dedicò un intero numero, ben 25 pagine, alla confutazione della tesi esposta nel mio libro, confutazione a cura di Padre Rosa.Che cosa ha fatto e cosa può fare paura del suo libro?Varie cose. Ad esempio, ha fatto paura il fatto che io affermassi che il Cristianesimo è un mitema, ma il mito non è bugia. Il mito è un’affermazione che sorge spontaneamente. Il Natale è un mito che sorge nell’impero eurasiatico quando nell’età neolitica l’umanità passa dal nomadismo alla stanzialità. La società stanziale inventò l’agricoltura, l’allevamento di bestiame, il maschilismo e il potere. La necessità di una società organizzata richiese l’istituzione di una gerarchia che veniva ordinata soprattutto dal cielo con l’idea della divinità.Su quali elementi basò la sua confutazione Padre Rosa?La mia tesi è inconfutabile. Padre Rosa basò la sua confutazione sul fatto che Gesù è una realtà storica e non una figura mitica. Ma anche se Gesù fosse una realtà storica questo non avrebbe nessuna importanza perché fu Paolo di Tarso il fondatore del Cristianesimo e non Cristo.Il Cristianesimo nasce e si diffonde seguendo vari rami, varie tesi come, ad esempio, la gnostica, per poi arrivare alle edizioni Paoline, e gli scritti di Paolo di Tarso diventano la base su cui si fonda il cattolicesimo per come noi oggi lo conosciamo. Come interpreta questo percorso?E’ chiaro che quando è giunto il momento di scegliere tra i vari rami del Cristianesimo si è pensato di scegliere il Dio monoteista che più conveniva a chi in quel momento gestiva il potere, in questo caso l’imperatore Costantino. Insomma, Paolo di Tarso è stato un autore che ha trovato nell’imperatore Costantino un formidabile editore.Quindi l’imperatore Costantino potendo scegliere tra diversi autori decide di editare Paolo di Tarso?Sì, e da quel momento il Cristianesimo sostituisce la Trinità Capitolina formata da Giove, Marte ed Ercole. Bisogna sottolineare il fatto che le figure e le qualità degli Dei Capitolini non soddisfacevano più gli intellettuali romani dell’epoca. Costantino unificò l’Impero donando al popolo romano un Figlio del Cielo, monoteista e nato da un Dio sensibile e più raffinato degli Dei a cui i romani erano abituati fino ad allora.Qual è secondo Lei la grande forza del Cristo?La grande forza del Cristo, così come per tutti gli Apparsi, per tutti i Figli del Cielo, consiste soprattutto nell’essere maschio. La gerarchia è maschile. Il potere maschile, il Tyrannos (in lingua turca e in latino: il pene duro), il Tiranno. Nessun potere può affermarsi se non è incarnato, così il potere si materializza in una parte del corpo e, sesso e potere diventano tutt’uno. Non c’è mai stata un’Apparsa. Mai una donna venuta a rivelare il Nuovo Mondo a promettere l’Età dell’Oro. Da quando sono stati inventati gli Dei, le Dee, le Ninfe, le Valchirie sono sempre al servizio del Signore degli Dei, il Grande Maschio.Il potere è maschio in una civiltà dominata dai maschi, ma se l’Umanità avesse camminato sulla scia dell’energia femminile, questo avrebbe fatto differenza nella nostra evoluzione?Moltissima differenza. Il potere non è donna. La donna è madre. Nella nebulosità dei nostri ricordi ancestrali si è persa l’idea delle Dee che si auto-generavano senza il ricorso dell’inseminazione maschile come la Madre Terra, metafora del suolo che risorge continuamente da se stesso. Nell’età neolitica la donna venne “domesticata”, ridotta alla condizione di inferiorità e sudditanza. Il Neolitico è stata una tragedia per l’umanità; l’invenzione della stanzialità, nel tempo ha cambiato tutto: il modo di mangiare, la concezione dello spazio. Abbiamo cessato di divertirci. Andare a caccia è divertente, il selvaggio si diverte. Zappare non è divertente, come non è divertente fare l’impiegato. Abbiamo cessato di divertirci e abbiamo inventato la guerra. La parola ha cessato di essere spontanea, non è la parola che inventa il mondo ma sono gli oggetti che iniziano ad imporre le parole.Il suo libro percorre la storia dei Figli del Cielo, dei Mitema. Quali elementi uniscono queste figure al Cristo?Come abbiamo già detto, la maschilità. Il fatto che devono affrontare dei pericoli, ad esempio, il Dio egizio Amon Ra – il Sole – deve affrontare il pericolo della notte, come il Cristo deve affrontare il buio, il Diavolo. Il fatto che sono Apparsi, il Natale è Apparso. Non è sempre necessaria una madre vergine, ma una nascita straordinaria: Mitra nasce da una roccia. Poi, l’Apparso trionfa nell’aldiquà o nell’aldilà; quello che conta è il trionfo attuale o futuro, dopo aver “rinominato” il mondo non più con la parola spontanea, ma come conseguenza dell’essersi impadronito del mondo.Quindi questi Dei nel momento in cui privano della parola spontanea diventano dei tiranni ed esercitano il loro potere dandoci le parole per comprendere il mondo?Il potere consiste nel darci il pensiero, che è parola.Tutti i profeti raccontano del ritorno dell’Età dell’Oro, anche se ognuno chiama con le proprie parole questo tempo che ci attende. Secondo Lei cosa rappresenta questa visione?Nostalgia e speranza. Speranza che ritorni il tempo felice. Il tempo in cui non si consumava la propria vita lavorando, perché cacciare o raccogliere delle radici nei boschi non è un lavoro. La civiltà per come l’abbiamo costruita ora è un disastro. Abbiamo distrutto la natura, abbiamo ucciso noi stessi. Lei crede che si possa tornare indietro? E come? Tornando alla caccia?Perché lei non crede che l’uomo possa avere tale nostalgia dei tempi felici da arrivare a distruggere quello che ha costruito fino ad ora per tornare indietro?Sì, è possibile: ma come? E’ più probabile che ci penserà la Terra stessa a ripulire l’uomo. L’Apocalisse è la fine del mondo per ricominciare. L’Età dell’Oro è apocalittica. Ci sarà un’epoca di felicità futura perché la nostalgia e la speranza sono tutt’uno. Tutti gli Apparsi, tutti i Figli del Cielo parlano di questo momento, tutti.Quindi, figure simili a Cristo esistono almeno da 5000 anni. Presumo che lei si sia documentato utilizzando testi e informazioni disponibili a chiunque…Il fatto è che abbiamo troppa informazione, e avere troppa informazione non serve a nulla. Nel Neolitico avviene la rivoluzione razionale, la ratio; il cognito prende il posto del mitema e sostituisce la poesis, l’invenzione, la poesia – che è immediatezza e spontaneità: è ciò che sopravvive ancora nei bambini.Quindi le informazioni le abbiamo, ma a causa della nostra razionalità non riusciamo ad utilizzarle?No, non riusciamo. Tutte le informazioni da cui siamo invasi nella nostra società sono composte da due parti: la prima è costituita da dogmi. Dogma è la fede e l’affermazione fideistica non ha nulla a che fare con la razionalità. La seconda parte dell’informazione è composta dalla giustificazione, la riprova. Il Vaticano, ad esempio, informa utilizzando la razionalità dell’informazione religiosa. Ratzinger non dice di continuo che il Cristianesimo è razionale? I preti non fanno altro che dare dimostrazione di Dio e delle sue manifestazioni hanno bisogno della riprova. Stiamo attraversando il grande capitolo storico della riprova, ma c’è una differenza tra religione e scienza: la scienza parte da ipotesi che debbono essere provate; la stessa cosa fa la religione, ma al posto delle ipotesi la religione mette delle certezze aprioristiche. Infatti, mentre la ricerca scientifica tenta di comprovare o smentire le ipotesi, nella religione ci sono certezze, dei dogmi che non possono essere smentiti perché smentire i dogmi significa essere degli eretici.La storia dell’Uomo è comunque piena di eretici, di uomini che hanno tentato con tutte le loro forze di smentire questi dogmi. Molti di loro, come Giordano Bruno, ad esempio, sono stati disposti a pagare con la vita. Secondo Lei, in questo momento un Giordano Bruno che tipo di opposizione incontrerebbe?Incontrerebbe un Padre Rosa che gli darebbe pubblicamente del bugiardo. Ma la chiesa è in contraddizione con se stessa: ad esempio, dichiara Cristo una realtà storica, quindi non nega l’incarnazione, ma dell’incarnazione nega la sessualità.Infatti, il suo libro mostra le immagini di antichi dipinti in cui la sessualità di Cristo non veniva negata, ma mostrata.I dipinti di cui parla sono esistiti fino al Concilio di Trento. Il Concilio di Trento è da considerarsi l’antirinascimento. La copertina del libro, ad esempio, mostra la Sacra Famiglia di Hans Baldung Grien, datata 1511. L’immagine che ha suscitato, a più riprese, scandalo mostra il Bambino Gesù sottoposto a manipolazioni genitali. A toccarlo è la nonna, Sant’Anna, mentre il bambino tende una mano al mento della madre, Maria, e l’altra scopre l’orecchio dal quale è entrato il Verbo. Da cattolici e protestanti si è cercato in vari modi di spiegare, o meglio esorcizzare, l’atto erroneamente considerato un gesto di libertà senza precedenti nell’arte cristiana, ma le erezioni di Gesù sono illustrate da una folla di dipinti rinascimentali, in più di un dipinto l’erezione è talmente palese da aver indotto più volte i censori a mascherarla con pennellate o drappeggi, quando non si è arrivati a distruggere i dipinti “incriminati”. La virilità di Gesù è una componente fondamentalissima nella concezione cristiana. Negare questa evidenza, negare la sessualità del Cristo, equivale a negare l’Ensarcosi, l’incarnazione del Figlio del Cielo, e dunque a negare il dogma stesso del Dio-uomo, questo equivale dunque a pronunciare una bestemmia.Visto che l’esistenza stessa di questi dipinti testimonia il fatto che la Chiesa non ha da sempre negato la sessualità di Cristo, come siamo arrivati alla negazione?Nel Cristianesimo possiamo distinguere tre fasi: nella prima fase, la fase Agostiniana, Dio è Padre, severo e unilaterale. Dio concede la grazia ai suoi figli ma chi non è nelle sue grazie va all’inferno. La seconda è la fase del Rinascimento: in questa fase Dio Padre viene sostituito dal figlio che ha ha doti di spontaneità e umanità, ed è davvero di carne e sangue. Il Concilio di Trento apre la terza fase del Cristianesimo, fase in cui si torna alla figura del Padre severo e indiscutibile. Naturalmente un residuo del Dio che si incarna nel Figlio, della fase rinascimentale, ha continuato a sopravvivere resistendo fino a Giovanni XXIII, ma adesso si sta tornando a Pio IX, al Sillabo. Perché la concezione dell’uomo che può e deve scegliere è impossibile da conciliare per la Chiesa, quindi si torna al Sillabo: così si pensa, così si parla, così si scrive.Come viene giustificato questo ritorno al passato della chiesa cattolica?C’è una grande giustificazione a cui partecipano anche tutti i partiti politici: “In nome della democrazia io devo scegliere per tutti”. La poesis è pericolosa. Il poeta è pericoloso perché non rispetta i dettami del potere; quindi, tutti devono essere ridotti al comune denominatore: il Sillabo e i suoi derivati. I giornali sono il Sillabo, la produttività è il Sillabo. Il poeta è la negazione del Sillabo.Lei non crede che chiunque legga ad esempio la sua intervista possa essere improvvisamente colto da una scintilla che lo renda poeta?Spero-Dispero.(Sonia Fossi, “Francesco Saba Sardi, il poeta della non-fede”, intervista pubblicata fa “Hera Magazine” e ripresa sul blog di Gianfranco Carpeoro il 27 luglio 2016. Scomparso nel 2012 ormai novantenne, Saba Sardi era stato scomunicato per “Il natale ha 5000 anni”. E’ l’autore del principale volume italiano sulla storia delle religioni, pubblicato da Mondadori. Filologo e antropologo, ha firmato opere di narrativa e saggistica, libri d’arte e diari di viaggio, mettendo insieme 50 titoli. Sterminata la schiera dei volumi da lui curati, tradotti e commentati – oltre 600 – tra i cui autori si possono citare Herman Melville, Thomas Mann, Miguel de Cervantes, Calderón de la Barca, Luis de Góngora, Victor Hugo, Hermann Hesse, Tolkien e Goethe, George Bernard Shaw, Doris Lessing, Erich Fromm. Ha tradotto dal tedesco, dal francese, dall’inglese, dal danese, dallo spagnolo e dal portoghese, dal serbocroato. Era stato scelto personalmente, come traduttore, da Georges Simenon, Gabriel Garcia Marques e Fernando Pessoa. Di Pablo Picasso scrisse l’unica biografia autorizzata dall’artista. La sua ultima opera, il saggio “Dominio”, mette a fuoco la genesi della religione, che nasce insieme alla guerra e all’improvvisa necessità di possedere territori, con la scoperta dell’agricoltura: un nuovo potere, sconosciuto ai primitivi nomadi, configurato sotto forma di dominio).Autore di un libro “blasfemo”, considerato scomodo da alcuni e geniale da altri, ha raccontato le origini del concetto di divinità e la sua evoluzione dalle prime manifestazioni preistoriche fino alle attuali concezioni. Chi è, e come nasce dunque un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? E se il potere mistico fosse stato gestito dalla donna? Francesco Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Spregiatore di dogmi, assertore della libera fecondità della parola, Saba Sardi nasce a Trieste, vive e lavora a Milano. La sua è una vita spesa nelle terre di tutto il mondo nella conoscenza di etnie cosiddette primitive o nuove e misconosciute. Traduce in sei lingue e pubblica oltre 40 libri affrontando temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo. “Il natale ha 5000 anni” è una delle sue opere più note. Il libro racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano e illumina sulle radici della religiosità in un momento storico di cristallizzazione e integralismo.
-
Pessoa: ma la vita è un mistero, non illudetevi di capirla
Quanti si ostinano ancora a segnalare siti ed articoli che finalmente svelano la “verità ultima” o individuano la risoluzione di ogni problema! Com’è facile immaginare, sono portali “quantici” o cose simili. Riflettiamo: è poi così importante conoscere la “verità ultima”? Inoltre è possibile conoscerla? Pessoa ritiene che non sia possibile. Scrive il celebre autore portoghese: “Non esiste altro problema, se non quello della realtà e questo problema è insolubile e vivo”. Ancora: “Nessun problema ha risoluzione. Nessuno di noi scioglie il nodo gordiano; tutti noi desistiamo o lo tagliamo. Per conseguire la verità, ci mancano dati sufficienti e processi intellettuali che chiariscano l’interpretazione di quei dati”. Quanti si ostinano a segnalare libri risolutivi! Si continuano a pubblicare testi presentati come la summa del sapere, come la rivelazione finale, ma, nel migliore dei casi, possono solo rischiarare per un istante l’oscurità in cui è avviluppato l’universo.Si può lumeggiare una sfaccettatura di un tema, chiarire un significato o definire un’etimologia, rispolverare un’intuizione dimenticata, ma non ci risulta che alcunché possa essere radicalmente cambiato, dopo aver letto qualche saggio… Tralasciamo tutte quelle segnalazioni attinenti alla cronaca di questi tempi ferrigni: è sufficiente un briciolo di discernimento per comprendere la piega (sinistra) che hanno preso gli eventi e la direzione verso cui ci stiamo incamminando. Non abbiamo quindi bisogno di scavare fosse già scavate. Nel campo delle domande fondamentali, le indicazioni che si ricevono sono di deprimente banalità e sempre le stesse da tempo immemorabile. E’ cambiato un po’ il linguaggio, ma la sostanza è la medesima. Annota sempre Pessoa: «La vita è un gomitolo che qualcuno ha aggrovigliato». E’ così: è impossibile trovare il bandolo della matassa, anzi, più ci incaponiamo nel tentare di districarla, più i fili si ingarbugliano.Di fronte all’«infinita complessità delle cose» siamo più inetti di bimbi che cercano di camminare, dopo che per molto tempo si sono mossi solo carponi. Meglio: siamo viandanti costretti a scalare una ripida parete rocciosa, senza corde, senza chiodi, senza alcuna esperienza. Non solo si creano illusioni, squadernando sentenze che sono balbettii, ogni volta in cui si additano sbocchi che sono vicoli ciechi, ma si dimostra superbia e persino un atteggiamento blasfemo rispetto all’imperscrutabile mistero della vita. Perché viviamo? Qual è il nostro destino oltre il fragile interludio terreno? Perché questa prolissità del cosmo, la ridondanza dell’essere, il vuoto incommensurabile del non-senso? Le risposte non soffiano nel vento, ma sono pietrificate nel più granitico silenzio.(“Segnalazioni”, dal blog “La Crepa nel Muro” del 31 maggio 2017. Le citazioni di Pessoa sono tutte desunte dal monumentale “Libro dell’inquietudine”, a cura di Maria José de Lancastre, con prefazione di Antonio Tabucchi, nel quale il grande scrittore portoghese scrive: «La metafisica mi è sempre sembrata una forma comune di pazzia latente. Se conoscessimo la verità la vedremmo; tutto il resto è sistema e periferia. Ci basta, se riflettiamo, l’incomprensibilità dell’universo; volerlo capire è essere meno che uomini, perché essere uomo è sapere che non si capisce»).Quanti si ostinano ancora a segnalare siti ed articoli che finalmente svelano la “verità ultima” o individuano la risoluzione di ogni problema! Com’è facile immaginare, sono portali “quantici” o cose simili. Riflettiamo: è poi così importante conoscere la “verità ultima”? Inoltre è possibile conoscerla? Pessoa ritiene che non sia possibile. Scrive il celebre autore portoghese: “Non esiste altro problema, se non quello della realtà e questo problema è insolubile e vivo”. Ancora: “Nessun problema ha risoluzione. Nessuno di noi scioglie il nodo gordiano; tutti noi desistiamo o lo tagliamo. Per conseguire la verità, ci mancano dati sufficienti e processi intellettuali che chiariscano l’interpretazione di quei dati”. Quanti si ostinano a segnalare libri risolutivi! Si continuano a pubblicare testi presentati come la summa del sapere, come la rivelazione finale, ma, nel migliore dei casi, possono solo rischiarare per un istante l’oscurità in cui è avviluppato l’universo.
-
Massoni terroristi, quella dell’élite è una religione segreta
C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato che cerca la divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il grande terrorismo non sono che due facce, entrambi atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, democratico, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?Può sembrare incredibile, ma Gianfranco Carpeoro – l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la matrice massonica della “sovragestione” del terrorismo, attraverso élite che controllano servizi segreti – sostiene che, in fondo, la colpa è nostra. O meglio: la nostra ignoranza consente al super-potere di manipolarci indisturbato, costruendo mostri. Capeoro cita il suo antico maestro, Francesco Saba Sardi, grande intellettuale inserito dal Quirinale tra le più eminenti personalità culturali della storia italiana: nel mini-saggio “Istituzione dell’ostilità”, riportato testualmente nel libro di Carpeoro, Saba Sardi (traduttore di Borges, Simenon, Pessoa, Joyce e Garcia Marquez, nonché biografo di Picasso) sostiene che solo la nostra disponibilità all’odio ci rende inconsapevoli “soldati” della causa altrui, nient’altro che docili strumenti. Siamo pigri, non ci accorgiamo di vivere in un Truman Show. Prendiamo per buono perfino l’Isis, il cui capo – il “califfo”Abu-Bakr Al Baghdadi – fu stranamente liberato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, dopo esser stato affiliato alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpa”, nella quale (secondo Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni”) hanno militato George W. Bush e Condoleezza Rice, il politologo Michael Ledeen, Nicolas Sarkozy, Tony Blair, il leader turco Erdogan.Impressionante, nella ricostruzione di Carpeoro, l’affollamento dei messaggi simbolici che “firmano” i recenti attentati in Francia, affidati a manovalanza islamista: se la strage del Batalclan (13 novembre) è il “calco” della data-simbolo della persecuzione dei Templari, mentre quella di Nizza (14 luglio) colpisce al cuore i valori della Rivoluzione Francese, “sacri” per la massoneria democratica, devastando peraltro la città natale del massone progressista Garibaldi, anche gli attacchi di Bruxelles (aeroporto e metropolitana, “come in cielo, così in terra”) richiamano universi simbolici tutt’altro che islamici, «secondo un preciso schema operativo – scrive Carpeoro – che sceglie di utilizzare un linguaggio estraneo o addirittura “avverso” agli esecutori», giusto per inquinare le acque. Bruxelles, 22 marzo: stessa data del decreto di soppressione dei Templari, nel 1312. Giorno fatale, il 22 marzo: nel 1457, Gutenberg stampò la prima Bibbia. Nel 1831 venne fondata la Legione Straniera, in funzione anti-araba. Ancora: sempre il 22 marzo (del ‘45) nasceva la Lega Araba, «che l’Isis vede come il fumo negli occhi». E nel 2004 venne ucciso a Gaza lo sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas. Ma il fatidico 22 marzo “parla” anche ai cattolici osservanti: le letture liturgiche per la messa di quel giorno propongono la restaurazione del regno di Israele (Isaia), che abbreviato è “Is”, come “Islamic State”.Non è un gioco: per Carpeoro, la matrice massonica della “sovragestione” ricalca in modo quasi maniacale – ribaltandoli – gli insegnamenti di Vitruvio, «personaggio storico che ha avuto grande rilievo nella massoneria», perché nel “De Architectura” il grande architetto romano enuclea i principi-cardine, anche etici e spirituali, che devono orientare la scienza della costruzione, riflesso terreno della bellezza universale. Ebbene, i contro-iniziati che incarnano la “sovragestione” li ribaltano in modo puntuale e speculare, secondo lo stereotipo del satanismo: «Hanno utilizzato tutti gli strumenti descritti da Vitruvio: le lettere, per organizzare la disinformazione; il saper disegnare, per delineare il simbolismo dei loro atti; la geometria, per concatenare le distruzioni; l’ottica, per stabilire i punti di osservazione; l’aritmetica, per i tempi degli attentati; la storia, per il linguaggio simbolico delle date». I fantasmi della “sovragestione” «sono colti, sanno disegnare», padroneggiano matematica e filosofia, medicina e giurisprudenza, astronomia e astrologia». Chi sono, in realtà?Massoni, tutti. O forse no: si tratta di paramassoni, ma in fondo ormai «è solo questione di termini», ammette Carpeoro, che – massone lui stesso, già gran maestro dell’“obbedienza” di Palazzo Vitelleschi, poi dimissionario dopo aver disciolto la sua stessa loggia – accusa la massoneria di aver “perso l’anima”, riducendosi a mera struttura di potere. Nel suo libro accenna alle origini mistiche della libera muratoria (bibliche, egizie) come cemento culturale delle primissime corporazioni, quelle dei costruttori di cattedrali, gelosi custodi dei loro “segreti professionali”, basati sulla sacralizzazione del lavoro al servizio della bellezza. Poi, con la fine dei grandi edifici sacri, la nascita della massoneria “speculativa”, tra ortodossia metodologica e devianze, sbandamenti, infiltrazioni. Pietra miliare, il 1717: brucia Londra, ma l’architetto Chistopher Wren, leader della massoneria inglese, incaricato di riedificare la città, rifiuta di ricostruire il Tempio. «Il 1717 è considerato l’anno di nascita della massoneria moderna, ma in realtà segna l’inizio della fine della vera massoneria», network necessariamente cosmopolita che, come tale, faceva gola al potere: gli ex costruttori di cattedrali erano un’élite della conoscenza ben radicata in tutta Europa.Più che gli Illuminati di Baviera, il gruppo visionario creato sempre nel ‘700 da Jean Adam Weischaupt (nuovo ordine mondiale da costruire radendo al suolo il sistema, cominciando dall’abolizione della proprietà privata), secondo l’indagine di Carpeoro la malapianta della “sovragestione” che sta minacciando il pianeta va ricercata nel pensiero oligarchico di personalità più recenti e magari sconosciute ai più, come Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, un medico francese di fine ‘800 che compare tra le figure di maggior rilievo dell’esoterismo del XIX secolo. Al sorgere del socialismo (e dell’anarchia), Saint-Yves contrappose la “sinarchia”: un modello di governo pre-ordinato, basato su schemi universali, con «ruoli e funzioni sociali secondo un ordine di strati e condizioni rigide, in una concezione piramidale della società». Il tutto, «legittimato da una mistica teocratica tipica delle società più antiche», Egitto e Persia, India. «Significa che alcuni sono naturalmente destinati a comandare». In altre parole, l’esoterista Saint-Yves (fervente cattolico, in strettissimi rapporti col Vaticano) «auspicava il governo di un’élite predestinata e piuttosto aristocratica».Pochissimi sanno “quel che si deve fare”, tutti gli altri devono sottostare alle indicazioni dell’élite. E’ qualcosa di davvero diverso dal pensiero che sembra promanare da Christine Lagarde del Fmi, che Magaldi dichiara affiliata alle Ur-Lodges “Three Eyes” e “Pan-Europa”? E’ tempo di sacrifici? Bisogna (“dovete”) soffrire? A parlare è il marchese Saint-Yves o Mario Monti (Gran Loggia di Londra e Ur-Lodge “Babel Tower”), o magari il “venerabile” Mario Draghi della Bce (“Edmund Burke”, “Pan-Europa”, “Compass Star-Rose”, “Three Eyes” e “Der Ring”)? La nascita delle superlogge internazionali era assolutamente ineluttabile, osserva Carpeoro: la stessa tensione civile e sociale che durante l’Illuminismo aveva condotto i massoni a battersi per «i valori democratici e libertari, propri della dottrina muratoria» condusse le logge di fine ‘800 a coordinarsi, «anche al di fuori dell’organizzazione rituale», affiliando – nelle Ur-Lodges – anche «presidenti, banchieri, industriali», non necessariamente passati per la tradizionale procedura iniziatica.Per quello spiraglio, sottolinea Carpeoro anche nell’articolata trattazione del capitolo italiano su Gelli e la P2 (dove emerge un’Italia di fatto tuttora “sovragestita” da una fantomatica P1, protetta da silenzi e omissioni), il potere avrebbe definitivamente svuotato il network massonico di ogni autentica valenza esoterica e libertaria. Tutto sarebbe ridotto a una piramide che parla una sola lingua, quella del denaro, imposta con la globalizzazione forzata del pianeta a beneficio di una casta di “eletti” che, della massoneria, mantengono solo il linguaggio cifrato, magari per “firmare” crisi, guerre e persino attentati terroristici, sanguinose tappe di una strategia della tensione progettata per imporre agli “inferiori” il dominio della paura. Cosa c’è nella testa dei fantasmi della “sovragestione”? Probabilmente, il verbo di Saint-Yves, la “sinarchia”, una filosofia addirittura mistica, secondo cui «l’élite è in armonia con le leggi universali è in pratica una classe sacerdotale». La “sinarchia”, conclude Carpeoro, è dunque «una forma di teocrazia, un governo di sacerdoti o di re-sacerdoti». Il dogma del rigore, imposto all’Europa, impossibile da discutere: «La “sinarchia” arriva a suggerire che quest’élite illuminata sia in diretto contatto con le intelligenze spirituali che governano l’universo e da cui riceve istruzioni». Per i comuni mortali, nessuna speranza. A meno che non si “risveglino”, nell’unico modo possibile: disertando, rifiutando la guerra che viene quotidianamente allestita.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, sottotitolo “Come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono controllare il mondo”, Revoluzione edizioni, 192 pagine, euro 13,90).C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato alla ricerca della divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il terrorismo permanente non sono che due facce, entrambe atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, socialista, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?
-
Sciiti e sunniti, colpa loro. Noi occidentali? Innocenti, ovvio
“Se Allah avesse voluto una sola religione, al mondo, quella soltanto ci sarebbe”. Nel suo saggio sulle principali confessioni del pianeta, Paolo Franceschetti ricorda lo straordinario ecumenismo presente nel Corano, secondo cui “tutte le religioni sono mezzi che conducono alla stessa meta”. «Lo stesso Maometto, pur “prescelto da Dio”, aggiungeva: non compio miracoli, non servirebbe. Nonostante i suoi miracoli, nemmeno Cristo, il più grande dei profeti, è stato riconosciuto per ciò che era, ed è stato crocifisso». Ora torna in voga il refrain sullo “scontro di civiltà”, inaugurato nel 1996 da un esponente dell’élite come Samuel Huntington (“Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale”) e reso tristemente celebre da Oriana Fallaci dopo l’11 Settembre. E oggi, nella narrazione mainstream frastornata da attentati e guerre a catena (Libia e Siria, Charlie Hebdo, Yemen, strage di Parigi del 13 novembre), lentamente affiora anche nei talkshow un nuovo capitolo, quello della guerra inter-islamica tra sciiti e sunniti. «Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale», scriveva Huntington. «Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro», anche perché «le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura».Superiorità occidentale? Sì, ma a mano armata: «L’Occidente – ammette ancora Huntington – non ha conquistato il mondo con la superiorità delle sue idee, dei suoi valori o della sua religione, ma attraverso la sua superiorità nell’uso della violenza organizzata, il potere militare». E attenzione: «Gli occidentali lo dimenticano spesso, i non occidentali mai». Lo sottolinea Paolo Barnard nel suo saggio “Perché ci odiano”, in cui intervista anche l’allora “numero tre” di Al-Qaeda: il mondo islamico ha ormai incorporato un rancore smisurato e più che giustificato verso l’Occidente, dopo aver subito – senza interruzione – un genocidio dopo l’altro, lo stupro di interi paesi e la razzia delle risorse (petrolifere, e non solo) grazie alla complicità di élite locali, i “raìs” che rinnegarono le istanze della decolonizzazione, restando al potere – dittature e monarchie – col granitico supporto occidentale. Una stagione di piombo, dopo la fine delle speranze accese dai leader terzomondisti arabi e africani sistematicamente uccisi o fatti uccidere dagli occidentali, perché scomodi: da Patrice Lumumba in Congo, liquidato dal Belgio per insediare Mobutu, fino a Thomas Sankara, in Burkina Faso (l’uomo che voleva azzerare il debito per i paesi poveri), assassinato col solito sistema, sicari locali armati da mandanti occidentali, francesi e americani.Il maggiore leader della storia egiziana moderna, Nasser, trascinò il mondo sull’orlo della guerra nel fatidico 1956: nazionalizzò il Canale di Suez per protesta contro la Banca Mondiale che rifiutava di finanziare una grande diga sul Nilo; per rovesciarlo manu militari, inglesi e francesi sbarcarono in forze a Port Said, ma furono fermati dall’Urss che intimò loro il ritiro immediato, pena l’impiego delle armi atomiche. Proprio il crollo dell’Unione Sovietica ruppe equilibri decennali, congelando al potere i vecchi autocrati, ancora sul trono o travolti solo ora dalle “primavere arabe”. Sempre in Egitto, il “faraone” Mubarak era stato il vicepresidente di Anwar Sadat, l’uomo della storica pace separata con Israele. Pagò con la vita, Sadat, e la sua fine mise sotto i riflettori, per la prima volta, la “jihad islamica”: Sadat fu ucciso nel 1981 da un killer jihadista. Meno di dieci anni dopo, l’Algeria schierò i carri armati nelle strade per annullare i risultati delle elezioni, che avevano clamorosamente incoronato il Fis, Fronte Islamico di Salvezza. Ma l’unico grande paese in cui l’Islam andò letteralmente al potere fu l’Iran, con la travolgente rivoluzione di Khomeini del 1979, guidata dal carismatico ayatollah (sciita) esiliato dal feroce regime dello “scià” Reza Pahlavi, a cui l’Occidente aveva imposto di eliminare il premier Mohammad Mossadeq, che aveva osato nazionalizzare il petrolio iraniano, saldamente in mano agli inglesi dal lontano 1908.Con Khomeini, l’identità religiosa si è trasformata anche in arma politica di autodifesa, da parte di paesi storicamente brutalizzati e rapinati dall’Occidente, che non ha mai neppure provato a sanare la devastante piaga della Palestina, martoriata fino al genocidio delle bombe al fosforo bianco sganciate anche sui bambini, dopo che a Gaza si è imposta (democraticamente, per via elettorale) la fazione sciita di Hamas. Appena più a nord, altri sciiti, quelli del partito armato di Hezbollah insediato in Libano, sono ora impegnati accanto ai russi nel sostegno militare del regime di Assad, esponente della componente sciita (alawyta) della Siria. Mentre nell’altro paese raso al suolo dalle bombe, l’Iraq, a maggioranza sciita, sono stati gli americani a emarginare, con la fine di Saddam, la componente sunnita, da cui si racconta sia partita l’ultima ondata jihadista che sta insanguinando il Medio Oriente e terrorizzando la Francia. Religione o potere? Secondo un eminente studioso come Francesco Saba Sardi, biografo di Picasso e traduttore di Simenon, Pessoa, Borges e Garcia Marquez, religione e potere compaiono insieme, nella storia della civiltà, insieme al terzo elemento: la guerra. Accade nel passaggio cruciale tra il paleolitico, abitato da cacciatori e raccoglitori, al neolitico, in cui l’uomo scopre l’agricoltura e quindi il bisogno di conquistare e difendere la terra. Nel saggio “Dominio”, Saba Sardi sostiene che proprio la religione nacque per conferire autorità al primo capo politico e militare della storia dell’umanità, il re-sacerdote.Se la “guida suprema” dell’Iran, l’ayatollah Alì Khamenei, potrebbe essere classificato (come il Papa-re) nella categoria dei re-sacerdoti, è pur vero però che i “nemici” dei paesi islamici non professano, di fatto, alcuna religione: il biglietto da visita dell’Occidente “cristiano” non è il crocifisso, ma una valigia di dollari e una flotta di droni che sganciano missili. Tre milioni di vittime, fra i musulmani, solo negli ultimi anni. E’ sempre l’Occidente – l’ha ricordato un comico, Maurizio Crozza, citando Hillary Clinton – ad aver “fabbricato”, in Afghanistan, il fondamentalismo islamico da cui poi nacquero i Talebani e il loro profeta, l’ex uomo Cia più famoso del mondo, Osama Bin Laden. Eppure, di fronte ai fallimenti catastrofici in Medio Oriente e alla recente paura quotidiana per gli attentati, un’Europa smemorata e incerta, guidata dall’evanescente Obama, resta tra le nebbie di una politica reticente e disonesta: preferisce tacere sul ruolo di Usa, Francia e Turchia nella progettazione a tavolino della “guerra civile” in Siria, per parlare piuttosto di scontro inter-islamico tra sciiti e sunniti, come se si trattasse di una lite di famiglia tra parenti lontani, stravaganti e fanatici, fingendo di non sapere come mai, molti di loro, ce l’hanno tanto con noi.Posto che nessuno potrebbe mai farsi saltare in aria senza essere imbottito di anfetamine o debitamente manipolato con tecniche psicologiche potentissime, come quelle messe a punto nel programma Mk-Ultra della Cia, non occorre un Premio Nobel per riconoscere le ragioni di un risentimento vastissimo, motivato da decenni di mostruose sofferenze inflitte. «La differenza tra noi e voi è semplice: noi non abbiamo paura di morire», dice un jihadista. Può succedere, sostiene Marco Travaglio, se scopri di non avere più niente da perdere, perché qualcuno ti ha condotto alla disperazione, privandoti di tutto. «Aiutiamoli a casa loro», dicono – senza ridere – leader come Salvini, come se non sapessero in che modo li stiamo già “aiutando”, a casa loro, da decenni. Enrico Mattei, che alla parola “aiuto” dava un significato diverso (non rapina, ma scambio equo) fu fatto esplodere in aria, sul suo aereo. Ma era tanto tempo fa. Troppo, per ricordare. Meglio allora i pettegolezzi sulla lite di famiglia tra i sunniti, cioè gli eredi di Abu Bakr, amico e suocero di Maometto, e gli sciiti, seguaci dell’imam Alì, cugino e genero del Profeta. La divisione religiosa risale al VII secolo dopo Cristo, ma è “esplosa” soltanto adesso, da quando i paesi islamici del Vicino Oriente si sono accorti, definitivamente, della natura dell’“aiuto a casa loro” fornito dal potere occidentale.Il nostro è un potere non certo religioso, ma finanziario e militare, come ricorda Huntington, peraltro co-autore dello storico saggio “La crisi della democrazia”, commissionato dalla Trilaterale e utilizzato come Vangelo dall’oligarchia mondialista, quella che ha messo fine alla sovranità nazionale anche archiviando la sinistra dei diritti, quella che – per inciso – sosteneva le cause del terzo mondo, inclusa quella palestinese, che sta a cuore tanto ai sunniti quanto agli sciiti. Ma attenzione: buttarla in politica non risolve sempre tutto. Lo sostiene un osservatore speciale come Fausto Carotenuto, già analista di primo piano dei servizi segreti, ora animatore del network “Coscienze in rete”: conta anche, e moltissimo, la dimensione “invisibile”, quella dei pensieri. Angoscia, paura e rabbia, oppure speranza e fiducia: il “potere” della preghiera. I musulmani sono un miliardo e mezzo, nel mondo, e pregano Allah cinque volte al giorno, tutti i giorni, a ore fisse. «Ogni fedele – dice Paolo Franceschetti – sa che, mentre sta pregando, lo sta facendo insieme a tutti gli altri, in ogni parte del mondo. Questo dona una grande forza interiore, demolisce la solitudine».Per il massone Gianfranco Carpeoro, l’errore fatale dei cattolici fu quello di attaccare gli arabi con le Crociate. San Francesco d’Assisi viaggiò fino a Damietta, sul Nilo, per fare la pace coi musulmani. Che, all’imperatore esoterista Federico II, regalarono una scorta d’onore: la guarda armata del capo del Sacro Romano Impero era composta da guerrieri musulmani. Emblematico, sotto questo aspetto, il ruolo-ponte dei Sufi, confraternita iniziatica di origini antichissime, pre-islamiche, capace di sviluppare una particolarissima forma di sincretismo, oltre che una sorta di diplomazia di pace. «Sapendo che tutto è Dio, cerco Dio per trovare il tutto», sintetizzava Gabriele Mandel, eminente studioso e leader dei “dervisci” italiani, per tutta la vita impegnato nel dialogo interreligioso. Dagli islamici abbiamo molto da imparare, aggiunge Franceschetti: «Per loro la carità è un obbligo, vivono una straordinaria solidarietà quotidiana. Da sempre, nei paesi islamici, il fisco è progressivo: i ricchi pagano più tasse. E la finanzia islamica non è speculativa come la nostra, l’etica la impone il Corano: se non riesci più a a pagare il muto, la banca si riprende la casa ma si ferma lì, non ti perseguita con gli interessi. Non a caso, da noi non si vedono banche islamiche». Discorsi che portano lontano, certo. Molto più lontano dei missili sulla Siria, e di quelli sparati ogni giorno dal circo mediatico con le sue mediocri comparse senza memoria.“Se Allah avesse voluto una sola religione, al mondo, quella soltanto ci sarebbe”. Nel suo saggio sulle principali confessioni del pianeta, Paolo Franceschetti ricorda lo straordinario ecumenismo presente nel Corano, secondo cui “tutte le religioni sono mezzi che conducono alla stessa meta”. «Lo stesso Maometto, pur “prescelto da Dio”, aggiungeva: non compio miracoli, non servirebbe. Nonostante i suoi miracoli, nemmeno Cristo, il più grande dei profeti, è stato riconosciuto per ciò che era, ed è stato crocifisso». Ora torna in voga il refrain sullo “scontro di civiltà”, inaugurato nel 1996 da un esponente dell’élite come Samuel Huntington (“Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale”) e reso tristemente celebre da Oriana Fallaci dopo l’11 Settembre. E oggi, nella narrazione mainstream frastornata da attentati e guerre a catena (Libia e Siria, Charlie Hebdo, Yemen, strage di Parigi del 13 novembre), lentamente affiora anche nei talkshow un nuovo capitolo, quello della guerra inter-islamica tra sciiti e sunniti. «Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale», scriveva Huntington. «Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro», anche perché «le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura».
-
Saba Sardi: il potere corrompe anche le migliori intenzioni
Sono un seguace di uno studioso di costume, letteratura e popoli, Francesco Saba Sardi, triestino d’origine, nipote del poeta Umberto Saba. E’ stato candidato quattro volte al Premio Nobel per la Letteratura, prima di morire è stato insignito da Napolitano tra le 50 autorità culturali e morali del paese. E’ stato il biografo ufficiale di Picasso, l’unico autorizzato da Picasso, nonché l’unico autorizzato da Simenon a tradurre il Commissario Maigret. E’ stato il traduttore di Borges, di Pessoa, di Garcia Marquez, nonché colui che scrisse la “Storia delle religioni” pubblicata da Mondadori nel 1974, che è tutt’ora la “storia delle religioni” più venduta – solo che gli hanno tolto la firma, e sapete perché? Perché nel ‘58 eta stato scomunicato. Aveva scritto un libro, “Natale ha 5.000 anni”, nel quale svelava qualche piccola cosa che non gli quadrava nella costruzione mitico-narrativa del Natale della Chiesa cristiana, ma soprattutto pubblicava una serie di dipinti che il Vaticano aveva nascosto. Il libro è stato messo all’indice, e da quel momento la Mondadori pose come condizione che non ci fosse la sua firma sulla “Storia delle religioni”. Ha subito pesanti conseguenze. Quando è morto, l’unico giornale che gli abbia dedicato due pagine è stata “L’Unità”. Nessun altro giornale ne ha parlato: capito, lo stato dell’informazione in Italia?In un libro fondamentale, “Dominio”, Francesco Saba Sardi spiega la logica del potere. Vi consiglio di leggerlo, è un libro davvero importante. “Dominio” dice che l’uomo era libero quando era cacciatore nomade, e quindi non si faceva carico di dover gestire in qualche modo una comunità. Nel momento in cui l’uomo diventa agricoltore, e quindi deve gestire le risorse umane, è costretto a farlo in maniera ideologica. Cioè, se tu devi gestire più persone, devi avere un’idea di come gestirle – che può essere più o meno condivisibile, e qui entriamo nel campo delle opinioni. Qual è il problema? E’ che tu quest’idea ce l’hai, poi crei una struttura che metta in pratica questa idea. E, nel momento in cui crei la struttura, muore l’idea. La struttura assume un’autonomia sua come meccanismo, per cui l’idea “sbianca”, ma “sbianca” anche la figura di riferimento del capo. E questa è la storia di tutte le strutture. Nel momento in cui Costantino ha preteso che la Chiesa cristiana diventasse una struttura, è impallidito il Cristianesimo. E’ assolutamente automatico, ma non è una colpa del Cristianesimo. E’ successo anche alla massoneria: nel momento in cui è diventata una struttura unica, mondiale, e ha eliminato la libertà individuale delle realtà locali, è scomparsa l’ideologia massonica.Questo succede anche sul piano del male, nel campo della criminalità. La mafia nasce come reazione alle mancanze dello Stato col cosiddetto brigantaggio – una reazione della gente a uno Stato che non era proprio dalla parte della ragione. Il brigantaggio poi sparisce, ma resta la mafia. La caratteristica delle strutture è che tagliar loro la testa è irrilevante. Alla mafia potete arrestare Liggio, Totò Riina, Provenzano; si riuniscono una notte e ne nominano uno nuovo. Chi la comanda è irrilevante, perché è la struttura che è autoconservativa, auto-assertiva. E l’Italia è andata avanti nello stesso modo. Tutte le colpe erano di Gelli? L’hanno messo in galera, ma non è cambiato niente. Poi le colpe sono diventate di Andreotti e Craxi. Li hanno archiviati, e l’Italia è rimasta uguale. Sapete perché? Perché la struttra funziona così. Ormai non ha più l’ideologia, la parte progettuale – qualunque ideologia, non è questione di colore, perché poi tutte le ideologie hanno del buono e del cattivo. Ma qualunque ideologia è il progetto: ti dico come voglio che tu stia fra trent’anni. Se mi togli l’ideologia, anch’io vivo alla giornata. Come si vincono le elezioni oggi? Ti prometto che domani ti tolgo le tasse. Qualcuno riesce a fare promesse decennali, venetennali? Non si permette più nessuno, perché non essendoci più l’ideologia non c’è più il progetto, la progettualità.La massoneria ha fatto questa fine qui. Come nasce, la massoneria? L’Europa proveniva da un mondo classico pagano, per cui il lavoro era sacro. Tutti quelli che facevano un determinato lavoro – non solo quello dei costruttori: quello dei fabbri, dei tessitori, dei sarti – erano radunati nelle corporazioni delle arti e dei mestieri, che avevano acquisito una sacralità nell’assimilare le conoscenze legate a quel lavoro; conoscenze sacre anch’esse, e a volte molto profonde: più c’era arte nel fare quel lavoro in quel luogo, e più quelle conoscenze erano profonde. Quindi c’erano le logge, non solo di massoni – massone viene dal francese “maçon”, costruttore. C’erano le logge dei tessitori, degli scalpellini, dei fabbri, dei carpentieri di barche. Di tutte queste logge, assolutamente nessun’altra è sopravvissuta all’alto e al basso medioevo. E’ sopravvissuta solo la loggia dei massoni, costruttori di cattedrali: perché i massoni viaggiavano, erano diventati delle piccole multinazionali, facevano una riunione annuale di tutti i costruttori di cattedrali a Colonia, si scambiavano le conoscenze – cosa che gli altri non facevano, perché il loro lavoro era più localizzato e parcellizzato. Ma se tu dovevi fare la cattedrale di Chartres, non potevi pensare di farla solo con gli scalpellini francesi.Morendo la sacralità del lavoro e morendo le persone che ne fanno quasi un centro di ricerca, di quel lavoro, dopo l’umanesimo e il Rinascimento muoiono queste tradizioni, mentre quella massonica non muore, anzi si trasforma: dopo il ‘600, quando non si costruiscono più le cattedrali, i massoni decidono di conservare quelle conoscenze, quelle ritualità, quella sacralità, e di trasformarle in discorso filosofico-simbolico, dove la squadra e il compasso, che hanno sempre avuto un significato simbolico, mantengono solo quello simbolico. I simboli della massoneria sono squadra e compasso: sono una cosa elementare, rappresentano la parte razionale e la parte animistica della persona umana. Noi siamo composti di mente ma anche di anima, che non necessariamente coincide con la mente, perché l’anima è il soffio della vita, le emozioni, cose che con la ragione c’entrano poco. Pascal le chiamava “le ragioni del cuore e le ragioni della geometria”. Il problema è che la massoneria, diventando speculativa anziché operativa, non costruisce più le cattedrali ma conserva le sue tradizioni a scopo simbolico, conoscitivo, evolutivo-spirituale.Prima, tutte le massonerie erano autonome: collegate tra loro, sì, ma non secondo un ordine gerarchico. Invece nel 1717, e più avanti nel 1810, nascono i Grandi Orienti, che sono un modo di creare una massoneria fintamente universale. La massoneria anglosassone, che ha asservito anche la massoneria americana, voleva che la massoneria diventasse uno strumento di potere: a questo serviva una struttura come quella dei Grandi Orienti. Al di là di poche realtà, come l’obbedienza di Palazzo Vitelleschi, la massoneria è diventata uno strumento del potere politico, del potere economico e del potere in generale, come lo è diventata la religione, la Chiesa. Le strutture si mettono sempre al servizio del potere, e perdono il loro riferimento iniziale.(Gianfranco Carperoro, estratti delle dichiarazioni rese il 13 maggio 2014 alla conferenza pubblica dell’associazione “Salusbellatrix” a Vittorio Veneto, ripresa integralmente su YouTube. Studioso di simbologia, esoterista, già avvocato e magistrato tributario, giornalista e pubblicitario, Carpeoro è autore di svariati romanzi ed è stato “sovrano gran maestro” della comunione massonica di Piazza del Gesù).Sono un seguace di uno studioso di costume, letteratura e popoli, Francesco Saba Sardi, triestino d’origine, nipote del poeta Umberto Saba. E’ stato candidato quattro volte al Premio Nobel per la Letteratura, prima di morire è stato insignito da Napolitano tra le 50 autorità culturali e morali del paese. E’ stato il biografo ufficiale di Picasso, l’unico autorizzato da Picasso, nonché l’unico autorizzato da Simenon a tradurre il Commissario Maigret. E’ stato il traduttore di Borges, di Pessoa, di Garcia Marquez, nonché colui che scrisse la “Storia delle religioni” pubblicata da Mondadori nel 1974, che è tutt’ora la “storia delle religioni” più venduta – solo che gli hanno tolto la firma, e sapete perché? Perché nel ‘58 eta stato scomunicato. Aveva scritto un libro, “Natale ha 5.000 anni”, nel quale svelava qualche piccola cosa che non gli quadrava nella costruzione mitico-narrativa del Natale della Chiesa cristiana, ma soprattutto pubblicava una serie di dipinti che il Vaticano aveva nascosto. Il libro è stato messo all’indice, e da quel momento la Mondadori pose come condizione che non ci fosse la sua firma sulla “Storia delle religioni”. Ha subito pesanti conseguenze. Quando è morto, l’unico giornale che gli abbia dedicato due pagine è stata “L’Unità”. Nessun altro giornale ne ha parlato: capito, lo stato dell’informazione in Italia?